Calzolari
Benedino Calzolari
Il mestiere di capo Essere manager, diventare leader
Benedino Calzolari, 58 anni, reggiano, dirigente e consulente aziendale, dopo una iniziale attività di responsabile del personale in azienda, è attivo in Corum ove si occupa di sviluppo delle persone e di sistemi organizzativi. Da un decennio alterna incarichi di direzione con attività di consulenza sull’organizzazione e formazione.
degli obiettivi nella loro vita professionale. Muovendo da un’analisi efficace degli aspetti tecnici e umani che sovrintendono il comando e il coordinamento di altre persone, questo manuale fornisce le indicazioni necessarie per svolgere il mestiere di leader. Programmare e coordinare il lavoro di organizza-
In questo ambito – oltre alla normale formazione d’aula,
Il mestiere di capo
Un vademecum per il nuovo capo e per tutti coloro che devono raggiungere
di cui Il mestiere di capo sintetizza un filone importante di comportamento organizzativo – produce attività di coaching (individuale e in team) e attività di consulenza organizzativa.
zioni ristrette o complesse. Analizzare ed elaborare piani finanziari lavorando con le risorse a disposizione. Saper decidere e valutare i collaboratori: queste, in sintesi, le funzioni principali del leader.
€ 18,00
D I AB A S I S
Un breviario da leggere e da tenere a portata di mano.
DIABASIS
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Questo libro è stato realizzato con il contributo di UNIECO
Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)
ISBN 978-88-8103-674-5
2009 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 info@diabasis.it www.diabasis.it
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Il mestiere di capo Essere manager, diventare leader
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Prefazione A chi e a cosa serve questo libro L’etimologia e il pregiudizio I contenuti del mestiere Parte prima ESSERE MANAGER
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1. Programmare: Anticipare la realtà La programmazione come competenza individuale del capo I programmi, frutto del pensare del capo A cosa pensare per un programma efficace
I rischi sono programmabili? In... somma
29 2. Coordinare: mettere insieme cose diverse nello stesso momento 29 Integrare la disponibilità delle informazioni 34 Disporre delle competenze delle persone 36 La gestione del tempo 39 Organizzare l’integrazione delle risorse 40 In... somma 41 41 41 44 45 46 48 52 53 54
3. Coordinare: Far fare e fare con le risorse disponibili Fare direttamente: il capo non fa… pensa Delegare è un po’ morire Decidere impoverisce: perché fa sempre perdere qualcosa
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Padroneggiare l’informazione Ampliare la valutazione Assumere la decisione Il conflitto decisionale Il passato L’angolo visuale
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55 Applicare la decisione 56 Il caso 59 59 63 63 64 64 69
4. Controllare: sapere ciò che si è fatto e come lo si è fatto Controllo dei risultati Controllo dei comportamenti Il rimprovero La lode
Valutazione della prestazione In... somma: fare il capo come manager Parte seconda DIVENTARE LEADER
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Elogio della leadership diffusa
1. Riconoscere i comportamenti delle persone per essere capaci di guidarle Le forme di leadership che conosciamo Una nuova forma: la leadership relazionale Lavorare sui collaboratori per avere “buoni collaboratori” (e qualche follower)
In... somma
83 2. Sviluppare le convinzioni: che non sono vincoli ma risorse 83 Natura e scopo delle convinzioni 84 I fattori costitutivi delle convinzioni 87 Individuare lo stadio di sviluppo di una convinzione 87 Assecondare l’apertura delle convinzioni per evolverle 88 In... somma 90 3. La motivazione: un potente motore che va alimentato, potenziato
e manutenuto 90 La motivazione è una forma di energia 91 Fattori motivanti e fattori motivazionali 93 Riconoscere i gusti musicali dei propri collaboratori 98 Utilizzare i tasti motivazionali offerti 99 Progettare il lavoro con attenzione a verità, significatività e specificità 100 Comunicare in modo dedicato 100 Dare obiettivi “ben confezionati” 101 La valutazione attenta e efficace 102 Retribuzione, non solum sed etiam 103 Partecipazione 104 Integrazione sociale 105 Apprendimento
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Soddisfazione 105 Differenza 106 107 Adeguare il profilo motivazionale di impresa 109 In... somma
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4. La valutazione delle persone Oltre i pregiudizi, per un corretto esercizio di leadership Superare i giudizi tombali
Alle persone piace essere valutate La valutazione integrata delle persone La valutazione delle competenze espresse Lo strumento per la valutazione delle competenze espresse La metodologia di valutazione Il processo di comunicazione delle competenze espresse Preparazione Dinamiche relazionali La gestione del colloquio
In... somma La valutazione del potenziale
Metodi e strumenti
135 Conclusioni 137 Ringraziamenti 139 Bibliografia
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A Lorenzo Ferrarini, il cui vivido ricordo è alimentato dalla memoria di un tragitto comune di collaborazione fertile, di stima reciproca e di affetti sinceri.
