Gian Carlo Artoni Lo stesso dolore e altre poesie nel tempo (1949-1966)
A cura di Paolo Briganti
Coordinamento editoriale Fabio Di Benedetto Redazione Leandro del Giudice Copertina Anna Bartoli In copertina Adriano Braglia, Nudo di donna, 1960 ISBN 978-88-8103-785-8 Š 2014 Edizioni Diabasis Diaroads srl - vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 - e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it 2
Gian Carlo Artoni
Lo stesso dolore e altre poesie nel tempo (1949-1966)
A cura di Paolo Briganti Con una nota di Luigi Alfieri
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La presente edizione delle poesie di Artoni (messa “in carta” in questi primi mesi del 2014) viene in realtà da lontano, almeno come idea prima; che risale a quando, tra il marzo e l’aprile 1998, col gruppo teatrale “Argante Studio” (composto allora da Paolo Briganti, Giampaolo Canuti, Massimo Casales, Mirella Cenni, Maurizio Schiaretti, Silvia Valenti) portammo in scena – “pronubo” dell’iniziativa Luigi Alfieri, per la libreria Fiaccadori, presidente Giorgio Greci – il “racconto critico-testuale” di quattro poeti di Parma (Gian Carlo Conti, Gian Carlo Artoni, Pier Luigi Bacchini, Attilio Bertolucci); con l’edizione perdipiù di quattro instant-book col testo d’ogni serata. La serata dedicata ad Artoni fu quella del 20 marzo 1998; il “suo” libretto lo intitolammo Carte e foglie prese nel vento (a cura di P. Briganti e M. Schiaretti, Parma, Pietro Fiaccadori-Silva editore 1998). La stesura dei copioni – che vedeva uniti, nell’opera frenetica, Schiaretti e il sottoscritto – fu occasione di nostre ampie ricerche testuali e critiche (ricerche cui collaborava anche, attivamente, Mirella Cenni). Maurizio, infaticabile, accumulava materiali e informazioni, e trascriveva trascriveva… Tanto che balenò già allora, tra noi due, un ancor vaghissimo progetto “artoniano”, qualcosa di appena più che un desiderio… Poi gli impegni furono altri, e la vita girò altrove. Dopo qualche anno (nel 2004) per Maurizio la svolta fu di quelle irreversibili. Ma oggi posso dire che le carte di allora, quelle nostre (ma particolarmente sue) sudate carte, costituiscono le fondamenta ideali e le radici di questa edizione. Sicché all’amico poeta Gian Carlo Artoni (sappiamo bene quanto legato all’idea stessa dell’amicizia) non dispiacerà, lo so bene, se mi permetto di dedicare la mia parte di lavoro – compiuto sulla sua poesia, per la sua poesia – all’amico Maurizio Schiaretti, troppo presto sottratto alla vita e alla nostra fertile, indimenticabile amicizia. (P. B.) 4
Paolo Briganti
L’indecifrabile senso della vita Introduzione alla poesia di Artoni
Gian Carlo Artoni, ch’è del ’23, debutta in poesia nel 1941, a diciott’anni dunque, con alcuni testi decisamente giovanili; che, in sé, non gli avrebbero potuto garantire granché sul piano poetico, se non l’apprezzamento per un evidente piglio sperimentale, questo sì: versi liberi, qua e là fin troppo, e abbastanza spigolosi, con alcune immagini e movenze linguistiche bizzarre, fatte, direi, per sorprendere. Giovani insomma, molto giovani. Sarebbe difficile dire, francamente, che già si poteva comunque intravedere… Non si sarebbe potuto invece intravedere granché, credo, salvo – ecco! – la voglia d’esserci; d’essere magari, nell’esaltante debutto di Pianura1, insieme agli amici (anche loro perlopiù acerbi nelle proprie grafie), e in particolare, tra questi, insieme all’amico diletto Mario Colombi Guidotti, da allora compagno inseparabile d’avventure e imprese letterarie (separato solo dal precoce destino di morte che lo attendeva, quattordici anni dopo)2. 1949: Poesie L’Artoni che conosciamo, il poeta che abbiamo imparato a conoscere poi, è quello che, evidentemente, ha lavorato molto sulla 1. Pianura – finito di stampare il 5 maggio del 1941 presso la tipografia Fresching di Parma («Piazza Ghiaia n. 7») – costituì il debutto collettivo di cinque amici del liceo “Maria Luigia”: Guglielmo Ambrosoli, Gian Carlo Artoni, Renzo Bocchi, Mario Colombi Guidotti, Pietro Galli. Cinque i testi di Artoni: Giardino pubblico; Attorno agli angeli; Vita; “L’albero è morto”; Riposo. In quegli stessi giorni Artoni pubblicava (o ripubblicava) alcuni testi, stilisticamente simili, nella rubrica Vetrina di Poesia del «Meridiano di Roma» (settimanale che, sotto la direzione di Curzio Malaparte, si definiva continuatore della «Fiera Letteraria»/«Italia Letteraria», al tempo sospesa): Gelosia e a P. (25 maggio 1941); Giardino pubblico; Attorno agli angeli; Fanciulla (1 giugno 1941). Nella seconda occasione – per ribadire i percorsi paralleli dei due sodali – ai testi di Artoni tenevano compagnia quattro poesie di Mario Colombi Guidotti: Solitudine; Per la mia città; Sole sulla neve; Canzonetta. 2. Mario Colombi Guidotti, nato a Parma il 7 ottobre 1922, morì in un incidente d’auto nei pressi di Sacca (Parma) all’alba del 16 gennaio 1955. 5
propria scrittura, dopo quei suoi diciott’anni, fino ai venticinque; quello che, abbandonate le sregolatezze-stravaganze-spigolosità degli esordi, torna a farsi erede di una tradizione alta e plurisecolare – Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi (soprattutto Leopardi) – magari attraverso la lezione di un maestro novecentesco – pre-ermetico, si badi – come Montale. Lo vediamo bene fin dal vero debutto poetico (“vero” nel senso di “maturo”, “consapevole”) del 1949, con la plaquette asciuttamente intitolata Poesie 3. Lo vedeva e lo esprimeva con straordinaria lucidità proprio Colombi Guidotti, recensore di quelle Poesie dell’amico (dove l’amicizia significava, sub specie critica, migliore conoscenza di base – dell’uomo e della sua scrittura – non indulgente connivenza, né complice aprioristico consenso): 24 poesie che rappresentano il punto d’arrivo del complesso arduo cammino di parecchi anni di lavoro, di molteplici diversi sviluppi, di felicità istintive dei primi anni di poesia, gonfi di suggestione e di disordine (di cui non v’è traccia nel libro). Artoni, per un suo istintivo pudore e una purezza incondizionata, non ha voluto mostrarsi “in progress”, ponendoci dinanzi agli occhi, come tanti, prima di tutto la propria fatica poetica, non ha collocato date, non ha apposto titoli, non ha ordinato temporalmente. […] Artoni vuole innalzare il suo tono poetico a figure universali, a vertici di nuda purezza, dove sono scarne fino alla astrazione le ricorrenze della memoria, del cuore, dei sensi4.
