editoriale
ANCORA SÌ: ALL’AMBIENTE E ALL’EUROPA DEI POPOLI di Giuseppe Albahari eferendum sulle trivellazioni in mare? Archiviato. Non se ne parla più. È logico che sia così per il governo nazionale per coloro che lo hanno contrastato. Silenzio meno logico, invece, per i promotori che, persa la battaglia, non dovrebbero dare l’impressione d’un ripiegamento sul tema più ampio dell’ambiente. Perché, ad esempio, è necessario tenere desta l’attenzione sulla conferenza internazionale sul clima di Parigi. Occorre rimarcare che avere deciso di abbattere – comodamente, in futuro - le emissioni nocive per l’ambiente, non rappresenta di per sé un traguardo raggiunto, ma al contrario un obiettivo incompatibile con la politica che incentiva ricerche petrolifere e consumi di combustibili fossili. Ma le strutture del potere non si trincerano solo dietro la difesa dell’esistente. C’è il rischio che la situazione peggiori. Perché si parla troppo poco del Ttip, l’accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti in itinere tra Stati Uniti e Unione europea, che potrebbe comportare un diffuso ridimensionamento dei diritti acquisiti dei cittadini europei. In breve: la tutela dei prodotti tipici enogastronomici, i diritti dei lavoratori ed il rischio di limitazione della discussione democratica con norme vincolanti per gli Stati europei sono al centro di preoccupazioni crescenti; è però evidente che salute e ambiente sarebbero compromessi – ed è solo un esempio - dall’importazione di prodotti attualmente banditi in Europa, perché trattati con pesticidi o geneticamente modificati. Delle trattative riguardo il Ttip si conosce il poco diffuso da Greenpeace in forza di documenti di cui l’associazione ambientalista è venuta in possesso. Proprio tale segretezza alimenta sospetti e preoccupazioni. La delegazione europea è investita di una responsabilità enorme. Da europeisti convinti, speriamo che l’accordo Ttip rappresenti l’occasione per dimostrare che lo spirito dei fondatori non è negletto e che l’Europa è unita per le genti e non invece per le multinazionali. L’ondivago establishment, sia a livello nazionale, sia a livello europeo, ha l’opportunità di dimostrare che lavora per il benessere dei cittadini e per la sostenibilità ambientale. Speriamo. Malgrado l’evidenza di segno contrario.
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T he promoters of the referendum on drilling, lost the battle, they should not give the impression to fall back on the environment and emphasize, for example, that the Paris Agreement on harmful emissions is a target and not a goal. In addition, there is a risk that the transatlantic agreement on TTIP trade resizes the acquired rights of European citizens. The wavering national and European establishment must demonstrate that works for the welfare of citizens and environmental sustainability. It’s a hope. Despite evidence of opposite sign.
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SOMMARIO Giugno 2016
ph. Rita de Bernart
FOCUS
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TURISMO
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AMBIENTE
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NAUTICA & MARE
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pugliaemare.com L’ORTO DEI TU’RAT. Scoprilo a pagina 39
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focus
Leggende di Puglia Nunzio Pacella | Vieste, la perla del Gargano................................................................................................................ 06 Giuseppe Dimiccoli | La bella Trani ........................................................................................................................................ 09 Giuseppe Dimiccoli | Un “tuffo” a Polignano a Mare........................................................................................... 13 Milly Barba | Brindisi porta d’Oriente.................................................................................................................................... 17 Milly Barba | Taranto cuore storico........................................................................................................................................... 21 Nunzio Pacella | Santa Maria di Leuca e le sue bellezze.................................................................................... 24 Maria Gabriella de Judicibus | Quando la storia diventa leggenda...................................................... 27 Alfredo Albahari | Acquamarina, leggende e vibrazioni di vita.................................................................. 29
Salvo diversa indicazione, le foto del focus sono dell’archivio Puglia Promozione
NUNZIO PACELLA Scrittore, giornalista, gastronomo e giornalista gastronomo
GIUSEPPE DIMICCOLI Giornalista professionista, esperto di tematiche europeistiche
Milly BARBA Giornalista scientifica specializzata alla Sissa di Trieste
MariA GABRIELLA de judicibus Docente di Lingue, Letteratura Italiana e Storia, scrittrice e giornalista
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ALFREDO ALBAHARI Docente emerito di Navigazione negli istituti Nautici
Salvatore pellone Vignettista fumettista storyboarder e illustratore
FOCUS
Vieste
la perla del Gargano Il Gargano più noto come "Sperone d’Italia” coincide con l’omonimo promontorio montuoso che si estende nella parte settentrionale della Puglia e corrisponde alla parte orientale della Provincia di Foggia. interamente circondato dall’Adriatico tranne ad ovest, dove confina con il Tavoliere delle Puglie, da Tabulae censuariae di romana memoria. Tra le sue “perle” c’è Vieste (Vìst in dialetto viestano), il comune più orientale del promontorio e della provincia di Foggia, dove sventola Bandiera Blu per la qualità delle acque di balneazione. Fa parte del Parco Nazionale e della Comunità Montana del Gargano. Cittadina di antichissima storia, dai vicoli stretti e casette bianche con le finestre adornate di basilico a strapiombo sul mare, dagli scorci che tagliano un cielo che riflette l’azzurro del mare. Meta ideale per praticare il windsurf e il kitesurf ma anche per la più tradizionale pesca dai mitici trabucchi. L’abitato sulla piccola penisola rocciosa ricco di scalinate e archi spazia su tre spiagge separate da Punta San Francesco e Punta Santa Croce: la lunga spiaggia di San Lorenzo ricca di spiagge libere si estende verso ovest in direzione di Peschici; Mari-
è
di Nunzio Pacella na Piccola rivolta verso il faro sullo scoglio di Santa Eufemia e la spiaggia detta del Castello, ovvero quella a sud del centro abitato, dove, quasi a guardia di Vieste, si erge il monolite di 25 metri chiamato Pizzomunno, simbolo stesso della cittadina garganica, legato a mille leggende. La Punta di San Francesco, dove è sorto con tutti i migliori requisiti di sicurezza l’abitato medievale di Vieste, una punta ripida, aspramente rocciosa e rivolta ad est, ha preso il nome dall’omonima chiesa; regala ai turisti meravigliosi e suggestivi panorami, oltre a colori vivaci della luminosità dei materiali marmorei dell’edificio sacro e del riflesso del mare. Da citare anche la chiesa di Santa Maria Assunta, il duomo di Vieste edificato nell’XI secolo sull’originaria struttura romanica modificata nei secoli per le distruzioni operate dai Saraceni e dai terremoti che hanno devastato la zona, in particolare quelli del 1223 e del 1646.
Anche la Punta di Santa Croce, rivolta a nord, dalla costa bassa e relativamente pianeggiante dove l’espansione cittadina è stata avviata a partire dall’Ottocento con la realizzazione di moderni quartieri, il nuovo Municipio, il Parco comunale, deve il nome all’omonima chiesa. È da questa parte che si ritrova il porto di Vieste, tutt’oggi importante per le attività peschiere e per il traffico marittimo verso la Croazia e l’arcipelago delle Isole Trèmiti o Diomedèe.
T he settlement of Gargano located on a small rocky peninsula, full of stairs and arches, extends on three beaches separated by Punta San Francisco and Punta Santa Croce, including the southern one on which stands the monolith of 25 meters called Pizzomunno. On the first tip, which like the companion is bestow of the name to a church, has arisen the medieval town, with narrow streets and whitewashed houses with windows overhanging the sea “Blue Flag”, which enclose the cathedral built in the XI century and dedicated to Santa Maria Assunta.
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FOCUS
Vieste
Cristalda e l’amore di Pizzomunno
Quando in mare c’erano ancora le Sirene, un gruppo aveva scelto di incrociare nelle acque del Gargano e risiedere in prossimità del promontorio di Vieste. Vivevano in quel borgo due giovani innamorati, Cristalda e Pizzomunno. Questi era un pescatore che quotidianamente varava la piccola barca dall’arenile adagiato ai piedi delle alte sponde rocciose per la battuta di pesca e al ritorno trovava la sua bella ad attenderlo sulla spiaggia. L’avvenenza del giovane non passò inosservata alle Sirene, che tentarono di ammaliarlo. Il pescatore, però, forte dell’amore per la sua ragazza, non cedette alla seduzione del loro canto e il suo reiterato rifiuto provocò la loro indispettita reazione. Un giorno, mentre Pizzomunno tirava in secco la barca, le Sirene provocarono delle onde che ghermirono Cristalda e la trascinarono in fondo al mare, proprio davanti alla spiaggia. Il giovane rimase impietrito dal dolore e il suo corpo si trasformò nel monolite che ha dato il nome alla spiaggia. Ma una passione così grande non poteva rimanere senza un riconoscimento. Ogni cento anni, Pizzomunno e Cristalda si ritrovano per trascorrere una notte d’amore, finché all’alba le Sirene riconducono la sfortunata fanciulla in fondo al mare.
Salvatore Pellone è il 25enne autore dei cammei grafici che illustrano le leggende pugliesi. Nativo di Avellino, ma da tre lustri gallipolino d’adozione, ha studiato alla scuola d’arte Giannelli di Parabita ed ha frequentato il corso di fumetto alla scuola internazionale di comics di Torino. Con l’amico sceneggiatore e scrittore Andrea Carrozza ha fondato Spazio Beluga, un collettivo artistico dove lavora come vignettista e fumettista.
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focus
La Bella “N
on è il congiungimento della luce del cielo e del mare a dare tanta immateriale luminosità, tanta diafanità vetrosa e sepolcrale alla cattedrale di Trani: è la cattedrale a fare luminoso il mare, a fare trasparente il cielo rendendone visibili gli abitatori antichi ed eterni, le animule, gli eroi, gli Dei, gli spiriti malvagi che non osano avvicinarsi alla sua mano alzata”. Questa istantanea di Guido Ceronetti è una pennellata lucente per poter descrivere Trani. La bella Trani. Nota anche come “la perla dell’Adriatico”, è una meravigliosa città dove poter ammirare, oltre alla Cattedrale romanica che si staglia direttamente sul mare, la bellezza levigata e marmorea della pietra di Trani, dissetandosi, ma non troppo, con il dolce vino Moscato. Le sue bellezze artistiche ed architettoniche non si contano. Al pari delle chiese di ogni epoca e delle dimore signorili dove hanno trovato dimora personalità eminenti del territorio e del Mezzogiorno di Italia. Gli amanti del mare e dei Codici sappiano che passeggiando per Trani potranno calcare le orme di chi nel 1063 ha promulgato il primo codice marittimo del mondo occidentale, gli Ordinamenta et consuetudo maris. A livello giuridico un punto fermo è dato dal fatto che è attualmente sede del Tribunale ed in passato è stata anche sede della Corte d’appello delle Puglie La tradizione vuole che il nome di Trani sia legato all’eroe della mitologia greca Diomede, il cui figlio Tirre-
Trani di Giuseppe Dimiccoli
no avrebbe fondato la città (che in effetti in passato veniva indicata come Tirenum o Turenum, nome però non attestato prima del IV secolo). Una delle pietre miliari in ambito storico della città è offerta dalla presenza di un notevole insediamento ebraico che contribuì in modo determinante alla prosperità tranese. Gli ebrei si insediarono nella Giudecca, quartiere sito nella parte orientale del borgo antico e collegato al porto. Il porto di Trani è una insenatura naturale racchiusa da due moli, il Molo S. Lucia a ponente e il Molo S. Antonio a levante, quest’ultimo sede del pontile stagionale estivo della Darsena Comunale costituita da un totale di 5 pontili di cui 4 permanenti situati nel porto. Il porto di Trani ha uno specchio d’acqua con una superficie di circa 137.000 metri quadrati, con fondali sabbiosi che raggiungono la profondità di 4-5 metri ed uno sviluppo
della costa di 1.850 metri, di cui 900 occupati da banchine operative. La superficie portuale a terra, invece, raggiunge nel complesso i 24.880 metri quadrati. Da non perdere, a pochi metri dalla Cattedrale all’interno del Polo Museale, un gioiello regalato dalla “Fondazione S.E.C.A” che ha realizzato un meraviglioso museo della “Macchina per scrivere”. “Quasi centocinquant’anni di storia dei sistemi di scrittura meccanica sono racchiusi in una vasta collezione di modelli che ne testimoniano l’evoluzione, dalle macchine a battitura cieca a quelle con scrittura visibile, dalla prima portatile, alla prima elettrica a quella elettronica; sono circa 400 gli oggetti esposti nel Museo S.E.C.A., provenienti da tutto il mondo. Immancabili quanto di elevato valore storico, le macchine per non vedenti, anch’esse protagoniste, dalla prima con sistema di scrittura Braille fino alle più attuali di varia provenienza. La collezione prosegue con le macchine con tastiera cirillica, araba, ebraica, con caratteri giapponesi fino ai modelli in uso alla Wermacht e alle SS durante la seconda guerra mondiale”. Insomma un motivo in più per visitare Trani.
T radition says that the name of Trani is related to the hero of Greek mythology Diomede, whose son Tirreno would founded the city. Fundamental to the previous prosperity of the town, which in 1063 promulgated the first maritime code of the western world, the presence of a significant Jewish settlement. Especially admirable the Romanesque cathedral that stands luminous directly on the sea of “Trani Stone” with which it was built and, as part of the city museum complex, the museum of the “typewriter.”
