Theodor W. Adorno (1903-1969) – filosofo, musicologo, sociologo e critico letterario – è stato tra i fondatori, con Max Horkheimer e Herbert Marcuse, della Scuola di Francoforte. Negli anni Trenta ripara negli Stati Uniti a seguito dell’ascesa del nazismo, fenomeno che rimarrà al centro della sua riflessione sulla crisi della modernità. Tornato in Germania all’inizio degli anni Cinquanta, diventa uno degli ispiratori del pensiero critico dei decenni successivi. All’elaborazione di una teoria dialettica della società moderna e contemporanea, e delle forme espressive di soggettività – di «vita offesa» – che essa dispiega, ha dedicato testi ormai classici quali Dialettica dell’illuminismo (con Horkheimer, 1947), Minima moralia (1951), Dialettica negativa (1966), e il postumo Teoria estetica (1969).
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«L’individuo sembra ormai condannato a potersi mantenere in vita soltanto
LA CRISI DELL'INDIVIDUO
Theodor W. Adorno
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Theodor W. Adorno
LA CRISI DELL'INDIVIDUO A cura di Italo Testa
a patto di abdicare alla sua individualità, di cancellare i confini dell’ambiente, di rinunciare a una parte consistente della propria autonomia e indipendenza. In ampi strati della popolazione non esiste più alcun “io” in senso tradizionale» DIABASIS la ginestra
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Italo Testa insegna Storia della filosofia politica presso l’Università di Parma. Si è occupato di filosofia classica tedesca, teoria critica e neo-pragmatismo. Tra le sue pubblicazioni: Hegel critico e scettico (2002), Teorie dell’argomentazione (2006), Ragione impura (2006), Lo spazio sociale della ragione (2009), La natura del riconoscimento (2010).
La crisi del liberalismo e della famiglia borghese, gli esperimenti totalitari del nazionalsocialismo e del capitalismo di stato sovietico, l’avvento della società di massa e dell’industria culturale sono per Theodor W. Adorno momenti di una grande trasformazione, destinata ad abbattere la struttura psicologica tradizionale del soggetto autonomo. La disarticolazione dell’esistenza singolare è così la chiave per decifrare le patologie sociali del presente e per delineare i tratti del nuovo tipo umano in formazione. Gli scritti qui raccolti – saggi, abbozzi e frammenti inediti composti tra il 1940 e il 1954 – documentano come le meditazioni di Adorno sulla crisi dell’individuo e sulla distruzione dell’esperienza si intreccino con il progetto di una «nuova antropologia» che faccia i conti con la metamorfosi biopolitica in atto. Nel mondo delle grandi organizzazioni i dispositivi di amministrazione della vita plasmano sempre più dall’interno il soggetto sin nel suo elemento naturale. Di tale mutazione è segno la centralità del corpo nudo che si manifesta in fenomeni diversi ma convergenti quali l’estetica mortuaria del fascismo, la fisicità anestetizzata del cinema, l’igiene sportiva di massa. Ma questo profondo rivolgimento non comporta solo la liquidazione della vecchia forma di vita e della struttura monadica dell’io. La crisi è anche l’occasione per un ripensamento ex novo dell’individualità sia nel suo potenziale critico – quale pietra d’inciampo e momento di resistenza al dominio – sia nel suo ruolo creativo di forme inedite di azione solidale.
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Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Cariparma
Si ringraziano Anna Zaniboni e l’Archivio Carlo Mattioli di Parma per la gentile collaborazione In copertina Ginestre di Carlo Mattioli Individuum und Gesellschaft. Entwürfe und Skizze, Gesellschaft. Erste Fassung eines Soziologischen Excurses, Über das Problem der individuellen Kausalität bei Simmel, Die verwaltete Welt oder: die Krisis des Individuums Traduzioni di Francesco Peri Individuum und Staat Traduzione di Italo Testa Individuum und Organisation Traduzione di Alessandro Bellan
ISBN 978 88 8103 686 8 © 2010 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it info@diabasis.it
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LA CRISI DELL’INDIVIDUO A cura di Italo Testa
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La crisi dell’individuo
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Sub specie individuationis. Amministrazione della vita e ‘nuova antropologia’ in Adorno, Italo Testa
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Sul problema della causalità individuale in Simmel
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Individuo e società. Abbozzi e frammenti
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Il mondo amministrato, o la crisi dell’individuo (con M. Horkheimer e E. Kogon)
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Individuo e organizzazione
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Individuo e stato
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Società. Prima stesura di una delle Lezioni di sociologia
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Questa raccolta
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Sub specie individuationis. Amministrazione della vita e ‘nuova antropologia’ in Adorno Italo Testa