La maturità stilistica acquisita – che ora segna davvero un nuovo cominciamento – è evidente fin dall’incipit (ed oltre, naturalmente) del testo d’apertura: «Nuova città di prati una finestra / spiega sul poggio / se il vento fugge l’erba sul più acceso / braccio che autunno pone a riposare, / […]». Una finestra, il vento, i prati, l’autunno, l’affiorare nella memoria di sassi lanciati a pelo d’acqua (chi non ci si è provato?), una rinuncia al viaggio (verso un altrove esistenziale, nella metafora geografica) per la gioia di assaporare la freschezza d’una fontana, qui, oggi («se distesa / fontana mi riverbera il mattino, / barca non parte»), lasciando ad altri le preoccupazioni di imprese (ed equipaggi) infidi («ad altre mani sorge avventuroso / 3. Gian Carlo Artoni, Poesie, Modena, Guanda, 1949. 4. Mario Colombi Guidotti, La poesia di Gian Carlo Artoni, in «Aurea Parma», xxxv, gennaio-marzo 1951, fasc. i, p. 48. [Cfr. Appendice]. 6
un equipaggio infido»)… Sembra quasi di avvertire un soggiacente riverbero ideologico dantesco («O insensata cura de’ mortali»…) e, insieme, una movenza da moderno ulisside stanziale, convertito, se non proprio a un’inerzia alla Tibullo, quantomeno a una sosta, a una rinuncia (e, del resto, tra Pascoli5 e Bertolucci i più vicini modelli di novecentesco disinganno e riduzione al proprio circoscritto mondo non mancherebbero): ma il tutto sul filo di un discorso trattenuto e austero, ad onta di una struggente, palpitante sensibilità. Tra l’altro, abbiam fatto fatica dianzi a fermare l’incipit della citazione, troncando la frase e lasciando sospeso il discorso6, proprio perché, tendenzialmente, i testi di Artoni si costruiscono su un solo respiro, o quasi, un lungo respiro sintattico, che talora dismaga il lettore, e che ha fatto pensare magari (ma erano altri tempi, criticamente meno “smaliziati”) a una qualche parentela con certo trobar clus dell’ermetismo. Che non è vero, se non per linee stilistiche di superficie, e, al massimo, per certa irriducibile allusività (qui, come in altri casi, effettivamente percepibile) che può creare qualche “difficoltà” intepretativa (come avvertiva, minimamente preoccupato, Colombi Guidotti 7). Difficoltà che oggi non sussiste più, evidentemente, se non in minimo grado, perché ben altre sono state e sono ad oggi, in letteratura, le vere oscurità. Mentre il discorso di Artoni è quasi sempre, in fondo, comprensibilissimo (soprattutto via via che lui perfeziona le proprie armi), solo che è prosciugato e teso lungo un filo sintattico-argomentativo pressoché continuo, talora, appunto, allusivo quel tanto (per effetto d’un poetare per sottrazione, per asciugamento) da risultare arduo. Dipende proprio 5. E, a proposito di Pascoli (comunque non invocabile più di tanto, s’intenda), non si può non segnalare almeno un incastro tematicamente, lessicalmente e metricamente (novenari!) pascoliano, in “Perché soltanto, dei molti che a sera”: «e nulla che muti l’incanto / d’allora: quei morti fanciulli / mi passan la voce, negli occhi / luceva soltanto la vita: / avevano ancora i ginocchi, /nel buio, una gioia smarrita» (vv. 6-11). 6. Lo spunto di quel primo testo (“Nuova città di prati una finestra”) – che non si deve a una particolare eccellenza (anzi) – è solo “posizionale”, essendo incipitario della prima raccolta. 7. «La dura scorza sintattica, il verso complesso nella sua lucidezza raramente arido o sordo, non permettono che una lenta conquista; l’oscurità qualche volta è difficilmente esplorabile per chi non ne conosce l’avvio umano» (Mario Colombi Guidotti, La poesia di Gian Carlo Artoni, cit., p. 51). 7
