Bit-à-brac. Informazione e biblioteche nell'era digitale

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Alberto Salarelli

Milioni di persone vivono oggi un’esistenza in cui l’informazione acquista una rilevanza vitale ed esercitano professioni legate al trasferimento dell’informazione. Il “fenomeno Internet” non è solo una rivoluzione tecnologica: la dimensione di rete investe il modo di produrre e diffondere la conoscenza, il modo di aggregare interessi e formare comunità, il modo stesso di lavorare e di vivere. Rispetto a questo scenario le biblioteche, in quanto strumenti di mediazione tra utenti e documenti, sono chiamate a svolgere un ruolo di particolare rilevanza nei processi di sviluppo sociale e di democratizzazione nell’accesso alle fonti del sapere.

Bit-à-brac Informazione e biblioteche nell’era digitale

Bit-à-brac

Alberto Salarelli

I RICERCARI

E 12,50

DIABASIS

Alberto Salarelli (Parma, 1967) insegna Sistemi di elaborazione dell'informazione all’Università di Parma. Si occupa in particolare del rapporto tra biblioteconomia, società e nuove tecnologie. Tra le sue pubblicazioni: World Wide Web (Roma, 1997) e, con Anna Maria Tammaro, La biblioteca digitale (Milano, 2000).

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I ricercari Collana diretta da Giuseppe Papagno ·4·

Il mondo sta cambiando, anzi, è già cambiato questo è certo. O forse, e meglio, per la prima volta sta veramente diventando “mondo”. L’intreccio di cose, uomini e modi di vedere tra loro diversi che entrano progressivamente, ma senz’ordine, in un unico grande sistema, il mondo, di cui – proprio per la sua elevata dinamica – né si conosce la configurazione né, tantomeno, l’esito sembra richiamare l’antica esclamazione di Eraclito: παντα ρει!, “Tutto scorre!”, tutto si muove, tutto si agita. Tutto, infine, si combina o cerca di combinarsi in maniere nuove e inaspettate. Anche i saperi entrano in questo vortice evolutivo e mutano collocazione, dinamica e proiezione, se non il loro senso. La collana non vuole anticipare il mondo che verrà, ma proporsi di seguire con vista strabica (un occhio attento a non disperdere i passati, e l’altro invece a seguire le onde dei presenti) le spire della sua evoluzione sui diversi terreni: da quelli della storia e dell’identità storica o del rapporto fra la scienza e il tempo storico, o della storia e geografia del territorio a quelli… della genetica. Non aggiornamento, quindi, e neppure l’avvenirismo di moda che sconfina con la fantasia: piuttosto il più modesto tentativo di stare “dentro” il movimento dei tempi e degli spazi. Titoli pubblicati Giuseppe Papagno, Un modello per la storia. Materiale, attività, funzioni Piergiovanni Genovesi, Utilità della storia. I tempi, gli spazi, gli uomini Giuseppe Papagno, Altrove. Viaggi nel diverso, viaggi nella storia Alberto Salarelli, Bit-à-brac. Informazione e biblioteche nell’era digitale Titoli di prossima pubblicazione Irene Campari, Stultus loci: il non sense dell’esperienza geografica oggi Renato Betti, La simmetria tra naturale e artificiale Bernardo Cinquetti, Il senso poetico delle scienze


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In copertina Hieronymus Bosch, L’estrazione della pietra della follia (particolare)

Progetto grafico e copertina Studio Bosio, Savigliano (CN)

ISBN 88 8103 284 8

Š 2004 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 e-mail info@diabasis.it


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Presentazione, Giovanni Solimine

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Premessa

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Bibliografia e caos

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Con quali documenti si scriverà la storia del XX secolo? I sedimenti del “secolo breve”

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Le patologie da eccesso di informazione: l’information overload

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Quando l’utente non è indipendente: il digital divide

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Bibliografia

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Capitolo secondo

Con quali documenti si scriverà la storia del XX secolo? I sedimenti del “secolo breve”

