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MFS MONTEFALCONE STUDIUM
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Il volume esce grazie al lavoro di ricerca e all’impegno determinante dell’Istituto Storico di Ravenna
e con il contributo di
Coordinamento editoriale Giuliana Manfredi Redazione Sara Vighi Progetto grafico BosioAssociati, Savigliano (CN) Copertina Emanuela Nosari In copertina Ritratto di don Minzoni in divisa militare (post 1919) [Ferrara, CDS-CEF] e alcuni dei suoi taccuini ISBN 978-88-8103-752-0
© 2011 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it
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Don Giovanni Minzoni
Memorie 1909-1919 A cura di Rocco Cerrato e Gian Luigi Melandri
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A monsignor Salvatore Baldassarri e a don Lorenzo Bedeschi, interpreti autorevoli della testimonianza di don Minzoni.
Questo libro nasce anche nel vivo ricordo di Alessandro Scansani, fondatore e direttore di Diabasis, che con entusiasmo e convinzione ne ha condiviso la realizzazione editoriale
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Don Giovanni Minzoni
Memorie. 1909-1919 A cura di Rocco Cerrato e Gian Luigi Melandri
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Introduzione L’uccisione di don Giovanni Minzoni Le edizioni delle Memorie Gli studi minzoniani dopo la pubblicazione delle Memorie La nuova edizione La Prima guerra mondiale
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Nota di lavoro alle Memorie di don Giovanni Minzoni
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Don Giovanni Minzoni, Memorie. 1909-1919
101 138 167 185 187 194 196 207 237 328 415
Anno 1909 Anno 1910 Anno 1911 Anno 1912 Anno 1913 Anno 1914 Anno 1915 Anno 1916 Il mio diario di guerra Anno 1917 Anno 1918 Anno 1919
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Documenti iconografici
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Indice dei nomi
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Ringraziamenti
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Abbreviazioni AC: Archivio Comunale ACD: Archivio Centro di Documentazione, ex Distretto Militare, Bologna AET: Archivio Enzo Tramontani, Ravenna AISREC: Archivio Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea
in Ravenna e Provincia, presso Centro “Archivi del Novecento”, Ravenna AOM: Archivio Ordinariato Militare, Roma ASCAI: Archivio Sezione Club Alpino Italiano “Bruno Soldati”, Argenta (FE) AVI: Archivio Vittoriale degli Italiani, Gardone Riviera (BS) CDS-CEF: Centro di Documentazione Storica, Centro Etnografico Ferrarese, Comune di Ferrara CSC: Centro Studi Cristiani “Don Giovanni Minzoni”, Argenta (FE) FDM: Fondo Don Minzoni ISREC: Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Ravenna e Provincia, Alfonsine (RA) SME: Stato Maggiore dell’Esercito, ROMA
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Introduzione
L’uccisione di don Giovanni Minzoni Nella notte del 23 agosto 1923 viene ucciso dai fascisti don Giovanni Minzoni, arciprete della Chiesa di S. Nicolò ad Argenta, un ampio borgo agricolo che fa parte della provincia di Ferrara e della diocesi di Ravenna. Ha trentotto anni, essendo nato a Ravenna il 29 giugno 1885. È diventato sacerdote il 18 settembre 1909. Inviato, nello stesso anno, come cappellano ad Argenta, ne è divenuto arciprete nel 1916, eletto dai capifamiglia della parrocchia. Dopo poco, nello stesso anno, è stato chiamato alle armi, prima come soldato nella Sanità poi come cappellano militare nella Brigata “Veneto”; incarico conservato fino al 1919, quando, finita la Prima guerra mondiale, ritorna in parrocchia. L’omicidio, causato da un intreccio peculiare di scelte politiche e di motivazioni religiose, costituisce un evento rappresentativo e rivelatore della situazione storica del momento. L’uccisione si inquadra nell’azione del durissimo squadrismo degli inizi. Le condizioni ambientali e la tumultuosità della vita politica definiscono il contesto e offrono vari elementi per la comprensione e l’interpretazione del grave delitto. Per una sua giusta e motivata lettura è bene collocare l’episodio all’interno della molteplicità delle componenti e della complessità dei processi che distinguono il primo dopoguerra in Italia. Le testimonianze che descrivono le province e le diocesi di Ravenna e Ferrara in quegli anni sono varie e tutte significative. La situazione che si era venuta delineando nelle due province influenza certamente il delitto, anzitutto per quella preminente contrapposizione fra forze popolari e l’incipiente movimento fascista. Essa si configura secondo coordinate quasi opposte e contrarie a quelle che successivamente definiranno le relazioni fra Chiesa e regime. In un memoriale inviato dal presidente della Giunta diocesana di Ravenna, il 23 gennaio 1923, alla Presidenza nazionale dell’Azione cattolica è scritto che: la situazione in quasi tutta la Romagna si va facendo talmente grave da dirsi, per quel che riguarda la nostra provincia, quasi disperata. Siamo in piena persecuzione, che non è più solo rivolta contro organismi economici bianchi e organizzazioni politiche, ma contro l’azione e la nostra libertà religiosa1.