dalla mira a quei «vertici di nuda purezza» sapientemente indicati fin dall’inizio da Colombi Guidotti. Naturalmente l’ambizione a un’asciutta purezza e l’avvertibile quota di astrazione meditativa non cancellano del tutto (ci mancherebbe…) alcuni riconoscibili temi e paesaggi che, già espressi in queste Poesie, si ritrovano magari nelle successive occasioni, sia per varie trasmigrazioni di testi da una raccolta all’altra, sia per nuove creazioni che tornano su paesaggi e situazioni analoghe: la propria città e la pianura, la geografia della doppia ascendenza familiare (da un lato il Po, dall’altro la Liguria, o anche soltanto, fuori confini, il mare), l’amicizia e gli amici, l’amore (ma questo assai parcamente, e quasi di soppiatto, con cautele e schermi, per un pudore dell’io)… Certo è che l’affinamento del verso è già straordinario (tanto più se comparato coi giovanili esordi di cui si diceva sopra), e rivela appunto un severo apprentissage, soprattutto leopardiano. Leopardi infatti – io credo – è, per Artoni, il vero etimo, sia per l’attitudine alla “riflessione in versi”, una riflessione a partire sempre da alcuni dati contingenti della realtà; sia per il diffuso viraggio “pessimistico”, pur virilmente contegnoso. E gli è anche maestro nell’uso d’una sorta di novecentesca canzone libera, flessibile e continua, fatta (salvo alcune sporadiche eccezioni) di sequenze di endecasillabi e settenari. Tutto, in Artoni, sciolto anche dai vincoli della rima, si risolve in ritmo, un ritmo austero – nulla, si badi, di più lontano da una frivola o leggera cantabilità – un ritmo come decorosa, dignitosa gabbia del pensiero: l’esatto contrario della morbida e musicale “strofe lunga” dannunziana. I suoi componimenti, immuni da verbosità e tonalità oratorie, sono anzi concentrati e relativamente brevi (non brevissimi, s’intenda8), e spesso, come si diceva, d’unico respiro, cioè senza frammentazioni, né concettuali né grafiche; rivelando in ciò il netto superamento di un possibile (primonovecentesco) modello-tentazione forte, quale poteva essere ancora, in quei tempi – per prolungamento-scivolamento inerziale – quello d’un primo Ungaretti. Semmai, se scelta o influenza c’era stata, aveva agito ed agiva, su Artoni, l’altro nume tutelare novecentesco, Montale, moderno erede del Leopardi, del resto. Leopardi agiva in lui anche su un piano di assorta, laica, di8. La media s’aggira, direi, attorno ai quindici versi per poesia: raramente si scende sotto i dieci, raramente si superano i venti. 8
sincantata ideologia psicologico-comportamentale, fuori d’ogni agitazione, massimalismo o eccesso (di credo e di poetica9), per un dignitoso suo passo novecentesco, sulle tracce che, a partire magari dal figurato portamento di dantesca dignità e onestà10, giungono – per l’appunto attraverso certo stoicismo intellettuale e poetico leopardiano – alla montaliana “decenza quotidiana”. E ad Artoni. 1956: La villa e altre poesie La seconda raccolta di Artoni, La villa e altre poesie11, è del 1956, quale n. 2 di una pregevole collanina diretta da Vittorio Sereni12 per l’editore milanese (ma parmigiano) Mantovani. Francesco Squar9. Torna alla mente il divertito racconto di Artoni circa l’arrivo a Parma di Macrì, giunto dal Sud (da Maglie) e da Firenze, come ricordava, con l’intento di «sfessare il Borlenghismo», per combattere cioè l’attitudine critica dura e antiermetica che a Parma (dove oltretutto vigeva l’auctoritas di un Attilio Bertolucci e d’un Pietrino Bianchi) aveva in Borlenghi una sorta di temuto giustiziere. Scriveva Artoni, lì appunto (Un amico esemplare, in «Palatina», n. 2, aprile-giugno 1957) in chiave leggera, circa un costume locale schivo dagli eccessi (e dalle mode): «Si sa […] come vanno le cose nella nostra provincia, ove le novità vengon filtrate dall’ironia e decantate da quella specie di spirito francese (o saggezza contadina) che sembra esser rimasto nell’aria dai tempi in cui Parma era capitale d’un ben civile ducato: nessuna meraviglia, quindi, che quando l’ondata ermetica partì da Firenze per sommergere l’Italia, qui da noi si cercasse di