1. Punto focale della teoria critica della società, la riflessione sull’individualità s’intreccia con la genesi delle opere maggiori della scuola di Francoforte a cavallo tra l’inizio degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, illuminandone gli snodi teorici e i detour decisivi. Gli scritti qui presentati, in particolare, raccogliendo per la prima volta in un solo volume il corpus di saggi, abbozzi e frammenti sull’individuo composti da Theodor W. Adorno tra il 1940 e il 19541, lasciano cogliere il ruolo chiave giocato da quest’ultimo nel riorientamento sub specie individuationis del programma teorico elaborato assieme a Max Horkheimer nella «decade produttiva» degli anni dell’esilio americano dell’Istituto per la ricerca sociale2: periodo che avrebbe condotto, tra il 1942 e il 1944, alla stesura a due mani dei Frammenti filosofici, successivamente pubblicati con il titolo Dialettica dell’illuminismo (1947), e quindi, nella seconda metà degli anni Quaranta, alla prosecuzione in solitario, da parte di Adorno, dell’impresa comune, con la composizione dei Minima Moralia, pubblicati infine nel 1951, due anni dopo il ritorno in Germania. Gli inediti adorniani degli anni Quaranta, in particolare, inquadrano nella prospettiva dell’individualità il problema del metodo della teoria sociale (§ 2) e quindi della definizione del suo punto di vista normativo, consentendo inoltre di riscoprire il programma, successivamente abbandonato, di una «nuova antropologia» (§ 3), e di leggere in questa luce il nesso sistematico tra la Dialettica dell’illuminismo e i Minima moralia (§§ 4 e 5). Gli inediti dei primi anni Cinquanta, poi, emergendo dai cantieri di quest’ultima opera, per-
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mettono di apprezzare come la questione della crisi dell’individuo borghese nel mondo amministrato sia rimasta per Adorno il nodo centrale per la messa a punto di un modello di teoria critica quale diagnosi delle patologie sociali della modernità e dei suoi dispositivi biopolitici di amministrazione della vita (§ 6). Questa crisi è infine l’occasione non per la liquidazione, bensì per il ripensamento ex novo dell’individualità sia nel suo potenziale critico-negativo – quale nucleo di opposizione e resistenza al dominio – sia nel suo nesso emancipativo con la categoria della solidarietà (§ 7). 2. Negli scritti filosofici dei primi anni Trenta3 Adorno aveva espresso una visione del metodo filosofico quale Deutung, nel senso di una ermeneutica che, richiamandosi a Freud in funzione contrastiva rispetto all’ermeneutica esistenziale di Heidegger, procedesse materialisticamente alla decifrazione di figure e costellazioni di senso nelle disjecta membra di una realtà sociale disgregata e frammentaria4. Adorno iniziava così a delineare il modello di una teoria sociale non esplicativa, che non punta a una spiegazione causale della realtà, ma prende invece la forma di una fisiognomica delle forme di vita capitalistiche e delle sofferenze psico-somatiche ad esse connesse5. La critica materialistica della società moderna reificata si richiamava così sia al procedimento micrologico del pensiero per costellazioni dell’amico Walter Benjamin, sia – attraverso quest’ultimo – a una lettura, già al di fuori delle coordinate neokantiane, del procedimento idealtipico di Weber. Il metodo dell’elaborazione di idealtipi esemplari che possano raggruppare in modo nuovo e rendere raffigurabili, intuibili nella loro singolarità, fenomeni eterogenei della realtà sociale contemporanea, trova una messa a punto teorica importante nella conferenza Sul problema della causalità individuale in Simmel (1940), tenuta nell’ambito del seminario sociologico della Columbia Uni-
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versity di New York due anni dopo l’arrivo di Adorno nella metropoli statunitense. Il contributo di Simmel a una «gnoseologia delle scienze sociali» si gioca per Adorno proprio sul terreno dell’individualità (questo volume, p. 40). La «causalità individuale» – intesa fondamentalmente da Adorno quale idea dell’autonomia e della spontaneità della persona – è colta qui quale idealtipo della teoria sociale. Nella concezione simmeliana della causalità individuale quale possibilità logica che non si applica ai fenomeni empirici, Adorno valorizza, al di là del paradosso della formulazione, il motivo di una teoria sociale che non procede con spiegazioni causali sulla falsariga della scienza naturale, ma che piuttosto, intendendo raffigurare la legge individuale dei fenomeni, è volta a decifrare «nessi di significato» esemplari la cui legalità immanente si radica nella «sfera della nostra esperienza dell’individuo umano» (p. 44). L’individualità, dunque, non andrà intesa quale principio causale esplicativo – giacché essa potrebbe spiegare causalmente la storia solo se gli uomini fossero liberi, quali di fatto non sono, essendo sottoposti al dominio –, ma piuttosto nel senso di una «idea regolativa» (p. 51), come una possibilità che resta da realizzare, e che proprio per questo consente di raffigurare e criticare come patologiche quelle deformazioni della società contemporanea che ne ostacolano il dispiegamento. Attraverso questa interpretazione, che dovrebbe sciogliere dialetticamente le aporie di Simmel, Adorno installa così l’individualità quale condizione di possibilità della teoria critica6, giacché è in riferimento a essa che determinati fenomeni sociali possono essere raffigurati teoricamente e criticati quali sue negazioni da abolire7. Ma Simmel è anche il pensatore che per Adorno avrebbe «raggiunto il confine ultimo dell’individualismo e indicato problemi che non possono essere risolti con categorie individualistiche, ma senza riuscire a oltrepassare davvero le limitazioni del punto di vista dell’individualità accidentale» (p. 49). Simmel è dunque il pensatore che, facendo saltare dall’in-
