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IL
PROBLEMA DELLE MISCONCEZIONI NELLO SCHEMA OPERATORIO DELLA ANTROPOLOGIA STRUTTURALE.
Il contributo del matematico e filosofo Pavel Florenskij DI
DAVIDE
POLOVINEO
davide.polovineo@fastwebnet.it
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I LIMITI DELLA RICERCA
Il contributo filosofico-matematico sulle difficoltà di apprendimento di Florenskij e la conseguente esigenza di una concezione armonica e coerente nell‘ambito della filosofia analitica del mistico russo, di una robusta sistemazione teorica dei dati dell’esperienza, induce una riflessione sulle dinamiche di apprendimento per le costruzioni delle onomasiologie nell’ambito di ricerca della antropologia strutturale1. Ovvero la ricomprensione della tematica fisico-matematica di Florenskij sulla misconcezione2, o difficoltà di apprendimento, dello spazio non euclideo per la costruzione di mondi di rappresentazione “altri”, è un motivo fondamentale di analisi per l’antropologia strutturale poiché le misconcezioni non costituiscono un ostacolo all’apprendimento se sono legate ad immagini deboli e instabile del concetto, mentre rappresentano un ostacolo all’apprendimento se sono radicate a forti e stabili modelli di un concetto. Così intese, le misconcezioni sono classificabili in due grandi
Cfr. CHAPPLE E. D., The Unbounded Reaches of Anthropology as a Research Science, and Some Working Hypotheses, in “American Anthropologist”, 82(4) (1980), pp. 741757; WHITTEN N. E., Ecological Immagery and Cultural Adaptability: The Canelos Quichas of Eastern Ecuador, in “American Anthropologist”, 80(4) (1978), pp. 836859. 1
Per la definizione di misconcezione Cfr. BROUSSEAU G., Les obstacles epistemologiques et les problemes en mathematiques, in “Recherches en didactique des mathematique", vol. 4, n. 2 (1983), pp. 165-198. Seguiamo l'interpretazione costruttiva di Brosseau reinterpretata da D'Amore che afferma: “Una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa però non va vista come una situazione del tutto o certamente negativa: non è escluso che per poter raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, ma in corso di sistemazione." (Cfr. B. D'AMORE, Elementi di didattica della matematica, Bologna, 1999, p. 124).
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categorie: “inevitabili” ed “evitabili”; le prime sono quelle che dipendono dalla necessità di dover dire e mostrare qualcosa per poter spiegare un concetto, che non potrà mai essere esaustivo di ciò che si sta proponendo; mentre le seconde dipendono proprio dalle scelte che il matematico prende per effettuare la trasposizione del pensiero e che possono condizionare negativamente l’uditorio. L’“inevitabilità” delle misconcezioni, intrinsecamente legata al pensiero di Pavel Florenskij, è una eredità da raccogliere per la tematica della costruzione delle onomasiologie in antropologia strutturale, ovvero il processo di trasformazione attiva degli oggetti concettuali culturali in oggetti di coscienza che avviene tramite il processo di oggettivazione, inteso etimologicamente come far mettere qualche cosa davanti a qualcuno in modo che lo possa percepire. Questo processo di oggettivazione è fondamentale in antropologia strutturale, in quanto non è possibile accedere all’analisi delle strutture bio-antropologiche (Le strutture elementari della parentela: fitness riproduttiva, kin selection, mantenimento della specie) senza ricorrere a ciò che Florenskij chiama rappresentazioni e che in antropologia strutturale sono da definire mezzi semiotici di oggettivazione delle strutture bio-antropologiche. Ora proprio nell’affermare che nel presentare un concetto si è costretti a fare i conti con rappresentazioni semiotiche, siamo in linea con un modello semiotico - strutturale complessificato. Detto in altro modo, la modellizzazione semiotico - strutturale è il modo di accesso al mondo delle difficoltà bio-antropologiche. La “inevitabilità” di questo passaggio, rende quindi le misconcezioni “inevitabili” e al contempo fondamentali per la costruzione delle onomasiologie.