Se volessimo divertirci a giocare con il paratesto, il titolo di questo saggio potrebbe essere visto non come una dichiarazione d’intenti, cioè la tesi di un successivo svolgimento verbale, ma semplicemente come la didascalia di un’immagine fotografica. Per esempio una fotografia di JacquesHenri Lartigue, di quelle dove sono rappresentati i primi tentativi riusciti, anche se barcollanti e inevitabilmente un po’ comici, di volo umano. L’aviazione, fenomeno tutto novecentesco che in soli sessant’anni ha portato l’uomo dal biplano alla luna, dal Barone Rosso a Gagarin, ad Armstrong, e la fotografia come strumento inusitato per documentare questa nuova storia 1. Non possiamo sapere, né immaginare se non con difficoltà, come si scriverà la storia del XX secolo nel XXI o nel XXII secolo, ammesso e non concesso che tra cento o duecento anni vi saranno ancora storici, ma ci pare molto probabile che, girandoci indietro da lontano, di questo secolo passato apparirà caratteristico il cambiamento di ritmo rispetto ai precedenti, la sua impressionante velocità di mutazione tecnologica, e che di tutto ciò difficilmente si potrà o si vorrà discorrere e raccontare senza l’ausilio documentario di una fotografia o di un film 2. Camminavo, in una bella giornata di fine estate dell’ultimo anno del secolo scorso, sul pratino che ricopre il cortile della Cavallerizza all’interno del Palazzo Ducale di Mantova; lo scorrere del tempo fra le generazioni delle società umane lascia segni talora profondi e duraturi talora superficiali ed effimeri. Certamente vi sono materiali, come le cinquecentesche colonne disegnate da Giovanni Battista Bertani en pendant con la facciata giuliesca della Rustica, che parlano chiaro, non tanto nei significati, quanto nella vo19


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lontà di significare, di voler essere «powerful resource for constructing and negotiating social space» 3. Materiali che nelle stesse mani degli uomini del tempo passato venivano a rappresentare una memoria di loro stessi per il futuro: documento come monumento, «prodotto della società che lo ha fabbricato secondo i rapporti delle forze che in essa detenevano il potere» 4. Ma quanti segni inconsapevolmente incisi nelle pietre, tratteggiati sulle carte, cuciti sui vestiti, sedimentati nella lingua parlata o nella pietanza di popolo, oggi contribuiscono a formare le tessere di un mosaico che l’occhio dello storico intuisce nel suo disegno complessivo sempre più precisamente definito mano a mano che ogni elemento trova la sua collocazione nel letto di stucco all’uopo approntato? Una prima risposta alla domanda che intitola queste pagine potrebbe dunque essere questa: la storia del XX secolo si scriverà con quei documenti che gli storici futuri riterranno maggiormente significativi, cioè portatori di segni. Questa che sembra una banale tautologia è invece una delle grandi svolte nella storiografia del Novecento. Documenti e avvenimenti sono termini fra loro fortemente correlati: in entrambi i casi ci troviamo di fronte non a elementi oggettivi ma a “prodotti” del mestiere di storico: è lo storico che dalla congerie indefinita dei materiali legge ed elegge (nel senso etimologico del termine, cioè e-lige, estrae, sceglie) quelli che sanno dare testimonianza di quegli avvenimenti che, dalla congerie indefinita dei fatti, vanno a comporre il racconto. Vale la pena, al proposito, rileggere una celebre pagina, davvero mirabile per acume metodologico, di Marc Bloch: Ma dacché non siamo più rassegnati a registrare puramente e semplicemente le parole dei nostri testimoni, dacché intendiamo costringerli a parlare, forse anche contro voglia, si impone più che mai un questionario. Questa è difatti la prima necessità di ogni ricerca storica ben condotta. Parecchie persone, e anche – a quanto pare – alcuni autori di manuali, si fanno un’idea sorprendentemente ingenua del modo di procedere del nostro lavoro. «In principio – essi direbbero volentieri – ci sono i documenti. Lo storico li raccoglie, li legge, si sforza di valutarne l’autenticità e la veracità. Dopo di che, e soltanto allora, li utilizza.»

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C’è un solo guaio: nessuno storico procede così. Persino quando, per caso, si immagina di farlo. Infatti i testi, o i documenti archeologici, sia pure quelli in apparenza più chiari e compiacenti, parlano soltanto quando li si sappia interrogare 5.