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terno il nucleo ideologico della concezione borghese dell’individuo che con i suoi presupposti atomistici inficiava le scienze dello spirito, aspira, pur senza riuscirvi, a formulare una teoria sociale che unisca momento sociale e momento individuale. Peraltro la critica della forma falsa e ideologica dell’individualismo – del punto di vista dell’«individuo accidentale» – non mira a liquidare la categoria di individualità, bensì a ripensarla ex novo, liberandone il potenziale emancipativo dai limiti imposti dalle forme correnti di organizzazione che fanno perdurare il contrasto tra gruppo sociale e individuo. La finalità emancipativa della teoria sociale, così, si precisa quale dispiegamento in forma sociale di potenziali individuali altrimenti bloccati e sfigurati. L’eredità di Simmel che Adorno si fa carico di ripensare, infine, non riguarda solo la dimensione critica e il potenziale emancipativo della categoria di individualità, ma investe anche il problema del punto di vista normativo della teoria critica. Quest’ultimo, infatti, si riflette nella prospettiva utopica dell’individuazione completa, cui l’idea di causalità individuale, proprio in quanto tenuta ferma quale possibilità ancora tutta da realizzare, rinvia, e che Adorno si sforza di afferrare nella formula hegeliana del «vero individuo» quale «vero universale» (p. 52). 3. È nel quadro di una diagnosi epocale che l’ipotesi problematica di Simmel viene discussa da Adorno, al di là delle sue difficoltà teoriche, quale espressione della «situazione odierna» e delle patologie dell’individualità a essa connesse. In questo approccio le nozioni di «individualità», «differenza qualitativa» e «causalità» elaborate da Simmel sono rilevanti quali altrettanti momenti e «categorie fondamentali derivate dal concetto stesso della soggettività» (p. 33). Il problema di far emergere dall’interno dell’esperienza umana gli aspetti ideologici, ma insieme le dimensioni critiche e emancipative dell’individualità – superando così l’impostazione adialettica ancora presente nel neokanti-
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smo di Simmel – condurrà successivamente Adorno a tentare dapprima, con Horkheimer, una ricostruzione genealogica della soggettività occidentale, nell’ampio affresco della Dialettica dell’illuminismo, e quindi, nei Minima moralia, a una ricostruzione storica della sua situazione attuale. Leo Löwenthal, collaboratore dell’Istituto dal 1926 e amico di gioventù di Adorno, ha scritto una volta che «il sogno teoretico» del circolo francofortese emigrato in America era che alle opere collettive sull’autoritarismo e la famiglia condotte negli anni Trenta facesse seguito un’indagine comune su tutti gli aspetti della caduta dell’individuo nella società borghese8. Questo progetto non si realizzò nella forma vagheggiata, e tuttavia la questione dell’individuo rimase, come sottolinea Löwenthal, il «filo conduttore» delle indagini sue e di Adorno. Possiamo considerare i saggi qui raccolti come frammenti afferenti a quell’opera che non vide mai la luce9. In particolare gli abbozzi e frammenti su Individuo e società, risalenti per lo più ai primi anni Quaranta10, portano in luce il problema dell’ascesa e della crisi di un certo modello di esperienza individuale quale filo conduttore che interseca i diversi piani di discorso sviluppati nella Dialettica dell’illuminismo – i cui anni di composizione si intrecciano con quelli di Individuo e società – e nei Minima moralia. La diagnosi epocale della soggettività che Adorno affronta in Individuo e società si avvale dei risultati degli Studi sull’autorità e la famiglia (1936) e delle analisi delle trasformazioni del capitalismo promosse dalla «Zeitschrift für Sozialforschung», l’organo in cui il gruppo dell’Istituto rende note le sue ricerche dal 1932 al 1941. La crisi della struttura autoritaria della famiglia borghese quale agenzia di mediazione tra società e individuo – a seguito delle trasformazioni strutturali che vedono il passaggio dall’ottocentesco capitalismo concorrenziale dei capitani d’impresa al capitalismo monopolistico dei grandi trust e agli esperimenti collettivistici degli anni Trenta – è l’elemento decisivo che produce la
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scomparsa di quella forma di individualità autonoma che aveva la sua base sostanziale nella proprietà privata dei mezzi d’impresa e la cui individuazione si compiva dapprima tramite la socializzazione familiare. La disarticolazione della vita individuale è così la chiave per decifrare le patologie sociali del presente. Adorno si concentra qui in particolare sulla questione benjaminiana della distruzione dell’esperienza, le cui trasformazioni incidono a fondo sul tessuto che, come si evinceva dal saggio su Simmel, dovrebbe assicurare continuità e immanenza di senso ai fenomeni sociali. La fenomenologia della crisi dell’esperienza individuale, che Adorno abbozza in questi frammenti, assume inoltre un netto rilievo antropologico: ciò cui si assiste non è solo un