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LE
MISCONCEZIONI
LOGICO-GEOMETRICHE
DELLA
SCUOLA
RUSSA
DELL’INIZIO DEL NOVECENTO: LA TESI DI LAUREA DI PAVEL FLORENSKIJ
Opera in sé solida e ricca, epos artistico del giovane Pavel Aleksandrovic Florenskij3, grande argomento e poema di stile universitario moscovita, la tesi di laurea in matematica, fondamento delle pubblicazioni successive del mistico russo, dal titolo Ob osobennostjach ploskich krivych, kak mestach naru˘senija nepreryvnosti (Sulle particolarità delle curve piane come luoghi di rottura della continuità), è da considerare un lavoro che Florenskji prevedeva come prima parte di una più generale composizione di carattere matematico-filosofico, che voleva intitolare Preryvnost’, kak element mirovozzrenija (La discontinuità come elemento della concezione del mondo). L’ipotesi della tesi era basata sull’analisi dei fenomeni che presentano fratture e discontinuità a partire dal classico piano di Argand-Gauss. Ma di che cosa si tratta? Dalla seguente analisi del prof. Ivan Cervesato si può comprendere l’analitica4:
Per le testimonianze dell’operato del primo periodo cfr. PAVEL ALEKSANDROVI˘C FLORENSKIJ, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo (a cura di N. VALENTINI e L. ˘ZÁK), Milano, 2000. 4 Cfr. http:// www.ivancervesato.it/M4_Campo_complesso.pdf 3
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Florenskij, basandosi sugli appunti di Nikolaj Vasil’evi˘c Bugaev (1837-1903) che aveva studiato con i famosi Weierstrass e Kummer, analizza i fondamenti dell’indagine di Argan- Gauss e del teorema dovuto ad Eulero: per individuare la posizione di un corpo rigido, libero di muoversi nello spazio, rispetto ad un sistema fisso occorrono 6 parametri indipendenti: le 3 coordinate della origine - del sistema solidale e 3 coseni direttori. In realtà, in molte applicazioni, è comodo utilizzare anziché tre dei coseni direttori, 3 angoli tra loro indipendenti che si chiamano angoli di Eulero5. Eulero afferma che i piani che individuano la massima curvatura e quella minima (dette curvature principali) sono perpendicolari e Gauss definì la curvatura (gaussiana) della superficie come il prodotto delle curvature principali. In formula:
Consideriamo la sfera di raggio R: in tutti i suoi punti i piani che vanno a sezionarla descrivono sempre la stessa circonferenza, per cui la curvatura sarà in tutti i punti 1/R². La retta, che si può identificare con la circonferenza di raggio infinito, ha curvatura nulla. Questa definizione può venire estesa a oggetti più complessi e in dimensione maggiore, come indicato da Florenskij: Кривизна же окружности характеризуется ее радиусом R или, лучше, величиною K1, обратною этому радиусу6 K1=1⁄R
Segue lo schema del prof. Augusto Muracchini dell’Università di Bologna per comprendere l’analisi di Florenskij. ( Cfr.www.ciram.unibo.it/~muracchi/Materiale%20didattico/eulero.pdf ). 5
6 La curvatura della circonferenza ( modello più semplice della curvatura estrinseca) è il reciproco del raggio R.
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Ora proprio questa prospettiva matematica ci conduce all’interno della tematica delle misconcezioni matematiche. La specifica abilità cognitiva che caratterizza il pensiero matematico è stata analizzata da Florenskij, che la identifica con un sistema di rappresentazioni e registri semiotici. In effetti Florenskij si pone all’interno delle teorie educative russe del novecento che concepiscono il pensare e l'apprendere come una attività isolata che ha luogo nella mente dell'individuo ed è una tendenza a scoprire una realtà a priori. Florenskij prende in considerazione anche l'interazione sociale e l'approccio semiotico culturale che evidenziano il carattere prettamente filosofico delle conclusioni della tesi: Florenskij ipotizza che la continuità dei fenomeni nello spazio e nel tempo, lasciando tutto indistinto e senza limiti, presuppone l’assenza della forma. La continuità non permette di scoprire ciò che unisce un oggetto alle sue parti e ai diversi elementi. Scompare, pertanto, il progetto globale del fenomeno: la curvatura della circonferenza diviene modello di pensiero e la a-simmetria per Florenskij diviene in tal senso proprietà estetica. Se è chiaro che, fin dai periodi più antichi, proprio la simmetria delle figure incorporava in sé i germi di una prima, rudimentale, forma di osservazione scientifica, la a-simmetria pone in discussione che "lo spazio è omogeneo e isotropo". Questa l’ispirazione finale della «sintesi filosofico - matematica» di Florenskij che ebbe sempre la premonizione di uno smantellamento, a livello epidermico e fondativo dell’assetto sociale, della comprensibilità logica di uno sviluppo lineare delle grandi narrazioni artistiche e dei grandi modelli idealtypici su cui erano poste le basi sociali e le narrazioni individuali e di gruppo. Così tutte le cose coinvolte nel processo sociale acquistano una nuova forma di esistenza che non fa parte della loro natura fisica ma è la loro forma ideale7.
7 E. ILYENKOV, The Concept of the Ideal, Problems of Dialectical Materialism, Moscow, 1977, p. 86.
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COROLLARIO
PER
LO
SCHEMA
OPERATORIO
DELL’ANTROPOLOGIA
STRUTTURALE
Ora in base a questa postura del pensiero di Florenskij si potrebbe asserire che la antropologia strutturale è una attività di ricerca che conferisce senso al contesto bio-antropologico nella dinamica forma di esistenza-forma ideale. Tuttavia è da evidenziare il fatto che nelle strutture bio-antropologiche emergono di fatto forme di razionalità ( come ad esempio la dinamica strutturale della fitness riproduttiva che ha già una logica iscritta nei codici biologici), bisogni e problemi al di là del processo di forma ideale. In questo quadro, i segni sono costituenti del pensiero perché esprimono l'attività bioantropologica collegandola alle dimensioni individuale, storica e culturale. Una simile mediazione richiede la partecipazione non solo dei sistemi di segni, ma anche degli oggetti, degli strumenti, dei gesti, ecc. Da questa organizzazione strutturale scaturiscono le onomasiologie di analisi che pertanto non sono da considerare come qualcosa che avviene sul puro piano mentale, ma che trovano la loro organizzazione finale sul piano sociale, in una regione che sarebbe da definire come il landscape del pensiero in quanto artifactual. È in questo territorio ( un mondo tra forma di esistenza e mondo ideale) che la soggettività e l'oggettività culturale si sovrappongono reciprocamente e la mente si estende, come afferma il matematico Luis Radford, al di là della pelle8. La riflessività del pensare riguarda il ruolo della coscienza soggettiva nel pensiero, la cui attività viene portata avanti come un atto intenzionale, da un lato, diretto verso le strutture bioantropologiche, dall'altro, sviluppato proprio attraverso queste stesse strutture. Qui si rivela il potente aiuto di Florenskij poiché la formulazione matematica non è soltanto qualche cosa che si aggiunge all’oggetto vero e proprio, una presentazione pregevole, ma in definitiva non essenziale, bensì la ricerca dell’Arché è indissolubilmente legata a quella formulazione: pensare non è una attività isolata in cui l'individuo assimila conoscenza, ma una riflessione da parte del soggetto, affermerebbe Radford, compiuta nell'ambito di un contesto socialmente condiviso e di una realtà storica e culturale che indirizzano gli atti intenzionali dell'individuo verso ciò che chiamiamo
8L. RADFORD, The ethics of being and knowing: Towards a cultural theory of learning, in L. RADFORD-G. SCHUBRING & F. SEEGER (a cura di), Semiotics in mathematics education: epistemology, history, classroom, and culture, Rotterdam, 2008, p. 219.
