Boris pahor venuti a galla anteprima

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Boris Pahor

VENUTI A GALLA SCRITTI DI METODO, DI POLEMICA, DI CRITICA A cura di Elvio Guagnini



Già, è tutto qui: ancora. Leonardo Sciascia

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I MURI BIANCHI

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Coordinamento editoriale Fabio Di Benedetto Redazione Anna Bartoli Leandro del Giudice Progetto grafico e copertina Bosio.Associati, Savigliano (CN) In copertina Lojze Spacal, Notte lunare sul Carso,1956 (particolare) ISBN 978-88-8103-799-5

Š 2014 Edizioni Diabasis Diaroads srl - vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547iv - e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it


Boris Pahor

Venuti a galla Scritti di metodo, di polemica, di critica A cura di Elvio Guagnini

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Boris Pahor

Venuti a galla

Scritti di metodo, di polemica, di critica A cura di Elvio Guagnini

xi Prefazione, Elvio Guagnini 3 Questioni di metodo. Piccoli popoli, culture minoritarie, identità, comunità etnico-linguistiche, verso l'Europa

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Riflessioni sulla letteratura di un piccolo popolo o di una parte di essa separata dalla frontiera Slovenia mediterranea

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Il disinteresse degli intellettuali verso le identità misconosciute Le identità sono prioritarie. Mitteleuropa: una metafora e la sua traduzione Il pregio delle culture minoritarie

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Dalla comunità etnico-linguistica alla Federazione europea

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53 Sloveni, Cultura, Trieste 55

Vita culturale degli Sloveni a Trieste

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Il secondo periodo postbellico

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Kosovel e Trieste

73

I non incontri con l’amico Zoran

79

Il destino della mia città

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Il “misterioso” mondo sloveno

93

Due amici idealisti dichiarati: Srečko Kosovel e Carlo Curcio

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Manlio Cecovini Il mare come metafora in due poeti del Litorale. Dragotin Kette e Srečko Kosovel Per Igo Gruden

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Un mondo semiocculto e schivo (dicendo del Carso)

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127 Note di polemica e riflessioni diverse 129

Il Carso di Kosovel, Slataper e Spacal

133

Ambivalenza dei valori

139

A proposito delle due simmetrie. La voce saggia e pacata di Paolo Rumiz

143

L’invisibile con la “i” minuscola

147

Su Alojz Rebula. Del tutto divergenti eppure decisamente insieme

155

Una decisione di profondavii coscienza umanitaria

157

Svevo: non è tra i miei autori


159 Tra autobiografia e racconto 161

La Bengasi della Primavera araba

165

I voli interrotti

171

Dal diario

177

La sosta sul Ponte Vecchio. Due pagine di diario

181

A proposito di una laurea

185

A Primo Levi

189

Un chien blessĂŠ ovvero Cani in Europa

199

La novella scritta con lo stesso stile di Elio Vittorini

203

Prima viene il corpo

207 Nota ai testi 209 Indice dei nomi, dei luoghi e dei periodici 211

Indice dei nomi

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Indice dei luoghi

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Indice dei periodici

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Prefazione

In un articolo di rilievo notevole nel quadro della sua saggistica (L’avvenire nazionale e politico di Trieste), pubblicato sulla rivista fiorentina «La Voce» nel 1912 (30 maggio-6 giugno), un anno cruciale nel percorso breve e intenso del suo pensiero politico, Scipio Slataper sottolineava – riecheggiando Angelo Vivante, citato anche in nota – l’importanza, per Trieste, del suo rapporto con l’Hinterland austriaco e proponeva alcune riflessioni sul rapporto tra italiani e «slavi» (in nota il riferimento, più preciso, era agli «sloveni»). Slataper ricordava che questa parte della popolazione «lotta per i più elementari diritti d’equiparazione, e non di sopraffazione. Perché non bisogna credere – scriveva ancora Slataper – che gli slavi aumentino, ma essi vengono a galla; e anche la vera immigrazione slava nei grandi centri (urbanesimo) tende ad affievolirsi con lo industrializzarsi delle regioni d’origine. Bisogna dunque accettare la vera tradizione triestina, che è, nel pensiero politico e nazionale, quella di Valussi e Tommaseo; ottenere l’equiparazione delle due stirpi, ed essere i propagatori della cultura orientale (slava, greca, albanese) nella coltura occidentale» (Scipio Slataper, Scritti politici, raccolti da Giani Stuparich, Alberto Stock, Roma 1925, p. 100). Ho voluto citare estesamente il passo slataperiano, di non poca importanza per la valutazione del pensiero politico di Slataper, perché esso viene citato da Pahor in alcuni momenti centrali delle sue riflessioni di carattere metodologico: quelle che sono alla base di buona parte degli scritti di questo libro. Un libro diverso dagli altri di Boris Pahor perché raccoglie molti testi apparsi originariamente in italiano, scritti da Pahor in italiano (eccetto alcune pagine di cui si indicano i dati relativi alla traduzione), e anche perché si tratta di interventi, in gran

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parte, che valgono a illuminare i princìpi di metodo, le istanze e i capisaldi del suo pensiero intorno ad alcuni temi dai quali sono scaturite anche molte pagine narrative: quelle con le quali Pahor si è meritatamente conquistato una fama internazionale; e con cui ha contribuito – in maniera incisiva – a far conoscere, su un piano di diffusione molto ampio, alcune tematiche urgenti e alcune istanze e dati di fatto che sono alla base di tutte le discussioni e polemiche dello scrittore. Venuti a galla: ragionando sul titolo scelto per questo libro, Boris Pahor mi diceva – scherzando – come esso sembrasse appropriato non solo a indicare una situazione (come quella segnalata da Slataper, relativa agli sloveni a Trieste, e in Italia). Situazione che – anche se rimossa o tacitata – torna periodicamente a ripresentarsi come un problema che configura paradigmaticamente una questione più vasta, proprio perché di natura “civile”: una questione che tocca un nodo cruciale della democrazia moderna, quello delle minoranze (un termine che forse sarebbe meglio sostituire – come voleva Roland Dumas – con quello di comunità nazionali). Con evidente autoironia, Pahor aggiungeva che lo stesso titolo appariva quanto mai appropriato in riferimento a un autore, come era lui stesso, che – dopo una lunga attività svolta a Trieste e nel suo territorio – era venuto in primo piano solo dopo molti anni, quasi “di rimbalzo”, dopo che egli aveva già conquistato, però, una fama internazionale (in Francia, ogni suo libro, suscitava – già prima che da noi – echi e attenzioni non comuni). La notorietà più ampia di Nekropola (e quella di Necropoli, la traduzione italiana) e di altri suoi libri tradotti più recentemente in italiano hanno avuto la conseguenza di renderlo dovunque, in poco tempo, uno degli autori di riferimento della cultura triestina del Novecento. Sicché, a nominarlo anche fuori Trieste, in Italia e in altri Paesi, alcuni suoi libri non solo sono largamente conosciuti ma vengono sùbito associati a quelli di altri grandi autori dell’area triestina. Dunque, Venuti a galla può essere un buon indice di lettura di un libro che – se assume come punto di partenza (anche autobiografico) il problema degli sloveni a Trieste e nel territorio, la loro storia politica e culturale, il loro rapporto con le altre etnie e componenti linguistiche del territorio – non si