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FOCUS
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Trani
Il Pescatore di Trani Nella rete di un povero pescatore di Trani incappò, tanto tempo addietro, uno squalo. L’uomo stava lamentando la malasorte che gli aveva fatto catturare una preda così grossa ma inutile per contrastare la sua povertà, quando il pescecane parlò: lo invitò a ucciderlo, recuperare i suoi denti e piantarli nella terra. L’uomo lo fece, nell’orto adiacente la casupola di deposito degli attrezza da pesca; dove dopo qualche tempo spuntò un alberello che crebbe, crebbe, senza però mai dare l’impressione che fosse una pianta speciale. Il pescatore era sempre più perplesso, ma un giorno l’albero sprofondò e dalla buca emerse un destriero già sellato. Anche il cavallo parlò, invitandolo a farsi una cavalcata, e l’uomo saltò in groppa senza pensare a moglie e affetti e per molti anni visitò terre sconosciute, fu ospite in palazzi e castelli e accumulò grandi ricchezze, finché decise di mettere fine al suo girovagare. Tornato a Trani, scoprì che la moglie, credendolo morto, si era risposata. Sconsolato, si recò alla casupola dove tutto era cominciato, scorse nella buca un pesciolino, lo raccolse e all’improvviso lo vide trasformarsi nello squalo che aveva catturato tanti anni prima. Il pescatore si lamentò d’avere seguito i suoi consigli, ma d’averci rimesso nel cambio tra famiglia e ricchezza e il pescecane lo invitò a gettarlo in mare e salirgli in groppa, perché le sue avventure non erano terminate. Quando l’uomo aderì alla richiesta, si allontanarono insieme verso l’orizzonte.
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UN “TUFFO” A
Polignano a mare hiunque passeggiando per Polignano a Mare non può che rimanere stregato dalla sua bellezza e dalla sua anima. Una “condizione” che ti accarezza il cuore e che si sedimenta nella memoria dei ricordi belli. E attenzione tutto questo è possibile viverlo tanto d’estate quanto d’inverno. Un meraviglioso posto di mare che permette a chi lo visita, vivendolo in maniera sincera, d’instaurare un dialogo a cuore aperto con un’eco indimenticabile. Polignano a Mare, che fino al 1863 è stata chiamata Polignano, conta circa 20mila abitanti e gravita nella città metropolitana di Bari. Meravigliose e indimenticabili le sue bellezze naturalistiche e le grotte marine. Incantevoli le tracce della dominazione romana. È importante ricordare che Polignano a Maggio scorso ha ricevuto la IX Bandiera Blu (riconoscimento conferito dalla Foundation for Environmental Education alle località costiere europee che soddisfano criteri di qualità relativi a parametri delle acque di balneazione e al servizio offerto in relazione a parametri quali la pulizia delle spiagge e gli approdi turistici). Il paese ha una storia molto antica, come in tutta l’area del sud est barese, sono state rinvenute tracce di presenza umana nella fra-
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di Giuseppe Dimiccoli zione di Santa Barbara, risalenti al neolitico. Secondo alcuni studiosi, l’antica città greca di Neapolis potrebbe essere una delle due colonie che, nel VI secolo a.C., Dionigi II di Siracusa fondò sulle coste adriatiche. Come detto, i segni più evidenti della presenza dell’uomo risalgono al Neolitico, nella zona di Santa Barbara (VI - V millennio a.C.), e nell’Ipogeo Manfredi (IV millennio a.C.), uno degli insediamenti più significativi della Puglia centrale. Merita una visita la Abbazia di San Vito sorta nell’alto Medioevo, a due chilometri dal centro abitato, che è stata dimora dei monaci basiliani fuggiti dall’Oriente. Chi volesse effettuare un bagno indimenticabile, faccia una puntata alla spiaggia di San Vito.
Gli amanti della tradizione musicale italiana tengano il telefono a portata di mano per scattarsi un selfie alla statua bronzea di Domenico Modugno. Il suo indimenticabile volto e abbraccio è un omaggio della sua città natale ad un personaggio della musica mondiale che ha emozionato tutti
T he country awarded the Blue Flag for 9 years, it has a long history, so much that have been found traces of human presence dating back to the Neolithic. Worth a visit, the Abbey of San Vito risen up in the Middle Ages and the Municipal Museum of Contemporary Art dedicated to the painter “Pino Pascali”. The lovers of Italian musical tradition can take a selfie to the bronze statue of Domenico Modugno; those of the thrill, can watch the dive race from a great height .
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con il suo successo “Volare”, nel Sanremo del ’58. Fa rima con Polignano il Ponte Lama Monachile. Nato in età Borbonica, “vive” sul vecchio ponte Romano posto sulla via Traiana. Si respira storia a Lama Monachile, già antico porto commerciale durante la dominazione veneta nel XV secolo. Oggi è la meta più visitata da turisti e non. Gli amanti della cultura visitino il Museo Comunale d’Arte Contemporanea “Pino Pascali”. La Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, nata nel 2010, ha sede nell’ex mattatoio comunale del paese, nella zona del lungomare a sud e a strapiombo sul mare. La sede è stata ufficialmente inaugurata l’1 giugno 2012 con una grande festa dell’arte dal titolo Ouverture. La nascita del museo risale al 1998 quando venne inaugurata una grande mostra antologica di Pino Pascali, a cura di Achille Bonito Oliva e Pietro Marino, in occasione del trentennale della sua scomparsa. Presso il Museo è, inoltre, visionabile e consultabile, per i ricercatori e gli studiosi dell’artista, l’Archivio Pascali, formato da tutto il materiale documentativo, lascito della famiglia Pascali: scenografie teatrali e televisive, l’archivio bio-bibliografico, tesi di studio, manifesti, libri, recensioni, rassegna stampa, fotografie, filmografia originale, cimeli. In ultimo ma non per ultimo è doveroso ricordare che Polignano a Mare ospita i più importanti specialisti al mondo di tuffi dalle grandi altezze. Uomini che si tuffano dal trampolino che si trova a 27 metri dall’acqua, donne che hanno il trampolino a 22 metri. Da non perdere.
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Polignano a Mare
La leggenda di San Vito Nel ricco filone di leggende fiorite in Puglia intorno alle origini di santuari e luoghi di culto, si inserisce perfettamente quella sulle reliquie di San Vito che ruota intorno all’omonima abbazia benedettina di Polignano a Mare. Correva il IX secolo quando Florenza, principessa di Salerno, fu colta da una tempesta mentre si trovava sul fiume Sele. Salvatasi per la richiesta intercessione di San Vito, fece voto di seppellirne degnamente le spoglie, insieme con quelle del suo precettore Modesto e della nutrice Crescenzia, insieme martirizzati da Diocleziano. San Vito le apparve e chiese d’essere seppellito in un “luogo Mariano”; la donna, ignorando dove fosse, fece erigere un tempio in prossimità del fiume. Alcuni anni dopo, quando la principessa ricorse ancora al Santo chiedendo la guarigione del fratello ammalato, le apparve un Angelo che confermò la richiesta e specificò che il luogo si trovava a Polignano. La principessa tenne fede alla promessa iniziale, sbarcò in Puglia con le reliquie e le affidò alla comunità monastica che risiedeva nelle grotte, su cui fu poi edificata l’abbazia. Proprio all’XI secolo risale la chiesa eretta in onore del Santo, di cui sono peculiari le tre cupole in asse e le volte a botte delle navate laterali.
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Brindisi porta d’oriente dagiata lungo il litorale adriatico della Puglia meridionale, Brindisi sorge all’interno di un’insenatura naturale e gode da sempre di una posizione strategica, crocevia di commerci e incontro di culture. Nota fin dall’antichità come la Porta d’Oriente, nacque per mano dei Messapi che, tra l’VIII e il VII secolo a. C., trasformarono Brunda in un importante centro per la lavorazione dei metalli e per la riparazione delle imbarcazioni. A partire dal 244 a. C., conobbe un periodo di grande splendore: conquistata dai Latini, divenne municipio romano e punto d’imbarco delle legioni per l’Oriente. Per agevolare i collegamenti tra Brundisium e Roma, i conquistatori prolungarono la via Appia e costruirono una nuova arteria stradale, la via Traiana. Proprio di epoca romana sono le due colonne, innalzate vicino al mare in fasi costruttive differenti, comprese tra il III e il I secolo d. C., frutto del desiderio dell’imperatore Traiano di celebrare la monumentale opera stradale e il potenziamento dell’insediamento marittimo. Oggi, nei pressi del porto, se ne può ammirare solo una, alta circa 20 metri. Sostanzialmente dirimpettaio, ma separato dal braccio di mare più interno del porto, si erge uno dei simboli della città, il monumento al Marinaio d’Italia. La suggestiva opera a forma di timone, alta 53 metri, fatta di cemento armato e carparo, è stata realizzata in memoria dei marinai caduti durante le due guerre.
A
di Milly Barba Il cuore di Brindisi conserva ancore tracce visibili della dominazione romana, come le antiche mura difensive, rinforzate dagli Spagnoli e dagli Aragonesi. Il sistema di difesa comprende il suggestivo bastione Carlo V, sviluppato su pianta triangolare e con una struttura tipica del secolo XV e XVII, fatta di fortezze tozze e merloni, oggi depu-
tato ad accogliere mostre e manifestazioni. Ben tre castelli si ergono nella città: il Castello Svevo o di Terra, il più antico (1227), il Castello Aragonese, punta di diamante del centro storico e, in ultimo, Castel Rosso o di Mare, roccaforte costruita sull’isola di Sant’Andrea, appartenente all’arcipelago delle Pedagne. Il vero gioiello di Brindisi, tuttavia, è il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, costruzione di epoca normanna (XI sec.) e meta turistica per eccellenza, all’interno della quale è ancora possibile ammirare pregiate colonne in marmo, bassorilievi e resti di affreschi.
E njoys of a strategic position, a crossroads of trade and cultures meet. It retains traces of Roman rule, like the terminal columns of ancient streets and the wall, subsequently reinforced, which competed at the defensive system with the bastion Charles V. Three citizens castles: Svevo (1227), Aragonese and Rosso or the Mare built on island of St. Andrew. Real jewel, the Temple of St. John at the Sepulchre (XI sec.) In which is possible to admire precious marble columns, bas reliefs and remains of frescoes.
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Brindisi
La leggenda delle Conchiglie d’Oro Un forziere pieno di cuecciuli d’oro. Teodoro ci pensava, quando tornava dalla pesca con la barca vuota. I nonni e i nonni dei suoi nonni raccontavano che era nascosto in una caverna, alla fine d’un labirintico percorso della Brindisi sotterranea e sconosciuta, dove era stato nascosto da antichi pirati; e lui qualche volta sognava ad occhi aperti di trovarlo. Una notte, però, il sogno arrivò sulle ali del sonno: una voce tenebrosa gli disse di recarsi ad un vecchio pozzo asciutto, nel quale, se si fosse calato con uno dei suoi figlioletti, avrebbe trovato il tesoro. All’alba, il pescatore trovò il pozzo, fissò una corda e scese fino a toccare il fondo, ma la stessa voce gli disse che, senza il figlioletto, non avrebbe mai visto il tesoro. Così l’uomo ritornò, questa volta insieme con i fratelli perché lo aiutassero, e si fece calare insieme con uno dei figli. Giunto in fondo, vide il luccichio dell’oro e udì nuovamente la voce tenebrosa, che gli intimò di lasciare il figlio in cambio del tesoro. Ma Teodoro non ci pensò un momento: diede voce ai fratelli che lo tirarono subito su insieme con il figlio, che valeva sicuramente più di qualsivoglia tesoro. Non prima, però, d’avere allungato una mano e afferrato uno dei cuecciuli d’oro.
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Taranto CUORE STORICO e origini di Taranto si perdono nella remota memoria ellenica. Secondo la cronologia tradizionale riportata dallo storico greco Eusebio di Cesarea, la fondazione della città risalirebbe al 706 a. C., anno in cui alcuni coloni spartani si stanziarono in questa zona per necessità di espansione e per questioni commerciali, distruggendo il precedente insediamento e portando con se nuova cultura e tradizioni proprie. Non possediamo molte notizie riguardo ai primi secoli di vita della città. Dalle poche informazioni note apprendiamo che il porto, “dal perimetro di 100 stadi e chiuso da un gran ponte” come ricorda il geografo greco Strabone (60 a.C – 24 d. C.), costituiva un tappa obbligata per coloro che navigavano da Oriente verso Occidente. I ricchi corredi funerari rinvenuti nella zona provano l’antica esistenza di intensi scambi commerciali. Altre tracce di questa antica dominazione si ravvisano ancora oggi nel borgo antico di Taranto, per esattezza nell’Ipogeo De Beaumont Bonelli Bellacicco, luogo originatosi da una cava di carparo creata proprio dagli spartani che impiegavano questo materiale per l’edificazione di templi e monumenti cittadini. Il cuore storico della cittadina ionica riserva ulteriori sorprese. L’imponente Castello Aragonese, o Castel Sant’Angelo, svetta nell’angolo estremo dell’isola del borgo antico.
L
di Milly Barba Fondato nel 916 dai bizantini con lo scopo di proteggere la città dagli attacchi degli invasori che giungevano via mare, nel 1486 fu ampliato e plasmato da Ferdinando II d’Aragona secondo l’attuale struttura “a forma di scorpione.” La fortezza, aperta tutti i giorni al pubblico, conserva luoghi quali l’antica sala delle torture e la cappella di San Leonardo, a lungo sconsacrata e resa di nuovo sacra solo nel 1933. Significativa sia dal punto di vista militare sia architettonico anche la Fortezza di Laclos, creata per volere di Napoleone Bonaparte alla fine del XVIII secolo.
Degna di essere visitata anche la cattedrale di San Cataldo che, sempre nel borgo antico, si erge su un edificio bizantino e preserva le antiche spoglie dell’omonimo santo, originario di Rachau e morto a Taranto nel 685 d. C. Un ponte girevole collega la “nuova” Taranto all’antico borgo: il ponte di san Francesco di Paola, costruito in legno per la prima volta nel 1800, oggi simbolo della città. Il vero gioiello di Taranto, tuttavia, è la cappella gotica ottocentesca situata in via Cavour, conosciuta come “il piccolo duomo” e intitolata, anch’essa, a San Francesco di Paola, a riprova del forte culto verso quel santo al quale i tarantini attribuiscono numerose grazie e una forte Charitas.