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pensiero e conoscenza. In tal senso la posizione della antropologia strutturale è in bilico tra oggetti, azioni strutturanti e il contesto del pensiero artefatto (artifactual) che danno luogo alle forme o modi delle attività e ai modi specifici della conoscenza o epistemologici9.
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M. FOUCAULT, Les mots et les choses, Paris, 1966.
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4 SVILUPPO “PROSPETTIVA
DELLE
MISCONCEZIONI
LOGICO-GEOMETRICHE
NELL’OPERA
ROVESCIATA” DI FLORENSKIJ
Il pensiero di Florenskij sulla curvatura dello spazio viene ripreso in senso ampio in Obratnaja perspektiva, (La prospettiva rovesciata), un lavoro originariamente scritto nel 1919 ma pubblicato solo nel 196710. Proprio all’inizio, Florenskij afferma con convinzione che, attraverso la vivace discussione seguita alla lettura effettuata all’Istituto Moscovita di Ricerche Storico-Artistiche e Museologia nel 1920, egli si era rafforzato nell’idea che il problema dello spazio è fondamentale, sia per l’arte che per una visione generale del mondo. Qui Florenskij è portato a caratterizzare lo spazio euclideo come un solido schema basato su precise premesse, che tuttavia, nella sua opinione, lo rendono totalmente astratto e lo isolano dalla percezione concreta del mondo «indifferente e senza forma»: la ricostruzione dei fondamenti della fisica effettuata dalla teoria della relatività caratterizza lo spazio come non omogeneo, anisotropo, pluridimensionale, a curvatura non nulla. La tesi che rimarca il Florenskij è che a un esame superficiale sembra che la continuità delle percezioni sia la caratteristica euclidea più difendibile, ma in realtà «lo spazio delle percezioni è sostanzialmente e interamente discontinuo e costituito da singoli elementi» per l’omogeneità, l’isotropia e gli altri caratteri. In tale paradigma, Florenskij ricostruisce il suo modello. La constatazione da fare è che la ricostruzione dei fondamenti della fisica effettuata dalla teoria della relatività caratterizza lo spazio come finito, non omogeneo, anisotropo, pluridimensionale, a curvatura non nulla. È un viaggio poeticamente reale quello di Florenskij e a suo modo di vedere “proprio qui” si fanno ragionamenti che fuoriescono dai limiti della teoria geometrica, e si dimostrano proprietà di uno spazio mediante considerazioni condotte sull’altro. Ora la riflessione sulla “proprietà di uno spazio mediante considerazioni condotte sull’altro” è inscrivibile nella teoria 11 dell'oggettivazione che Radford sviluppa nell'ambito di un approccio
Titolo originale Obratnaja perspektiva, in Павел Флоренский. Сочинения в четырёх томах. Том 3 (1) (Философское наследие. Т. 128),М.: Мысль. 1999 (Opere in quattro volumi, Mosca 1999, vol. III, pp. 46-103). Tradotto in italiano, La 10
prospettiva rovesciata e altri scritti (a cura di N. N. Misler), Roma, 1990. 11L.RADFORD, Signs and Meanings in Students' Emergent Algebraic Thinking: A Semiotic Analysis, in “Educational Studies in Mathematics” 42 (2000), pp. 237-268 ; IDEM, On the Epistemological Limits of Language. Mathematical Knowledge and Social Practice in the Renaissance, in “Educational Studies in Mathematics” 52.2 (2003), pp.
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semiotico che consente di assumere un punto di vista pragmatico nei confronti degli oggetti e dei significati matematici. In effetti l'approccio semiotico culturale di Radford deriva dalla scuola storico-culturale di Vygotsky, di Ilyenkov e Leont'ev che dedicano speciale attenzione alla attività cognitiva umana, alla coscienza individuale ed al ruolo essenziale svolto dagli elementi culturali. In questo approccio agli oggetti matematici, il concetto di `segno' svolge un ruolo essenziale con esplicite caratteristiche cognitive e sociali, come nota Luis Radford: We take signs here not as mere accessories of the mind, but as concrete components of `mentation'….instead of seeing signs as the reflecting mirrors of internal cognitive processes, we consider them as tools……of the mind to accomplish actions as required by the contextual activities in which the individuals engage…….the signs with which the individual acts and in chic the individual thinks belong to cultural symbolic systems which transcend the individual …….Signs hence have a double life. On the one hand, they function as tools allowing the individuals to engage in cognitive praxis. On the other hand, they are part of those systems transcending the individual and through which a social reality is objectified12.