restare coi piedi all’asciutto, desiderando, prima di scendere nell’acqua, saggiarne la temperatura e la profondità». Oreste Macrì (Maglie 1913-Firenze 1998) si era trasferito a Parma nel ’42 (fino al ’52) dalla natia Maglie (dove insegnava dal ’38 in prima nomina), per insegnare Lettere in una scuola media cittadina, avendo lui stesso chiesto tale trasferimento (quale seconda opzione dopo l’improbabile Firenze) per i rapporti culturali che già intratteneva con la città emiliana (cfr. Oreste Macrì, Memoria del mio decennio parmense (194252), in Aa.Vv., Officina parmigiana, a cura di Paolo Lagazzi, Parma, Guanda, 1994, pp. 297-320, in particolare: 297-302). 10. Tra le molte occorrenze (ma d’unica accezione) dell’ “onestà” in Dante, penso anche – per un esempio di figura in movenza di decoro – al iii del Purgatorio, laddove Dante scrive di Virgilio: «Quando li piedi suoi lasciar la fretta, / che l’onestade ad ogn’atto dismaga» (vv. 10-11). 11. Gian Carlo Artoni, La villa e altre poesie, Milano, Mantovani, 1956. 12. Ma, per testimonianza di Artoni, anche da lui tacitamente condiretta. L’incontro di Vittorio Sereni coi letterati parmigiani (o parmigianizzati) come Bertolucci, Borlenghi, Bianchi, e insomma con la “brigata” parmense, risaliva alla 9
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LO STESSO DOLORE E ALTRE POESIE NEL TEMPO (1949-1966)
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Prima parte L o stesso dolore (1963)
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Dedica
Non venga per noi l’inverno e l’improvviso dolore della foglia che il vento distacca prima della certezza che ancora continuerà dopo la morte l’incanto d’essere insieme.
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Anche se è breve il tempo che ci resta
Anche se è breve il tempo che ci resta prima di abbandonare quest’inverno crudele e già si avvertono nei primi voli d’uccelli sopra i rami spogli vicini i gridi della primavera e se l’acqua si tinge ora d’azzurro tra la neve, non è ancora serena la gioia: pur crudele questa è un’altra stagione che non torna.
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La forza acerba delle gemme a marzo
La forza acerba delle gemme a marzo non ancora dischiuse, ove la linfa si fa a premere il tralcio che domani trionferà più splendido nel sole d’estate, chi ritrova in sé più forte della sua stessa vita (lenti i giorni – ad uno ad uno poi dimenticati – si bruciano nel fuoco che risorge), un segno va cercando, che riaccenda quella prima certezza: ora un amore nuovo, oggi soltanto un felice meriggio, poi la vita si dissecca nei venti che han rapito la breve età (quegli umidi disgeli, quelle sere di pace, ad ascoltare la voce stanca degli amici e tante giornate buie, perdute a invecchiare su un lavoro già spento).
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Lo stesso dolore
Padre, abbiamo lo stesso suono nel nome e lo stesso dolore d’esserci separati all’improvviso, con tante parole ancora da dire, ma quando l’estate cancella anche le ombre dai sassi ed i rumori si stagliano nitidi per le strade, o quando l’inverno affonda il cielo grigio tra i monti, (tu che sei morto ed io ancora che vivo) la stessa profonda pena di non capire il senso che han la tua morte e la mia vita e l’eguale volgere delle stagioni ci unisce ancora.
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Consolazione
La morte che toccandoci distrugge la leggera corazza dei nostri anni felici e ci abbandona indifesi all’incognita pietosa d’altri pianti lontani, oggi ai tuoi occhi improvvisa s’affaccia: forse sai finalmente perché si vive e stringi disperata al profondo quelle poche cose che son rimaste, le ore liete come timida guida a ritrovare le smarrite speranze (ma se il coro infelice ti prende dei lamenti è te stessa che piangi e questo breve viaggio che già ti spoglia).
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Poesia
Se, mentre parli, ti si accende in cuore come un morbido fuoco, e le parole van vibrando nei margini di suoni dolci e improvvisi, è un volo che sta per dispiegarsi questa nostra tenerezza recondita: lontane immagini riposte (primavere vagheggiate nell’intimo brillare d’una goccia sospesa) ora d’incanto si fan presenti, e schiusa per un pur breve istante – folgorata da una luce amorosa – è la bellezza delle cose consuete.
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Via Emilia
Per tanta gente che va in questo sole d’autunno mi prende come un’antica irrequietezza: sento d’un tratto troppo fragili i legami con la vita consueta ed il felice desiderio di unire il mio destino a un ignoto viandante, ma ritorna ai vecchi muri dei miei borghi, al vuoto cammino d’ogni giorno la mia vita lenta che non perdona.
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Materiali critici nel tempo
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Mario Lavagetto ed Enzo Siciliano
Gian Carlo Artoni (1961)
Esiste in Emilia (e a Parma in particolare) accanto a una corrente colorata, effusiva, sottilmente melanconica e attenta al contraltare delle stagioni, la misura riposata del tempo che vive nelle strade, tra gli intonachi e le torri, tra le siepi e le gaggie, l’ozio e una sapiente noia, anche una corrente più secca e lombarda, tanto lontana dal senso melodrammatico e padano, quanto dal gusto illuministico della sfumatura e dal cromatismo. Artoni si muove in questa dimensione con i suoi precisi schemi sintattici, spesso ripetuti, quasi a creare una trama musicale, un tessuto ritmico preciso di endecasillabi e settenari su cui appoggiarsi; con la sua sensibilità che non aderisce mai alle cose, né le valuta in senso figurativo, ma le interroga a volte riducendole a una sottile corteccia dell’armatura sintattica. Con l’unghia dura e sottile della ricerca, polverizza le tinte come fiori appassiti, sviluppa il tempo sull’anima delle circostanze. Di qui nasce spesso una certa difficoltà di lettura, un senso di fatica che occorre a dipanare queste trasparenze interiori dove le cose sono disprezzate, quasi “pensieri pietrificati”. La poesia, una poesia segreta e arida, nasce quando la passione si fa più forte, scioglie il ritmo; a volte il pensiero sfiora la realtà e si elettrizza, conserva nelle sue radiazioni il tremolio luminoso dell’esistenza; altre volte dissolve gli oggetti, gli alberi, le mura, le strade e li riduce a nudi “segni” di cui difficilmente riusciamo a ricuperare il significato visivo. Sempre si avverte sullo sfondo, come un basso continuo, il senso del limite, questo presentimento che riempie i versi di risonanze: come una misteriosa inibizione o un disamore prematuro per le cose e una sfiducia di poterle costringere alla risposta. (in Stile nuovo e tradizione, in «Palatina», n. 17, gennaio - marzo 1961)
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Gian Carlo Artoni
Lo stesso dolore e altre poesie nel tempo (1949-1966)
A cura di Paolo Briganti
Paolo Briganti, L’indecifrabile senso della vita. Introduzione alla poesia di Artoni Luigi Alfieri, L’uomo, il tempo e la città Notizia biografica Gian Carlo Artoni, Essere avvocato civilista…
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LO STESSO DOLORE E ALTRE POESIE NEL TEMPO
Prima parte Dedica Anche se è breve il tempo che ci resta La forza acerba delle gemme a marzo Lo stesso dolore Consolazione Poesia Via Emilia Oggi che autunno indora Breve felicità In memoria di Mario Colombi Guidotti Come un vivo peccato Immagine di vita Se oggi mi basta Felici anni passati Agosto in città La certezza di vivere La spiaggia di Aro Il giuoco delle carte
LO STESSO DOLORE
