DOPPIE CULTURA 2021_010000_54.pdf - Parma - Stampato da: rinaldi - 14/03/2022 21:37:57
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Lunedì 1 gennaio 1
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CULTURA
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La forza delle idee
cultura@gazzettadiparma.it
L'inviato-segugio «Vi racconto il mio Berlusconi Tutto forza e debolezze»
«L'Italia è il Paese che amo»
Il libro di Vittorio Testa «B»: ricordi e aneddoti di nove anni da cronista al suo seguito di Claudio Rinaldi
L
o hanno chiamato il Capitano, il Dottore, Sua Emittenza, il Cavaliere (e il Cavaliere mascarato), il Caimano. È l’uomo che ha segnato – nel bene e nel male – trent’anni di storia politica italiana, mezzo secolo se si allarga il discorso alla Fininvest, alle imprese in campo edile, alle reti televisive, al Milan. Amato e odiato, ha spaccato lo Stivale in due, si era (e si è) con lui o contro di lui. Talmente celebre da essere, semplicemente, B: il titolo del libro appena uscito, scritto da Vittorio Testa, uno che Berlusconi lo ha conosciuto, frequentato, inseguito, pedinato, intervistato forse come nessun altro. Un giorno che non dimenticherà mai, Testa – allora capocronista nella redazione milanese di «Repubblica» – riceve una telefonata da Eugenio Scalfari: «Ti affido Berlusconi, voglio che tu lo segua come un’ombra, in ogni dove, giorno e notte». Non siamo ancora alla “discesa in campo”, al video che comincia con l’indimenticabile «L’Italia è il Paese che amo». «Che fortuna – commentano diversi colleghi in redazione – girerai il mondo in tutta tranquillità». Non va proprio così: per nove anni, dal 1991 al 2000, la sua vita è sconquassata e assorbita dai ritmi frenetici di Berlusconi, tra discorsi,
annunci, smentite, inchieste, processi, accordi, liti, colpi di scena. Con un particolare non proprio insignificante: «Repubblica» è sempre stato il giornale nemico di Berlusconi per antonomasia: il che non rende proprio facile la vita dell’inviato-segugio. Ma sono stati anche dieci anni per molti versi impagabili, tra tanti scoop e qualche bu-
co (per i non giornalisti: si prende un buco quando i giornali concorrenti pubblicano una notizia che tu non hai). Dieci anni ricchissimi, professionalmente e umanamente. Spulciando tra i suoi vecchi taccuini, Testa ha rispolverato ricordi e aneddoti gustosissimi. E ne ha ricavato un libro succulento: tanto
arrosto e poco fumo. Con la penna, sempre molto ispirata, che i lettori della «Gazzetta» conoscono bene, da sette anni a questa parte, grazie agli apprezzatissimi editoriali, ai corsivi, ai Colpi di Testa. «Temibile concorrente» lo definisce, nell’affettuosa prefazione, l’ex direttore del «Corriere» Ferruccio de Bortoli. Mettendo subito in
chiaro la grande stima per il collega e l’ammirazione per la sua correttezza professionale: «Vittorio Testa è stato per tanti anni un grande inviato di “Repubblica”. […] Ma non ha svolto il ruolo di ambasciatore di una “potenza mediatica” ostile al mondo berlusconiano, né ha vestito i panni dell’osservatore parziale, prevenuto. Ha fatto “sempli-
Quanti inseguimenti per strappargli un'intervista Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo il capitolo «L'incontro». B di Vittorio Testa, Diabasis, collana Al buon Corsiero, 2022, pp. 192, euro 18
L'autore Vittorio Testa, editorialista della «Gazzetta» (oltre che autore di corsivi e della rubrica Colpi di Testa), è bussetano purosangue. È stato cronista cronista al «Mattino di Padova» e al «Giornale di Sicilia», poi capocronista e inviato di «Repubblica»; quindi inviato del «Giorno» e in seguito vicedirettore del Tg5. É stato ideatore e conduttore di 270 puntate di Loggione, il popolare programma di «Canale 5» dedicato all’Opera.
