P&M-n16-dicembre-2016

Page 1



editoriale

benvenuti a gallipoli... non solo d'estate

ph: Michele Esposito

di Giuseppe Albahari

Qual è il rapporto di Gallipoli con il suo mare? D’amore, verrebbe da dire senza neppure pensarci. Può essere vero, ma è una risposta che tratteggia una visione romantica del mare che forse è difficilmente condivisibile da tutti. In realtà, non può esserci una chiave di lettura universale. Basta andare indietro nel tempo di pochi anni, per ricordare un antico detto dei pescatori locali: Mare, viti e fusci, taverna, viti e trasi. Tradotto dal vernacolo, segnala la preferenza per l’uscio sicuro di una taverna rispetto alle insidie del mare; e questo rende manifesto che, pur vivendoci in quotidiana simbiosi, i pescatori lo rispettavano certamente, ma non lo amavano. A ben vedere, sono proprio i pescatori che continuano ad avere un rapporto con il mare che, seppure complicato, è esistenziale e non limitato al puro interesse a breve termine. Gli altri attori ne hanno definito uno scenario più semplice, forse funzionale ai propri bisogni: per gli operatori turistici e commerciali, è una prospettiva d’impresa; per i bagnanti, un azzurro che non teme confronti; per i giovani, lo sfondo di un happy hour sull’arenile; per i cultori dell’arte, l’humus che ha plasmato la città di vicoli e d’arte; per gli etnologi, l’invisibile ispiratore della cultura degli isolani (già, chi ricorda che Gallipoli è isola per antica scelta dei Veneziani che tagliarono l’istmo con il promontorio?)

01


Per i pescatori, il mare, in quanto fonte di reddito, è quotidianità indipendente dall’avvicendarsi delle stagioni. I loro gesti, quando armano i palangari, rattoppano le reti, o intrecciano i giunchi delle ultime grandi nasse, sono antichi, misurati e sapienti. Schiere di fotografi li immortalano d’estate, ma riviere e banchine sono il loro regno anche quando fa freddo. Anche quando condividono con i gabbiani solitudine e paure sull’impoverimento delle risorse ittiche. In questo fascicolo, è stato acceso un faro su immagini meno note della città come la quotidianità dei pescatori e le tradizioni che alimentano i cicli rituali della comunità cittadina.

Ciò che Gallipoli riserva a chi è disposto ad apprezzarla al di là del canonico tempo d’estate è argomento delle pagine dell’inserto curate dagli allievi del Liceo “Quinto Ennio” di Gallipoli. Tale intervento è avvenuto nell’ambito di un’esperienza di alternanza scuola-lavoro voluta dal dirigente scolastico Antonio Errico e di cui è stata partner l’associazione Puglia&Mare, editrice della rivista. Il progetto è stato facilitato dalla disponibilità di collaboratori e staff di redazione, ma i contenuti dell’inserto - dagli argomenti trattati alla scrittura, dalla scelta delle fotografie all’impaginazione - sono stati decisi e condivisi dagli studenti. Spetterà ai lettori valutare se è stato raggiunto l’obiettivo di suscitare curiosità ed interesse per argomenti spesso visti in filigrana, che ora invece acquistano rilievo a tutto tondo. E ciascuno di essi merita una visita fuori stagione. I n this issue, we are trying to shed light on the unknown angles of the town, such as the daily routine of fishermen and the old traditions which are the heart of city life, with the goal of generating interest in Gallipoli, as it is worth visiting... not only in summer. You will discover what Gallipoli has to offer to those who visit the town “out-of-season” in the dossier developed by the students of “Quinto Ennio” grammar school in Gallipoli.

ABBONARSI A “PUGLIA & MARE” La rivista “PUGLIA & MARE” è disponibile gratuitamente nei soliti punti di distribuzione e sul sito Internet. Alcuni lettori hanno chiesto di poter ricevere la rivista al proprio domicilio e, in adesione a tale richiesta, è stata prevista la possibilità di abbonamento per 4 numeri. Il relativo versamento di 12,00 euro, può essere eseguito mediante bonifico bancario sul conto attivo presso la Banca Popolare Pugliese, intestato all’Associazione Puglia e mare e identificato dalle seguenti coordinate bancarie: IT97 I052 6279 671C C066 0010 313. Allo scopo di prevenire disguidi, è peraltro chiesto il cortese invio di copia del bonifico all’Associazione, mediante fax al nr. 0833 261038


SOMMARIO Dicembre 2016

FOCUS

....................................................................................

05

TURISMO

.........................................................................

INSERTO "Q. Ennio AMBIENTE

..................

27

44 45

...................................................................

NAUTICA & MARE

55

..............................

pugliaemare.com

Foto di Michele Esposito

PUGLIA & MARE

EDITORE

LE IMMAGINI E I TESTI

Rivista trimestrale dell’Associazione

Associazione culturale

pubblicati possono essere riprodotti,

culturale PUGLIA & MARE onlus, iscrizione

PUGLIA & MARE no profit

al n.3/13 del Registro della Stampa del

GALLIPOLI, C.so Roma, 211

titolare del copyright.

Tribunale di Lecce del 27 febbraio 2013

C/o Mediamorfosi - tel. 0833.261038

La collaborazione alla rivista,

info@mediamorfosi.net

con articoli, foto e in qualsiasi forma e modo,

Presidente: Alessandra Bray

è gratuita. Il materiale inviato alla redazione

DISTRIBUZIONE GRATUITA Anno IV - N. 16 - Dicembre 2016 Direttore: Giuseppe Albahari

non sarà restituito, salvo specifico accordo. IDEAZIONE GRAFICA

Gli articoli rispecchiano il pensiero dei rispettivi

E IMPAGINAZIONE:

autori e non impegnano la rivista.

Redattore fotografia: Alessandro Magni

MEDIAMORFOSI Strategie di Comunicazione

Redattore musicale: Enrico Tricarico

www.mediamorfosi.net - GALLIPOLI

Redattore: Nunzio Pacella

STAMPA

Il centro storico di Gallipoli a Natale

Grafica 080 Srl - MODUGNO

in uno scenario dal Bellavista Club - Caroli Hotels.

c/o Albahari, Via Petrelli, 17 73014 Gallipoli - Tel./Fax 0833.263986 g_albahari@libero.it

TRADUZIONI: Fabiola Collabolletta IN COPERTINA:

Redattore sportivo: Pasquale Marzotta DIREZIONE E REDAZIONE

a condizione che si citi la rivista,

Foto Mediamorfosi SITO RIVISTA ONLINE

www.pugliaemare.com

Per la pubblicità su Puglia&Mare: Tel. 0833 261038 - 347 5377021 relazioniesterne@mediamorfosi.net

03


Il Trappito Stracca è una masseria didattica certificata dalla Regione Puglia aperta alle scuole ed al turismo rurale, con l’illustrazione dei cicli di lavorazione del grano, del vino e dell’olio. La struttura è un esempio di edilizia rurale nelle campagne di Alezio, composto di un fabbricato del 1600 –un deposito olivicolo- che sormonta un frantoio ipogeo del XIV secolo. Si fanno tredici gradini per entrare nella storia: il trappito restituisce le emozioni e le fatiche del nakiro e del suo equipaggio, protagonisti dell’industria dell’olio lampante che, sulle navi commerciali caricate nel porto di Gallipoli, viaggiava per i mari di tutta Europa. Il laboratorio insegna a realizzare -col grano molito sul posto e con la cottura del forno a legna- pane di grano, pucce, frise, orecchiette, la pasta fatta in casa con trafile di bronzo; e poi la cotognata, la mostarda, l’olio, il vino; permette di assaporare il frutto delle colture locali secondo ricette recuperate della civiltà contadina.

Il posto –conosciuto anche come Mulino vecchio- si propone per eventi culturali, meeting, rassegne e presentazioni di opere, con l’aia per la battitura del grano -mirabilmente zoccata nella roccia- che è un palcoscenico naturale anche per pièce artistiche e balli popolari. Il luogo offre la conoscenza di un pezzo di storia risorgimentale, giacchè proprio sul fondo “Stracca” nel 1848 venne arrestato dai gendarmi borbonici Epaminonda Valentino, importante carbonaro mazziniano che morì nelle carceri di Lecce durante il maxi-processo politico che vide in ceppi davanti alla “Gran Corte Criminale di Terra d’Otranto” l’intellighenzia salentina, rea di “cospirazione avente per oggetto di cambiare la forma del Governo”. La figura di quest’uomo si lega con la storia della cognata Antonietta De Pace che –orfana di padre- crebbe in casa Valentino a pane e rivoluzione e, dopo aver subìto anch’essa un processo politico di rilievo internazionale a Napoli, entrò nella Città liberata insieme a Garibaldi.


focus

Gallipoli: Immagini&parole Elio Pindinelli | Luoghi mirabili segreti, sconosciuti, amati ......................................................................... 07 Gallipoli è poesia nelle immagini di Michele Esposito........................................................................................ 12 Nunzio Pacella | Achille De Marini, classe 1923.......................................................................................................... 16 Uccio Piro | Dodici e non più dodici....................................................................................................................................... 17 Enrico Ancora | “Marea” e il legame identitario di Gallipoli con il suo mare............................ 20 Maria Gabriella de Judicibus | Viaggio a Gallipoli.................................................................................................... 23

ELIO PINDINELLI Storico Socio Società Storia Patria per la Puglia e Centro Studi “Previtali”

MICHELE ESPOSITO Fotografo professionista, appassionato di tradizioni, autore di video e reportage fotografici

NUNZIO PACELLA Scrittore, giornalista, gastronomo e giornalista gastronomo

05

UCCIO PIRO Commediografo, poeta, cultore di tradizioni locali

ENRICO ANCORA Architetto e paesaggista, appassionato di storie ed ecologie dei paesaggi mediterranei

MariA GABRIELLA de judicibus Docente di Lingue, Letteratura Italiana e Storia, scrittrice e giornalista


Palazzo Doxi-Stracca


focus

Un viaggio stupefacente che a Gallipoli si può ancora fare

LUOGHI MIRABILI

segreti, sconosciuti, amati di Elio Pindinelli

Palazzo Doxi-Stracca

Gallipoli è luogo dell’anima dove non solo gli spazi pubblici ti incatenano alle fantasie della storia e all’emozione dei ricordi.Ci sono spazi privati, anzi privatissimi, che nella loro staticità temporale posseggono la forza dell’evocazione: quella dimensione dell’anima che si risveglia ai ricordi di storie vissute, di tempo passato, di cose ascoltate o puramente fantasticate, mai viste, ma in qualche modo coltivate in quell’immaginario collettivo che a Gallipoli, più che in altri luoghi, assume il fascino della memoria fantasiosa del tempo trascorso. no spazio, insomma, di ideale romanticismo, alimentato dall’immaginazione e coltivato nella fantasia. Intendiamoci, quei luoghi intimi, ai più, perciò, nascosti, connotano gli spazi privati di tutti i paesi del mondo, ma non tutti acquistano per questo il fascino che, qui da noi, si è caparbiamente sedimentato inseguendo gli stimoli della fantasia (che Aristotele chiamava “facoltà distinta

U

dell’anima”) attraverso un vissuto narrativo che oggi, nonostante tutto, sopravvive ancora. Avere la fortuna di avventurarsi in questi spazi segreti è privilegio di chi sa cogliere quegli innegabili legami che il passato ha con la nostra contemporaneità, non tanto nell’esito anche formale ed estetico del divenuto, quanto nella superstite capacità di ancorarsi ad una realtà poetica

07

del vissuto dell’essere, nella terra del mito e della storia. Il nostro stupefacente viaggio ha potuto, perciò, attraversare per la squisita cortesia dei proprietari, i portoni dei palazzi, salire le scale e penetrare nell’intimità di sale, camere e androni, un tempo costruiti per la comodità e delizia di chi, nella società del tempo, vantava credito finanziario e prestigio sociale.


FOCUS

Furono esempi edilizi e architettonici che nelle loro ragioni estetiche e strutturali avevano svolto un ruolo, nell’ambito urbanistico, di condizionamento del potere e di riferimento concettuale della teatralità urbana. Il barocco fu artificio decorativo, scenico e architettonico, che oggi evidenziamo qui a Gallipoli più che in altre parti del Salento, per la sua pacata espressività decorativa che, invece, rifulse negli interni. Ecco, allora, che le invenzioni architettoniche di Palazzo Doxi-Stracca, con il suo capitello montato al culmine della resega d’angolo, le finestrature borrominiane e la pomposa balconata sull’arco delle scale, invitano a fantasticare di interni fastosi, sopravvissuti ai gusti del tempo. Entrando ci si accorge che il tempo, più volte, ha ricominciato a scandire le sue ore, ma si era forse inesorabilmente fermato al primo quarantennio dell’800, quando il palazzo l’ebbe e fu abitato da Epaminonda Valentino e dopo di lui da Rosario Fontò, per il cui tramite e per successione pervenne ai Fontana e quindi, per via materna, ai Gabellone di Tuglie. Vi abitò, per aver sposato Teresa Fontò, anche Nicola Valletta, l’eroico capitano dello sbarco di Sapri con Carlo Pisacane. Sono ambienti deliziosamente affrescati seguendo la scansione dei suoi elementi strutturali e con l’inserimento di una romantica sequenza illustrativa della virtù muliebre, graficamente recuperata, su fondo nero, dai modelli pittorici divulgati delle “Tavole Ercolanensi”, i cui primi esempi furono introdotti a Gallipoli, nel primo ventennio del XIX secolo, nel palazzo di Luca Zacheo. Arricchiscono tutto l’apparato decorativo le grottesche e le raffaellesche, dai colori vivissimi e brillanti. E che dire di Palazzo Senape-De Pace, eretto a magnificenza del proprio lignaggio dal nobile napole-

Palazzo Senape-De Pace

08


focus

tano capitano di artiglieria Crispino Romito, avvalendosi forse dei disegni del noto architetto leccese Emanuele Manieri. Qui si respira l’aria del risorgimento salentino e ti sembra di cogliere ancora il respiro di Antonietta De Pace, di suo zio Antonio De Pace e soprattutto di Stanislao Senape-De Pace, che con il fratelli Arturo e Luigi furono gli eredi dell’eroina garibaldina e depositari del suo cognome. Qui sopravvive la romantica alcova settecentesca, il gran dipinto su tela della volta del salone e l’arredo tipico di una dimora padronale cittadina, tra fine ottocento e primo ventennio del ‘900. Sul fondo si intravede il grande ritratto del deputato di Gallipoli, Stanislao Senape De Pace, e t’accorgi, solo avvicinandoti a pochi centimetri, che si tratta di una grande gigantografia, realizzata fotograficamente a colori da Laviosa nel 1913.

Palazzo Senape-De Pace

Nel palazzo dei D’Ospina dei coniugi claudio stasi e anita marsano, in via Sant’Angelo, ebbe i natali, il 2 febbraio 1818, Antonietta De Pace, celebrata eroina del Risorgimento italiano. Di antica costruzione, questo palazzo subì nella seconda metà del XVIII secolo radicali rifacimenti, probabilmente a cura e spese di Giovanni De Pace, nonno di Antonietta, che lo aveva acquisito, dopo il 1774, dai D’Ospina.

Palazzo Senape-De Pace

Stupefacente l’effetto decorativo dell’ampia facciata, ma soprattutto degli interni, dalle volte deliziosamente stuccate con racemi, fiori e corolle, all’interno delle sezioni corniciate a stucco e definite dall’innesto delle unghie e degli archi. Non ci si sbaglia se si accostano queste volte, con la sua decorazione, in verità più esuberante, a quella dell’oratorio dell’Immacolata, costruito dai mastri gallipolini Vito Giovanni e Giusep-

Palazzo Arlotta-Provenzano

09


FOCUS

pe De Vittorio e stuccato, dal 1779 al 1783, da Giuseppe Centolanze. La visita alla dimora dei coniugi Piero Arlotta e Agata Provenzano, ti immerge in una dimensione emozionale diversa, ma ugualmente inaspettata, più consapevole, forse, della variazione del gusto e degli interessi, che dagli inizi del ‘900 hanno costituito, non tanto una “moda”, quanto un modo per ritrovarsi nell’ambito di una cultura borghese capace di apprezzare l’arte e di goderne nel chiuso della propria dimora. Come fare ad ammirare compiutamente quella sorta di galleria artistica, che affissa massivamente sulle pareti delle numerose sale ti avvince nel desiderio irrefrenabile di conoscenza?

Palazzo D’Ospina

E come raffrenarsi con l’entusiamo e la meraviglia di fronte alla scoperta dei dipinti di Agesilao Flora e di Giulio Pagliano? Una galleria che, insomma raccoglie anche sul piano artistico e culturale le risultanze della vita stessa di una città di periferia come Gallipoli, attraversando i fasti della Monarchia e gli esiti dell’esperienza fascista. Eppure, guardando la possente mole architettonica di quel palazzo, con il suo grandioso portale catalano-durazzesco e la leziosa loggia barocca che s’affaccia sul fronte della Cattedrale, avresti pensato per un attimo di fantasticare sui tempi ed i gusti che tra Cinque-Seicento e Settecento furono cari alla progenie dei Pirelli, la cui arma ancora sopravvive affrescata sulle pareti di quella che fu, per circa due secoli, la farmacia di Garzya e poi dei Provenzano. Assumerebbe particolare significato, infine, avventurarsi nelle segrete stanze di molte antiche dimore di Gallipoli, per ritrovare quelle timide tracce dei rapporti intercorsi fra personaggi di diverse provenienze e culture, come è possibile immaginare, per esempio, in palazzo Muzi, dove per qualche tempo dimorò Francesco Milizia, scrittore e teorico del neoclassicismo, e in cui, il 31 gennaio 1751, venne celebrato il suo matrimonio con la giovane Tere-

Palazzo D’Ospina

Palazzo D’Ospina

10


focus

sa Muzi; oppure nel palazzo (piccolo) dei Venneri, dove abitò ed ebbe lunghissima residenza Giuseppe Palmieri, ministro delle finanze del regno di Napoli e importante personalità dell’illuminismo meridionale. Tale ansia di conoscenza ti assale entrando anche in casa Laviano, che ancora conserva tracce di quell’assetto decorativo di fine ottocento, prima che ci mettesse mano Agesilao Flora con le sue decorazioni, ormai completamente svanite, e del quale sono superstiti alcuni rari medaglioni in stucco. Qui si trasferì da Brindisi il barone Antonio Laviano e qui crebbero i suoi figli Giovanni e Luigi, che incrociarono con le figlie di Henry Stevens, viceconsole inglese a Gallipoli, vincoli di matrimonio, ma anche, come la storia ci insegna, ardori patriottici e risorgimentali.

Palazzo Laviano

G allipoli still preserves amazing places, object of an extraordinary journey, allowed by the courtesy of the owners, through the palaces’ gates, up the stairs, inside rooms and lobbies, built a long time ago by noble families who had economic and social prestige. In the interior you find Baroque decorations, in contrast with the simplicity of the exterior town architecture.

