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Domenica 27 marzo 2016 info@quotidianodelsud.it
Il seicentenario Le storia delle immaginette devote che ritraggono il santo di Paola
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San Francesco è vestito con un abito scuro ai piedi ha gli zoccoli di legno, ha la barba bianca e lunga ed un naso aquilino
CON I SANTINI
DI FRANCESCO di DEMETRIO GUZZARDI
L
e immaginette devote – quelle che conosciamo noi – nascono da una provocazione di un grande predicatore: San Bernardino da Siena (1380-1444), che invitava a «disertare i luoghi della perdizione», come i tavoli dove si giocava ai dadi e a carte e ci si indebitava. Ad un fabbricante di carte da gioco che lo interruppe durante un suo sermone, perché nessuno più ne comprava e la sua stamperia era fallita, il santo senese prontamente rispose: «E allora stampa santi». Nacque così una nuova linea editoriale: gli stampatori di santini. Da allora si sviluppò una vera industria: i più famosi furono gli editori fiamminghi di Anversa, che dalla fine del XVI fino agli inizi del XIX secolo divenne la capitale della produzione delle immaginette. Ebbero grande successo anche i santini realizzati dai Remondini di Bassano del Grappa, che li smistavano in tutta Europa, attraverso una formidabile rete di venditori ambulanti conosciuti con il nome di “tesini”. Agli inizi dell’Ottocento la grande produzione si spostò a Parigi, nei pressi della Chiesa di San Sulpizio, con i santini merlettati, quasi una risposta cattolica alle idee dell’Illuminismo francese. In Italia i più importanti centri furono Bologna con Natale Salvardi, Modena con la Società San Giuseppe e poi, una tipografia meneghina, quella di Achille Bertarelli, divenne leader nella stampa dei santini in cromolitografia, seguita subito dopo (1896) dall’azienda grafica dei Padri Carmelitani milanesi, che prese il nome di Santa Lega Eucaristica, fondata da padre Gerardo Beccaro. A Napoli, nei pressi del Duomo, numerose furono le botteghe di venditori di immaginette, soprannominati “stampasanti”. Bastavano pochi spiccioli per comprare la figura del proprio santo protettore, da sistemare vicino al letto di casa, ma anche nelle stalle degli animali. Agli inizi del Novecento iniziava il grande fenomeno migratorio, chi partiva per il nuovo mondo, una volta giunto oltre Oceano avvertiva il desiderio di avere con sé l’immaginetta del santo patrono o della Madonna venerata nel proprio paese. Cambiò la richiesta agli stampatori, non più santini generici, con richiami simbolici ad una Chiesa tutta tesa alla sola salvezza delle anime, ma santini particolari, anche solo foto delle statue davanti a cui si era sempre pregato; proprio in quel periodo si stava sviluppando l’arte fotografica, nacquero in quel momento i santini locali, stampati in bianco e nero.
Per le copie da mandare all’estero era davvero proibitivo il costo del colore e così le statue della Madonna e dei santi, da sempre conosciuti ed amati, furono fotografate e riprodotte nel modo più economico. In quel tempo, nelle Americhe, i nostri nonni «pregavano in bianco e nero», anticipando inconsapevolmente alcune tematiche del Concilio Vaticano II, su cosa significa l’inculturazione della fede e vivere l’appartenza ecclesiale in una precisa comunità cristiana. Tra i santini più diffusi nelle case dei nostri emigranti, oltre al Cuore di Gesù ed alla Madonna del Carmine, ci fu San Francesco di Paola, «il più santo dei calabresi, il più calabrese dei santi», ma anche quei frati della famiglia minima già dichiarati beati dalla Chiesa Cattolica, in primis San Nicola Saggio da Longobardi. Tra i soggetti più utilizzati nei santini troviamo l’icona di Montalto Uffugo, sicuramente quell’immagine avrà fatto presa nel mondo popolare. Il dipinto è considerato l’archetipo delle immagini del santo e, secondo una tradizione orale, fu realizzato da un pittore che spiò il frate dal buco della serratura, in una stanza del castello del re di Napoli. Non c’è luogo di culto in Calabria dove non si trovi un’immagine di San Francesco di Paola. Il santo è entrato a pieno titolo nella vita del popolo, tutti lo conoscono e ne riconoscono le fattezze, eppure troppo pochi sanno che «l’amore alla maggiore penitenza» e «a