123-150, ; IDEM, On Culture and Mind. A post-Vygotskian Semiotic Perspective, with an Example from Greek Mathematical Thought, in ANDERSON M. ET AL. (a cura di ), Educational Perspectives on Mathematics as Semiosis: From Thinking to Interpreting to Knowing, Ottawa, 2003, pp. 49-79; IDEM, Gestures, Speech, and the Sprouting of Signs: A Semiotic-Cultural Approach to Students' Types of Generalization, in “Math. Thinking and Learning” 5.1 (2003), pp. 37-70, ; IDEM, Body, Tool, and Symbol: Semiotic Reflections on Cognition, in E. SIMMT & B. DAVIS ( a cura di), Proceedings of the 2004 Annual Meeting of the Canadian Mathematics Education Study Group, Burnaby 2005, pp. 111-117; IDEM, La genèralisation mathématique come processus sémiotique, in G. ARRIGO (a cura di), Atti del Convegno di didattica della matematica, Alta Scuola Pedagogica, Locarno-Suisse, 2004, pp. 11-27, ; IDEM, The ethics of being and knowing: Towards a cultural theory of learning, pp. 215-234. L. RADFORD, Signs and Meanings in Students' Emergent Algebraic Thinking: A Semiotic Analysis, cit. pp. 240-241.
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Il tema centrale dell'analisi di Radford è la nozione di oggettivazione che costituisce, come abbiamo visto anche per Florenskij, uno strumento teorico molto potente per comprendere l'apprendimento e il significato degli oggetti nello spazio non euclideo. Questo orientamento che adotta una posizione non mentalista relativamente al pensiero e alla attività intellettuale 13, proponendo che il pensiero è un tipo di pratica sociale14, una riflessione mediata dalla forma e dalle modalità delle attività degli individui è orientamento di pensiero molto vicino ai performativi della antropologia strutturale anche se il pensiero matematico, rispetto al performativo, mantiene il proprio carattere di idealità, come fosse un'impronta impressa sulla sostanza della natura dalla attività della vita sociale umana, una forma del funzionamento della cosa fisica nel processo di questa attività.
IDEM, The ethics of being and knowing: Towards a cultural theory of learning, pp. 218 ss. 14 M. WARTOFSKY, Models, Representation and the Scientific Understanding, Dordrecht 1979. 13
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COROLLARIO
PER
LO
SCHEMA
OPERATORIO
DELL’ANTROPOLOGIA
STRUTTURALE
La prospettiva pragmatica invocata dall'approccio Semiotico Culturale di Radford permette uno sviluppo della tesi che le strutture sono generate sul piano socio-culturale nel corso della attività degli individui. Più precisamente, le strutture sono schemi prefissati di attività riflessiva, incapsulata nel sempre mutevole mondo della pratica sociale mediata dai performativi15. Questo è un punto cruciale nella discussione della relazione tra significato e rappresentazione semiotica delle strutture bioantropologiche, poiché non possiamo confinare il problema del significato alla relazione tra i segni di un sistema semiotico e la coordinazione di differenti rappresentazioni semiotiche, che si riferiscono ad un qualche comune oggetto a-priori. Il rischio di questo approccio potrebbe nascere da una considerazione sulla «realtà oggettiva» come vista e riprodotta dall’esterno, in posizione indifferente rispetto all’oggetto osservato. In tal senso l'esistenza ideale, storica e culturale, che attribuiremmo agli oggetti del pensiero derivandoli dalla attività nel senso consentirebbe di definire una forma di riferimento all'oggetto di pensiero che non possiamo identificare con la rigida designazione che si ricava dalla relazione oggetto-segno, o con qualche forma di costruzione e ricostruzione della conoscenza. Ovvero dipenderebbe dalla profondità e dalla finezza della attività riflessiva e dai processi costitutivi di significato.