Mentre Bloch componeva la sua opera (1941), pubblicata postuma otto anni dopo a cura di Lucien Febvre, veniva data alle stampe in Italia la quarta edizione della Teoria e storia della storiografia di Benedetto Croce. Se lo storico transalpino propone di sviluppare le proprie capacità di interrogazione nei confronti dei materiali (il che impone lo studio di molteplici linguaggi segnici), nondimeno Croce suggerisce che per distinguere tra documenti significativi e non significativi il criterio è la scelta stessa, condizionata, come ogni atto economico, dalla conoscenza della situazione in cui ci si trova, e in questo caso dai bisogni pratici e scientifici di un determinato momento o epoca: la scelta, che è perciò condotta bensì con intelligenza, ma non già con l’applicazione di un filosofico criterio, e si giustifica solo in sé e da sé medesima 6.

Libertà e responsabilità dello storico sono il trait d’union tra i due brani. Diversi furono però gli sviluppi della prassi storiografica nei due Paesi: se in Francia la scuola delle Annales portò a una vera e propria rivoluzione interpretativa aprendo la strada a nuovi ambiti documentari, cioè alla lettura di nuovi materiali assurti al rango di documenti, in Italia prevalse la parte più speculativa dell’originaria matrice idealistica. Tuttavia porre il problema della conoscenza storica come riduzione del passato a problema mentale risolvendolo «in una prospettiva di verità» se ci porta, da un lato, a formulare un «giudizio storico circostanziato, realissimo; dall’altro, in quanto verità, esso ritiene il carattere dell’assoluto» 7. In questo senso, seppur tutto è storia, il piano di sviluppo più elevato è quello nel quale la storia come pensiero e come azione ha modo di dispiegarsi nella sua più completa espressione, quello sul quale si va a operare concretamente quando si vogliano impartire sterzate significative al corso dei tempi, cioè quello etico-politico. 21


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Come scrive Chabod: La storia etico-politica è come un microcosmo, vivo per le forze morali che lo tengono in altezza, ma in cui devono riflettersi, sotto forma di sprone o di remora a quelle forze morali, tutte le varie forme dell’umana attività, dalla cultura alla politica, dall’economia stricto sensu alla diplomazia e alla milizia 8.

Nella storiografia italiana il binomio pensiero/azione, presto tradotto in ideologia/impegno civile, spiega il gran numero di storici che fino a qualche anno fa occupava i seggi delle nostre istituzioni pubbliche di ogni ordine e grado: il che non sarebbe affatto grave se lo storico fosse realmente in grado di mantenere distinte le due figure di politico e di ricercatore, impresa che si è rivelata – a lungo andare – pressoché proibitiva. Per questo motivo la scomparsa di Croce e dei suoi allievi più prossimi, unitamente alle necessità imposte dalla maggiore circolazione dell’informazione scientifica veicolata dai nuovi media, non è stata senza conseguenze nel panorama storiografico italiano. Conseguenze non sempre negative: In una società come la nostra, complessa e attraversata da tensioni culturali diverse o variegate, la mancanza di centri di riferimento identificabili in una persona o in poche persone può costituire un terreno assai fertile per la ricerca, per l’elaborazione di ipotesi di lavoro, per la differenziazione delle posizioni proprio in virtù del minor numero di vincoli “fisici” che vengono posti a coloro che si dedicano a questa disciplina chiamata “storia”. Origini culturali, problemi, immaginazioni e aspettative diverse o varie dovrebbero insomma portare a una maggiore ricchezza complessiva nell’ambito della ricerca storica 9.