chi ama Dio tutto è possibile» sono le vere chiavi di lettura per capire il grande messaggio di San Francesco di Paola. L’Ordine dei Minimi da lui fondato segue con fedeltà il suo carisma, sperimentando che vivere la vita quaresimale è la modalità pedagogica per giungere con pienezza alla gioia della Pasqua. GLI “ATTRIBUTI” DEI SANTINI DI SAN FRANCESCO DI PAOLA: IL BASTONE E IL MARE Nelle immaginette del santo paolano troviamo delle caratteristiche, i cosiddetti attributi dei santi, che sono davvero inconfondibili: San Francesco è vestito con un abito scuro, ai piedi ha gli zoccoli di legno, ha la barba bianca e lunga ed un naso aquilino. La testa è quasi sempre coperta dal cappuccio che, secondo quanto afferma qualche studioso, «rappresenta l’urna della carità», per altri, invece, «la condizione di eremita, alla maniera degli anacoreti bizantini». San Francesco di Paola ha quasi sempre un bastone perché, scrive il padre minimo Giovanni Cozzolino: «Come emerge dai testi del Processo Cosentino, il nostro santo lo iniziò ad usare in età avanzata, per una sem-
Tutto iniziò con Bernardino da Siena
Una carrellata di immagini sacre di San Francesco di Paola
plice caduta, che non gli permetteva di camminare bene. Nei racconti della sua vita, il bastone diventa strumento dei miracoli che compie nel nome del Signore, assumendo vari significati. Il miracolo a Paterno Calabro di tracciare con il bastone il cammino dell’acqua che lo segue, ma poiché i contadini litigano, le ordina di non scorrere fin quando non si saranno riconciliati, per il bene di tutti. Compie la stessa cosa a Corigliano Calabro, anche se il bastone viene sostituito nell’iconografia con una canna, perché nel 1598 salva la città dall’invasione dei turchi, puntellando il portone della Chiesa conventuale con una canna. Qui il bastone assume il significato di liberazione; da allora nelle immagini del santo paolano, realizzate da artisti provenienti dall’area del Sud Italia, il bastone è sostituito da una canna, divenendo oltre che un suo attributo, anche un forte simbolo identitario nella lotta contro i turchi. Nel 1483, partendo per la Francia, in obbedienza al papa, il suo bastone sta ad indicare l’eremita-viandante che insegna che siamo tutti “pellegrini e forestieri in questa vita che passa”. San Francesco di Paola entra nella memoria collettiva dei calabresi che lo sognano con il bastone, anche qui tanta simbologia: diventa il rimprovero e, quindi, la coscienza critica, per il cattivo comportamento; diventa il coraggio di non aver paura di ribellarsi alle ingiustizie; diventa l’indicatore per tenere sempre “fisso lo sguardo verso Dio”; diventa lo strumento della pace, perché con il bastone San Francesco di Paola divide a Paterno Calabro l’albero di gelso conteso da due fratelli, che per questo motivo erano diventati nemici, facendo comprendere che “la pace è il più grande tesoro che i popoli possano avere”». Ma il miracolo più celebre resta l’attraversamento dello Stretto di Messina con il suo mantello, dopo il netto rifiuto del barcaiolo Pietro Coloso di trasportarlo in Sicilia. Per questo miracolo San Francesco di Paola è invocato dalla gente del mare. Secondo padre Cozzolino: «Il mare è segno di unione, congiunge terre lontane; ci fa pensare a San Francesco mentre lo percorre sul mantello tra Catona e Messina e alla nostra civiltà mediterranea e cristiana. È luogo di lavoro e di fatica: si pesca e serve per il trasporto, ci fa pensare a San Francesco che è intervenuto per favorire pescatori e trasportatori, facendoci comprendere la nobiltà e la santità del lavoro. È espressione di bellezza, di serenità, di pace, di potenza, di forza e ci fa pensare a San Francesco che l’ha contemplato più volte ed è intervenuto per calmare le acque e concedere una