epifenomeno psicologico e sociale, ma investe la trasformazione profonda delle strutture, storicamente prodotte, della forma di vita umana attuale. L’obbiettivo esplicito di Adorno è, già dal primo abbozzo di Individuo e società (datato 23 giugno 1941), quello di enucleare i tratti del «nuovo tipo umano» che sta emergendo (p. 56). Egli assume, infatti, che siano in corso «modificazioni così radicali» da mettere in discussione la forma individuale sino a ora conosciuta dell’esperienza, e da comportare una vera e propria mutazione antropologica. Polemizzando con le posizioni che postulano una qualche «invarianza della natura umana», contro cui si era scagliato già nel 1932 nella conferenza L’idea di storia naturale, dove valorizzava per contro il tratto mutevole e caduco della naturalità11, Adorno mira esplicitamente a delineare una «nuova antropologia», vale a dire, come egli scrive nel secondo e centrale abbozzo di Individuo e società, «la teoria del nuovo tipo umano in formazione sotto le condizioni del capitalismo monopolistico e statale» (p. 66). Questo abbozzo di una nuova antropologia va letto in connessione con le Considerazioni sull’antropologia filosofica (1935) di Horkheimer e quindi con il concetto di un’«antropologia dialettica» cui afferiscono, come si legge nell’ultima riga della pre-
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messa del 1944 alla Dialettica dell’illuminismo12, i frammenti filosofici posti in coda all’opera13. Gli abbozzi di Individuo e società permettono così di riscoprire il torso di un altro dei grandi programmi incompiuti del circolo francofortese e di esplicitare in questa luce le tappe della sua esecuzione frammentaria attraverso le varie fasi del lavoro di Adorno. Insistendo sul carattere non psicologico, bensì antropologico del nuovo tipo umano – che nello scritto Su Chaplin e Hitler sarà esemplificato dalle due figure complementari del dittatore e dell’uomo disarticolato di Tempi moderni –, Adorno interpreta una serie di fenomeni sociali nel senso di una sparizione incipiente in vasti strati della popolazione di quell’«unitarietà, continuità e sostanzialità del singolo» che costituiva l’infrastruttura dell’individuo «compiuto, costante e autonomo» che la psicologia assumeva dalle categorie del liberalismo. Nella nuova costellazione socio-economica degli anni Trenta e Quaranta – comune da questo punto di vista sia al capitalismo monopolistico statunitense, la cui nuova agenzia di socializzazione è costituita dall’industria culturale, sia agli esperimenti totalitari del comunitarismo nazista e del capitalismo di stato sovietico – si delinea così una situazione in cui, saltata l’agenzia di mediazione familiare, il collettivo fa direttamente presa sul singolo. I tratti del nuovo tipo umano della «generazione radiofonica» che così viene socializzata dai mass media sono la rinuncia alla continuità dell’esperienza e alla continuità erotica, l’indebolimento della struttura monadica dell’io e il nuovo carattere gregario del singolo divorato dal collettivo. Il tono fortemente pessimistico di questa analisi, che fa affermare a Adorno che «i rappresentanti del nuovo tipo non sono più individui», non deve però oscurare il fatto che è pur sempre dell’«individuo nel senso tradizionale», del «vecchio individuo» della società borghese e del suo involucro ideologico che si decreta la sparizione. Per altri versi questo processo presenta anche opportunità emancipative, nella misura in cui potrebbe li-
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berare facoltà individuali atrofizzate dalla figura atomistica dell’individuo isolato e concorrenziale che dominava la società liberale. In tal senso per Adorno «l’apertura di una breccia nella parete monadologica che nell’era liberale imprigionava ogni individuo in se stesso è motivo di grandi speranze» (p. 62). Anche la denuncia – ripresa su larga scala nel capitolo sull’industria culturale della Dialettica dell’illuminismo – dello «pseudoindividualismo» e della «pseudoindividualizzazione» della società di massa, le cui forme ideologiche, nel romanzo e nel cinema, mascherano il fatto della standardizzazione, è attuata nella prospettiva di un di più di individuazione, di un’individuazione completa14. È dunque afferrando, sebbene ex negativo, «le possibilità che secondo il criterio di un’umanità veramente emancipata si profilano» (p .66), che Adorno nel frammento Problema del nuovo tipo umano può criticare le forme di collettivismo emergenti nella situazione attuale proprio in quanto esse impediscono lo sviluppo delle potenzialità sociali che l’individuo potrebbe altrimenti sprigionare. E sempre in tal senso devono essere letti gli accenni a una «educazione riflessiva» che, procedendo oltre il modello formativo della cultura tradizionale, possa fare dell’esperienza negativa di sofferenza degli «uomini ‘mutilati’» la «condizione ideale per mettere fine alla mutilazione» (pp. 63-64). Una riflessione, quest’ultima, il cui motivo sarà ripreso sia nei frammenti finali della Dialettica dell’illuminismo, con l’immagine dell’individuo cicatrice i cui punti ciechi sono contrassegni massimamente individuanti15; sia nella fenomenologia della vita offesa e mutilata dei Minima moralia, che in questa chiave potranno essere letti come la prosecuzione di tali meditazioni sul terreno di un’antropologia storica della sofferenza individuale16.