Pluralità di possibilità e di intenzioni significa, per la storiografia contemporanea, pluralità di funzioni. Quando si pensa che la storia più che un labaro è un cacciavite, cioè più che guidare le coscienze verso una meta è uno strumento per agire su un dispositivo complesso, allora è evidente che l’aspetto sperimentale, laboratoriale, acquisisce un ruolo del tutto nuovo. Ogni società ha una propria necessità storica: la società odierna ne ha tante, diversificate, complesse e contraddittorie in numero proporzionale agli attori che la animano. Forse un solo scopo per la storiografia contempo22


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Capitolo terzo

Le patologie da eccesso di informazione: l’information overload

Tra le vetrine virtuali delle librerie che offrono i loro prodotti su Internet, apparve qualche tempo fa un’indicazione bibliografica che riportava erroneamente il titolo del più celebre volume di Jeremy Rifkin: «l’era dell’accesso», verosimilmente per un errore di battitura, era divenuta «l’era dell’eccesso. Lapsus freudiano verrebbe davvero da dire in questo caso: chissà cosa rimarrà di noi nelle memorie che lasceremo alla posterità, chissà se coloro che ci seguiranno su questo pianeta guarderanno ai nostri anni come a una grande rivoluzione democratica nei confronti dell’accesso a uno smisurato patrimonio informativo, oppure se verremo ricordati come coloro che vissero la rivoluzione telematica senza riuscire a venire a capo del problema rappresentato dalla sovrabbondanza di offerta di informazioni rispetto alla capacità di digestione della fisiologia umana, pur supportata dagli strumenti tecnologici disponibili in suo ausilio. Sia detto subito senza circonlocuzioni di sorta: il problema dell’eccesso di informazione non è tipico unicamente di coloro che per mestiere producono, mediano e utilizzano l’informazione stessa. È un problema molto più generale che affligge in misura più o meno accentuata tutti coloro che vivono in paesi ad alto tasso di tecnologia informativa, in situazioni ove l’accesso ai mezzi di comunicazione di massa non è più una questione di potere d’acquisto quanto piuttosto di capacità di utilizzo, di know-how. Per questo motivo non si vuole in questa occasione prestare attenzione alle situazioni patologiche estreme, quanto piuttosto rivolgere lo sguardo all’aspetto cronico, alle malattie cosiddette “sociali”. Insomma: se volessimo appoggiarci al paragone 43


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già visto tra fabbisogno calorico e fabbisogno di bit, vorremmo preoccuparci, più che degli stati di obesità acuta, delle “malattie del benessere”: sovrappeso, diabete, disturbi cardiovascolari, gotta. Si parla frequentemente di “impatto” della rivoluzione informativa nei confronti della società. L’uso del termine è fuorviante, non perché manchi una reazione del corpo sociale ai mutamenti delle tecnologie e dei flussi informativi, quanto piuttosto perché questi fenomeni non si manifestano attraverso uno scontro frontale, esplosivo, spettacolare, sonoro. Si tratta piuttosto di una forma di pervasione sottile, impalpabile quanto lo sono i bit che attraversano il nostro spazio, il nostro corpo, la nostra umana materialità. Non per questo però è meno azzardata l’affermazione che «nel mondo digitale il mezzo non è più messaggio» 1: liberati dalla loro apparenza materiale i dati sono pur sempre composti, trasmessi e registrati tramite strumenti analogici dai quali dipendono tutte le nostre reti informatiche. Senza un’interfaccia non sapremmo che farcene della “pura” rappresentazione numerica delle informazioni: con le tecnologie digitali siamo di fronte a un nuovo tipo di “mezzo” che, proprio per le sue rivoluzionarie possibilità, è l’ennesima ulteriore riprova di come non si possano sganciare – a livello interpretativo – i due termini del problema, contenitore e contenuto. Quando stramalediciamo il bancomat che si rifiuta di dialogare con noi, quando il pannello della biglietteria elettronica in stazione è fuori uso, quando il laptop esaurisce la propria carica ci rendiamo conto che l’interfaccia – per poter accedere al dato in formato digitale – è necessaria, a dispetto di quello che pensa Charles Hildreth: «the age of works imprisoned in physical bondage – that is, half-way, nearby technologies – may be nearing an end» 2. La flessibilità dell’informazione digitale, il suo essere “soft”, non prescinde da tecnologie e materiali fisici, atomici, concreti: anzi ne dipende strettamente. È la natura di questa dipendenza, cioè del legame tra il messaggio e il mezzo, ad essere del tutto inusitata e, per questo, rivoluzionaria. Paul Virilio ne La bomba informatica accenna alla trasfor44


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mazione dei sistemi di comunicazione pubblicitaria verificatasi nel corso del secolo appena terminato: La pubblicità, semplice réclame di un prodotto nel XIX secolo, pubblicità industriale che suscita dei desideri nel XX, si accinge a diventare nel XXI secolo pura comunicazione, esigendo con ciò lo spiegamento di uno spazio pubblicitario fino alle dimensioni dell’orizzonte di visibilità del globo 3.