rotta sicura ai naviganti, insegnandoci la sacralità della natura, che va rispettata e protetta. È espressione di speranza e di accoglienza e ci fa pensare agli immigrati che approdano disperati sulle nostre coste. Anche San Francesco sbarca da emigrante in Francia, continuando ad amare la Calabria, sua terra, e diventando cittadino di due patrie». LA SCRITTA CHARITAS L’iconografia di San Francesco di Paola è abbondante anche perché nei chiostri dei conventi minimi troviamo sempre nelle lunette degli affreschi con i miracoli che hanno accompagnato la sua vita; il ricordo del miracolo è una forma di quella che viene definita «carità miracolosa di frate Francesco». Ci sono molti santini che attorno alla figura del santo, a mo’ di florilegio, sistemano alcuni episodi dei miracoli operati da San Francesco in modo da ricordare che questi eventi straordinari sono contrassegnati dall’abbandono fiducioso in Dio. Tra i molteplici miracoli, nei santini è ricordato il suo grande amore per gli animali: l’agnellino Martinello, la trota Antonella e il cerbiatto. Altra caratteristica delle immagini di San Francesco è la scritta Charitas, su tre righe, per sottolineare la sua devozione alla Santissima Trinità. In molti santini la scritta Charitas si trova in cielo o su un disco d’oro attaccato al bastone, in altri ancora è in uno scudo consegnato a San Francesco dall’Arcangelo Michele, che è il protettore principale dell’Ordine dei Minimi, oppure sorretto da puttini, come nella grande statua marmorea di Giovanbattista Maini nella Basilica di San Pietro a Roma. Le immaginette che riproducono le statue di San Francesco, da qualche collezionista sono addirittura scartate, considerate alla stregua di mezze cartoline illustrate, mentre da altri sono collezionate e molto ricercate, proprio per la loro unicità. In alcuni paesi esistono addirittura due statue del santo, quello a figura intera ed il mezzobusto; i collezionisti tematici cercano di avere nei propri raccoglietori, ambedue le immagini. Da segnalare anche i santini con le statue vestite, o dal solo abito oppure, come quelle siciliane, con la fascia rossa del patronato. In alcuni santini locali, oltre alla statua vi è la riproduzione della chiesa o addirittura il panorama del paese, un modo per riaffermare la protezione del santo sull’intera comunità e il legame esistente. Un’altra tematizzazione dei santini è quella che prevede la reliquia oppure una foto di una reliquia. Sono immaginette che hanno un frammento di un oggetto appartenuto ad un santo, general-
mente qualche indumento, oppure qualsiasi altra cosa che in vita l’uomo di Dio abbia toccato o con cui il suo corpo abbia avuto un contatto diretto: ad esempio il legno della bara prelevato dopo la sua ricognizione, frammenti di pietruzze sulle quali pregava. I SANTINI CON LE RELIQUIE Tale tipologia di santini inizia a diffondersi verso la fine del XIX secolo e trova la massima divulgazione nella prima metà del XX secolo. Inizialmente la reliquia veniva attaccata al santino con un filo rosso o della ceralacca, da qualche anno viene inserita in una piccola nicchia ricavata dal santino protetta da una pellicola trasparente. Possiamo avere santini con: reliquie ex indumentis, pezzettini di abiti indossati proprio dal santo o pietruzze e polveri, fiori e foglie secche a ricordo dei santuari, reliquie per contatto. Se parliamo di San Francesco di Paola, le maggiori reliquie si trovano nella Cappella della
Ci sono santini con le reliquie
Carrellata di santini che raffigurano San Francesco
Basilica di Paola, tra cui: le ossa pervenute nel 1935 dalla Francia – altre sono rimaste nella Chiesa di San Martino a Tours; – il mantello, i sandali, un dente lasciato alla sorella Brigida prima di partire per la missione francese e, sotto l’altare maggiore della nuova aula liturgica, il cranio. A Paterno Calabro: alcune ossa, il cappuccio, la funicella, i calzari, la pelle della trota Antonella risuscitata dal santo, una pentola metallica e una delle due pietre dove lasciò le impronte prima di partire per la Francia, l’altra è nella Chiesa di Morano Calabro. A Corigliano Calabro: il Crocifisso che portava sempre con sé, la canna (in ricordo dell’apparizione del 1598 al venerabile padre Girolamo Molinari); un osso del costato, il cordone e la pietra guanciale nel romitorio San Francischiellu. A Sambiase di Lamezia Terme un dito e ad Oriolo Calabro l’alluce. Nella Chiesa cosentina a lui dedicata: un altro cappuccio. In