15 L.RADFORD, The ethics of being and knowing: Towards a cultural theory of learning, p. 222.
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SINTESI PRIMA: ELABORAZIONE DELLA TESI SULLE MISCONCEZIONI NELLO
SCHEMA OPERATORIO DELL’ ANTROPOLOGIA STRUTTURALE
La situazione cognitiva ed epistemologica è molto differente se prendiamo in considerazione l'apprendimento nei confronti di ciò che la struttura costruisce che contiene sempre informazione circa il mondo, ma questa informazione è subordinata all'ordine umano che supporta16. Possiamo ipotizzare che man mano che il cervello divenne sempre più adatto al linguaggio, il linguaggio a sua volta poté diventare sempre più complesso sia nel vocabolario che nella sintassi. La complessità della società non poteva oltrepassare i limiti della cultura simbolica di cui il linguaggio era il sostegno formale, ma l'esistenza di una simile cultura deve aver continuamente spinto la selezione naturale nella direzione dell'adattamento del tipo culturalinguaggio, con gli ordinamenti sociali più complessi ed efficienti che continuamente emarginavano, eliminavano o assorbivano i loro rivali. Ma, è proprio qui che la situazione si fa più interessante perché proprio le strutture bio-antropologiche rivelano una natura collettiva del linguaggio come osserva Terrence Deacon17 che è consapevole della differenza qualitativa tra linguaggio umano e sistemi animali, una differenza che egli esprime nei termini di Charles S. Peirce come quella tra segni indexical e i segni simbolici del linguaggio, che sono, come li ha chiamati De Saussure18, "arbitrari", perché il loro riferirsi ad un oggetto mondano è mediato tramite un sistema di segni in cui i segni sono tutti interrelati tra loro. Pertanto la verbalità è inseparabile dalla figuralità anzi il mondo delle forme è da considerare una struttura profonda di organizzazione temporale, un sistema logica di tale sottigliezza da delineare il soggetto e l’oggetto, l’artefice e l’artefatto, una grammatica universale organizzante il mondo sintattico. Se come sottolineano i linguisti, le grammatiche appaiono, per
PH.LIEBERMAN, Eve Spoke: Human Language and Human Evolution, New YorkLondon 1998, pp. 14-25; Cfr. ancora IDEM, Human Language and Our Reptilian Brain, (Harvard University Press), Cambridge-Massachusetts-London 2000, pp. 2694. Cfr. inoltre sulla stessa tematica M.A.ARBIB, Co-Evolution of Human Consciousness and Language, in “Annales of the New York Academy of Sciences” 929 (2001),pp.195-220; J.AITCHISON, The Seeds of Speech: Language Origin and Evolution, (Cambridge University Press), Cambridge 2000; J.R.HURFORD- M. STUDDERT- C.K.KENNEDY, Approaches to the evolution of language, (Cambridge University Press), Cambridge 1998. 17 T.W. DEACON, The Symbolic Species: The Co-evolution of Language and the Brain, New York, 1997 ; (trad.it. La specie simbolica: coevoluzione di linguaggio e cervello, Edizioni Fioriti, Roma 2001), p.14. 18 Ibidem,p. 20. 16
13 struttura, illogiche ed eccentriche, può darsi sia perché le compariamo a schemi non appropriati e ne giudichiamo la struttura secondo criteri funzionali meno importanti di quanto crediamo. Le strutture linguistiche, invece di approssimarsi a un ideale immaginario di potere e di efficienza comunicativa, o seguire formule derivate da un presunto insieme di principi mentali innati, sarebbero il riflesso delle pressioni selettive che ne hanno plasmato la riproduzione. Per certi versi è utile immaginare la lingua come una forma di vita indipendente che colonizza e parassita il cervello umano usandolo per 19 riprodursi .
Pertanto la struttura stessa è un atto intenzionale in cui il soggetto incontra e prende coscienza (si pone di fronte alla propria consapevolezza) dell'oggetto di ricerca, attraverso una attività mediata che fornisce senso alla struttura appresa20.
19 20
Ibidem, 91-92 Body, Tool, and Symbol: Semiotic Reflections on Cognition, p. 111.
L.RADFORD,
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SVILUPPO DELLA TESI
Tuttavia ciascuna rappresentazione è imbevuta di pratiche sociali e personali che obbligano ad allargare la sfera del significato al di là della struttura simbolica. Nella traiettoria semiotico culturale che viene delineata da questo percorso teorico, viene riconosciuta una precisa dualità tra la struttura dei segni e l'attività sociale, che non consente di assegnare una priorità alla pratica rispetto alla semiotica, e viceversa. E si comprende il gioco notevole che viene svolto dalle difficoltà di apprendimento ovvero dalle misconcezioni delineate da Florenskij. Con le misconcezioni siamo in presenza di una domanda, in bioantropologia sul problema del legame o binding problem che non può non coinvolgere una teoria di fondo sul legame tra le variazioni globali dei modelli di crescita del cervello e le variazioni di organizzazione funzionale. Le misconcezioni rivelano proprio il problema fondamentale dello spiazzamento21: Nel mistero del cervello, lo spiazzamento- afferma Terrence Deacon- è il legame cruciale tra variazioni globali dei modelli di crescita del cervello e variazioni di organizzazione funzionale. Il nostro cervello relativamente grande, e la sua crescita comparativamente più diluita nel tempo e sfasata, indicano che lo spiazzamento potrebbe aver svolto un ruolo cruciale nella ristrutturazione al suo interno. Il risultato finale sarebbero state relazioni funzionali alquanto differenti da quelle degli altri primati e mammiferi. Importanti variazioni di proporzione tra il grosso cervello umano e le strutture del sistema nervoso periferico di un corpo, le cui dimensioni sono rimaste pressoché invariate, avrebbero prodotto nel cervello effetti di spiazzamento a cascata. Variazioni importanti delle proporzioni iniziali nelle principali suddivisioni del cervello avrebbero inoltre sommato effetti peculiari di spiazzamento interno, nessuno dei quali ha chiari precedenti in altri 22 primati .