11


FOCUS

GALLIPOLI

nelle immagini di

Evvi un’isola, qui, non ampia e oblunga, disadorna, di vive asprezze cruda, ma il cui orizzonte pare che congiunga spazio e pace e l’eterno in sé concluda. Luigi Sansò

12


focus

Picciola sì, ma così vaga e bella che da beltà Gallipoli s’appella. Giovanni Carlo Coppola

È POESIA Michele Esposito

Stan su la spiaggia a secco, in frotta. Pare che dormano, ma viva e insonne è ognuna; con su la prora l’ansia di solcare l’onda, che ha in sé la morte e la fortuna. Luigi Sansò

13


FOCUS

Gallipoli, goccia di bellezza rappresa sul dorso dei secoli, labirinto di vicoli e corti, dopo l’estate sembri morire e sempre ti rinnovi. Don Pippi Leopizzi

14


focus

Il luogo ha un certo che di segreto e di remoto, come se, per essere stato da tempo immemorabile cinto di mura, abbia potuto meglio conservare e tramandare l’intatta freschezza del suo volto con i suoi larghi tratti di soavità e di tenera intimità... Elio Pindinelli

Resta, Gallipoli, una città di terra dentro il mare, avventurata sul mare, circondata dai suoi bastioni come un bambino nella carriola. Cesare Brandi

…la Gallipoli che nasconde nella realtà fisica del suo grembo tutto il patrimonio e l’esperienza di passate generazioni, tutta la grandezza di un mondo entro cui convivono dignità di usi e di costumi, rimasti inalterati nel tempo. Giampaolo Senzanonna

15


il personaggio e il mare

Achille De Marini, classe 1923 Testo e foto di Nunzio Pacella ella Città Bella si respira la cultura del mare fatta di pescatori, tonnaroti, scaricatori di porto, maestri d’ascia, scapeciari, pescatori di “violetto” e ostrica rossa o imperiale, cantori di storie di mare, costruttori di nasse. E marinai. Come Achille De Marini, di 93 anni, che ho conosciuto durante la seconda edizione del “Gozzo International Festival”. I primi imbarchi di Achille sono stati sui pescherecci, subito dopo che, a 17 anni, aveva frequentato la scuola dell’Ente nazionale educazione marinara e acquisito il titolo di “padrone marittimo”. Imbarcato durante la seconda Guerra Mondiale sul rimorchiatore della Marina Militare “Ercole”, di stanza a Bari, ha poi conseguito la patente di motorista e dal 1955 al 1982 è stato imbarcato su navi mercantili, portacontainer e passeggeri, finendo con la qualifica di “caporale”, alias capo del personale addetto alle macchine. È quasi superfluo dire che ciò gli ha consentito di toccare i porti di mezzo mondo, dai Paesi Scandinavi al Giappone, dal Canada all’Australia; come ricorda con la sua vivace e prodigiosa memoria.

N

Achille ama intrecciare corda per realizzare “nodi” speciali con funzioni ornamentali, dai modellini di “lanciasagole” (l’originale, in versione pesante, è utilizzato per lanciare cime fuori bordo), alle “mandorle”, che possono essere “piane” come tappetini, “aperte” come anelli o “chiuse” come tappi, per finire con i “baffi di prua” che un tempo proteggevano l’imbarcazione dagli impatti. Un passato che l’arte marinaresca di Achille De Marini racconta bello e romantico.

T he 93-year-old Achille De Marini loves to weave rope to create decorative “knots”, from models of “lanciasagole” (the original one, quite heavy, is used to throw the ropes outboard), to the “almonds” , which can be “plane”, as little pads, “open” as rings, or “closed” as caps, to the “bow’s moustaches”, once used to protect the boat from impacts. His sailors ‘craft tells us about a beautiful and romantic past.

16


focus

tra STORIA e leggenda

Dodici e non più dodici di Uccio Piro*

Susu a tridici culonne te curaddu marmuriatu susu a tridici culonne stae Gaddipuli chiantatu. ovevano essere dodici le colonne del regno delle Sirene che sorreggevano Gallipoli. Per musicalità del verso, le portai a tredici. Erano i versi incipit de “La fija de la mamma Sarena” che cominciai a scrivere nel maggio 1977. Non potevo immaginare allora che quel numero 12 inconsapevolmente eluso doveva ritornare così prepotentemente a distanza di anni. Quando il direttore di questa rivista, senza tanti preamboli, mi ha chiesto se il numero 12 avesse un nesso con la città di Gallipoli, visto che il compianto Don Pippi Leopizzi, quando dette il benvenuto a Monsignor Filograna che si insediava quale Presule della nostra diocesi, citava il 12 come simbolismo connesso alla città e lo rapportava alla sacralità dell’evento: 12 le arcate del ponte di accesso alla città, 12 le chiese delle nostre confraternite, 12 le colonne della Cattedrale ospitante. Occorreva pensare, cercare e scrivere, ma la ricerca da fare tra i resti della mia biblioteca devastata dalle tèrmiti, mi preoccupava assai: dovevo andare a memoria, senza possibilità di verifica.

D

I numeri hanno, senza dubbio, un significato esoterico e un valore metafisico perché esprimono, Pitagora insegna, l’essenza di tutte le cose. Il 12 è, concettualmente, un numero astratto, ma si collega con l’immagine dell’oggetto.

17

Concetti filosofici legano logica e aritmetica, unità originaria e totalità. Don Pippi oltre che scrittore, poeta, esegeta, era un filosofo ed è su queste basi che probabilmente doveva trovarsi il nesso del numero con la città. Il 12, non a caso, figura nella Bibbia: 12 tribù, 12 le porte della città santa; nel Vangelo: 12 gli Apostoli; nella mitologia greca: 12 gli Dei principali dell’Olimpo, 12 le fatiche di Ercole; nella storia medioevale: 12 i cavalieri della tavola rotonda, 12 i Paladini di Carlo Magno; nell’astrologia: 12 i segni zodiacali. E Gallipoli? Guardo con una certa diffidenza una vecchia stampa della città appesa al muro e... conto: sì, dalla torre di San Luca al bastione della Bombarda, sono 12 i fortilizi a difesa della città. Riguardo ancora con qualche speranza l’antica stampa, niente. Vedo solo un agglomerato urbano e poi, intorno, mare e scogli e mi viene voglia di contarli… Qualcuno non ha avanzato l’idea che all’origine il posto era un sito lagunare? Sarebbe stata bella una piccola Venezia. E se quegli scogli, quelli atolli, quelle terre emerse dal mare fossero davvero 12 come il Dodecaneso dell’Egeo? Questa volta, forzando la situazione e con molta fantasia, provo a contarli: 1, Isola di S. Andrea; 2, isolotto del Campo; 3, Scoglio dei Piccioni; 4, Secca del Rafo (una volta non era una terra emersa?); 5, il sito del Castello, che si collegava alla città con un ponte levatoio; 6, lo scoglio dove poggia il Rivellino; 7, lo scoglio dove sorge la città antica (che all’origine poteva anche comprendere più isolotti); 8, lo scoglio delle “Uccolette”, attuale sede


FOCUS

di un antico ristorante; 9, il territorio del Canneto, una lingua di terra che si stendeva a sud verso “Porta Mare” prima ancora della “Porta Terra”, (Crispo) e ad est aveva un risicato istmo tra la Giudecca e l’attuale porto, per cui il mare di tramontana faceva presto a ricongiungersi a quello di scirocco; 10, il terreno compreso tra piazza Carducci e il teatro Schipa, unito alla terra ferma, a sud, dal ponte della Gonella o del Rosario e a nord con uno, o forse due ponti; 11, lo scoglio del Sandalo, attuale sede dell’ANMI, il cui nome rimanda alla calzatura, quindi ambito definito e a se stante; 12, un lungo tratto di scogliera (o terra emersa?) inglobata nel molo foraneo nella primaria fase di costruzione del porto. È una forzatura? Però… Credo di aver ricuperato un buon nesso di collegamento numerologico all’oggetto-città, ma forse anche quello esoterico e il valore metafisico, date le coincidenze documentate o razionalmente ipotizzate. Ora, per arrivare al nesso di sacralità partito da un principio sostanziale, appena accennato da Don Pippi nella Cattedrale di Gallipoli e quindi chiudere il ciclo della totalità originaria, bisogna incedere per altre strade. Mi guardo intorno nella speranza di qualche relitto a cui aggrapparmi e una vecchia Smorfia, ereditata da mia suocera e inspiegabilmente sfuggita alle devastanti tèrmiti, attira la mia attenzione. Possibile che la sacralità la debba cercare tra i 90 numeri cabalistici, parenti stretti di un esoterismo numerologico? Non ho altra scelta. Spulcio pazientemente l’imponente testo, almeno per soddisfare la curiosità di andare e verificare quante volte, tra quell’ammasso di vocaboli, ricorreva il numero 12. Il risultato o i risultati sono sorprendenti: 828 volte

il numero 12 segna la cabala a nomi e azioni. L’828 è perfettamente divisibile per 12 con quoziente 69. 12 sono le città nel mondo col numero 12. Spero di trovare Gallipoli e invece trovo Copertino, quale paese più vicino a noi. Gallipoli ha numero di cabala 39. E allora? Mi sto arrampicando sugli specchi. Divido 39 per 12 e trovo quoziente 3 e resto 3. Come dire, il numero di Gallipoli è 3 volte 12 più 3, cioè un superlativo assoluto accompagnato dal 3, che è numero sacro come il 12. Bella forzatura, però… È la sacralità connessa? Solo due riferimenti generici e direi anonimi: Ave Maria della sera: 12; Benedizione della SS Vergine: 12. È vero che per raggiungere certi risultati bisogna scavare l’imponderabile. Come non pensarci prima? A Gallipoli il culto di iperdulia dovuto alla Madre di Gesù è intensamente praticato e fortemente sentito. Ancora una volta è una delle mie opere teatrali che mi viene incontro: “Labbiggiata”, dove il picco massimo della sacralità è dato dalla “Preghiera alle Madonne di Gallipoli”. Cerco il testo, conto i titoli Mariani invocati: che delusione: Sono 13! Poi mi accorgo che per un eccesso di zelo ho inserito “La Madonna della Pietà”, imponente gruppo in cartapesta che si trovava nella chiesa del Canneto, ora non più presente e che da piccolo guardavo affascinato dal suo struggente volto. Immagine Mariana che non ho saputo lasciare fuori quando nel 1970 tracciavo per primo una “Via Matrix” nella città. Però i titoli Mariani che trovano solenne memoria a Gallipoli sono 12. Un numero che ancora una volta sfuggiva alla mia penna. E allora la sacralità della città sta nel culto Mariano? Gallipoli è città Mariana per eccellenza? Un grande e devoto sentimento per la Regina del Cielo? Così viene invocata, la SS Vergine: 12 volte Regina. C’è, tra queste, la Regina concepita senza peccato. E c’è, in via Pasca Raymondo, una chiesa dedica-

18

ta a Maria alla quale si accede non salendo gradini, come in tutte le altre chiese, ma scendendo, perché la sua pavimentazione è al di sotto del livello stradale; forse il segno di una sacralità più profonda o più radicata su questo scoglio? È la Chiesa dell’Immacolata Concezione e un inno a lei dedicato recita: “T’incoronano dodici stelle”; tanto che, nella mia “Labbiggiata”: “Vergine Mmaculata/te le dudici steddhe ncurunata/Ci serpe nu timisti e bai scazzàta”. Quasi a rafforzare quella sacralità intrinseca alla città che io ho sempre percepito perché trasmessa dal DNA dei miei avi. E ancora: sono 12 i mesi dell’anno, che con il loro incessante scorrere regolano la sacralità della vita scandita dalle 12 ore del civico orologio, mentre la città, tra ricorrenze civili e religiose, è sempre in festa; e nella cabala “Città in festa” marca 12. Partiti da un principio sostanziale di numerocittà-sacralità, appena accennato dal nostro caro e indimenticabile Don Pippi nella cattedrale di Sant’Agata, ho cercato di concludere un ciclo tra fantasia e realtà, come sempre ho fatto, chiudendo un cerchio che, secondo l’accademico, filosofo e divulgatore scientifico americano Douglas Richard Hofstadter (New York, 15 febbraio 1945) è il modo di rappresentare un processo senza fine in modo finito. *Testo in versione integrale su www.pugliaemare.com.

A research reveals the connection between Gallipoli and number 12 - used up in the Holy Bible, in Greek mythology, in Middle ages history, in astrology – a connection mixed with history and myth, of esoteric, metaphysical nature, but also sacred. In this town this number can be found in the arches of the old bridge, in the columns of the Cathedral, in Churches, in the castle keeps, maybe also on the little Island on which the town was erected.


19 Particolare da un disegno di Cipriano d'Andrea


FOCUS

“Il mare nero si gonfiava, si gonfiava senza posa, come se le sue grandi maree fossero la sua coscienza”. Herman Melville – “Moby Dick”

“marea” e il legame identitario di Gallipoli con il suo mare di Enrico Ancora ostruire un luogo dove Gallipoli si fermasse a specchiarsi, uno specchio magico, come il mare nei gironi senza vento, per guardare sul proprio volto i segni del tempo e riconoscerli come la propria storia. Un luogo dove il visitatore ed il cittadino potessero intuire la ricchezza e complessità dei legami tra la città e il mare, come un intrico di nodi di una lenza irrimediabilmente ingarbugliata. Un luogo intenso e al tempo stesso calmo.

C

Intenso per le emozioni ed i messaggi da trasmettere. Calmo, perché la calma è il setaccio che permette di vagliare, il filtro che ci distacca da una città sempre più spesso caotica e affannata nell’intento di cambiare se stessa per sopravvivere e piacere agli altri. Il vecchio chiostro dei Domenicani, già sede del Laboratorio Urbano Liberal’Arte, ci è sembrato come quei bauli da marinaio, belli anche se fossero vuoti, quei bauli dove conservare le foto

20

da ragazza della nostra città e tutti gli altri oggetti su cui brilla il sigillo del mare. Il chiostro stacca dal rumore della città, lo si avverte non appena si varca la soglia, la corrente rallenta e la marea, coscienza del mare, deposita le sue infinite storie. Parlare del mare a Gallipoli. Un obiettivo, una frase in cui Gallipoli è il complemento di luogo ma anche di termine. Perché Gallipoli non è stata mai troppo attenta alla sua storia.


focus

Che sia l’olio lampante, il barocco o la movida, Gallipoli si fa travolgere dal momento e cambia il suo volto, e allora ogni ipogeo diventa pila o frantoio, le forme classiche del Rinascimento si coprono di riccioli e volute, come oggi, ogni basso, vorrebbe farsi ristorante, bar, pizzeria, panineria. Nello stretto cerchio dell’isola, il tempo passa e ripassa nel giro delle mura come una mola sulla ruota del frantoio e macina le storie e le generazioni. Eppure questa apparente disattenzione alla propria storia forse è proprio figlia di una forza identitaria quasi inconsapevole, il legame con il mare. “Marea”, progetto approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Gioventù, realizzato dall’Associazione Emys in collaborazione con l’associazione AMART, l’associazione PRO.ART ed il Comune di Gallipoli, si propone di realizzare un nodo del sistema museale gallipolino (SMUG) che vada ad ampliare ed integrare un’offerta culturale che fortunatamente sta crescendo sensibilmente negli ultimi anni. Emys ha messo in gioco tutta la sua versatilità nella costruzione di un progetto museale atipico ed in continua evoluzione.

21


FOCUS

Sono e saranno fondamentali i contributi dei compagni di traversata, ovvero tutte le associazioni ed i soggetti, a partire dai soci dell’ATS, che si affacciano nel calderone quadrangolare del chiostro: la conoscenza del territorio di “Legambiente”; la tecnologia a misura d’uomo di “Appleheart”, la creatività della “Bottega di Pero”; per arrivare alle nuove realtà, con la sensibilità di “Artèteca” per le piccole storie, l’impegno di “Fideliter Excubat”, il teatro autarchico e innovativo di “Zero Meccanico”, l’azione sociale di “Gea” e la comunicazione di “3mLab”. La sfida di Emys e dei suoi collaboratori è quella di realizzare un centro di cultura del mare, un baule da marinaio dove raccogliere una parte dell’enorme patrimonio racchiuso in questo angolo di Mediterraneo. Un patrimonio fatto essenzialmente dalle storie di una comunità, raccontate in un “museo” senza reperti preziosi o rarità. A Gallipoli le storie di pescatori o capitani, di bastagi o palombari, di tonnare o di barchette

sperse sembrano tutte preziose perché girano intorno al mare, che le riveste di un’aura magica, come del resto sembrano pietre preziose i sassolini o i vetri smerigliati sulla battigia. Il racconto del mare articolato tra contenuti audiovisivi, sensori, suoni, realtà aumentata e giochi interattivi, offre al visitatore la possibilità di immergersi nella natura e nelle profondità marine e insieme entrare in dialogo interattivo con i suoni ed i riti del territorio e della comunità che lo abita. Il racconto, grazie all’utilizzo degli spazi evocativi e delle tecnologie multimediali, utilizza la sfera emotiva piuttosto che il linguaggio didattico. L’emozione è il valore aggiunto, è il veicolo di un’informazione più efficace, più “calda” e non invadente, come un messaggio nella bottiglia. Vale la pena di passare da “Marea” e anche di

22

tornarci qualche tempo dopo, come si torna in riva al mare per vedere, dopo ogni ondata di marea, per ascoltare, qualche altra storia del mare. CONTATTI: Chiostro dei Domenicani Riviera N.Sauro, 131 – Gallipoli Apertura periodo Autunno-Inverno: Venerdì e Sabato dalle 16,00 alle 19,00 Domenica dalle 10,30 alle 12,30 Social Facebook ed Instagram: MAREA Centro di Cultura del Mare - Per info e prenotazioni: 3477039082 – info@emysambiente.it

I n Gallipoli, you can visit “Marea” (tide), a new culture centre developed to describe the sea through audiovisual contents, sounds, augmented reality and interactive games. It is located in S.Domenico’s monastery, overlooking the west coastline of the old town, and offers the visitor the chance to dive into the nature and the sea. Emotions are the added value, and transfer a more effective communication, “warm” and tactful, like a message in a bottle.


focus

da: “La Curte de le Mite”

Viaggio a Gallipoli di Maria Gabriella de Judicibus

Il brano è tratto da una delle due short stories che compongono il volume “L’Inesistente- La Curte de le Mite” composto da Maria Gabriella de Judicibus ed edito da MOVIMEDIA, Lecce. In particolare, il secondo romanzo ambientato in un Salento lontano nel tempo e popolato da creature leggendarie e fantastiche, ha come protagonista un orfano, Salvatore, che, in cerca di miglior fortuna e per sottrarsi ad una sorte grama ed alle grinfie di un rozzo padrone, parte alla ricerca di una fantomatica “curte” popolata da gazze ladre, (le “mite”, appunto, del titolo) e tra le tante avventure, capita a Gallipoli in un periodo particolare...

(…) Gallipoli non l’aveva mai vista. Ne aveva solo sentito parlare, in realtà. Quando stava tra i pescatori, a Ugento, tutti parlavano della fiera della regina Giovanna II D’Angiò a Casalnuovo. Ricordava il pescatore più vecchio, mastro ‘Ntoni che era stato maestro d’ascia quando era giovane, a Gallipoli, che raccontava che la regina anticamente aveva fatto un decreto che stabiliva lo svolgimento di una fiera mai vista dal 1° al 15 di marzo di ogni anno, nonché di un mercato da tenersi tutte le domeniche, per fare contenti i nobili e i mercanti che l’avevano servita con rispetto e fedeltà. E questa fiera era stata ‘nnu scigghiu per tutti gli altri posti che avevano grandi mercati e i Conti di Lecce si erano ribellati e avevano chiesto al re di Napoli di intervenire. Così ‘sta fiera di Casalnuovo era diventata di un giorno solo e invece le fiere di Gallipoli e Lecce erano diventate più lunghe e importanti.