T he origins date back to 706 BC Taranto by means of the Spartans. The historic heart of the city preserves the massive Aragonese Castle or Castel Sant’Angelo, built in 916 by the Byzantines, and expanded in 1486 by Ferdinand II of Aragon; Fortress Laclos, created by Napoleon Bonaparte in the late eighteenth century; the San Cataldo Cathedral, which preserves his mortal remains; the nineteenth-century chapel dedicated to St. Francis of Paola, like the swing bridge, became a symbol of the city.
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Taranto
La leggenda di Skuma Abitava a Taras una coppia di sposi. Lui, pescatore, talvolta rimaneva lontano da casa per più giorni e lei, bellissima e sola, cedette alla corte serrata d’un ricco signore che le donava gemme e gioielli. Ma la giovane sposa non riuscì a tenere il segreto e confessò l’adulterio al marito; il quale fece finta di perdonarla, la condusse in barca al largo e la spinse in acqua, consapevole che, non sapendo nuotare, sarebbe affogata. Invece le Sirene, che vivevano proprio in quel luogo, conquistate dalla sua bellezza, la salvarono ed elessero loro regina dandole il nome di Skuma; perché come la Schiuma condotta dalle onde. Il giovane, pentito, ritornava ogni giorno sul luogo del misfatto per piangere la sua amata, creduta morta. Le Sirene pensarono di punirlo, lo fecero cadere in mare e chiesero alla regina di decidere la punizione, ma Skuma raccomandò loro di non fargli del male. Il pescatore, risvegliatosi sulla spiaggia, pensò di liberare la sua sposa e chiese aiuto ad una fata; dalla quale apprese che per liberarla era indispensabile che si impossessasse dell’unico fiore di corallo bianco del giardino delle Sirene. Il giovane si procurò un’altra barca, invocò l’amata, che comparve il tempo necessario per ascoltare del fiore e dell’idea che le avrebbe consentito di rubarlo. Ritornò il giorno dopo con i gioielli e tutte le Sirene, attratte dal luccichio, accorsero, dando a Skuma il tempo di raccogliere il fiore dal giardino incustodito e consegnarlo alla fata. La quale provocò una grande onda che spazzò via le Sirene. Travolse, però, anche il pescatore e Skuma, rimasta sola, si fece suora. Da allora, nelle notti di plenilunio, vaga sul mare di Taranto.
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Santa Maria di Leuca e le sue bellezze ’estremità della Puglia, detta più comunemente Capo Santa Maria di Leuca (Lèviche in dialetto e Leucos in greco che significa bianco) oltre ad essere baciato dal mare e riscaldato dal sole ha importanti testimonianze preistoriche conservate come in uno scrigno nelle grotte costiere, la Basilica santuario di Santa Maria de Finibus Terrae, l’imponente cascata monumentale terminata nel 1939 durante il governo di Mussolini e le ville costruite a partire dalla fine del XIX secolo per la nascente aristocrazia pugliese che in quegli anni scelse il promontorio leucano come luogo di villeggiatura ideale. Nel Capo di Leuca lungo la costa compresa tra Punta Montelungo e il Canale te lu Runnulu poco dopo Torre Marchiedda si aprono 34 cavità carsico marine di cui 19 sulla scogliera alta e frastagliata di Levante da Punta Meliso (scoglio nero) a Montelungo e 15, ricche di testimonianze preistoriche, su quella bassa di Ponente dallo Scoglio di Ioca a Marchiedda. In una di queste cavità nel riempimento detritico della “Grotta del Bambino” fu rinvenuto un molare superiore di bambino neandertaliano di circa 10 anni. San Pietro in viaggio per Roma si fermò a Leuca e da allora il tempio dedicato alla dea Minerva diventò luogo di culto cristiano e tra i principali centri di pellegrinaggio dell’età antica e medievale. La devozione dei fedeli per la Madonna di Leuca è legata al salvataggio di alcuni pescatori dalla burrasca del 13 aprile del 365 d.C. L’edificio cultuale fortificato fu costruito tra il 1720 e il 1755 da monsi-
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di Nunzio Pacella gnor Giovanni Giannelli per resistere ai numerosi e ripetuti attacchi turchi e saraceni. Dal 7 ottobre del 1990 il Santuario è stato eletto a Basilica minore. Anche nel Salento ci sono ancora opere risalenti al periodo fascista. È il caso della cascata monumentale terminata nel 1939 che vanta una lunghezza di oltre 250 metri, un dislivello di 120 metri circa ed una portata di mille litri d’acqua al secondo che termina in mare. È lo sbocco finale dell’Acquedotto Pugliese, grande infrastruttura di approvvigionamento idrico costituita da
una serie di “tronchi” tra cui il grande sifone leccese che arrivando a Leuca alimenta la cascata impreziosita dalla colonna romana monolitica. Adesso la spettacolare caduta d’acqua è saltuaria cioè avviene nel corso di particolari eventi organizzati a Leuca. Le ville ottocentesche, infine. La prima con giardino fu del Barone Romasi. Nel 1868 erano dieci, quindici nel 1869, venti nel 1876 e cinque anni dopo arrivarono a quarantatré. Le prime sedici ville sono in stile toscano, con intarsi a merletto senza particolari decorazioni perché gli architetti lavoravano su modulo. Dal 1874 furono costruite in stile jonico, gotico, francese, pompeiano, risorgimentale, moresco, arabo e cinese. I principali architetti furono Giuseppe Ruggeri, Carlo Arditi e Achille Rossi.
C ape Santa Maria di Leuca (Lèviche in dialect and Leucos in greek which means white) has important prehistoric evidence preserved in coastal caves, especially in the 15 on the west cliffs , much lower than the high cliffs and jagged of Levante, where there are 19 cavity. Among others evidences of Leuca’s promontory, the sanctuary of Basilica of Santa Maria de Finibus Terrae, the imposing monumental waterfall finished in 1939 and the villas built from the late nineteenth century for the Apulian aristocracy.
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Santa Maria di Leuca
Leucàsia e la tragedia di Melisso e Arìstula Un tempo, quando gli dei dell’Olimpo vegliavano sugli uomini, nella piccola baia con cui termina il promontorio che segna la confluenza di Jonio e Adriatico, viveva Leucàsia, creatura il cui corpo aveva l’aspetto di donna dalla pelle bianca come alabastro nella parte superiore mentre il resto era simile ad un pesce. Vagando in prossimità della costa, la Sirena s’invaghì di un pastorello di nome Melisso, ma il giovane resistette alla malìa della sua voce perché era innamorato della sua ragazza, Arìstula. Leucàsia, offesa, ideò la sua vendetta. Un giorno che i due giovani si trovavano insieme abbracciati sulla scogliera, agitò il mare con la coda creando cavalloni che risucchiarono i giovani in mare e con il suo soffio li fece sbattere ripetutamente sugli scogli fino ad ucciderli e, non ancora appagata, ne divise i corpi scaraventandoli alle estremità della baia. La vicenda rattristò la dea Minerva e la impietosì, al punto che trasformò i corpi in punta Meliso e Punta Ristola, così che il loro abbraccio di pietra diventasse eterno. Poi, mossa a compassione per l’infelicità di Leucàsia, la trasformò nella bianca che le è tributaria del nome di Leuca.
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Quando la storia diventa leggenda... di Maria Gabriella de Judicibus aria Gabriella de Judicibus reinterpreta una leggenda d’amore legata ad un evento realmente accaduto nelle nostre contrade che sottolinea l’importanza attribuita alle nostre coste dai popoli d’oltremare, qui pervenuti non solo per la ricchezza dei nostri beni ma anche per la bellezza delle nostre donne... Dalle cronache dell’epoca: “Addì, 4 Luglio 1547, sabato mattina una manica di 400 turchi sbarcati da 22 galee su l’acque di Ugento innanzi l’isola dei pazzi arrivarono alla torre, a tempo che li massarí mungevano le pecore, s’impadronirono della porta e la gente si pose a fuggire sopra la torre, e quando uno vellano tirava le porte, un turco li tirò una archibugiata da una taula che dal ponte era rotta e lo buttò in terra per il chè, il ponte si abbasso e li turchi presero con la torre tutta la gente che furono tra donne e figliole un nove, e si caricarono delle robbe che si trovarono e andarosene a mare senza che li cavallari nè torrieri l’avessero avvisto di niente”.
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La poesia è il racconto in dialetto con traduzione a fronte della storia d’amore di una donna salentina e del principe turco che guidava la spedizione. Le Mammalìe
Le Mammalìe
Tie ca ieni acquai e stai luntanu ogghiu te cuntu de ‘nna beddha storia de ‘nnu pirata beddhu forte e ufanu ca intra alla morte ‘cchiau purezza e gloria. Principe arditu, cull’uecchi niuri e fondi de lu mare inne cu conquista mondi ma fose iddhu stessu catturatu cu lli lacci d’amore, ‘ncatenatu. Beddha e fiera ‘nna vagnona bruna fice scumparire cielu e luna. e nu nni ‘nteressava cchiui de l’autri, nienti né de la vita, senza dd’uecchi ardenti… E cussì turnau e inne senza spada nisciunu lu cridde a ‘sta brutta strada strada china de sangu e malitetta che le profferte d’amore nun aspetta. Cripatu intra e fore, lu purtaru intra stu postu niuru e condannatu cu arde vivu intra nnu fornu maru e subbra lla nave soa nu bbe turnatu. Ma iddha vidde e mossa de la pena de l’autu de la torre fice volo e se schiantau cussì, pareddra , al suolo. Beddha e morente intra alla grigia rena cu iddhu intra all’amore ed alla morte Re e Regina senza corona e senza corte acquai, ci vuei, li pueti cchiare E intra allu ientu li sienti respirare...
Tu che passi di qui e sei lontano fermati un attimo ad ascoltar la storia di un gran corsaro e del suo amor profano che nella morte trovò purezza e gloria. Principe ardito, dagli occhi neri e fondi venne dal mare a conquistare mondi ma accadde ch’egli stesso catturato fosse con lacci d’amore incatenato. Bella ed altera la fanciulla bruna fè scomparire cielo sole e luna. Non gli calava omai del mondo nulla né della vita, senza la fanciulla… Così tornò e venne senza spada non fu creduto in questa ria contrada contrada sanguinosa e maledetta che alle profferte d’amor non sa dar retta. Ferito dentro e fuori, fu portato in questo posto tetro e condannato ad ardere e bruciar vivo nel forno e alla sua nave non fè più ritorno. Ma lei che vide e udì mossa a gran pena dall’alto della torre spiccò un volo che la portò a schiantarsi al suolo. Bella e morente nella grigia rena insieme nell’amore e nella morte Re e Regina senza corona e senza corte Giacciono insieme qui tra cielo e mare E nel vento puoi sentirli respirare...
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T he poem is the tale in dialect (with facing translation) of the love story of a woman of salento with a turkish prince who led the expedition that reinterprets a love story relating to an event really happened in our land in 1547 and highlights the importance attached to the seacoasts from overseas nations not only for the wealth of goods but also to the beauty of women.
foto: Alessandro Magni
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Acquamarina
leggende & vibrazioni di vita di Alfredo Albahari ino dalla più remota antichità, l’uomo è rimasto estasiato nel vedere la bellezza e lo splendore di alcune gemme, che giustificava solo come creazione degli dei, e ha voluto attribuire ad ogni gemma un valore simbolico, tra lo spirituale e il superstizioso, se non addirittura terapeutico. E così molte di esse divennero amuleti o talismani, e i ricchi, in alcune popolazioni, non se ne separavano neanche dopo la morte, perché queste rappresentavano l’anello di congiunzione tra uomini e dei e proteggevano l’essere umano durante il triste trapasso. Nell’antico Egitto le pietre venivano polverizzate ed utilizzate come medicamenti; in India al neonato veniva assegnata una pietra che lo avrebbe accompagnato per la vita. Ancora oggi, sempre in India – argomento trattato nell’Ayurveda, una scienza vecchia di millenni – pensano che ogni pietra abbia una propria vibrazione capace di guarire parti malate del corpo. Tra le diverse proprietà che vengono attribuite alle varie gemme, tratterò in breve solo di una, non fosse altro che per il nome che rimanda al mare: l’Acquamarina,
E oggi? Si riconoscono ancora vari poteri all’Acquamarina: essere simbolo di felicità e fortuna, armonizzare il fisico e la mente, combattere l’ipertensione e i disturbi del sistema nervoso e tanto, tanto ancora. C’è il rischio di pubblicità occulta ai negozi di pietre preziose? C’è sempre l’alternativa del “fai da te”. Chi voglia tentare di entrarne in possesso di un’Acquamarina senza recarsi a cercarla nel lontano Brasile, dove si trova il giacimento più importante al mondo, può andare all’isola d’Elba: nel suo sottosuolo se ne possono trovare di buona qualità. E del colore del mare. camminidiluce.net
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una delle gemme più amate.
Il colore prevalente della pietra è l’azzurro, anche se una sua caratteristica è quella di apparire sotto diversi colori, dall’azzurro chiaro fino al blu cupo, a seconda dell’angolazione con cui la si guardi. Azzurro, appunto, come l’acqua del mare. Molte leggende sono associate a questa pietra. Si narra che le sirene avessero grandi tesori costituiti da numerose Acquamarina; che una sirena gettò in mare un cofanetto con dentro vari preziosi, tra cui diverse Acquamarina, alcuni marinai lo trovarono e si servirono delle pietre, che si confondevano con il colore del mare, quale loro amuleto. E si narra che i marinai lanciavano talismani con Acquamarina incastonata nel mare in tempesta, per calmare le ire del dio del mare Poseidone ed evitare che provocasse naufragi e annegamenti.
T he aquamarine, one of the most popular gems and whose main color is blue, is at the center of many legends - it is told that the sailors threw talismans with Aquamarine embedded in the stormy sea to calm the wrath of the sea god Poseidon and prevent that he provoked shipwrecks and drownings - and credited with many properties, ways to promote happiness and luck, harmonize the body and mind, combat hypertension and disorders of the nervous system.
