La costruzione del vuoto: forme e figure della Metropoli

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LA COSTRUZIONE DEL VUOTO. Forme e fgure della metropoli.


Metropolis, 1927. Freder Fredersen assiste impotente alla Macchina-Moloch che divora l'uomo. Suo stesso creatore, e ciò nonostante vittima sacrifcale. La rapida crescita del volume degli agglomerati urbani, l'aumento esponenziale dell'occupazione di spazio, in estensione come in altezza, di terra come di cielo, ha portato alla progressiva perdita di controllo della forma urbana. La città cresce come un vorticoso addensarsi di oggetti che non misurano, raramente si relazionano o costruiscono un orizzonte entro il quale ritrovare l'autenticità dell'abitare la terra da parte dell'uomo. “L'abitare ci appare in tutta la sua ampiezza quando pensiamo che nell'abitare risiede l'essere dell'uomo, inteso come il soggiorno dei mortali sulla terra”. La perdita della logica dell'insediamento coinvolge qualsiasi forma della costruzione del paesaggio, inteso come relazione tra natura e cultura. L'incastro del creatore nella sua stessa creazione, la perdita dell'orizzonte, l'alienazione della natura stessa dell'essere umano. Metropolis. La città madre necessita di ripensare sé stessa, la sua forma, il suo modo di costruirsi. Molteplicità, grandezza, densità ed altezza non rappresentano assoluti negativi ai quali opporsi, ma concezioni delle quali ritrovare il passo, le misure, le proporzioni. Forme e fgure appropriate. Cercare un orizzonte largo nella città signifca riportarla al territorio attraverso le sue direttrici. Defnire le porzioni di suolo non occupato misura la portata di quello occupato. Quegli elementi che dimensionalmente tendono ad evadere dal tessuto circostante per invadere l'orizzonte, che emergono dalla massa costituendosi come monumenti, rappresentano i riferimenti attraverso i quali dal territorio si percepisce la città. E' nella relazione tra assi, vuoti e monumenti, che la città ritrova la sua forma, costruita per frammenti, indipendente da un processo lineare che ne segni gli eventi; il rapporto che la città instaura con il suo territorio, con il suolo al quale appartiene e con l'orizzonte che vuole misurare. Da questa lettura, la sua struttura, sebbene in divenire, rimane chiara, quasi fosse sempre rimasta intatta, e trova nel progetto di architettura il frutto della sua interpretazione. Attraverso i progetti, quindi le sue molteplici interpretazioni, la città ricompone la propria immagine fuori dal tempo. Fatta di piani, dei suoi tracciati, di singoli edifci: narrazioni del tutto che raccontano ciascuna di un'idea di città, e di cui alcune rimangono quali riferimenti, segni fssi della volontà collettiva nella dinamica urbana. Delle sue connessioni territoriali ancora oggi racconta Mediolanum attraverso le centralità che ne sintetizzano la costruzione, lo sviluppo, talvolta le contraddizioni. La sua immagine si mostra nella natura di città madre, metropoli, intesa come nucleo portante di un assetto insediativo, quello policentrico, radicato sulle relazioni con la regione al suo intorno. Non a caso oggi Milano si trova a trasformarsi su sé stessa, ancora una volta a partire da quello stesso asse che ne ha segnato l'origine della forma urbana e che tuttora ne evoca le fgure architettoniche più rappresentative. Ad un'osservazione zenitale, lo scalo dismesso si individua nella sua natura di squarcio all'interno del tessuto e delle misure della città berutiana che ne compongono l'intorno. Al contrario, all'altezza dell'occhio umano, la percezione è quella di un muro, di luogo segreto ed invalicabile, di corpo estraneo alla città stessa. Eppure una volta dentro questo recinto, se da un lato il suolo fatto di ferro manifesta l'aridità del paesaggio, dall'altro, la condizione di vuoto mostra inequivocabile ed unico, il potenziale di relazioni tra le parti di città che ad esso, timide, tentano di afacciarsi o forse dalla sua natura inospitale di difendersi. A Scalo Farini Il vuoto si propone come strumento compositivo di individuazione di relazioni, misure, proporzioni. Il progetto di architettura è un'attività di forme che occupano uno spazio, oppure è lo spazio disoccupato. In questo caso, la natura del luogo evoca la necessità di essere entrambe le cose.