"

A Gallipoli, poi, c’era la scuola che lui voleva fare da quando era piccolo, quella dove era stato mastro ‘Ntoni, dai Magno che erano i più grandi mastri d’ascia e lui quello voleva essere. A lui piaceva costruirle le barche e le navi e non andarci sopra in mezzo a mille tempeste! Rabbrividì inconsciamente ricordando la sua vita passata e gli venne paura: E se incontro il mio vecchio padrone? Angelo scrollò le spalle: E che te ne frega! Mica sei costretto a stare con lui per forza! E poi ci sono io con te, non ti preoccupare. Quando uscirono, era già tutto pronto: il carro, i viveri, le coperte, l’acqua e due grandi capasuni che troneggiavano al centro del carro ben contornati da paglia e coperte perché non si rompessero. Che c’è là? Chiese Salvatore. Olio. Olio buono da vendere. È stato già ordinato lo dobbiamo solo consegnare e farci dare delle botti nuove da mastro Totò. Così partirono con la padrona che dietro i

23

vetri faceva segno con la mano per salutarli. Chissà quanti anni aveva quella donna, Salvatore lo chiese ad Angelo, incuriosito anche dall’improvviso interessamento che lei sembrava avere per lui. Non si capisce rispose l’amico né ci penso minimamente a chiederglielo. È eterna per quanto posso vedere aggiunse incupito nuovamente. Ehi, ma ce l’hai con lei, stamattina? No, no. È che mi rincresce tutto ‘sto viaggio fino a Gallipoli. Avevo altro per la testa. Sapessi io! Sospirò Salvatore pensando che non avrebbe visto Bianca. Quanto ci tratterremo? Mha! Tra viaggio, affari e tutto il resto, almeno tre giornate passano, se ci va bene. Salvatore sospirò nuovamente ma, in fondo, non gli dispiaceva tanto tanto questa faccenda perché voleva vedere Gallipoli e perché sperava di trovare qualcosa di bello da regalare a Bianca con i soldi che si era portati appresso. Tolse dalla tasca il sacchettino e allargando il cordone che lo legava, se lo appese al collo, infilandolo sotto


FOCUS

Stampa del Des Préz

l’ampia camicia e chiudendosi sopra la giacchetta per bene, così che non si vedesse niente. Angelo che aveva seguito divertito con lo sguardo quel tramestìo gli disse battendogli una mano sulla spalla: Bravo, bravo, così è meglio... Che a Gallipoli non sai mai chi puoi incontrare.(...) Gallipoli gli parve più bella di come se l’era immaginata: il castello, le botteghe degli artigiani, il porto brulicante di gente e l’isola di S. Andrea che si vedeva in lontananza... Angelo gli aveva parlato del cotone di Gallipoli, delicato e leggero come la pelle della sua Bianca e così voleva portarne una pezza alla ragazza chè se ne facesse una veste estiva, leggera e vaporosa come lei era. Fu però, subito attratto da una grande folla che guardava verso il mare e spronò il cavallo per avvicinarsi e capire di che si trattasse. Sulla banchina del porto avevano fissato un palo di legno in posizione orizzontale, parallelo al mare, con un leggero angolo verso l’alto.

Il palo era interamente ricoperto di grasso e sull’estremità c’era fissata un’asticella con una bandierina colorata. A turno, i giovani si sforzavano di raggiungere la bandiera, cercando di non scivolare e cadere in mare. Salvatore era tentato di partecipare ma non sapeva dove legare il cavallo ed aveva paura che glielo rubassero mentre lui si cimentava nel gioco. Intanto era sceso e portando la brava bestia dalle redini, si era avvicinato un po’ di più alla banchina per divertirsi a vedere tutti quei giovanotti finire a gambe all’aria in mezzo alle onde. Mentre era lì che guardava, si sentì toccare un braccio e si voltò. Era un vecchio dal volto cotto di sole, col cappellaccio nero calato sugli occhi, un fazzoletto al collo, mani nodose, da contadino. Vuoi provare? gli chiese. No, no si schermì Salvatore non sono buono ad arrampicarmi e poi disse facendo segno con le redini ho il cavallo e non so dove lasciarlo. Dallo a me disse il vecchio te

24

lo tengo io e tu vai a provare. Vai, vai, senti a me. Si vince un bel sacchetto di monete. Se vinci ce lo dividiamo. Salvatore non era sicuro ma la tentazione era forte. Chi era quel vecchio? Poteva fidarsi? Mha! Tanto dove poteva mai scappare con tutta quella folla e vecchio com’era? Decise di accettare la sfida e si fece strada tra la folla. Quando toccò a lui, si sfilò le scarpe, la giacchetta, la camicia e si cimentò nell’impresa che gli apparve in un primo momento più semplice ma divenne via via più difficile, man mano che avanzava e le mani ed il corpo pieni di grasso, divenivano sempre più scivolosi. Sentiva, comunque, come una strana forza che lo sorreggeva e lo faceva avanzare palmo a palmo. I ragazzini gallipolini lo incitavano con fischi e urla eccitate e sentiva lo sguardo del vecchio sempre fisso su di lui. Riuscì nell’impresa e ancora incredulo si vide sollevare per aria come un fuscello dalla folla in delirio per ciò che aveva fatto. Ebbe le


focus

stoccafissu, baccalà. Chi mangiava taralli e tarallucci, chi beveva boccali di mieru come assaggio per chi lo voleva comprare servito dai grandi ursuli. I ragazzini giocavano a morra e a tuddhi sui gradini delle chiese. Le merci erano tutte esposte in bella mostra e si faceva a gara a chi gridava di più per attirare l’attenzione dei clienti. Nel circolo degli animali, le contrattazioni avevano inizio allo sparo di un mortaretto e le povere bestie venivano rivoltate dentro fuori come calzettini. Quando si concludeva l’affare, i compari si stringevano la mano e su quella stretta si posava la manona del sensale. Gli animali da tiro venivano provati facendo loro tirare un carro carico e con le ruote legate. Salvatore cercò invano il vecchio che lo aveva incoraggiato a gareggiare la sera prima, non c’era traccia. Angelo che vedeva l’amico voltarsi di qua e di là e contorcersi come un serpente alla fine gli chiese: Ma si può sapere che c’hai? Me pari ‘nnu scursune... Non riesco a vedere il vecchio che ieri mi ha fatto vincere tutti quei soldi! Volevo fartelo conoscere... Come si chiama? chiese Angelo forse qua lo conosce qualcuno. Mastro Titoru, ha detto e dice che lo conoscono tutti perché è il più bravo maestro d’ascia di Gallipoli! Aspetta... disse l’amico dando uno strattone al cavallo perché si fermasse Mho chiediamo a questi

ph: Nunzio Pacella

sue monete e quando la gente si fu allontanata e poté rimanere da solo con il vecchio, si sedettero sul muricciolo che cingeva una parte del porto e si misero a contare per dividersi la ricompensa.Bravo, bravo diceva il vecchio mentre Salvatore spartiva equamente le monete una a me e una a te Sei proprio bravo! Tu diventerai ricco e potente, vedrai! Non ti fare fregare dalle femmine, però! Chè di caremme ce n’è tante ma di carusi te oru come te ce ne sono pochi! Ma voi chi siete? chiese Salvatore prima di andarsene, visto che si era fatto tardi e voleva tornare alla locanda prima di notte. Io? Io sono mastru Titoru. Qua mi conoscono tutti. Ho fatto le barche più belle di Gallipoli! Con queste mani mie! (…) Andarono al mercato. Mentre gli animali e i loro guardiani trovavano sistemazione in appositi recinti, i mercanti mettevano sù tende e baracche e lì sotto facevano casa. Le granaglie, in sacchi, erano custodite sotto i traìni che con le stanghe all’aria sembravano “’mpicati” e le mante su quelle stanghe facevano da tenda improvvisata. Il mercante di nuceddhe cacciava nuceddhe, nuci, castagne te lu prete, pastiddhe, mennule ricce, semienti, ciciri rrustuti. Accanto alle barche si posizionavano i vecchi pescatori con i pesci in barile o affumicati: sarde salate, scapece,

25

T he text is taken from one of the two novels of the volume “L’Inesistente-La Curte de le Mite” - “The not-existing - The magpies’courtyard” (Movimedia, Lecce) and takes place in a very ancient Salento, populated by legendary and fantasy creatures. The main character is an orphan who wants to find his fortune and leave home and his crude master. He wants to find a legendary courtyard, “curte”, populated by magpies, and during his adventures, he arrives in Gallipoli in a particular time.

e si sporse per parlare con certi popolani che si erano fermati a rinfrescarsi alla fontana Scusate! Buona gente, conoscete un certo Mastro Titoru? È un maestro d’ascia… Dice che è bravo... Quelli si guardarono con facce sbalordite, mormorarono qualcosa tra loro e poi il più anziano rispose, facendosi il segno della croce: E chi non lo conosce mastro Titoru! Ma è morto e sepolto da oltre cinquant’anni, da come mi posso ricordare! Perché, che volete? Niente, niente, questo qua riprese Angelo, indicando Salvatore dice che ieri l’ha visto e gli ha dato pure dei soldi! L’ho visto, l’ho visto, potessi cecarmi! ribattè impermalito e stupito Salvatore Ecco i soldi che mi ha dato! disse cacciando il sacchettino dalla giacca e porgendolo ad Angelo. Angelo lo prese e aprendolo, sfilò alcune monete dall’interno, mostrandole agli interlocutori che allungarono il collo e le mani per vedere meglio: Ma queste sono monete fuori uso! dissero in coro Sono fuori dal commercio da un bel pezzo! Dovreste sapere anche voi che non valgono niente! Chi ve l’ha date?Angelo rispose: Questo giovane, ieri, ha vinto la cuccagna e questo era il premio. Io non le avevo viste prima e solo ora mi accorgo che avete ragione! Ma tu, non ti sei accorto che qualcuno ti ha preso per il naso? Te l’avevo detto di stare attento ai briganti! Dovevo avvertirti anche di guardarti dai fantasmi? Salvatore strappò di mano all’amico il sacchetto di monete e si accorse, sbalordito, che le monete erano tutte senza valore (…)



TURISMO

Turismo Risposte sul Turismo - Intervista a Enrico Paolini........................................................................................................... 28 Rita de Bernart | Santuari sul mare di Puglia...................................................................................................................... 31 Maurizio Vetrone | Arte a Foglianise: gli effimeri monumenti di paglia intrecciata................ 35 Imma PetĂŹo | WEEKEND A... Molfetta e Giovinazzo, echi di tempi lontani, sul mare.......... 38 Fabiana Casto | LA SPORTA | Il Vecchio Molo a San Foca.................................................................................. 42 Brindare con il DOXI in Polonia...................................................................................................................................................... 44

RITA de BERNART Coltiva la passione per scrittura e giornalismo collaborando a diversi periodici su temi di cronaca e cultura

Maurizio VEtrone Laureato in conservazione beni culturali, appassionato di storia e tradizione locale

IMMA PETĂŹO Laureata in Scienze Politiche, rappresenta la Puglia per la Federation of Regional Actors in Europe di Bruxelles

27 27

FABIANA CASTO Laureata in sociologia, appassionata di musica e mare


TURISMO

IL NOSTRO DIRETTORE HA INTERVISTATO IL PROFESSORE

Enrico Paolini

RISPOSTE SUL TURISMO Nel mare magnum di locuzioni, parole, concetti, verità rivelate, simili & affini che folgorano il comparto turistico, Puglia & Mare ha ritenuto opportuno rivolgere qualche domanda ad un tecnico ed esperto del settore qual è il professore Enrico Paolini. Il quale, docente emerito di marketing turistico dell’Università di Teramo, è stato anche assessore al turismo, nonché presidente vicario, della Regione Abruzzo, coordinatore nazionale degli assessori regionali al turismo, per lungo tempo vice presidente e poi presidente vicario dell’Enit; e si limita qui un elenco altrimenti lungo di incarichi che ne rimarcano la grande competenza. Cominciamo con il chiedere quale ritiene siano le prospettive del comparto turistico in Puglia, alla luce dell’andamento degli ultimi anni. “Ottime prospettive – risponde – perché la Puglia è cresciuta e la sua crescita non è stata a singhiozzo, ma ordinata e progressiva. Non omogenea, certo, perché i prodotti turistici non lo sono, ma diversificata. Tra le destinazioni, cresce il Salento e primeggia Gallipoli. Emerge grazie ad un progetto turistico giovanile che propone un prodotto innovativo, un mix di turismo e divertimento che sta beneficiando di un’attenzione internazionale, come dimostra il modello Samsara replicato in Montenegro.

Un altro esempio positivo viene dalle masserie del Brindisino e dalla crescita esponenziale di Bari come città turistica. E’ importante anche l’ottima gestione degli aeroporti attenta all’internazionalizzazione”.

Foto: Nunzio Pacella

A proposito di aeroporti, gli accordi con Ryanair sono sufficienti a superare la posizione geografica periferica della Puglia, che diventa ulteriore gap per il Salento? “Sono sempre troppo pochi, perché ogni postazione di partenza che si aggiunge produce un nuovo “corridoi turistico” di arrivi”.

Castello - Bari

28


Foto: Nunzio Pacella

TURISMO

Roca vecchia

Ritiene che si faccia troppo mito intorno a concetti e parole legati al turismo, come “fare rete” e “destagionalizzazione”? “Il turismo non ha bisogno di buone parole, ma di buoni comportamenti da studiare e utilizzare criticamente. A Gallipoli e nel Salento, ad esempio, sta emergendo, sia pure con errori, ma con grande capacità innovativa, una generazione di nuovi imprenditori”.

Nel comparto turistico, esistono i modelli? Si può parlare di un “modello Gallipoli”? “Modello no. Esiste una serie di esperienze prettamente gallipoline riferibili a prodotti turistici diversi, alcuni dei quali d’eccellenza come il mare e ciò che vi ruota intorno, dal centro storico che è città di mare al divertimento giovanile legato al mare”. Quali dovrebbero essere i contenuti del “modello Gallipoli” per assumere una valenza generale? “Enfatizzare il suo speciale rapporto con il mare, ma è preliminarmente necessario realizzare un “sistema Gallipoli” che centri un obiettivo mancato in passato: il funzionamento in sinergia del pubblico e del privato, così che accanto all’impegno degli imprenditori vi siano politiche di servizi adeguati e infrastrutturazione”.

E il rapporto tra cultura e turismo? “È sicuramente insufficiente, ma può crescere solo con interventi adeguati del ruolo pubblico, come dimostra l’esperienza di Pompei”. In che cosa consiste il “turismo sostenibile” e come si può declinare per non perdere i valori identitari di un luogo? “Il tema centrale è la protezione attiva delle risorse naturali e prima di tutte del mare: la sua qualità e bellezza sono messe a rischio da ipotesi folli come quella petrolifera o da un uso senza regole che va limitato. Questa strategia, con riferimento a Gallipoli, va utilizzata anche per il Parco regionale del Pizzo, purtroppo non gestito e abbandonato a se stesso insieme al sistema dunale dello splendido lungomare”.

i n order to find answers about tourism, a very debated theme, Puglia & Mare asked some questions to an expert, such as Professor Enrico Paolini. It emerged that tourism doesn’t need good words, but good practices, to study and copy in a critical way. In Salento, for example, we have many cases of new entrepreneurial experiences, connected to excellent products/ attractions, such as the sea and young people amusement linked to the sea.

29



TURISMO

SANTUARI SUL MARE DI PUGLIA ph: www.prolocovieste.it

di Rita de Bernart

Sono meno di quanto potrebbe pensarsi, le chiese che si affacciano sui mari che bagnano la Puglia, considerando che la regione può vantare oltre 860 chilometri di costa. In tale contesto, fa eccezione Gallipoli, che da sola custodisce ben undici templi: San Francesco di Paola, Santa Maria della Purità, San Francesco d’Assisi, Santa Maria degli Angeli, Santissimo Crocefisso, San Domenico e Madonna del Rosario, Anime del Purgatorio, sulla riviera; Sant’Antonio di Padova e Buon Pastore, sul lungomare di scirocco; Santuario di Santa Maria del Canneto, di cui si tratta di seguito, e cappella di Santa Cristina situate nello scenario unico che raccorda la città nuova alla vecchia. L’itinerario proposto ai lettori inizia dal Gargano e termina nel Golfo di Taranto.

San francesco A vieste

Un luogo sacro a difesa della città. Arroccata sull’estrema propaggine dell’enorme scogliera su cui sorge il borgo medievale, la Chiesa di San Francesco a Vieste dà il T he itinerary of Shrines overloonome all’intera penisoletta che chiude la città. Il complesso religioso risale, secondo king the Sea in Apulia, ideally links le fonti a disposizione, al 1438, quando una coppia di coniugi viestani, Algragio e the area of Gargano with the Gulf Narda, fecero costruire a proprie spese un convento donandolo poi alle Clarisse. La of Taranto. Actually, considering that Apulia’s coastline is 860 kilometresorte non fu propizia e il convento durò poco, forse distrutto durante uno dei tragici long, the temples are fewer than you avvenimenti che scossero l’antica “Viesti” tra il XV e il XVII secolo. Sui suoi resti fu may expect- with the exception of Galin seguito costruita l’attuale Chiesa con Monastero che ospitò i frati Francescani. lipoli, which hosts eleven of them- but Durante il dominio francese, nel 1809 Gioacchino Murat chiuse il convento che fu they show a great variety of size, archiconvertito prima in avamposto militare, poi in carcere militare e civile. Nei secoli, la tectural styles, age, materials and destruttura iniziale della chiesa è cambiata per via dei vari interventi, ma il suo nome è gree of preservation after renovations rimasto per sempre legato a San Francesco, alla cui devozione si è affiancata quella needed over the years. per Sant’Antonio da Padova, tanto che nella Chiesa sono custodite entrambe le statue dei Santi. Nel primo decennio del 2000 è stata avviata l’ultima ristrutturazione, terminata nel 2012. Con quest’ultimo intervento, hanno visto nuovamente la luce le sei cappelle che si aprono sulla navata, alcune tele settecentesche e il meraviglioso soffitto ligneo a capriate, caratteristica peculiare di questo tempio a San Francesco. Dall’omonima via, guardando la chiesa, sulla sinistra si stendono la baia di marina piccola e l’isolotto di sant’Eufemia sede del faro, sulla destra una scalinata che porta su una selvaggia scogliera con trabucco e una vista mozzafiato del centro storico a picco sul mare.

31


TURISMO

Santa maria assunta A trani

ph: Salvatore Freni (da wikimedia)

ph: www.italianways.com

ph: Nunzio Pacella

Interamente costruita in pietra di Trani, la cattedrale dedicata a San Nicola Pellegrino fu edificata nel 1099. Caratteristica peculiare, il colore unico delle facciate esterne, un rosa chiarissimo tipico del tufo calcareo, estratto dalle cave della città. Fu costruita per volontà del vescovo Bisanzio, a seguito della morte e canonizzazione del giovane pellegrino Nicola, proveniente dalla Grecia e sbarcato a Trani, le cui reliquie sono venerate nella Cripta. A pianta basilicale con transetto e tre navate, la chiesa è ricca di una pregevole porta centrale di bronzo, uno dei più interessanti esempi del genere esistente nell’Italia meridionale. Il suo campanile, alto poco meno di 59 metri, è stato realizzato nel XIII secolo, con lavori che si protrassero per oltre un secolo.

SAN CORRADO A MOLFETTA

La chiesa è un originale esempio di architettura romanico-pugliese ed è dedicata al patrono della città San Corrado. Dopo un pellegrinaggio in Terrasanta, Corrado di Baviera sostò a lungo a Molfetta nell’ospizio dei Crociati e si ritirò poi presso il Monastero di Santa Maria ad Criptam di Modugno dove morì nel 1154. I molfettesi, legati a quel frate, ottennero di trasportare le sue spoglie nella Chiesa Vecchia di Molfetta. Il 10 Luglio 1785, quando il Capitolo si trasferì da tale Chiesa alla nuova Cattedrale, il tempio fu intitolato al Santo. Le sue ossa sono sistemate sotto l’altare che gli è dedicato nella nuova cattedrale; il teschio è conservato in un busto d’argento fatto realizzare a ringraziamento dello scampato pericolo dalla terribile pestilenza del 1656.