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Il mondo amministrato, o la crisi dell’individuo*
EUGEN KOGON1: Gentile professor Horkheimer, gentile professor Adorno, vorrei aprire la nostra discussione sul mondo amministrato constatando che l’uomo moderno vaga senza meta, alla ricerca della sua libertà. Il modo in cui sono giunto alla discussione di oggi, e so che lo stesso vale per voi, mi fa pensare a questa condizione. Fino a mezz’ora fa in questo preciso momento sarei dovuto essere altrove, e quanto a lei, professor Horkheimer, so che tra meno di un quarto d’ora lei dovrebbe trovarsi a Bad Nauheim, eppure abbiamo intenzione di discutere in modo ampio, disteso e razionale su questo tema di così enorme rilevanza: “il mondo amministrato”. Siamo seduti qui, per così dire frementi, nervosi, perché ci attendono altre scadenze. Dobbiamo liberarci da questa condizione. Io, per quanto concerne la mia persona, per tutta la durata della discussione fingerò di avere a disposizione tutto il tempo del mondo. Credo del resto che questo “come se” sia in grado di produrre una realtà. Proprio questo, credo, è il tema della nostra conversazione: se sia possibile assumere un atteggiamento di questo tipo e ricavarne una nuova realtà. THEODOR W. ADORNO: Forse posso riallacciarmi a un’esperienza che mi capita in continuazione di compiere leggendo romanzi, sia quelli meno recenti che quelli di oggi. In quei momenti mi si impone una non-verità: il fatto non è che gli eventi riferiti * Dialogo radiofonico tenutosi in occasione di una trasmissione dell’Hessischer Rundfunk (4 settembre 1950).
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siano frutto di invenzione, piuttosto mi appare quasi una menzogna che gli uomini di cui si parla nei romanzi vengano descritti come se fossero ancora liberi, come se qualcosa dipendesse ancora dal loro agire individuale, dalle loro motivazioni, insomma da quello che ne fa degli individui; mentre invece si ha la netta sensazione che per la stragrande maggioranza gli uomini siano stati derubricati da tempo a mere funzioni all’interno del mostruoso macchinario sociale di cui tutti siamo prigionieri. Ci si potrebbe esprimere in modo estremo dicendo che in realtà la vita, nel senso peculiare che questa parola ha per tutti noi, non esiste più. Qualcosa di simile ha già scritto nel XIX secolo un prosatore significativo come Ferdinand Kürnberger: «la vita non vive». Il fenomeno che io cerco di caratterizzare servendomi di questa espressione mi sembra all’atto pratico l’effetto più tangibile del fenomeno di cui parleremo oggi, cioè della trasformazione del mondo e della vita nella loro interezza in un sistema di amministrazione, in un certo tipo di gestione dall’alto. MAX HORKHEIMER: Credo che la sua esperienza sia corretta, signor Adorno. Gli uomini hanno perduto la loro vita, la loro stessa vita. Vivono la vita che è prescritta loro dalla società. Al giorno d’oggi gli uomini dispongono, in teoria, di mezzi sufficienti per vivere in modo assai più libero, eppure soggiacciono a una pressione che non ha precedenti nella storia. E non parlo soltanto degli strati più bassi, ma di tutti gli strati sociali. Sartre ha tematizzato questo problema. Volendo essere esatti non dice che gli uomini hanno perduto la loro vita, ma afferma che sono diventati incapaci di decidere. È proprio questo che mi lascia perplesso: gli uomini continuano anche oggi a fare la storia, semplicemente non lo sanno. Sono ancora in grado di decidere, ma decidono di adeguarsi. Oggi gli uomini sono prigionieri dell’amministrazione, ma non c’è niente di necessario in questo. KOGON: Quando Sartre illustra questa condizione del mondo moderno, gentile professor Horkheimer, io mi trovo molto d’ac-
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cordo. L’aspetto che criticherei è il fatto che nelle sue opere a volte Sartre ragiona come se di fatto continuassimo a disporre della libertà decisionale da lui postulata, quella libertà di scegliere che Sartre incoraggia e presuppone. Il mondo, come lei stesso ha appena mostrato, appare molto diverso. Anch’io ho l’impressione che disponiamo di una libertà interiore che ci consente di rispondere “sì” o “no” a quello che accade nel mondo intorno a noi, o nelle nostre famiglie, ma nella maggior parte di casi questi “sì” e questi “no” non hanno alcuna conseguenza – il mondo non cambia per causa loro –, o tutt’al più hanno conseguenze che non siamo quasi più in grado di controllare, di padroneggiare. Ci troviamo dunque rigettati nel profondo dell’interiorità, e il fatto che il mondo versi in questa