Il vuoto come campo d'azione che concorre alle relazioni tra le forme, ma anche condizione necessaria all'esistenza stessa della forma. Nel vuoto, la ferrovia riporta al radicamento dei rapporti territoriali estesi, proiezione di itinerari di connessione a media e lunga distanza, che trovano nella stazione Garibaldi un potenziale fulcro di spostamenti che collegano Milano al mondo attraverso gli aeroporti di Linate e Malpensa. “Nella sua costruzione permangono i motivi originari ma nel contempo la città precisa e modifca i motivi del proprio sviluppo”. L’occasione di trasformazione di cui può usufruire oggi Milano, coincidente con la dismissione di vaste aree ferroviarie e con la redazione e la presentazione del nuovo strumento del Piano di Governo del Territorio, insinua un processo che, data la collocazione strategica delle aree e la mole di quantità edifcabili coinvolte, è in grado di contribuire in maniera decisiva ai mutamenti futuri della città di Milano, non solo in relazione all’Expo, ma in vista di un “necessario riordino del sistema di connessioni che, alla grande scala, proiettano la città nella sua più ampia regione.” Indagare sul senso generale delle imponenti trasformazioni urbane indotte dal mutamento epocale di un modello produttivo, implica riuscire ad individuare i caratteri determinanti nella costruzione della dimensione e della forma della città futura “in rapporto alle direttrici e alle funzioni dei poli regionali che ne orientano il radicamento territoriale". Nella costruzione della città i binari ferroviari diretti a Nord Ovest hanno rappresentato un ostacolo, talvolta una cesura per la continuità del tessuto urbano. Le aree direttamente pertinenti al sistema del ferro, quali gli scali, rappresentano oggi un patrimonio per la trasformazione della città: la loro centralità e accessibilità ne costituiscono la ricchezza. Prendendo in esame il quadro economico-produttivo complessivo dell'area milanese si è infatti delineata una vocazione: grazie anche all'elevata percentuale di proprietà pubblica, le aree potrebbero costituire il centro di riferimento per la creazione di un sistema di coordinamento regionale capace di eleggere Milano al traino della regione come capoluogo delle Innovative Cities.. Coordinare le attività di innovazione con un Regional Innovation System porterebbe da un lato a far fruttare il potenziale economico interno della città, dall’altro ad accrescere la sua immagine internazionale al fne di attrarre nuova forza lavoro e capitali di investimento dall’estero. Creare visibilità al sistema di innovazione anche nella gestione urbanistica della città risulta oggi qualcosa d'inderogabile: provvedimenti politico-amministrativi di questa matrice non possono essere disgiunti infatti dalla ricerca di un luogo che sia simbolo e riferimento delle trasformazioni. L’occasione è presto svelata: poter progettare il riuso di aree centrali ed accessibili, quale l'area di Farini, in concomitanza alla predisposizione del Regional Innovation System sulle aree intorno all'asse ferroviario, determinerebbe la possibile riuscita di tale operazione, valutata sull'attrattività dei luoghi mediante fattori cardine del vivere urbano: l'accessibilità infrastrutturale e quindi economica, il potenziale creativo indotto dallo scambio di conoscenze, l'oferta abitativa e degli spazi di lavoro, la qualità ambientale dei suoi spazi urbani.

“Per formulare le risposte da dare ai formidabili problemi posti dal nostro tempo e riguardanti l'attrezzatura della nostra società, vi è un unico criterio accettabile, che ricondurrà ogni problema ai suoi veri fondamenti: questo criterio è l'uomo” “L'architettura è la scena fssa delle vicende dell'uomo; carica di sentimenti di generazioni, di eventi pubblici, di tragedie private, di fatti nuovi e antichi.” “[...] ci rendiamo conto che l'architettura non rappresenta che un aspetto di una realtà più complessa, di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verifcabile di questa realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui afrontare il problema”.