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Prefazione
Nel primo pomeriggio di un caldo giorno di giugno, mentre Pantani, staccando Tonkov, vinceva il Giro di Italia, Mauro Casoli, presidente di Unieco, non era distratto dall’avvenimento sportivo, come gli altri, che si erano concessi una breve pausa per seguire gli ultimi minuti della tappa… Appoggiato alla parete, con il suo usuale stile colloquiale, che non ti avvisa del valore di ciò che sta per dire: «Si prepara un periodo decisivo per la cooperativa», diceva, «siamo usciti dal periodo della lotta per sopravvivere e dobbiamo consolidarci... Abbiamo idee, progetti e iniziativa; non ci manca il coraggio e il gruppo dirigente ha energia e voglia...» E poi, ergendosi dalla parete, quasi a sostenere la propria visione, aggiungeva: «Costruiremo il nostro primo piano poliennale, affronteremo nuovi ambienti e consolideremo quelli abituali... Ma c’è una cosa che mi preoccupa: la nostra capacità di ragionare per complessità nuove, per modalità multidimensionali e integrative, e questo presuppone uno sviluppo rapido delle nostre capacità e competenze non solo del gruppo di direzione, ma anche di quelle cinquanta, sessanta persone che sono il nerbo della nostra impresa… È questa la vera sfida dei prossimi anni: essere capaci di far crescere le nostre persone…» Mi rammento quell’episodio, a più di dieci anni di distanza, dopo che Unieco, vincendo le proprie sfide ha dispiegato le sue potenzialità, mietuto successi e sviluppato innovazione, collocandosi tra le principali aziende di settore e arrivando al quarto piano poliennale di sviluppo. Il ricordo è legato al fatto che, da quel lontano giorno di giugno, Unieco ha dato fondo ad una straordinaria attività formativa e di sviluppo delle proprie persone. Non si può dire se ci sia una relazione di causa effetto tra la formazione e il successo di 9
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impresa; tuttavia Unieco è una impresa di successo che ha fatto della formazione delle proprie persone un must decennale. Ho avuto il privilegio e l’onore di essere parte di questo processo, non in modo esclusivo, ma importante, prima con Corum, poi con Quadir. Per essere all’altezza ho studiato, cercato di capire, progettato, adattato, applicato modi e forme di intervento formativo con una continuità pressoché ininterrotta. Da questo percorso nascono i contenuti di questo libro. Contenuti che non sono solo quello che è stato fatto in Unieco (anzi molti esempi, strumenti e mappe si riferiscono ad altre situazioni); sono stati, tuttavia, espressi e progettati in un ambito di continuità progressiva e integrativa di progetto, che l’esperienza di Unieco ha consentito di dispiegarsi nel tempo. Di questo ringrazio Mauro Casoli, capace di coniugare le affermazioni formali sullo sviluppo delle persone ad investimenti effettivi; Stefano Elisetti direttore delle risorse umane, che ha sempre avuto chiarezza delle necessità e delle utilità formative, nei momenti opportuni, senza mai disdegnare quanto di innovativo e inusuale poteva essere fatto. A chi e a cosa serve questo libro Questo libro serve a chi ha il compito di raggiungere degli obiettivi. Per ottenere questo scopo, l’organizzazione gli affida delle risorse, nella scommessa, che il valore dei risultati prodotti sia superiore al costo delle risorse consumate. Trattandosi di obiettivi diversi e di risorse differenti, c’è bisogno di coordinare la rotta verso i primi e di integrare l’uso delle seconde. Il mestiere di capo sta tutto qui. Che sia un direttore o un capo reparto, la sostanza del lavoro è la stessa. Al punto che, trattandosi infine di approcci, orientamenti, metodologie e tecniche omogenee, si può parlare di un vero e proprio mestiere. Dunque il mestiere di capo è una tecnologia di direzione che si può apprendere. Per questa ragione il libro è indirizzato a tutti coloro, che, con grande entusiasmo o controvoglia, si trovano a gestire risorse per ottenere risultati. Ottenere risultati è la tipica attività manageriale, per cui il mestiere di capo presuppone, in prima istanza, la capacità di essere manager. In realtà, ogni volta che qualcuno deve coordinare 10
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tempi, spazi, denaro e persone per raggiungere qualcosa svolge una funzione manageriale. La complicazione nasce dal fatto che tra le risorse ci sono le persone: notoriamente le risorse più costose e più facilmente deperibili, ma, senza le quali, ogni risultato è impossibile. Onerose perché, ciascuno di noi, durante l’arco della propria vita lavorativa, rappresenta un investimento del valore tra 1 e 2 milioni di euro (calcolando 40 anni di lavoro per un costo di 30-50mila euro l’anno); facilmente deperibili, perché depressioni, cali di interessi, cambi di vita, demotivazioni sono sempre in agguato, per allontanarci dal fare bene le cose che ci sono richieste. Questo è il motivo per cui non è più possibile fare coincidere il mestiere di capo col mestiere di manager; e, per cui, è necessario sì essere manager ma è sempre più indispensabile diventare leader. Diventare leader significa essere capaci di influenzare i comportamenti delle persone. Capacità lontana, però, dall’idea manipolatoria di convincere le persone; fondata, invece, sulla capacità di valorizzare, motivare, valutare le persone, non solo nei momenti naturalmente positivi dell’atteggiamento, ma anche nel gestire e sviluppare i periodi difficili, ritenendo che, comunque, le persone siano sempre una risorsa e che, perderle o deprezzarle, sia sempre uno spreco intollerabile. Questo libro, dunque, serve ad apprendere come si fa a fare il manager e come diventare leader, dando per scontato che sono parte del mestiere generale di capo, che si può apprendere. Dato che chi è capo esercita, già, gran parte dei contenuti del libro, la domanda a che cosa serve può apparire banale. In verità, l’ampiezza delle funzioni del capo fa sì che nessuno sia in grado di esercitarle contemporaneamente né che qualcuno le conosca o le applichi tutte. La risposta potrebbe essere che questo libro serve come una sorta di “borsa degli attrezzi” del capo; non contiene dissertazioni sulla natura e gli scopi del ruolo, sugli stili e sulla filosofia della funzione. Contiene, soprattutto, metodologie e strumenti. Ai quali si può far riferimento, ogni volta per parti specifiche, senza dover rileggersi tutto quanto. È un manuale operativo del capo.