Potremmo fare nostre queste considerazioni aggiungendo che la pubblicità – in fondo – non fa altro che cavalcare i sistemi di comunicazione informativa più adeguati per raggiungere un determinato target di potenziale clientela. Se dunque ammettiamo come vera la proposizione che la pubblicità è oggi una questione “ambientale”, non di meno possiamo considerare “ambientale” la nostra permanenza più o meno voluta o percepita all’interno di un sistema informativo del quale fanno parte elementi di spicco, come gli apparecchi di ricezione e trasmissione, altri più sommessi come i manifesti pubblicitari o le insegne luminose, via via verso una congerie sempre più minuta e innumerevole di materiali talora all’apparenza insignificanti ma che invece “significano” e che dunque agiscono in continuazione sui nostri recettori sensoriali e da lì verso la nostra Central Processing Unit, la mente. Il problema nasce dal fatto che, se per un computer è relativamente semplice procedere all’occorrenza verso un upgrade della memoria e della potenza di calcolo, per la mente umana il sovraccarico di informazione oltre una determinata soglia è ineludibile 4: varcare il limite della sopportazione fisiologica non può che causare spiacevoli interferenze nella condotta della persona stessa. Georg Simmel già nei primi anni del XX secolo aveva avvertito l’acuirsi del disagio provocato dall’eccesso di informazione per chi si trova a vivere in una grande città: Perciò colui che vede senza udire è molto più confuso, perplesso, inquieto di colui che ode senza vedere. In questo fatto deve risiedere un elemento significativo per la sociologia della grande città. Il traffico che vi si svolge, confrontato con quello della piccola città, mostra una preponderanza smisurata del vedere sull’udire gli altri (…). La maggiore enigmaticità testé accennata dell’uomo che viene soltanto

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Capitolo quarto

Quando l’utente non è indipendente: il digital divide

Sulla via della disintermediazione In anni recenti, in frequenti occasioni, le riflessioni sugli aspetti deontologici della professione bibliotecaria si sono concentrate sulle aspettative informazionali dell’utente, identificando in esse l’elemento cardine verso il quale debbano concentrarsi tutti gli sforzi di una corretta prassi biblioteconomica. Si è spesso sostenuto – in modo talora sfrontatamente ottimistico – che la creazione delle biblioteche digitali andasse progressivamente a colmare quel divario che da sempre separa il bisogno di sapere dalla fonte di informazione 1, quel divario che è la ragion stessa d’essere di ogni biblioteconomia. Le biblioteche digitali sono user centered non perché tutto viene organizzato in funzione dei bisogni dell’utente (qualsiasi biblioteca degna di questo nome deve fondarsi su questo principio basilare) ma perché tutto viene organizzato in funzione dell’“autosoddisfacimento” dell’utente. Detto così può suonare tristemente onanistico: ma questa lieve nota di disagio sappiamo bene non essere affatto aliena dal nostro rapporto con la realtà biblioteconomica, per non dire dalla realtà tout-court. L’utente, che diventa vero nodo del sistema informativo, è investito della cruciale e ultima responsabilità: quella di arrangiarsi. Il che non è poi detto sia del tutto un male: l’assistenzialismo, in genere, sviluppa generazioni di piagnoni, mentre il bisogno – recita il proverbio – aguzza l’ingegno. Del resto, come scrivono Crawford e Gorman: There is little that is new about people obtaining information directly – it can be argued that the history of progress in librarianship is one

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of decreasing the need for mediation. What else are public catalogues, open shelves, accessible reference collections, etc., all about? […] The question therefore is not the presence or absence of mediation but the degree of mediation that is desiderable and affordable 2.