Sicilia a Milazzo, la berrettella; a Roma nella Chiesa di San Francesco ai Monti, il bastone. A Napoli a Santa Maria della Stella, la camicia; sempre in Campania, a Vietri sul mare, nella casa Benincasa: la salvietta con cui si asciugò, lasciando impressa l’immagine del suo volto. Al Santuario di Genova, vari oggetti a lui appartenuti, tra cui le lenti. SANTINI E MODERNITÀ Le immaginette, in qualche modo, raccontano anche il periodo storico in cui vengono realizzati. Negli primi anni del Novecento vige la moda dello stile liberty che condizionerà anche gli editori dei santini che inseriscono nei loro prodotti editoriali diversi florilegi. Durante il secondo conflitto mondiale vengono pubblicate immaginette particolari, destinate ai soldati al fronte, chiamate dai collezionisti santini militari e vengono ricercate, in modo particolare, quelle custodite gelosamente nei portafogli dai giovani
in grigioverde. Negli anni Sessanta un nuovo tema iconografico illustrerà i santini; con l’avvento della motorizzazione di massa, in numerose immaginette spunta un’auto e le preghiere sono tutte dedicate affinché venga protetto il conducente e i passeggeri. In alcuni casi troviamo persino i segnali stradali con i principali cartelli di pericolo, quasi a voler chiedere al proprio santo preferito di guardare dall’alto i viandanti moderni, che utilizzano i mezzi a motore. Un santino particolare è considerato il calendarietto, oltre a segnare i giorni e individuare le feste mobili, come la Pasqua, l’Ordine dei Minimi ha legato la loro diffusione, naturalmente con una foto a colori del santo fondatore, alla raccolta di fondi per sostenere i fratini; il collegio ha dato la possibilità di studiare, e magari verificare la propria vocazione religiosa, a centinaia di adolescenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Domenica 27 marzo 2016 info@quotidianodelsud.it
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San Francesco è vestito con un abito scuro ai piedi ha gli zoccoli di legno, ha la barba bianca e lunga ed un naso aquilino
CON I SANTINI
DI FRANCESCO di DEMETRIO GUZZARDI
L
e immaginette devote – quelle che conosciamo noi – nascono da una provocazione di un grande predicatore: San Bernardino da Siena (1380-1444), che invitava a «disertare i luoghi della perdizione», come i tavoli dove si giocava ai dadi e a carte e ci si indebitava. Ad un fabbricante di carte da gioco che lo interruppe durante un suo sermone, perché nessuno più ne comprava e la sua stamperia era fallita, il santo senese prontamente rispose: «E allora stampa santi». Nacque così una nuova linea editoriale: gli stampatori di santini. Da allora si sviluppò una vera industria: i più famosi furono gli editori fiamminghi di Anversa, che dalla fine del XVI fino agli inizi del XIX secolo divenne la capitale della produzione delle immaginette. Ebbero grande successo anche i santini realizzati dai Remondini di Bassano del Grappa, che li smistavano in tutta Europa, attraverso una formidabile rete di venditori ambulanti conosciuti con il nome di “tesini”. Agli inizi dell’Ottocento la grande produzione si spostò a Parigi, nei pressi della Chiesa di San Sulpizio, con i santini merlettati, quasi una risposta cattolica alle idee dell’Illuminismo francese. In Italia i più importanti centri furono Bologna con Natale Salvardi, Modena con la Società San Giuseppe e poi, una tipografia meneghina, quella di Achille Bertarelli, divenne leader nella stampa dei santini in cromolitografia, seguita subito dopo (1896) dall’azienda grafica dei Padri Carmelitani milanesi, che prese il nome di Santa Lega Eucaristica, fondata da padre Gerardo Beccaro. A Napoli, nei pressi del Duomo, numerose furono le botteghe di venditori di immaginette, soprannominati “stampasanti”. Bastavano pochi spiccioli per comprare la figura del proprio santo protettore, da sistemare vicino al letto di casa, ma anche nelle stalle degli animali. Agli inizi del Novecento iniziava il grande fenomeno migratorio, chi partiva per il nuovo mondo, una volta giunto oltre Oceano avvertiva il desiderio di avere con sé l’immaginetta del santo patrono o della Madonna venerata nel proprio paese. Cambiò la richiesta agli stampatori, non più santini generici, con richiami simbolici ad una Chiesa tutta tesa alla sola salvezza delle anime, ma santini particolari, anche solo foto delle statue davanti a cui si era sempre pregato; proprio in quel periodo si stava sviluppando l’arte fotografica, nacquero in quel momento i santini locali, stampati in bianco e nero.