È possibile individuare in questa teoria l’eziologia del processo cognitivo per il superamento delle difficoltà di apprendimento? E
Deacon così definisce lo spiazzamento: “ In termini generali, la crescita relativa di specifiche popolazioni cellulari si tradurrà nel reclutamento più efficace delle connessioni afferenti ed efferenti nella competizione per assoni e sinapsi. Allora, una variazione genetica che aumenti o diminuisca la grandezza relativa delle popolazioni in competizione da cui originano gli assoni rimpiazzerà o devierà le connessioni da quella più grande. Differenze nella grandezza relativa di strutture bersaglio alternative avranno un effetto complementare. L’ingrossamento relativo di un bersaglio, piuttosto che di un altro, attirerà a sé le connessioni allontanandole dal bersaglio più piccolo. L’eliminazione competitive è infatti più intense a carico della struttura più piccola che di quella più grande” (T. DEACON , La specie simbolica, pp. 191-192). 22 Ibidem,p.196 21
15
inoltre le misconcezioni sono un processo di crescita o di involuzione? Stranamente una delle idee neurobiologiche più importanti è che un ruolo chiave per determinare il volume, l’organizzazione e l’attività delle regioni celebrali è svolto da processi di non crescita; la sovrapproduzione di forme varianti casuali seguita dal supporto selettivo di alcune e dall’eliminazione di quasi tutte le residue23. Un esempio tipico a riguardo è il legame evoluzionistico tra dominanza manuale e lateralizzazione del linguaggio: La correlazione tra asimmetria del linguaggio e dominanza manualeafferma Deacon- indica senza dubbio che, nell’evoluzione, i reciprochi vantaggi adattativi indipendenti si sarebbero influenzati. È un riflesso della iper-determinazione evoluzionistica”: dell’evidente convergenza di molti vantaggi adattativi indipendenti che hanno contribuito allo stesso cambiamento strutturale. Poiché l’evoluzione viene fatta progredire da modelli di inclinazioni,allora, nel tempo, inclinazioni correlate di origine diversa si rinforzeranno a vicenda. Laddove la specializzazione dell’emisfero sinistro per una più precisa abilità manuale oppure per un’abilità verbale più articolata avesse favorito la selezione di inclinazioni simili nei substrati neurali, ognuna avrebbe accresciuto la possibilità di co-localizzazione dell’altra funzione nello stesso emisfero. La lateralizzazione dell’una e dell’altra poteva essere da principio lieve, ma la loro simultanea coevoluzione avrebbe enormemente amplificato l’effetto risultante e il legame. Una di queste 24 facoltà non è detto sia il prerequisito evoluzionistico dell’altra .
La struttura è, pertanto, il risultato di un processo autoorganizzatore la cui unità è costituita dall'unione geno-fenomenica. L'inseparabilità di genotipo e fenotipo va concepita non soltanto nell'interpretazione e nell'interdipendenza, ma anche nella totalità dinamica di un processo ricorsivo in cui i prodotti organizzati sono necessari alla ricostruzione e alle operazioni di questa stessa organizzazione e quindi organizzanti. In questo processo l'organizzato (fenotipo) contribuisce necessariamente all'organizzazione del suo organizzatore (genotipo). L'insieme costituisce la Auto-Geno-FenoOrganizzazione, nella quale il generato è necessario alla rigenerazione del generante25. Non si dovrà quindi concepire uno schema lineare del tipo Genotipo-Fenotipo, ma uno schema in cui il fenotipo nel corso del tempo e delle generazioni retroagisca sul genotipo. Per Burkert, inoltre, è necessario per lo studio dei codici bioantropologici, ampliare tale schema includendovi il concetto di ambiente e costituendo una relazione Genotipo-Fenotipo-Ambiente, in
p.179. Ibidem, p.179 25 W. BURKERT, La creazione del sacro. Orme biologiche nell’esperienza religiosa, Milano 2003 (ed. orig. Creation of the Sacred. Tracks of Biology in Early Religions, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, London 1996), p.45 23Ibidem, 24
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cui ciascuno dei termini partecipi alla rigenerazione degli altri26. Il codice quindi è interpretato come il prodotto di questa doppia dipendenza del genotipo nei confronti del fenotipo e del fenotipo nei confronti del genotipo. La dialettica di questo doppio sviluppo ne comporta un terzo, quello della società/ambiente27. Il modello coevolutivo rovescia da un punto di vista concettuale il rapporto innato/acquisito, dal momento che lo sviluppo di una disposizione ad acquisire è inseparabile dallo sviluppo di una organizzazione cerebrale innata. Geni e cultura per i modelli coevolutivi sono indissolubilmente connessi, perciò questo passaggio ci permette di sfuggire alle mutilazioni e agli equivoci che derivano dal ritenerli disgiunti. Per Burkert, lo schema operativo da proporre è il seguente28: 1) i geni impongono le leggi di sviluppo (leggi epigenetiche) mediante le quali viene costruita la mente; 2) la mente cresce assorbendo parte della cultura già esistente; 3) la cultura è ricreata di nuovo ad ogni generazione mediante la somma delle innovazioni e delle decisioni di tutti i membri della società; 4) alcuni individui possiedono leggi epigenetiche che li rendono in grado di sopravvivere e di riprodursi meglio di altri individui nella cultura contemporanea; 5) le leggi epigenetiche più competitive si diffondono nella popolazione, insieme ai geni che le codificano. In altre parole la popolazione si evolve geneticamente.