condizione di amministrazione, come abbiamo stabilito di chiamarla, rischia quasi di dissolvere del tutto anche questo residuo di libertà interiore. Corriamo davvero un pericolo mortale. ADORNO: A me sembra che la vera disgrazia sia il fatto che oggi vige una sorta di armonia prestabilita tra i processi oggettivi da un lato, e parlo della sempre crescente amministrazione, e i processi soggettivi dall’altro… KOGON: Perché la chiama armonia, gentile professor Adorno? Non riesco a capire. ADORNO: Forse armonia non è la parola giusta… KOGON: Lo credo anch’io. ADORNO: …Una sorta di fatale convergenza… KOGON: Molto bene. ADORNO: …Una funesta concordia reciproca. Senza dubbio la pressione che in certe epoche passate gravava sull’umanità non era minore di quella che la opprime oggi. Quella che è cresciuta è la socializzazione. Per così dire, agli uomini è concesso un margine sempre più ridotto per sfuggire alle forme, le forme
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socialmente obbliganti all’interno delle quali essi conducono la loro esistenza. In questo modo la pressione, la coazione ad adeguarsi, è cresciuta sempre di più, e lo spazio all’interno del quale gli uomini possono vivere una vita indipendentemente da questo meccanismo sociale è diventato sempre più piccolo. Non c’è quasi più via di scampo, se posso dire così, e per questo gli uomini tendono a riprodurre in se stessi, di propria iniziativa, tutti quei processi amministrativi che vengono loro inflitti dall’esterno. Ogni individuo si trasforma per così dire nel funzionario della propria stessa amministrazione… KOGON: Se posso aggiungere… ADORNO: …Solo se teniamo conto di questo doppio momento possiamo farci un’idea dell’effetto valanga che si sta preparando. KOGON: Vorrei aggiungere solo un’osservazione, professor Adorno, e cioè che secoli e millenni fa esisteva la schiavitù, ed essa interessava milioni di persone, privandole di ogni libertà sociale. Noi abbiamo conquistato la libertà nel corso di duemila anni, e proprio per questo la prospettiva di ricadere in una condizione che assomiglia alla schiavitù all’interno del mondo amministrato ci appare tanto atroce… ADORNO: …Se la si confronta con quello che sarebbe possibile e in una certa misura era già stato realizzato… HORKHEIMER: Signor Kogon, lei sostiene che abbiamo conquistato la libertà, ma il problema è proprio questo: l’abbiamo conquistata? Chi ci sentisse parlare potrebbe credere che nel loro complesso gli sviluppi sociali ed economici radicatisi, diciamo, nel corso degli ultimi cinquant’anni, siano stati il frutto di uno sviamento, e che dovremmo risalire il corso del tempo per tornare all’epoca in cui esisteva, perlomeno in ambito economico, qualche cosa di simile alla libertà. In effetti io sono dell’idea che l’epoca in cui lo strato sociale che reggeva le sorti della storia
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era costituito dai piccoli imprenditori, abbia sviluppato, magari solo a beneficio di questo strato sociale relativamente ristretto, alcune qualità che sono intimamente legate alla libertà, perlomeno a quella individuale, in una misura molto maggiore di quella in cui esse valgono oggi per il grosso della società. Come abbiamo visto, però, è stata proprio quest’epoca di libera economia di mercato a condurre alla situazione attuale. È proprio grazie a questa libertà che si sono costituiti quei grandi cartelli che dal punto di vista economico sono i maggiori responsabili di quello che chiamiamo il mondo amministrato. Parlando di amministrazione, infatti, non alludiamo soltanto all’amministrazione da parte di un governo, ma piuttosto al fatto che tutte le branche dell’economia e della libera professione sono amministrate. E noi tutti sappiamo bene, signor Adorno, signor Kogon, che anche il giornalismo, anche la stessa scienza sono amministrati. KOGON: Sì, professor Horkheimer, gli apparati di governo, gli apparati amministrativi dei governi, mi sembrano addirittura un’espressione della necessità sorta dalla cosiddetta libertà economica dei primi anni del XIX secolo, che in parte è stata anche reale. Le cose, insomma, sono andate come dice lei: un strato ridotto ha conseguito una certa libertà da determinati vincoli sociali. Da questa libertà relativa è scaturito uno sviluppo travolgente che è andato a beneficio di strati più ampi, e non voglio certo negare che praticamente tutti gli strati sociali ne abbiano partecipato in qualche modo, perlomeno temporaneamente. I problemi che ne sono derivati per l’insieme della società, però, erano così violenti, e a tratti così crudeli, che fu necessario edificarvi sopra gli apparati di governo per tenere insieme il tutto con vincoli di qualche tipo. Quello che volevo dire, quando poco fa osservavo che nel corso di duemila anni abbiamo conseguito la libertà e ora l’abbiamo in parte nuovamente perduta e corriamo il rischio di perderla del tutto, si riferiva alla libertà della persona, non tan-