Il progetto di architettura si costruisce dalla somma di relazioni che la questione dell'unicità del sito pone in campo. La sua storia, l'identità culturale, i caratteri dimensionali e le caratteristiche fsiche del luogo, giacciono su una solida struttura fsica di percezioni di distanze, linee guida, riferimenti che conseguentemente fanno sì che il processo mostri innanzitutto la propria appropriatezza. I pezzi della composizione si dispongono attorno al vuoto facendo proprie le regole di costruzione formale desunte dalla città e dal sito, determinando un procedimento del fare architettonico per sintassi, allo scopo di restituire non tanto la rilevanza degli elementi per sé stessi, quanto le relazioni che intercorrono tra questi e il luogo. La volontà di astrazione della forma architettonica si manifesta nell'attacco a terra degli edifci, nel loro appoggiarsi o costruirsi una propria porzione di suolo; nell'orientamento e nella disposizione rispetto alla città, al tessuto esistente e alla ferrovia; nelle percezioni visive tra loro, nel generare ogni volta un punto d'osservazione autonomo del tutto. Questo processo, nel disvelare i caratteri dominanti del progetto, delinea le relazioni che concorrono alla costruzione del vuoto come nuova forma urbana, che prelude all'insediamento e che ne costituisce la fonte d'energia e di tensione tra i pezzi ed il tutto. Ciascun elemento si riferisce ad un brano e ad un'interpretazione di città diversa, quasi a volerne accentuare ogni volta il carattere autonomo di regole di costruzione che lo genera, in un continuo confitto tra l'assoluta ragione della tipologia e la complessità formale della morfologia con cui instaura il proprio dialogo diretto di confronto. Reinterpretando l'attacco al suolo rispetto alla propria matrice razionalista, la serie di case in linea assume la giacitura di via Farini, intesa come asse in grado di generare città. Modulate sulla misura degli isolati cui afacciano, nel passo come nell'eccezione, risolvono il confronto a nord con la città come fossero un unico edifcio: contrappongono al fronte compatto dell' esistente lungo via dell'Aprica, l'unità formale delle proprie testate d'ingresso e del complanare basamento commerciale. La strada, trasformata a corso pedonale lastricato ed alberato per più di metà della nuova e più ampia sezione, ospita una nuova fermata del tram e mantiene parte della viabilità esistente. La costruzione di un basamento, se da un lato concorre alla defnizione di un fronte urbano compatto, dall'altro accentua la volontà di diversifcazione tra gli spazi aperti che segnano il rapporto con il vuoto urbano pubblico. Assumendo un carattere semi-privato, di spazi di pertinenza della residenza, essi stabiliscono l'idea di abitare sociale che individui nel rapporto con i diferenti paesaggi urbani, il farsi stesso dell'architettura. La massa scultorea dei corpi in linea si corrode e si assottiglia nella defnizione di un tutt'uno con il proprio basamento, aprendosi e scavandosi in grandi fori, alcuni dei quali passanti. Mentre questa tende ad atrofzzarsi, il vuoto si impadronisce dell'opera, mostrando da un lato lo spettacolo di ciò che prima non era visibile, l'orizzonte; dall'altro, attraverso la sospensione su setti dei corpi di mezzo, la successione di spazi artifciali che compongono l'organizzazione dell'abitare intorno a piazze di accesso dal sottosuolo di servizio. Dagli orientamenti che provengono dalla campagna e che regolano il quartiere di Dergano e la porzione urbana che si costruisce lungo la via Bovisasca, la città si sfrangia ai confni dello scalo in un tessuto misto tra case, insediamenti produttivi e di servizio. La percezione del fronte compatto si dissolve a partire dallo slargo che individua l'uscita della stazione del passante ferroviario, sino ed oltre l'imbocco di via Imbriani. Gli isolati faticano a chiudersi, l'edifcazione si apre e perde la compattezza tipica della città ottocentesca. La chiarezza tipologica della ripetizione dell'edifcazione in linea risulta impossibile nel dialogo con la città. Di nuovo l'essenza va ricercata nel forte radicamento al suolo. Come nel progetto della Cancelleria Reale a Stoccolma di Asplund, il lavoro operato rimanda a quello sulla terra che