di Vittorio Testa
“I
l Dottore si scusa, ma è impegnatissimo’’. Così almeno venti volte nel giro di una settimana risponde una gentile voce femminile al centralino di villa San Martino di Arcore, la settentesca magione dei Casati Stampa ora di proprietà di Silvio Berlusconi. Né va meglio il tentativo d’aggancio con Niccolò Querci, l’aitante segretario factotum fiorentino, dall’occhio azzurro e la mente sveglia: “Abbia pazienza, il Dottore è molto preso’’. Allora provo con Antonio Tajani, collega giornalista del «Giornale», addetto stampa del Cavaliere. Romano atipico, di temperamento e modi da gentleman alle corse di Ascot, sospira solidale e sussurra: “Vitto’ Vedrò cosa posso fare. Tranquillo!’’. Tranquillo un tubo! il direttore Eugenio Scalfari, ogni mattina in collegamento interfono con Roma, mi chiede: “Vittorio, novità?’’. Mi ha incaricato di seguire in ogni dove Berlusconi, il quale dice e non dice se entrerà in politica. In un in-
to (e lui dormiva in un divano-letto in salotto), l’importanza del padre Luigi nei primi passi della carriera, l’affetto infinito per mamma Rosa (impagabile il capitolo in cui Testa racconta la lunghissima intervista che le fece). Il bisogno spasmodico di sentirsi elogiato (che «lo renderà vulnerabile – spiega Testa –. Ne approfitteranno in molti»). Intelligente e empatico, Berlusconi capisce presto che l’inviato di «Repubblica» è una persona perbene (semmai è deluso, e glielo dice, perché «ho capito che mi stima ma non mi ama»). Insistente, spesso pedante – come l’incarico ricevuto da Scalfari richiede – ma corretto sempre. Correttezza ripagata con dichiarazioni esclusive e confidenze: ma quanta fatica per ottenerle! Negli anni d’oro, quelli delle vittorie alle elezioni e di una vitalità esplosiva, Berlusconi gioca di continuo con i cronisti: sempre pronto a lamentarsi per essere seguito ovunque, ma anche a deplorare l’assenza del codazzo, le volte in cui i giornalisti Un fermo immagine dello “storico” video della decidevano di rispetta“discesa in campo”. Era il 26 gennaio 1994: Silvio re il suo invito alla priBerlusconi decise di annunciare il suo ingresso in vacy: «Dove eravate? politica attraverso un messaggio televisivo Era una cosa imporpreregistrato, della durata di nove minuti, inviato a tutti tante!». i telegiornali delle reti televisive nazionali... Pedinamenti spesso Due mesi più tardi, Berlusconi vinse le elezioni avventurosi – in scoopolitiche del 27 e 28 marzo ter a tutta birra per Roma per seguire l’auto blu, in moto a Arcore per presidiare tutti gli ingressi della villa («So di essere causa di sacrifici enormi, che pesano anche sulle vostre famiglie», si scusa spesso il Dottore) – alternati a comodissimi passaggi sul jet privato. Viaggi alle Bermuda a caccia cemente” (le virgolette andrebbero rafforzate) il cronista. Attento alle notizie alle quali non ha mai contrapposto le ragioni di schieramento politico del suo giornale. E nemmeno le sue intime convinzioni». È (meglio: dovrebbe essere) l’abc del bravo cronista, Testa lo sa da quando ha imparato a fare le aste nel mondo del giornalismo, con un maestro come Lino Rizzi, bassaiolo bussetano come lui, e non ha mai dimenticato la lezione. Non è una biografia, non è un saggio, non è un diario. Ma è un po’ tutte queste cose insieme: capitolo dopo capitolo, il lettore entra nel dietro le quinte dell’universo Berlusconi, capisce l’uomo, non solo il politico. La sua forza e le sue debolezze. L’infanzia non facile all’Isola, che oggi è un quartiere trendy di Milano, ma quando ci è cresciuto Berlusconi era piuttosto malfama-
