Il Castello Di Francesca Angelinelli
Copyright: dbooks.it Via Piero della Francesca 42 - 20154 Milano www.dbooks.it - info@dbooks.it Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma di convenzioni internazionali ISBN: 978-88-97125-26-6 Prima edizione: Maggio 2012 Progetto grafico e copertina: Carlo Broggi Impaginazione: Carlo Broggi Autore del racconto: Francesca Angelinelli Editing: Andrea Fattori (Gruppo Orange s.n.c.)
Sommario HI KAZE KI KINZOKU MIZU YUKI NO KUMA MIYUKI-HIME KAGEMARU MONSAKU
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HI
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Arrivai nella valle che era il tramonto. Un tramonto innaturale, con il cielo incendiato di rosso e d’arancio, ma velato da una nebbia fitta. Quasi mi sembrava di avanzare in un sogno. La foschia pareva fumo denso d’incendi non del tutto assopiti e mi impediva di vedere più in là di qualche passo avanti a me. Così mi fermai. Sapevo che il castello di Yuki no Kuma non poteva essere molto distante. La sua sagoma imponente avrebbe dovuto dominare la vallata e stagliarsi nitida in quella luce ambrata. Come un faro, la torre avrebbe dovuto indicare ai viaggiatori che percorrevano la Nakasen-do la presenza del villaggio aggrappato ai fianchi della collina, porto sicuro cresciuto ai piedi della fortezza. Invece una desolazione infinita si apriva tutto attorno a me. Le colline che circondavano la valle erano solo i tratti abbozzati di un pittore distratto sulla tela dell’orizzonte. I campi erano asciutti e alte erbe selvagge crescevano al posto del riso che avrebbe dovuto sfamare la regione. Non un suono, se non quello degli steli piegati dal vento, si udiva a coprire il calpestio dei miei passi sulla terra arida della via maestra. L’odore dell’aria umida aveva sentore di cenere e morte. E del castello non sembrava esservi più alcuna traccia. Sapevo che non erano solo i miei sensi, ingannati dalla nebbia, a non distinguerne la forma. In quella valle percepivo le stesse energie oscure che avevo imparato a riconoscere sui campi di battaglia. L’eco di una grande violenza si levava silenzioso. Mi sembrava che ombre si agitassero nella nebbia. Alla capitale non era arrivata notizia di scontri avvenuti presso Yuki no Kuma, eppure il fremito che avvertivo era come l’ultimo anelito di vita di un corpo martoriato da ferite mortali. «È peggio di quel che pensassi» mormorai. Strinsi il bastone da viaggio che portavo con me e feci tintinnare gli anelli metallici sulla sua sommità. Dovevo ritrovare un castello scomparso e scoprire cosa stesse acca1 - Fuoco 2 - Orso di Neve
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dendo nella valle. Per questo l’Imperatore mi aveva inviato nella regione. Già troppe persone erano svanite nell’attraversare quel tratto della Nakasen-do e nulla più si sapeva né della fortezza che avrebbe dovuto esserne il baluardo né dei nobili che ne erano i signori. «Ma prima…» sussurrai, mentre facevo scivolare la mano all’interno della tunica per estrarne un fuda . Mi voltai, rapido. E lo lanciai nella direzione da cui avevo percepito provenire un’energia diversa e più forte. Mi spostai di lato, nel tentativo di scartare, e vidi ciò che cercava di attaccarmi: spiriti dei morti. Corpi scarnificati di guerrieri rompevano con la sola forza delle loro ossa il terreno secco e incolto. Alcuni, privi di gambe, strisciavano per avvicinarsi a me, mentre altri brandivano ancora armi arrugginite. Non un esercito, ma di sicuro un’intera guarnigione di morti ritornati mi circondava. Sollevai il bastone e parai un fendente. Il cadavere che mi aveva attaccato