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L’etimologia e il pregiudizio Mestiere e capo: termini da sdoganare. Perché desueti e contradditori, almeno in apparenza. Sembrano datati perché evocano situazioni poco attinenti con questioni di organizzazione. Il primo evoca il percorso di apprendimento artigianale , attraverso cui l’apprendista esercita una attività e, quando ritenuto esperto, si dice che possegga il mestiere. Il concetto di esperienza evocato dal termine mestiere è, inoltre, confermato dalla pratica sportiva, laddove un attaccante o un difensore di una squadra usa “il mestiere” per avvantaggiare la propria squadra con metodi non del tutto ortodossi. Mestiere deriva dal tardo latino ministerium (incarico, faccenda da sbrigare, ecc..) e è attestato dal francese antico mestier. Il secondo perché dal latino caput indica la parte più importante di un aggregato di persone, per lo più unite da pratiche e da fini comuni. Capobanda, capoclan, capomafia, capo della combriccola e altri termini simili hanno contribuito a evocare un significato negativo ad un termine abbastanza neutro.La distanza e la contraddizione dei termini derivano invece da una coriacea teoria ingenua, secondo la quale, capi si nasce e chi ha qualità di direzione lo deve al proprio carattere e a doti naturali, che la fortuna gli ha assegnato sin dalla nascita. Perciò collegarlo in qualche modo ad un processo di apprendimento sembra un paradosso, che non relaziona i due termini. In realtà se analizziamo i contenuti del mestiere ci si rende davvero conto che, in realtà, quasi nessuno è capo per doti, ma che quasi tutti possiamo aspirare a diventarlo. I contenuti del mestiere Il mestiere di capo si caratterizza per l’espressione di due capacità e di due competenze. L’abitudine ad usare, in modo indifferente, i due termini può indurre a difficoltà di comprensione. Per competenze si intende una abilità espressa nell’esercizio di una attività, specifica al contesto in cui avviene. Sembra di poter affermare che una competenza non sempre è trasferibile; d’altronde non tenere conto di questa definizione ha spesso causato problemi nell’assumere in impresa professionalità che, altrove, avevano dimostrato competenze distintive, ma che, in un contesto diverso, non sono riuscite a esprimersi 12
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agli stessi livelli. Per capacità è bene convenire che stiamo parlando di abilità che appartengono alla persona, indipendentemente dal contesto in cui si esprimono. La completa maturazione di una capacità, in genere, avviene dopo un costante e diversificato esercizio di competenze, in contesti e situazioni diverse: come a dire che l’ampiezza e la profondità di esperienza delle competenze contribuisce a determinare le capacità. Per questo, a volte accade che persone dotate di qualità manageriali non diano il meglio di sé nelle faccende familiari o nella gestione di società sportive; per la stessa ragione l’esercizio della leadership in ambienti di lavoro non garantisce che ci sia una naturale declinazione anche in situazioni più banali e meno complesse (il rapporto con amici, figli, partner, ecc.). Nondimeno, persone che hanno sperimentato tali competenze in contesti differenti per complessità, natura e livello di problematiche sono più facilmente portati a maturare una capacità che sembra una predisposizione naturale. Le competenze di un capo sono la managerialità e la leadership; le capacità sono il problem solving e la gestione dei conflitti. Possedere e esprimere queste quattro abilità configura il mestiere di capo (di questo si tratta). In questo libro vengono affrontate le competenze: managerialità e leadership.
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Parte seconda DIVENTARE LEADER
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Diventare leader
Elogio della leadership diffusa Molte, moltissime cose si sono dette, scritte e pensate sulla leadership. Colui che guida la barca rilascia una immagine eroica e da “segnato dal destino”, dipendendo molto, dal suo intuito, dalla sua preveggenza, dalla sua “magia”, superare le tempeste, affrontare pericoli e arrivare al porto, sicuri. È una immagine stereotipata e metaforica: è una immagine essenzialmente pigra. Che si alimenta di un modo di vedere la leadership, nata agli esordi della società umana e corroborata dal mito, dalla storiografia e dalla necessità di semplificazione della realtà. Di fondo la pigrizia consiste nel non voler progredire rispetto a questa immagine: il leader che, per caratteristiche naturali, per indole, per attitudine, è capace di guidare, di giungere agli obiettivi, convincendo le persone ad esse affidate. La mente corre a Cesare, Carlomagno, Napoleone, Colombo e così via. Tuttavia, la necessità di convincere le persone a compiere una impresa, ha riguardato e riguarda la capacità di influenzare efficacemente le persone ai livelli inferiori sia delle organizzazioni storiche che delle attuali imprese. Come dire che il fabbisogno di leadership è sempre stato molto alto anche nelle strutture storicamente organizzate quali eserciti, religioni, stati. Come avrebbe potuto Cesare, nella generale carenza informativa del mondo antico (arrivata peraltro fino a Napoleone e oltre) ad influenzare, motivare e spingere i propri soldati senza un esercizio di leadership diffusa da parte dei suoi centurioni? O non è forse la stessa cosa per i nostromi di Colombo, piuttosto che per i sottufficiali di Napoleone? È vero che, in tutti questi il riconoscimento della leadership da parte dei subordinati passava attraverso il riconoscimento di una superiore capacità (nel combattimento, nella navigazione, nella vision eroica), ma è sempre stato necessario connettere questa capacità con 73