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to e non solo intesa come libertà sociale. Riportando al centro la persona, la personalità dell’uomo, il cristianesimo ha trasformato di fatto la società, nel corso di un processo durato secoli. In un primo tempo, che corrisponde grossomodo al medioevo europeo, la singola persona viene a occupare un posto centrale all’interno di ordinamenti ancora rigidi che più tardi, nel corso dei secoli successivi, abbiamo finito per percepire come ostacoli, e solo allora ha avuto inizio quel processo di cui parlava lei, e di cui stiamo vivendo le fasi conclusive. Vorrei aggiungere soltanto che l’amministrazione in quanto tale è per sempre una necessità sociale. Non è cattiva di per sé. Il problema da porsi è se essa sia o meno adeguata alla realtà stratificata, a questa realtà in tutto e per tutto differenziata che è di volta in volta la società. Oppure se essa sia una camicia di forza, una vergine di Norimberga – dico bene? – al cui interno la vita, come diceva lei all’inizio, professor Adorno, risulta soffocata o avvelenata. La razionalità dell’amministrazione, insomma, deve essere adeguata alla realtà, ecco: deve essere al suo servizio, altrimenti… Non si può permettere, insomma, che si affermi un’illusoria dittatura della ragione libera e svincolata, come in parte è successo nel XVIII e nel XIX secolo in campo filosofico, se poi in realtà essa non fa che nascondere interessi vigenti, e mentre ciò accade tali interessi producono immani apparati amministrativi all’interno della società, come per esempio il sistema economico, come diceva lei poco fa, che poi all’atto pratico ci rendono impossibile respirare liberamente. ADORNO: Gentile signor Kogon, mi sembra che la sua ultima osservazione ci permetta di avanzare nella nostra analisi. Quando critichiamo l’amministrazione non stiamo criticando la razionalità. Il bersaglio della nostra critica non è il fatto che i rapporti umani come tali vengano pianificati per contenere la sofferenza inevitabilmente prodotta dal gioco incontrollato e cieco delle forze sociali. L’aspetto minaccioso degli sviluppi recenti, neanche più tanto recenti a dire il vero, mi sembra il fatto che
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è l’irrazionale a essere razionalizzato, che cioè la risultante del gioco incontrollato delle forze all’interno della società liberista, il signor Horkheimer ne ha parlato poco fa, viene ad essere fissata, e si agisce nel modo più avveduto, deliberato e scaltro per fare sì che queste condizioni fissate possano affermarsi e gli uomini si adattino loro con la minore resistenza possibile, senza che sia fatto nulla di concreto per oltrepassare il risultato di questo processo irrazionale e cieco… KOGON: Mi permetta di farle una domanda en passant, signor Adorno, in modo da comprenderla bene: sta dicendo che la libertà della persona viene presupposta e addirittura affermata, ma che poi in realtà questa libertà si è dissolta nell’ignoto, nell’irrazionale, mentre la verità è che certi interessi hanno creato apparati amministrativi altamente razionali? ADORNO: Sì, tra le altre cose sto dicendo che la libertà si è trasformata in un mero pretesto per poter meglio amministrare gli uomini. Al di là di questo, però, quello che intendo veramente affermare è che la stessa società che oggi attua la pianificazione ha in se stessa elementi di non-pianificazione, di anarchia, e che proprio per questo soltanto singoli interessi particolari riescono ad affermarsi, e che questa pianificazione in realtà non va a beneficio degli uomini, ma come si esprimeva lei poco fa è al servizio di determinati gruppi di interesse. Sì può dire insomma che il fondamento stesso della razionalizzazione nel suo complesso, come la viviamo oggi, è in tutto e per tutto irrazionale. HORKHEIMER: Quello che lei dice si vede anche dal fatto che in realtà ai giorni nostri la concorrenza non è affatto scomparsa. Ogni cosa è amministrata, ma all’interno di tale amministrazione ha luogo tra i singoli individui una concorrenza forse ancora più accanita che in passato per l’accesso a incarichi, posizioni, carriere. Persino in ambito sovietico, dove in apparenza la concorrenza è stata superata, le opinioni politiche mi sembrano fare da