Per le copie da mandare all’estero era davvero proibitivo il costo del colore e così le statue della Madonna e dei santi, da sempre conosciuti ed amati, furono fotografate e riprodotte nel modo più economico. In quel tempo, nelle Americhe, i nostri nonni «pregavano in bianco e nero», anticipando inconsapevolmente alcune tematiche del Concilio Vaticano II, su cosa significa l’inculturazione della fede e vivere l’appartenza ecclesiale in una precisa comunità cristiana. Tra i santini più diffusi nelle case dei nostri emigranti, oltre al Cuore di Gesù ed alla Madonna del Carmine, ci fu San Francesco di Paola, «il più santo dei calabresi, il più calabrese dei santi», ma anche quei frati della famiglia minima già dichiarati beati dalla Chiesa Cattolica, in primis San Nicola Saggio da Longobardi. Tra i soggetti più utilizzati nei santini troviamo l’icona di Montalto Uffugo, sicuramente quell’immagine avrà fatto presa nel mondo popolare. Il dipinto è considerato l’archetipo delle immagini del santo e, secondo una tradizione orale, fu realizzato da un pittore che spiò il frate dal buco della serratura, in una stanza del castello del re di Napoli. Non c’è luogo di culto in Calabria dove non si trovi un’immagine di San Francesco di Paola. Il santo è entrato a pieno titolo nella vita del popolo, tutti lo conoscono e ne riconoscono le fattezze, eppure troppo pochi sanno che «l’amore alla maggiore penitenza» e «a chi ama Dio tutto è possibile» sono le vere chiavi di lettura per capire il grande messaggio di San Francesco di Paola. L’Ordine dei Minimi da lui fondato segue con fedeltà il suo carisma, sperimentando che vivere la vita quaresimale è la modalità pedagogica per giungere con pienezza alla gioia della Pasqua. GLI “ATTRIBUTI” DEI SANTINI DI SAN FRANCESCO DI PAOLA: IL BASTONE E IL MARE Nelle immaginette del santo paolano troviamo delle caratteristiche, i cosiddetti attributi dei santi, che sono davvero inconfondibili: San Francesco è vestito con un abito scuro, ai piedi ha gli zoccoli di legno, ha la barba bianca e lunga ed un naso aquilino. La testa è quasi sempre coperta dal cappuccio che, secondo quanto afferma qualche studioso, «rappresenta l’urna della carità», per altri, invece, «la condizione di eremita, alla maniera degli anacoreti bizantini». San Francesco di Paola ha quasi sempre un bastone perché, scrive il padre minimo Giovanni Cozzolino: «Come emerge dai testi del Processo Cosentino, il nostro santo lo iniziò ad usare in età avanzata, per una sem-
Tutto iniziò con Bernardino da Siena
Una carrellata di immagini sacre di San Francesco di Paola
plice caduta, che non gli permetteva di camminare bene. Nei racconti della sua vita, il bastone diventa strumento dei miracoli che compie nel nome del Signore, assumendo vari significati. Il miracolo a Paterno Calabro di tracciare con il bastone il cammino dell’acqua che lo segue, ma poiché i contadini litigano, le ordina di non scorrere fin quando non si saranno riconciliati, per il bene di tutti. Compie la stessa cosa a Corigliano Calabro, anche se il bastone viene sostituito nell’iconografia con una canna, perché nel 1598 salva la città dall’invasione dei turchi, puntellando il portone della Chiesa conventuale con una canna. Qui il bastone assume il significato di liberazione; da allora nelle immagini del santo paolano, realizzate da artisti provenienti dall’area del Sud Italia, il bastone è sostituito da una canna, divenendo oltre che un suo attributo, anche un forte simbolo identitario nella lotta contro i turchi. Nel 1483, partendo per la Francia, in obbedienza al papa, il suo bastone sta ad indicare l’eremita-viandante che insegna che siamo tutti “pellegrini e forestieri in questa vita che passa”. San Francesco di Paola entra nella memoria collettiva dei calabresi che lo sognano con il bastone, anche qui tanta simbologia: diventa il rimprovero e, quindi, la coscienza critica, per il cattivo comportamento; diventa il coraggio di non aver paura di ribellarsi alle ingiustizie; diventa l’indicatore per tenere sempre “fisso lo sguardo verso Dio”; diventa lo strumento della pace, perché con il bastone San Francesco di Paola divide a Paterno Calabro l’albero di gelso conteso da due fratelli, che per questo motivo erano diventati nemici, facendo comprendere che “la pace è il più grande tesoro che i popoli possano avere”». Ma il miracolo più celebre resta l’attraversamento dello Stretto di Messina con il suo mantello, dopo il netto rifiuto del barcaiolo Pietro Coloso di trasportarlo in Sicilia. Per questo miracolo San Francesco di Paola è invocato dalla gente del mare. Secondo padre Cozzolino: «Il mare è segno di unione, congiunge terre lontane; ci fa pensare a San Francesco mentre lo percorre sul mantello tra Catona e Messina e alla nostra civiltà mediterranea e cristiana. È luogo di lavoro e di fatica: si pesca e serve per il trasporto, ci fa pensare a San Francesco che è intervenuto per favorire pescatori e trasportatori, facendoci comprendere la nobiltà e la santità del lavoro. È espressione di bellezza, di serenità, di pace, di potenza, di forza e ci fa pensare a San Francesco che l’ha contemplato più volte ed è intervenuto per calmare le acque e concedere una
rotta sicura ai naviganti, insegnandoci la sacralità della natura, che va rispettata e protetta. È espressione di speranza e di accoglienza e ci fa pensare agli immigrati che approdano disperati sulle nostre coste. Anche San Francesco sbarca da emigrante in Francia, continuando ad amare la Calabria, sua terra, e diventando cittadino di due patrie». LA SCRITTA CHARITAS L’iconografia di San Francesco di Paola è abbondante anche perché nei chiostri dei conventi minimi troviamo sempre nelle lunette degli affreschi con i miracoli che hanno accompagnato la sua vita; il ricordo del miracolo è una forma di quella che viene definita «carità miracolosa di frate Francesco». Ci sono molti santini che attorno alla figura del santo, a mo’ di florilegio, sistemano alcuni episodi dei miracoli operati da San Francesco in modo da ricordare che questi eventi straordinari sono contrassegnati dall’abbandono fiducioso in Dio. Tra i molteplici miracoli, nei santini è ricordato il suo grande amore per gli animali: l’agnellino Martinello, la trota Antonella e il cerbiatto. Altra caratteristica delle immagini di San Francesco è la scritta Charitas, su tre righe, per sottolineare la sua devozione alla Santissima Trinità. In molti santini la scritta Charitas si trova in cielo o su un disco d’oro attaccato al bastone, in altri ancora è in uno scudo consegnato a San Francesco dall’Arcangelo Michele, che è il protettore principale dell’Ordine dei Minimi, oppure sorretto da puttini, come nella grande statua marmorea di Giovanbattista Maini nella Basilica di San Pietro a Roma. Le immaginette che riproducono le statue di San Francesco, da qualche collezionista sono addirittura scartate, considerate alla stregua di mezze cartoline illustrate, mentre da altri sono collezionate e molto ricercate, proprio per la loro unicità. In alcuni paesi esistono addirittura due statue del santo, quello a figura intera ed il mezzobusto; i collezionisti tematici cercano di avere nei propri raccoglietori, ambedue le immagini. Da segnalare anche i santini con le statue vestite, o dal solo abito oppure, come quelle siciliane, con la fascia rossa del patronato. In alcuni santini locali, oltre alla statua vi è la riproduzione della chiesa o addirittura il panorama del paese, un modo per riaffermare la protezione del santo sull’intera comunità e il legame esistente. Un’altra tematizzazione dei santini è quella che prevede la reliquia oppure una foto di una reliquia. Sono immaginette che hanno un frammento di un oggetto appartenuto ad un santo, general-