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pubbliredazionale
Turismo Elio Pindinelli | Gallipoli ideale in un reportage del 1855 ............................................................................... 36 Rita de Bernart | L’orto dei Tu’rat & mille pietre .................................................................................................... 39 Imma Petio | WEEKEND A... Grottaglie, tra nchiosce, pumi e capasoni ............................................... 43 Massimo Vaglio | I cognotti di Taranto ................................................................................................................................. 46 Federica Sabato | Un gelato “affogato” social ............................................................................................................... 47 Nunzio Pacella | LA SPORTA | Gusta e Degusta ........................................................................................................ 48
ELIO PINDINELLI Storico Socio Società Storia Patria per la Puglia e Centro Studi “Previtali”
RITA de BERNART Coltiva la passione per scrittura e giornalismo collaborando a diversi periodici su temi di cronaca e cultura
Massimo vaglio Giornalista pubblicista, scrittore, esperto di gastronomia e dei mari di Puglia
IMMA PETìO Laureata in Scienze Politiche, rappresenta la Puglia per la Federation of Regional Actors in Europe di Bruxelles
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FEDERICA SABATO Giornalista, pedagogista e counselor impegnata nel volontariato sociale
NUNZIO PACELLA Scrittore, giornalista, gastronomo e giornalista gastronomo
TURISMO
Dal mare “cheto” al “rompere dei marosi”, in una paradigmatica descrizione della Città Bella di metà Ottocento
GALLIPOLI IDEALE
IN UN REPORTAGE DEL 1855 di Elio Pindinelli
ntrattenersi sulla biografia e l’opera letteraria del padre Antonio Bresciani (1798-1862), significherebbe addentrarsi nel mondo e nell’ambiente cattolico (soprattutto napoletano) della metà dell’800, intriso di duri sentimenti antiliberali e antimoderni, di cui si era assunta la guida l’intransigentismo gesuitico attraverso il periodico “La Civiltà Cattolica”, edito a Napoli dal 1850 ad iniziativa del padre Carlo Maria Curci, ma che, trasferitosi dopo pochi mesi a Roma, era divenuto il centro di quella retorica chiesastica ed antipatriottica, impegnata a contrastare su posizioni oltranzistiche e spregiudi-
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cate quella, altrettanto stucchevole e virulenta, degli ambienti anticlericali e risorgimentalistici. Un passaggio cruciale, questo, che diede vigore, poi, allo scontro violentissimo tra un cattolicesimo retrivo e antipatriottico e il cattolicesimo liberale o, sul piano politico, il neoguelfismo. Padre Bresciani era stato chiamato da padre Curci con il mandato esplicito di contrastare sul piano letterario l’azione propagandistica risorgimentale, che faceva ampio uso dei romanzi per convincere in particolar modo le nuove generazioni alle idee moderne schierate contro la Chiesa. Padre Bresciani condivideva la prospettiva,
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cioè, di dover creare una sorta di contrappeso a quei testi della letteratura romantica, tanto in voga presso le giovani generazioni che propagandavano idee nazionali, risorgimentali e anticlericali. Ignazio Silone fu tra i tanti ad ammettere che “al fine di liberarci la mente dal culto risorgimentale inculcatoci nelle scuole elementari” veniva raccomandata “la lettura dei romanzi del padre Antonio Bresciani”. Con i suoi romanzi che ebbero un larghissimo seguito, padre Bresciani entrò da subito e prepotentemente nel focoso dibattuto politico, che gli valsero, suo malgrado, le feroci stroncature, prima di Francesco De Santis,
TURISMO
successivamente di Benedetto Croce e di Antonio Gramsci. In verità Gramsci non tentò un esame letterario delle opera del Bresciani, limitandosi a condannare “l’individualismo antistatale e antinazionale anche quando e quantunque si veli di nazionalismo e statalismo frenetico”, insito nelle sue opere, come in tutti quelli che, anche su campo avverso, avevano condotto la propria lotta politica nell’ambito di quella categoria letteraria che definì Brescianismo. Egli, in sostanza, condannava la produzione letteraria di largo consumo, di cui il Bresciani fu l’ideatore e primo autore del romanzo d’appendice, considerando gli espedienti di costruzione della trama zeppi di intrighi e colpi di scena falsi e artefatti e caratteristici di una letteratura che Ma al di là dei giudizi tranchant che contribuirono
a relegare le opere del Bresciani in un limbo politico per moltissimi anni del ‘900, è stata rilevata da molti, e se ne discute anche oggi, l’indiscutibile eleganza ed efficacia descrittiva di quest’autore, che mi piace sottoporre all’attenzione dei nostri lettori attraverso un brano che riguarda Gallipoli, il suo mare e il suo florido commercio di olio d’oliva, quando ancora si esportava sulle navi, che si vedevano “navigare alle isole britanniche; e passati gli stretti del Baltico, dar fondo ai porti di Svezia, di Danimarca e di Norvegia; o pel golfo della Finlandia a Pietroburgo, fornendo del dolce umore dell’olio quelle antiche terre che ne son prive”. Il brano in questione, sconosciuto fino ad oggi a tutte le fonti locali fin qui edite, fu pubblicato la prima volta nel 1855 nel volume nono del periodico La Civiltà Cattolica (pp.
173-176), all’interno del capitolo XXXIV del romanzo “Ubaldo e Irene: Racconti dal 1790 al 1814”, edito integralmente in due volumi lo stesso anno e ripubblicato decine e decine di volte, anche a fascicoli periodici, fino all’ultima edizione da me rintracciata, datata da Genova 1887. Gallipoli in questo scritto è la città bella e ideale della “Repubblica” di Platone, riecheggiando in qualche modo le descrizioni del Galateo e prendendo a spunto la relazione del Briganti sul naufragio del 1792, ma è soprattutto il frutto di quella guida saggia e illuminata dei reali di Napoli che avevano saputo costruire e garantire ordine, pace e ricchezza economica, nella prospettiva dell’abate Bresciani purtroppo minacciata dagli avvenimenti, che da lì a qualche anno porterà all’Unità d’Italia.
Cap. XXXIV
L’ASSALTO DI VADO E DI MOLOGNO In quella estrema parte dell’ampio golfo di Taranto, che guarda l’interno del mare ionio, si specchia dalle pendici d’un gran sasso in quelle acque la graziosa Gallipoli, la quale vien congiunta a un promontorietto, che sporge dal lido, per un bel ponte di dodici archi. I Greci, che sapean scerre meravigliosamente le posture delle città che voleano fondare, vista quell’ isoletta come una bella gioia di diamante luccicare al sole, sopra quello spianato dilettaronsi di far sorgere una nuova città, corredata d’ogni sorta edifizii pubblici e privati, con fori maestosi, basiliche di nobile architettura, fontane di fresche e dolci acque, templi di severi propilei, di lunghi colonnati, di vaghissime forme. E perchè non aveanle ancor dato il nome, considerata la sua grazia, il cristallino cielo che la soprasta, il limpido mare che la bagna, i grati zeffiri che vi aleggiano, lo splendore delle curie, l‘amenità del sito, chiamaronla per eccellenza la BELLA, onde le venne il nome di Callipoli, che in greco significa bella città.
E in vero, ancoraché a’ di nostri le greche città dell’antica Iapigia non sieno quasi più che borgate, Gallipoli (che così nomasi in presente per idiotismo volgare) serba ancora gran parte della sua bellezza; e se altro non fosse, il cielo non v’è men puro d’allora, il mare non v’è meno tranquillo, né meno ubertosa e piacevole la riviera. Imperocché ivi, pel dolcissimo clima, sorgono spontanee le asiatiche palme, i fichi d’India e ogni altra ragione catti a mestola, a costoline, a serpeggiamenti, a ciambelle, a rami e a foglie, né più né meno come spuntano in sulle vicine piaggie africane. Ivi è l’albero del pepe e della carruba; e mandorli e fichi dolcissimi; limoni, melangoli, cedri e aranci di squisito sapore. Ma più d’ogni altro abbella quelle ridenti contrade l’ulivo che vi cresce a boschetti, a selve, a foreste fitte e grandi, come nelle Alpi i faggi, i frassini e i lecci. Or tutto il contorno di Gallipoli carreggia l’olio alla città, in certi magazzini a mare, incavati a guisa di latomie nelle rupi. In coteste celle sono, per via di scarpelli, for-
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mate nel sasso delle conserve profonde a guisa di pelaghetti e di cisternoni, entro i quali si versa l’olio dai mercatanti, e quivi si chiarifica e serba; perocché la pietra di quella rupe è di grana cosi fine, saponacea e soda, che l’olio non vi trapela per fili o pori, ma come il vino in una botte ben cerchiata, vi s’impozza, e siede e purifica per modo, che mandata a basso la morchia e la posatura, s’allimpida e rischiara come uno smeraldo brillantissimo. Ma ciò che torna più speciale a vedere si è, alla stagione del traffico, per quali guise imbottino l’olio, il mareggino e il faccian salir nelle navi. Con ciò sia che posta in uno di quei laghetti una tromba aspirante, e datole spirito, l’olio compresso dall’aria si leva, imbocca un lunghissimo canale di cuoio che lo conduce sin presso il lito del mare, e ivi, come da fontana, sgorga e zampilla nelle pevere che lo introducono nelle botti. Cotalché tu puoi ben dire, che dalla soave terra di Gallipoli l’olio rampolla perenne e scorre a fiumi per cento bocche, e si trasfonde in mille vasi.
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Le botti son poste sopra un piano dolcemente inclinato di due ordini di travi, i quali con lunghissima tesa scendono a metter capo in mare, e forman quasi le guide e le rotaie d’una via ferrata, sulle quali rotolano velocissime le botti e si tuffan nell’acqua e rigalleggiano. E perché il lito è basso, arenoso, e cala cheto cheto insino dove surgon le navi sull’àncora, per tutto quello spazio vedi farsi per lo mare i Gallipolitani e pinger le botti a piè de’ vascelli, che colle grue e colle taglie tiranle a bordo, e calanle a stipare nell’ultima corsia sopra la carena. Quindi vedresti quello esercito di botti in lunghe file graziosamente pigliar mare ondeggiando, cullandosi e danzando sovra i flutti, che lieti sott’esse s’arricciano, s’adimano e rialzano, che ti parrebbe scorgere una falange di capitoni, di delfini e balenotti pazzeggiare sulle placide increspature della marea in tresca attorno ai tritoni ed agli altri figliuoli d’Anfitrite, quali paiono in vero quelle centinaia di marini, che le guidano, spingono, convolgono su pel verdeggiante cristallo dell’onda, ponendosi talvolta cavalcioni ad esse, come veggonsi nelle greche dipinture d’Ercolano Glauco, Anfione e Melicerta cavalcare i pesci; e Venere, Galatea e le nettunie ninfe sedere sulle conchiglie. Dalle mura di Gallipoli, dalle bertesche del castello, dagli spaldi de’ bastioni, dai terrazzi e dai poggioli delle case scorgonsi i cittadini affollati a mirare quel delizioso spettacolo; ed altri dalle rive animar colla voce e coi bianchi fazzoletti i giovani marinari, che seminudi par che guidino all’assalto delle navi quelle stipate coorti galleggianti sui flutti.
A paradigmatic description of Gallipoli in mid-nineteenth century is derived from a chapter by the novel of Jesuit Father Antonio Bresciani (1798-1862) “Ubaldo and Irene: Stories from 1790 to 1814” first published in 1855 in the ninth volume of the journal La Civilta Cattolica . Gallipoli in this essay is the beautiful and ideal city of the “Republic” of Plato, echoing somehow descriptions of Etiquette and taking as inspiration the Briganti report on the sinking took place in the “port” in 1792.
I mercatanti noverano le loro, e già in pensiero le veggono navigare alle isole britanniche; e passati gli stretti del Baltico, dar fondo ai porti di Svezia, di Danimarca e di Norvegia; o pel golfo della Finlandia a Pietroburgo, fornendo del dolce umore dell’olio quelle antiche terre che ne son prive. Ma fra tanta letizia, fra si cheto mareggio, fra si bella e ordinata schiera, ecco un improvviso groppo di venti, che si disserra sopra quel tranquillissimo golfo e scompiglia il mare, e lo trabalza, e infuria tumultuoso e ruggente a flagellare il delizioso rivaggio, che tutto spuma e ribolle sotto il rompere dei marosi. Le botti, piene di si gentile e soave liquore, le quali dapprima si agevoli e soavi procedean verso le navi al più lieve urto dei giovani marinari, ora sparpagliate e riottose cozzansi fra loro con orrendi bussi, e dicerchiansi, e sdogansi, e sfondansi, e il dolce pegno che racchiudeano gelose disperdono sopra i ruggenti cavalloni del mare. I miseri marinai sono divelti da esse, e spartiti e sequestrati e scagliati lontano; ed ove in prima le chete e chiare acque giugnean loro appena ai fianchi e al petto, or fatte altissime e grosse, li cacciano in fondo, sicché a stento per vigor di piè e di braccia tengonsi a galla sovranotando alle spume, ai vortici, al tarruffio rabbioso degli orrendi gorghi, che gl’investono minacciosi,
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Intanto uno spavento al lido, un gridare aiuto dei pericolanti, un accorrer di barchette, un arrancar di remi, uno sconvolgimento indicibile per ogni dove.E le botti fiottarsi, incioccarsi, tempestarsi insieme, come se, in vece di contenere in seno il placido liquore dell’olio, serrassero fra le doghe lo spirito ardente di vitriuolo, o la calce in fermento, o il zolfo acceso. Tanto forte è il buffo di borea e l’impeto del mare, che le sconvolge e arrovella fra loro e contra i marinai che le guidavano alle navi. Noi non sapremmo quale altra comparazione potesse calzare e assettarsi meglio di questa alle placide e tranquille popolazioni italiane verso l’ultimo decennio del secolo trascorso, dopo una pace di quarant‘anni, con principi mansueti e clementi, con leggi paterne, con ischiette usanze, con virtuosi costumi, con pii esercizii di religione, con feste lietissime e gaie, con un certo libero costumare alla domestica fra le arti, le mercature e gli ordini dei più miti e agevoli consorzii dei civili reggimenti degli Stati d’Italia. Tutto moveva a seconda in questo pelago bonaccioso, colorito e di basse e chete acque limpide e cristalline, sulle quali, come i vaselli dell’olio di Gallipoli, procedeano soavemente in vaga mostra galleggianti a diporto i popoli, cui bastava il più lieve urto degli sperti guidatori a condurli a lieti e felici destini d’una vita operosa e tranquilla...