S. maria assunta A giovinazzo

La concattedrale sorge sul luogo di un tempio più antico dedicato a Santa Maria de Episcopio. Costruita in età normanna (tra il 1113 e il 1180), fu consacrata solo un secolo più tardi, il 23 maggio 1283. Dopo vari rifacimenti, della vecchia chiesa romanica a tre navate restano oggi purtroppo poche tracce. I lavori di ristrutturazione, realizzati tra il 1730 ed il 1752 sotto il vescovo Paolo de Mercuzo, hanno portato al totale rifacimento degli interni secondo il gusto barocco. Appartengono all’antica chiesa romanica il prospetto posteriore, chiuso tra due torri campanarie (di cui la più piccola è però del Seicento), parte della zona del presbiterio, tracce dell’originaria pavimentazione a mosaico e la cripta con volte a crociera sorretta da 10 colonne e 12 paraste.

32


TURISMO

SAN vito A polignano a mare

S. maria del canneto A gallipoli

Chiesa con vista su castello e città vecchia, il Santuario della Madonna del Canneto che affaccia sull’omonimo porticciolo è un tempio di culto tra i più amati e frequentati della Città Bella, di cui è peculiare la presenza dell’antistante portico a tre arcate. Edificata nel 600, sorge sui resti di una chiesetta appartenente all’ordine dei Cavalieri Teutonici di San Giovanni. La sua dedicazione è legata ad un miracolo, declinato in varie versioni, tra cui quella secondo cui alcuni pescatori gallipolini, nel bel mezzo di un incendio nei pressi del porto, recuperarono dalle fiamme un’icona della Madonna perfettamente intatta. Pregevole il soffitto ligneo a cassettoni con rifiniture in oro, uno dei rari esempi di tale struttura esistenti in provincia di Lecce.

Stella maris A pulsano

La Chiesa Stella Maris, a Marina di Pulsano, si erge a ridosso della spiaggia di Montedarena e del mare, su cui il 15 agosto viene portato in processione il simulacro della Vergine. Fatta costruire nel 1960 dal signor Cosimo Screti, a sue spese, lungo la litoranea salentina che collegava Pulsano a Taranto, all’epoca di recente realizzazione, la chiesa fu inaugurata il 4 luglio 1965. Il rito in onore di Maria Stella del Mare si poté così spostare da un vecchio tempietto situato nell’entroterra, proprio sullo Jonio. Il tempio custodisce la statua della Madonna con Bambino, che però sovrasta una barca, proprio per esaltare il Titolo, che è tra i suoi più antichi, di “stella polare” per i cristiani nel viaggio della vita, che la privilegia nell’invocazione di viaggiatori e naviganti.

33

ph: Mboesch (wikimedia)

Se volete assicuravi un posto in paradiso, dovete passare da qui almeno una volta nella vita. Così narra la leggenda secondo cui San Pietro, nel sui viaggio tra Terrasanta e Roma, fece tappa a Leuca. Il nome Santa Maria di Leuca deriva dal greco “Leucos” - bianca terra - che i romani chiamarono “De Finibus Terrae” - ai confini della terra - per indicare l’estremo limite dei “Cives” (cittadini) romani, al di là del quale cominciavano i “Provinciales” (i coloni). Il Santuario sorge dove un tempo c’era il tempio dedicato alla dea Minerva; del quale si conserva parte dell’ara su cui i Leuchesi offrivano sacrifici alla Dea (sulla destra entrando in chiesa). Oggi da molti è chiamata anche “Madonna delle frontiere”, poiché Maria apre le braccia verso Oriente per abbattere ogni barriera.

ph: Bartolomeo Giove (panoramio)

S. maria de finibus terrae A leuca

ph: Mentnafunangann (wikimedia)

Su uno dei costoni più suggestivi dell’intera Puglia, l’Abbazia di San Vito sorge a circa 3 chilometri dal centro abitato di Polignano a Mare e si articola in un complesso che rappresenta un esempio di architettura monastica di rilevante importanza storica. Accanto all’edificio si trovano la torre costiera San Vito e la masseria a torre Vecchio Ovile. La sua esistenza è attestata dalle Bolle di Alessandro II del 1063 e di Urbano II del 1089, e la costruzione è, secondo le fonti, anteriore agli inizi della seconda metà del XI secolo. La chiesa è costruita sulle rovine di un’antica torre romana e le è peculiare l’impianto con tre cupole in asse nella navata centrale, tipologia diffusa in Puglia dal XI al XIII secolo, ma con volte a botte a copertura delle due navate laterali.


Il faro di Gallipoli


TURISMO

È probabilmente l’incredulità, la prima reazione di chi s’imbatte nelle immagini delle splendide architetture realizzate a Foglianise in onore di San Rocco e apprende che sono fatte di paglia. Eppure è proprio paglia, semplicemente paglia, lavorata da maestri-artisti con l’abilità delle mani e senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico. Le opere, realizzate in onore di San Rocco, meritano sicuramente una visita per assistere alla sfilata che il 16 agosto richiama oltre trentamila persone nella cittadina campana. E meritano che questa rivista vada “fuori regione”, prendendo a pretesto la presenza, tra i carri della sfilata di quest’anno, del Faro dell’isola di Sant’Andrea di Gallipoli. Un’immagine affatto originale, per concludere le manifestazioni che, per oltre un anno, hanno celebrato i 150 anni trascorsi dalla prima accensione del faro, avvenuta il 15 giugno 1865. La nota di Maurizio Vetrone è pubblicata in versione integrale su www.pugliaemare.com.

Arte a FOGLIANISE:

gli effimeri monumenti di paglia intrecciata di Maurizio Vetrone A Foglianise, piccolo paese del beneventano immerso , nell incantevole paesaggio del Parco Regionale TaburnoCamposauro, ogni anno il 16 , Agosto l arte incontra la tradizione in occasione della Festa del Grano in onore di San Rocco. lemento caratterizzante della manifestazione è la tradizionale sfilata dei carri di grano: impalcati in legno ricoperti di paglia intrecciata in vario modo che rappresentano il prospetto architettonico di una chiesa o il tutto tondo di una torre, di un campanile, di una fontana ed altro. Tali architetture effimere si compongono di una struttura in legno su cui viene poi collocata la paglia lavorata dai “maestri della paglia”; i quali, partendo da una semplice foto dell’opera, cercano di rendere al meglio la rappresentazione del monumento riproducendo cornici, fregi, membrature, rosoni, ornamenti, portali e statue, alternando le varie tecniche d’intreccio a disposizione. Sono loro i testimoni viventi dell’arte dell’intreccio, che ha profondamente caratterizzato la storia della civiltà contadina e che oggi ha raggiunto tali risultati di perfezione, da riscuotere consensi entusiastici da parte dei numerosi visitatori, garantendone inoltre la presenza nelle maggiori strutture museali in Italia e nel mondo.

E

San Pio

Chiesa Madre - Mesagne - Brindisi (particolari)

35


TURISMO

Per ricoprire l’impalcato in legno di paglia lavorata, occorrono in media circa due mesi di lavoro – giugno e luglio - per un gruppo formato da 15 persone. La preparazione, però, comincia durante l’inverno, quando ogni cortile diventa il laboratorio scenotecnico della futura rappresentazione plateale; un polo di aggregazione sociale spontanea. La maestria nel realizzare con minuzia parossistica gli elementi artistici dell’arredo parietale dei carri, denota il genuino fervore del gran numero di persone, ragazzi o anziani, dediti inconsapevolmente e per incanto ad un arte ereditata quasi geneticamente dai loro avi.

Carri esposti

Dal 2007, il comitato festa ha deciso di “tematizzare” la Festa del Grano proponendo ogni anno rappresentazioni di chiese e monumenti di una regione italiana. Quest’anno ha scelto la splendida Puglia, che con la sua storia, l’inestimabile patrimonio artistico e le sue incredibili bellezze naturali, è stata una base di partenza solida e il cui risultato è stato certamente uno dei più belli in assoluto.

Basilica della Santa Croce - Lecce

Gli ulivi secolari, i castelli unici nelle sue architetture, le chiese romaniche e barocche, i fari sulla costa, le architetture povere con tutto il loro fascino, sono stati uno scenario bellissimo da cui trarre ispirazione per le straordinarie “macchine da festa” di Foglianise. La Festa del Grano ha, da sempre, rappresentato per la comunità un’occasione di scambio culturale grazie ai numerosi visitatori che giungono in paese, un viaggio di ricerca per la valorizzazione dell’identità nella collettività, che colloca Foglianise in contesti provinciali, regionali, peninsulari e mondiali.

Castel del Monte - Andria - BAT

I n Foglianise, a small village near Benevento, on 16th August, art encounters traditions, on the occasion of the “Grain festival”, dedicated to Saint Rocco, with a “graintruck” parade- The trucks are created with woven straw and represents the facade Churchs, towers, bell-towers or fountains and so on. This year the theme has been “Apulia”, and the images show the skills of the artists involved.

Stadio San Nicola - Bari

36


TURISMO

37


WEEKEND A

Molfetta (wikimedia)

MOLFETTA e

echi di tempi lontani, di Imma Petìo

25 chilometri dalla città metropolitana di Bari, con i suoi 65.000 abitanti, Molfetta è una di quelle cittadine sconosciute ai più che attendono solo di essere scoperte ed esplorate in tutta la loro ricchezza ed ecletticità, uno scrigno in puro “stile pugliese” traboccante di mare, paesaggi, cultura, arte, tradizioni e gastronomia.

A

Nel vostro itinerario, sarete liberi di privilegiare l’una o l’altra faccia della cittadina lasciandovi guidare dai vostri gusti oppure dalla stagionalità, assecondando ciò che vi verrà suggerito dal periodo dell’anno nel quale sceglierete di percorrere le sue strade strette e tortuose, che vi proteggeranno dal vento gelido in inverno e dal caldo rovente d’estate. Immaginando di raggiungerla dal mare, lo scenario che si prospetterà

davanti ai vostri occhi vi farà provare quasi la sensazione di essere giunti in una terra molto più remota, dalle rievocazioni arabeggianti, forse per le due imponenti palme che avvisterete ad accogliervi insieme alle due torri, una di avvistamento e l’altra campanaria, appartenenti al Duomo di San Corrado, che, edificato tra il XII e il XIII secolo rappresenta una perla dello stile romanico pugliese. In effetti, quella visibile ed accessibile dal mare è la Molfetta più antica, quella che da sempre è un ponte verso l’Oriente. Da qui potrete ammirare la grande conca del porto ed intravedere, sul lato opposto, la Basilica della Madonna dei Martiri con annesso l’Ospedale dei Crociati. Non lasciatevi però ingannare da questo epiteto, poiché i Crociati non sono mai partiti da questi litorali. In realtà, al suo interno trovavano ac-

38

coglienza i pellegrini in viaggio verso la Terra Santa o che da Oriente giungevano in Puglia e percorrevano la Via Francigena. Da sempre una terra ospitale, dunque, Molfetta ha conservato questa vocazione senza mai tradirla. Il suo nome appare per la prima volta in documenti del X–XI secolo, ma la tradizione cittadina fa risalire le sue origini all’età greco-romana. Ci piace pensare che questa tradizione sia attendibile, soprattutto perché, a visitarla, pare che la storia ed i suoi protagonisti non si siano mai dimenticati della cittadina pugliese, affidandone alla memoria storica il proprio passaggio e marchiandola indelebilmente. Molfetta, infatti, offre ai suoi visitatori i segni visibili di ogni epoca, a partire dalle orme dei dinosauri calpestabili nella cava (non molto distante dal borgo), per arrivare al


GIOVINAZZO, sul mare

medioevo e poi al rinascimento con i suoi palazzi nobiliari, fino al barocco della Cattedrale, che ospita le tele di Corrado Giaquinto. A fungere da fil rouge sempre lui, il mare, che abbraccia tutto il borgo medievale, costruito su un promontorio di forma ellittica, portando, però, con sé l’inevitabile esigenza di difendersi da chiunque da quel mare giungesse inaspettato. A testimoniarlo in maniera inconfondibile è rimasto il Torrione Passari, un cilindro di pietra fortificato costruito nel 1512, sul quale è possibile salire per gustare una visione unica sulla costa adriatica. Stesse esigenze difensive hanno caratterizzato Giovinazzo, un altro borgo storico contiguo al mare a pochi chilometri da Molfetta, che abbiamo il piacere di segnalarvi anche perché

a breve sarà possibile spostarsi tra le due cittadine percorrendo una pedociclovia, grazie ad un progetto che si inserisce nella rete di itinerari della CYRONMED (CYcleROute Network of the MEDiterranean). Nulla di più opportuno ed utile per permettere ai visitatori di conoscere ed ammirare ad un ritmo più lento, e, dunque, anche con maggiore consapevolezza, le ricchezze paesaggistiche e naturali di questo lembo di Puglia, ed emozionarsi a ritmo di piccoli passi o pedalate. Anche Giovinazzo brulica di viottoli alternanti tra angoli nascosti ricchi di aneddoti e splendidi palazzi, tra chiese (romaniche e non), mura aragonesi, caratteristiche piazze e archi che fungono da porte per accedere al centro storico. E anche qui, come a Molfetta, si cam-

39

mina respirando e annusando una storia millenaria mista alle più antiche e radicate tradizioni di questa terra e di questo mare. Il porticciolo di Giovinazzo è chiamato Porto Vecchio ed è protetto dai venti di nord-nordovest da una

t he towns have many things in common, first of all, the way you feel when you arrive from the sea, to be in a faraway land. Actually, they are less known than they would deserve, and they are waiting to be discovered and visited in their beauty and Apulian style, as they are rich in seaside views, culture, art, traditions, but also food and wine, which you can appreciate in one of the local restaurants in both towns.


Giovinazzo (wikipedia)

scogliera frangiflutti a due bracci e a levante da un molo. A ovest del promontorio sorge, imponente, un’altra Cattedrale che si specchia nel mare azzurro, quella di Santa Maria Assunta, costruita nel 1113 in stile romanico pugliese, con elementi normanni ed orientali. Al suo interno intriso invece di stile barocco, viene custodita l’icona bi-

zantina della Madonna di Corsignano, la Santa Patrona festeggiata per tutto il mese più caldo dell’anno, agosto, il cui primo miracolo, si narra, fu l’aver posto fine alla siccità; inoltre, è possibile visitare una suggestiva cripta conosciuta un tempo come “Chiesetta dei Crociati”, così chiamata per la stessa ragione accennata prima per l’Ospedale di Molfetta.

Vi salutiamo, infine, esortandovi ancora una volta a partire alla scoperta dei molteplici tesori che queste due cittadine custodiscono al loro interno e a gustarne a pieno la vivacità ed il sapore, magari concedendovi anche un boccone di pesce locale freschissimo, preparato impeccabilmente nei numerosi ristorantini tipici che a sera animano entrambi i borghi.



SPORTA

AL MERCATO DELLE GOLOSITÀ CON...

La Sporta Testo Fabiana Casto

Situato a San Foca, in uno dei luoghi più belli del mare Adriatico, il ristorante

Il Vecchio Molo esalta

i sapori del mare e li rende ancora più unici, grazie alla maestria e alla fantasia del suo giovane chef,

Davide Rollo.

Gli amanti del pesce qui infatti trovano il loro paradiso poiché possono degustare le delizie del mare sempre fresche ed esaltate da ingredienti di eccellente qualità. Quelli del Vecchio Molo non sono semplici pranzi e cene a base di pesce, ma viaggi alla scoperta del sapore verace della materia prima. Che vi sia un’influenza japan nella mano dello chef Davide è innegabile: i suoi primi studi culinari hanno riguardato proprio la cucina giapponese. «La vera difficoltà risiede nell’essere semplici», questo il mantra di Davide, che ha conquistato i palati con gli gnocchi viola, le orecchiette di grano arso con calamaretto spillo, fagiolo con l’occhio, pomodorino fiaschetto, crema di burrata e gambero viola crudo e con la sua mugnaia rivisitata. Il menu, tra l’altro, riserva una grande

attenzione anche ai clienti vegetariani.

I nostri piatti

TARTARE DI SALMONE

BAVARESE DI RICOTTA, MERINGHE E FRUTTI DI BOSCO 42


SPORTA

Ma vediamo un po’ chi è lo chef Davide Rollo. A nemmeno 30 anni è diventato uno degli chef più apprezzati in tutto il Salento e ora, dopo una lunga gavetta e tanto lavoro, ha coronato il suo sogno: riuscire ad entrare nell’Accademia di Gualtiero Marchesi. Quando si dice i casi della vita: il primo libro di cucina che Davide ha letto è stato proprio quello del fondatore della Nuova Cucina Italiana. A soli 17 anni, ha incominciato a lavorare come lavapiatti nel ristorante di famiglia, a 22 ha iniziato a creare i primi piatti, poi i secondi e, infine, da 5 anni è il cuore pulsante del Vecchio Molo. Ora il cerchio si è chiuso, come a imprimere un nuovo corso a una vita interamente dedicata alla cucina e fatta di sudore, umiltà e tanta voglia di sperimentare: Davide, dopo l’esperienza con il maestro milanese, è pronto a innovare ancora di più il suo menu, nella certezza che le sue creazioni culinarie rappresentano l’amore per il territorio e il suo mare. Chi lo conosce bene sa già che lo chef salentino è un vero e proprio cuoco compositore, definizione tanto cara proprio al maestro Marchesi: come nella musica, così nella cucina, il vero artista è chi concepisce il brano, non chi lo esegue, per quanto magistralmente lo possa fare.

E Davide di creatività ne ha già dimostrata tanta: i suoi gnocchi di patate viola hanno fatto il giro dei palati nostrani e no, diffondendo la cultura del tubero Vitelotte, dalle molteplici proprietà nutritive e adatto anche ai celiaci. Davide non si ferma mai, perché il suo motore interiore sono la passione per la sua terra, per il cibo di qualità e per Il Vecchio Molo, l’eredità più preziosa e impegnativa che gli abbia lasciato la madre. Gli affetti, si sa, sono quelle presenze che restano nel cuore anche quando fisicamente non ci sono più: quell’amore, quel rispetto per le tradizioni e per la sua terra sono l’etica di uno chef che parla di sé attraverso i suoi piatti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ristorante pieno, clienti che tornano e sold out 365 giorni all’anno.

baccalà mantecato su crema di cavolfiore e fava tonka granella di pistacchio e capocollo di martina

risotto acquerello al lime burrata e cruditè di gambero violetto e polvere di liquirizia 43


TURISMO

Brindare con il DOXI in Polonia Nuovo riconoscimento, questa volta internazionale, per il Doxi Alezio Doc di Cantina Coppola 1489. Alla fiera enologica di Varsavia, una giuria di esperti, guidata dal giornalista Tomasz-Prange-Barczynski direttore del Magazine Wino, ha premiato il Rosso riserva 2012 con la medaglia d’oro del “Wine Expo Poland Award”. Il riconoscimento è stato assegnato dopo una degustazione “al buio” di centinaia di vini provenienti da tutto il mondo. Il Doxi Alezio Doc è l’etichetta più vecchia e rappresentativa della Cantina; tanto che già negli Anni ’70 Luigi Veronelli lo apprezzava perché, diceva, “è un vino che ha sale”. Sintetizzava così un duplice riferimento: all’aria salsa dello Jonio, di cui beneficiano le uve che lo compongono - 80 per cento negroamaro e per il resto malvasia - provenienti dalla tenuta Santo Stefano che si affaccia

sul Golfo di Gallipoli; e per la “speziatura” che ne arricchisce l’armonia del gusto dopo i due anni di invecchiamento in botti di rovere. “E’ sempre una grande soddisfazione – ha commentato Giuseppe Coppola - vedere premiati i frutti del nostro lavoro. Da un po’ di tempo ci siamo affacciati sul mercato estero relazionandoci con i piccoli consumatori, e fidelizzandoli, partendo dal potenziale bacino d’utenza del nostro villaggio turistico. Il “Wine Expo Poland Award” si colloca in quest’ottica come ponte per incuriosire gli appassionati e conquistare una piccola fetta di mercato in un Paese in cui i consumi e gli estimatori crescono di anno in anno”.