per primo era poco più di uno scheletro in armatura, ma la sua forza era quella di un uomo adulto, di un guerriero ben addestrato, ed io faticai ad allontanarlo da me. Ma, rapido, fui costretto a ruotare su me stesso per colpire un secondo avversario che mi aggrediva. Il mio bastone spaccò le ossa del busto, separandolo dalle gambe, ma per un istante, prima di divenire polvere, lo spettro allungò le braccia verso di me nel disperato tentativo di afferrarmi. Di nuovo cercai di sfuggire e lanciai i miei fuda. Le pergamene si incendiarono sulle fronti di coloro che avevo colpito e li sentì gridare e crollare come ossari andati in frantumi. Ma un corpo senza gambe era riuscito a raggiungermi e mi afferrò per una caviglia, mentre un secondo spettro calava su di me la lama di una spada sdentata. Colpii allora la mano che mi stringeva con il bastone, senza alcun effetto, e poi lo sollevai per proteggermi dall’attacco che vi veniva portato. Dalle ombre intanto altri spettri si avvicinavano a me. Li sentivo 3 - Talismani realizzati scrivendo il nome di una divinità o il testo di un sutra o di un mantra su un pezzo di carta. Sono pergamene magiche, destinate alla lotta contro spiriti malvagi.
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gemere, ringhiare, avanzare con passi metallici, sfilare da foderi mangiati dai vermi armi ormai senza onore. Ero circondato, preso, in difficoltà. Con un calcio cercai di colpire il mio aggressore. Ancora colpii la mano che mi teneva la caviglia. Sentii le ossa del polso del nemico andare in frantumi e con un balzo scattai indietro per sottrarmi al rivale che avevo di fronte. Alle mie spalle altri spettri si avvicinavano, ma dovetti fermarmi: sollevai di fronte alle labbra l’indice e il medio, chiusi gli occhi e invocai un incantesimo. L’energia si concentrò sulla punta delle mie dita e, quando la sentii al culmine, guardai gli scheletri che avevo di fronte e la lanciai verso di loro. Un’onda d’urto li investì in pieno, mentre facevo ruotare il mio bastone poco al di sopra della testa per colpire altri nemici che si avvicinavano. «Karu» gridai, mentre mi arrendevo all’idea che solo non avrei potuto tenere testa a tutti quegli spettri, neppure con il sacro bastone, i fuda e qualche incantesimo. Sollevai quindi lo sguardo e ascoltai il gracchiare di un corvo sopra la mia testa. Lo vidi uscire dalla bruma e planare velocissimo sul capo di uno spettro non del tutto decomposto. Karu, il mio corvo, il mio fedele compagno, strappò dalle orbite ciò che restava dell’occhio dell’uomo e afferrò il teschio con gli artigli. Con una battito d’ali più deciso si sollevò e staccò il teschio dal collo dello scheletro. Lo portò in alto, per poi farlo cadere al suolo, dove andò in frantumi. Solo in quel momento il corpo cui era appartenuto smise di muoversi e rovinò sui suoi stessi resti. Karu gracchiò soddisfatto e, mentre io mi difendevo dall’ennesimo attacco, lui già planava su un secondo scheletro e distruggeva con il becco forte le ossa ingrigite di un teschio del tutto scarnito. «Dobbiamo andarcene, Karu» gridai, mentre spaccavo con il mio bastone l’ennesimo cranio. «Dobbiamo trovare il castello. Questi cadaveri sono mossi da una maledizione». Sentivo il tanfo della forza maligna come fosse stato l’odore della putrefazione di quegli stessi corpi. Era stato ben celato, ma una volta iniziata la lotta si era diffuso 6