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Rocco Cerrato, Gian Luigi Melandri
Una serie di episodi avvengono nello stesso periodo e rivelano l’atteggiamento del primo fascismo nei riguardi del mondo cattolico romagnolo. A Faenza viene intimato a don Aldo Vernocchi di sciogliere il gruppo scout e di consegnare ai dirigenti del Fascio le chiavi del locale concesso all’Associazione dall’Amministrazione comunale. Il 15 gennaio 1923, presente il parroco don Giacomo Zannoni e un altro sacerdote, don Lorenzo Salvatori, don Aldo subisce percosse da parte di alcuni fascisti nella sacrestia della locale parrocchia di S. Agostino2. Nell’aprile successivo i fascisti assaltano una processione a Forlì e poche settimane dopo, a Ravenna, organizzano manifestazioni per impedire che i bambini si rechino in parrocchia a ricevere la prima comunione e la cresima dall’arcivescovo in visita pastorale3. Analoga la situazione anche in Emilia. Scontri fra gruppi di giovani cattolici e fascisti avvengono a Bologna nel marzo 1921, durante i festeggiamenti per il 50° della Gioventù Cattolica. Un gruppo di scout viene aggredito a Finale Emilia. Fenomeni questi che trovano una loro corretta lettura se si considerano le caratterizzazioni generali che il movimento fascista assume fin dal suo apparire. L’arditismo squadrista si incontra con i reduci della guerra 1915-1918. Il contesto sociale è quello espresso da giovani borghesi che, promossi ufficiali di complemento per guidare le masse nella Prima guerra mondiale e congedati ora, dopo la vittoria, si sentono abbandonati, senza arte né parte, nella provincia italiana. Figli di una classe media che disprezza se stessa, sono trascinati da un’ondata antidemocratica. L’euforia postbellica va in cerca di eroi che sappiano esaltare il ruolo politico del reducismo. Seguendo una suggestione di Gobetti si è portati a pensare che il primo fascismo si sviluppi in Italia come espressione di un movimento immaturo, per nulla coinvolto nelle esigenze del processo democratico, ma erede solo della funzione che la forza e la violenza avevano esercitato nella situazione bellica. I reduci dal fronte si ritrovano reazionari e rivoluzionari ad un tempo, carichi di odio per la società che ritengono mercantile e pronti a mettere a ferro e a fuoco le istituzioni del proletariato contadino. Il clima politico e l’eredità culturale del tempo di guerra alimentano e incoraggiano l’uso della violenza. Lo squadrismo fascista vive e si sviluppa nel sistema di potere autoritario ereditato dalla Grande guerra. Questa modalità sociale e politica si intreccia poi in Romagna con un comportamento di più lungo periodo, che unisce l’impegno politico a un atteggiamento apertamente anticlericale4. Le imprese del movimento fascista si qualificano e prosperano come momenti ed espressioni di questo contesto. Le cause e le modalità dell’uccisione di don Minzoni fanno parte di questo quadro generale e rivelano
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ANNO 1909
27 marzo 1909 In questo mio povero giornale, più volte incominciato, ed altrettante volte stracciato, faccio una nota breve, la quale mi deve ricordare questo giorno solenne e fatale della mia ordinazione al Suddiaconato! Quanti bei propositi, quanti slanci di zelo e d’apostolato, quante riforme morali; Dio mio! come mi sento buono e felice… e fino a quando? Questa domanda che mi sorge incessantemente dall’intimo della coscienza mi rattrista; Signore, voi solo mi potete dare la forza di divenire santo. Santo? Sì voglio diventare santo! Qual grazia non sarebbe mai quella di poter giungere all’ultimo giorno di mia vita e potere dal mio letto di agonia ricordarmi di questa sera memoranda e sentire la voce della coscienza ripetermi le parole: Euge serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui1. Questa mattina dopo l’Ordinazione, ò parlato con la mia cara sorella2; non avevamo parole per parlare, il cuore ce l’impediva. Io non ho potuto pronunziare che queste parole: «Prega per me, chè ora sono tutto del Signore»; ella voleva rispondere ma il pianto glielo ha impedito; piangevamo entrambi. Signore quel pianto era troppo eloquente e sincero perché tu non l’abbia gradito; fa’ che si converta in un fermo proposito di combattere le tue battaglie e di cavare da questa fragile creatura un apostolo, un santo! 31 marzo 1909 Ho scoperto in me un grave difetto, il quale mi impedisce il progresso nel bene e nel miglioramento della mia vita interiore ed è la mancanza di fortezza mista a superbia. Conosco qual’è la via da battersi, sento un vivo desiderio di 1
Vangelo secondo Marco, 25, 21. Don Minzoni aveva due sorelle. Questa è la prima, Ida; la seconda si chiamava Gigina. La famiglia Minzoni in origine era composta da: Pietro Minzoni (1848-1905) e Giuseppina Gulmanelli (1857-1927) più i figli Ida (1876), Natale (1879), Guido (1882), Giovanni (1885), Maria Luisa (1893, vissuta pochi mesi) e Maria Luigia (1896). 2
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Memorie di don Giovanni Minzoni
fare del bene, di divenire un santo; ma quando sono all’atto pratico, quando penso che debbo compiere tanti piccoli atti occulti di abnegazione e di sacrificio, allora il mio amor proprio si fa vivo e dice: «queste sono inezie che non meritano», ed io debole e vigliacco, credendomi un superuomo, ascolto un simile consiglio… Ma quand’è adunque che comprenderò che per fare un’opera grandiosa occorrono tante piccole unità e quanto più l’opera è perfetta tanto più queste unità debbono essere piccole ed armoniche? … Ho sempre dinanzi alla memoria le parole tremende che l’Arcivescovo ci indirizzò il giorno dell’Ordinazione, quando andammo a fargli visita; «Se pensassi – ci disse – che diventaste tanti Murri, io pregherei il cielo che vi fulminasse in questo istante!». Povero don Romolo! Tempo fa era per me una persona così cara; l’avevo continuamente sulle labbra. Quante lotte non ho sostenute con i così detti “retrogradi” a difesa di questo giovane prete precursore di idee nuove ed anima vitale della giovane coscienza italiana… Ora non è più così! Egli è un membro staccato della grande famiglia; è un condannato!