Non vi è dubbio che la figura dell’utente subisca tutti gli effetti di quest’era di transito trovandosi nel bel mezzo dell’agone, essendo da un lato chiamato a mallevadore di sperimentazioni, iniziative, progetti che promuovono una sempre, a parole, maggiore facilità di accesso alle risorse informative, e dall’altro trovandosi a vivere, nella realtà dei fatti, tra l’euforia per un delirio di onnipotenza scatenato dalla presunta capacità di avere istantaneamente ciò che desidera, o nell’amara presa d’atto che le sue mani, la sua testa sono spesso incapaci di riformulare le proprie richieste in un codice funzionale, necessario per cavare da una scatola di plastica e metallo ciò che prima si otteneva scorrendo tra i polpastrelli le schede di un catalogo o le pagine di un repertorio sequenzialmente ordinate secondo un prospetto rigido, ma proprio per questo, al limite, rassicurante. Ma se la disintermediazione ridimensiona la figura “fisica” del professionista che svolge per conto dell’utente l’opera di intermediazione, questo stesso professionista deve allora rientrare in gioco da un lato nel processo di sviluppo delle interfacce cosiddette “amichevoli” – vale a dire sottese da una filosofia «basata sui bisogni e gli interessi dell’utente, che miri a prodotti usabili e comprensibili» 3 – e dall’altro nel mentore che sappia educare i lettori all’utilizzo più appropriato, e critico, dei sistemi informativi. Se ciò non avverrà saremo nei guai perché ci troveremo sempre più spesso ad avere a che fare con sistemi progettati da sistemisti per altri sistemisti oppure con una generazione di utenti impazziti che cercheranno di pilotare macchine complesse senza uno straccio di cognizione per discriminare il pedale dell’accelleratore da quello del freno, con le conseguenze che tutti possiamo facilmente immaginare. I rischi sono reali, e aumentano in proporzione al ruolo sempre più importante che le reti telematiche rivestono nelle società post-industriali. 65


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Il digital divide intacca le basi del nostro sistema sociale Per questi motivi la riflessione sul digital divide non può che essere in prima istanza una riflessione incentrata sul ruolo dell’informazione nella sopravvivenza e nello sviluppo delle nostre forme di socialità, come affermano Alfino e Pierce: «information is so crucial to almost every purposive human activity that we are tempted to say that information has a central importance to human affairs and leave the matter at that» 4. Questo approccio comporta uno sforzo di osservazione critica e di confronto fra quelle che sono le potenzialità dei “tradizionali” sistemi analogici di comunicazione personale (o di massa) in comparazione alle tecnologie basate sull’elaborazione numerica. Non a caso la locuzione digital divide appare negli Stati Uniti a metà degli scorsi anni Novanta, proprio nel momento di una generale presa di coscienza delle possibilità insite nella diffusione capillare delle reti digitali: veicolare servizi informativi attraverso le reti diventa una realtà talmente concreta da ipotizzare un serio attacco alle libertà democratiche nel caso di un accesso precluso o limitato per determinate categorie svantaggiate della popolazione 5. Colmare il divario digitale è volontà di contatto tra diverse dimensioni culturali perché l’avvento dei sistemi informativi elettronici è tratto caratteristico di un nuovo scenario, di nuovi attori, di un nuovo spazio d’azione ove è sciocco e utopistico pensare che non accada anche lì ciò che è accaduto nel mondo degli atomi: anche la virtualità, anche il cyberspazio sono luoghi in cui si consumano abusi e crimini, in cui l’esclusione può esistere, né più né meno di quanto accade nella realtà quotidiana: è nella natura dell’uomo, è inutile farsi illusioni 6.

Ripetiamolo ancora: il digitale è rivoluzionario perché muta le caratteristiche intrinseche del mezzo attraverso il quale viene veicolato quel carburante informativo che è necessario alla sopravvivenza di una società complessa come la nostra, basata sulla fiducia reciproca, fiducia che non può crescere senza la conoscenza, cioè a dire senza un continuo scambio vicendevole di informazioni. Come sottoli66