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Ibidem, pp. 46-52. Ibidem, p. 48. Necessariamente dobbiamo spiegare in sintesi questi due termini biologici. L'autonomia del vivente comporta due livelli inseparabili ma distinguibili: il livello fenotipico, che consiste nell'esistenza individuale inserita in un ambiente e il livello genotipico, che esprime un processo trans-individuale generante individui. Questi due livelli sono due livelli di organizzazione e ciò implica che l'autonomia del vivente sia un'autonomia di organizzazione a due livelli. Il genotipo è il patrimonio ereditario inserito nei geni che un individuo riceve dai suoi genitori, mentre il fenotipo corrisponde all'espressione dei tratti ereditari di un individuo, in funzione delle condizioni e delle circostanze della sua ontogenesi in un ambiente dato. Il fenotipo è, quindi, un'entità complessa, risultato delle interazioni tra eredità ed ambiente e perciò non può essere considerato una rappresentazione esatta del genotipo. Fanno parte del genotipo la memoria informazionale inserita nel DNA, il mantenimento delle invarianze ereditarie, la duplicazione riproduttrice, il dispositivo che genera le decisioni e le istruzioni per il macchinario cellulare. Sul versante fenotipico si hanno le attività con l'ambiente, gli scambi, il metabolismo, l'omeostasi, la reazione, il comportamento. Genotipo e fenotipo, non rappresentano due entità con esistenza autonoma e definita, ma vengono assunti come due poli concettuali, i quali presiedono alle attività del vivente. 28 Ibidem, pp. 36-42. 27
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La cultura è creata e modellata da processi biologici, mentre, contemporaneamente, i processi biologici sono alterati in risposta al mutamento culturale29. La teoria deaconiana dell’apprendimento mette in evidenza l'aspetto sensoriale, spaziale e temporale che ridefinita nelle coordinate dell’antropologia strutturale sono giocate sui livelli di attività di strutturazione come significati incorporati embodied, contrapposta a disembodied8, che definisce l'attività intellettuale come significato non incorporato30. Il termine embodied viene qui usato con il senso strettamente antropologico strutturale ovvero esperienza intrinsecamente sociale e culturale in cui l’attività cognitiva acquisisce la sua identità nell'ambito della pratica riflessiva sociale. Il versante è molto vicino alla comprensione di Luis Radford: attraverso i processi di oggettivazione l'individuo trova `il proprio sé' come controparte dell'oggettivazione che viene chiamata `soggettivizzazione'.
Il problema è dato dal passaggio dalla dimensione embodied alla dimensione disembodied dell' esperienza: da un lato, infatti, la matematica è per definizione disembodied, poiché i suoi oggetti culturali non hanno natura concreta e sono accessibili solo attraverso una pratica mediata. Dall'altro lato, è come un gioco linguistico, `una forma di vita' nel senso di Wittgenstein31 (1953): richiede una correlazione di attività embodied e disembodie, di dimensioni sensibili e intellettuali. Ulteriormente, Radford sintetizza la complessità
29
Ibidem, p. 41.
30 L.RADFORD, Signs and Meanings in Students' Emergent Algebraic Thinking: A Semiotic Analysis, pp. 237-268. 31 L. WITTGENSTEIN, Philosophical Investigations, trad. inglese a cura di G.E.M. ANSCOMBE-R. RHEES, Oxford 1953 (trad. it. Ricerche filosofiche, a cura di R. PIOVESAN E M. TRINCHERO, Torino 1967).
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dell'apprendimento come processo di oggettivazione di un oggetto culturale cui si accede tramite mezzi semiotici di oggettivazione connotati da modi sociali e culturali di significazione; tanto più gli invarianti degli schemi operatori saranno capaci di includere nuove situazioni tanto maggiore sarà il livello di generalizzazione raggiunto. Radford riconosce tre livelli di generalizzazione32: • Una generalizzazione fattuale • Una generalizzazione contestuale • Una generalizzazione simbolica La forma di generalizzazione fattuale è vincolata agli schemi operazionali che si attivano nell'esperienza spazio-temporale dell‘analista; in questo tipo di esperienza l'attività riflessiva è mediata dai gesti, dall'uso del ritmo, dai movimenti del corpo, dall'attività cinestetica, dall'uso deittico del linguaggio naturale e dalle abilità che si sviluppano lavorando con oggetti specifici. Questo livello è quindi caratterizzato da schemi operatori strettamente legati all'esperienza embodied dell‘analista. Lo schema operatorio può essere molto solido ma il suo livello di invarianza è molto basso e non permette di accogliere situazioni nuove e più complesse. Gli invarianti sono bassi. La forma di generalizzazione contestuale è legata al riconoscimento degli invarianti che caratterizzano gli schemi operatori, conservando la memoria di un'esperienza contestuale spaziotemporale, senza fare riferimento ad una particolare rappresentazione di un oggetto. Questo livello è quindi caratterizzato da invarianti che consentono di includere più situazioni e strutture complesse, anche se la generalizzazione rimane legata all'attività riflessiva di una situazione specifica, significativa per l‘analista. La memoria di questo contesto significativo è rintracciabile nell'uso di mezzi semiotici di tipo deittico e generativo. A questo livello di generalizzazione l'analista non ha bisogno del contesto specifico in cui lo schema operatorio ( attraverso un'attività riflessiva mediata) si è sviluppato, ma riconosce lo schema fisso, l'invariante indipendente da uno specifico schema che caratterizza il concetto di analisi nella sua generalità. L'invariante dello schema viene oggettivato soprattutto con l'introduzione dei mediatori simbolici tipici della logica-analitica, che comportano una rottura cognitiva dal livello embodied a quello disembodied 33-
32L.
RADFORD,
Body, Tool, and Symbol: Semiotic Reflections on Cognition, pp. 111-117.
33Schema in, Semiotics in Mathematics Education.Epistemology, History, Classroom, and Culture, a cura di LUIS RADFORD, GERT SCHUBRING, AND FALK SEEGER, RotterdamTapiei, 2008, pp. 165-166.