TURISMO
ph. Rita de Bernart
Identità storica, arte e paesaggio
L’ORTO DEI TU’RAT & MILLE PIETRE di Rita de Bernart rrigare i campi, sfruttando l’umidità che contraddistingue il clima salentino, attraverso un antico sistema in uso secoli fa in Oriente. L’Orto dei Tu’rat è un posto unico nel Salento, rarissimo, forse unico al mondo. Nella terra baciata dal sole e dai due mari, si incontrano chilometri e chilometri di muretti e costruzioni a secco, ma quelle a forma di mezzaluna ci sono solo qui, solitarie quasi da sembrare i resti di un antico insediamento.
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I Tu’rat sono cumuli di pietra a forma di mezzaluna, orientati a sud-ovest (in direzione del vento di libeccio) capaci di intercettare i venti carichi di umidità e condensarli in minute goccioline d’acqua. È il cosiddetto fenomeno delle “precipitazioni occulte”. L’acqua generata dalla condensazione dell’umidità
scivola dalla pietra, si posa a terra, irriga il terreno e nutre piante e alberi piantumati a ridosso delle strutture. L’orto è la sede (e proprietà) di un’associazione guidata da Mino Specolizzi, che lo anima organizzando eventi e manifestazione culturali come reading di letture e poesia, teatro, danza e musica. Queste “mezzelune fertili” rappresentano un condensato di millenni di fatica e cura del mondo tradotti in architettura e utilizzano la conoscenza del ciclo naturale dell’acqua e le sue interazioni con le pietre. Il progetto è nato con l’obiettivo di generare spazi dove il confine tra arte, ecologia del paesaggio, biodiversità, identità storica e paesaggistica dei luoghi diventi impercettibile e indistinto e queste componenti si fondano dando vita ad un’oasi di cultura. In particolare, si propone di promuovere la sensibilizzazione verso i temi della sostenibilità ambientale e del risparmio e ottimizzazione
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della risorsa acqua; lo sfruttamento sempre più intensivo del terreno agricolo, anche nel Salento, sta provocando un utilizzo indiscriminato di questo bene primario, con la conseguenza che le falde acquifere si stanno irrimediabilmente abbassando provocando una contaminazione con acqua marina. I n view of small rural buildings made in Salento for various uses by using the material obtained the stone clearing of fields and kilometers and kilometers of dry-stone walls functional to fences and terracing, the Garden of Tu’rat in Ugento is a unique place: the Tu’rat are walls of stone shaped like a crescent moon, facing south-west (towards the libeccio wind) able to intercept the moisture-laden winds and condense them into tiny drops of water that feed trees and plants.
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ph: Alessandro Magni
TURISMO
ph: Augusto Spiri
CASEDDHI Immersi nel cuore torrido delle campagne salentine i Caseddhi sono parte di quel che resta della architettura rurale dell’antico Salento. Costruzioni squadrate ed essenziali realizzate con la tecnica della Pietra a secco, nate inizialmente come deposito degli strumenti dell’agricoltura o momentaneo riparo per i contadini impegnati nei lavoro dei campi. Inizialmente formati da un unico ambiente senza porte. In seguito, per l’esigenza di sostare più a lungo nelle vicinanze del luogo di lavoro furono resi più confortevoli ed intere famiglie vi si trasferivano d’estate, durante le fasi più intense dell’agricoltura.
ph: Augusto Spiri
MURETTI A SECCO Distese di muretti a secco fanno da scenario lungo le strade salentine. Posti a recinzione di campi, campagne e proprietà private. Oggi persino utilizzati per abbellimento. Rappresentano la prima forma di architettura del Salento e risalgono ad un passato in cui la lavorazione dei campi era l’attività prevalente. Cercando di scassare il terreno roccioso tipico di questa zona per renderlo più adatto alla coltivazione i contadini accumulavano ai bordi del campo cumuli di pietre semplicemente addossate le une alle altre. L’intuizione fu veloce. La tecnica poteva essere utilizzata per recintare i confini dei diversi appezzamenti, in alcuni casi anche con una sorta di porta.
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MASSERIA DI RAUCCIO Il Bosco di Rauccio è quel che resta dell’antica Foresta di Lecce. Un polmone verde esteso per chilometri e poi nel tempo falciato per far spazio a campi coltivati e uliveti, scampato agli strumenti dei salentini che abitavano le “pajare”. Un concentrato di specie arboree, storia e architettura. Oggi Parco Naturale Regionale. Qui domina il complesso masserizio fortificato, fondato intorno al XVII secolo a difesa degli agricoltori dalle scorribande dei briganti e dei pirati turchi. I muretti a secco si snodano come serpenti fra la vegetazione, alternati da resti di antiche costruzioni, fra cui emerge il rudere dell’antica torre colombaia.
ph: Nunzio Pacella
TERRAZZAMENTI Un canyon tutto salentino di autentica e rara bellezza. Il canalone del Ciolo è una delle più spettacolari gravine della nostra provincia. Partendo dal centro abitato di Gagliano del Capo l’area percorre circa tre chilometri fino a giungere alla gola e al noto ponte del Ciolo. Le distese di roccia sono interrotte dalla imponente gradinata in pietra, dalle pajare e dalle opere in muratura a secco; e soprattutto da un mosaico di fazzoletti di terreno definiti dai muretti a secco eretti a protezione del vento. I terrazzamenti destinati all’agricoltura lungo i pendii che caratterizzano il territorio salentino.
ph: Nunzio Pacella
CASEDDHI A TRULLO Splendidi esempi dell’architettura rurale salentina queste costruzioni a forma di tronco di cono, chiamati in alcune zone pajari (probabilmente da paglia, poiché usati come deposito), sono una forma più evoluta dei classici caseddhi. Simili ai trulli, con pianta circolare e costruiti con pietre ricavate dai terreni circostanti. Solitamente dotati di un’unica camera senza finestre verso l’esterno. Dotati spesso di terrazze utilizzate per l’essiccamento di pomodori o tabacco. Utilizzati anch’essi per brevi periodi ed in seguito anche come abitazione. Grazie allo spessore di queste particolari strutture che assicura il fresco all’interno anche nella stagione calda.
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ph. Giuseppe Marasciulli
WEEKEND A
GROTTAGLIE,
tra nchiosce, pumi e capasoni ph. Tonio Giuliani
di Imma PetĂŹo
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TURISMO
In qualsiasi periodo dell’anno vi troviate a visitarla, sappiate che, entrando nelle articolate e labirintiche vie di Grottaglie (che prende il nome dal latino “Cryptae Aliae”- molte, diverse grotte), le vostre percezioni giungeranno ad un bivio: restare nel presente o perdersi nel sogno del passato. Il problema è che entrambe le strade appaiono allettanti, dunque realizzerete di avere solo il potere di scegliere da dove cominciare e lasciarvi poi guidare dalle emozioni. Che si scelga di cominciare dal apassato o dal presente, Grottaglie, insieme al suo circondario, è una delle città della Provincia di Taranto dove più si può respirare l’“aria di Puglia”, cioè quell’atmosfera austera e poetica che si può vivere e respirare solo qui; un’aria che ti fa sentire un po’ perso, ma allo stesso tempo in estasi per la bellezza e l’unicità dei paesaggi, per i colori, i profumi e i sapori... che ti fa quasi venire voglia di restarci per sempre. Ad attendervi nelle campagne circostanti c’è la Lama di Riggio, che, con le sue scenografiche cascate e le grotte cosiddette “del farmacista” per la varietà di erbe medicinali che vi crescono, appare davvero come un miraggio inaspettato. Passeggiando nel centro cittadino, assaporerete con leggerezza la grazia barocca dei balconi, le logge ed i portali in pietra, e i ricami in ferro battuto, mentre i “pumi”, oggetti tradizionali realizzati a mano con la forma di un bocciolo circondato da foglie d’acanto, padroneggiano lo scenario non appena lo sguardo si eleva verso l’alto.
ta; i pumi sono lì, con la loro forma arabeggiante ed i loro colori vivi, ad aspettare che voi rivolgiate loro la giusta attenzione, per potervi augurare una buona permanenza o, chissà, per suggerirvi la risoluzione di un dilemma che vi tormenta da un po’, suscitando in voi proprio quello spirito di rinascita che simboleggiano, per apportarvi energia vitale e di rinnovamento. Sempre dondolando tra passato e presente, vorremmo suggerirvi di non perdere due notti di fine estate (17-18 agosto), in cui nella cittadina prende forma e vita Orecchiette nelle “nchiosce”: un evento di risonanza ormai mondiale dove il termine dialettale sta ad indicare proprio i vicoli ciechi del caratteristico centro storico, che per l’occasione si trasformano in un palcoscenico d’eccezione dove arte, musica e spettacolo si combinano per celebrare l’orecchietta, ambasciatrice della pugliesità nel mondo e icona assoluta della gastronomia regionale, così amata, imitata e decantata. Le stesse ‘nchiosce, per tutto il resto dell’anno, vi conducono in un quartiere di botteghe formatosi nei secoli lungo la millenaria gravina di San Giorgio, dove i ceramisti hanno ricaph. Michele Patichecchia
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Il pumo è parte integrante della storia locale così come della modernità, e ogni famiglia lo esibisce sul proprio balcone o terrazzo. Che i grottagliesi lo espongano per “amor di patria”, per campanilismo o come portafortuna, non impor-
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E ntering in the labyrinthine streets of the city, a place full of tradition, art and poetry, the baroque grace of balconies, loggias and stone portals, are the scenes of the town’s three features: the “Pumi”, traditional hand-made pottery with the shape of a bud surrounded by acanthus leaves; the “nchiosce” blind alleys of the old town that in mid-August celebrate the orecchiette between art, music and entertainment; the “capasoni”, containers of considerable size mainly intended to contain the wine or the oil.
vato laboratori e forni di cottura nella roccia di ambienti ipogei utilizzati in passato anche come frantoi. Qui, gli esperti artigiani continuano a trasformare l’argilla in oggetti artistici alla base dell’economia locale, imprimendo il proprio personalissimo stile su ogni oggetto realizzato. Grottaglie è l’unico centro ceramico pugliese protetto dal marchio D.O.C. ed è inserita nel ristretto elenco delle 28 città della ceramica italiana. È possibile trovare di tutto e soddisfare anche i gusti più ricercati: in questo quartiere la modesta argilla può divenire un capolavoro d’arte di livello elevatissimo, oppure tramutarsi in ceramiche rustiche di uso comune, caratterizzate da una tavolozza cromatica che va dal color verde marcio al giallo ocra, dal blu al manganese. A quest’ultima tipologia di produzione appartiene il tipico “capasone”, cioè un contenitore di notevoli dimensioni destinato prevalentemente a contenere il vino oppure l’olio. Simbolo di una tradizione che sta a rappresentare in maniera così frugale e allo stesso tempo così affascinante tutto ciò che di più tipico nasce in Puglia: il vino e l’olio. Vi lasciamo, però, con un’immagine metaforica della suggestiva cittadina di Grottaglie, che vi invitiamo quindi a visitare con la stessa curiosità con cui scoperchiereste un “capasone” a voi ignoto, ma pieno di tradizione, d’arte e di poesia.
ph. Alberto Susara
TURISMO
45 Si ringrazia la Proloco di Grottaglie che ha cortesemente fornito le immagini
TURISMO
Al gusto non Sapori di una volta…
I COGNOTTI DI TARANTO di Massimo Vaglio I “cognotti”, una particolare concia di ostriche, cozze ed altri molluschi, appartengono ormai solo alla storia della città di Taranto, di cui sono stati praticamente un’esclusività. Prendono il nome dai loro contenitori, dei barilotti di legno dal profilo vagamente cuneiforme. Di questi “cognotti” si trova riscontro in documenti e testi risalenti già a tre secoli addietro, anche se il loro uso è certamente più antico, risalendo secondo alcuni studiosi ai tempi di Apicio. E Luigi Sada, emerito studioso del campo, ne riporta una versione: “i frutti delle ostriche, delle cozze o del calcinello si cavano dal guscio e si friggono sino a raggiungere un alto grado di cottura chiamato ‘un secco di frittura’ che rende il frutto molto ammorbidito. Indi si fa bollire aceto, miele, biscotto grattugiato, un po’ di cannella per la durata di quaranta, cinquanta minuti. Quando si raffreddano, si mescolano i frutti dei bivalve e si conservano nel liquido prodotto in un vasetto di terracotta maiolicata grottagliese (capasédda) per la durata di dieci giorni. Dopo di che vengono messi nei cognotti. Dopo altri dieci giorni si possono portare a tavola”. Questa rarissima preparazione non ha più, inspiegabilmente ormai da tempo, cultori, eppure numerose e lusinghiere sono le referenze positive che la riguardano a partire da un ampio medagliere conquistato in tante rassegne internazionali del secolo dei lumi.