contro con i giornalisti, a Casalecchio di Reno, nel novembre del 1993, ha sdoganato Fini affermando che, se fosse cittadino romano, alle elezioni per il Campidoglio voterebbe per l’erede politico di Almirante anziché per Rutelli. Si è beccato l’epiteto di ‘Cavaliere Nero’, di simpatizzante postfascista, padrone dell’etere, corruttore dei costumi con la sue televisioni al Drive In, finanziatore di Bettino Craxi, il leader socialista che con un decreto legge gli aveva riacceso le tv private, spente dai Pretori. Per «Repubblica» un nemico da combattere con tutto l’armamentario possibile. E io sono nei guai. Scalfari è impaziente di avere un’intervista, i colleghi romani che seguono la politica si guardano bene dal provarci. Lo faranno quando Berlusconi pianterà le tende nell’Urbe. Ma prima che capiti, il Cavaliere procede a frenate e accelerazioni. Corro a Grugliasco, a fine novembre, dove Berlusconi inaugurerà il centro
commerciale Le Gru. Prima la Messa, poi il taglio del nastro. Mentre usciamo dalla cappella capito di fianco a Fedele Confalonieri, nipote di Borghi, il fondatore dell’Ignis, sponsor di Antonio Maspes, il velocista che per guadagnare svanziche stava in surplace anche venti minuti, rimanendo fermo sulla scritta Ignis inquadrata dalla tv in primo piano, nella sfida di chi partiva prima, ritenuto questo uno svantaggio (c’è chi assicura che Maspes, incassato il surplus, dava una cospicua mancia al suo avversario). Confalonieri anche in pieno inverno non mollava il trench alla Humphrey Bogart. Decido di chiedergli un aiuto. Lui: “Ma come, Silvio non le parla? Perché lei è di «Repubblica»? Ma no… sì certo non lo vezzeggiate. Sa è un periodo difficile. Ha sentito il Padre Nostro… contiene frasi inquietanti, come rimetti a noi i nostri debiti”, dice Confalonieri alludendo alla situazione non rosea della Fininvest.
É di una gentilezza squisita. Berlusconi è teso e ha la voce arrochita come una corda di contrabbasso. Esclude di sentirsi attratto dalla politica, ma non esclude di occuparsene a breve. Usa una insolita allegoria: “I maglioni si fanno con i gomitoli che ci sono – dice sconcertando un po’ l’uditorio – vedremo cosa accadrà...”. Mentre si va verso l’uscita Confalonieri mi fa cenno d’avvicinarmi e di seguirlo. “Vediamo se riesco a farle regalare un maglione fatto a mano’’, scherza. Poi: “Silvio, perché non rispondi a questo giornalista di «Repubblica»? È stato incaricato di seguirti dal suo direttore, vuoi farlo licenziare?’’. “Ma no, no – replica Berlusconi – è che è un periodo tremendo, non ho mai un attimo di tregua’’. Poi rivolto a me: “Chiami Querci, le fisserà un appuntamento’’. È quello che faccio: un buco nell’acqua. Allora una mattina alle nove, eccomi ai cancelli di villa San Martino. “Di qui non me ne vado – dico alla guardia – finché non ho parlato con il Dottore. A costo di incatenarmi alla recinzione’’. D’improvviso eccolo, il Dottore, sta al telefonino, ma è vestito con la divisa d’ordinanza da corsetta: tutto in blu dalla testa ai piedi. Lo chiamo: “Scusi Dottore mi consente una parola?”, “Certo, ah sì lei è l’amico di Fedele che abita a Grugliasco… mi dica’’. Declino le mie generalità e gli dico: “Dottore io devo riferire sul mio giornale le cose che fa lei. Se non mi parla sarò costretto a servirmi di voci di seconda mano… Mi metta alla prova: facciamo un’intervista. Lei giudicherà e io accetterò la sua decisione”. Alle nove e cinque incomincia così una
giornata particolare. “Questo è un parlare da galantuomo – dice il Cavaliere – venga dentro che le offro un caffè’’. Non voglio farla troppo lunga, basterà procedere per scene susseguenti. “Venga che le faccio vedere il mio pianoforte che è nel salone delle feste”. Il Cavaliere si siede al piano. “Conosce canzoni francesi?’’, “Sì qualcuna”, “Per esempio?’’,“Et maintenant’’, “Ah, eccola servito’’. E il Cavaliere suona e canta con voce ben impostata, ha un timbro di baritono leggero. “Quando ero a Parigi, giovane e bello, facevo impazzire le ragazze. Di giorno studiavo alla Sorbona, la sera suonavo e cantavo in un cabaret. Diventai il numero uno a Parigi con una mia canzone che si intitolava Le Café. La storia di un giovane che ha una fidanzata, si danno appuntamento a mezzogiorno nel suo caffé. Lui aspetta fino alle sei, ma lei non arriva. Viene la guerra, il caffè chiude. Dopo anni lui riapre il locale e una sera pulendo i vetri vede che nel caffè di fronte c’è seduta una signora: ma è lei! Sì, era proprio lei che aveva sbagliato caffè. Lui rimane di stucco e poi viene a sapere che lei ha avuto un figlio proprio dal proprietario di quel locale. Cosa dice, non è una bella storia? Dolorosa, ma la vita a volte è crudele’’. Dico: “Certo che è un bel rebus psicologico quello della signora che per quarant’anni va tutti giorni nel posto sbagliato e poi fa un figlio con il concorrente dirimpettaio…”. Lui sorvola. Non è entusiasta dei miei dubbi. “Va bene – dice cambiando il tono di voce – arrivò anche mio padre, vide il mio trionfo con quella canzone, scritta e interpre-