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ferma poi alla trattazione di questa problematica ma si allarga progressivamente. La questione degli sloveni a Trieste e degli sloveni in Italia propone una discussione che appare di grande attualità proprio in considerazione del fatto che si tratta di un problema che, in forme diverse, si ripropone continuamente anche in altri territori, in altri contesti, talvolta con i caratteri dell’urgenza di fronte a minacce di assimilazione e di estinzione di culture che si trovano in posizioni minoritarie. Da ciò il rilievo dato da Pahor a testimonianze, ricordate in esergo, come quelle di Kafka, che richiama alla responsabilità individuale di ogni membro di un «piccolo popolo» di tutelare la conservazione e la memoria della propria letteratura, e di Gide, che solleva la questione del ruolo delle «piccole Nazioni» e dei popoli dei «piccoli numeri» nella conservazione di valori contrapposti alle pericolose conseguenze della massificazione e della globalizzazione. E, poi, il ruolo particolare – sottolineato da Pahor – che la letteratura ha non solo per i piccoli popoli ma soprattutto per le minoranze linguistiche, che vivono in Paesi diversi dalla loro matrice, collegandosi in ogni caso al sistema culturale di questi piccoli popoli. Dunque, un ruolo di grande rilievo, quello della letteratura, per una loro proiezione verso il futuro, verso la stessa possibilità di una loro esistenza e sviluppo. Il discorso di Pahor appare di grande interesse e attualità sia a proposito delle seduzioni dell’assimilazione (per il fascino che i popoli di più diffusa – o di più lunga – tradizione esercitano) sia a proposito della difesa della propria identità da parte delle piccole nazioni e dei gruppi minoritari. Un discorso complesso, proprio perché Pahor non intende proporre l’immagine di una letteratura “missionaria” o “pedagogica”, ma vuole che ci si affidi a testi dalla comunicabilità «artisticamente spontanea». E, inoltre, non intende considerare la promozione della cultura dei piccoli Paesi o delle comunità minoritarie come un’attività di chiusura a fini di difesa. Tutt’altro. Perché questa promozione, se è – come vuole Pahor – sana, deve guardare a un’identità che deve essere, al tempo stesso, fedeltà a se stessi e necessità di proiettarsi in una cultura pluralistica, ricordando il monito di Lévi-Strauss relativo alla necessità di fuggire dal pericolo «della monodia e dell’uniformità».

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Del resto, in alcuni saggi, Pahor tende giustamente all’inserimento del mondo sloveno in contesti più ampi che ne accompagnano lo sviluppo: il contesto mitteleuropeo, che sembra il più ovvio e appropriato, ma anche quello mediterraneo, con un richiamo alla vocazione che era già indicata nell’importante previsione del vescovo di Trieste, e diplomatico, Pietro Bonomo, secondo cui «Civitas tergestina potest dici verum emporium Carsiae, Carniolae, Stiriae et Austriae» (1518). Un destino, commenta Pahor, che si sarebbe realizzato appena a partire dal xviii secolo. Con accenti polemici verso la sottovalutazione del problema da parte di molti intellettuali, Pahor sottolinea positivamente l’attenzione rivolta oggi, nuovamente, alla questione delle nazionalità, tanto importante quanto l’economia per spiegare la storia. Ciò che, del resto, sembrerebbe confermato ora da molti eventi recenti della storia di Paesi già dell’Unione sovietica e di territori della stessa Europa. Al disinteresse di molti intellettuali delle grandi nazioni verso i problemi dei piccoli popoli, andrebbe opposta – ricorda Pahor – l’idea che «il nostro mondo di domani non può essere che un mosaico intelligentemente costituito da coscienti entità nazionali, etniche, linguistiche». Dove le identità «particolari» vanno considerate nella proiezione verso una federazione europea «in cui ogni comunità confermerà la propria qualità come soggetto autonomo», nella proiezione verso una «nuova società umanista» alla cui realizzazione potrebbero validamente cooperare gli scrittori che «non hanno né difficoltà né problemi» nel «valorizzare la propria entità nazionale». Ed è anche un fatto che – nel passato, ma anche oggi – le culture «minoritarie», quelle «cenerentole» (aggiunge Pahor ironicamente, sulla scorta di Leopold Kohr), hanno prodotto artisti e pensatori di grandissimo rilievo. E che – talvolta rimosse, o ignorate – possono essere scoperte, aprire orizzonti nuovi anche per il contenuto della loro identità. A proposito della quale, una nota in positivo è costituita, secondo Pahor, dall’accrescimento dell’interesse nei loro confronti: un interesse – per queste culture e per le loro lingue – che è pari a quello che gli ecologisti hanno nei confronti delle specie minacciate nell’ambiente naturale.

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Un interesse verso i valori etnico-nazionali che, in ogni caso, non ha nulla da spartire con lo spirito nazionalistico. Si tratta di un’attenzione nuova per le «comunità di origine», per una «matrice comunitaria» che si manifesta in contrapposizione a una civiltà «di massa», «cosmica» o «globale». Un’attenzione che si inquadra nella prospettiva di una «unione federale» considerata come «garanzia di giustizia non più sopraffazione e colonialismo interno». Una prospettiva verso la «società pluralistica originale» di cui parla Denis de Rougemont a proposito di una «Europa di autonomie regionali, unite in una grande federazione europea»: verso – precisa Pahor – «una federazione di entità etniche, una federazione regionale pluralistica». Quasi a sottolineare il valore di “scoperta” di questi contenuti, Pahor propone – nella seconda sezione del libro (Sloveni, cultura, Trieste) – una ricca sintesi dell’attività letteraria slovena a Trieste dal Cinquecento di Primož Trubar ad anni recenti. Una sinossi utile che si conclude con una nota di polemica sulla non ancora realizzata paritarietà di rapporti e necessità di un riconoscimento ufficiale della lingua slovena che potrebbe rendere più fecondo il rapporto tra le due comunità e più distesa un’attività e una pratica di relazioni con la speranza che diventi «attiva la simbiosi di due culture». Le pagine di questa seconda sezione appaiono di grande utilità, per il lettore, non solo per il disegno di una periodizzazione della storia culturale slovena a Trieste e nel territorio ma anche per i riferimenti a giornali, riviste, case editrici, istituzioni culturali, narratori, poeti, autori drammatici, e pure ad autori viventi e operanti al di là del confine ma in stretto rapporto con la vita culturale del Litorale. E appare utile anche per una serie di articoli che trattano di figure specifiche come quella del poeta Srečko Kosovel – legato all’esperienza dell’avanguardia costruttivista (al quale Pahor ha dedicato un importante volume monografico nel 1993) – qui considerato nei suoi rapporti specifici con Trieste; o quella del pittore Zoran Mušič che, come Pahor, ha vissuto e testimoniato con la sua opera l’orrore dei Lager nazisti; o trattano di tematiche come quella del grado di conoscenza reciproca delle comunità nazionali a Trieste, con la sconfortante conclusione relativa

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all’ignoranza, da parte di molti italiani, della storia e cultura della comunità slovena («in ciò Goethe non sbaglia – commenta Pahor – quando dice che l’odio nazionalista è tanto più feroce laddove regna il più basso livello culturale») ma anche con la valutazione positiva di un progressivo intensificarsi, oggi, dell’attenzione e della conoscenza. In altri scritti, vengono trattati momenti di positività dei rapporti stessi: come nel caso dell’amicizia tra Kosovel e Carlo Curcio; o in quello di Manlio Cecovini che riconosceva come bisogno «primario», anche per la componente italiana della città, quella dell’eliminazione del «solco» che sembra dividerla dalla componente slovena. Altre pagine – per esempio sulla tematica del mare nella letteratura slovena del Litorale e sul poeta Igo Gruden – valgono ad approfondire la conoscenza di aspetti di questa realtà culturale tanto interessanti quanto poco noti alla maggior parte dei lettori italiani. Per ribadire le proprie tesi (e per invitare i lettori a non considerare le questioni anche più scottanti isolatamente ma nel «complesso storico» in cui si collocano), il discorso di Boris Pahor – generalmente sereno e pacato, con molti richiami a riflessioni ragionevoli e razionali e a dati di fatto, talvolta con qualche punta di ironia – assume toni polemici, sempre rispettosi ma fermi, come quando respinge accuse (di nazionalismo) che gli appaiono semplicemente come distorsioni interpretative di alcune sue affermazioni circa la necessità di una difesa dell’ambiente e delle tradizioni del Carso; e oppone, alle posizioni e alle illazioni di chi lo critica, un richiamo a proprie prese di posizione che andrebbero in direzione del tutto contraria. A smentire tali posizioni sarebbero, del resto, secondo Pahor, gli stessi dati di fatto: come la dichiarazione congiunta della Commissione storico culturale italo-slovena sulle relazioni delle due nazioni dal 1880 al 1965, ancora poco nota e diffusa, o come l’elenco di alcune tra le tante traduzioni in sloveno di classici italiani. Dati di fatto che dovrebbero essere diffusi e resi noti come «fondamento di un’amichevole formazione di un’Europa unita di domani». Perché solo una conoscenza totale dei fatti avvenuti (anche di quelli criminosi, dall’una e dall’altra parte) può promuovere una rimozione di ostacoli per una piena intesa tra le popolazioni.