… … Io certo non conosco tutta la storia dolorosa della sua crisi e per essere giusto e sereno voglio concedergli delle attenuanti e non poche; pure la sua ultima lettera me lo ha rivelato con la maschera dell’ipocrisia, ho compreso come egli sia un uomo che ama il potere ed il plauso; che conscio del suo ingegno disprezza tutto ciò che a lui non ai piega, piegandosi poi alla sua volta egli alla doppiezza pur di avere il trionfo… E se mi ingannassi? Dio volesse che ciò fosse vero!3 Più volte io mi sono chiesto: ma questo nuovo movimento dove tende? è egli del tutto cattivo? Sembra di vivere nel caos! I partiti sovversivi progrediscono vertiginosamente; il nostro vecchio partito non si muove od almeno con un movimento direi quasi retrogrado; i nostri giovani appunto, perché troppo rivoluzionari, sono condannati; l’autorità, non so per quali cause, va ognor più perdendo del suo prestigio; Dio mio ma dov’è adunque la tavola di salvezza? 3 Minzoni da giovane parteggia per Romolo Murri (1870-1944). La lettera citata è quella che Murri invia al suo arcivescovo dopo aver ricevuto la notifica della scomunica e dopo l’avvenuta elezione a deputato nel Collegio di Monte Sampietrangeli. Dopo la sospensione a divinis di D.R. Murri, in «Rivista di Cultura», n. 7, 1° giugno 1908, p. 97; R. Murri, La mia posizione nella Chiesa e nella Democrazia, Roma, s.d. (ma 1909); M. Guasco, Il caso Murri dalla sospensione alla scomunica, Urbino 1978. Minzoni dimostra una certa perplessità nella valutazione complessiva di questa esperienza: rimprovera a Murri ipocrisia e brama di potere, ma continua ad interrogarsi sulla validità e sulle prospettive del suo movimento.
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Anno 1909
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Non so se il mio giudizio sia errato, ma a mio modo di vedere il movimento moderno, oltre avere le sue cause analoghe alle origini del Rinascimento, mi sembra che ne abbia pure il medesimo svolgimento e quindi vada studiato coi medesimi criteri. 6 aprile 1909 – Seguito – Io mi domando: questo movimento è buono o cattivo; v’è speranza di soffocarlo come si può soffocare, sradicare un’erba cattiva? Io penso che sia stolto il credere che questo movimento si possa disvellere. Se noi uomini dell’ordine pensassimo di far ciò, commetteremmo un grave errore; poiché questo movimento è una continuazione, una nuova fase dello svolgimento del pensiero umano, del progresso che la civiltà va conquistando attraverso ad una rivoluzione ora latente e tal’altra violenta: volere quindi reagire non sarebbe altro che aumentare la pressione e quindi il pericolo di una fatale esplosione! A noi seguaci di Cristo spetta un grave compito quello cioè di studiare profondamente la genesi di questo movimento, di modellarlo sulle basi del Vangelo e poi intraprendere ancor noi la nostra marcia ascensionale, fidenti nel Dio della verità e del progresso. La storia imparziale saprà apprezzare il nostro lavoro e dirà, come ora si dice del Rinascimento, che il vero movimento fu il movimento cristiano, l’unico che seppe gettare germi fecondi nel cuore e nella mente dell’uomo del sec. XX. E pensando al nostro clero, certo v’è poco da lusingarsi, che sappia corrispondere alla sua attuale missione. Giovani troppo spinti ed indipendenti e quindi unità disgreganti; vecchi intransigenti pessimisti e quindi zavorra troppo pesante; sacerdoti interessati solo dell’oggi e della tavola, questi, mio Dio sono gli alter Christus! che devono rinnovare la società! Sono pessimista? Questo è l’augurio che faccio a me stesso, ma temo di non ingannarmi! 8 aprile 1909 … Non so come spiegare questo fenomeno: vi sono dei momenti in cui la fantasia mi si accende in un modo tale, per cui l’intelletto mi mette dinanzi certi argomenti così lucidi e belli che io stesso ne rimango meravigliato; peccato poi che poco dopo mi dimentichi non solo il ragionamento fatto, ma il soggetto
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Memorie di don Giovanni Minzoni
rità della religione. A noi credenti che tanta colluvie di ciechi ci deve rattristare pensando ai nostri fratelli che ne sono povere vittime, ma dobbiamo al medesimo tempo trarne un argomento di fede, argomento che per chi ben lo comprende è ben più eloquente di tanti altri. … Domani voglio vincere questo maledetto nervoso, al quale ho giurato eterna guerra. 10 settembre 1909 Quante cose, quante piccole beghe non ho avuto in questi 20 giorni! … Oggi termina la mia vita di Seminarista. 12 anni di Seminario tramontati; si chiude un periodo della mia vita – il più bello! – per aprirsene uno nuovo, che mi è ignoto; al quale ho teso con tutte le energie della mia anima, fra mille lotte! Dio mio! se potessi fotografare, riprodurre la mia coscienza in questa evoluzione, in questa formazione, in questo orientamento verso il Sacerdozio. Mi sono interrogato se ho fatto il mio dovere in questi lunghi anni di Seminario; e la coscienza francamente mi ha risposto: non sempre! Ed è vero, potevo essere migliore; in certi periodi della mia vita avrei dovuto essere più uomo, avere più coscienza del mio dovere! Qual cumulo di energie potrebbe e dovrebbe accumulare un giovane in Seminario. Non aver fatto il proprio dovere è un gran rimorso! In questi giorni l’Arcivescovo ci ha tenute molte conferenze sulla vita sacerdotale; io ho preso nota di tutto, ma ciò è ben poco: conviene agire. Signore dammene la forza, fammi sentire imperiosa la voce del dovere. Questa sera hanno recitato i piccoli; abbiamo ottenuta una sera discreta: hanno fatto bene quei biricchini e Sua Eccellenza è rimasta pienamente soddisfatto. Quanto bramerei nei miei primi anni di Sacerdozio di passare la mia vita fra i giovani. 14 settembre 1909 Da vari giorni sono in esercizi: mi ci trovo tanto bene, ma sono un po’ dissipato; voglio però sperare che col cessare di tante piccole faccende il mio spirito si concentri un po’ di più e cosi meglio si disponga al giorno ineffabile. I predicatori sono bravi; ho riveduto vari miei amici, giovani sacerdoti; v’è pure mio Zio prete: povero vecchio, chissà qual gioia avrà nel cuore.
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Facendo l’esame di coscienza ho avuta una distrazione. I nostri nemici, pensano, combattono accanitamente la nostra religione ed in ispecie la confessione perché essi dicono dà luogo a scandali e non produce frutti; infatti vi sono cristiani corrotti, moltissimi poi uguali agli atei. Prima di rispondere, noto che essi da un fatto particolare inferiscono ad una conclusione generale; poi io così loro ragiono: ogni cosa per quanto ottima, cade e si corrompe se corrotta è la volontà dell’uomo. Prendete qualsiasi sistema, istituzione, religione, ebbene se l’uomo ve la vuole far passare per cosa pessima è presto fatto. Un socialista non agisce secondo il programma suo, un padre di famiglia abusa della sua autorità, un sacerdote corrompe la morale di cui è custode ed allora si à uno sfacelo generale. Quale ne è la conclusione logica? È questa che per giudicare di una cosa è erroneo basarsi su fatti e testimonianze che non sono l’espressione fedele di ciò che dobbiamo giudicare, anzi ne sono l’opposto. Se noi invece giudicheremo la cosa oggettivamente o anche in una persona che incarna in sé l’ideale, l’anima della cosa medesima allora si che potremo dare un giudizio, istituire un paragone. E allora la Chiesa trionfa, poiché a confessione di migliaia di increduli (i rivoluzionari di Francia, Gaetano Negri, Lombroso) vi diranno che i più grandi uomini dell’umanità furono i Santi. La società presente alea, nel suo continuo lamento e nell’elogio che fa dei nostri vecchi di antica fede non rende una prova di più che la Chiesa, la vera Chiesa, è qualche cosa di grande e di ideale? Il confessionale! Mio Dio ma si è mai trovata istituzione più umana, più consona alla libertà, alla dignità umana di questa? No certamente. Il pensare che a questo tribunale Dio vuole che l’uomo venga liberamente, e dinanzi ad un uomo che lo rappresenta come giudice inesorabile, fa la sua libera accusa e poi il sacerdote come padre buono lo ammonisce, lo punisce dolcemente, gli fa fare propositi di essere più sincero, più leale, più giusto colla società e poi lo rimanda redento (sì redento qualora l’individuo vi si sia accostato con sincerità) senza il marchio dell’infamia, senza il peso e l’umiliazione di una pena pubblica, di un duro carcere che avvilisce ma non redime una natura umana. La confessione! Ma chi è che non si confessi in questa vita; tutti o inavvertitamente o forzatamente; due estremi nocevoli; solo quella voluta da Cristo è la retta perché cosciente, ma libera; perché umiliante ma redentrice! Se le coscienze moderne studiassero meglio questo fenomeno, qual forza, quale nuova energia non troverebbero nella confessione per la futura società; società di spiriti liberi ma retti!
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Memorie di don Giovanni Minzoni
Quante persone del mondo riconoscendola per una del teatro l’avrà pedinata credendola una perduta; quante persone di Chiesa l’avranno rifuggita come un demonio… mentre invece è un’anima santa, una martire! Ho pregato per lei e pregherò perché sento quanto ella sia più buona di me; perché ha scosso il mio spirito salutarmente; oggi ho in parte in mente che sia la bontà, quali sono le anime veramente buone; che cosa sia il confessionale; chi il sacerdote… Grazie anima santa cui mi sono subito sentito legato nei vincoli del bene e del dolore… prega per il Sacerdote che t’ha assolto ed io pregherò per te! 4 ottobre 1910 Crisi! Da vari giorni sono schiavo del nervoso o meglio di una mestizia che mi snerva ed eccita nella mia coscienza un rimorso vago: sono cattivo! - Sì lo sono perché non studio più indefessamente, perché le mie pratiche di religione non le faccio con spirito vivo e retto; sento di essere però cattivo per un’altra ragione non ho volontà di lavorare, di gettarmi in mezzo al mare delle difficoltà pur di fare un po’ di bene; non ho il coraggio virile di affrontare certi problemi che travagliano la mia povera coscienza. Ad esempio mi succede questo fenomeno: quando vedo o so che in chiesa vi sono certe persone che per me rappresentano il tipo ideale della donna cristiana io mi ci trovo volentieri e provo un benessere spirituale che mi eccita a pregare. È sensualismo o non piuttosto un bisogno naturale e santo del cuore dell’uomo anche se sacerdote? L’educazione del Seminario che à piegato l’animo, educata la coscienza ad essere pura col fuggire la donna considerandola unicamente come fomite e causa di bassi sentimenti non è forse un’educazione in parte falsa ed irreale? Non si dovrebbe educare piuttosto il giovane a vedere nella donna non la femmina, ma la donna; non l’Eva seduttrice, ma la Maria pura? persuadendo il giovane a fuggire la donna egli non affronta in alcun modo il problema ma lo sfugge, non tempra l’animo alla prova, ma studia tutti i mezzi per sfuggire un essere buono e puro come noi e allora dove è la vita? Per essere puri ed onesti sembra che bisogna rinunziare a tanta parte della vita. E ciò si verifica in gran parte nel sacerdote; il contatto frequente, per ragioni di ministero, con donne di ogni età e condizione ed inoltre la legge o meglio il voto di purità sono e saranno una tortura del suo cuore finché non lo si educhi ad amare la donna come una creatura pura e santa, circonfusa dall’aureola della castità se giovane, adorna del raggio santo della maternità se sposa; insomma finché egli non si sia abituato a vedere nella donna una madre, una sorella; allora non si difenderà dalla donna come da un
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Anno 1910
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essere infame e seduttore, ma vi andrà incontro persuaso di potere educare i suoi sentimenti più nobili, certo di vivere di un affetto che nobilita e fortifica… Dopo tutto perché amiamo Maria, perché preghiamo con pensiero tanto casto dinanzi ad una bella immagine della Madonna? Perché – mi si risponderà – è l’espressione dell’eterno femminino cristiano, divino. Ora se è buona cosa, santa cosa figgere inebriare tutto il nostro io in questo ideale femminile che ci parla solo attraverso i colori, simbolo debole di una realtà grandiosa, non lo sarà pure se alla tela, se al simbolo sostituissimo la realtà, la creatura che à una bellezza pura, una coscienza santa? Ecco il dubbio che mi tormenta; mentre da un lato la natura, la mia coscienza mi dice essere ragionevole la cosa; la mia educazione sembra rimproverarmi; mentre da una parte ho l’esempio eloquente di S. Francesco e S. Chiara, dall’altra ò il fatto, ripetutomi le mille volte in Seminario, di S. Luigi che non osò di figgere gli occhi neppure su sua madre. Come decidermi? La mia coscienza è vuota di risposta… Ho qui dinanzi la soave Madonna del Gran Duca… la fisso… la prego di sciogliere il mio dubbio: nulla! Perché?… forse perché sono cattivo! 30 ottobre 1910 Da due settimane lavoro come un cane per ricostruire il teatro sociale; tutto il giorno a smartellare su in palco e alla sera pure per dirozzare questi buoni figli del popolo. Questa sera abbiamo avuta la prima adunanza per costituirci in società con uno statuto e programma proprio. Qui giovani entusiasti si sono gettati di buon animo a questo inizio di vita che non deve esaurirsi non solo sulla scena ma deve espandersi nella realtà della vita. Abbiamo quindi fatto il proposito di essere sempre primi in ogni iniziativa di bene e di risveglio di vita. Avanti e coraggio! Novembre 1910 57 Questa sera abbiamo avuto la prima recita: Il Galeotto! È riuscita bene, magnificamente, al disopra delle aspettative, ed io stesso ho dovuto persuadermi che i miei giovani ànno fatto prodigi. Una folla numerosissima s’è stipata nel salone ed ha applaudito e chiamato alla ribalta coloro che credevano non sapessero neppure parlare l’italiano; meglio così quest’esempio servirà persuadere quanto può l’uomo, specie il giovane, quando sa volere! 57
Non è precisato il giorno.
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ANNO 1915
3 marzo 191581 Non posso non ricordare nel mio giornale un avvenimento troppo importante della mia vita. Il 18 febbraio mi sono messo in letto per indisposizione; dopo pochi giorni mi è scoppiata una violenta bronco-polmonite che per la cura dei medici e per la Grazia di Dio ho felicemente superata. Che bel morire quando si sa di essere amati dalle persone e in fondo al cuore si à la viva fede nel mondo avvenire! Sarei morto tanto volentieri; non so il perché, ma la morte non mi spaventava. 18 marzo 1915 Oggi ho veduta la prima rondine! Un tepido tramonto, un guizzo di rondine su per il cielo; una chiazza di viole sul ciglio del ruscello è sufficiente per fare sussultare il cuore di un giovane. È tutta una primavera di forze, di aspirazioni e di palpiti che si fondono all’unisono! 19 marzo 1915 Festa di S. Giuseppe. Ieri sera dopo aver confessato per molto tempo ed essere uscito dal confessionale stanco, ho sentito in fondo al cuore un senso recondito di felicità, un desiderio intenso di vita migliore. E se questo stato d’animo ho pensato fra me e me dovesse poi svanire, per cedere il posto a quel solito senso di sfiducia e di dissipazione che da tempo mi pervade? Allora mi sono ricordato le belle pagine lette nelle Sorgenti di P. Gratry ed ho fatto il proposito di iniziare la pratica della meditazione scritta; poi di fare un esame di coscienza un po’ più sincero, reale e non superficiale. Che cosa mediterò? Il mio cuore, il mio pensiero, i miei affetti, le mie azioni - in una parola tutto il mio povero io. Cercherò di fotografarmi giorno per giorno e così mi vedrò costretto, se non voglio deteriorare, a porre mano ad una vera e reale riforma. 81
Nell’originale minzoniano appare “3.14.15”. Probabilmente si tratta di una banale inversione di cifre.
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Dunque queste righe non saranno un giornale ma uno studio psico-religioso di me stesso – mi analizzerò e dove mi vedrò deficiente spero di porre rimedio. Oggi scriverò freddo, alieno dallo Spirito evangelico, non fa nulla, percorrerò la via degli umili e dei pubblicani – uno solo è il mio desiderio: avviarmi verso alla Vita. La dolce e soave figura di S. Giuseppe par mi sorrida, mentre stringe al suo Divino Infante! 20 marzo 1915 Sono giunto a sera tarda e non ho ancora gettato giù una riga di meditazione. Che debbo meditare? Nessun pensiero speciale mi si è affacciato alla mente; però debbo constatare che più volte fa giorno, quando la tentazione mi solleticava a trascurare i miei doveri, mi è sovvenuto che ho fatto il proposito di condurre una vita più intima, più buona, più sincera. Più sincera. Che bella parola; parola che mi inonda il cuore di santa letizia. Sovente spingo il mio occhio nell’avvenire sino all’ultimo girono di mia vita e penso: se al tramonto del mio vivere potrò coraggiosamente voltarmi a considerare il dramma della mia vita e potrò vedermi nelle varie fasi della vita vissuta con una coscienza che possa ripetere umilmente, dolorosamente anche: sono stato sincero nel mio operare; oh! come affronterò serenamente la morte! Tutto è incerto nella mia vita – la durata, la forma, le sue fasi! una sola cosa in essa è certa: il punto doloroso e misterioso della sua fine; ebbene sia questo precetto il perno fisso su cui cercherò di svolgere questa mia esistenza incerta, enigmatica ed allora il presente fuggevole e l’avvenire incerto avranno per la mia coscienza una veduta certa, una finalità fissa che sarà come il ponte di unione con l’immutabile, l’eterno. 21 marzo 1915 Stamane ritorno fra i miei fanciulli del Ricreatorio82. Ho un bisogno intenso di rivederli. So che alcuni si sono rallentati nella frequenza e pensare che sono i più grandicelli! Speriamo che non ci sfuggano. Andrò loro con tutto il mio 82 Il Ricreatorio di Argenta fu una delle prime realizzazioni di don Minzoni. Con quella del Teatro Sociale di cui parla nel novembre 1919, esso consisteva in alcuni spazi (sale e cortile) per lo svago dei fanciulli e dei ragazzi della parrocchia.
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ANNO 1916
Il mio diario di guerra
Cagli, 18 novembre 1916 – «Il diario di una recluta» Sono solo seduto sul mio letto, e scrivo appoggiato alla mia cassetta di militare. Fuori fra le gole delle montagne, già alle cime ricoperte di neve, soffia la bufera. L’acqua sbatte sulle vetrate che sembrano lamentarsi sotto la pressione del vento mugulante ed il torrente che scorre ai piedi dell’ospedale s’ingrossa e scorre impetuoso e rumoreggiante. Ho gli abiti da militare inzuppati d’acqua, il cambiarmi non mi è possibile, ma me ne sto solo a riandare un po’ questi mesi di vita militare. Partii per le armi il 1° Agosto dell’anno in corso e alcuni giorni prima della partenza preparando e ordinando le mie cose mi venne l’idea di prendere meco questo quaderno per tracciarvi all’occasione alcune memorie della nuova vita militare. Il mio “Diario” l’ho lasciato a casa perché un po’ troppo voluminoso, ho preso questo Notes in cui tempo addietro avevo tracciato alcuni pensieri e propositi. Scriverò tutta la mia vita militare? Forse no, però sento che qualche cosa è bene che fermi sulla carta. Troppe emozioni, esperienze, contrasti si subiscono: il trascurarli completamente sarebbe male, come è vano affidarli alla memoria. In questi giorni ricorderò i mesi trascorsi; poi se arrivo a pareggiarmi cercherò più che essere rievocativo di trarre qualche riflessione dai fatti che mi accadono attorno. Le prime battute Dunque il 1° Agosto mi presentai al Distretto di Ferrara ed essendo stato ascritto alla 7a Compagnia di Sanità fui mandato ad Ancona. Speravo di essere mandato a Bologna ma invano: quindi rassegnato e allegro partii assieme ad un mio carissimo compagno Sacerdote Don Francesco Strani87. Quando ripassai 87 Don Francesco Strani, nato nel 1884, ordinato nel 1907, cappellano a Berra (FE) tra il 1908 e il 1916, chiamato alle armi dal 1916 al 1918, parroco di Berra dal 1921 al 1927, allorché abbandonò il sacerdozio. Cfr. Preti della diocesi di Ravenna Cervia (1900-2000), a cura di A. Preda e G. Trevisan, Ravenna 2005.
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Memorie di don Giovanni Minzoni
dalla stazione di Argenta la mia famiglia, i miei giovani e conoscenti erano là per salutarmi. Scesi un momento, baciai i miei cari, alcuni miei ragazzi, risalii sul terrazzino del treno in moto e con la mano che salutava e gli occhi pieni di lacrime diedi un caldo, affettuoso addio alla mia cara parrocchia. Stetti là come una statua con gli occhi sbarrati a contemplare il mio piccolo mondo che sempre più rimpiccioliva all’occhio, ma ingigantiva nel cuore… Ad Ancona ci presentammo al Comando al pomeriggio del giorno seguente: era una giornata afosa, il sudore mi colava per tutto il corpo. In meno di una ora ci vestirono e ci equipaggiarono. Il chiedere e fare osservazioni non valeva. Ci misero fuori dal magazzeno con tutto l’affardellamento. Io non sapevo raccapezzarmi: ma un «arrangiati» imperativo mi scosse e dovetti divenire militare in meno di un quarto d’ora. Mi vestii in tela, feci uno zaino mostruoso, riempii il tascapane, feci un fagotto dei miei abiti da sacerdote e pronto ad essere irreggimentato. In un cortile del Comando erano già raccolte le reclute della Sanità arrivate due giorni prima. Ci mischiammo ad essi; al dialetto riconoscemmo molti romagnoli, dalla fisionomia molti sacerdoti: quindi subito si scambiarono [sic] qualche parola e si cominciarono le risate per la mise nuova: eravamo tante riproduzioni di Bidoni, Massinelli e Tontolini88! Fra quel vocio di oltre 600 persone si sentì un comando: i caporali ci misero in ordine e senz’altro si partì per la caserma con zaino, fagotti e valigie. Camminammo non so quanto sotto gli occhi curiosi della gente che vedeva il nostro impaccio e fiutava l’odore di reclute. Arrivammo trafelati all’ex Ospedale Civile e su per una scaletta giungemmo in due immensi stanzoni pieni di sacchi o paglia sciolta. Era sera, poche candele rischiaravano gli ambienti, un rumore da inferno dantesco si scatenava ovunque, il raccapezzarsi era impossibile. I graduati se la svignarono per non aver noie e lasciarono che da noi ci assestassimo. Io ed il mio compagno, avemmo per misericordia un pugno di paglia
88 Bidoni, personaggio interpretato dal comico Primo Cuttica (1876-1921) in decine di film. Massinelli, maschera creata e interpretata dall’attore dialettale milanese Edoardo Ferravilla (1846-1916). Tontolini, personaggio interpretato dall’attore francese naturalizzato italiano Ferdinand Guillaume (1887-1977), conosciuto anche con il nome d’arte di Polidor. Tontolini fu uno dei primi clown del cinema italiano mentre Ferdinand Guillaume fu uno dei grandi artisti del periodo d’oro del cinema muto italiano dei primi anni del XX secolo e in particolare uno dei primi protagonisti delle comiche poi denominate slapstick e probabilmente ispiratore per i grandi del genere, quali Charlie Chaplin, Buster Keaton, Fatty, ecc.
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4 febbraio 1919 Stamane sono partito per recare al poeta D’Annunzio la medaglia d’oro del Reggimento. Lo ritroverò in Venezia? Speriamo. A Gorizia mi sono fermato per fare un atto di procura da inviare all’amico Guido. Un notaio gentilissimo in poco tempo me l’ha preparato. Avevo con me per testimoni il Maggiore Lambertini e Guido Righetti. Per fare i bolli e competenze mi sono occorse 7 corone circa £ 3! Se lo sapessero i nostri Signori notai d’Italia ne rimarrebbero scandalizzati; protesterebbero per nascondere la propria vergogna! A Mestre è salito un Maggiore di Territoriale, un venezian de Venezia, il quale chiedendo scusa, scusino, scusate, ha fatto caricare nel nostro scompartimento il suo violino e dieci cassette! Per fargli posto io e gli altri cinque viaggiatori siamo stati costretti salire sul sofà e tenerci stretti ai portabagagli. La scena era buffa! E mentre noi ce ne stavamo così arrampicati per lasciar caricare le 10 cassette egli dolce e calmo ripeteva: «Scusate, scusino, vedo che do loro un po’ d’incomodo». Guai poi se aveva l’idea di darcene molto! Sono giunto a Venezia alle 11, a fatica ho trovato alloggio. Ho dormito all’Hotel De Russia assieme ad un Tenente, avvocato di Udine. Mi à parlato del Friuli, me ne ha fatta la storia, ne à esaltate la razza e la lingua; à asserito che Venezia trae la sua storia dal Friuli; che aveva per capitale Aquileia, città di mezzo milione d’abitanti, culla di civiltà e d’arte ed à sostenuto che il Friuli à più del romano specie sulla razza e sul dialetto – lingua di ogni altra regione italiana. 5 febbraio 1919 Alle 13 e mezzo sono andato alla Casina Rossa abitazione del Poeta364. È in un calle solitario, quasi eremitico. Nel salotto eravamo io e due signori. D’Annunzio è venuto dopo pochi minuti assieme a sua figlia Renata e il genero, un te-
364 Gabriele D’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938), negli anni della Prima guerra mondiale, a Venezia, aveva affittato la Casa (o Casetta) Rossa, appartenuta al nobiluomo austriaco Fritz Hohenlohe, il quale, con lo scoppio del conflitto, aveva dovuto abbandonare l’Italia. L’edificio si trova a pochi passi dal Canal Grande, a fianco di Palazzo Corner (sede attuale della Provincia e della Prefettura). Prima di D’Annunzio la Casetta Rossa accolse altri ospiti illustri, quali lo scultore Antonio Canova (che qui aveva anche il suo studio), lo scrittore e poeta francese Henri de Régnier, lo scrittore e poeta austriaco Rainer Maria Rilke. Nel 1916 D’Annunzio perse l’occhio destro a causa di un ammaraggio forzato nelle acque di Trieste e dovette trascorrere 7 lunghi mesi di convalescenza nella Casetta Rossa. Il poeta abruzzese vi soggiornò in compagnia della figlia Renata ed incontrò numerosi personaggi contemporanei.
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Memorie di don Giovanni Minzoni
nente di Vascello365. Era in maglia d’aviatore. Ci à stretta la mano e subito in modo famigliare à intavolata la conversazione mentre ci faceva servire il caffè e sigarette. Con quei signori, uomini di teatro à concertato il piano di far dare quanto prima la sua Nave recentemente musicata alla Fenice. Bisogna dare nuova vita a Venezia e con la Nave auspicheremo alla rinascita artistica della nostra regina del mare nostrum; ora veramente nostro. Sbrigata la cosa mi ha chiesto: «E lei Sig. Cappellano che ha di bello da dirmi?» Allora io mi sono alzato in piedi e con opportune parole gli ò offerta la medaglia che era in astuccio su cui avevamo fatto imprimere: all’altissimo poeta al valoroso soldato Gabriele D’Annunzio Il 255° Fanteria.
Il dono era accompagnato da una bella lettera del Sig. Colonnello (trascrivere la lettera)366. Il pensiero l’à commosso. À ammirato, ha letto, e poi con entusiasmo quasi infantile à fatto ammirare la cosa ai presenti mentre egli mandava esclamazioni di commento. Mi ha fatto tante domande in forma così famigliare che quasi quasi mi è parso di essere una sua vecchia conoscenza. «Lei à detto, fra le altre cose, lei è un cappellano decorato; permetta che le dia un mio ricordo». È uscito ed è ritornato con due suoi opuscoli di guerra: La Riscossa367, in cui aveva scritto: “A Don Giovanni Minzoni. Questo libro di ardore a chi arde. Gabriele D’Annunzio” e la Lettera ai Dalmati 368, “A Don Giovanni Minzoni, prode soldato di Cristo e d’Italia. Gabriele D’Annunzio”. 365 Renata Anguissola in Montanarella nacque nel 1893 a Resina (NA) dalla relazione fra d’Annunzio e Maria Gravina Cruyllas, moglie del conte Guido Anguissola. Renata, figlia molto amata dal poeta che la chiamava affettuosamente “Cicciuzza”, durante la permanenza alla “Casetta rossa” conobbe il tenente di vascello Sivio Montanarella, che sposò nell’agosto del 1916 e da cui ebbe 8 figli. Renata morì nel 1976 e fu sepolta nel cimitero del Vittoriale a Gardone Riviera (BS). 366 Si veda la lettera riportata nell’inserto fotografico. 367 G. D’Annunzio, La riscossa, Milano 1918. 368 Il 14 e il 15 gennaio 1919 D’Annunzio pubblicò sulla «Gazzetta di Venezia», su l’«Idea Nazionale» e sul «Popolo d’Italia» la sua Lettera ai Dalmati, poi stampata a Venezia in un volume di 42 pagine, con xilografie di De Carolis. Con essa il poeta diede inizio alla sua politica interventista che sfociò clamorosamente nell’“impresa” di Fiume (settembre 1919 – gennaio 1921). Sul tema si vedano: V. Martinelli, La guerra di D’Annunzio, Udine 2001; G. Canziani, A Fiume con D’Annunzio. Lettere
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Ringraziamenti
Con la speranza di non dimenticare qualcuno, con la certezza di essere molto debitori verso tanti si ringraziano: L’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Ravenna e Provincia per la fiducia che ci ha accordato e che ci ha confermato nell’arco di questi anni di lavoro. Per condurre a termine l’impegno ci siamo potuti avvalere delle notevoli qualità del personale dell’ISREC, che con acume, pazienza e ironia ci ha accompagnato e sostenuto: in particolare Alessandro Luparini, Serena Sandri e Marco Serena; La Banca di Credito Cooperativo Ravennate e Imolese, che ha sostenuto economicamente la realizzazione del volume; Dobbiamo gratitudine particolare all’amico Enzo Tramontani, che con generosità ha fornito all’Istituto Storico di Ravenna i documenti inediti dai quali si è partiti per progettare questa edizione delle Memorie minzoniane. Inoltre, sono state molto preziose le osservazioni e le integrazioni che, con profonda conoscenza della storia dei cattolici ravennati, egli ha saputo elargirci; Associazione “Don Giovanni Minzoni” e Centro Studi Cristiani “Don Giovanni Minzoni” di Argenta (FE), per la cordiale e fattiva collaborazione (in particolare Manuela Mazzanti e Nicola Palumbi); Archivio Centrale dello Stato di Roma (Carlo Maria Fiorentino e Patrizia Mariotti), Archivio di Stato di Cesena (Anna Rosa Bambi), Archivio di Stato di Forlì (Fiorenza Danti), Archivio di Stato di Ravenna (Ilaria Gamberini e Manuela Mantani), Archivio Arcivescovile di Ravenna (Don Giovanni Montanari e il personale tutto), Archivio Comunale di Ferrara (il personale della Sezione Fotografica, soprattutto Enrico Paltronieri e Stefania Ricci), Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito – Bologna; Biblioteca Classense di Ravenna (Paola Rigon), Biblioteca Oriani di Ravenna (Mirko Bonanni e Alberico Stanghellini), Biblioteca Malatestiana di Cesena, Biblioteca Civica Gambalunga di Rimini (Oriana Maroni); Comune di Brisighella (RA): Ufficio Anagrafe, Comune di Cesena: Ufficio Anagrafe (Valeria Zignani), Comune di Ravenna: Ufficio Anagrafe,
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Ringraziamenti
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Comune di San Canzian del Friuli (GO): la bibliotecaria Isabella Piotto, la guida Giorgio Cian, il perspicace e generoso ricercatore Diego Mauchigna, Comune di Asiago (VI): Ufficio del Turismo, Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni (Asiago); Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Elisabetta Zonca), Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli e Venezia Giulia di Trieste (in particolare l’amico, grande esperto della Prima guerra mondiale e non solo…, Fabio Todero), Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara (Anna Quarzi), Istituto “Santa Teresa del Bambin Gesù” di Ravenna (suor Paola), Ordinariato Militare di Roma, Ufficio Informazioni Bibliografiche dell’Università di Padova (gentilissima Maria Teresa Melatti), Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito – Roma; Benedetta Bolognesi, della sezione CAI “Bruno Soldati” di Argenta, Argento Marangoni, partigiano, medico e sindaco con la passione per la Storia, Giulia Melandri, per la trascrizione di testi, Mara Rossetti, per l’intelligenza enigmistica e la paziente tenacia nella decifrazione della calligrafia minzoniana. Le nostre rispettive Famiglie, per l’affetto paziente con il quale hanno sostenuto questo lungo impegnativo lavoro. Infine, esprimiamo sentita gratitudine per la casa editrice Diabasis. Rocco Cerrato, Gian Luigi Melandri
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Queste Memorie di don Giovanni Minzoni in parte già pubblicate per la prima volta rivelando tratti di una figura di grande attualità sono pubblicate nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia Sagi di Reggio Emilia per conto di Diabasis nel mese di luglio dell’anno duemila undici