come fumo velenoso attorno a me. Faticavo tuttavia a rintracciarne l’origine. Iniziavo ad essere stanco, le mie energie spirituali andavano scemando, man mano che il mio corpo le richiedeva per continuare a sopportare lo sforzo dello scontro. Non sarei durato ancora a lungo. Non ero un guerriero. Non lo ero mai stato. E, se avessi dato fondo alle mie energie, non avrei potuto trovare Yuki no Kuma e affrontare ciò che, sentivo, si celava dietro quei cadaveri risvegliati. Qualunque cosa fosse. «Svelto» ordinai a Karu, mentre, immobile tre scheletri che si avvicinavano, iniziavo a concentrarmi per l’incantesimo. Giunsi le mani sul bastone, di fronte a me, come avrei fatto se avessi avuto uno stecco d’incenso. Chiusi gli occhi e cominciai a invocare i nomi dei santi, degli spiriti benevoli e infine degli dei tutti, in una litania infinita di suoni bassi e prolungati. Presto sentii che la mia invocazione riceveva risposta. Le mani iniziarono ad essere calde sul metallo gelido del mio bastone. Attorno a me percepivo ormai solo come un’eco lontana i rumori della lotta: Karu stava tenendo i nostri avversari lontani da me, ma il suo gracchiare era poco più che il suono della risacca alle mie orecchie. L’energia aveva preso ormai del tutto il sopravvento. Mi avvolgeva, mi penetrava, mi attraversava. Io, Kagemaru Monsaku, non ero altro che un tramite, la porta attraverso cui le energie ultraterrene si sarebbero scatenate sulla terra. «Hi» gridai l’ultima invocazione; l’invocazione del fuoco. E percepii il battito d’ali di Karu, mentre si innalzava rapido sopra i nostri nemici. Fuggiva. Mentre, tutto attorno a me, un’esplosione di fiamme avvolgeva gli spiriti ritornati e completava l’opera della terra e dei vermi. Io non sentivo il calore, non avvertivo la forza distruttrice dello spirito che avevo invocato. Restai immobile tra le fiamme che mi accarezzavano lasciandomi incolume, laddove 7
percepivo che, invece, logoravano le carni marcescenti e sbriciolavano spade e armature corrotte. Alle mie orecchie giungeva ormai nitido il crepitio delle fiamme sui cadaveri e le loro urla, se non di dolore, di disperazione e sofferenza. Il fuoco purificatore stava mostrando loro la via che avrebbero preso una volta che si fossero dissolti in cenere nel vento ed io sapevo che era uno spettacolo orribile quello con cui il fuoco stava devastando quelle anime. Le Porte dei Cieli si erano a questo punto chiuse per quei soldati nel momento in cui le loro anime non erano state abbastanza salde da resistere alla maledizione, per cui Hi, spirito del fuoco, li avrebbe condotti nell’Abisso, ormai anime dannate. «Che gli dei degli Inferi abbiano pietà di voi» mi trovai a mormorare, mentre sentivo lo spirito combattivo del fuoco ritrarsi e scemare sotto una pioggia grigia di cenere. Sospirai e dovetti appoggiarmi del tutto al bastone per non crollare a terra. Esausto, sapevo che Hi non si era fatto scrupoli ad attingere più energie del dovuto dal mio stesso corpo. Le gambe tremavano e avevo il visto coperto di fuliggine e sudore. Colpito dal mio stesso attacco, fui costretto ad inginocchiarmi a terra e appoggiai una mano al petto per saggiare battito e respiro. «Dannato spirito del fuoco. Se non fosse così efficace mi guarderei bene dall’invocarlo». Sputai per liberare la bocca dal sapore amaro di quella bestemmia e della mia stessa impotenza. Avevo bisogno che le forze ultraterrene fossero con me in quella lotta. Senza di esse non sarei uscito vivo dallo scontro con quegli esseri ritornati, lo sapevo molto bene. Ed erano stati solo il primo ostacolo. Mi alzai. Karu venne a posarsi sulla mia spalla e lo rassicurai con una carezza. Attorno a me ora c’era solo terra bruciata. La nebbia e il fumo si erano confusi in un banco che offuscava di più la vista e del castello di Yuki no Kuma non c’era ancora nessuna traccia. 8