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di un’intervista esclusiva e in giro per l’Italia in campagna elettorale, in Europa per le apparizioni/esibizioni all’Europarlamento. È quando si spengono i riflettori che emerge l’umanità di Berlusconi. Quella che, in fin dei conti, conquista anche l’esigentissimo Vittorio Testa: «Dottore, mi creda – scrive nella Lettera a B introduttiva –: non ho intenti di moralista, non ne ho il diritto. Lei mi è simpatico, non l’ho mai votata, ma la stimo». Ci sono le donne di Berlusconi, dai due matrimoni al caso Ruby, al‰‰ la stima delle amanti che ha avuto L:49.792pt A:59.007pt (per i curiosi: secondo i conteggi ci/Gazzetta di Parma/Foto/Da tati da Testa, sarebbero 126). Ci sono i duelli con Occhetto e con Prodi, gli scontri con Scalfaro («È mio nemico, anzi di più: è un nemico della democrazia») e con Dini («Il traditore che si è venduta sf1sf1 l’anima al diavolo comunista»), la guerra (bidirezionale) con la Procura di Milano. I rapporti altalenanti con Bossi. Prima è un amico e un alleato fidato, poi un nemico acerrimo («Il Vanna Marchi della politica», dice Berlusconi. E Bossi: «Berlusconi è l’uomo della mafia, un palermitano mandato su apposta per fregare il Nord»). Quindi la pace, dopo cinque anni di gelo e insulti. «Nella vita si impara» dice, conciliante, il Senatùr. E Berlusconi: «Anch’io sono cambiato, da quel ’94 sono molto maturato». Una sintesi del personaggio? Impossibile. Anzi, no. Ci prova Testa: «Vitalissimo uomo di intelligenza fulminea, narciso e tracimante di un’autostima eccezionale, permaloso come un bambino, compagnone da festa spensierata, facile a commuoversi, convinto del suo fascino, generoso con gli amici, perfino con i nemici». Detto da lui, c’è da fidarsi.
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tata da me, ero diventato un idolo. Venne nel camerino e mi chiese se davvero avevo intenzione di cantare tutta la vita… e mi prese per un orecchio mi riportò a casa’’. Il Dottore si alza mi prende sottobraccio e chiede: “Ma lei è la prima volta che entra qui? Allora venga che le faccio vedere la villa e il parco’’. Da quel giorno, il Cavaliere è molto disponibile. Siamo a fine novembre del 1993. Quattro mesi scarsi e il Cavaliere vincerà le elezioni del 27 marzo ’94. Dopo questo primo incontro inizierà per me questa avventura: ho la presunzione di aver conosciuto bene e in profondità questo vitalissimo uomo di intelligenza fulminea, narciso e tracimante di un’autostima eccezionale, permaloso come un bambino, compagnone da festa spensierata, facile a commuoversi, convinto del suo fascino, generoso con gli amici, perfido con i nemici. Al termine di uno delle centinaia di incontri, era in una campagna elettorale, il Cavaliere mostrò a noi cronisti alcuni abbozzi di maxiposter da affiggere sui cartelloni delle vie milanesi più battute. Era tardi, avevamo fretta, emettemmo un rapido brusio di ‘sì ma che belli!’. “Tutto qui? – fece lui offesissimo – buona notte!”, esclamò, e scomparve. La mattina dopo alle sette trilla il telefono. É lui: “Ho fatto forse qualcosa che l’ha offesa?”, io: “Assolutamente no…”, “Mi sembrava di malumore ieri sera... no? Comunque lei è una persona perbene ma ho capito che mi stima ma non mi ama”. Il bisogno spasmodico di sentirsi elogiato lo renderà vulnerabile alla piaggeria. Ne approfitteranno in molti.
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