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Tu che cammini nell’aria dorata 65 Compleanno 66 Ritratto 67 L’ombra si perde 68 Vento di mare 69 Giorno feriale 70 In un giorno primaverile 71 Provincia 72 Non è solo la vita 73 Ed è la gioia 74 Ma non si placa 75 Vicino all’amore 76 Noi non sappiamo 77 Parabola 78 Voglia d’amore 79 Ultimo sole 80 L’uomo senza dolore 81 Non v’è l’ombra 82 Senza più umana disperazione 83 La stagione violenta 84 Storia d’un giorno 85 È una dolce mattina 86 Amantea 87 L’umano piacere 88 Al pittore Goliardo Padova 89 Come nasce una pianta 90 Non è più come quando si cammina 91 Delta 92 Quell’uomo tra le case 93 Lentamente vagare 94 La assoluta stagione 95 La ferita 96 Perché, se penso al dolore 97 Anteo 98 Lettera a Roberto Tassi 99 In morte del pittore Latino Barilli 100
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da la villa e altre poesie Agli amici A Parma Gi anni In morte Sulle rive del Po Pesca subacquea Punta Calamita A Giacomo Ulivi fucilato a Modena a vent’anni il 10 novembre 1944 Frammento Pianura La villa Capo Palinuro Borgo Piccinini Racconto Versi per Mario Quanti, degli anni passati Anniversario Lontane sere I sopiti tuoi occhi
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Seconda parte ALTRE POESIE NEL TEMPO (1949-1966)
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da Poesie (1949) “Nuova città di prati una finestra” “Tra questi rami così abbandonati” “Coppia chiara che il vento esitante” “Ma l’autunno non porta nuova gente” “Come quel muro appare, che alle mani” “Dimmi l’accesa luce” “Quante volte nel cuore” “Perché soltanto, dei molti che a sera” “Se il giorno cade ed ombre” “Quanti di noi, nel mondo,” “Non porto più sul labbro ora l’incanto”
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“Ma l’ombra che preme” “Paradiso perduto questa terra” da Poesie (1949) e La villa e altre poesie (1956) Tellaro Per un’alba che appena A un fiume Pur continua l’attesa… Al tramonto Amore da La villa e altre poesie (1956) Alla luna Ricordando un amore perduto Se un passo ci accompagna Ritornano a fiorire le parole Dolce fenice, il giorno… Dopo un litigio Altre, altrove ed oltre (1956-1966) Paestum Maturità Riviera d’inverno S’Agaró San Michelino dei gatti Annotazioni “Dove sono fuggiti gli usignoli” “Il mese che finisce oggi mi stringe” Senza gridare Informale Ritornano le gru Piegato e ripiegato Il quattro novembre La condizione civile Diario 1965 “Parli, sorridi, ti sforzi” Lettera a Carlo Mattioli
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NOTA AL TESTO
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Nota al testo (e altri ragguagli) 236
APPENDICI
187 Tre scritti in prosa di Gian Carlo Artoni 189 Un amico esemplare 191 Lettera da Parma 193 Parma non piĂš Parma 197 Materiali critici nel tempo 203 Mario Colombi Guidotti, La poesia di Artoni 205 Francesco Squarcia, Tempi e letture: La villa 211 Oreste MacrĂŹ, Nuove poesie di Gian Carlo Artoni 215 Pier Paolo Pasolini, Officina parmigiana 219 Mario Lavagetto ed Enzo Siciliano, Gian Carlo Artoni 223 Vittorio Sereni, Risvolto editoriale di Lo stesso dolore 225 Giorgio Cusatelli, La poesia di Artoni 227
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Raccolta complessiva delle poesie di Gian Carlo Artoni tra il cuore e la voce stampato nel carattere Simoncini Garamond a cura di Pde Spa presso lo stabilimento di LegoDigit Srl - Lavis (TN) per conto di Diabasis nell’aprile dell’anno duemila quattordici
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Come più strettamente ramo a ramo lega l’inverno, ridotti all’essenza di cose che smarrito hanno l’ombra e l’incanto
La poesia di Artoni «trova i valori più certi nei termini di una lunga autobiografia morale, di una austerità elaboratissima». Vittorio Sereni «Quell’ansia di portarsi via il cuore delle cose». Giorgio Cusatelli
ISBN 978-88-8103-785-8
€
16,00