mente qualche indumento, oppure qualsiasi altra cosa che in vita l’uomo di Dio abbia toccato o con cui il suo corpo abbia avuto un contatto diretto: ad esempio il legno della bara prelevato dopo la sua ricognizione, frammenti di pietruzze sulle quali pregava. I SANTINI CON LE RELIQUIE Tale tipologia di santini inizia a diffondersi verso la fine del XIX secolo e trova la massima divulgazione nella prima metà del XX secolo. Inizialmente la reliquia veniva attaccata al santino con un filo rosso o della ceralacca, da qualche anno viene inserita in una piccola nicchia ricavata dal santino protetta da una pellicola trasparente. Possiamo avere santini con: reliquie ex indumentis, pezzettini di abiti indossati proprio dal santo o pietruzze e polveri, fiori e foglie secche a ricordo dei santuari, reliquie per contatto. Se parliamo di San Francesco di Paola, le maggiori reliquie si trovano nella Cappella della
Ci sono santini con le reliquie
Carrellata di santini che raffigurano San Francesco
Basilica di Paola, tra cui: le ossa pervenute nel 1935 dalla Francia – altre sono rimaste nella Chiesa di San Martino a Tours; – il mantello, i sandali, un dente lasciato alla sorella Brigida prima di partire per la missione francese e, sotto l’altare maggiore della nuova aula liturgica, il cranio. A Paterno Calabro: alcune ossa, il cappuccio, la funicella, i calzari, la pelle della trota Antonella risuscitata dal santo, una pentola metallica e una delle due pietre dove lasciò le impronte prima di partire per la Francia, l’altra è nella Chiesa di Morano Calabro. A Corigliano Calabro: il Crocifisso che portava sempre con sé, la canna (in ricordo dell’apparizione del 1598 al venerabile padre Girolamo Molinari); un osso del costato, il cordone e la pietra guanciale nel romitorio San Francischiellu. A Sambiase di Lamezia Terme un dito e ad Oriolo Calabro l’alluce. Nella Chiesa cosentina a lui dedicata: un altro cappuccio. In
Sicilia a Milazzo, la berrettella; a Roma nella Chiesa di San Francesco ai Monti, il bastone. A Napoli a Santa Maria della Stella, la camicia; sempre in Campania, a Vietri sul mare, nella casa Benincasa: la salvietta con cui si asciugò, lasciando impressa l’immagine del suo volto. Al Santuario di Genova, vari oggetti a lui appartenuti, tra cui le lenti. SANTINI E MODERNITÀ Le immaginette, in qualche modo, raccontano anche il periodo storico in cui vengono realizzati. Negli primi anni del Novecento vige la moda dello stile liberty che condizionerà anche gli editori dei santini che inseriscono nei loro prodotti editoriali diversi florilegi. Durante il secondo conflitto mondiale vengono pubblicate immaginette particolari, destinate ai soldati al fronte, chiamate dai collezionisti santini militari e vengono ricercate, in modo particolare, quelle custodite gelosamente nei portafogli dai giovani
in grigioverde. Negli anni Sessanta un nuovo tema iconografico illustrerà i santini; con l’avvento della motorizzazione di massa, in numerose immaginette spunta un’auto e le preghiere sono tutte dedicate affinché venga protetto il conducente e i passeggeri. In alcuni casi troviamo persino i segnali stradali con i principali cartelli di pericolo, quasi a voler chiedere al proprio santo preferito di guardare dall’alto i viandanti moderni, che utilizzano i mezzi a motore. Un santino particolare è considerato il calendarietto, oltre a segnare i giorni e individuare le feste mobili, come la Pasqua, l’Ordine dei Minimi ha legato la loro diffusione, naturalmente con una foto a colori del santo fondatore, alla raccolta di fondi per sostenere i fratini; il collegio ha dato la possibilità di studiare, e magari verificare la propria vocazione religiosa, a centinaia di adolescenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA