CISEI Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana
“Dal porto al mondo”
“Dal porto al mondo”
«Li miei affari qui vanno mediscremente ma bisogna che lavora multo duro e se non ci attendo io e inutile mi rincresce a dirvelo Caro Zio ma sono un uomo disfortonato dopo che sono arrivato in questi paesi, denari ne o sempre fatto multi con lavorare duro ma non posso tenerli acciòchè mi arriva sempre qualche disfortuna sone due anni fa o perduto in un banco 669 pezzi e in un altro 1240». Agostino Boggiano, Chicago 1879
«Sento che scrivete che sareste anziosa di vederci noi anch’io mia cara madre sono bramoso di vedervi ma chi mi tiene indietro è che ho paura che il Governo mi prendi e mi faccia vedere il Sole a quadretti se non fosse per questo sarei pronto a partire tutti i momenti onde potervi abbracciare ancora una volta voi e tutti in Generale». Gaetano Arado, Chicago 1897
Marco Portaluppi
Le vite di alcuni componenti di una famiglia originaria di un piccolo paese dell’entroterra chiavarese, capaci di avviare attività imprenditoriali di notevole successo nel Midwest e in California, testimoniano l’importanza dei flussi migratori che dall’Appennino ligure si dirigevano verso gli Stati Uniti, durante tutto l’Ottocento e gli inizi del Novecento. I complessi meccanismi sociali ed economici sottesi all’emigrazione ruotano attorno alla figura di Giovanni Battista Zanone, contadino-procuratore, il quale, amministratore a distanza delle proprietà e degli affari dei parenti e amici emigrati, veste i panni di mediatore e agisce occupando uno dei vertici della rete transoceanica instauratasi tra Vecchio e Nuovo Mondo, divenendo così testimone della circolarità del processo migratorio.
Dal porto al mondo è una collana promossa dal Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana (CISEI) di Genova, diretta da Antonio Gibelli. Al centro dell’attenzione Genova come porto di imbarco dei migranti, luogo metaforico di transito, crocevia della comunicazione tra l’Italia, le Americhe, il resto del mondo. La collana privilegia racconti di viaggio, testi di autobiografia e di memoria, epistolari dove i percorsi della diaspora rivivono attraverso la soggettività dei protagonisti e le tracce scritte della loro esperienza.
Marco Portaluppi
TRA L’APPENNINO E L’AMERICA UNA RETE DI AFFARI LUNGO IL XIX SECOLO
TRA L’APPENNINO E L’AMERICA
Marco Portaluppi (Milano, 1984) ha conseguito la laurea in Strumenti e metodi della ricerca storica presso l’Università di Genova, dove attualmente frequenta il dottorato di ricerca in Storia, afferente alla Scuola di Dottorato in Società, culture, territorio.
C I S E I Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana
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Partecipano come soci fondatori: Autorità Portuale di Genova, Camera di Commercio di Genova, Comune di Genova, Provincia di Genova, Regione Liguria e come soci onorari: Archivio di Stato di Genova, Capitaneria di Porto di Genova, Curia Arcivescovile di Genova, Curia Vescovile di Chiavari, Istituzione Musei del Mare e della Navigazione, Soprintendenza Archivistica della Liguria, Università degli Studi di Genova. CISEI si avvale della collaborazione di un gruppo di noti studiosi che garantiscono il rigore scientifico dell’iniziativa. Il Comitato scientifico è composto da Antonio Gibelli, Presidente del Comitato, Jacques Barrère, Paola Caroli, Lorenzo Coveri, Federico Croci, Francesco De Nicola, Ferdinando Fasce, Emilio Franzina, Valeria Gennaro Lerda, Giustina Greco, Francesca Imperiale, Adele Maiello, Silvia Martini, Augusta Molinari, Luigi Molinari, Paolo Odone, Gianbattista Ponzetto, Annamaria Saiano, Matteo Sanfilippo, Francesco Surdich, Pier Felice Torre, Chiara Vangelista. CISEI realizza ricerche e studi sull’emigrazione che culmineranno nella costituzione del primo archivio informatizzato degli emigrati italiani. Ha sede a Genova presso la Commenda di San Giovanni di Pré, ed è presieduto da Fabio Capocaccia.
€ 15,00
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Per conservare e valorizzare la memoria dell’emigrazione in partenza dal porto di Genova durante il periodo storico contraddistinto dalle grandi migrazioni transoceaniche, l’Autorità Portuale di Genova si è resa promotrice dell’ideazione e della creazione di CISEI, un centro di eccellenza internazionale per lo studio della storia dell’emigrazione dedicato a studiosi e appassionati, attivo a Genova a partire dalla primavera 2005.
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Dal porto al mondo Collana diretta da Antonio Gibelli
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Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)
In copertina Busta con la pubblicità dell’Old Pepper Whisky, Saint Louis. Archivio Ligure della Scrittura Popolare di Genova, Fondo Zanone
ISBN 978 88 8103 759 9
© 2011 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it
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Marco Portaluppi
Tra l’Appennino e l’America Una rete di affari lungo il XIX secolo
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Prato Sopralacroce.
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Marco Portaluppi
Tra l’Appennino e l’America Una rete di affari lungo il XIX secolo
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Presentazione, Fabio Capocaccia
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Una collana “Dal porto al mondo”, Antonio Gibelli
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Introduzione
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Capitolo primo Le premesse: Sopralacroce, la birba e i primi Zanone a Filadelfia
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Capitolo secondo La famiglia Zanone
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Capitolo terzo Tra il Chiavarese ed Eureka
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Capitolo quarto Tra il Chiavarese e Chicago
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Capitolo quinto Tra il Chiavarese, Saint Louis e Louisville
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Capitolo sesto Tra il Chiavarese e il Piacentino
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Capitolo settimo «[...] scosateme che ho scritto molto malle [...]». La lingua e la scrittura
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Bibliografia
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Sitografia
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Presentazione
CISEI, il Centro Internazionale per gli Studi sull’Emigrazione Italiana,
promuove la collana Dal porto al mondo a cui questo volume appartiene. Nel 2004, anno in cui Genova fornisce contributi importanti come capitale europea della cultura, l’Autorità Portuale sceglie come proprio tema l’Emigrazione, a cui dedica convegni, mostre, conferenze, concerti, rappresentazioni teatrali e rassegne cinematografiche. Ci si potrebbe chiedere: su un tema così vasto – vasto in senso storico, geografico e umano – perché Genova? Perché l’Autorità Portuale? Genova è stata la città di partenza di più di metà dell’emigrazione italiana, e il porto l’ultimo lembo di terraferma fissato nei ricordi. Le stazioni marittime (a ritroso: ponte Andrea Doria, ponte dei Mille, ponte Federico Guglielmo, prima ancora le banchine del Mandraccio, e, perché no, l’Ospitale della Commenda di S.Giovanni di Pré che ha “ospitato” gli emigranti del Medioevo – e che oggi accoglie la sede del CISEI) sono la testimonianza attuale di un passato importante nella grande diaspora del nostro popolo. Al termine del 2004, sarebbe stata colpa grave disperdere ciò che faticosamente si era fatto riemergere. E non rivendicare alla città un ruolo storico. Di qui nasce l’idea del CISEI, prima come Comitato Promotore di un futuro organismo, poi – dal giugno 2006 – come struttura giuridicamente costituita. Il CISEI ha soci importanti (le “cinque Istituzioni”, più Università, Curia, Soprintendenze, Capitaneria e Museo del Mare), è dotato di statuto, assemblea, consiglio e di un importante comitato scientifico di cui fanno parte alcuni tra i più insigni studiosi della materia in Italia e all’estero. La collana Dal porto al mondo si inserisce in questo progetto: privilegia racconti di viaggio, testi autobiografici, testimonianze epistolari di emigrati che non abbandonano la speranza del ritorno. Dopo i primi due titoli (La Babele nella Pampa di Vanni Blengino e Sull’Oceano di Edmondo De Amicis, editi nel 2005 ancora come Comitato Promotore), L’America gringa di Emilio Franzina, uno dei maggiori studiosi di emigrazione italiana, assieme a Un baritono ai tropici di Alessandra Vannucci, hanno inaugurato il nuovo CISEI. E, ora, con Tra l’Appennino e l’America di Marco Portaluppi si indaga la fitta rete di rapporti sociali ed economici di alcuni componenti di una famiglia del Chiavarese emigrata in America. Fabio Capocaccia Presidente CISEI
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Una collana Dal porto al mondo
Questa collana, che ha preso avvio nel 2005 seguendo le orme di De Amicis Sull’Oceano, arriva oggi al traguardo del quinto volume dopo aver accompagnato la nascita e la crescita dell’Istituzione di cui è espressione, il Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana, parte integrante delle iniziative che fanno ormai di Genova uno dei principali poli nazionali in ordine alla memoria dei processi migratori. L’attività del CISEI ha lo scopo di raccogliere materiali, costruire banche dati e promuovere studi per contribuire alla riflessione su questi temi, anche alla luce della nuova realtà della globalizzazione, dei nuovi potenti flussi di uomini e donne dall’una all’altra parte del mondo e delle nuove categorie interpretative che si sono affermate in argomento. Il tutto a partire da Genova e dal suo porto, per decenni uno degli snodi fondamentali dei movimenti tra il vecchio e il nuovo mondo: un ruolo che ha depositato negli archivi, nelle biblioteche e nella memoria profonda della città tracce significative solo in parte già portate alla luce e messe a fuoco. Quanto alla collana, il suo obiettivo è proporre, attraverso studi e documenti, alcune di queste tracce, soprattutto quelle che delineano i transiti e i percorsi dei migranti, i loro progetti, ricordi e bilanci, spesso più problematici e complessi di quanto le raffigurazioni in chiave nostalgica o le retoriche datate ma sempre tenaci dell’orgoglio patriottico non siano capaci di dire. Per far questo la collana si avvale, tra l’altro, dei materiali di scrittura autobiografica, diaristica, memorialistica, epistolare accumulati in oltre vent’anni di lavoro dall’Archivio ligure della scrittura popolare (ALSP), tramite essenziale della proficua collaborazione tra CISEI e Ateneo genovese. Antonio Gibelli Presidente del Comitato Scientifico CISEI Direttore della collana
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A Luigi
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Ringraziamenti Ringrazio in particolare i professori Antonio Gibelli, Giuliana Franchini, Carlo Stiaccini e Fabio Caffarena del Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Genova, che mi hanno seguito e consigliato in questi anni di studi.
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Capitolo quarto
Tra il Chiavarese e Chicago
Nel 1833, quando Sopralacroce superava i mille abitanti, Chicago era un villaggio di sole 335 persone. Impressionante è la velocità con cui la popolazione della futura metropoli si è poi moltiplicata: nel 1850 si contavano già 80.000 Chicagoans, 334.000 nel 1871, 1.698.000 nel 1900. In poco meno di un secolo, dal 1833 al 1930, un piccolo villaggio era diventato una città di 3,3 milioni di abitanti1. Lo sviluppo della Windy City non sarebbe stato possibile senza l’apporto della moltitudine di immigrati europei che si erano incontrati e scontrati sulle rive del Lago Michigan. A fine Ottocento in città erano presenti più di venticinque etnie europee, e nel 1910 più di due terzi della popolazione erano costituiti da immigrati o da loro figli. Se ci riferiamo agli italiani, nel 1850 erano appena 4 a Chicago e 43 in tutto lo stato dell’Illinois; nel 1860 in città erano diventati 100, nel 1880 1357, nel 1890 13.000. Superato il secolo, nel 1920, erano 124.0002. Tra gli italiani arrivati a Chicago da Sopralacroce probabilmente negli anni Sessanta o Settanta dell’Ottocento, c’era anche un cugino di Giovanni Battista, cioè Agostino G. Boggiano. Doveva essere un cugino di primo grado di Zanone, infatti la madre di questo, Cattarina3, risultava figlia di un certo Gianbattista Boggiano, e Agostino in una sua lettera cita “la zia Cattarina”. Si può quindi ipotizzare che Antonio e il reverendo Agostino Boggiano, rispettivamente padre e zio del nostro Agostino, fossero fratelli di Cattarina. Sempre negli Stati Uniti, ma a Saint Louis, erano emigrati i due fratelli di Agostino, Steven J. e Angelo4. La prima testimonianza statunitense di Agostino è del 1879: si tratta di una lettera spedita allo zio, il reverendo omonimo, che in precedenza lo aveva avvertito della morte del padre Antonio5. Agostino aveva ricevuto una missiva paterna che lo informava della malattia, e si rammarica di non essere tornato in Italia per aiutare il padre. Nella lettera si scusa con lo zio per non avergli risposto subito, perché erano da lui la zia Cattarina e famiglia6 e perché era stato molto impegnato negli affari:
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Capitolo quarto
[…] trovandomi multo occopato delli miei affari o stralasciato un’altra settimana fino che la settimana dopo o ricevoto la vostra ultima lettera dandomi la notizia della morte di mio Padre poi vi avrei scritto subito ma aspettava un’altra lettera da Voi dandomi le notizie e particolarità delli affari ma addesso tengo paura che anche Voi siate ammalato, sicchè mio padre mi diceva nella sua lettera che avevate male a un occhio anche Voi e che portava pericolo di perderlo insomma Caro Zio abbiatevi cura e multo riguardo che perduto la Vita è perduto tutto, sono sicuro che se mio Padre si avesse avuto buona cura al principio non sarebbe andato così ma anche lui a stralasciato.
Agostino è preoccupato per la salute dello zio, ma quello che colpisce la nostra sensibilità è il fatto che non gli avesse risposto perché aspettava una lettera con le “notizie e particolarità delli affari”. È come se il dolore per la perdita del padre passasse in secondo piano rispetto all’esigenza di amministrare e controllare i propri beni, tenendo anche conto dei tempi delle comunicazioni, e non è un caso che nelle righe successive Agostino dia in proposito minuziose istruzioni allo zio. Iniziano così riferimenti a proprietà, terre, debitori, a somme di denaro, ad altri abitanti di Sopralacroce, e questi elenchi saranno una costante in molte delle lettere che Agostino spedirà al cugino. Certo non mancano mai le consuete formule di cortesia, ma se dobbiamo fare un confronto con altri personaggi, ad esempio con Domingo, si nota subito la volontà di Agostino di andare al sodo delle questioni economiche, tralasciando di inserire nelle missive parentesi discorsive puramente colloquiali. Tornando a questa prima lettera, Agostino chiede allo zio se ha trovato delle carte che si riferiscono a prestiti fatti dal padre a un suo cugino e a un abitante di Borzone7, rispettivamente per 2400 e per 750 lire. Poi spiega cosa fare dell’eredità: […] è meglio che prendete tutti li denari e metterli tutti insieme e dove li metterete guardate di essere bene assicurato che alla fine non si possa perdere nulla; in quanto alle terre fate come stimate meglio io credo che sarebbe meglio metterle tutte insieme nelle mani di qualche duno che sia buono e fittarle in tanto cioè di fittarle a qualcuno che le faccia andar bene e non trascurare nulla a qualche cosa di meno attesòchè siano sempre in buona condizione fate come meglio potete e quello che farete sàrà tutto ben fatto per me.
Terreni da dare in affitto e somme di denaro prestato a interesse: i Boggiano erano probabilmente una delle famiglie egemoni di Sopralacroce, contadini-proprietari che fondavano la propria ricchezza sul credito e sui contratti a mezzadria. I frutti di questa gestione forse erano stati investiti a Chicago per intraprendere nuove attività commerciali non più legate alla terra, a differenza di quanto facevano gli emigrati liguri in California, che applicavano le proprie conoscenze agricole alla regione statunitense. Agostino aveva cominciato come ambulante se i banchi a cui fa riferimento nella lettera sono, come mi sembra verosimile, bancarelle di frutta:
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Li miei affari qui vanno mediscremente ma bisogna che lavora multo duro e se non ci attendo io e inutile mi rincresce a dirvelo Caro Zio ma sono un uomo disfortonato dopo che sono arrivato in questi paesi, denari ne o sempre fatto multi con lavorare duro ma non posso tenerli acciòchè mi arriva sempre qualche disfortuna sone due anni fa o perduto in un banco 669 pezzi e in un altro 1240 pezzi.
All’ipotesi dei banchi di frutta mi fa pensare il percorso lavorativo di Agostino, e in un certo senso la sua ascesa economica che possiamo seguire dalle lettere successive. La carta da lettere che egli utilizza ha spesso il frontespizio stampato, col nome e l’indirizzo dell’attività svolta a Chicago. Non si può determinare con sicurezza in che periodo preciso attendesse ad un’occupazione piuttosto che ad un’altra, perché più volte l’intestazione stampata è cancellata oppure un nuovo indirizzo viene aggiunto a mano. Comunque Agostino ha svolto con certezza almeno quattro attività, e la prima riguarda appunto la compravendita di frutta, come apprendiamo dall’intestazione di una lettera del 18858: A.G. Boggiano, wholesale and retail dealer in and shipper of foreign, California and domestic fruits, No. 132 State Street9. Quando scrive l’anno successivo10, l’intestazione precedente è cancellata, e il nuovo indirizzo è 17. n. Clark St., lo stesso che troviamo su un biglietto da visita del The Branch Restaurant and sideboard. The Elite and Popular Dining Room of the North Side for Ladies and Gentlemen, proprietario A.G. Boggiano. Il cognome di Agostino compare poi associato a quello di un altro italiano, nel nome di una fabbrica di pasta: Uccello & Boggiano, manufacturers of all kinds of macaroni, 412 414 416 S. Canal Street, Chicago. Allo stesso indirizzo successivamente scompare il nome di Uccello, mentre Boggiano è President and General Manager della Chicago Macaroni M’fg. Co. Manufacturers of macaroni, vermicelli and all kinds of italian paste and egg noodles. Col nuovo secolo infine alcune lettere sono scritte su carta intestata della Bartoli Statuary Manufacturing Company, classical statuary busts and models, ditta in cui ricopre la carica di segretario e tesoriere, accanto ad altri italiani. Boggiano doveva essere stato il fondatore della Chicago Macaroni assieme a Uccello. Su un sito internet curato dalla University of Illinois at Chicago, dedicato alle etnie che hanno contribuito allo sviluppo di Chicago tra il 1890 e il 1930, tra le fabbriche di “macaroni” è citata appunto anche la Chicago Macaroni Company, fondata nel 1886 da immigrati italiani e costituita in società commerciale nel 1893, con un capitale azionario di 10.000 $11. Nello stesso anno l’impresa risulta tra gli espositori dell’Esposizione Mondiale Colombiana tenutasi nella città statunitense: nel “Fondo Zanone” sono conservati i fac-simile di un “official ribbon” assegnato per la produzione dei sessantacinque diversi tipi di pasta esposti dalla Chicago Macaroni in quell’occasione.
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Capitolo quarto
Agostino sembra quindi incarnare lo stereotipo dell’emigrante realizzato che ha “trovato la Merica”, rimasto poi nell’immaginario italiano: un fruttivendolo che può diventare presidente di una fabbrica di maccheroni. Del resto, il suo aver “sempre fatto multi” denari, nonostante fosse un “uomo disfortonato”, è testimoniato già nel 1879 dai doni che spedisce a casa per mano di un emigrante di ritorno in Liguria, cioè due specchietti d’oro, un pezzo d’argento, tabacco e fazzoletti di seta. Leggendo le lettere spedite a Giovanni Battista Zanone però, capiamo che una parte forse consistente delle sue entrate continuava a derivare dalla riscossione degli affitti dei terreni posseduti a Sopralacroce. Agli affitti si univano gli interessi sui soldi prestati, e in caso di mancato saldo la garanzia era data dalla stipulazione o dal rinnovo di ipoteche sulle proprietà dei debitori. La gestione finanziaria affidata al cugino è al centro delle lettere che possono essere divise in due gruppi, quelle spedite prima del 1910 e quelle inviate dopo: nel 1909 infatti Agostino farà ritorno in Italia e il rapporto col cugino cambierà poco prima della ripartenza per gli Stati Uniti. Un primo viaggio a Sopralacroce però Agostino lo aveva intrapreso già nel 1885, e probabilmente in quell’occasione aveva conferito la procura a Giovanni Battista. Nel novembre dello stesso anno tornato a Chicago lo avvisa di essere arrivato sano e salvo: «Caro mio cogino Vengo con queste poche linee a notarti del nostro ben stare di salute di tutti, e che siamo arrivati sani e salvi da questa parte, ma abbiamo avoto molto cattivo tempo per viaggio di mare»12. Qualche riga dopo Agostino passa ad elencare le mansioni da svolgere, ed è per questo che le sue lettere ai nostri occhi potrebbero apparire monotone dal punto di vista dei contenuti, anche perché i personaggi citati si riducono a nomi ricorrenti ma difficili da inserire nel contesto generale delle relazioni, e perché parte delle vicende che vengono alla luce rimangono sempre sottointese nelle parole dei protagonisti dello scambio epistolare. Le formule di cortesia che aprono e chiudono ogni missiva, formule che potremmo considerare “fisse” da un punto di vista stilistico, appartengono alla mano dell’Agostino-cugino, che si differenzia dall’Agostino-proprietario che attende ai propri affari, autore della parte centrale dello scritto: Mio Caro Cogino Quest’oggi ricevei la tua grata lettera colla data delli 14 Currente e con piacere sento il tuo ben stare come ditutta tua famiglia come sia di tua madre fratello e sorelle e cognati, cosi ti posso dire chè il simile di noi tutti al presente […]. Dunque ti saluto caramente assieme a tua muglie e famiglia come da parte di mia muglie e figlio Antonio e rimano il tuo affmo Cogino Agostino G. Boggiano13;
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Capitolo quinto
Tra il Chiavarese, Saint Louis e Louisville
Il numero più consistente di interlocutori “statunitensi” del “Fondo Zanone” scriveva dal Missouri. Cognati, cugini e amici di Giovanni Battista imbucavano le lettere a Saint Louis, mentre solo una sorella della moglie viveva in Kentucky, a Louisville. Un fratello di Agostino Boggiano, Steven J., era proprietario del The Imperial Bar e distributore del whisky del Kentucky James E. Pepper. L’altro fratello, Angelo, probabilmente lavorava in società con lui, anche perché firmavano entrambi la posta diretta a Sopralacroce, scritta su carta intestata del bar. A differenza del fratello, sembra che Steven e Angelo non nutrissero il desiderio di tornare a vivere nel paese natale, tanto che chiesero al cugino di vendere tutte le proprietà che ancora possedevano, compresa quella nel Piacentino. Anche in questo caso gli estremi della transazione non dovettero essere particolarmente chiari: […] fino al presente non sappiamo cuanto avete ricevuto per la terra de Piacentino, e quanto siinò le spese accurate nella transazione della vendita né apena dite quanto avete ricevuta per la nostra parte, avendo inteso prima della vendità che lofferta è stata di dudici milla cinquecento (1250000) ne sembra che ciè una piccola diversita inferiore di cio che avete ricevuto per la nostra parte, e ancora quella lettera che ne avete mandato col denaro non corisponde con la cambiale, 00 il denaro che abbiamo ricevuto è $ 1015 scudi in amerian denari Americani, e nella lettera era alquanto di meno e ne saperete dire se quello denaro erà la mettà egualmente ambi due1.
La vendita di tutti i beni in patria, denotava il definitivo ambientamento nel paese estero, ma è curioso che Steven J., bisognoso di una domestica, ne richiedesse una di Sopralacroce: «E mi trovo infamiglia senza una serva, ne o molto di bisogno se potessi mandarmene una buona donna mi faccerete ungrande piacere»2. A Saint Louis non dovevano certo mancare donne disposte a fare le domestiche, ma l’emigrante necessitava di una persona “fidata”, garante un suo parente, come se non si fidasse dei concittadini che non condividevano le sue origini. Da un lato ci troviamo di fronte a una ancora solida affinità col paese natio, nonostante la scelta di un nuovo posto
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dove vivere, dall’altro ci imbattiamo nuovamente nelle maglie di una catena migratoria: chi è arrivato alimenta il flusso dei partenti. Si avvaleva della collaborazione di Zanone anche Giacomo A. Repetto, che nell’aprile del 1904 gli chiedeva di adoperarsi in suo favore: «Caro amico sono a domandarli un favore che spero che conpagare tutte Vostre fattiche melofarete, noi dunque abbiamo deciso che abbiamo da fare una procura delle terre che avevamo costii [a Sopralacroce]»3. Nell’ottobre dello stesso anno Repetto avanzava un’ulteriore richiesta a Zanone, cioè di far redigere i documenti necessari per la procura a Sopralacroce perché: […] abbiamo considerato difare questa procora qui ma inostri scrivoni [avvocati-notai?] fanno assai sbagli aciò non sanno le leggi Italiane, cosi abbiamo considerato che voi digrazia conpagando tutti ivostri fastidii che farete queste carte costii [a Sopralacroce] e nui tutti le fermiemo ciò voi direte e faremmo il firma Del Console e pure notario cio voi ne nodirete, ecco caro Amico bene sapete che quelli scrivoni Itatiani che quando sono qui multo tempo siscordono Leggi Italiane4.
Chi riponeva la massima fiducia nelle azioni del procuratore era Antonio Pittaluga, per conto del quale nel 1890 Giovanni Battista aveva svolto le pratiche relative a un’eredità. Nel luglio di quell’anno Antonio scrive un’accorata lettera all’amico, preoccupato delle azioni che sua sorella e suo cognato, residenti a Sopralacroce, potrebbero condurre a suo danno, probabilmente in riferimento ai beni acquisiti in seguito alla suddetta eredità. I parenti di Antonio prima di allora non gli avevano mai scritto, ed è per questo che allega la lettera ricevuta dalla sorella5, perché Zanone la possa leggere per rendersi conto della situazione: […] vedrete che qualità di persone e di parenti si trova in questo mondo in che maniera parlano, voglio che anche voi conosciate chi sono, sia mia sorella, come mio cognato, prima che fosse successo quasta cosa non mi avevano mai scritto, come se non fossi mai esistito, adesso perché sanno che se avessero in mano da far tutto loro, che facessi io un procuratore che piacesse a loro potrebbe esser meglio per essi, allora si son decisi di scrivermi e voi leggendo tale lettera comprendete la loro intenzione ma a me’ vi dico la pura verità non mi ingabano conosco abbastanza il mondo. […] Dunque mio caro amico […] guardate di far il più presto possibile a vendere tutto, e che sia venduto a denari contanti, non voglio avere nessun credito […] e vi seplico un’altra volta mio caro amico di non ascoltare né sorella, né fratello, e né cognato, perché al giorno d’oggi i parenti sono i primi a tradirvi6.
Due mesi dopo Antonio ribadisce la stima che ha di Giovanni Battista: «[…] fatemi il piacere di fare veramenti come se fosse una cosa di proprietà vostra, mi comfido in voi come se fosti un mio fratello, tutto quello che farete; per mè sarà tutto ben fatto»7. Dalle lettere non sappiamo che attività avessero intrapreso a Saint Louis Repetto e Pittaluga. Forse alla famiglia di que-
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Capitolo quinto
st’ultimo, a meno che non si tratti di omonimia, apparteneva uno di quegli alberghi che erano stati aperti a Sopralacroce per sfruttarne la fama di stazione idroclimatica. Infatti Agostino Boggiano, in una missiva sempre del 1890, chiedeva al cugino: «[…] se ciè stato multa Signoria in sopra la Croce la state Scorsa e se Locanda Pitaluga è aperta da qualcuno»8. Su questa relazione non abbiamo altre notizie, se non una lettera del 1894 firmata dai fratelli Lorenzo, Giovanni e Agostina Pittaluga, che informano Zanone della morte della loro madre e gli chiedono il rendiconto dei propri interessi; non compare la firma di Antonio9. Utilizzando i documenti del fondo possiamo ricostruire con buone certezze l’albero genealogico della moglie di Giovanni Battista, e le vicende che caratterizzarono la vita di alcuni suoi familiari. Luigia Signaigo morì di parto nel 1896 a 42 anni; doveva quindi essere nata nel 185410, ed era la minore dei suoi fratelli. Nell’archivio è conservata la situazione di famiglia di Agostino Signaigo, il fratello maggiore di Luigia, classe 1832, in cui sono elencati i componenti del nucleo familiare con le rispettive date di nascita. I primi dell’elenco sono il padre capo Signaigo Giuseppe (21 aprile 1799), e sua moglie Meschio Maddalena (18 marzo 1813). Seguono poi i figli: Giobatta (14 maggio 1832, quindi gemello di Agostino); Maria (20 giugno 1839); Antonio (11 febbraio 1841, detto Bartolomeo); Domenico (28 agosto 1842, detto GB). Oltre a Luigia manca Davide, che nelle lettere da Saint Louis si firmerà sempre David J.: dalle missive veniamo solo a conoscenza della data della sua morte, il 30 ottobre 1909, ma grazie a internet possiamo risalire all’anno della sua nascita. Il sito dell’Arcidiocesi di Saint Louis ha una sezione dedicata ai cimiteri cattolici della città11; inserendo il nome del defunto è possibile conoscere il cimitero in cui è sepolto, la data dell’inumazione, e l’età a cui è sopravvenuta la morte. David J. venne sepolto nel cimitero di Calvary il 4 novembre 1909; aveva 58 anni, era quindi del 1851, il penultimo dei fratelli. Il padre, Giuseppe Signaigo fu Agostino detto Pollenta, era nativo della frazione di Vallepiana, e anch’egli era emigrato negli Stati Uniti, probabilmente negli stessi anni in cui partì Domingo Zanone, se non prima12. Non si era stabilito nel Missouri, come faranno i figli maschi, ma nello stato confinante del Kentucky; su di lui non abbiamo notizie, se non che è morto a Smithland13 di colera il 4 giugno 1854, e che è stato sepolto a Louisville14. Non sappiamo in base a quale criterio il Kentucky fosse stato scelto come meta, così come non possiamo saperlo in riferimento agli altri “protoemigranti” e alle loro destinazioni, ma a Smithland dovevano esserci diversi liguri provenienti da Sopralacroce. Nella città infatti, è presente una costruzione eretta tra il 1780 e il 1800, ed adibita a locanda negli anni Venti del XIX secolo, la Gower House. Tra il 1860 e il 1869 la proprietà dello stabile era nel-
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Il talentuoso racconto della rete di affari tra l’Appennino Ligure e gli Stati Uniti promosso dal CISEI nelle carte dell’Archivio Popolare di Genova composto nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni è stampato dalla tipografia Sograte di Città di Castello per conto di Diabasis nel marzo dell’anno duemila undici
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Dal porto al mondo Collana diretta da Antonio Gibelli
Edmondo De Amicis, Sull’Oceano, a cura di Giorgio Bertone Vanni Blengino, La Babele nella Pampa L’emigrante italiano nell’immaginario argentino Alessandra Vannucci, Un baritono ai tropici Diario di Giuseppe Banfi dal Paranà (1858) Emilio Franzina, L’America gringa Storie italiane d’immigrazione tra Argentina e Brasile