Frantoi di Palazzo Granafei

Orari di visita Frantoi di Palazzo Granafei - Gallipoli, Via A. De Pace n. 87: da Gennaio ad Aprile - Novembre e Dicembre: tutti i Sabati e le Domeniche ore 10-12; Maggio: ore 10-13/16-19; Giugno: 10-13/16-21; Luglio: 10-24 Agosto 10-24; Settembre: ore 10-13/16-21; Ottobre: 10-12,30/15-17,30. Frantoio di Palazzo Briganti - Via Angeli: Visite esclusivamente su prenotazione.

Per prenotazioni e informazioni Tel.0833.264242 - Cell. 348.8956109 - ass.gallipolinostra@libero.it


Benvenuti a Gallipoli

...non solo d’estate

I


IL BAROCCO A GALLIPOLI: IL COLORE E IL CALORE Il Barocco è una corrente artistica diffusasi nel XVII secolo caratterizzata dalla grande quantità di elementi decorativi. Le linee sono complesse, si hanno ellissi, spirali o curve a costruzione policentrica dovute proprio a quel periodo tetro che spinse gli artisti all’esuberanza nei dettagli. A Gallipoli, lo stile barocco caratterizzò la maggior parte delle strutture sacre e successivamente influenzò l’architettura civile. L’arte barocca fiorì nelle sue caratteristiche più rilevanti quando fu definitivamente allontanata la minaccia delle incursioni da parte dei turchi.

Il Barocco Gallipolino ha caratteristiche molto particolari, prima fra tutte il materiale con cui sono state costruite le strutture. Infatti si usa il carparo, che a differenza della pietra leccese è una pietra dura che si lavora con difficoltà. La maggiore manifestazione di arte barocca si ammira nella cattedrale di Sant’Agata. La facciata è in carparo e l’interno, a pianta a croce latina, si compone di tre navate separate da dodici colonne doriche per ricordare il periodo del martirio della santa. A rendere solenne la struttura è la presenza di dodici altari, ognuno dei quali presenta una pala d’altare dipinta.

Proprio la presenza di queste tele ricche di colori rappresenta la particolarità che distingue il Barocco gallipolino dagli altri. La cattedrale in particolare, per la quantità di tele al suo interno può vantare di essere una vera e propria pinacoteca. Un discorso analogo si può fare per la chiesa della Purità, con la differenza che la sua facciata è molto semplice, senza decorazioni esagerate, ma entrando si ammirano le meravigliose tele e i fregi barocchi che conserva al suo interno. Gallipoli è piena di antiche strutture ricche di storia da raccontare; aspettano solo che qualcuno le vada ad ascoltare.

ph. Carlo Liviello

Gruppo Libeccio

II


III

ph. Emanuele Piro


TRADIZIONI IN FUOCO & ARTE

ph. Associazione AGRIGER

Ci sono tradizioni che fanno parte del patrimonio storico e culturale di un popolo. Non si tratta solo di grandi nazioni, ma anche di piccole realtà locali, di paesi, di comuni di cui l’Italia è ricca. Ciò accade anche a Gallipoli, dove le tradizioni sono molto sentite e molto rispettate. Il pupo di San Silvestro è una di queste. Si tratta di un fantoccio in cartapesta, che può essere anche di dimensioni imponenti; rappresenta il vecchio anno che sarà bruciato per portare via i malanni ed augurare un anno nuovo che si spera sia migliore del precedente. I ragazzi di ogni quartiere si riuniscono per creare un pupo, che molto spesso rappresenta un personaggio contemporaneo. I gruppi di costruttori sono in competizione tra di loro, e ciò comporta creazioni sempre più fantasiose e originali. La tradizione continuerà per anni grazie ai giovani che hanno questa passione; un esempio è l’associazione “Fideliter Excubat” composta da giovanissimi, ai quali i genitori hanno trasmesso l’arte della lavorazione della cartapesta. Il lavoro che occorre è tanto, e tanta è la spesa a cui devono far fronte questi ragazzi che solo in parte è coperta dagli sponsor locali sempre più parsimoniosi nel concedere aiuti. La tradizione vuole che i pupi vengano “sparati” a mezzanotte del 31 dicembre. Altro esempio delle tradizioni del fuoco a Gallipoli è rappresentato dalle focareddhe di Sant’Antonio del 17 gennaio. Sono dei cumuli di rami, frutto soprattutto della rimonda degli ulivi, che vengono bruciati in nome del Santo. Fino ad alcuni lustri addietro, le focareddhe venivano realizzati agli incroci delle stradine del centro storico. Il fatto che fossero piccole, ma numerose, differenzia la tradizione cittadina rispetto ai luoghi in cui è realizzata una sola grande “focara” come succede a Novoli, dove l’evento attrae migliaia di spettatori da tutto il sud d’Italia. Di anno in anno i costruttori della “focara” si impegnano a variarne la forma e lasciano a volte un varco centrale, “la galleria”, che durante la processione, la vigilia dell’accensione, è attraversata dal corteo che accompagna la statua del Santo. Pesce Pagliaccio

IV


N RIVA AL MARE LA MAGIA DELLA CARTAPESTA

Il Carnevale gallipolino ha radici molto antiche, ma solo da pochi anni ha assunto quei tratti tipici che lo differenziano da tutti gli altri. All’inizio del Novecento, il carnevale si festeggiava nel centro storico. Via Antonietta De Pace era il luogo in cui, visto lo spazio a disposizione, confluivano persone appartenenti a tutti i ceti sociali, munite di coriandoli e confetti, e molte mascherate dall’aspetto elegante in base a quanto fossero più o meno benestanti. Si poteva infatti capire che tipo di persona si celasse dietro la maschera, semplicemente guardando il costume: se, ad esempio, indossava un “domino”, la persona era probabilmente benestante; al contrario invece, se si trattava del “vandu susu e vandu sotta”. Si tratta di un semplice lenzuolo che si avvolgeva intorno al corpo, tenuto poi in vita da uno spago, mentre colui che lo indossava chiudeva i lembi vicino al viso per non farsi riconoscere. Superata la guerra, dopo anni di sofferenze tra conflitti, battaglie e morsa della povertà, i gallipolini avvertirono una generale voglia di ricominciare e, con l’aiuto di artigiani della cartapesta (tra i tanti, è famoso il compianto Antonio Scarpina) e la allora neofondata “Associazione Turistica”, venne reinventato il carnevale di Gallipoli. Con grande pazienza, fantasia e tanto impegno, i gallipolini riuscirono ad affermarsi in tutto il Salento. In seguito però, a causa di una grave crisi energetica che comportò le cosiddette “domeniche a piedi”, questa manifestazione dovette fermarsi. Nel 1978 ci fu una svolta, grazie all’intervento provvidenziale di don Armando Manno, parroco della zona di espansione, che organizzò una sorta di “rinascita” del Carnevale gallipolino, a livello di quartiere. Fu via Milano a fare da “sfondo” a questa nuova edizione, luogo ideale per far sfilare i vari gruppi mascherati. Fu un vero successo, tanto che i gallipolini da quel momento in poi non rinunciarono più alla loro personale interpretazione del Carnevale. La manifestazione quindi ritornò sul Corso Roma, inserendo nuovamente anche i carri allegorici. Un gruppo mascherato tradizionale è quello del “Titoru”, un soldato che, tornato a casa dalla madre al termine della guerra, muore soffocato mangiando una polpetta con troppa foga. Rappresenta la fine del Carnevale, infatti viene fatto sfilare durante il Martedì grasso, ultimo giorno di questa festività. Pesci Pannocchia

V


DUE PREGHIERE FUORI PORTA La chiesa di San Mauro nacque a partire dai sec. VIII-IX ad opera dei monaci basiliani. Un’antica leggenda legata a San Mauro è collegata alla nascita di questa chiesa. Il mito narra che il Santo subì il martirio nell’anno 284, a Roma. Dopo averne trafugato il corpo, i compagni si imbarcarono per la loro terra d’origine, l’Africa, ma nei pressi di Gallipoli furono spinti a riva e dovettero abbandonare la nave. Depositarono il corpo del Santo in una grotta e decisero di rifugiarsi lì, dopo poco però furono scoperti e uccisi dai soldati. I cittadini dopo aver trovato le spoglie di San Mauro, decisero di costruire una chiesetta in sua memoria e il primo maggio di ogni anno ne celebrarono la ricorrenza. Le origini della chiesa e del monastero di San Mauro sono da ricercare nella grecizzazione della Terra d’Otranto ad opera dei monaci basiliani. La presenza di grotte, predilette dai monaci, è collegata alla scelta del luogo dell’insediamento, chiamato Orthólithon, ovvero “rupe dritta”, a causa della rupe a strapiombo sul mare, nota attualmente come la “Montagna spaccata”. In origine il monastero, la chiesetta e una o più grotte adibite a scopo di culto costituivano l’insediamento. La chiesa, interamente affrescata, era fornita di tre altari rivolti ad oriente, e presentava la distinzione tra bema (navata) e naos (presbiterio), evidenziata da un gradino ormai distrutto. La chiesetta si raggiunge percorrendo la Strada Provinciale 108 litoranea Gallipoli-Lido Conchiglie.

San Salvatore

SAN SALVATORE, GALLIPOLI La chiesa di San Salvatore è situata nei pressi di un piccolo corso d’acqua. L’abbazia è costituita da tre navate e l’abside che, con i suoi affreschi, è considerato un elemento molto interessante. Significative sono le tracce di una Deéisis, ovvero un tema iconografico cristiano di origine bizantina, mentre sull’arcata absidale è possibile ammirare una Trasfigurazione. Inoltre, sulla parte absidale centrale possono essere notati i volti dei padri cappadoci, di alcuni santi, filosofi e vescovi bizantini, come ad esempio San Gregorio, San Basilio e San Giovanni Crisostomo. Alle spalle della chiesa sono presenti delle piccole fosse, probabilmente destinate a sepolture. La chiesa è raggiungibile da Gallipoli percorrendo la strada provinciale 52 Gallipoli-Chiesanuova, svoltando a sinistra prima della zona industriale. Stelle Marine

VI

ph: Aurora De Pascalis

SAN MAURO, SANNICOLA

ph: Aurora De Pascalis

La dominazione Normanna portò prosperità nella penisola salentina e proprio in questo periodo nacquero alcune chiese bizantine molto interessanti, fra le quali la chiesa di San Mauro e la chiesa di San Salvatore, la prima situata in territorio attualmente appartenente al Comune di Sannicola, la seconda nel Comune di Gallipoli.

San Mauro


I riti della Settimana Santa a Gallipoli sono fra i più conosciuti della Puglia, attirando ogni anno migliaia di turisti che visitano la città ionica per l’occasione. Gallipoli vanta numerosi oratori animati da confraternite che curano le processioni dal Venerdì dell’Addolorata fino al Sabato Santo. Nel Venerdì di Passione, le strade di Gallipoli sono percorse dal simulacro dell’Addolorata portata in processione dalla Confraternita di Maria Santissima del Monte Carmelo. Il corteo prende il via a mezzogiorno ed entra nella Cattedrale di Sant’Agata dove viene eseguito un canto liturgico, spesso uno Stabat Mater. La processione, dopo aver percorso il borgo, rientra nella città vecchia in serata per la benedizione del mare. L’evento culmina alle 23, con il ritiro della processione. Il Giovedì Santo comincia il triduo pasquale con la messa in Coena Domini. Le chiese ornano con fiori e ceri gli altari della Reposizione detti “Sepolcri” e, durante la sera, le strade sono percorse da pellegrini in visita e dalle varie confraternite che in corteo si recano negli oratori e nelle chiese. I confratelli, in segno di lutto, sono incappucciati e detti “mai”. Ad aprire le processioni, e quelle dei successivi giorni, è la “trozzula”, una tavola di legno con battenti metallici usata per avvertire la gente del passaggio della processione. Il Venerdì Santo, al crepuscolo, si snoda la Processione dei Misteri curata dalle Confraternite del Crocefisso e di Santa Maria degli Angeli. Le statue portate in processione raffigurano la Passione di Cristo, seguite dal simulacro dell’Addolorata. Particolari della processione sono i penitenti,

ph: Vincenzo Fedele

LA SETTIMANA SANTA

persone anonime incappucciate che cercano misericordia portando o una croce sulle spalle o una “pisara” sul collo, ossia due massi legati da una corda, o si flagellano con una “disciplina”, ossia pezzi di metallo legati insieme da catenelle. La processione, dopo una sosta di preghiera in Cattedrale, prosegue verso il borgo. Rientrata in tarda serata nella città vecchia, culmina alle due del mattino.

VII

Alle tre, dalla Chiesa della Purità, prende via la Processione della Desolata, accompagnata dalla Confraternità di Santa Maria della Purità. Le statue portate in processione sono la tomba del Cristo Morto, un telaio in legno ricoperto di oro zecchino, ed il simulacro della Desolata. Il corteo rientra in chiesa a giorno fatto. Gruppo Libeccio


PIÙ VIVO CHE MAI IL PARCO NATURALE REGIONALE “ISOLA DI SANT’ANDREA E LITORALE DI PUNTA PIZZO” MOLTO SPESSO SOTTOVALUTATO Gallipoli: non solo movida, ma molto di più. È insieme di tradizioni e bellezze naturalistiche; tra le quali c’è il Parco regionale di Punta Pizzo e Isola di Sant’Andrea esteso oltre 700 ettari, 50 dei quali costituiscono l’isola. La zona Punta Pizzo è protetta per via dell’unicità della sua flora e della sua fauna. È un interessante mosaico ambientale composto da spiaggia, macchia mediterranea, pseudo-steppe mediterranee e ambienti umidi e paludosi. Tra la flora possiamo trovare specie quali “Ginestra spinosa”, “Orchidea italica” e “Corbezzolo”. Nel parco c’è una grande biodiversità dovuta alla presenza di vari ambienti naturali, come di seguito specificati.

Pinete litorali: Una fascia continua di pineta di origine antropica in cui è prevalente il Pino d’Aleppo; qui vivono uccelli come l’Usignolo e il Cinciallegra. Area umida retrodunale: È una zona prevalentemente occupata dalla Cannuccia di palude; vi abitano animali tipo Rospo smeraldino, Cannaiola e la Testuggine d’acqua. Ambiente litorale: Un’ambiente costiero creato grazie alla fossilizzazione di antiche dune. Questo è abitato da una specie endemica: lo Statice japigica (Limonium japigicum, Groves). Sono presenti anche diversi tipi di ginepro tra cui quello coccolone e fenicio.

Punta Pizzo: È un’area caratterizzata dalla presenza della Macchia mediterranea. Qui è presente una grande varietà di specie vegetali come il Lentisco, l’Antillide di Hermann, il Timo e il Rosmarino. Area sub-litorale/sub-steppica: La parte meridionale è caratterizzata da ampi prati verdi-azzurri a Piantaggine biancastra (Plantago albicans L.), con sporadiche presenze di Silene colorata (Silene colorata, Poir.). Area sub-litorale a campi coltivati: Ospita numerosi terreni agricoli coltivati. Son presenti più specie di uccelli: l’Averla piccola, la Calandra e la Gazza.

VIII

L’altra parte del Parco, l’isola, fu inizialmente abitata dai messapi che la chiamarono Achtotus (terra arida) per via della presenza di forti venti e mareggiate che spazzavano e sommergevano l’isola rendendola difficilmente abitabile. In seguito l’isola fu abitata dai bizantini che vi ci costruirono una cappella dedicata a sant’Andrea, da cui prese l’attuale nome, inoltre essa fu adibita nei secoli a venire a pascolo. La zona ospita una grande biodiversità infatti conta oltre 200 specie fra flora e fauna, tra le quali il Gabbiano corso, le praterie di Posidonia e lo Statice japigica. Gruppo Cupiddhi


DIALOGANDO CON LUCIANO SCARPINA...

ph: Cristian Perrone

IL GABBIANO CORSO

Sull’isola di S. Andrea abita il Gabbiano Corso. All’inizio degli anni ’90, ne notarono la presenza i biologi Luciano Scarpina e Giorgio Cataldini. Durante la pratica del birdwatching sull’Isola, con l’utilizzo di un cannocchiale per l’osservazione a punti fissi, un gabbiano attaccò Scarpina, sfiorandogli i capelli. Il gabbiano era caratterizzato dal becco rosso corallo con una piccola striscia gialla e zampe olivastre, ciò lo differenziava dal gabbiano reale. Contattò dunque un suo professore universitario, dal quale apprese che si trattava di un raro esemplare di Gabbiano Corso. Insieme con i suoi colleghi, perlustrò la zona e trovò il suo nido. Andò in Capitaneria di Porto, munito di certificazioni universitarie, affinché la protezione del gabbiano potesse essere attuata con maggiore attenzione. A Luciano e ai suoi colleghi fu concesso di andare a controllare, salvaguardare e studiare la nidificazione. Inizialmente lo sbarco fu vietato nel periodo della nidificazione; in seguito l’isola fu interdetta per tutto l’anno e attualmente è vietato l’attracco dei natanti. Gruppo Cupiddhi

IX


PROFUMI & SA Il mare nel piatto Una pregiata specie presente a Gallipoli è l’Aristeus Antennatus, detto anche “gambero viola”, che vive in gruppi numerosi a profondità comprese tra 200 e 1000 m, si nutre prevalentemente di organismi vegetali e si riproduce in primavera ed estate. Questi crostacei, leggermente differenti dal gambero rosso, sono ottimi al palato, anche consumati freschi, crudi, con un pizzico d’olio e sale. Un altro piatto assai saporito è la Quatara. Il nome del piatto deriva da quello della pentola di rame stagnata all’interno in cui veniva preparato. Si prepara facendo rosolare nell’olio aglio o cipolla e il pescato non messo in vendita perché generalmente ritenuto dagli acquirenti poco pregiato, con aggiunta di acqua marina. Non c’è due senza tre: la terza delizia della “Perla dello Ionio” è la Scapece, la cui prepa-

ph: Noemi Metafuni

Il mare è l’elemento che caratterizza Gallipoli sia d’estate che nel mite inverno. Ovviamente pochi sono coloro che si avventurano per il “grande blu” durante le stagioni fredde - chi per professione e chi per passione, - ma esso riesce comunque a dare i suoi frutti, o meglio i suoi pesci. Non sempre però! Ad esempio un’antica consuetudine tra pescatori era quella di preparare un piatto “cui pisci a mare”, che consisteva nel fare bollire nel sugo dei pezzi di scoglio particolarmente porosi, adatti a rilasciare l’aroma di mare, perché i pesci non erano nella padella, ma… in mare. Questo accadeva quando non si pescava nulla oppure l’esiguo pescato veniva venduto completamente. Tra i prodotti tipici è opportuno segnalarne alcuni in particolare, come ad esempio i gamberi.