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Un’illustre testimonianza ce l’ha lasciata pure lo scrittore Guido Piovene, che avendo fatto in tempo a conoscere i “cognotti” intorno alla metà del secolo scorso, quando a Taranto ancora li produceva la rinomata pasticceria La Sem, li ha gustati e apprezzati citandoli poi nel suo libro “Viaggio in Italia”. Oggi, che la gastronomia è in continua ascesa e lascia intravedere anche per il prossimo futuro un trend nettamente positivo, chissà se anche i “cognotti” non possano tornare meritoriamente in auge. Ecco una versione molto esemplificata: 2 kg di ostriche, 6 dl d’aceto bianco di vino, 500 g. di miele, farina 00, 100 g di biscotti di pasta frolla tritati, 100 g di mandorle leggermente tostate e tritate, 50 grammi di scorze d’arancia e o di limoni candite e cannella in polvere q.b. Pulite le cozze, raschiatele, e lavatele accuratamente, ponetele in una casseruola con un filo d’acqua sul fondo e fatele aprire. Eliminate le valve e ponete le cozze a sgocciolare in un colino. Infarinatele e friggetele in abbondante olio da frittura bollente, sino a farle acquisire una colorazione bruno dorata, quindi ponetele su carta assorbente a perdere l’unto in eccesso. Fate scaldare in una bastardella di acciaio inox il miele con l’aceto allungato con un po’ d’acqua e appena accenna a bollire unite le cozze, tutti gli altri ingredienti e continuate la cottura per almeno cinque minuti. Versate quanto ottenuto ancora bollente in un vaso preferibilmente di vetro opaco, chiudetelo e lasciate raffreddare. Una volta aperto, il prodotto va tenuto in frigo e consumato in breve tempo.
T he “cognotti”, a special treatment of oysters, mussels and other shellfish, now belong only to the history of the city of Taranto, which were practically an exclusivity and where it was possible still taste until the middle of the last century. We are talking of shelled seafood and fried in oil, kept for 10 days in a clay pot with cold liquid made by boiling the vinegar, honey, grated biscuit and a pinch of cinnamon, and then packed for another 10 days in wooden barrels.
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TURISMO
n si comanda G&co, proposte tra gusto, sensi e benessere
UN GELATO “AFFOGATO” SOCIAL di Federica Sabato aterie prime di altissima qualità, tanta lavorazione manuale, passione, inventiva e sperimentazione: sono questi gli ingredienti per una nuova filosofia del gelato artigianale, quella sposata da alcuni anni dalle sorelle Antonella, Annalisa, Gabriella e Miriam Ricchiuto, che hanno fatto dell’amore per il gelato realizzato solo con materie prime di altissima qualità e dell’innovazione i loro punti di forza.
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I prodotti biologici, quelli raccolti dagli appezzamenti di terreno a loro vicini, per intenderci, vengono curati e infine trasformati. Niente viene lasciato al caso e soprattutto ogni prodotto naturale può diventare gelato, grazie alla loro sapiente manualità. Oltre ai classici e più commerciali gusti, dalla gelateria G&co a Tricase si possono trovare molti sapori esclusivi e originali, come il gelato al pane, all’olio d’oliva, alla birra, alla rosa, prodotto tenendo in infusione i petali di rosa. Non finisce qui: uno dei punti di forza di G&co è il gelato naturale all’aloe, pianta dalle mille virtù, che, oltre a stimolare il sistema
immunitario, depura l’organismo, migliorando le funzionalità di fegato e reni e del sistema linfatico. Le sorelle Ricchiuto lo preparano estraendo il succo naturale di questa preziosa pianta, lo lavorano e lo trasformano in gelato. Riguardo ad innovazione e sperimentazione non sono seconde a nessuno. Lo hanno dimostrato preparando un gelato di alto livello con la canapa e un altro contaminato al tabacco, quest’ultimo presentato nell’ambito della rassegna “La notte dei Sensi”. Con questa scelta hanno rievocato la storia del Salento contrassegnata dalla presenza dei campi di tabacco, ma anche fornito ai palati più sopraffini un gusto ottenuto dalla miscelazione di 27 tipi di tabacco, con profumi di H igh quality raw materials, organic products, manual skills, passion, inventiveness and experimentation, are the ingredients of the new philosophy of ice cream of the sisters Antonella, Anna, Gabriella and Miriam Curley, who have innovated in Tricase with the ice cream tastes as breads, olive oil, beer, rose, aloe, hemp and, very special, tobacco, obtained by mixing 27 types of tobacco, with chocolate fragrance, vanilla, rum aftertaste, licorice and berries.
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cioccolato, vaniglia, retrogusto di rum, liquirizia e frutti di bosco. Tra gli eventi di maggiore rilevanza e con un risvolto sociale che organizza G&co, ci sono il “Choco day”, in cui vengono raccolti i fondi per la ricerca contro le malattie tumorali, e il concorso “Gusti e Colori” con un risvolto pedagogico, perché la fantasia dei bambini che disegnano la loro idea di gelato permette agli adulti di interpretare il loro mondo.
TURISMO
AL MERCATO DELLE GOLOSITÀ CON...
La Sporta Testi e foto Nunzio Pacella
Con la sporta sotto il braccio scopriamo a
Matino in via Basento, 13 il ristorante a gestione familiare “Gusta e Degusta” dove Danilo Romano chef diplomato all’Alberghiero di Santa Cesarea Terme prepara ai fornelli con l’aiuto di mamma Teresa Sperti le cose buone del mare di Gallipoli e le fresche verdure dell’orto coltivate da papà Carmelo alle “Culine”, campagna appena fuori dal paese. Il mago di Matino racconta con passione ed orgoglio agli ospiti, nell’accogliente e molto ben arredato ristorante oppure ai tavoli al chiar di luna, i suoi deliziosi e gustosi piatti preparati con i salumi di pesce della sua Offishina lavorati con il tradizionale metodo dell’essicazione e salatura del passato quando cioè il pesce invenduto era essiccato dai pescatori al chiaro vento di Gallipoli. Tanta
bontà è servita a tavola con uno smagliante sorriso sulla bocca dalla giovanissima sorella Pamela e dalla bella moglie Veruska Bonaparte.
I nostri piatti
Frisella di ‘nduja marina spalmabile con cocuzzolo di ricotta vaccina
Crudo nello stagionato con bresaola di tonno affumicato fragola, vincotto e grana 48
TURISMO
OFFISHINA ITTICA
da Gusta e Degusta
Danilo Romano produce salumi di pesce nel suo laboratorio di idee Offishina, salumeria ittica di Puglia in via Basento, 13 a Matino, insieme ai tecnologi alimentari Giorgio Paolo Manco e Carlo De Marco. Insacca la poesia del mare e del Salento, terra di pescatori e di vecchie tonnare dove gli odori e i sapori sono senza tempo. Produce: bresaola di tonno, lonza di pesce spada, salamino o soppressata di pesce azzurro e molto altro da consumare al tavolo del suo confortevole e molto ben arredato ristorante Gusta e Degusta di Matino dove il mare incontra la terra. L’affumicatura e l’essicazione naturale dei suoi salumi di pesce come da antica tradizione dei pescatori gallipolini, regalano profumi , sapori intensi e soprattutto il gusto particolare delle cose buone e sapide.
Il trentacinquenne chef diplomato all’Alberghiero di Santa Cesarea Terme, Danilo Romano ha sempre amato i fornelli. Prima, ha rubato il mestiere davanti a quelli di nonna Sara, poi l’ha perfezionato seguendo i consigli della sua amata mamma Teresa che da sempre prepara in casa le buone verdure coltivate da papà Carmelo alle “Culine”, campagna appena fuori dal paese ed infine l’Alberghiero l’ha fato chef di successo. Ai fornelli del ristorante Gusta e Degusta di Matino ancora oggi con mamma Teresa prepara deliziosi piatti dove i profumi della terra ben si sposano con i sapori del mare. Nei piatti c’è armonia, delicatezza, sapidità e soprattutto tanto amore per le cose buone, sane e fresche. Prepara tutto, dagli antipasti ai primi e secondi piatti con i prodotti della sua Offishina, cioè a base di salumi di pesce come la lonza di pesce spada che avvolge una sottile fettina di melone, la morbida ‘nduja marina spalmata sul pane con ricotta vaccina, la carbonara di zucchine e bacon, i maccheroncini con bresaola di tonno, mandorle e mollica alle olive, il violetto di Gallipoli bardato con speck di pesce spada su purea di legumi.
Carbonara di zucchine e bacon di pesce spada e maccheroncini con bresaola di tonno, mandorle e mollica alle olive
Gamberi di Gallipoli bardati con speck di pesce spada su letto di purea di ceci 49
Gallipoli, Corso Roma +39 0833 261038
Ambiente
Salvatore De Michele | Lo sforzo di pesca nel mare .............................................................................................. 52 Alfredo Albahari | Osservatorio ambiente ........................................................................................................................ 54 Giovanni Nuzzo | Friend of the sea............................................................................................................................................ 56
SALVATORE De MICHELE Ammiraglio emerito del Corpo delle Capitanerie di porto
ALFREDO ALBAHARI Docente emerito di Navigazione negli istituti Nautici
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GIOVANNI NUZZO Docente presso i licei scientifici, giornalista e appassionato di mare
AMBIENTE
Lo sforzo di pesca nel mare ph. Nunzio Pacella
di Salvatore De Michele
Venti cooperative pugliesi hanno presentato alla Regione Puglia un piano di gestione locale – denominato Mare del Salento – per ridurre lo sforzo di pesca nei compartimenti marittimi di Brindisi, Gallipoli e Taranto. Così ci informa il Giornale dei Pescatori.
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AMBIENTE
un fatto significativo. È una presa di coscienza da parte dei pescatori che, fatta salva la normativa nazionale e comunitaria, mirano a stabilire regole di comportamento comuni per ridurre lo sforzo di pesca che teoricamente si calcola moltiplicando il numero dei pescherecci in esercizio per il tempo trascorso in mare. Ha rilievo anche la stazza e la potenza dei loro motori. Un peschereccio di una certa stazza e con apparato motore potente, nello strascico, ha un impatto rilevante sul fondo del mare. Per non parlare delle navi da pesca, vere draghe che raccolgono tutto e sconvolgono l’habitat marino. Il progetto delle cooperative pugliesi ha per fine un sistema di autogestione locale che valorizzi le diversità di ogni singola zona di pesca. Il fine ultimo è la pesca sostenibile. Un comportamento etico: rispettare il mare, applicare le regole esistenti, bandire la pesca abusiva, impiegare gli attrezzi di pesca previsti, senza modifiche e varianti di sorta, come, per esempio, l’applicazione di lucette intorno alla bocca delle reti a strascico, che funga da richiamo per i pesci, o utilizzare reti a strascico con il sacco a maglie strette e quanto altro.
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L’abusivismo è contagioso, nel senso che se viene praticato da uno o pochi pescatori, gli altri, per spirito di emulazione, si associano e poi ciascuno dà la colpa agli altri e tutti si ritengono giustificati e l’abusivismo continua. Un piano locale di pesca che parta dalla base, cioè dalla volontà dei pescatori, dà garanzia che possa funzionare.
SCIENZA & AMBIENTE
In sostanza si vuole allungare il fermo di pesca secondo precise cadenze, in modo da consentire il ripopolamento delle diverse specie ittiche, in cambio di sussidi da parte della Regione. Pescare di meno e gradualmente ridurre il numero dei pescherecci che utilizzano questa tecnica di cattura. È significativo il fatto che nei compartimenti del sud la pesca a strascico è esercitata prevalentemente con pescherecci di stazza lorda inferiore a 10 tonnellate e come tale rientrante nella piccola pesca. Ciò rende meno costosa questa attività e la incoraggia. Anche gli abissi del mare sono a rischio. Ridurre il numero dei pescherecci operanti e il numero delle ore in attività di pesca rafforzando il sistema di vigilanza e controllo, sono gli orientamenti della UE per una pesca sostenibile. La diversificazione della pesca tradizionale verso attività turistiche, di ristorazione e ospitalità a bordo rappresenta un’altra strategia per la tutela dell’ecosistema marino. Si passa da un criterio di sfruttamento delle risorse ad un approccio con il mare di tipo culturale, dove la pesca diventa un’attività marginale effettuata comunque con attrezzi selettivi. Sono le attività di pescaturismo e ittiturismo. La legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, nr. 13 contiene i principi generali ma anche le procedure da seguire per l’esercizio di queste nuove attività che prevedono l’impiego, quali operatori della pesca, dei lavoratori e soci dell’impresa ittica, ma anche, in modo occasionale, di parenti e affini dell’imprenditore stesso. Le attività in questione sono soggette ad autorizzazione e controllo da parte del Capo del compartimento marittimo.
L’attenzione per l’ambiente è una costante del Liceo “Quinto Ennio” di Gallipoli, per altro declinata in modo tale da ottenere sempre nuovi e prestigiosi riconoscimenti della qualità della ricerca. Al concorso dell’Ue “Giovani scienziati” svoltosi a Milano, il primo premio, che proietterà i vincitori a rappresentare l’Italia nel concorso internazionale Eucys in programma a Bruxelles, è stato appannaggio della stessa scuola diretta da Antonio Errico e della stessa docente di scienze Rossana Congedo che l’hanno scorso si imposero con il Metals Catchers. Cambiano gli allievi, Cristina D’Amato e Simone Margarito della classe 4D opzione scienze applicate dell’indirizzo scientifico, ma in costanza anche della valorizzazione di scarti di filiera alimentari: quest’anno nòccioli di ciliegia diventati biomateriale a basso costo che, aggiunto all’argilla espansa, l’alleggerisce e la rende idonea all’isolamento termico. Il secondo progetto, elaborato dagli allievi delle classi prima e seconda della stessa professoressa Congedo (rappresentati da Luigi Gabellone, Francesca Minerba e William Sferrati) e che punta ad usare dei licheni come bio-accumulatori e bio-indicatori mediante un “pannello smog-assorbente”, è stato selezionato per rappresentare l’Italia tra i 50 Paesi dell’Olimpiade internazionale della sostenibilità e dell’ambiente che si è svolto a Utrech, in Olanda; dove è stato ulteriormente apprezzato, tanto che nelle prossime settimane il team parteciperà alla Conferenza per giovani scienziati di Nuova Delhi. Infine, il progetto di controllo delle acque di falda con l’aiuto di batteri bioluminescenti di Riccardo Congedi, Alessandro Palma e Lorenzo Perrone, allievi della classe terza, docente Teresa Filanti, è stato selezionato per essere presentato all’Expo Scienze Europe di Tolosa.