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Dunque, una conoscenza piena sia dei crimini commessi dal comunismo del regime di Tito (e Pahor – con l’amico Alojz Rebula, anch’egli scrittore sloveno triestino – ha contribuito a una maggiore conoscenza del tema, e quindi ha l’autorità e l’autorevolezza per avanzare questa ferma richiesta), sia di quelli commessi dalla dittatura fascista contro la popolazione slovena della Venezia Giulia durante il ventennio e dopo l’occupazione italiana di parte della Slovenia e l’annessione della provincia di Lubiana nel 1941. Nella quarta sezione del libro, quella conclusiva (Tra autobiografia e racconto), vengono presentati alcuni scritti di carattere narrativo che riguardano momenti diversi della vita di Pahor: il periodo di guerra – vissuto da militare – in Africa; l’internamento nei Lager nazisti e la resistenza interna con azioni di sabotaggio; la vita familiare e il rapporto amorevole affettuoso sentimentale e autocritico con la moglie, compagna di vita e di viaggi; i rapporti con istituzioni e figure della cultura italiana; la sua tesi di laurea all’Università di Padova, al ritorno dalla guerra e dai Lager. Pagine di taglio, certo, diverso. Pagine di rievocazione, racconti di frammenti di vita che riemergono alla memoria, frammenti di diario. Con riflessioni di impressionante incisività come quella riguardante il problema del «crocifisso nelle aule»: «Un redattore del “Gazzettino” mi chiese (ci incontriamo in autobus) che ne pensavo. Dissi che non sapevo se l’autorità europea avesse il diritto, il potere di imporre checchessia in materia. Per ciò che mi riguarda, se dipendesse da me, invece del crocifisso metterei dei bei quadri di Gesù a colloquio con i suoi discepoli sulle rive del lago, mentre a scuola farei raccontare la sua dottrina sull’amore e sulla sorte dei ricchi. Perché presentare Gesù sempre come uno sconfitto?». E, ancora, pagine di narrativa di grande delicatezza come quella sullo “Chien blessé” ovvero Cani in Europa che, in modi da favola di Esopo o di Fedro o di Orazio (è il dialogo tra due cani, uno «signorile» e uno di campagna), affronta il tema della tolleranza e quello dei diritti all’identità. Anche rievocazione, infine, di figure e personaggi della vita familiare o delicate pagine di omaggio alla moglie, scomparsa anni prima, che sono pure occasione per ribadire l’esigenza «della conservazione corretta del fisico»,

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del movimento, necessario – come l’allenamento intellettuale – per impedire «di percepire il senso di noia». Ma anche per riaffermare dei princìpi che gli sono cari: che «i libri che amo» sono «quelli scritti a rischio della vita, per amore della vita, che oggi come ieri deve essere preservata»; e che non intende smettere «mai di combattere attraverso la penna e la voce», chiamando – prima – «una voce come per lenire la solitudine». Una saldatura tra i propri affetti profondi e il compito “civile” della scrittura. Una conclusione del tutto omogenea di queste pagine, di questo autoritratto (un Boris Pahor par lui-même) attraverso pagine di metodo, di critica, di polemica, di narrativa autobiografica: una ricostruzione – tra anni Sessanta e oggi – delle linee guida del suo pensiero e della sua testimonianza attraverso la scrittura. Elvio Guagnini

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VENUTI A GALLA SCRITTI DI METODO, DI POLEMICA, DI CRITICA

In memoria dell’amico Ferruccio Fölkel

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Questioni di metodo. Piccoli popoli, culture minoritarie, identitĂ , comunitĂ etnico-linguistiche, verso l'Europa


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Riflessioni sulla letteratura di un piccolo popolo o di una parte di essa separata dalla frontiera Ciascun membro di un piccolo popolo deve accettare la parte a lui spettante di letteratura. Kafka

«La memoria di un piccolo popolo − dice Kafka − non è minore di quella di uno grande, perciò il primo si occupa più intensamente del materiale che gli si offre. E a ciò sono dediti meno gli storici della letteratura e la letteratura stessa è meno che una questione letteraria; è più, invece, una questione di tutto il popolo. Perché nell’ambito di un piccolo popolo gli obblighi che esige dai singoli la coscienza nazionale impongono ai singoli di essere sempre disposti ad accettare la parte a loro spettante di letteratura, di vivere per essa, di difenderla a ogni passo, anche se essi non la creano e forse non la conoscono nemmeno». Credo che lo scrittore abbia, in questo passo, toccato alcune verità che meriterebbero un discorso più ampio. In questo mio breve intervento vorrei sottolinearne almeno due. Innanzitutto è di basilare importanza il riconoscimento che, per i piccoli popoli, la letteratura è più questione del popolo in generale che dei suoi singoli storici letterari. Non si dice, infatti, che gli storici non siano importanti, questi anzi ci devono essere, ma è di capitale importanza che la comunità senta che la letteratura la rappresenta, che nella letteratura essa è realizzata. Sicuro, è ben possibile che una siffatta letteratura sia meno pura, come osserva Kafka, ma proprio perché in essa l’identità del popolo si eleva sopra la realtà quotidiana, è in essa proiettata e a un tempo sublimata – tale opera letteraria è preziosa per la comunità stessa. Ma se ciò è vero per un piccolo popolo, lo stesso vale ancor di più per la comunità che è separata da una frontiera dalla sua matrice. E non c’è alcun dubbio che là dove simili comunità hanno conservata la propria identità e non si sono ridotte a essere solo dei fenomeni folcloristici è stata proprio la letteratura uno dei principali fattori della loro coscienza etnica o nazionale.

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La seconda constatazione di Kafka è pure straordinaria. «Nell’ambito di un piccolo popolo − egli dice − gli obblighi, che esige dai singoli la coscienza nazionale, impongono ai singoli di essere sempre disposti ad accettare la parte a loro spettante di letteratura». Con ciò le condizioni di sopravvivenza di una piccola comunità sono ancor meglio precisate. A una piccola comunità, infatti, non può bastare che essa si ritrovi nella sua letteratura, che si confermi in essa; ciò è certamente valido ma in questo caso ci si limiterebbe a un dovere accettato in qualche modo per principio, fatto che però risulterebbe insufficiente. Perciò si pretende che il singolo comprenda che dipende anche da lui in che modo e quanto la comunità alla quale appartiene potrà salvarsi. E poiché gli elementi essenziali della sua gente sono riuniti e glorificati nella letteratura della sua comunità è necessario che ciascuno se ne appropri nella misura che crede di poter realizzare nel suo curriculum. E in ciò non è tanto di primaria importanza l’intensità con la quale egli realizzerà il suo compito; assolutamente impellente è, però, che ciascuno prenda la parte a lui spettante di letteratura, cioè di quella coscienza, di quella fede nel valore e nel perdurare della comunità che la personalità creatrice ha concretizzato nell’opera letteraria confermando così l’identità comunitaria. È palese che in questo momento queste considerazioni le sto facendo non tanto quale appartenente a una piccola nazione ma nella qualità di membro di quella parte di essa ch’è in Italia sottoposta a un processo di assimilazione al quale cerca di opporsi. Posso dire che la popolazione slovena, nel suo insieme, si comporta in modo positivo riguardo alla propria letteratura. Meno confortante è invece la constatazione riguardante i singoli: essi non sentono sempre come loro obbligo di realizzare ciò che da loro chiede la letteratura della comunità. E qui non mi riferisco tanto a quella disposizione d’animo che diremmo tiepida o passiva di fronte al destino della collettività ma, più, a quella deficienza a proposito dell’essenziale che Kafka sottolinea con quest’altra affermazione: «Ciò che nella letteratura delle grandi nazioni accade di sotto e fa parte immancabile delle fondamenta, accade qui (nella letteratura di una piccola nazione) alla luce del sole; ciò che là si accetta come cosa che avviene in

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quel momento, porta qui nientemeno che alla decisione di vita o di morte di tutti». Di primaria importanza è, quindi, più che lo stabilire delle solide basi – ma nessuno afferma che queste non siano necessarie – l’evolversi delle cose in piena luce, ciò che significa tanto la costante attenzione alle possibili imboscate quanto ancor di più il continuo cercare la conferma della propria valenza e della legittimità di essere. Le grandi comunità, infatti, non sono in pericolo, perciò l’attaccamento alla loro letteratura può essere anche fiacca e rilassata; ma per un popolo piccolo invece – e tanto più nella sua parte separata – avviene che proprio nella sua letteratura si manifesti la preoccupazione per il destino futuro. Ecco perché in questo caso la letteratura si trova di fronte al decisivo aut-aut: o essa esprime un’identità originale, capace di vita autonoma, oppure no. In questo secondo caso, dice Kafka, invece di un discorso di vita si tratterà di un non-discorso di morte riguardante tutta la comunità. Questa necessaria fedeltà al proprio essere, che è l’unica garanzia di durata, è presente già nel periodo pre-letterario, cioè nei canti popolari dove s’impone, per mezzo di archetipi in cui si esprime la comunità non ancora del tutto cosciente, archetipi che diverranno pian piano elementi costitutivi della maturità, e infine motivi simbolici delle opere letterarie vere e proprie. E, per ciò che riguarda i canti popolari, mi sia permesso di soffermarmi – sempre in merito alla diagnosi di Kafka – alcuni istanti sul canto popolare sloveno della Lepa Vida (Bella Vida). Questa, una giovane donna, viveva vicino al mare, in qualche parte tra Barcola e Duino, con il marito anziano e il piccolo figlioletto, ma un giorno un barcaiolo straniero la indusse a entrare nella sua imbarcazione promettendole che l’avrebbe portata alla corte spagnola dove essa avrebbe allattato il principino. E là, lontana da casa, dall’anziano marito e dal padre, la Bella Vida è infelice. E piange la perdita del luogo natìo, del figlio, del marito e del padre. Questo il fatto. Ma il canto, che in linea di massima dovrebbe simboleggiare l’umano desiderio di evasione e di sconosciute lontananze, è piuttosto un ammonimento che la comunità ha bisogno di tener sempre presente giacché essa comprende bene che per la collettività sarebbe la fine se le

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Vide, continuatrici della stirpe, abbandonassero il suolo natìo. Suolo che nel canto è simboleggiato dai due anziani, il marito e il padre, i due che affannosamente, ma invano, cercano Vida lungo la costa. Credo di non far torto al canto popolare se mi servo del suo motivo (come già ho fatto in un mio lavoro) anche per illustrare il caso in cui una piccola comunità vive sotto l’influenza di una grande che, in un modo o in un altro, la minaccia. In questo caso, infatti, non è necessario che il canto popolare s’inventi l’arrivo del battelliere straniero che porterà Vida alla corte spagnola, giacché basta il prestigio di una grande nazione che con la sua storia, la sua economia, la sua cultura è una tentazione ben maggiore per la figlia o il figlio di una piccola comunità. E così il motivo della Bella Vida cessa di essere poetico e diventa invece un elemento del complesso d’inferiorità, complesso che è tanto più forte quando una parte di un piccolo popolo vive nell’ambito di un altro Stato. In questo caso, infatti, ogni singolo membro della comunità ha l’occasione prossima di oltrepassare la frontiera interna, cioè di abbandonare la propria collettività etnica – i due anziani del canto popolare – e di unirsi alla comunità maggioritaria, la quale potrà anche parlare spagnolo, in ogni caso, però una lingua che non sarà quella d’origine dell’emigrato linguistico. La sola cosa che cambia in questa mutazione è che – mentre nel canto popolare della Bella Vida essa piange per la perdita del suo essere primario, soffre per essersi rinnegata e di aver tradito le proprie origini – nel caso del cambio della lingua e della comunità, le reazioni non sono affatto appariscenti. Prima di tutto la transfuga, o il transfuga, non parte per l’ignoto ma resta a casa e quindi non soffre di nostalgia; in più ha guadagnato dal punto di vista del prestigio, dal momento che è passato/a dalla parte della comunità più stimata. Certo, i caratteri più sensibili da principio non si sentono a loro agio, sono imbarazzati e un po’ anche si vergognano ma, pian piano, tutto ciò viene represso e passa nel subcosciente. In certi casi, poi, da ciò che è stato represso scaturisce l’odio per la gente dalla quale ci si è allontanati; spesso, anzi, il subcosciente in questione produce i nemici più giurati della comunità tradita.

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Ma questo è un capitolo a parte. Qui importa sottolineare ancora che la letteratura di un piccolo popolo – o quella di una sua parte – può offrire ai suoi membri gli elementi necessari per sopravvivere come pure può mostrare loro il modo di non correre pericoli imprevisti. Così arriviamo nuovamente alla constatazione di cui si diceva prima e cioè che la letteratura di una piccola nazione non solo parla a ogni singolo appartenente alla comunità ma gli impone anche di fare sua una parte dei doveri comunitari. Bisogna fare attenzione che con ciò non si intende affatto che la letteratura diventi missionaria o pedagogica ecc. Il canto popolare della Bella Vida, infatti, non contiene massima alcuna, la sua comunicabilità è artisticamente spontanea. Queste constatazioni hanno però, per noi che, come comunità, viviamo in simbiosi con un altro popolo, un significato tutto particolare perché il discorso che riguarda la fedeltà a se stessi è a un tempo anche il migliore maestro di pluralismo, il metodo migliore per fuggire il pericolo «della monodia e dell’uniformità» da cui ci mette in guardia Lévi-Strauss. A un tempo queste considerazioni possono essere, per gli appartenenti a una grande comunità – specialmente per gli scrittori e i poeti – un incentivo per rifiutare nei loro paesi tutto ciò che potrebbe spingere i membri di una comunità minore a tradire se stessi. Le occasioni di tali metamorfosi sono già di per se stesse abbastanza numerose, perciò l’esistenza di atmosfere di rifiuto nei confronti di quello che è diverso non sarebbe degna di nazioni che sono fiere della loro cultura e che aspirano al primato come fattori di civiltà. Sarebbe oltremodo bello se scrittori e poeti di grandi popoli qualche volta si soffermassero davanti all’affermazione di Kafka che cioè, nella letteratura di una piccola nazione, «si tratta né più né meno che di vita o di morte» dei componenti di quel popolo. 1995

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Tra autobiografia e racconto

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Prima viene il corpo

Sono stato a innaffiare le ortensie. Sono cresciute quasi interamente all’ombra di un bell’alberello e il sole non ha trovato modo di colpirle direttamente anche se il calore è riuscito a smorzare l’azzurro dolce dei suoi fiori. Mi spiace perché li curo per mia moglie Rada, con l’illusione che possa accorgersi di come bagno abbondantemente non solo il terreno ma spruzzo con attenzione anche i fiori, perché così sempre mi raccomandava lei. Purtroppo è un desiderio nato morto, perché è già la terza estate che sono solo e la pianta in qualche modo fa le veci della persona viva e mi fa male che le corolle stiano per sbiadire. In questi giorni ho finito di leggere la traduzione dallo sloveno all’italiano del libro che Rada ha scritto sulla storia di suo fratello Janko Vojko, morto giovanissimo da eroe partigiano. Rada sarebbe contenta dell’accurata traduzione che ne ha fatto Martina Clerici. Mia moglie firmò la liberatoria in cui mi autorizzava in vece sua a proporre il libro all’editore proprio negli ultimi giorni all’ospedale. Ci scherzò su, come sempre usava, poi chiese gli occhiali e là, un po’ scomoda, seduta sul letto, firmò. Oggi mi accorgo che invece delle ortensie, che presto diventeranno sbiadite e anemiche, mi resta il testo che, sebbene sia un lascito doloroso, è rinato e vivo per merito di Martina. Proprio in questi giorni estivi è avvenuto in me un cambiamento. Ho cessato di essere infedele alla televisione per votarmi alle olimpiadi: l’atletica leggera, il nuoto, il salto in alto, quello in lungo, il canottaggio. Il corpo umano in movimento! È una tensione, quasi un bisogno quotidiano da quando sono tornato intero, almeno fisicamente, dall’universo concentrazionario. Sono convinto, l’ho scritto e lo ripeto tutte le

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volte che incontro i giovani, che bisogna cominciare a rispettare il corpo umano. E, prima di rispettarlo, considerarne il valore. Probabilmente questa mia idea fissa del movimento, della conservazione corretta del fisico, proviene dalla malaugurata personale esperienza concentrazionaria che mi ha costretto a vedere un’infinità di cadaveri e di scheletri. Umberto Eco nel carteggio con il cardinal Martini, quando quest’ultimo era ancora arcivescovo di Milano, sostiene che sopra a tutto bisogna rispettare il corpo altrui. Ho conservato la pagina di “Domenica” («Il Sole 24 Ore», 4 marzo, p. 29) in cui campeggia il titolo Rispettare la dignità del corpo. Lo afferma lo scrittore Wole Soyinka. «La reazione di orrore che accompagna la violazione del corpo umano, in qualsiasi forma essa avvenga – scrive il Premio Nobel –, si basa sul riconoscimento del fatto che il corpo costituisce il denominatore fondamentale della realtà umana. Il corpo è la casa materiale della mente», conclude l’intellettuale nigeriano e scrive come la violenza sia mascherata dalla religione o dall’ideologia, ma in verità sia sempre potere, dominio. Io aggiungerei anche il dominio della sfera dell’amore, dove il corpo amato forse non è oggetto di vero possesso, ma ciascuno avverte in modo chiaro come nei turbini della passione il corpo non sia «casa della mente». Wole Soyinka lo spiega molto bene, seguendo certamente i dettami di Spinoza. Mi ha accompagnato in queste riflessioni estive il volumetto che l’amico Stéphane Hessel ha scritto con Edgar Morin: Il cammino della speranza. Hessel, come me, è uno dei reduci del campo di sterminio di Dora, considerato uno dei più terribili nell’universo concentrazionario. È un volume prezioso, che si articola in una serie di proposte sagge per raddrizzare la società in nome della solidarietà. Propone, ad esempio, la creazione di un “Consiglio di Stato etico”, ma resta il problema a quale individuo autorevole affidare il controllo di questo ente. Anche oggi, che compio 99 anni, l’esercizio fisico e l’allenamento intellettuale mi impediscono di percepire il senso di noia. Adesso tengo tra le mani un libro di Vercors, che ho ricevuto in regalo e che racconta come, dopo la pubblicazione del Silenzio del mare, funzionava la casa editrice Éditions de Minuit. Vercors assieme a Camus è per me un maestro, che ho

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avuto la fortuna di conoscere personalmente. Gli feci visita per portargli una copia di Pèlerin parmi les ombres (Pellegrino tra le ombre), titolo dell’edizione francese della mia Necropoli, in cui avevo inserito una sua citazione come motto. Il suo Silenzio del mare, inno contro l’occupazione nazista, fu pubblicato clandestinamente e il generale Charles de Gaulle decise di farlo stampare e paracadutare ai soldati in Inghilterra perché servisse da incitamento ai soldati. Sono questi i libri che amo, quelli scritti a rischio della vita, per amore di libertà, che oggi come ieri deve essere preservata. Non smetto mai di combattere attraverso la penna e la voce, ma prima, in questi giorni di agosto, voglio chiamare una voce cara per lenire la solitudine... 2012

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Nota ai testi

I testi compresi in questo volume sono stati redatti dall’Autore in italiano, salvo il caso di un articolo di cui – in calce – si indica l’autrice della traduzione. Si tratta di relazioni a convegni e incontri diversi, interventi per occasioni pubbliche, scritti apparsi in giornali e riviste, pagine di diario. In qualche caso, si tratta di pagine per interventi radiofonici (anche come sintesi o riduzioni di interventi più ampi scritti per altre destinazioni) o di appunti per interventi rimasti tra le carte dello scrittore senza esito di pubblicazione. Quando è stato possibile, si è indicata la data della stesura o della pubblicazione. I primi scritti risalgono agli anni Sessanta; altri – per la datazione – sono più recenti e arrivano ai nostri giorni. In calce ai singoli testi – riveduti da Boris Pahor – si sono riprodotte, se presenti, le date apposte dall’Autore alla fine o all’inizio dei singoli interventi. In altri casi, le date sono riprodotte tra parentesi, quando risultino dalla testimonianza dell’Autore o da dati interni al testo stesso. Ambivalenza dei valori, in «Trieste», marzo-aprile 1961; Vita culturale degli sloveni a Trieste, in «Uomini e libri», febbraio 1967; Il destino della mia città, in «Celovski zvon», giugno 1987; Il mare come simbolo in due poeti del Litorale: Dragotin Kette e Srečko Kosovel, in «Letterature di frontiera/ Littératures frontalières», gennaio-giugno 1991; Il disinteresse degli intellettuali verso le identità misconosciute, in L’integrazione culturale nella nuova realtà europea. Atti del Congresso Internazionale Università di Trieste. 24-27 settembre 1992, a cura di Giovanna Trisolini, vol. ii, Bulzoni, Roma 1993; Slovenia mediterranea, in Il Mediterraneo: approdo per un nuovo millennio. Atti del congresso internazionale - Trieste, 28-31 dicembre 1999, Edizioni Università di Trieste,


Trieste 2000; Il secondo dopoguerra è una versione breve dell’articolo (con antologia) apparso in Letteratura slovena del Litorale, Mladika, Trieste 2004 (e, prima, in «Trieste & Oltre», 1993-1994); Su Alojz Rebula in Alojz Rebula, Biografia per immagini, a cura di Alice Zen, Trieste 2009; L’espace coupé, in Fictions européennes. Littérature et création, Observatoire de l’Espace-Centre National d’Études Spatiales, Paris 2008; A proposito delle Giornate della Memoria e della necessità di chiudere i conti col passato. Senza simmetria non c’è giustizia storica, in «Il Piccolo», 23 marzo 2009; I non incontri con l’amico Zoran, in Zoran Music: Se questo è un uomo, a cura di Flavio Arensi, con una prefazione di Boris Pahor, Umberto Allemandi & C.,Torino 2011; E io sul Ponte Vecchio presi a recitare Dante che difendeva la lingua, in «Il Piccolo», 23 febbraio 2011; Boris Pahor e la novella scritta con lo stesso stile dell’amato Elio Vittorini, in «Il Piccolo», 31 gennaio 2012; Il Carso di Kosovel, Slataper e Spacal, con il titolo Il mio Carso da salvare: con lo spirito di Spacal, Slataper e Kosovel, «Il Piccolo», 26 giugno 2012; La Bengasi della Primavera araba, in «Domenica-Il Sole 24 ore», 21 ottobre 2012; Prima viene il corpo, in «Domenica-Il Sole 24 ore», 26 agosto 2012.

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Indice dei nomi, dei luoghi

e dei periodici



Indice dei nomi

Antelme, Robert, 143 Alasia da Sommaripa, Gregorio, 55, 90 Alighieri, Dante, 35, 41, 61, 69-71, 87, 125, 137, 157, 177, 179 Alyn, Marc, 57, 68n, 70, 111, 115, 116n Ara, Angelo, 13, 20, 29, 31n, 68, 100, 116, 182 Aragon, Louis, 133 Arensi, Flavio, 208 Arko, Venceslav, 165 Arnaut, Daniel, 42 Aškerc, Anton, 56, 90, 103 Bacchelli, Riccardo, 137 Bacone, Francesco (Francis Bacon), 162 Bandinu, Bachisio, 52 Barbiellini Amidei, Gaspare, 41, 52 Bartol, Vladimir, 58, 64,91 Bartolomasi, Angelo, 134 Battocletti, Cristina, 130, 177 Bavčar, Evgen, 13, 87 e n. Beethoven, Ludwig van, 35, 93, 124 Beličič, Vinko, 60, 65 Ben Lalum, Ahmed, 163 Benedetič, Filibert, 59, 66 Bergson, Henri, 162 Bernardi, Ulderico, 39, 43, 44, 51, 89 Betti, Ugo, 61 Bettiza, Enzo, 137 Bevk, France, 57, 58, 64, 66, 91, 104, 147 Blažič, Viktor, 154 Böll, Heinrich, 151, 153 Bonomo, Pietro, xii, 11, 14, 15, 55, 79, 80, 89, 101

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Botteri, Guido, 133-135 Braun, Wernher von, 168 Brazzoduro, Gino, 68n, 110, 114, 116n Brecelj, Veronika, 199, 200 Brejc, Jože, 152 Bressan, Arnaldo, 68n, 116n Broz, Josip (Tito), xv Bucciardini, Leonardo, 178 Budal, Andrej, 57, 58, 64, 90 Buratti, Gustavo, 178 Buvoli, Alberto, 141n Camus, Albert, 12, 19, 158, 204 Cankar, Ivan, 56, 87, 90, 91, 105, 135, 162 Carducci, Giosuè, 123, 162 Carlo Magno, 178 Casals, Pablo, 37 Cavalli, Jacopo, 79 Cayrol, Jean, 175, 186 Cecovini, Manlio, xiv, 99-101, 182 Cegnar, Franc, 56 Cellini, Benvenuto, 179 Cergoly, Carolus L., 73, 182 Čermelj, Lavo, 65 Cernigoj, August, 73, 152 Cesar, Jože, 182 Chiereghin, Walter, 183 Chiti Batelli, Andrea, 50 Chagall, Marc, 74 Chopin, Fryderyk, 70, 93 Clausel, Jean, 31n, 157 Clerici, Martina, 203


Cortese, (padre Placido), 76 Costantino, Sante, 146n Crise, Stelio, 182 Čuk, Marij, 66 Curcio, Carlo, xiv, 93-97 Cusin, Fabio, 91, 182, 201 D’Annunzio, Gabriele, 27, 31n Dandolo, Enrico, 79 De Gaulle, Charles, 205 de Rougemont, Denis, xiii, 39n, 47-49 De Sanctis, Francesco, 93 de Tuoni, Dario, 73, 182 Detela, Lev, 60 Detela, Milena Merlak, 60 Di Fede, Giovanni, 178 Dino, Carla, 177 Djuba, Ivan, 18 Dostoevskij, Fëdor, 158 Dumas, Roland, x, 24 Dürer, Albrecht, 35 Eco, Umberto, 15, 174, 204 Éluard, Paul, 133 Engels, Friedrich, 26 Eraclito, 35 Erasmo da Rotterdam, 55, 79, 89 Esopo, xv Fabiani, Max, 81, 110 Fedro, Gaio Giulio, xv Ferluga Petronio, Fedora, 68n, 116n Fischer, Hans, 175 Fogàr, Luigi, 134 Fölkel, Ferruccio, 1, 100, 115, 116n, 182, 183 Fontaine, Guy, 179 Fortini, Franco, 133 Foscolo, Ugo, 81, 137 Fumagalli, Marisa, 177 Gambara, Gastone, 140 Garibaldi, Giuseppe, 87, 157

Gaudì, Antoni, 37 Gauss, Karl Marcus, 175 Gayda, Virginio, 80 Gayot, Rene, 76 Gheddafi, Mu'ammar, 163 Gide, André, xi, 33, 35 Glucksmann, André, 21 Goethe, J. Wolfgang, xiv, 35, 83, 105 Goldoni, Carlo, 61, 137 Golouh, Rudolf, 66 Gorbaciov, Michail Sergeevič, 19 Goya, Francisco, 75 Gradnik, Alojz, 57, 104, 147 Gramsci, Antonio, 133, 200 Gravier, Charles, 47 Gregorčič, Simon, 57 Gregoretti, Ettore, 134 Gregori, Ivo, 75, 80, 90 Grom, Federico, 182 Gruden, Igo, xiv, 91, 104, 117-120, 123 Guagnini, Elvio, xvi, 100, 182, 183 Guttuso, Renato, 133 Hack, Margherita, 177 Hacquet, Balthazar, 12 Hegel, G. W. Friedrich, 47 Heine, Heinrich, 35, 96 Héraud, Guy, 38, 39n, 44, 49, 50 Hergold, Ivanka, 65, 66 Hessel, Stéphane, 74, 76, 204 Ibsen, Henrik, 69, 110 Ieraci, Giuseppe, 129-131 Japelj, Jurij, 55, 90 Javoršek, Jože, 150, 152 Jelinčič, Duško, 65 Jeza, Franc, 65 Jovine, Francesco, 137 Joyce, James, 35 Jurčič, Josip, 104 Kacin, Marija, 169

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Kafka, Franz, xi, 5-7, 9, 111, 137, 201 Kann, Robert A., 25, 31n Kant, Immanuel, 35 Kardelj, Edvard, 18, 19 Kette, Dragotin, 56, 68n, 90, 103-108, 110, 111, 116n Kohr, Leopold, xii, 33-35, 39n Kosmač, Ciril, 66, 104 Kosovel, Anica, 93 Kosovel, Karmela, 93, 94, 97 Kosovel, Kette, 68n, 108, 110 Kosovel, Srečko, xiii, xiv, 57, 68n, 91, 93, 94-96, 103, 104, 110, 116n, 117 Košuta, Miran, 65, 165-167, 168 Košuta, Miroslav, 60, 65 Kraigher, Loiz, 57 Kraigher, Nada, 66n Kravos, Marko, 60, 66 Kveder (Kvedrova), Zofka, 54 Lafont, Robert, 44, 46, 47, 174 Lareyberette, Jean, 185 Lavrenčič, Aleš, 113 Lebesque, Morvan, 47 Legiša, Lino, 67 Lenin, Il'ič Ul'janov, 18 Leonardo, da Vinci, 71 Leopardi, Giacomo, 70, 87, 118 Levi, Primo, 143, 185 Lévi-Strauss, Claude, xi, 9, 23 Levstik, Franz, 56, 90 Lipovec, Milan, 60, 65, 148 Lippi, Paris, 131 Lokar, Danilo, 58, 66 Lorenz, Konrad, 43 Maeterlinck, Maurice, 107 Magajna, Bogomir, 58, 91, 104, 111 Magris, Claudio, 13, 20, 21, 29, 30, 31n, 68n, 100, 115, 116n, 177, 182, 183 Mallarmé, Stéphane, 105 Manzoni, Alessandro, 163 Marin, Biagio, 136, 137, 182

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Martelanc, Saša, 65, 69 Marenzi, Maria Isabella, 80, 90 Martin, Ezio, 185 Marx, Karl, 26 Massimiliano i d'Asburgo, 79 Matičetov, Milko, 67 Matvejević, Predrag, 27, 29, 31n Maurois, André, 135 Maver, Giovanni, 68n Mazzini, Giuseppe, 83, 87, 157 Mehar, Boris, 67 Meister, Girolamo, 87 Meriggi, Bruno, 57, 68n, 116n Merkù, Pavle, 67, 116n, 148n, 183 Mermolja, Ace, 66 Mesić, Stjepan, 178 Mezzena Lona, Alessandro, 183, 199 Mickiévicz, Adam, 70 Miccoli, Giovanni, 141 Michelangelo, Buonarroti, 35, 71 Michelucci, Alessandro, 178 Mijot, Marija, 59, 121 Miklavčič, Franc, 154 Milano, Paolo, 145 Mistral, Frédéric, 42, 175 Mitterand, François, 75 Moissi, Alessandro, 110 Monod, Jacques, 23 Morandini, Michele, 178 Moravia, Alberto, 137, 200 Morin, Edgar, 204 Mounier, Emmanuel, 183 Mounin, Georges, 42 Murn Aleksandrov, Josip, 105 Mušič, Zoran, xiii, 182 Mussolini, Benito, 26, 84 Nabergoj, Ivan, 123 Nadlišek, Marica, 90, 123 Naert, Pierre, 50 Napolitano, Giorgio, 172, 178 Nečajev-Mal’cov, Jurij, 44 Nicolodi, Claudio, 182


Nietzsche, Friedrich, 96 Nodier, Charles, 108 Novšak, France, 150 Ocvirk, Anton, 67 Oliva, Gianni, 146n Orazio, Quinto Flacco, xv Pangerc, Boris, 65, 66 Pahor, Boris, ix-xvi, 81, 199, 207, 208 Pahor, Ciril, 200, 201 Pahor, Jože, 57, 66, 74, 91 Paletti, Silvana, 66 Papini, Giovanni, 27, 31n Parmenide, 35 Pascoli, Giovanni, 27, 31n Pasolini, Pier Paolo, 200 Pavese, Cesare, 200 Perizi, Nino 182 Persolja, Aleksander, 66 Pertot, Bruna, 60, 65 Petrarca, Francesco, 69, 71, 137 Philipponeau, Jacques, 47 Picasso, Pablo, 133 Pirandello, Luigi, 61 Pirjevec, Avgust, 67 Pirjevec, Dušan, 67 Pirjevec, Jože, 68n Pirjevec, Marija, 67, 68n Platone, 21 Podrecca, Carlo, 82 Poliaghi, Nora Franca, 115 Pratolini, Vasco, 137 Pregarc, Aleksij, 82 Pregarc, Rade, 82 Pregelj, Ivan, 57 Premrl, Radoslava, 65 Prešeren, France, 70, 87, 103, 105, 135 Pressburger, Giorgio, 177 Pupo, Raoul, 141 Quaglia, Renato, 66 Quasimodo, Salvatore, 137

Raffaello Sanzio, 35, 177, 179 Raimondo vi della Torre Valsassina, 80 Ravnikar, Matevž, 56 Rebula, Alenka, 66 Rebula, Alojz, xv, 29, 59, 60, 64, 65, 68n, 69, 99, 116, 134, 137, 147-149, 150-152, 154, 182, 183 Remec, Alojzij, 66, 147 Renan, Ernest, 95 Ribičič, Josip, 57, 90 Rilke, Rainer Maria, 117 Rimbaud, Arthur, 105, 173 Roatta, Mario, 140, 144 Rob, Ivan, 99 Robotti, Mario, 140 Roth, Joseph, 27 Rumiz, Paolo, 139, 141, 181, 183 Rupel, Mirko, 67 Ruzzante, Angelo Beolco, 61 Saba, Umberto, 15, 27, 87, 91, 122, 182 Saharov, Andrej Dmitrievič, 19 Šalamun, Tomaž, 66 Salimi, Gisèle, 45 Salvi, Sergio, 18, 22, 23, 36, 39n, 44, 45, 51, 89, 175, 177, 78 Salvini, Luigi, 68n, 105, 109, 112, 116n Sardoč, Dorče, 65 Saroyan, William, 59 Sartre, Jean-Paul, 45, 149 Saksida, Rudolf, 152 Schmid, Christian, 56 Schmitz, Hector (Italo Svevo), 157 Schwartz, Egon, 27 Sciascia, Leonardo, 200 Segatti, Paolo, 14 Sérant, Paul, 52 Sfiligoj, Avgust, 65 Shaw, George Bernard, 35 Silone, Ignazio, 137 Širok, Albert e Karlo, 147 Slataper, Scipio, ix, x, 13, 20, 27, 80, 91, 121, 122, 125, 129, 130 Sobiela-Caanitz, Guiu, 52

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Soyinka, Wole, 204 Soljan, Antun, 43 Šorli-Bratuž, Ljubka, 65 Spacal, Lojze, 73, 123, 129, 130, 152, 181, 182 Španger, Vekoslav, 65, 148 Spengler, Oswald, 47, 70, 112 Spinoza, Baruch, 107, 204 Spirito, Pietro, 129 Spranger, Eduard, 52 Stalin, Iosif Džugašvili, 18 Stevens, Chris, 163 Štoka, Jaka, 66 Štrekelj, Karel, 67 Stuparich, Giani, ix, 20 Svetokriški, Janez, 55, 80, 90 Svevo, Italo (Hector o Ettore Schmitz), 15, 27, 31n, 68, 87, 137, 157, 158 Svevo, Letizia, 27, 31n, 157 Tamaro, Attilio,79 Tassin, Ferruccio, 155 Tavčar, Josip, 66 Tavčar, Zora, 65 Thiercelin, Jean-Pierre, 168 Tito (Josip Broz), xv Tiziano, Vecellio, 35 Tomasi di Lampedusa, Giuseppe, 137 Tommaseo, Niccolò, ix Toynbee, Arnold, 47 Trinko, Ivan, 59, 91 Trisolini, Giovanna, 207 Trubar, Primož, xiii, 55, 68n, 79, 87, 89, 101 Tucidide, 35 Tuta, Igor, 60 Ukmar, Jakob, 65 Vattimo, Gianni, 28, 31n Valéry, Paul, 47 Valussi, Pacifico, ix Vercors (Jean Marcel Adolphe Bruller), 134, 204

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Verč, Sergij, 65, 66 Verga, Giovanni, 137 Vergerio, Pier Paolo, 55, 78, 89, 101 Verginella, Marta, 171 Verlaine, Paul, 105 Vesel, Jovan, 56, 80, 90 Vico, Giambattista, 47 Vidal, Gore, 23, 24 Vidali, Vittorio, 135 Vidmar, Josip, 148, 152 Virgilio, Publio Marone, 55, 79, 89 Vittorini, Elio, 59, 137, 199-201 Vivante, Angelo, ix, 89, 91, 123 Vojko, Janko, 203 Voghera, Giorgio, 157 Vrabec, Ubald, 148 Vuga, Saša, 66 Vuk, Stanko, 57 Whorf, Benjamin Lee, 42, 43 Wilde, Oscar, 35 Yeats, William Butler, 35 Žabkar, Jodok, 68n Zaccaria, Giuseppe, 181 Zen, Alice, 208 Žerjal, Irena, 60, 65 Žigon, Avgust, 67 Zlobec, Ciril, 66 Zois, Žiga, 55, 90 Zovatto, Pietro, 68, 116 Župančič, Oton, 135


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Indice dei luoghi

Abbazia (Opatija), 149 Arbe (Rab), 117, 140, 155, 156, 172 Aurisina (Nabrežina), 118, 119, 123

Firenze, 18, 22, 35, 39n, 177-180 Fiume (Rijeka), 125 Francoforte, 35, 151

Barcellona, 37 Barcola (Barkovlje), 7, 12, 93, 96, 163 Belgrado, 21, 154 Bengasi, 161-163 Bergen-Belsen, 75, 186 Berenice, 161 Bled, 145 Borgo Grotta Gigante (Briščiki),124 Bruxelles, 23, 130 Buchenwald, 75, 155 Budapest, 93