precede la formazione di una città: gli edifci poggiano sul suolo sino ad un dato limite, quello defnito dai completamenti degli isolati di cui cercano di restituire la forma. E' la prima mossa del progetto. I manufatti si incastrano nel suolo progettato nel tessuto urbano come ne avessero sempre fatto parte. Ridefniscono la palazzata sul parco tipica dei fronti continui, attraverso lo scavo di un portico che sembra generarsi dal ripiegarsi del suolo. Ma a nord di questo si preparano le tracce per quelli che diventeranno i vuoti, le soglie ed i diaframmi che sono ancora le parti costitutive del progetto, il fltro che permette il dialogo con la frammentazione dell'esistente. La sperimentazione tipologica afronta “il tema della variazione, della deformazione e degli slittamenti come tecniche compositive necessarie a ribadire il valore delle stesse forme assolute”. Le deformazioni, applicate alle forme per radicarle al tessuto urbano, rimarcano ulteriormente la regola. Le strade diventano corti aperte in cui per ribaltamento appare l'immagine rappresentativa degli edifci. Il ballatoio si stacca dai manufatti e diviene esso stesso costruzione architettonica che ridefnisce le regole formali alla base dell'intervento, quasi a volerne recuperare la purezza tipologica piegatasi alla morfologia. Come in una galleria teatrale, la balconata disegna i rapporti del vivere attraverso la continua percezione della scena defnita dalla corte. I piani terra ofrono alle botteghe i propri spazi e riportano alla dimensione dell'interno dell'isolato, alla vita intima e segreta delle corti milanesi. L'uso del basamento, in architettura, se da un lato serve a legare l'oggetto con l'intorno, dall'altro, sin dai templi greci, mostra ed enfatizza ciò che viene posizionato su questo. Come fosse l'ultimo avamposto degli isolati del Beruto disposto secondo l'asse del Sempione, la piattaforma si pone come cerniera tra gli orientamenti, gli assi, il vuoto e la ferrovia. Rivoltandosi, quasi volesse sintetizzarne la possibile ripetizione in estensione, segna i rapporti a lunga distanza nel confronto con i fatti urbani a grande scala, gli edifci alti che puntellano l'orizzonte milanese. Cerca la sua dimensione conforme tra gli episodi di Bottoni in corso Sempione e corso Buenos Aires, il Pirelli e la Velasca -diformi eppure vicini- Moretti e la purezza dei suoi volumi. L'edifcio alla base scavalca i binari e si lega alla scala dell'infrastruttura, utilizzandola come strumento ordinatore della composizione, ponendosi tra i due cavalcavia che ne sorpassano il sedime. Si colloca, diametralmente opposto alla stazione Garibaldi, come altro punto d'accesso all'area: nuova porta urbana, il suo sviluppo verticale segna l'ingresso e l'uscita dalla città, ne determina l'immagine nel territorio. Le dimensioni e le misure del suo farsi nella città, per la città, si mostrano in tutta la propria chiarezza geometrica. Al contrario delle informi espressioni di una città generica, si radica al suolo come fosse un antico palazzo civico. I suoi spazi ospitano la vita pubblica del sistema regionale d'innovazione, estendendo i suoi rapporti al di là dei confni urbani anche a livello funzionale, mescolando la propria vita diurna alla residenza ed allo svago. Reinterpretazione del progetto per Centro studi e ricerche dell'U.V.I. l'Eur di Giuseppe Terragni, il suo farsi architettonico si sintetizza nelle superfci che si mostrano ai pezzi di città: la terrazza sul vuoto ritrovato e la facciata sud-est da un lato, che della scomposizione dei fli di facciata fanno la propria regola di costruzione spaziale; l'esplanade che la lega alla Bovisa e alla periferia e il fronte nord-ovest dall'altro, la cui compattezza risalta l'inquadrare il paesaggio delle sue aperture passanti. Lo spazio esterno penetra nei limiti dell'architettura e vi si confonde. “L'obiettivo ultimo è la conquista di uno spazio evacuato, disponibile, in cui restano impresse le tracce del laborioso processo di sottrazione e di eliminazione”. Il vuoto, restituito alla dimensione del paesaggio urbano crea uno spazio ricettivo che permette al fruitore di stabilire un dialogo con l'opera. Trattato per lo più a prato, seleziona i dislivelli e gli spazi destinati alla piantumazione per ridefnire rapporti, campi visivi, percezioni dello spazio. L'attraversamento della ferrovia


segna il passaggio dalla radura al bosco, fno a riconciliarsi ed assorbire le reminescenze del Piano Beruto e i non fniti della Villa Simonetta e del Cimitero Monumentale, che da presistenze ribaltano la propria condizione a forme che occupano (o invadono) il vuoto. “Ciò che prima non era visibile lascia una traccia che diventa l'ingrediente forte dell'opera. Si deve parlare, a proposito di Oteiza, del vuoto come costruzione.â€?


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