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In tal senso è utile sottolineare la validità della tesi di Deacon per l’assetto metodologico dello studio delle strutture in antropologie culturale riferendosi alla nozione di schema operatorio e dei suoi invarianti proposto da Vergnaud34. Gli schemi cui si fa riferimento sono schemi di azione nel senso definito da Piaget, per il quale uno schema è la struttura invariante dell'azione35. Esso permane nel caso delle ripetizioni, si consolida con l'esercizio e si applica a situazioni che si riferiscono alla stessa struttura. Vergnaud rielabora l'idea piagetiana e definisce uno schema operatorio un'organizzazione invariante del comportamento per una classe di situazioni date. Non si tratta, dunque, di un'azione, ma di un modello di azione operatorio capace di sostenere e di guidare ogni altra azione particolare. Costruire competenza implica allora, in questo caso, un progressivo organizzarsi e stabilizzarsi di schemi operatori. E a questo livello che la competenza si lega alle conoscenze (il sapere) e alle abilità (il saper fare). Uno schema operatorio , infatti, è un'organizzazione che emerge sì dall'esperienza, ma questo non significa che non gli siano necessari elementi conoscitivi, anche di tipo simbolico. Al contrario, esso si costruisce grazie al ripetersi delle azioni in diverse situazioni (che presuppongono conoscenze diverse) e alla riflessione sulle loro caratteristiche comuni. Se le situazioni sono simili, sarà più facile il riconoscimento e più facile l'adattamento dello schema; se invece sono diverse, esigeranno una più profonda trasformazione dello schema. In ogni caso, ciò che permette di collegare tra loro le varie esperienze pratiche e una sorta di riflessione critica che è tanto più efficace quanto più sostenuta da categorie e quadri concettuali adeguati. Vergnaud introduce inoltre l'idea di invarianti operatori , che sono le conoscenze contenute negli schemi, le proprietà su cui si basano gli schemi messe in atto in situazioni simili. Come tali, gli invarianti operatori possono essere posseduti dal soggetto a diversi livelli di esplicitazione e di consapevolezza.
34 G. VERGNAUD, La théorie des champs conceptuels, in “Recherches en Didactique des Mathématiques” 19 (1990), pp. 133-169. 35J.
PIAGET-R. GARCIA, Psychogenèse et histoire des sciences, Paris 1983.
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SINTESI FINALE
Oltre a offrire una sintesi matura del cammino percorso nell’ambito prettamente matematico, le ipotesi di lavoro di Florenskij e Radford rivelano come il confronto con la geometria, debba risultare decisivo per la stessa comprensione del profondissimo senso analitico. Tuttavia, benché una filosofia analitica, non possa che muovere da una analitica della cosalità, occorre aver presente l’astrazione metodica che essa comporta, là dove nell’assumere quale filo conduttore trascendentale la cosa come mera res extensa prescinde dalla considerazione delle proprietà essenziali che contraddistinguono la cosa in quanto cosa materiale, ossia in quanto unità sostanziale, e come tale unità di relazioni causali, e, secondo la loro possibilità, di relazioni causali infinitamente complesse. Astrazione legittima, dal momento che l’unità di una mera res extensa è pensabile senza l’unità che regola l‘unità della res materialis, mentre non vale l’inverso; ma che nondimeno deve essere resa esplicita, giacché solo così risulta chiaro in quali prospettive la vicenda della misconcezione si presenta e si costituisce come unità delle analisi, dei descrittivi modi di presentazione di qualcosa. Ogni manifestazione di cosa include necessariamente in sé uno strato che diciamo schema di complessificazione. A questo livello si ha bisogno del contesto specifico in cui lo schema operatorio ( attraverso un'attività riflessiva mediata) si è sviluppato ed ha riconosciuto lo schema fisso, l'invariante indipendente da uno specifico schema che caratterizza il concetto di analisi nella sua generalità. L'invariante dello schema di complessificazione viene oggettivato soprattutto con l'introduzione dei mediatori simbolici tipici della matematica, che comportano una rottura cognitiva dal livello embodied a quello disembodied. Sia Florenskij che Radford hanno voluto mettere in evidenza come la scelta dei segni non sia neutra o indipendente. Ma prestare attenzione ai mezzi semiotici di oggettivazione da proporre, alle misconcezioni che potrebbero generare, ai diversi livelli concettuali dei mezzi proposti implicherebbe uno schema alternativo a quello logico: «Tutte le idee scientifiche che mi stanno a cuore- asseriva Florenskij in una lettera scritta dal lager nel 1934- sono sempre state suscitate in me dalla percezione del mistero»36.
36 P.A.FLORENSKIJ, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo (a cura di N. VALENTINI E L. ˘ZÁK), Milano 2000, p. 261
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La percezione del mistero di Florenskij così associabile allo schema di complessificazione ci avvicina ai fenomeni che non sono definiti, rendendoci ascoltatori più delle eccezioni che delle regole, come se fuoriuscendo dal recinto dell’analitico puro manifestassero una potenza atavica ma sempre nuova, un significato nascosto che può essere svelato solo da una personale analitica e non da una accettazione passiva, da una attesa che prenda forma dalle passioni, incomprensioni, gioie, contraddizioni, dolori di un mondo e di ogni mondo possibile trafitto da un raggio sottilissimo che è o una luce invisibile o un suono impercettibile e che reca “non ancora un’illuminazione né una rinascita, ma solo la notizia di una possibile luce»37.
37 IDEM, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, (a cura di N. VALENTINI Milano 1993, p. 267.
E
L. ZÁK),
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Davide Polovineo