Garian, 163 Ginevra, 75 Gonars, 140, 145, 155, 156, 172 Gorizia (Gorica), 15, 29, 31n, 63, 64, 66, 81, 82, 90, 91, 173 Grumello, 140, 145, 172 Guardiella (Vrdela), 121

Capodistria, 14, 55, 79, 101 Carniola, 11, 79 Celovec (Klagenfurt), 99, 175 Chiesanuova, 140, 145, 155, 156, 172 Cividale, 81 Contovello (Kontovel), 11, 122 Coroneo, 123 Dachau, 65, 74-76, 155, 185, 186 Derna, 161 Dob, 154 Dora-Mittelbau, 155, 204 Duino (Devin), 7, 12, 55, 69, 80, 90, 111, 117, 125, 148, 163 Dutovlje (Duttogliano), 93

Harzungen, 75, 185, 186 Klagenfurt (Celovec), 99, 175 Kontovel (Contovello), 11, 122 Križ (Santa Croce), 11 Lipizza (Lipica), 125 Londra, 22, 23, 33 Lubiana, xv, 26, 70, 74, 84, 93, 94, 96, 101, 111, 123, 130, 140, 145, 148, 151, 154, 155, 171, 172 Maastricht, 21 Mauthausen, 75, 155 Monigo, 140, 145, 172 Monte Nevoso (Snežnik), 125 Murano, 125

el-Abiar, 162

Nabrežina (Aurisina), 118, 119, 123 Napoli, 93-95, 96 Natzweiler-Struthof, 75, 155, 174, 186

Ferrara, 35

Omegna, 173

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Opatija (Abbazia), 149 Opicina (Opčine), 93 Osimo, 22, 85, 89 Padova, 162, 181, 183 Parigi, 13, 20, 23, 30, 57, 68n, 81, 91, 150, 151, 153, 174, 179, 199, 201, 207 Patrasso, 134 Pirano (Piran), 178 Postojna (Postumia), 83, 124, 125 Praga, 21, 93 Prosek (Prosecco), 123 Puerto Rico, 33 Rab (Arbe), 117, 140, 155, 156, 172 Renicci, 155, 156, 172 Repen (Rupingrande), 123 Rijeka (Fiume), 125 Risiera, 123 Roiano (Rojàn), 106 Roma, 18, 30, 39, 43, 68n, 85, 116n, 130, 171, 172, 183, 207 Rovereto, 182 Rupingrande (Repen), 123

Trieste, ix-xiii, 11, 13-15, 23-27, 29, 55, 56, 59-61, 63-66, 68, 69, 71, 73, 79, 80-85, 87, 89-91, 96, 101, 104, 106, 109, 110, 111, 115, 116, 118, 122, 124, 129, 131, 137, 139, 151, 172, 175, 178, 185, 187, 199, 207 Tübingen (Tubinga), 55, 79, 101 Udine, 82 Venezia, 35, 55, 80, 90 Vienna, 20, 25, 93, 105, 106, 123, 140 Vilenica, 30, 125 Visco, 117, 140, 145, 155, 156, 172 Vrdela (Guardiella), 121 Zagabria (Zagreb), 93, 94

Salcano, 118 San Canziano (Škocjan), 125 San Pelagio (Šempolaj), 64, 148 Santa Croce (Križ), 11 Šempolaj (San Pelagio), 64, 148 Sežana, 57, 117 Škocjan (San Canziano), 125 Snežnik (Monte Nevoso), 125 Sommariva del Bosco, 55 Steinach, 97 Stoccarda, 87 Strasburgo, 23, 169 Suk el Giuma, 162 Tomaj (Tomadio), 94 Trento, 182 Treviso, 155, 156

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Indice dei periodici

«Le livre slovène», 68 «Le Figaro», 21, 23n «Lettera internazionale», 29, 31n «Letterature di frontiera», 207 «Lettres Européennes», 169 «Limes», 14 «Literarne vaje», 59

«Avvenire», 132n, 140, 146n «Brinjevke», 57 «Celovski zvon», 207 «Corriere della Sera», 156, 177 «Corriere di Trieste», 182

«Malajda», 57 «Mladika», 59, 60, 64 «Most», 58, 60, 64, 148, 150-152

«Dan», 64 «Delo», 57 «Dom», 63 «Domača kaplja», 57

«Novi Matajur», 63

«Edinost», 56, 80 «Esprit», 133, 151 «Galeb», 59, 64 «il Gazzettino», xv, 173 «il Giornale della Sera», 94 «Il Piccolo», 129, 139, 172, 183, 208 «Il Ponte», 58, 64, 133, 148 «Il Sole 24 Ore», 130, 172, 204, 208 «Isonzo-Soča», 29, 31n

«Pastirček», 59, 64 «Plamen», 57 «Pretoki», 64 «Preuves», 133 «Primorska», 153 «Primorski dnevnik», 58, 63, 131 «Prostor in Čas», 150 «Quaderni della Resistenza», 141n, 146n «Razgledi», 58, 64, 147, 148 «République des lettres», 101

«Jadranski Slavljan», 56 «Kamov», 43

«Sidro», 58, 64, 148 «Slavljanski Rodoljub», 56 «Stvarnost», 58, 64 «Stvarnost in svoboda», 58, 64 «Südostforschungen», 68

«l’Espresso», 140, 146n «la Bora», 182 «la Repubblica», 177 «La Voce», ix

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«Temps modernes», 133 «Tokovi», 58, 64 «Trieste», 133, 134, 136, 182, 207 «Trieste & Oltre», 208 «Uomini e libri», 207 «Viitorul social», 47 «Zaliv», 31n, 60, 64, 148, 150, 151, 153, 173, 175, 181, 183

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Collana «I muri bianchi»:

P. Diana, C. Marra, Adolescenti e percorsi di socializzazione alla legalità, 2011. M. Carrattieri, A. Morlini, La Cisl a Reggio Emilia. Una storia con lo sguardo rivolto al futuro, 2011. Ethos repubblicano e pensiero meridiano, a cura di F. Frediani, F. Gallo, 2011. S. Biancu, G. Tognon, Autorità. Una questione aperta, 2010. V. De Lucia, Le mie città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia, prefazione di A. A. Rosa, 2010. A. Berrini, Nella morsa della crisi. Appunti per un nuovo New Deal, 2010. G. Pasquino, Quasi sindaco. Politica e società a Bologna, 20082010, 2010. M. Aden Sheikh, La Somalia non è un’isola dei Caraibi. Memorie di un pastore somalo in Italia, a cura di G. Boselli, saggi di L. Pedrazzi, P. Pombeni, L. Giorgi, 2009. Libro bianco su Bologna. Giuseppe Dossetti e le elezioni amministrative del 1956, a cura di G. Boselli, saggi di L. Pedrazzi, P. Pombeni, L. Giorgi, 2009. Creare soggetti. In dialogo con Bepi Tomai, a cura di M. Campedelli, 2009. R. Orfei, Il gioco dell’oca. Rapporto sul movimento cattolico italiano, 2009.

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Scritti di metodo polemica politica critica autobiografia narrativa di Boris Pahor testimone e interprete della comunità nazionale slovena di Trieste plurale e fiera emersa all’attenzione internazionale raccolti in questo libro stampato nel carattere Simoncini Garamond a cura di Pde Promozione srl presso lo stabilimento di Legodigit srl - Lavis (TN) per conto di Diabasis nel maggio dell’anno duemila quattordici

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I MURI BIANCHI

«Direi che, per contrapposizione dialettica a quella che tende a essere sempre più una civiltà cosmica, gli uomini cerchino di salvarsi dalla dispersione ritrovando un contenuto nella comunità d’origine. Forse, si potrebbe dire, avviene nella sfera spirituale ciò che accade in quella della natura: il problema del salvataggio dell’ambiente non è in fondo che la ricerca del mantenimento di quella molteplicità, di flora, di fauna ecc., che nella dimensione umana è rappresentata dalle diversità etniche e linguistiche». Boris Pahor

l 16,00


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