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argomenti, modi e contenuti convincenti e tali da spingere le persone verso l’ignoto e il pericoloso. Questa modalità diffusa di leadership non è stata adeguatamente valorizzata, consentendo lo sviluppo di una teoria di leadership dei tratti individuali, che, da sola, non avrebbe potuto muovere masse di persone e la storia stessa. Si tratta di una semplificazione, o di una pigrizia intellettuale, e anzi, più la situazione è difficile da capire, più ci si riferisce ad un leader. Continua a funzionare così nella complessità del mondo sociale e economico, che la maggior parte ha difficoltà a capire e, per questo, si affida al “grande capo” (che ci pensi lui per me!). Ancor meglio se il grande capo ha valori, atteggiamenti e pensieri i più semplici possibili! Ma nel mondo delle imprese, funziona così? La difficoltà di delegare completamente ad altri da sé il proprio destino, sta nella situazione paradossale di fondo: le persone sono “distratte” da orientamenti personali, predilezioni e convinzioni individuali; tuttavia, l’impresa è per loro importante, non solo per la soddisfazione dei bisogni personali, ma anche perché essi sono chiamati a contribuire al successo dell’impresa direttamente, su aspetti che non sempre conoscono e con modalità che possono anche non condividere. Questo contrasto di fondo rende impossibile l’esercizio di una leadership dei tratti, della personalità fondamentale, che promana da sé ogni tanto a chiedere e ottenere delega e fiducia. È necessario invece che la leadership si diffonda, sia capace di convincere davvero sulle questioni specifiche. Si tratta di una leadership che non si occupa più di gestire le persone. Termine, invero, che trasmette un qualche significato di passività. Si parla, invece, di guidare le persone: e, per farlo, è necessario che nell’impresa ci sia una capacità diffusa di leadership; quasi una competenza professionale che sia in grado di interagire positivamente con le persone per influenzarne i comportamenti, nella direzione di successo dell’impresa. Influenzarle in maniera non manipolatoria (dicendo cose diverse dalla realtà per ottenere il consenso) ma attraverso quattro modalità, che rappresentano i contenuti della leadership diffusa: - Riconoscere i comportamenti delle persone; - Sviluppare le convinzioni; - Motivare; - Valutare. 74
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1. Riconoscere i comportamenti delle persone: per essere capaci di guidarle Le forme di leadership che conosciamo Una delle più urgenti necessità di qualsiasi organizzazione è di poter fare conto su una qualità elevata dei collaboratori. È urgenza di massa critica, a fronte della complessità, disporre di risorse attive dal punto di vista del comportamento e qualitative dal punto di vista del contributo di pensiero. Non è solo questione di clima, etica e motivazione. È maggior valore aggiunto, fenomeno olistico, più generazione di efficacia. Perciò conoscere bene i propri collaboratori è il primo obiettivo della leadership. Quali sono quelli su cui poter contare? E come cambiano gli atteggiamenti, quando credo di conoscerli? E su che cosa deve lavorare il leader per orientare gli atteggiamenti verso una modalità produttiva? La leadership dei tratti (ma anche quella situazionale), si è sempre basata sul focus relativo al leader. Studiare i tratti fondamentali della leadership o essere capaci di adattare gli stili di leadership a seconda delle situazioni è sembrato essere la direzione giusta per il capo. Nel primo caso si trattava di emulare un modello di leadership efficace, farlo proprio e eventualmente diffonderlo nella organizzazione. Nel secondo caso occorre che il capo, valutata la maturità del collaboratore rispetto ad un compito affidato, possa sviluppare diversi stili di leadership: - Direttivo, se il collaboratore non è molto affidabile e è quindi necessario un controllo ravvicinato; - Affiliativo, se c’è da convincere il collaboratore che il suo lavoro fa parte del lavoro di un gruppo; - Coach, se c’è da migliorarne le capacità, essendo disponibile ma ancora non capace; - Democratico, se il collaboratore è capace e disponibile e interagisce col leader. Nell’esecuzione dei due stili (pur diversi fra di loro), c’è un elemento comune: l’assoluto ineffabile e improduttivo disinteresse per le caratteristiche, gli atteggiamenti e i comportamenti del collaboratore. La novità vera della leadership diffusa è il ruolo centrale che assume il collaboratore, nell’esercizio della leadership. Tanto che potremo parlare
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di leadership relazionale, essendo la relazione tra leader e collaboratore il centro dell’interesse. Una nuova forma: la leadership relazionale È necessario innanzitutto riconoscere che tipo di collaboratore il leader si trova di fronte, in modo da avere costantemente un censimento sulla varietà delle persone affidate; o anche sul variare degli atteggiamenti della stessa persona. E per farlo occorre partire dalla considerazione che, nella relazione col capo, ogni collaboratore svolge alcune funzioni fondamentali. - Offre supporto: aiuto e collaborazione a fronte di difficoltà e imprevisti; - Solleva questioni: questioni, relative al compito, all’attività e agli obiettivi, che non sono ben evidenziate; - Assume iniziativa: disponibilità di mettere a disposizione energia personale per risolvere le questioni; - Informa: trasmissione di elementi utili alla buona riuscita del lavoro; - Consiglia: suggerimenti su opportunità o questioni inerenti il lavoro; - Contrasta: opposizione al capo quando ritiene che stia sbagliando. - Feedback: informazioni di ritorno sul risultato e sul proprio comportamento. È interessante notare, che, nella relazione capo-collaboratore, queste funzioni vengono sempre attivate, perché formano la relazione stessa. Quindi non dobbiamo cercarne l’esistenza, quanto misurare il grado di espressione. Il diverso grado, infatti, viene commisurato a seconda dell’intensità delle qualità personali del collaboratore stesso, vale a dire: - Coraggio: audacia nell’esporsi; - Senso di responsabilità: disponibilità a farsi carico delle situazioni; - Iniziativa: autonomia nel desiderio di fare. Nello schema seguente sono collegate le azioni del collaboratore e la qualità richiesta. Non solo, ma, descrivendo, operativamente, l’intensità delle funzioni, a seconda del grado di espressione delle qualità personali, si ottiene una mappa più evoluta, rappresentante l’universo degli atteggiamenti di un collaboratore col proprio capo. 76
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FUNZIONI DEL QUALITÀ COLLABORATORE PERSONALE VERSO IL CAPO DEL COLLABORATORE
GRADO DI ESPRESSIONE DELLA QUALITÀ PERSONALE NELLA FUNZIONE
Offre supporto
Coraggio Casualmente
Mai
Assume iniziativa
Iniziativa
È attivo a sua discrezione
Si na- È attivo È attivo. Si attiva scon- se richie- quando sulla de sto ha un questione, obiettivo progetto, chiaro problema non su stimolo del leader
Solleva questioni
Coraggio
Solleva questioni anche non inerenti
Evita Solo Se richie- Anche sem- questioni sto di un se non pre stimolate parere richiesto dal leader
Informa
Iniziativa
Informa a suo piacimento
Consiglia
Senso I suoi consi- Quan- Offre consigli responsa- gli rigurdano do richie- poco difbilità la sfera sto formi dal intellettuale leader
Contrasta
Coraggio
I suoi contrasti sono teorici, etici, metodologici
Mai
Tace
Feedback dal leader
Iniziativa
Non cerca
No
Sollecita feedback positivi
Quando costretto
Sempre
Ha Quando volontà a necessita fronte di richiesta
Informa Informa Ricerca per quel per quel infromache piace che zioni per al leader conosce conto suo Offre consigli anche difformi dal leader
Dà sempre consigli sul piano della questione
Esprime pareri diversi
Pur con pareri diversi opera sul parere del leader
Non dà Costantetroppa mente importanza al feedback
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Ad esempio: il collaboratore nella funzione “consiglia” può avere cinque atteggiamenti: - esprime consigli molto complessi, relativi a fenomeni ampi; - esprime consigli quando richiesto; - esprime consigli su ciò che preferisce; - esprime consigli solo su ciò che conosce; - esprime consigli privilegiando l’angolo visuale della questione. Sulla funzione “consiglia” è il diverso grado del senso di responsabilità, che produce i cinque atteggiamenti. E così, per ognuna delle funzioni... Si formano 35 possibili atteggiamenti, che possono essere letti in due modi: - Per colonna: e allora avremo identificato cinque tipologie di collaboratori, identificabili con cinque denominazioni generalizzanti, ma che riassumono l’idea dell’atteggiamento; - Per riga: e avremo tutte le declinazioni possibili degli atteggiamenti di un collaboratore, rispetto alle funzioni da svolgere. Lo schema ci offre, dunque, la possibilità di identificare cinque possibili atteggiamenti dei nostri collaboratori; sia che si identifichino sempre con la colonna, sia che, al contrario e più realisticamente, ogni tanto assumano atteggiamenti diversi: Disperso, Yes Man, Buon Collaboratore, Follower.
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FUNZIONI DEL COLLABORATORE VERSO IL CAPO
QUALITÀ PERSONALE DEL COLLABORATORE
GRADO DI ESPRESSIONE DELLA QUALITÀ PERSONALE NELLA FUNZIONE Filosofo
Disperso Yes man Buon colla- Follower boratore
Offre supporto
Coraggio Casualmente
Mai
Sempre
Assume iniziativa
Iniziativa
Solleva Questioni
Coraggio
Informa
Iniziativa
Consiglia
Senso I suoi consi- Quan- Offre conresponsa- gli rigurdano do sigli poco bilità la sfera richie- difformi intellettuale sto dal leader
Contrasta
Coraggio
I suoi contrasti sono teorici, etici, metodologici
Mai
Feedback dal Leader
Iniziativa
Non cerca
No
Ha Quando volontà a necessita fronte di richiesta
È attivo a Si na- È attivo È attivo. Si attiva sua discre- sconde se richie- quando sulla zione sto ha un questione, obiettivo progetto, chiaro problema non su stimolo del leader Solleva que- Evita Solo Se richie- Anche stioni anche sempre questioni sto di un se non non inerenti stimolate parere richiesto dal leader Informa a suo piacimento
Quan- Informa Informa Ricerca do co- per quel per quel infromastretto che piace che cono- zioni per al leader sce conto suo
Tace
Offre consigli anche difformi dal leader
Dà sempre consigli sul piano della questione
Esprime Pur con pareri pareri didiversi versi opera sul parere del leader
Sollecita Non dà Costantefeedback troppa im- mente positivi portanza al feedback
Ciascun profilo è descritto in modo assoluto e il valore dell’operazione sta nell’avere una mappa completa, esaustiva e esauriente dei 79
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possibili atteggiamenti del collaboratore; ma è evidente che, nella prassi, ciascun collaboratore può saltare da una colonna all’altra, ogni tanto. Leggere la mappa ci permette di riconoscerne gli atteggiamenti e, di conseguenza, di intervenire in modo adeguato. Ma, vediamo come sono le caratteristiche dei nostri tipi e, soprattutto, su che cosa intervenire, da parte del capo, per evolvere i dispersi, i filosofi e gli yes man verso i buoni collaboratori e su cosa spingere per fare dei follower da qualche buon collaboratore. Lavorare sui collaboratori per avere buoni collaboratori (e qualche follower)
Gli atteggiamenti del Filosofo indicano che: - È estraneo alla dinamica relazionale, che tende a sottovalutare rispetto alla qualità delle proprie opinioni; - Quando esprime questo atteggiamento l’organizzazione perde in efficienza e focalizzazione; - Ha necessità di riposizionarsi rispetto al lavoro e alle relazioni. Il capo per spingerlo verso il Buon collaboratore deve lavorare sul piano della qualita’ delle relazioni della persona col gruppo. Gli atteggiamenti del Disperso indicano che: - Poco dinamico e poco critico, ha forti contrasti e mostra pochi interessi per rimanere nella organizzazione; - Pochi sono sempre dispersi (il che comporterebbe problemi seri); - Quando il collaboratore esprime questo atteggiamento prevale l’inefficacia. Il capo deve lavorare sul piano della gestione della conflittualità. Chi è Yes man: - Ha paura di non essere accettato dal leader; - Quando prevale questo atteggiamento, il contributo del collaboratore è nullo o nocivo per il gruppo, spinto al group think; - Lo yes man deve riposizionarsi sul piano del pensiero critico; - Pochi sono sempre e solo yes man. Il capo deve rimuovere la paura di non essere accettato, lavorando sul piano della sicurezza emotiva.
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Avere Buon collaboratore è una fortuna e un privilegio. - Le qualità del buon collaboratore aiutano la leadership. - Sono di stimolo agli altri. - Soddisfano le persone. Per mantenere i Buoni collaboratori, il capo deve lavorare sul piano della percezione di equità fra contributi del buon collaboratore e ricompense ricevute, attraverso una alta capacità di relazione/comunicazione a due vie. Con qualcuno di loro il capo può spingersi oltre e evolvere alcuni buoni collaboratori in ruoli, che si autodefiniscano in relazione al leader, quasi in una sorta di specularità che toglie al leader la necessità di stimolarli. Tali nuove figure si definiscono Follower. Il Follower è colui che segue il leader, nel senso empatico di ruolo più che di simpatia personale. - Ha autonomia, coraggio e iniziativa, senza confini. - Ha senso di responsabilità entro i confini definiti dal leader. - È possibile diventare follower solo se si è un buon collaboratore. - Rappresenta l’altra faccia della leadership, rafforzandola. Per avere veri follower, il capo deve avere una elevata capacità di intelligenza emotiva, per ammettere contrasti, iniziativa e coraggio del follower, senza mai intaccare il piano delle relazioni personali. IL LAVORO DEL CAPO PER LO SVILUPPO DEI COLLABORATORI BUON COLLABORATORE DISPERSO
GESTIONE CONFLITTUALITÀ: legittimità interessi e risorse emotive
FILOSOFO
QUALITÀ DELLE RELAZIONI: ascolto attivo, feedback, Johari
YES MAN
BUON COLLABORATORE
FOLLOWER
SICUREZZA EMOTIVA: ruolo nel gruppo e gestione della relazione INTELLIGENZA EMOTIVA: gestione di sè nella relazione complessa
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Una serie di esempi possono aiutare. Se mi trovo di fronte un atteggiamento da yes man, la qualità del capo è di rassicurazione sul ruolo nel gruppo, dove è apprezzata, richiesta e stimolata la criticità del pensiero; a fronte del quale, l’eventuale non condivisione è ritenuta dal gruppo un valore costruttivo e non ne consegue una valutazione negativa di chi l’ha espresso, che va salvaguardato, da questo punto di vista, dal leader. Se mi trovo di fronte un atteggiamento da disperso: il capo identifica con lui gli interessi non soddisfatti, che hanno spinto la persona verso l’atteggiamento negativo e li ammette senz’altro; scopre con lui le risorse emotive spese dal disperso intorno a quell’interesse non soddisfatto. Valuta insieme a lui se l’interesse è legittimo per l’organizzazione e se è tale, valuta come gestirlo. Se qualcuno esprime un atteggiamento da filosofo: il capo lavora sulla sua collocazione nella relazione con gli altri, dove con feedback e illuminando il suo comportamento, con l’ascolto degli altri, aumenta la qualità del suo livello relazionale con il gruppo. Per continuare ad avere buoni collaboratori, il leader non deve sottovalutare la comunicazione costante, per poter capire, in tempo, situazioni di iniquità percepita e mantenere alto il livello relazionale, fatto di disponibilità, competenza e motivazione. Se voglio crearmi un follower, come capo devo essere disposto ad essere contrastato, supportato e consigliato a sua discrezione e in autonomia; devo sapere se sono capace di reggere e se non lo sono devo gestirmi per poterlo essere. In... somma Il primo passo del leader è sapere con chi ha a che fare. Non accontentarsi di una generale e sommaria valutazione delle persone; ammettere che occorre riconoscerne gli atteggiamenti, prima che si manifestino nei comportamenti. Per evitare inefficienze, difficoltà di comprensione e la gestione del gruppo in modo indifferenziato, ma poco efficace. Ricordarsi che le persone cambiano, e anche rapidamente. Oggi buoni collaboratori, domani filosofi o dispersi. In parte o su qualche argomento, per qualche ragione, nota o ignota, ma ben presente nelle loro valutazioni. Riconoscere i propri collaboratori non è un esercizio una tantum, ma deve essere una tensione costante, perché solo in questo modo i processi di influenzamento, motivazione e valutazione hanno possibilità di diffondersi. 82
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2. Sviluppare le convinzioni, che non sono vincoli, ma risorse Natura e scopo delle convinzioni Per modificare gli atteggiamenti, e di conseguenza i comportamenti dei propri collaboratori, occorre che il capo sia in grado di modificare le convinzioni delle persone. Gli atteggiamenti negativi sono frutto di convinzioni. Il disperso è certo di aver subito un torto e confligge. Il filosofo crede di essere superiore. Lo yes man è convinto che la verità lo porterà alla rovina. Ma anche gli atteggiamenti positivi sono tali: Anche il buon collaboratore è convinto che un atteggiamento attivo sia il giusto contributo. Così come il follower è convinto che un ruolo proattivo sia vantaggioso per il capo e per il gruppo. Il processo di influenzamento delle persone, che interagiscono col capo, è la chiave di successo e la misura delle capacità di ogni leader. Convincere le persone richiede energia, ma le persone convinte producono una forte tensione positiva. Ma come si fa a convincere le persone? Il primo elemento da sottolineare è che le convinzioni sono utili e necessarie alla interpretazione della realtà per ciascuno di noi. Il tema, quindi, non è avere persone senza convinzioni. Il problema riguarda la natura e la caratteristica della convinzione. La prima definizione di convinzione è che si tratta del risultato di un processo di semplificazione della realtà, sulla base del quale ciascuno di noi si crea un modello della realtà stessa. Il fatto di disporre di un modello produce due consistenti effetti al modello stesso: 1. Lo semplifica ulteriormente e costantemente, dato che ogni ulteriore esperienza conferma e non mette in discussione. Non aumenta la complessità, ma si semplifica la struttura. 2. Ne rafforza la solidità, dato che essendo il modello una costruzione personale non si è disponibili a modificarlo facilmente, dietro la spinta di altri stimoli, diversi da quelli a cui abbiamo conferito valore.
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La semplificazione della realtà aiuta a sopportare e organizzare la miriade di stimoli percettivi, sensoriali e intellettuali, che arrivano in ogni momento. Possiamo definire i processi di semplificazione della realtà come percorsi di generalizzazione, deformazione e cancellazione. Vale a dire, di fronte ad un fenomeno cognitivo, ciascuno di noi lo traduce, tendenzialmente, nel suo modello di realtà semplificato. - Se dal fenomeno particolare si risale ad una convinzione generale si tratta di una generalizzazione; - Se nella trasposizione dell’esperienza ne trascuro alcune parti, per confermare la mia convinzione, si tratta di cancellazione; - Se modifico parti del fenomeno, per non squilibrare la mia convinzione, si tratta di distorsione. Questi modelli cognitivi della realtà non sono immutabili, perché, durante la vita di una persona, la diversità, la forza e la intensità della realtà è più forte della solidità delle convinzioni. In effetti, solo gli immaturi difendono le proprie convinzioni a fronte della evidenza dei fatti! Il cambiamento e l’evoluzione della convinzione è, dunque, anche un processo naturale che accompagna la crescita, la maturazione e la valorizzazione di una persona. Dunque, se le convinzioni sono modificabili è utile conoscerne i fattori costitutivi per essere in grado di stimolare e influenzare questo processo da parte del capo, quando diventi necessario evolvere atteggiamenti e comportamenti dei propri collaboratori. I fattori costitutivi delle convinzioni La parte più nobile delle convinzioni sono i Valori. Per quanto non sembri vero, anche i valori tendono a modificarsi nel tempo. Basta chiedersi se, per un cinquantenne, i valori fondanti della vita siano gli stessi di quando aveva venti, trenta o quaranta anni. Se sono gli stessi o sono valori di una realtà immobile (e inesistente) o c’è stato un totale irrigidimento del percorso di maturazione della persona. I valori restano comunque come il livello più alto delle intenzioni della persona, rispetto ai quali definisco il mio modello di interpretazione della realtà. Ad esempio se uno dei miei valori fondanti è che l’impegno sul lavoro sia determinante per le persone… sono orientato 84
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a produrre un modello cognitivo che: - Generalizza: tutti quelli che si impegnano sono da premiare. - Cancella: tralasciamo gli errori, approvo l’impegno. - Distorce: non mi importa se sbagli, conta l’impegno. Il secondo elemento che determina i modelli è l’interpretazione della esperienza di realtà. Come per le informazioni, una esperienza limitata all’individuo tende a restringere e irrigidire molto il modello di semplificazione. Al contrario acquisire e valorizzare le esperienze di altri, di gruppi o di culture diverse aiuta a rendere aperto e ampio il modello cognitivo. Conta molto l’impegno, ma altre esperienze mi inducono a valorizzare la precisione, in certe fasi del lavoro. Non ci avevo pensato ma in effetti è meglio che l’impegno sia accompagnato, o anche ridotto, a favore della precisione. Vedremo in effetti, che nel processo di influenzamento è soprattutto su questa parte che il capo deve far leva. C’è una specie di relazione verticale tra esperienza di realtà e valori, che passa attraverso il seguente parziale modello cognitivo. VALORI
CONVINZIONI Generalizzazioni, Cancellazioni, Distorsioni
ESPERIENZA
Come dire che, l’esperienza amplia, riduce o conferma il modello cognitivo e modifica i valori, i quali, a loro volta modificati, cercano nel modello una loro conferma dalla esperienza. Ma il modello cognitivo è anche attraversato, per così dire, in senso orizzontale. 85
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Perché nella determinazione delle convinzioni sono importanti due ulteriori fattori: i filtri della attenzione e le aspettative. I filtri della attenzione sono i fattori su cui la persona, in quel particolare momento della sua esistenza, incentra il massimo della propria attenzione Sono ragioni del tutto personali, che spingono le persone ad avere un focus ora sulla carriera, dopo alcuni anni sul proprio benessere, dopo ancora sul tempo libero o su altri fattori. Tali centri di attenzione sono veri e propri filtri di attenzione per ciascuno, perché capaci di orientare i valori, i modelli e le esperienze per una ricerca della loro soddisfazione. Per questa ragione, e in relazione orizzontale con essi, ci sono le aspettative che ciascuno ha nei confronti di tali filtri. Aspettative che possono essere molto diverse l’una dall’altra sia in termini di priorità che di tipo di soddisfazione. Per continuare nell’esempio di prima, dopo aver ammesso tra i miei valori, come prioritario, l’impegno sul lavoro, insieme alla precisione, tendo a collegare questo modello al fatto che impegnandomi potrei fare carriera, in quanto le mie aspettative, in questo momento della mia vita, sono riferite alla crescita professionale e personale , formalmente riconosciuta dalla organizzazione. L’incrociarsi simultaneo e costantemente in relazione di questi fattori determina la convinzione, che, dunque, è così rappresentabile: VALORI
FILTRI
CONVINZIONI Generalizzazioni, Cancellazioni, Distorsioni
ASPETTATIVE
ESPERIENZA Fonte: adattato da DILTS, Il potere delle parole, cit.
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Individuare lo stadio di sviluppo di una convinzione Le persone maturano più di una convinzione contemporaneamente, anche se a diversi stadi di maturazione (qualcuna più solida, altre in declino, qualcuna che si sta sviluppando). Quando il capo si trova a dover affrontare il cambiamento di una convinzione di un proprio collaboratore ha la necessità di individuare innanzitutto lo stadio di sviluppo. Se la persona è molto focalizzata sulla relazione Valori-Esperienza, quasi che ci sia una costante reciproca conferma, è sicuramente una convinzione solida. In effetti interpreto le esperienze per la conferma dei valori e, al contrario, i valori mi servono per interpretare l’esperienza. La solidità è data dalla chiusura di questo cerchio , che sembra non avere aperture. Quando prevale la relazione Centro Attenzione-Aspettative, la convinzione si avvia ad aprirsi a modificarsi, in quanto si apre a valori e esperienze diverse. I valori personali e le esperienze dirette sono verificate alla luce di valori e esperienze diverse: di conseguenza la convinzione tende a diventare una convinzione aperta. Assecondare l’apertura delle convinzioni per evolverle Il leader, riconosciuto il posizionamento della convinzione , può operare per portarla allo stadio della apertura , trasferendola dall’asse valori-esperienze a quella centri di attenzione-aspettative, utilizzando tre diverse metodologie. Ampliare le esperienze: occorre valorizzare le esperienze di altri sullo stesso tema oggetto della convinzione: la formazione, in particolare il coaching e il mentoring aiutano molto ad ampliare le esperienze; lo studio approfondito offre ancora maggiore apertura; infine sperimentare direttamente esperienze diverse, occupando ruoli diversi nella stessa organizzazione. Valutare la persona: un effetto indiretto di sviluppo delle convinzioni è il processo valutativo. La valutazione valorizza comportamenti e/o risultati che sono difformi rispetto alle convinzioni della persona e dimostra quanto la solida convinzione sia inadeguata per il soddisfacimento delle sue aspettative. Far coincidere i fattori motivanti delle persone con le leve motivazionali del capo: si tratta, in questo caso, di dare una grande visibili87
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tà al fatto che una persona abbia spinte verso il soddisfacimento di aspettative e che questa disposizione sia soddisfatta dal sistema motivazionale aziendale. Quando questa condizione si realizza, l’asse portante delle convinzioni della persona diventa la relazione molto aperta (perché si modifica ) e molto dinamica (perché è un processo costante) tra centro attenzione e aspettative. Per chiarire quanto sopra e riutilizzando l’esempio possiamo citare il caso in cui il nostro collaboratore convinto che solo l’impegno paghi abbia necessità di modificare questa convinzione in favore della precisione. Il capo lo inserisce in un programma formativo dove chi ha già occupato il suo ruolo gli racconta situazioni di insuccesso e di successo legate all’impegno e alla precisione (mentoring). Successivamente tra i fattori comportamentali della valutazione, il capo inserisce un peso ponderale superiore alla precisione che all’impegno; infine se il collaboratore ha una aspettativa di qualifica il capo chiarisce che il centro della sua attenzione dovrà essere sempre più la precisione. Alla fine, però, questi processi, pur essendo necessari, non sono sufficienti se il capo non è in grado di mantenere costante il processo di apertura delle convinzioni, con la qualità del livello relazionale. Il livello relazionale è alto se la comunicazione è costante; se l’attenzione del capo è rivolta ad identificare irrigidimento nelle convinzioni personali; la fluidità della relazione si basa soprattutto sul fatto che i valori e le esperienze devono sempre essere sottoposte a verifica costante. L’errore più comune è cercare di modificare le altrui convinzioni o, peggio ancora, farle sospendere con l’aiuto dell’autorità che deriva dal ruolo. Sembra la strada più rapida «non importa come la pensa, l’importante è che faccia ciò che dico»; in realtà , il risultato sarà sempre minimo, prodotto senza entusiasmo e partecipazione e, costantemente, a rischio di errore o di dover essere rilavorato. In... somma Lavorare sulle convinzioni è altra cosa dall’esercizio di autorità o dalla manipolazione psicologica, facendo credere alle persone che hanno convinzioni sbagliate e surrogandole con le proprie; si tratta, invece, di avere costante comunicazione, per elevare la qualità della relazione, da arricchire con fattori nuovi, che mantengano aperta la 88
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Diventare leader
convinzione, senza doverla, per forza annullare o modificare. Sembra una attività molto faticosa. In realtà, è il nocciolo della leadership. La difficoltà nel lavorare sulle altrui convinzioni è che la modificazione deve essere convincente e duratura, non episodica e funzionale ad uno specifico momento. D’altronde è sufficiente chiedere a qualsiasi capo quale differenza di efficienza e di produttività esiste tra avere collaboratori convinti e collaboratori da convincere. La risposta supera l’apparente fatica.
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Il volume viene stampato nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia per conto di Diabasis nel mese di dicembre dell’anno duemila nove
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