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AMBIENTE
Osservatorio ambiente di Alfredo Albahari
ph. Bruno de Giusti
ph. wikipedia
LA GRANDE BARRIERA CORALLINA...
...prima
...ed ora
BARRIERA CORALLINA
ALGHE & SALUTE
a grande barriera corallina situata al largo delle coste australiane, Patrimonio dell’Umanità, risulta gravemente danneggiata nella parte settentrionale per circa mille chilometri, pari a circa metà della sua lunghezza. Il riscaldamento globale ha prodotto lo sbiancamento dei coralli e c’è il rischio che il fenomeno dovesse perdurare, non solo il corallo non ritorni più al colore primitivo, ma possa sgretolarsi e diventare preda dei pesci mangiatori di corallo. Per fortuna ci sono coralli che possono sopravvivere a temperature molto alte; ed è stato appurato che alcuni coralli, sottoposti a stress di breve durata, che hanno portato ad un lieve sbiancamento, hanno successivamente sviluppato una resistenza al fenomeno. La parte sud della Barriera risulta al riparo dal fenomeno dello sbiancamento grazie al ciclone tropicale e alle intense piogge che sempre l’accompagnano e che raffreddano le acque. Sul fenomeno, perciò, si può essere moderatamente ottimisti, ma sono tante e molto gravi le conseguenze prodotte dal riscaldamento globale, che impongono un’azione rapida e incisiva di tutti i governi mirata alla sua drastica riduzione.
e alghe sono notoriamente ricche di minerali, di proteine, di amminoacidi essenziali e ancora, sono molto ricche di fibre e povere di grassi. Uno studio ha attribuito la bassa incidenza di alcuni tumori in Giappone al gran consumo di alghe che si fa in quel Paese. Ricercatori dei laboratori di Biochimica e di Zoologia e Biologia Marina dell’Università del Salento, hanno sperimentato che la caulerpina, un metabolita di un’alga, potrebbe essere utilizzata con buoni risultati nella cura del carcinoma ovarico. L’alga è la Caulerpa Cylindracea, che si ritiene sia arrivata dall’Australia fino a noi dallo scarico dell’acqua di zavorra della navi, è altamente invasiva e sta creando non pochi problemi per la fauna marina. Pare, ad esempio, che i saraghi siano molto ghiotti di tale alga e ciò comprometterebbe la qualità della loro carne, che sta diventando stopposa e quasi immangiabile. È duplice, pertanto, il motivo per il quale si deve intervenire subito a ripulire i nostri mari da quest’alga “aliena”: per non alterare irrimediabilmente l’habitat della fauna marina e per poterla utilizzare nella prevenzione e cura di alcuni tumori.
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AMBIENTE
WWF, TORRE GUACETO & IL NUOVO CENTRO VISITE opo un periodo che può essere definiti difficile, Torre Guaceto ha messo il punto fermo della rinascita grazie all’impegno del WWF. D’altra parte, furono i suoi volontari, e primo tra tutti l’indimenticato Gino Cantoro al quale sarà intitolato il centro di recupero delle tartarughe marine di prossima inaugurazione, a immaginare la realizzazione di un’oasi sul litorale brindisino. Momento visibile di svolta, l’inaugurazione del Centro visite a Serranova. Completamente rinnovato, è dotato di pannelli touch che forniscono all’utente sia le informazioni generiche sulla riserva, ché quelle specifiche circa i vari ambienti dell’area protetta. Inoltre, coniuga gli itinerari reali nell’Oasi con quelli virtuali in 3D che aggiungono, tra l’altro, la magia della ricostruzione del villaggio di Torre Guaceto nell’Età del bronzo.
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I visitatori possono anche guardare ed ascoltare testimonianze inerenti importanti filoni della cultura popolare, come la pizzica, per mezzo degli stessi protagonisti delle tradizioni che oggi vanno perdendosi.Infine, vi sono due originali aree espositive a disposizione degli utenti: in una sono esposti reperti risalenti anche all’Età del bronzo rinvenuti a seguito di scavi archeologici nell’area della riserva; nell’altra, diorami sull’ambiente marino sommerso dell’Area Marina Protetta. Completamente rinnovato anche il luogo-simbolo della Riserva: la torre aragonese è diventata un vero e proprio museo, grazie all’imponente installazione storico-artistica di una nave romana da trasporto realizzata dal maestro d’ascia Mario Palmieri in scala 1:1 che consente di apprezzare evidenze archeologiche rilevate nelle acque dell’Area Marina Protetta.
“Il sogno si fa progetto – ha detto Nicolò Carnimeo, delegato regionale del WWF Puglia e vice presidente di Torre Guaceto – questa riserva e questo territorio devono essere difesi con i denti e abbracciati dalle Istituzioni. Il nostro modello può e deve essere replicato. Torre Guaceto come nelle epoche passate stigmatizza come nessun altro luogo il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive e come questa relazione deve evolversi, è un meraviglioso laboratorio a cielo aperto”.
Nello scenario rappresentato dalla “destinazione Puglia”, è nata la Fondazione “ITS per l’Industria dell’Ospitalità e del Turismo Allargato” che, attraverso la formazione di risorse umane altamente qualificate, vuole contribuire a generare una competitività attrattiva a lungo termine in un settore strategico per lo sviluppo della regione e della sua economia. Istituiti dal MIUR e dalla Regione di appartenenza, gli Istituti Tecnici Superiori costituiscono, in Italia, la nuova frontiera dell’Istruzione terziaria professionalizzante. I corsi ITS hanno durata biennale e assicurano un elevato placement dopo pochi mesi dal diploma (70% di occupazione a 6 mesi e 78% a 12 mesi dall’uscita dal corso - Dati Censis, 2015). I primi due percorsi avranno inizio nel mese di ottobre 2016: • Corso per Tecnico Superiore per la gestione dei servizi di accoglienza, della comunicazione e della promozione dell’offerta turistico-ricettiva; • Corso per Tecnico Superiore per la ristorazione e la valorizzazione dei prodotti territoriali e tipici. Ciascun corso è rivolto a 25 giovani e adulti in possesso di diploma di scuola media superiore o di titolo equipollente acquisito in un paese membro dell’UE, che vogliano intraprendere un’attività nel campo turistico. Per maggiori informazioni sulle selezioni: www.itsturismopuglia.gov, pagina Facebook oppure telefonare allo 0832 346787.
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AMBIENTE
Riconoscimento per l’acquacoltura di “MareVivo”
Friend of the sea di Giovanni Nuzzo n marchio di qualità per prodotti da pesca e acquacoltura sostenibili è stato raggiunto a pieni voti dall’azienda ittica salentina di Castro “MareVivo”, che già da anni si fregia dell’etichetta internazionale. Il riconoscimento giunge dalla rete dei controlli che vengono eseguiti periodicamente nei vari laboratori di analisi, vantandosi così del marchio di Friend of the Sea sui prodotti ittici in vendita. I criteri utilizzati per ottenere la certificazione sono stati illustrati in occasione di un incontro che si è avvalso della splendida cornice dell’Hotel Panoramico di Castro marina. Durante la manifestazione sono stati illustrati i progressi realizzati e l’impegno profuso, proprio dallo stabilimento castrense, per garantire la più alta qualità in termini di sostenibilità delle attività di pesca che scaturiscono dalla propria imbarcazione.
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La pesca del pregiato Moscardino, Triglia di fango, Gambero rosa, Nasello e Cannocchia avviene infatti a Sud Est della penisola italiana, nelle acque che bagnano il Salento tra Otranto e Santa Maria di Leuca. La Pescheria offre tutti i giorni prodotti genuini del mare e rappresenta il cuore pulsante della filiera corta. Non vengono, infatti, sfruttati oltre il consentito gli stock ittici e non viene toccata la fauna ittica delle aree protette, mentre si punta alla valorizzazione degli scarti e delle specie di pesci “poveri”. Sono stati evidenziati inoltre, i rigidi criteri che bisogna rispettare per essere in linea come stabilimento eco sostenibile.
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“Tale successo - spiega Vincenzo Ciullo, manager e responsabile dell’azienda MareVivo - è frutto della nostra storica famiglia, che da tre generazioni alterna genuinità e qualità dei prodotti ittici garantiti per essersi dedicati al mare e alla cucina, le cui ricette si tramandano dalle origini ad oggi. Puntiamo per questo ad esportare all’estero sia un prodotto ittico locale che una ricetta tipica salentina”. Emerge in questo modo una gestione intelligente dei mari che certamente aiuterà, nel corso degli anni, a superare le difficoltà nella creazione di posti di lavoro favorendo lo sviluppo del territorio, avendo sempre come obiettivo la sostenibilità. Un progresso delle attività in mare lungo la fascia costiera di cui l’acquacoltura rappresenta anche un importante fattore di crescita economica.
Nautica&Mare I CLICK di Simone Cerio...................................................................................................................................................................... 59 Lucio Causo | La fine del sommergibile “Da Vinci” (23 maggio 1943)............................................. 60 L’uomo e il mare nella pittura di Max Sauvage........................................................................................................... 61 Salvatore Negro | “Ci vorrebbe un miracolo” di Davide Minnella.......................................................... 62 Enrico Tricarico | Pescatore: un successo di Pierangelo Bertoli................................................................ 63 Giuseppe Leopizzi | Il mio Mare.................................................................................................................................................. 64 XXXI Regata Internazionale Brindisi Corfù................................................................................................................... 64
SIMONE CERIO Reporter specializzato in fotogiornalismo e linguaggi multimediali
LUCIO CAUSO Scrittore e socio ordinario della Società di storia patria per la Puglia
SALVATORE NEGRO Regista, autore di soggetti e sceneggiature
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ENRICO TRICARICO Pianista, compositore e direttore d’orchestra
GIUSEPPE LEOPIZZI Compianto sacerdote, docente e poeta
foto: Alfonso ZuccalĂ
La Puglia ti attende Otranto ti accoglie CittĂ di Otranto
NAUTICA&MARE
i ClicK
di Simone Cerio per Emergency*
*Le immagini fanno parte della mostra “La prima aurora� allestita nel Castello di Gallipoli fino al prossimo 2 ottobre.
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NAUTICA&MARE
Il 29 luglio 1943 al largo di Santa Maria di Leuca
L’affondamento del
Sommergibile Pietro Micca di Lucio Causo L’8 febbraio 2004 una delegazione dell’Associazione Marinai d’Italia - Sezione di Lecce - rese omaggio ai commilitoni morti del sommergibile Pietro Micca, affondato al largo di Santa Maria di Leuca, nelle acque antistanti Punta Ristola, il 29 luglio 1943. L’unità italiana, a causa di un’avaria, non poteva immergersi e doveva rientrare a Taranto, per cui fu colpita mortalmente da un siluro lanciato da un sommergibile inglese che l’aveva avvistata. Il Presidente, con parole toccanti, volle ricordare quei compagni morti in quella circostanza. Subito dopo la delegazione, recatasi sul molo di Leuca, lanciò una corona di fiori in mare. Il Pietro Micca, realizzato dai cantieri Franco Tosi di Taranto su progetto dell’ing. Cavallini, Capitano del Genio Navale, fu impostato il 15 ottobre 1931, varato il 31 marzo 1935 e consegnato al IV Gruppo Sommergibili della Regia Marina il 1° ottobre 1935.
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Costruito con tecniche di avanguardia, aveva a prua e a poppa sei camere lanciasiluri, due cannoni da 120 millimetri e 4 mitragliere. All’inizio della seconda guerra mondiale fu inserito nella 16^ Squadriglia del 1° Gruppo Sommergibili di base a La Spezia. Le prestazioni che il progetto del Micca si prefissava erano molto ambiziose: il nuovo sommergibile, definito oceanico, doveva effettuare la posa di mine ed essere impiegato per l’attacco di navi con i siluri; aveva grande velocità ed autonomia. Lungo 90,31 metri e largo 7,70, raggiungeva in navigazione la velocità massima di 15,5 nodi che diventavano 8 nodi in immersione. L’equipaggio era costituito da 72 uomini, compresi 8 ufficiali. Dopo la consegna al IV Gruppo Sommergibili, fu dislocato a Taranto e clandestinamente prese parte alla guerra di Spagna con due missioni: la prima il 23 gennaio 1937 al comando del capitano di corvetta Ernesto Forza
con il compito di pattugliare le acque al largo di Valencia; la seconda il 13 febbraio 1937 in zona di guerra, però dovette sospendere l’offensiva subacquea per rientrare con le altre unità in Italia. Nel corso della grande rivista navale del 5 maggio 1938, tenutasi nel Golfo di Napoli in onore di Hitler, il Micca fu alla testa dello schieramento degli 85 sommergibili che si esibirono. Con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il sommergibile, al comando del capitano di fregata Vittorio Mogherini, era già in missione nella notte del 12 giugno 1940 con l’incarico di porre 40 mine innanzi al porto di Alessandria d’Egitto, operazione che fu ripetuta nella notte del 12 agosto con altre 40 mine al comando del capitano di fregata Alberto Ginocchio. A sud di Creta silurò anche un cacciatorpediniere inglese. Dopo il 1940 il Micca venne modificato per essere adibito a missioni di trasporto in Libia e nel mare Egeo.
j uly 29, 1943, off the coast of Santa Maria di Leuca, was sunk the submarine “Pietro Micca” which was launched in March 31, 1935 in the shipyard of Taranto, called oceanic because he had great speed and autonomy. It was sunk as a result to an attack of the english submarine called “Trooper”, while he was forced to navigate on the surface for a failure in the ballasting system. The submarine had a crew of 72 men: survived in 18; The wreck was located to 2.6 miles from Punta Ristola in 1994.