X

razione si tramanda da generazioni, in quanto nata come modo di conservare il pesce in maniera del tutto innovativa. La ricetta prevede la frittura di alcune specie di pesci di piccola taglia, ad esempio boghe dette ope e vopilli detti cupiddhi, che non vengono puliti prima della frittura, in quanto la lisca del pesce diventerà commestibile grazie alla marinatura, che avverrà nei tipici tini di legno in cui il pesce è alternato a strati alla mollica di pane, allo zafferano e all’aceto. Durante le feste di paese, per evitare che questa perda parte del sapore, i venditori ne bagnano la superficie con altro aceto. Si tratta di un piatto davvero unico, ottimo da servire anche come antipasto, accompagnandolo magari con del vino bianco. Il Mare Buono


APORI d’Inverno I sapori delle feste

A Gallipoli, come in molte città del Salento, le festività comportano tradizioni che si riflettono anche a tavola. Il giorno di Santa Teresa, il 15 ottobre, i gallipolini preparano le prime “pittule”, frittelle di pasta lievitata, che possono essere vuote o condite con gamberetti, seppia, pizzaiola (pomodori, capperi e cipolla) o prodotti della terra, come cavolfiori, fiori di zucca e altro. Il 7 dicembre, vigilia dell’Immacolata, tiene banco la “Puccia caddhipulina” farcita con tonno, capperi, acciughe e olio d’oliva, diversa quindi da quella dell’entroterra, che è farcita con olive amarognole, assumendo così un valore penitenziale. Per la cena dell’Immacolata (la sera del 7), verranno preparate verdure, baccalà fritto e al forno con le patate, “pittule” e pesce locale.

A dicembre, le famiglie gallipoline cominciano a preparare i dolci di Natale tra cui i “purciaddhuzzi”, gli “scajozzi”, le “cozze e i taraddhi ‘nnasparati” e le “pitteddhe” con la mostarda (marmellata d’uva).I “purciaddhuzzi” si pensa siano stati introdotti nel Salento dagli antichi greci e il loro nome dovrebbe richiamare la parola “porcellino”, di cui ricordano la forma. Consistono in palline di pasta, che una volta fritte sono cosparse di miele ed infine insaporiti e decorate con cannella, chiodi di garofano e anisini. Gli “scajòzzi” rappresentano uno dei dolci più amati del Salento, infatti sono presenti in tutte le varie fiere e feste locali. Sono preparati con farina, mandorle tritate e rivestiti di glassa (zucchero, acqua e cacao).

XI

Il 19 marzo, festa di San Giuseppe e festa del papà, i gallipolini preparano “ciciri e tria” con pasta fatta in casa, ceci e “frizzuli” (pasta fritta). Dolce tradizionale è la “zeppola”, frittella dolce guarnita con crema e miele. Anche Pasqua è particolarmente ricca di pietanze tradizionali. Nelle abitazioni non possono mancare agnellini o pesci di pasta di mandorle nonché “lu caddhuzzu” (per i ragazzi), la “pupa” (per le ragazze) e la “cuddhura” (dal significato simbolico) di pastafrolla. Quest’ultima consiste in un disco di pastafrolla con al centro un uovo, coperto da una croce di pasta. Il nome “cuddhura” deriva dal greco Kollura, cioè corona, in memoria della corona di spine posta sul capo di Cristo. Gruppo Vongola


Lo Scapeciaro Intervista a Mario Fedele, nato il 5 Ottobre del 1930, è uno degli ultimi scapeciari che conserva l’antica tradizione della scapece a Gallipoli e vanta un’esperienza di oltre 65 anni, ereditata dal suocero, il signor Diamantino. La scapece è un piatto caratteristico della zona e risale al periodo in cui il Salento era invaso dalle potenze del Mediterraneo, come Saraceni e Normanni. Il piatto è citato in documenti risalenti al 900 ed in Spagna se ne conosce una variante molto simile, anche nel nome. Per scoprire la preparazione e la storia di questo piatto siamo andati ad intervistare lo scapeciaro. In cosa consiste la scapece e come avviene la sua preparazione? La scapece necessita di pochi e semplici ingredienti, ovvero pesce, pane, aceto e zafferano. Cinque giorni prima della preparazione, si acquista il pane in modo tale che diventi raffermo per potere essere grattugiato attraverso una crattacasa di grandi dimensioni, dopo avere rimosso la crosta. Il pesce viene comprato all’asta, solitamente si tratta di pesce azzurro come il latterino e il vopillo, e successivamente lavato e fritto in grosse pentole per poi essere lasciato ad asciugare. Strati di pesce alternati a pane precedentemente imbevuto con aceto misto a zafferano vengono disposti in grandi tinozze in legno, dette calette. Il contenuto è irrorato con aceto e zafferano anche durante le fiere.

si estendeva infatti anche a località delle province di Brindisi e Taranto. Le famiglie tradizionali che commerciavano la scapece erano quelle dei Serio, Pacella, Greco, Negro, Manno e Diamantino. Lei dove e con l’aiuto di chi svolgeva il suo lavoro? La preparazione avveniva all’interno di un magazzino situato in via Giangiacomo Russo, con l’aiuto di mia moglie. Io mi occupavo sia dell’acquisto degli ingredienti, sia della produzione e della vendita, al contrario di altri scapeciari che non si curavano in prima persona

Quanto era diffuso il mestiere? Ai miei tempi, gli scapeciari a Gallipoli erano oltre venti, organizzati in una società che permetteva loro di gestire meglio la vendita, ad esempio suddividendo le zone nelle quali avrebbero lavorato per assicurare la presenza della scapece nelle feste locali. Il commercio

ph: Nunzio Pacella

Come mai questa particolare ed innovativa preparazione? La ragione principale per cui la scapece è nata era la necessità di conservare il pesce, il quale poteva resistere per oltre dieci giorni e fungeva da risorsa nei periodi di scarsità del pescato.

XII

della preparazione e la delegavano ai familiari. Chi era interessato al mestiere? Solitamente il mestiere si tramandava di padre in figlio. Io l’ho appreso da mio suocero. Inoltre, al giorno d’oggi, a causa delle numerose prescrizioni sanitarie, portare avanti questo mestiere è diventato difficile. Spero che la tradizione venga tramandata per conservare l’antica cultura gastronomica gallipolina. Stelle Marine


ph: Noemi Metafuni

XIII


SIPARIO SULLE EMOZIONI Le attività culturali svolte nella città di Gallipoli nel periodo invernale sono numerosissime, e particolarmente curata è la stagione di prosa del Teatro Garibaldi, realizzato nel 1825 su commissione di Bonaventura Balsamo, che lo intitolò “Teatro del Giglio” in omaggio ai Regnanti borbonici. A seguito di problemi finanziari della famiglia, nel 1874 fu acquistato dal Comune di Gallipoli, che subito dopo lo ristrutturò. Al termine dei lavori di arricchimento degli interni, il teatro fu intitolato a Giuseppe Garibaldi. Gallipoli ha una lunga tradizione teatrale, rinvigorita a metà degli anni ’90 da compagnie di amici che animavano le feste carnevalesche all’interno delle case o rappresentavano commedie a scopo didattico-sociale.

L’impegno di don Luciano Solidoro gettò anche le basi per una rinascita del teatro dialettale. Nomi importanti sono Nicola Patitari, autore di cinque commedie di cui ancora si conservano i manoscritti, Uccio Piro, Walfredo De Matteis ed altri. Anche Fernando Cartenì ha dato un importante contributo al rilancio del teatro in vernacolo operato dal Circolo Culturale Giovanile, organizzatore di un Festival da cui è derivato l’attuale Premio Barocco. Il teatro Garibaldi, cresciuto assieme alla città, presenta, all’inizio di ogni stagione di prosa, la lista delle compagnie che animeranno il palco lungo i mesi autunnali e invernali. Figurano in cartellone numerose compagnie nazionali, ma anche locali com-

XIV

poste da giovani che amano il teatro e si impegnano nella stesura dei testi, negli allestimenti e nella recitazione. Suggestivi sono gli spettacoli che raccontano, spesso in dialetto, l’antica vita salentina e le tradizioni del mare. Per riconoscere l’impegno di tutti coloro che partecipano all’attività teatrale, la direzione del teatro Garibaldi ha deciso di premiare le compagnie salentine che hanno partecipato alla stagione di prosa amatoriale 2016 e riscosso un importante successo. Una giuria tecnica affiancata dal pubblico ha valutato le performance e attribuito un premio a coloro che hanno primeggiato per recitazione, allestimento e regia. Stelle Marine


QUESTO INSERTO È STATO ELABORATO DAGLI ALLIEVI DEL LICEO “QUINTO ENNIO” DI GALLIPOLI CHE NELL’ANNO SCOLASTICO 2015-2016 FREQUENTAVANO LA CLASSE III, SEZIONE E, CORSO DI STUDI SCIENTIFICI.

GLI AUTORI LIBECCIO: Paolo Pastore, Carlo Liviello STELLE MARINE: Angela Albano, Aurora De Pascalis, Melinailaria Mighali PESCE PAGLIACCIO: Antonio De Vita, Andrea Troisi, Emanuele Piro PESCI PANNOCCHIA: Marcello Alemanno e Antonio Casole VONGOLA: Vincenzo Fedele, Antonio Cimbasso, Gabriele Piccolo CUPIDDHI: Cristian Perrone, Giuseppe Piccino, Diego Scarpina, Andrea Santomasi IL MARE BUONO: Matteo Buccarella, Noemi Metafuni, Edoardo Culiersi, Eura Velcani, Edoardo Casciaro

IL PROGETTO Progetto di alternanza scuola-lavoro tra il LICEO “Quinto Ennio” di Gallipoli diretto dal professore Antonio Errico e l’associazione no profit PUGLIA & MARE di Gallipoli presieduta da Alessandra Bray Tutor per l’Istituto: Professore Pietro Palumbo Tutor per l’associazione: Giornalista Giuseppe Albahari Hanno partecipato gli esperti: Alessandra Bray (marketing), Nunzio Pacella (giornalista gastronomo), Elio Pindinelli (storico), Alfonso Zuccalà (fotografo).

XV


XVI


Ambiente Federica Sabato | Capo d’Otranto e le grotte Romanelli e Zinzulusa................................................. 47 Alfredo Albahari | Osservatorio Ambiente ....................................................................................................................... 48 Salvatore De Michele | La Piccola Pesca e la tutela delle risorse biologiche............................... 50 Eleonora Tricarico | Muta come un pesce: l’etichetta non parla da sola......................................... 51 Massimo Vaglio | Lo Zerro e il Garizzo (e lu Deputatu)..................................................................................... 53

FEDERICA SABATO Giornalista, pedagogista e counselor impegnata nel volontariato sociale

ALFREDO ALBAHARI Docente emerito di Navigazione negli istituti Nautici

SALVATORE De MICHELE Ammiraglio emerito del Corpo delle Capitanerie di porto

45

eleonora tricarico Esperta di comunicazione: Copywriter, Social Media Strategist, Blogger, Storyteller

Massimo vaglio Giornalista pubblicista, scrittore, esperto di gastronomia e dei mari di Puglia



AMBIENTE

Una nuova Area Marina Protetta arricchirà la Puglia

CAPO D’OTRANTO

e le grotte Romanelli e Zinzulusa di Federica Sabato Più vincoli per tutelare il nostro mare Adriatico con la costituzione della marina protetta Otranto-Leuca. Obiettivo comune e prioritario, tra tutti i comuni che saranno protagonisti del progetto, garantire la tutela del mare e dell’ambiente lungo uno dei tratti più belli e più rinomati della costa italiana.Un altro passo avanti verso la costituzione del parco naturale è stato fatto, perché lo scorso 10 novembre l’aula del Senato ha approvato ad ampia maggioranza la riforma della legge quadro sulle aree protette 394/9: dopo 3 anni di esame si rafforzano le finalità di conservazione dell’ambiente e si intravedono nuove opportunità di sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda il Salento, è stata adottata la nuova denominazione dell’area marina di reperimento di Capo d’Otranto e delle grotte Romanelli e Zinzulusa. “Abbiamo lavorato a lungo per vedere realizzato l’obiettivo di istituire un’area marina protetta lungo lo specchio

I

acqueo marino, prospiciente l’area del parco naturale regionale a terra “Costa Otranto-Leuca - spiega il sindaco Luciano Cariddi - Diversi studi sono già stati realizzati nel tempo, grazie soprattutto alla collaborazione con l’Università del Salento che consideriamo partner in questa nostra iniziativa, e grazie ai quali è stata dimostrata la notevole valenza ambientale del nostro mare. Il ministero dell’Ambiente ci inserisce così nella nuova programmazione delle aree marine protette. In questo abbiamo avuto una collaborazione sinergica a diversi livelli con la Provincia di Lecce e la Regione Puglia, ma anche con i nostri parlamentari; in particolare, un grazie al senatore Francesco Bruni che ha trasferito l’impegno in seno alla Commissione Ambiente del Senato, consentendo di definire finalmente l’iter istitutivo”. La nuova zona di reperimento dell’Area Marina Protetta di Capo d’Otranto e delle grotte Romanelli e Zinzulusa rappresenta un

traguardo importante. Al fine dell’istituzione di una nuova area marina protetta, infatti, un tratto di mare deve innanzitutto essere individuato per legge quale “area marina di reperimento”. Una volta avviato l’iter istruttorio all’area marina di reperimento, questa viene considerata come area marina protetta di prossima istituzione.

t he Senate approved the reform of the frame work law on protected areas 394/9, strengthening the goal of environment preservation and sustainable development. As regards Salento, the marine area of Cape of Otranto and grottoes Romanelli and Zinzulusa has been renamed, and this will lead to the creation of a protected area Otranto-Leuca, which will enable us to preserve and safeguard one of the best known parts of the Italian coastline.

Grotta Zinzulusa

47


AMBIENTE

OSSERVATORIO AMBIENTE ph: Archivio Ansa (wikipedia)

di Alfredo Albahari

ENZO MAIORCA:

addio al signore degli abissi l 13 novembre del 2016 a Siracusa, sua città natale, è morto Enzo Maiorca. Aveva 85 anni. “Signore degli abissi”, è stato il più grande apneista italiano, più volte detentore del record del mondo di immersione in apnea. Nel 1960 raggiunse i - 45 metri, battendo il primato mondiale del brasiliano Santarelli, che sarebbe divenuto uno dei suoi rivali storici, insieme con Jacques Mayol. Fu il primo di numerosi record che Maiorca raggiunse nei 16 anni d’intensa attività sportiva, soprattutto in assetto variabile. Si deve a lui, alle sue sfide innanzitutto con se stesso e poi con degni avversari, se l’apneismo mondiale lasciò il suo carattere prettamente amatoriale. Nel 1976 Maiorca abbandonò la pratica agonistica, ma non interruppe il suo impegno nel promuovere la cultura del mare e la salvaguardia dell’ambiente marino. Nel 1988 ritornò all’apnea per raggiungere il suo ultimo record di -101 metri. Ha raccontato le sue imprese e la sua passione per il mare in numerosi libri. Fu anche senatore della Repubblica dal 1994 al 1996 e nel settembre del 2004 gli fu assegnata la Medaglia d’oro al merito di Marina, giusto riconoscimento alla sua vita trascorsa sul mare e per il mare.

I

RaccogliamOLI: numeri&tutela ambientale ’ambiente è stato oggetto, negli ultimi anni, di diverse campagne di sensibilizzazione. A chiedersi, però, se i comportamenti risultano essere coerenti con l’accresciuta sensibilità ambientale, le risposte sono contrastanti. Un “indicatore”, magari relativo ad un piccolo ambito, ma affidabile se definito dai “numeri”, può essere rappresentato da quelli della raccolta differenziata degli oli vegetali esausti. È un settore importante, tanto in assoluto – il consumo in Italia è di 1.400.000 tonnellate con una produzione di 280mila tonnellate di olio esausto, per oltre la metà (160mila) da parte dell’utenza domestica – quanto nelle singole realtà. Occorre infatti considerare che se tale olio non viene raccolto, finisce con il danneggiare l’habitat marino, le falde e i processi depurativi dei liquami. All’azienda R.O.V.E. di Gianluca De Donno, che opera in provincia di Lecce, abbiamo chiesto di conoscere i dati relativi ad una realtà significativa come Gallipoli, dove la media di 4 chilogrammi di olio vegetale esausto prodotto da ciascuna famiglia italiana, subisce un forte incremento nei mesi esistevi per la presenza dei turisti. È emerso che i circa 4mila chilogrammi del 2014 sono aumentati del 50 per cento nel 2016 e la tendenza è confermata anche per quest’anno. Sono risultati che indicano comportamenti virtuosi, dovuti anche all’opera di sensibilizzazione che l’azienda promuove nelle scuole. Difesa ambientale, ma anche riciclo. La R.O.V.E. trasforma infatti parte dell’olio esausto in olio per motoseghe biodegradabile e affida il resto alle aziende che lo trasformano in biocarburante, prodotti estetici ed altro. Insomma, conviene continuare a scrivere, parlare e manifestare: la promozione dei comportamenti virtuosi è effettivamente utile a tutelare l’ambientale.

L

48


ph: NOAA (wikipedia)

AMBIENTE

Dopo cinque anni di negoziati, il 28 ottobre 2016 è stato siglato un accordo storico, per la salute del pianeta, tra l’Unione Europea e altri 24 Paesi. È finalizzato a tutelare le incontaminate acque antartiche, habitat di specie da salvaguardare, tanto che per circa un milione di chilometri, là dove sono presenti pinguini, balene e foche, sarà interdetto alla pesca. L’accordo entrerà in vigore nel dicembre 2017 e scadrà nel 2052. Nell’oceano Australe viene prodotto gran parte del nutrimento che dà la vita agli esseri viventi di tutti gli oceani ed è stato complesso trovare un’intesa, atteso che si tratta di acque internazionali. Si spera che questa istituzione sia di stimolo per realizzare l’intesa, ad oggi solo auspicata dalla maggior parte dei Paesi del mondo, tra cui l’Italia, a proteggere entro il 2020 almeno il 10 per cento dei mari. Attualmente è tutelato solo il 3 per cento del pianeta mare.