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Adamic, Lada A., 18n Alfino, Mark, 66, 80n Andrews, Peter, 62n Annan, Kofi A., 53, 62n Arms, William Y., 80n, 81n Armstrong, Neil, 19 Arnetz, Bengt B., 62n Auerbach, Erich, 59 Augé, Marc, 27, 41n Azéma, Sabine, 80n Balsamo, Luigi, 10, 17n Barone rosso vd. Richthofen, Manfred von Barthes, Roland, 40n, 57, 63n Baruchson-Arbib, Shifra, 63n Basili, Carla, 56, 63n Bauman, Zygmunt, 67, 80n Bawden, David, 61n, 62n Beniger, James, 47, 61n Bensing, Jozien M., 62n Berger, Eric, 80n Berlusconi, Silvio, 80n Berners-Lee, Tim, 18n, 35, 42n, 80n Bertani, Giovanni Battista, 19 Bishop, Ann P., 81n Bloch, Marc, 20, 21, 29, 31, 40n, 59, 63n Bollorino, Francesco, 78, 80n, 82n Bolognani, Mauro, 82n Borges, Jorge Luis, 17n Bosch, Hieronymus, 2 Bradfield, Chris, 81n

Brown, John Seely, 40n Buchanan, Elizabeth Anne, 82n Burke, Peter, XIII, XVn Burwell, Lisa A., 81n Bush, Vannevar, 36, 37, 47, 61n Calabrese, Omar, 17n Capra, Fritjof, 17n, 18n Cartesio vd. Descartes, René Cavaleri, Piero, 17n Ceronetti, Guido, 63n Chabod, Federico, 22, 40n Chatiliez, Étienne, 80n Clipsham, Philip S., 61n, 62n Cochrane, Pauline A., 17n Costanzo, Maurizio, 57 Courtney, Nigel, 61n, 62n Cramer, Friedrich, 16n, 18n, 41n Crasta, Madel, 41n Crawford, Walt, 64, 80n Croce, Benedetto, 21, 22, 29, 40n, 41n De Luna, Giovanni, 40n De-Rijk, Angelique E., 62n Dertouzos, Michael, 18n, 62n Descartes, René, 59, 63n Dewdney, Christopher, 61n Diderot, Denis, XVn Dollar, Charles H., 34, 42n Doyle, Arthur C., 60n Doyle, Christina S., 63n Duc, Hélène, 80n Duguid, Paul, 40n


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Dussolier, André, 80n Edmunds, Angela, 47, 61n Edwards, Christopher, 82n Einstein, Albert, 12 Enzensberger, Hans Magnus, 26, 40n Eskow, Dennis, 62n Fanning, Shawn, 18n Faucci, Dario, 40n Febvre, Lucien, 21 Ferrarotti, Franco, 41n, 82n Foglieni, Ornella, 17n Ford, John, 3 Franklin, Cynthia, 17 Fukuyama, Francis, 28, 41n Gagarin, Yuri, 19 Garibaldo, Francesco, 82n Gasparini, Giovanni, 48, 61n Gatti, Gabriele, 80n Giddens, Anthony, 80n Gill, Philip, 81n Ginsparg, Paul, 50, 61n Ginzburg, Carlo, 63n Goethe, Johann Wolfgang von, 52 Gombrich, Ernst H., 63n Gore, Albert, 80n Gorman, Michael, XI, XVn, 33, 41n, 64, 80n Gramsci, Antonio, 59 Gregory, Tullio, 42n Guerrini, Mauro, 42n Gutenberg, Johann, XVn, 38 Hargittai, Eszter, 80n Haywood, Trevor, 80n Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 48, 61n Hildreth, Charles, 44n, 60n Hill, Michael W., 46, 61n Hobsbawm, Eric J., 27, 28, 41n Holtam, Clive, 61n, 62n Hopkins, Richard L., 58, 63n