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NAUTICA&MARE
A partire dal 1941, sotto il comando del capitano di corvetta Guido D’Alterio, svolse 15 missioni trasportando 2163 tonnellate di rifornimenti. Nel mese di aprile, mentre da Taranto si dirigeva a Lero, avvistò un convoglio nemico che attaccò col lancio di due siluri. Giunto a Lero rimase danneggiato da un siluro che era uscito casualmente dai tubi poppieri esplodendo a breve distanza dal battello, danneggiandolo. Dopo le prime riparazioni dovette portarsi a Taranto, dove i lavori si protrassero da giugno a novembre 1941. Alla ripresa del servizio venne ancora impiegato in missioni di trasporto materiale bellico, viveri e benzina; il comandante D’Alterio fu rimpiazzato da Alberto Galeazzi di pari grado. Nel 1942 effettuò una missione offensiva nei pressi di Malta. Nell’ottobre dello stesso anno si trovò nel mezzo di una violenta tempesta che gli provocò seri danni e dovette rientrare in porto. Il 15 giugno 1943 ne assunse il comando il tenente di vascello Paolo Scrobogna. Il 24 luglio 1943 il Micca salpò da Taranto diretto a Napoli. Al largo di Capo Spartivento Calabro, a causa di un’improvvisa avaria al sistema di zavorramento che gli impediva di immergersi, dovette in-
vertire la rotta per rientrare a Taranto. Avrebbe dovuto incontrarsi al largo di Santa Maria di Leuca con la nave appoggio Bormio che doveva scortarlo. Ma fu intercettato da un sommergibile nemico. La tragedia ormai incombeva: alle ore 06,05 del 29 luglio, al largo di Punta Ristola, i pescatori di Leuca sentirono un forte boato, una grande colonna d’acqua si alzò nel cielo e ricadde provocando uno scompiglio in mare. Il sommergibile inglese Trooper, al comando del tenente di vascello John Somerton Wraith, aveva lanciato una sventagliata di sei siluri colpendo il Micca al centro dello scafo. Il sommergibile si spaccò in due parti ed affondò in pochi minuti a tre miglia dal faro di Santa Maria di Leuca. Dell’equipaggio, composto da 72 uomini, sopravvissero solo 18 persone, tra cui il comandante Scrobogna, in gran parte tratte in salvo dai pescatori del luogo con le barche e dalla nave Bormio che era so-
praggiunta poco dopo. I sopravvissuti furono tutti ricoverati negli ospedali di Lecce e Grottaglie. Nella speranza di essere salvati, i marinai rimasti intrappolati nel sommergibile, per ben due giorni dopo l’affondamento utilizzarono gli strumenti di bordo per fare rumore, la rassegnazione alla morte era ancora lontana. Ma nessun tentativo di recupero ebbe l’esito sperato e il sommergibile divenne la tomba per 54 valorosi uomini della nostra Marina Militare. Prima che venisse affondato, il Micca aveva compiuto 23 mila miglia di navigazione, 24 missioni di guerra, 13 missioni segrete trasportando armamenti vari, viveri e benzina per un totale di 2200 tonnellate, tutto materiale scaricato nei porti di Bengasi, Tripoli e Lero nel corso della battaglia dei convogli. Il relitto del Micca venne individuato nel 1994 da due istruttori (Luciano de Donno e Giuseppe Affinito) del Centro di Attività Subacquee di Lecce. Filmarono per la prima volta i resti del sommergibile che giaceva ad una profondità tra gli 85 e i 90 metri e a 2,6 miglia da Punta Ristola. Il sito è considerato Sacrario Militare e da alcuni anni è stata posta accanto al relitto una statua di Padre Pio. Il motto del “Pietro Micca” era: Fino al sacrificio.
IL CAVALLETTO
L’Uomo e il Mare nella pittura di Max Sauvage l pianeta-acqua e una figura umana non più zoomorfica: sono le immagini dell’inedita pittura firmata da Max Hamlet Sauvage, maestro del surrealismo europeo, che ha infine deciso di mettere la sua originalità artistica a servizio di un immaginario diverso. Non ci sono, in questa sua ultima produzione, contesti rarefatti in un’astratta fissità: il mare è energia, movimento, vita, e l’artista ne trasferisce subito sulla tela tutte le evidenze, ma tutti anche i significati più reconditi, sottintesi, intuìti. Ecco allora, nel palcoscenico divenuto liquido, la figura umana – liberata dalla maschera, sempre che maschera fosse - che recupera un equilibrio diverso o forse un disquilibrio diverso, che vedi dinamica nell’acqua pervicacemente blu, che anela al respiro vitale dopo l’immersione amniotica, che l’acqua fraziona nell’illusione dello specchio infranto. Illusione, appunto, perché poi il corpo riacquista tutta intera la sua integrità. Sogno di rinascita? Forse. O forse segno di rinascita. g.
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“Ci vorrebbe un miracolo” di Davide Minnella di Salvatore Negro avide Minnella, regista gallipolino di successo, non dimentica tuttavia i suoi esordi a Gallipoli con la compagnia teatrale della “Comunità del Canneto”, quando si divertiva da ragazzino nei musical, i pomeriggi al cinema della città; già da allora un piccolo talento si aggirava per Gallipoli. Appassionato di cinema, è riuscito attraverso lo studio a trasformare quella passione in una professione di cui si sente molto orgoglioso. Il successo internazionale arriva da Berlino; osannato dal pubblico e dalla critica alla Berlinale 2010 con il cortometraggio “Come si deve”, in cui tratta il tema della pena di morte: nel cast Piera Degli Esposti e Diane Fleri. Nel 2014 realizza il corto “La porta”, affrontando questa volta un’emergenza sociale dei nostri tempi: la violenza sulle donne. Dopo numerosi riconoscimenti, per Davide i tempi sono maturi per il suo primo lungometraggio: “Ci vorrebbe un miracolo”, un film a metà tra inchiesta e commedia. Inquinamento e superstizione sono le tematiche che fanno da sfondo al film. Minnella, sa utilizzare al meglio gli stilemi della commedia, per affronta-
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re temi seri come quelli dello sfruttamento eccessivo della pesca e dell’inquinamento del mare; e lo fa con la leggerezza della commedia, con lo scopo, forse, di raggiungere una platea più ampia. I due protagonisti del film sono Elena Di Cioccio e Gianluca Sportelli e Minnella afferma, con modestia, che è facile fare il regista con due attori così bravi, che interpretano se stessi (impresa assai ardua per un attore). Tuttavia, Elena e Gianluca ci riescono alla perfezione nei ruoli dei due cugini a caccia della verità su chi sta avvelenando il nostro mare, nella denuncia sullo sfruttamento eccessivo della pesca. Allora ecco il fenomeno inaspettato: un giorno i pescatori di un piccolo borgo pugliese, portano a riva nelle reti non pesce, ma merchandasing religioso. Presto quel porticciolo è denominato “il porto dei miracoli”, non perché avviene la moltiplicazione dei pesci nelle reti, ma perché nelle reti, adesso ci sono le immagini di Padre Pio. Come da copione, in Italia, si grida al miracolo; e come da copione del film, arrivano le troupe delle emittenti nazionali e locali ad intervistare non solo gli attori ma an-
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che la gente comune, quella che non sa nulla del film che si sta girando, e che cade nella trappola della fiction. Minnella, registra le reazioni autentiche dei passanti e curiosi, che credono davvero in quel “miracolo”, raccogliendo del materiale filmato che poi monterà nel film stesso. Basta poco per pilotare l’informazione, un cameraman e un finto giornalista, un microfono, una notizia apparentemente clamorosa, e il gioco è fatto. Il film è accompagnato da una clip degli Apres la Classe, che fa da colonna sonora; un motivo accattivante, in perfetta sintonia con la storia raccontata. Minnella è certamente da annoverare tra i giovani registi più talentuosi e promettenti del cinema italiano; lo ha dimostrato in questo suo primo lungometraggio, utilizzando in modo non banale la commedia, riuscendo in pieno a fondere una storia brillante in un tema serio, quale quello del degrado ambientale. Minnella, concepisce questa trama tra la seriosità del tema e il sorriso della commedia, ma il suo messaggio è chiaro: “Il mare sta morendo, e siamo noi gli artefici di questo disastro”. E per porre rimedio a questo disastro, ci vorrebbe appunto un miracolo...
MUSICHE DAL MARE
Pescatore:
un successo di Pierangelo Bertoli di Enrico Tricarico a canzone è un duetto tra una voce maschile e una femminile: la prima narra di un pescatore colto da una tempesta in mezzo al mare, tanto forte da non sapere se sopravvivrà; la seconda invece è la voce della moglie del pescatore, la quale vive un doppio travaglio: la preoccupazione per la sorte incerta del marito e l’impulso d’amore verso un altro uomo che si manifesta più prepotentemente proprio durante l’assenza di colui che è in balìa del nubifragio. Il testo della canzone è stato scritto dal giovane paroliere Marco Negri, con qualche modifica di Bertoli. Inizialmente non era stato pensato come un duetto (anche perché all’epoca non erano molto diffusi), ma poi fu il direttore della casa discografica a suggerire di far cantare all’emergente Fiorella Mannoia le parti femminili. Bertoli e la Mannoia registrarono le loro strofe separatamente, senza mai incontrarsi. “Pescatore” portò nel 1980 in classifica l’album Certi momenti nel quale era incluso, facendogli vendere 200.000 copie, e fece conoscere al grande pubblico sia Bertoli che la Mannoia. Nel 1995 viene pubblicata la raccolta Una voce tra due fuochi, in cui Bertoli presenta i suoi pezzi riarrangiati, tra i quali “Pescatore” in versione solo maschile. Nel suo ultimo album del 2002, 301 guerre fa, Bertoli include un ulteriore rifacimento di “Pescatore”, duettando questa volta con Fiordaliso, che in seguito, per molto tempo, ha cantato la canzone nei suoi concerti. Nell’album tributo ...a Pierangelo Bertoli, uscito nel 2005, i Nomadi (in un duetto con Giulia Ottonello) scelgono di cantare “Pescatore”, da loro sempre amata.
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Pescatore Getta le tue reti buona pesca ci sarà e canta le tue canzoni che burrasca calmerà pensa pensa al tuo bambino al saluto che ti mandò e tua moglie sveglia di buon mattino con Dio di te parlò con Dio di te parlò. Dimmi dimmi mio Signore dimmi che tornerà l’uomo mio difendi dal mare dai pericoli che troverà troppo giovane son io ed il nero è un triste colore la mia pelle bianca e profumata ha bisogno di carezze ancora ha bisogno di carezze ora. Pesca forza tira pescatore pesca e non ti fermare poco pesce nella rete lunghi giorni in mezzo al mare mare che non ti ha mai dato tanto mare che fa bestemmiare
quando la sua furia diventa grande e la sua onda è un gigante la sua onda è un gigante. Dimmi dimmi mio Signore dimmi se tornerà quell’uomo che sento meno mio ed un altro mi sorride già scaccialo dalla mia mente non indurmi nel peccato un brivido sento quando mi guarda e una rosa egli mi ha dato una rosa lui mi ha dato. Rosa rossa pegno di amore rosa rossa malaspina nel silenzio della notte ora la mia bocca gli è vicina no per Dio non farlo tornare dillo tu al mare è troppo forte questa catena io non la voglio spezzare io non la voglio spezzare. Pesca forza tira pescatore pesca non ti fermare anche quando l’onda ti solleva forte
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e ti toglie dal tuo pensare e ti spazza via come foglia al vento che vien voglia di lasciarsi andare più leggero nel suo abbraccio forte ma è così cattiva poi la morte è così cattiva poi la morte. Dimmi dimmi mio Signore dimmi che tornerà quell’uomo che sento l’uomo mio quell’uomo che non saprà che non saprà di me, di lui e delle sue promesse vane di una rosa rossa qui tra le mie dita di una storia nata già finita di una storia nata già finita. Pesca forza tira pescatore pesca non ti fermare poco pesce nella rete lunghi giorni in mezzo al mare mare che non ti ha mai dato tanto mare che fa bestemmiare e si placa e tace senza resa e ti aspetta per ricominciare e ti aspetta per ricominciare.
LA MUSA
Il mio Mare on è più lui il sovrano eletto dai fastosi depliants quello che cinge l’isola di Bali e penetra nel Sanur Beach Hotel, né quello della vicina spiaggia di Kuta, e neppure il livido mare tumefatto di Hong Kong - un tempo “porto profumato”, né quello inviperito della miseria di Manila e delle dune di Yukatàn e neppure quello che sconfina nelle risaie di Bangkok o tra le “nuove” palafitte di Jakarta, ma è il mio mare, lo Jonio, ancora e sempre il re di tutti i mari.
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Quello che già mi splende dentro e m’accoglie e carezza in una notte orfana di luna. Il mare di Gallipoli che canta quando freme e gioca e s’agita come un monellino e poi, singhiozzando, s’addorme e tace. Il mio è il re di tutti i mari: ritaglia stelle con cesoie di rosa e d’inverno rincorre le creste delle calabre montagne e m’offre ogni giorno profumi, perle e tesori, ghirlande, sospiri e colori rubati a tutti i mari del mondo.
Don Pippi Leopizzi (1940-2016)
XXXI Regata Internazionale
Brindisi Corfù
uello che l’anno scorso sembrava un record di iscrizioni insuperabile, è stato battuto: le 133 imbarcazioni iscritte quest’anno alla Regata Internazionale Brindisi-Corfù, concorrono ad accreditarla ulteriormente come una delle più importanti manifestazioni veliche del Mediterraneo. Una grande soddisfazione, per il team organizzativo del Circolo della Vela guidato dal presidente Teo Titi; il quale ha auspicato che il territorio comprende l’importanza dell’evento, di cui i numeri sono solo la spia di un crescente interesse internazionale. Soddisfazione, anche per l’unanime riconoscimento della perfetta organizzazione sui due versanti; che è poi la maggiore e più importante, perché riflesso del gradimento dei regatanti, destinatari principali dell’evento. Molti i premiati, in funzione delle diverse classi, molte le coppe e i trofei; tra i quali si segnala il ritorno in Grecia, dopo ben venti anni, del “Trofeo challange triennale Spiros Kalantsis”.
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