Ancora un no alla proposta, fatta in Commissione Baleniera Internazionale riunitosi a Portorož, in Slovenia, di creare un santuario per le balene, di 20 milioni di chilometri quadrati, nell’Oceano Atlantico Meridionale. Ancora un no alla creazione di un luogo in cui questi cetacei si possano sentire al sicuro e possano ripopolarsi. Ed è la terza volta, dal 2012, che viene presentata, discussa e respinta questa proposta. Proponenti sono stati quei Paesi, quali Argentina, Brasile, Uruguay, Gabon e Africa del Sud, che ricavano una fonte importante di reddito dal turismo di osservazione delle balene. Decisi oppositori, Giappone, Norvegia e Islanda, i principali cacciatori di balene. La Commissione, istituita nel 1946, era inizialmente favorevole alla caccia, tant’è che più di due milioni di balene sono state uccise nei primi trent’anni di vita dell’organizzazione. In questi ultimi decenni, però, ha fatto il possibile per frenare la caccia, ma è stato tutto vano. Nel 1982, i suoi membri hanno votato per una moratoria della caccia commerciale, ma Giappone e Norvegia non l’hanno mai rispettata. Così gli esiti di questa iniziativa sono stati decisamente deludenti, atteso che da allora sono state uccise più di 60.000 balene di ogni specie, anche quelle protette perché a rischio d’estinzione. La Commissione si riunisce ogni due anni e pertanto la prossima seduta sarà nel 2018. In questo lasso di tempo ognuno di noi dovrebbe fare, nel proprio piccolo, campagna di sensibilizzazione per mettere fine a questa mattanza.

ph: pixabay

ANCORA UN NO

ph: pixabay

UN PARCO MARINO ANTARTICO

49


AMBIENTE

La Piccola Pesca

e la tutela delle risorse biologiche di Salvatore De Michele

La definizione di piccola pesca è riconducibile, concettualmente, ad un tipo di pesca artigianale caratterizzata dal prevalente impiego della forza fisica dell’uomo e dall’uso di attrezzi da pesca selettivi in grado di esercitare un limitato sforzo di pesca sulle risorse biologiche marine. na tale definizione, se posta in relazione alla regolamentazione comunitaria, e non solo, pone una serie di problemi, se si considera che una nostra legge consente di far rientrare i pescherecci, di stazza lorda inferiore a 10 tonnellate e apparato motore senza limiti di potenza, nell’ambito della piccola pesca anche quando esercitano la pesca a strascico. Un’assurdità, perché manca ogni requisito che caratterizza tale tipo di pesca: non è selettiva: il sacco della rete a strascico ingloba tutto, pesci e altro, pure in presenza di maglie di rete regolamentari; non è artigianale, poiché è svolta in regime d’impresa. Si tratta della legge nr 250 del 1958 contenente disposizioni per l’erogazione, a favore dei lavoratori addetti alla piccola pesca marittima e delle acque interne, degli assegni familiari e per l’estensione ad essi della copertura assicurativa in materia d’invalidità, vecchiaia, malattie e infortuni. La tutela riguarda sia i pescatori associati in cooperative, sia quelli autonomi che esercitano la pesca quale attività lavorativa esclusiva o prevalente con natanti di stazza lorda non superiore alle 10 tonnellate, senza limiti di potenza dell’apparato motore. La legge non fa nessun riferimento agli attrezzi da pesca impiegati, per cui non è esclusa la pesca a strascico e, più in generale, con attrezzi da pesca trainati dalla potenza del motore. L’unico limite è la stazza lorda, che non

U

deve superare le 10 tonnellate, intesa come volume complessivo di tutti gli spazi interni chiusi del peschereccio muniti di mezzi di chiusura permanenti, e quindi la botola removibile di un locale esclude questo dal computo della stazza lorda. Tale meccanismo consente di creare, in concreto, pescherecci d’una certa grandezza pur rimanendo nell’ambito delle 10 tonnellate. E sono tanti i pescherecci che con queste caratteristiche esercitano lo strascico. Facile il calcolo dello sforzo di pesca, facendo il prodotto della stazza complessiva dei pescherecci per il numero delle ore trascorse in mare. Si aggiungano le situazioni di abusivismo come l’impiego di un doppio sacco con maglie più piccole e l’applicazioni di lucette intorno alla bocca della rete che fungano da richiamo per i pesci. E ciò in violazione di un complesso di norme che costituiscono il sistema di controllo comunitario. Ma per valutare correttamente la questione e le sue contraddizioni, vediamo altre disposizioni sull’argomento. Il decreto del ministro per le politiche agricole e forestali in data 14 settembre 1999, avente per oggetto “Disciplina della piccola pesca”, contiene disposizioni per l’attuazione della legge 31 maggio 1998 nr.164 e della decisione della Commissione europea datata 16 dicembre 1997. Ai fini della piccola pesca costiera, fa riferimento alla lun-

50

ghezza dei pescherecci, che deve essere inferiore ai 12 metri fuori tutto, all’ampiezza della fascia costiera in cui deve essere esercitata (all’interno delle 12 miglia) e all’uso di mezzi selettivi di pesca escludendovi la pesca a strascico ed altri sistemi distruttivi che operano sul fondo del mare. Questa definizione, pur finalizzata all’erogazione di contributi, appare in evidente contrasto con la legge del 1958. Per chiudere l’argomento, citiamo il Regolamento CE 1967/2006 del Consiglio europeo del 21 dicembre 2006, che nelle premesse recita: “Una parte della fascia costiera andrebbe riservata agli attrezzi selettivi utilizzati per la pesca artigianale al fine di proteggere le zone di crescita e gli habitat sensibili nonché di favorire la sostenibilità sociale della pesca nel Mediterraneo”. È evidente, in conclusione, la necessità d’una revisione della nostra normativa per adeguarla a quella comunitaria, come pure appare necessaria una presenza in mare più continuativa della nostra Guardia costiera per scoraggiare e reprimere l’abusivismo nel settore.

t Small-scale fishing is described in a law of 1958 as a handicraft activity, were mostly physical strength is needed, besides a few specific tools. Subsequent regulations have widened its definition, until the term includes also trawling. This causes the need of a revision of the Italian legislation, to align it with the European one, together with stricter inspections at sea to fight the illegal business.


AMBIENTE

MUTA COME UN PESCE: l’etichetta non parla da sola

Quando si parla di movimenti ambientalisti, i piÚ tendono sempre a guardare volontari ed attivisti con sguardo cupo e diffidente, un po’ come se la grande battaglia ambientalista non riguardasse il resto del mondo e che gli interessati siano solo una massa di perditempo.

di Eleonora Tricarico*

51


AMBIENTE

tografa una situazione davvero preoccupante: quasi l’80 per cento delle etichette esaminate non rispetta infatti appieno il regolamento europeo in vigore ormai da oltre due anni. Forse non tutti sanno che, secondo le normative vigenti (Regolamento europeo n. 1169/2011 sulla “fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”, entrato in vigore dal 13/12/2014.), in ogni etichetta deve essere obbligatoria la presenza di molteplici informazioni, tra cui l’attrezzo di pesca utilizzato, l’esatta denominazione della zona o sottozona di cattura FAO, il nome scientifico e commerciale della specie e il metodo di produzione (pescato, allevato o pescato in acque dolci).

Il filosofo tedesco Leibniz ora avrebbe detto che “viviamo nel migliore dei mondi possibili”, sebbene con un riferimento non del tutto coerente alla tematica, si potrebbe dire che la sua affermazione risulta attuale e connessa a quanto detto: il pianeta è sacro, una parentesi perfetta che deve essere necessariamente salvaguardata. Rivivendo quanto accaduto negli ultimi anni, infatti, quella che sembra essere una maggiore presa di coscienza in tal senso, si traduce spesso in un comportamento figlio della moda del momento, un modo per essere alternativi ed in pace con gli altri, limitandosi a rispettare solo alcune tra le più diffuse “best practices”. Quando però si tratta di impegnarsi in prima linea sulle varie questioni, il tutto decade in tempi brevi, come se nulla fosse mai successo. Ragionando più da vicino su quanto accaduto e rapportando al nostro territorio quanto di drammatico accade dal punto di vista ambientale, si può dire che nulla sprona di più i nostri animi e genera malessere se non quando si parla del mare. Parte costituente del nostro DNA, il mare è il nostro migliore amico, il deposito ideale dei nostri pensieri serali. Con lui, il pesce è quindi parte integrante della nostra storia e tradizione culinaria. Abili ed esperti pescatori conservano ancora intatte le regole di una volta ed il pesce fresco catturato arriva dopo pochissimo tempo sulle nostre tavole. Purtroppo però, la vendita al dettaglio del pesce fresco è, nel Bel Paese, accompagnata da irregolarità nell’etichettatura e dalla mancanza di alcune informazioni che non aiutano i consumatori a compiere scelte sostenibili. Per giungere a tale triste conclusione, sono state infatti analizzate più di 600 etichette, esposte sui banchi del pesce fresco di oltre 100 rivenditori italiani, suddivisi tra supermercati, pescherie e mercati rionali. Questo è quanto rivela il rapporto “Muta come un pesce”, pubblicato nei giorni scorsi dalla rete di Greenpeace e a cui hanno aderito i vari gruppi locali sparsi in Italia. Quella del mare e della pesca sostenibile è una delle campagne promosse dalla ONG ambientalista e pacifista fondata a Vancouver più di 40 anni fa. Molti associano al nome di Greenpeace l’attivismo volto alla salvaguardia delle balene, ma dal 1971ad oggi di strada ne è stata fatta. Dalle azioni contro il nucleare, alle campagne contro gli OGM, all’informazione costante e sistematica sul cambiamento climatico: anche il Salento, nel suo piccolo, accoglie un gruppo di volontari ed attivisti che riportano nel locale tutto ciò che è, in realtà, “globale”. Così, sulla scia della campagna Mare, giovani –e non- pugliesi hanno preso parte all’indagine effettuata, complessivamente, in tredici regioni d’Italia che fo-

Insomma, il pesce non parla, ma neanche la sua etichetta: da qui, il nome che Greenpeace ha dedicato all’impegno di tanti esperti e volontari. Se anche questa volta si pensa che il problema non ci riguardi o che non si possa fare nulla, in realtà, mutare questa situazione è possibile oltre che doveroso. Ognuno può e deve fare la sua parte: necessario è quindi un aumento dei controlli da parte delle autorità preposte che hanno la responsabilità di controllare e sanzionare chi non rispetta le regole, al fine di prevenire ed eliminare questo tipo di infrazioni. Anche il rivenditore è responsabile allo stesso modo: è obbligo di tutti gli esercizi commerciali che vendono prodotti alimentari conoscere la normativa, applicarla in modo corretto e formare il personale per essere in grado di fornire ai consumatori le informazioni che gli spettano. Inoltre, occorre puntare alla sostenibilità dei prodotti ittici: decidere di variare la propria offerta proponendo specie alternative, non sovrasfruttate e promuovendo prodotti locali e stagionali pescati in modo artigianale è allo stesso modo necessario ed importante tanto quanto pretendere informazioni corrette e puntuali. È un nostro diritto, è la nostra salute, è il nostro mare. Poteva, quindi, Greenpeace tacere dinanzi a tutto ciò? *Coordinatrice Greenpeace GL Lecce

t he retail sale of fresh seafood in Italy is characterized by irregular labeling and by the lack of some information, which would allow customers to make sustainable choices. Such information has come to light thanks to the latest campaign of Greenpeace, the green NGO founded in Vancouver more than 40 years ago. Fish is mute, but its label must communicate clearly all the information needed by customers to safeguard their own health and the sea.

52


AMBIENTE

Cupiddhi, masculari e femmaneddhe: pesce dimenticato...

LO ZERRO E IL GARIZZO (E LU DEPUTATU) di Massimo Vaglio

i tratta di pesci di piccola taglia, storicamente molto amati e apprezzati dai salentini, che stante l’abbondanza e l’economicità ne facevano stagionalmente un cospicuo consumo. Quindi, una predilezione antica, da sempre giustificata dalla squisitezza delle carni di questi pesci, che oggi, alla luce delle recenti indagini nutrizionistiche, dovrebbero essere più che mai apprezzati e ricercati, e che invece, tanto per cambiare, sono anch’essi vittima della globalizzazione che subdolamente impone, nel Salento come nel resto del mondo, il consumo di poche specie ittiche tra cui diversi prodotti di itticoltura sovente a dir poco di dubbia origine e salubrità.

S

Lo zerro (Maena smaris L.) è uno dei pesci più comuni e conosciuti in Puglia ciò nonostante viene spesso confuso anche dagli addetti ai lavori con un altro suo comunissimo congenere, il garizzo (Maena chryselis Val.).

Ciò dipende, dalla gran copia di denominazioni locali che spesso si sovrappongono, e soprattutto dall’evoluzione delle livree di entrambe le specie che danno origine a tutta una serie di fasi intermedie di difficile identificazione. A complicare il tutto l’accentuato dimorfismo sessuale delle due specie, ovvero, la notevole differenze delle livree fra i due sessi. Ognuna delle specie cambia nel ciclo vitale tre livree principali che sono per lo zerro nell’ordine: gracilis (immaturo), alcedo (maturo femminile) e mauri (maturo maschile). Per il garizzo invece: vulgaris (immaturo), gagarella (maturo femminile) e chryselis (maturo maschile). Esemplificando possiamo riassumere, nel caso dello zerro che la femmina è minuta e di una colorazione grigio bruna con sfumature argentee e dorate viranti dal verdastro al rossiccio e la tipica macchia nerastra all’estremità della pinna pettorale. Il maschio è più grosso e durante il periodo della riproduzione presen-

53

ta tutta una serie di macchioline sul tronco, sul capo e delle eleganti strie longitudinali azzurre. Il garizzo si distingue dallo zerro per avere il corpo ovale e comunque più alto di quello di quest’ ultimo. Il dimorfismo sessuale in questa specie è ancora più accentuato che nel congenere tanto che in molte zone della Puglia questi pesci assumono le due diverse, ma efficaci denominazioni di masculari e fimmineddhre. Infine sui banchi delle pescherie si ritrova anche il decisamente meno comune, eccellente zerro musillo (Cetracanthus cirrus) dalla livrea bruno rossiccia denominato localmente cupiddhu russu, pupiddhru russu ecc... La pesca del garizzo dura da marzo a giugno, quella dello zerro continua invece per tutto l’anno ed ha costituito per secoli un’importante voce d’entrata per le varie comunità pescherecce salentine come ricordato anche da alcuni proverbi e adagi in vernacolo. Ancora oggi, anche se meno di un tempo, quando le annate di scarsità di questi pesci significavano annate


AMBIENTE

adeguatamente il banco, prima che questo si disperda e così, facendo di necessità virtù, comunica la notizia della scoperta all’intera comunità marinara. Allo scopo designerà un pescatore (lu deputatu), che diventerà anche il coordinatore delle operazioni di pesca, a dare la lieta notizia, fornendo al contempo l’esatta ubicazione del sito attraverso l’idronimo locale e le mire a terra. Naturalmente allo scopritore del vato sarà corrisposto un congruo premio in denaro costituito con il contributo di tutti i capibarca. Quindi il vato sarà ghermito da decine di imbarcazioni che in pochi giorni lo sfrutteranno “razionalmente”, (almeno secondo il loro punto di vista) prima che i pesci si disperdano. Gli attrezzi tradizionalmente adoperati per la pesca di queste due specie sono la menaide, ovvero uno specifico tipo di rete e, specialmente per il garizzo, una particolare nassa, chiamata localmente nassa a pete, ossia nasse di giunco molto grandi dell’altezza di circa due metri e mezzo che vengono sempre calate sui vati. Le operazioni di pesca su questi siti si devono svolgere esclusivamente con cielo chiaro e sole splendente, infatti pescando con cielo coperto e ancora peggio con nebbia, si ottiene l’immediato spopolamento del vato. A chi è capitato di assistere alle operazioni di pesca su di uno di questi vati si è presentato uno spettacolo straordinario e indimenticabile, dal sapore di antiche mattanze; un’intera flotta di barche si accalca su di un ristrettissimo spazio in un indicibile frastuono pro-

ph: Michele Esposito

di miseria, molti pescatori confidano nel buon andamento di questa pesca. Un detto gallipolino recita: “lu mascularu, tene la cuta t’oru”, ovvero: il garizzo ha la coda d’oro, nel senso, che sua stagione di pesca porta un buon reddito. A tale proposito è interessante ricordare, come intorno agli anni venti del secolo scorso fra i pescatori di Gallipoli divisi in due gruppi sorsero serie questioni. Alcune centinaia di pescatori dediti alla pesca di questi smaridi con sistemi tradizionali, (nasse) su tratti di mare particolari, ovvero sui cosiddetti vati, avversarono un secondo più esiguo gruppo di pescatori che intendeva praticare la stessa pesca con sistemi dai primi ritenuti dannosi, quali quello con le lampare. La questione è stata illustrata dettagliatamente nel primo fascicolo di quest’anno, il numero 13. Spesso, questa pesca viene compiuta in forma sociale da un’intera comunità peschereccia Infatti, questi pesci in epoca di riproduzione scelgono un determinato tratto di fondale che il loro istinto indica come ottimale al buon esito della scovata, e vi si raccolgono in enormi banchi. Si tratta in genere di zone ricche di folta vegetazione, quasi sempre folte praterie di posidonia. Accade così che qualche fortunato pescatore riesca ad imbattersi in questo sterminato raduno di pesci e che, dopo qualche giorno di pesca miracolosa, si renda conto di non poterlo sfruttare tutto da solo. In sostanza, si rende conto di aver scoperto un vato e che quindi, con i suoi limitati mezzi, non potrà mai sfruttare

54

Z erro and garizzo are small fish, quite similar and easily mistaken, especially due to the evolution of their coats. Fishing for Garizzo goes from March to June, while for zerro fishing goes on all over the year; they have represented for centuries a crucial source of earning for wide communities of Salento. Among the recipes used to prepare garizzi, there are scapece (fried and then marinated with vinegar, bread crumbs and saffron) and stir-fried with Mediterranean flavourings.

vocato dall’altalenante rombo dei motori marini, dal cigolio degli arganelli e da un incredibile indecifrabile vocio da cui si distinguono chiaramente solo rare grida. Un quadro marinaro chiaramente molto diverso da quello consueto, fatto di spazi infiniti e grandi silenzi. Sono tutti pesci molto versatili e tradizionalmente adoperati nella cucina del Salento, particolarmente apprezzati in frittura, arrostiti alla brace e in gustosi brodetti, vengono utilizzati tra l’altro nella preparazione di varie tipologie di scapece, le più note delle quali sono quelle in auge a Castro e Gallipoli, ove resiste ancora una stirpe di valenti artigiani girovaghi (scapeciari) che non mancano mai di proporre questa colorita e fragrante specialità in tutte le feste e fiere paesane del Salento. Della scapece, tratteremo nel prossimo numero della rivista. Qui, concludiamo con una ricetta. Masculari a sardizza - Garizzi soffritti. Versate in una larga padella con un dito d’acqua sul fondo unite un po’ d’olio di frantoio e fate cuocere dei cipollotti tritati, quando questi saranno ben ammorbiditi e l’acqua sarà quasi evaporata del tutto, allineatevi sopra dei garizzi (Maena chryselis Val.) freschissimi squamati, eviscerati, decapitati e risciacquati. Cospargeteli con dei capperi, spolverizzateli di origano e spruzzate blandamente il tutto con aceto di vino. Salate e completate la cottura, infine cospargete il tutto con pangrattato, spruzzate ancora con aceto di vino e serviteli. Possono essere serviti anche freddi.


Nautica&Mare Lucio Causo | La Marina Militare Italiana tra le due guerre..............................................................................................57 Enrico Tricarico | MUSICHE DAL MARE | La leggenda del pianista sull’oceano.....................................59 Giuseppe Quarta | LA MUSA | Trilogia del mare (speranza, nostalgia, poesia)..........................................61 Emanuele Larini | Premio Verri - Condividere l’amore con la propria terra...................................................61 Salvatore Negro | CIAK | Cinecittà: tra personaggi epici e metafore fantastiche........................................62 VELE E SCIE | Brindisi ha abbracciato i vogatori del campionato italiano canottaggio.....................63 Massimo Galiotta | IL CAVALLETTO | Antonio Trenta e l’arte di rappresentare il mare...............64

LUCIO CAUSO Scrittore e socio ordinario della Società di storia patria per la Puglia

ENRICO TRICARICO Pianista, compositore e direttore d’orchestra

GIUSEPPE quarta Medico oncologo, poeta, premiato autore di sillogi

emanuele larini Laureato in lettere moderne, appassionato di storia e letteratura

55

SALVATORE NEGRO Regista, autore di soggetti e sceneggiature

massimo galiotta Docente di enogastronomia, blogger, cultore d’arte moderna



NAUTICA&MARE

La Marina Militare Italiana

TRA LE DUE GUERRE di Lucio Causo

Subito dopo la prima guerra mondiale (1915-1918), le navi della Marina Militare italiana andarono a turno in cantiere e, sottoposte a generale revisione, tornarono in piena efficienza così come avevano dimostrato in oltre tre anni d’intenso lavoro, di saper resistere all’acqua e al fuoco. Le unità austriache cedute all’Italia vittoriosa avrebbero potuto rimpiazzare le perdite subite in combattimento, ma una specie di accordo tra gli alleati stabilì che la ex Marina di Francesco Giuseppe fosse destinata alla demolizione. Comunque l’Italia poté subito allineare una divisione di incrociatori leggeri (tre ex tedeschi e due ex austriaci) che vennero a sostituire i tipi Puglia eliminati perché troppo vecchi. V’erano inoltre in cantiere o in allestimento gli scafi di altre e più moderne corazzate la cui costruzione, durante la guerra, aveva proceduto a rilento data la opportunità di dare la precedenza al naviglio leggero.