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Huberman, Bernardo A., 18n Hull, Barbara, 82n Innis, Harold A., 2 Janowitz, Karl, 55, 62n Jung, Joo-Young, 81 Katsirikou, Anthi, 17n Kerckhove, Derrick de, 61n, 82n Kibati, Mugo, 82, Knuth, Donald, 52 Königer, Paul, 55, 62n Koski, Jussi T., 57, 63n Krairit, Donyaprueth, 82n Kranich, Nancy, 81n Kundera, Milan, 41n Kuronen, Timo, 16n, 17n La Fontaine, Henri, X Lartigue, Jacques-Henri, 19 Le Goff, Jacques, 29, 40n, 41n Leibniz, Gottfried Wilhelm von, 5 Lévi-Strauss, Claude, XIII, XVn Lévy, Pierre, X, XVn Lodolini, Elio, 32, 41n Loges, William E., 81n Lorenz, Edward, 11 Lynch, Clifford, 18n Lyotard, Jean-François, IX, XVn Magris, Claudio, 75, 82n Mandelbrot, Benoît B., 13 Mansell, Robin, 18n Mattelart, Armand, XVn, 82n Maturana, Humberto R., 6, 16n McCafferty, Joseph, 62n McLuhan, Marshall, 2, 13, 28, 46 Messina, Maurizio, 41n Mies van der Rohe, Ludwig, 60 Miller, George A., 46, 61n Miller, James, G., 62n Minsky, Marvin, 36 Morelli, Marcello, 42n Morris, Anne, 47, 61n


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Morris, Desmond, 80n Moss, Jeremy, 82n Negroponte, Nicholas, 35, 42n, 60n Nelson, Ted, 36 Newton, Isaac, 12 Nora, Pierre, 24, 41n Norman, Donald, 62n, 80n Otlet, Paul,

X

Papagno, Giuseppe, 40n, 41n Patkar, Vivek N., 6, 16n, 17n Pavone, Claudio, 41n Pekkarinen, Päivi, 16n, 17n Pensato, Rino, 82n Pierce, Linda, 66, 80n Popper, Karl, 41n Postman, Neil, 52, 62n Prigogine, Ilya, 9, 17n Proust, Marcel, 57 Puaez, Jeanne Holba, 81n Puttnam, David, 60, 63n Queneau, Raymond, 28, 41n Ranganathan, Shiyali Ramamrita, 6, 9 Ranger, Terence, 41n Raseroka, H. Kay, 79, 83n Rawlins, Gregory J.E., 18n Reynolds, Osborne, 6 Ricci, Giuliano de’, 42n Richthofen, Manfred von, 19 Ridi, Riccardo, 17n Rifkin, Jeremy, 43, 83n Rubini, Andrea, 78, 80n, 82n Rumiz, Paolo, 27, 41n Salarelli, Alberto, XII, XIV Salela, Pamela, 82n Salvati, Mariuccia, 27, 41n Santoro, Michele, 80n Sapori, Giuliana, 42n

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Sartori, Giovanni, 41n Schreurs, Karlein M.G., 62n Serrai, Alfredo, 16n, 17n, 51, 62n Shannon, Claude, 46, 61n Shenk, David, 62n Shera, Jesse H., 17n, 70 Shoemaker, Susan, 82n Simmel, Georg, 45, 61n Skiadas, Christos H., 17n Solimine, Giovanni, 16n, 61n Stanca, Lucio, 69, 81n Stanley, Andrew J., 61n, 62n Streeter, Calvin L., 17n Swanson, Don, 37, 42n Tidline, Tonyia J., 61n, 82n Traniello, Paolo, 41n Valentini, Giovanni, 41n Varela, Francisco J., 16n Vattimo, Gianni, 82n Vespa, Bruno, 57 Veyne, Paul, 40n, 67, 80n Virilio, Paul, 24, 40n, 44, 60n Warburg, Aby, 59, 63n Warren, Keith, 17n Warschauer, Mark, 81n Weaver, Warren, 46, 61n Weber, Max, 80n Weston, Paul Gabriele, 18n Wiholm, Clairy, 62n Williams, Joanne Twining, 17n Williamson, Matthew, 82n Wolton, Dominique, 73, 81n Wright, Kevin, 81n Wurman, Saul, 56, 63n Zagra, Giuliana, 41n Zanni Rosiello, Isabella, 41n Zavattini, Cesare, 79, 83n Zemanek, Heinz, 37, 42n


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Mappa per orientarsi tra bibliografie e biblioteche nel vortice della babele digitale questo libro è stampato nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia Sograte di CittĂ di Castello per conto di Diabasis nel febbraio dell’anno duemilaquattro

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