I

Si trattava dei tipo Caracciolo e Colombo che avrebbero dovuto portare a dieci le nostre navi da battaglia anche in previsione dell’andata in congedo dei tipi Roma e Saint-Bon. Ma di queste grandi unità non se ne fece nulla, dati gli accordi internazionali e le difficoltà di trovare un equilibrio tra le forze delle varie Marine concorrenti. Ad ogni modo la flotta rimase in stato di notevole potenza, mentre in base al trattato di Washington e delle intese che seguirono, si dava mano allo studio di nuovi tipi che furono due. Il tipo Trento da 10.000 tonnellate armato con cannoni da 203 e il tipo Colleoni con cannoni da 152. Incrociatori tutti dotati di alta velocità che avrebbe dovuto supplire alla scarsa protezione. Dopo i primi esemplari, si ritenne di dover conferire maggiore consistenza agli scafi e così si ebbero le due sottospecie: incrociatori pesanti e leggeri.

Cacciatorpediniere Papa e Chinotto - 1922 (wikipedia)

57

B etween the two world wars, the Italian Navy was able to encorporate the units coming from the spoils of war, in addition to their own armored divisions. They had new cruisers, at first, lighter and very fast, later heavier. Also the torpedo ships developed, and new destroyers and explorer ships came out, so that in 1940 the fleet showed totally renewed and transformed.

Ai primi appartenne il gruppo Zara su quattro unità del tipo Trento migliorato. Mentre i leggeri, a programma realizzato, furono dodici, con un tonnellaggio dalle cinque alle settemila tonnellate. Grande sviluppo ebbe, tra le due guerre, il naviglio silurante che divenne veramente d’alto mare: e tra i cacciatorpediniere e gli incrociatori si inserì un tipo intermedio, l’esploratore, che superò le duemila tonnellate e fu dotato di una batteria di cannoni su sei pezzi


NAUTICA&MARE

da 120 oltre che di una velocità altissima. Fu questa la serie dei “navigatori”, che assunsero i nomi gloriosi degli intrepidi italiani che contribuirono alla scoperta di terre remote, come Tarigo, Usodimare, Vivaldi e Pigafetta. Quanto ai cacciatorpediniere, essi raggiunsero il tonnellaggio dei maggiori costruiti durante la guerra e cioè dei tipi Mirabello e Aquila. Le unità del primo gruppo furono intitolate alle “battaglie”: Solferino, S. Martino, Palestro, ecc; poi ci furono quelle dei “generali” Medaglie d’Oro della Grande Guerra: Papa, Cantore, Cascino, Chinotto, Montanari, Prestinari, che rafforzarono la classe dei “garibaldini”, già provata dalla guerra, del tipo Abba, che ebbero dai marinai lo scherzoso soprannome di “tre pipe” per il loro triplice fumaiolo. Ma subito dopo sopraggiunsero le tre unità della classe “Leone”, i “ministri” e cioè i caccia superiori alle mille tonnellate, che assunsero i nomi dei maggiori statisti del Risorgimento e dei tempi successivi: Crispi, Ricasoli, Nicotera e Sella, e poi i quattro “Sauro” e infine la classe dei “venti”: Espero, Aquilone, Borea, ed altri; ed ancora i tipi Nembo e Fulmine, cui seguirono gli altri più moderni: Sciroc-

Cacciatorpediniere Tarigo - 1939 (wikipedia)

co, Grecale, Maestrale, Libeccio: unità tutte che combatterono valorosamente nell’ultimo conflitto mondiale. La flotta si avviò così nei tre lustri tra il 1925 e il 1940 che coincide col ventennio fascista verso un totale rinnovamento e ad una radicale Trasformazione. Di fronte alla tragica crisi che si verificò allo scoppio della seconda guerra mondiale, bisogna tenere presente tre gravi problemi che occuparono i nostri ammiragli e tecnici navali, du-

Ariete torpediniere PUGLIA, 1901 (wikipedia)

58

rante l’intensa vigilia e lo svolgimento della guerra: la cooperazione tra la Marina e l’Aviazione; la flotta dei sommergibili; i mezzi d’assalto. Tre strumenti di guerra di capitale importanza nel Mediterraneo, dove già si profilava un altro compito gravissimo, quello di assicurare, nel corso di una guerra tremenda ed imprevedibile, le vie dei rifornimenti e il collegamento con la Libia e l’Egeo. Problemi tutti che fecero tremare le vene e i polsi ai responsabili delle decisioni da intraprendere e che dovevano portare alla conclusione di una tragica vicenda storica ed umana per il nostro popolo e la nostra Nazione.


MUSICHE DAL MARE

La leggenda

del pianista sull’oceano di Enrico Tricarico a leggenda del pianista sull’oceano è un film del 1998 diretto da Giuseppe Tornatore, il più americano dei registi italiani, tratto dal monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco del 1994. Il collante della narrazione è la musica di Ennio Morricone, impegnato al meglio della sua forma. Un neonato viene trovato in fasce il 1 gennaio 1900 a bordo del transatlantico Virginian che fa il percorso tra l’Europa e l’America. Lo prende con sé un operaio fuochista e gli dà il nome di Novecento, in omaggio al ventesimo secolo che sta cominciando. Novecento rimane sulla nave e, dopo la morte del padre adottivo, tutto l’equipaggio lo aiuta a crescere. Il ragazzino osserva il variopinto mondo dei passeggeri: i ricchi signori in prima classe, gli emigranti che sognano una nuova vita in America, le ragazze, le merci, la confusione. Da adulto, Novecento si accorge che suonare il piano è il suo grande interesse. Cosi comincia, allieta le serata in sala da ballo con l’orchestra, e la fama della sua bravura si diffonde anche a terra.

L

Un giorno, raggiunto da queste notizie, Jelly Roll Morton, il più grande pianista jazz, sale a bordo per lanciargli una sfida pianistica. Novecento accetta e, dopo una fase iniziale di incertezza, si riprende e vince. Qualche tempo dopo, Novecento annuncia all’amico trombettista Max Tooney che ha deciso di scendere a terra. Ma quando è a metà della scaletta, guarda i grattacieli di New York e torna indietro. Dopo la II Guerra Mondiale, il Virginian deve essere demolito. Max sa che è ancora sopra, lo trova e cerca di farlo scendere. La nave viene fatta esplodere. E Max continua a raccontare una storia alla quale nessuno crede. Il film trova il suo tema centrale nella “vita”, alla quale è sempre e comunque difficile far fronte. Il transatlantico diventa un microcosmo, proiezione di una umanità parcellizzata, una sorta di palcoscenico dove la vita va in scena in tutte le sue laceranti differenze. Film-metafora sull’esistenza quotidiana, concepito a livelli concentrici, come un giocolabirinto che, più ci si va dentro, più rivela incognite, timori, paure: i rapporti con gli altri, l’amicizia, la sco-

59

perta dell’amore, il rifiuto di crescere per evitare il momento delle scelte. Il film è costruito su immagini ariose e di grande respiro, attraverso le quali si muove una metafora intrisa di musica e storia: la decisione di non scendere e di non cambiare, l’impossibilità di comunicare, la musica come rifugio. Alcune particolarità del film: in una delle scene finali del film, nel negozio di musica, viene inquadrato un uomo che accorda un pianoforte: è Amedeo Tommasi, il jazzista che ha collaborato con Ennio Morricone alla realizzazione della colonna sonora del film, della quale ha composto il famoso “Magic Waltz”. La tromba del tema d’amore principale, “Playing Love”, è di Cicci Santucci, già prima tromba della RAI e storico jazzista italiano. La vera esecutrice di tutti i brani è la pianista siciliana Gilda Buttà (1959), collaboratrice di Ennio Morricone ed ex moglie del grande pianista jazz Michel Petrucciani. Il film vince 5 Nastri d’argento e 1 Efebo d’oro 1998; 6 premi Donatello 1999, Globo d’oro 1999 per la sceneggiatura.


ASSOCIAZIONE IMPRENDITORI DEL TURISMO DI GALLIPOLI

Abbiamo a Cuore il Turismo

www.turismogallipoli.it • Tel. +39 0833 1824188 • gallipolicittabella@gmail.com


LA MUSA

Trilogia del mare (speranza, nostalgia, poesia) Quando la spiaggia è deserta e il mare è buio il vento è solito dare un brivido alla pelle. Allora, spesso, viene un volto dalle acque. Ed un volto che viene dal mare, la sera, ha sempre qualcosa di vivo: la speranza che domani qualcuno possa tornare. Come un vecchio legno lo rode il dolce tarlo e gli dà valore agli occhi dei più così è per me la giovinezza, giardino pensile, circoscritto da bianche reti da ferramenta, di un palazzaccio della centesessantasette, fico d’india succoso raccolto tra spine e venti contrari di ponente, squarcio di sole tra i vicoli stretti

di Gallipoli vecchia sul far dell’inverno, fugace e dolce onda che lascia, per sempre, alla costa schiuma di mare morto. Se un mattino d’inverno un raggio di sole tra spine irte di macchia… sognare? Si sogna. Rammentando un giovane cuore? Un anelito. Intorno, sorrisi di circostanza, strette di mano, sepolcri imbiancati; ma dentro? Ironia. Sta dentro il mare in tempesta la sua poesia.

Giuseppe Quarta

PREMIO VERRI

Condividere l’amore per la propria terra di Emanuele Larini edicare un premio alla memoria di Antonio L. Verri risponde all’esigenza di ricordare la figura del poeta e operatore culturale di Caprarica e allo stesso tempo di farlo conoscere anche alle nuove ge-nerazioni. Stimolare la creatività di giovani e meno giovani è sembrato il modo migliore per cele-brare l’ingegno poliedrico e lo spirito irriverente di Verri, che in vita sempre si impegnò a risveglia-re le coscienze di una terra assorta nel compianto di se stessa e a valorizzare gli innumerevoli aspet-ti della campagna e del mondo contadino. Non bisogna, infatti, dimenticare che il poeta di Caprarica amò profondamente e difese, prima che diventasse di moda, gli agresti e genuini valori della cultura rurale, da cui trasse gran parte della sua ispirazione e che trasfigurò nella Cultura dei Tao. Nello scritto prodotto in occasione di una mostra fotografica nel 1986, i Tao, simili agli spiriti delle leg-gende giapponesi, sono affascinanti creature, che rappresentano l’insondabile forza vitale della na-tura e dei suoi elementi essenziali. Il premio, attraverso la produzione di fotografie, videoclip, opere pittoriche e testi narrativi o poetici, spera, dunque, non solo di suscitare il ricordo di Verri, ma an-che e soprattutto di incoraggiare la riscoperta autentica della propria terra e dell’amore per essa. Info e regolamento sul sito: http://www.onboardpremioverri.com Pagina Facebook “Premio Antonio Ve-rri” – e-mail: onboardpremioverri@gmail.com

d

61


CIAK

Nave Rex - Screenshot da Amarcord

Il mare di celluloide

CINECITTÀ: tra personaggi epici e metafore fantastiche di Salvatore Negro Nella gran parte della produzione cinematografica, il mare ha avuto un ruolo fondamentale nelle storie che sceneggiatori e registi hanno raccontato nelle loro opere.

A

volte originali, a volte adattamenti di racconti epici, storie di eroi del mare, di tragedie realmente accadute o inventate, di pescatori e della fatica di mestieri nati insieme all’uomo. Per creare soggetti, in questi poco più cento anni di cinema, gli sceneggiatori hanno attinto alla letteratura di tutti i tempi. Come l’Odissea di Omero con il suo eroe Ulisse, portata sul grande schermo varie volte: la prima fu quella del 1911 in Italia, regia Giuseppe de Liguoro. Film muto in bianco e nero. Poi quella del 1954, diretta da Mario Camerini, con un “gladiatore” come Kirk Douglas, nel ruolo di Ulisse, nello stesso anno protagonista di “Ventimila leghe sotto i mari”. Attore centenario il 9 dicembre 2016, un vero e proprio monumento di Hollywood e di quel periodo in cui gli studi di Cinecittà lavoravano a pieno ritmo.

Era l’epoca del “Peplum”, i film di cappa e spada, epoca d’oro per i botteghini. Le sale facevano il tutto esaurito, nelle pomeridiane con i ragazzi e nelle serali con gli adulti. Il pubblico era divertito da quel genere fatto di eroi epici, spadaccini e figure mitiche come Cleopatra, interpretata da Liz Taylor, considerata tra le più grandi figure di Hollywood. L’allestimento scenografico di Cleopatra fu imponente. Le produzioni americane negli anni ‘50 investivano in Italia, impegnando migliaia di maestranze italiane. Cinecittà era nata sulle ceneri della “Cines”, concepita per sostenere la propaganda fascista con opere di regime, come il colossal (buffonata) Scipione l’africano. A partire dagli anni ’50, diventa un’industria cinematografica di interesse mondiale, e i grandi del cinema cominciano a

62

frequentare Roma, dando origine a quel fenomeno (forse inventato) della “dolce vita”. Quel gran genio di Federico Fellini, descrisse ne La Dolce vita la Roma di quegli anni, brulicante di giorno come la notte, una Roma che non è mai esistita, forse; a chi gli chiedesse di raccontare aneddoti legati alla creazione di quel film, Fellini rispondeva che “la dolce vita” era una sua invenzione, così come la definizione di “paparazzi”, cioè i fotografi che rincorrevano grandi attrici e attricette per fotografarle per i rotocalchi scandalistici. E come il bagno nella fontana di Trevi, tra Anita Ekberg e Marcello Mastroianni: incontro tra le cascate d’acqua, le mani di Mastroianni che si avvicinano sul volto bellissimo di quella “Venere”, respinte quasi da un magnetismo a evitare di sciupare quella bellezza impalpabile. Fellini ha nella sua filmografia titoli in cui appaiono imbarcazioni che sono entrate nella leggenda del cinema mondiale: il transatlantico Rex in Amarcord, Oscar miglior film straniero nel ’75. Film nostalgico e umoristico in cui il


regista racconta la sua giovinezza, la rivisita, reinventa la sua Rimini negli studi di Cinecittà. La fabbrica dei suoi sogni, sarà lo Studio 5. In una simbiosi di generi, presenta i personaggi di questa piccola comunità romagnola, dove lui è cresciuto, tra gli eventi della storia e le tradizioni delle stagioni, che scandiscono il passare del tempo. Fellini con sagace sguardo sulla realtà di provincia ci presenta a uno a uno i personaggi della sua memoria: la tabaccaia, il bullo della classe, il nonno, lo zio fannullone che fa la bella vita sulle spalle del cognato, facoltoso imprenditore edile, la ”Gradisca”, la donna più desiderata del paese, che proprio per questo non si decide a prender marito, aspettando ”il gallo

dalle uova d’oro”. Tutti questi personaggi e molti altri si ritroveranno alla fine al cospetto del REX, metafora fantastica, per ognuno di loro, enorme contenitore galleggiante di sogni. Più tardi Fellini girerà E la nave va, pellicola del 1983, soggetto originale dello stesso regista sceneggiato dal grande Tonino Guerra. La storia è ambientata nel 1914, sul piroscafo “Gloria N.” a bordo del quale viaggiano le ceneri del soprano da poco scomparsa, la diva Edmea Tetua. Nobili e amici della defunta, le accompagnano in questa crociera per disperderle nel Mar Egeo. Personaggi ironici e decadenti, innamorati della diva raccontano le gesta artistiche dell’artista. Un evento storico irrompe però nella vicenda: il

Granduca Ferdinando, erede al trono d’Austria, è stato ucciso a Sarajevo in un attentato. Sarà la miccia che farà scoppiare la prima guerra mondiale. Il comandante del piroscafo sarà costretto a soccorrere alcuni naufraghi serbi. Giunti alla meta, incrociano una corazzata austriaca che attacca il piroscafo affondandolo. Fellini gira interamente il film nel suo Studio 5 di Cinecittà, e nella sequenza finale svela al pubblico il backstage, le maestranze che con l’ausilio di mulinelli, agitano il mare di stoffa; scenari teatrali nel cinema. Fellini ci ha insegnato che l’incontro tra teatro e cinema è possibile. Queste due forme d’arte, così lontane così vicine, nel suo mondo onirico, si possono incontrare.

Screenshot dal film Ulisse

vele & scie

Brindisi ha abbracciato

i VOGATORI del CAMPIONATO ITALIANO CANOTTAGGIO nelle seguenti tipologie: Otto Jole con timoniere, Quattro Jole con timoniere, Due Jole con timoniere, Doppio Canoe, Canoino e Quattro GIG con timoniere riservato alla categoria ragazzi, insieme con la quale vi sono state le tradizionali categorie juniores, seniores e master. La Lni ha allestito il paddock opportunamente attrezzato e il campo di regata che ha consentito lo svolgimento delle gare su sei corsie. L’evento sportivo ha beneficiato del valore aggiunto della location che probabilmente solo Brindisi poteva offrire: il Seno di ponente del porto interno, che ha “accolto” gli atleti in gara con l’abbraccio della città e del pubblico che ha potuto disporre di una sorta di anfiteatro naturale.

Brindisi ha ospitato, nelle scorse settimane, il campionato italiano di canottaggio in “Tipo regolamentare”.

È

stata una vera e propria festa dello sport, quale si può ben immaginare considerato che vi hanno preso parte circa 700 atleti. La Federazione Italiana Canottaggio, 66 anni dopo un’analoga manifestazione del 1950, ne ha assegnato l’organizzazione alla Lega Navale Brindisi. Il “Tipo” regolamentare significa che le prove sono state effettuate su imbarcazioni da mare, dette “Jole”, che sono più larghe rispetto a quelle utilizzate nelle acque interne. Sono stati assegnati 15 titoli tricolore

63


il cavalletto

St. Andrea Marina con barche - 2015 - olio su tela

Antonio Trenta e l’arte di rappresentare IL MARE di Massimo Galiotta

L’Italia, Paese ricco di artisti, annovera tra i suoi territori più attivi il Salento. Da sempre, la Terra d’Otranto è testimone e scrigno, officina delle arti con i suoi innumerevoli talenti che nel tempo si sono saputi distinguere. Tra questi vi è, senza dubbio, il calimerese Antonio Trenta (Calimera 1930).

Marina Roca Vecchia - 2012 - olio su tela

64

Artista attivo sin dal 1970, periodo al quale risalgono le sue prime esposizioni, maestro dell’arte pittorica, trae dal vero l’ispirazione poetica che sulle sue tele si manifesta in opere dense di significati storico culturali ma anche personali. Il mare è uno dei temi a lui più cari. Pittore poliedrico, trasversale alle mode e agli stili, cerca di comprendere l’universo descrivendone le leggi che lo governano attraverso l’uso dell’arte che sin da piccolo lo appassiona, la pittura. La sua formazione di tecnico, geometra, lo condiziona durante tutto il suo percorso artistico, obbligandolo a studiare un dato principio fino a renderlo un dogma del suo stile pittorico; non a caso la sua profonda cultura lo rende un fine conoscitore della storia dell’arte e dei maestri che, nel tempo, ne hanno tracciato il percorso e che lo hanno preceduto. Le sue opere, esempio di maestria, delineano inconfondibilmente il profilo di un tratto di costa salentina che, in alcuni casi, non c’è più. Il punto di vista di un artista che, con i suoi quadri, non ha mai smesso di rappresentare la terra e il mare che lo hanno voluto “cantore” delle bellezze da egli viste con lo sguardo senza tempo di un bambino, con quell’animo puro che di fronte ai suoi quadri ognuno riscopre di possedere.




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.