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paravento a meschine lotte di fazione e questioni di concorrenza, e se le imprese non concorrono più, tanto più gli uomini si contrappongono gli uni agli altri. KOGON: Sta mettendo l’accento su un fenomeno di grandissima importanza, professor Horkheimer. Un fenomeno straordinariamente complesso, peraltro. È in pratica una confusione della realtà e dei concetti. Ci sono, poniamo, degli imprenditori, moltissimi imprenditori, che sostengono la libera concorrenza nel loro ambito e che all’interno di questa concorrenza, che in parte rivendicano soltanto perché sono loro stessi a organizzarla, pianificano su larga scala e fanno esattamente il contrario di quello che affermano, vale a dire… HORKHEIMER: Senza dubbio. KOGON: …sviluppano una economia di piano, per così dire, sotto tutti i rispetti… HORKHEIMER: Senza dubbio. KOGON: …Si limitano a darle un altro nome. La chiamano libera concorrenza, perché è l’organizzazione, l’organizzazione razionale dei loro stessi interessi. Dal punto di vista della totalità sociale – non è vero? – si tratta di assenza di piano e al tempo stesso di superamento della libera concorrenza. Per questo parlavo di una confusione della stessa realtà. E in ambito sovietico, come lei fa notare, un ambito totalitario, anch’esso altamente razionale, si combattono lotte di interessi di natura elementare dove in molti casi ne va della stessa vita, e non più della carriera… HORKHEIMER: Giusto. KOGON: …E per giunta nel modo più barbaro e selvaggio. L’aspetto che mi colpisce è il fatto che questo processo sia in corso di svolgimento tanto nel mondo occidentale che nel mondo sovietico. La differenza mi sembra ridursi al fatto che laggiù si esplica in modo brutale, per mezzo della violenza e del terrore nelle loro for-
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me peggiori, con l’aiuto di mezzi terroristici, mentre da noi non è un fenomeno così massicciamente osservabile, o diciamo pure che esso ha una certa qual apparenza di correttezza, perché è camuffato dalle ideologie che vi aleggiano intorno, ideologie che però rimandano ancora a un nucleo originariamente giusto, e mi sembra una buona cosa, perché almeno esso continua a sopravvivere da qualche parte nella nostra coscienza, anche se in forma di perbenismo ipocrita, perché è un punto di partenza migliore, a mio parere. La situazione di fondo, però, è la stessa per il mondo intero. HORKHEIMER: Da una delle due parti l’angoscia non è così violenta, perché non si ricorre al terrore. ADORNO: Mi viene ora da pensare che forse il tratto caratteristico della situazione non è tanto l’espansione degli apparati amministrativi come tale – apparati burocratici sono esistiti tra le altre cose anche in tutte le altre epoche –, ma piuttosto le trasformazioni per mezzo delle quali gli uomini stessi divengono oggetti di amministrazione. Si potrebbe dire che gli uomini conservano quelle caratteristiche che essi hanno conquistato nell’epoca della concorrenza e che oggi rendono più facile l’adeguamento a questa situazione, per esempio un certo tipo di destrezza, di rapidità dello sguardo, di prontezza nelle reazioni, di versatilità, tutta una serie di caratteristiche di questo genere, e anche una certa forma di durezza nei confronti degli altri e di se stessi. In cambio, però, perdono tutte quelle qualità che fanno da ostacolo, quelle che fino a oggi siamo stati abituati a considerare le qualità umane per eccellenza, quelle di cui il sistema non si è ancora impadronito. Insomma perdono i loro impulsi, perdono la passione. L’idea di un uomo appassionato, ormai, è già quasi anacronistica… KOGON: …Se si parla di una passione autentica… ADORNO: …Autentica, sì… KOGON: …Perché di passioni isteriche ne esistono eccome… ADORNO: …No, una passione vera, una passione come quella di Madame Bovary o di Anna Karenina. Si potrebbe quasi dire…
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KOGON: …O la passione per la giustizia… ADORNO: Per esempio. KOGON: …Come in Zola al tempo del caso Dreyfus. ADORNO: Esatto, quella non esiste più. HORKHEIMER: Al giorno d’oggi quando qualcuno prova un amore travolgente va dallo psicanalista e non ne muore più. ADORNO: Si potrebbe quasi dire: gli uomini perdono in generale quello che un tempo si chiamava carattere, l’impronta inconfondibile del loro io, raccolta dal passato e conservata nel futuro, perché in fondo questo io è una specie di zavorra che potrebbe solo ostacolare la loro carriera all’interno dell’immane macchinario sociale. Forse… potremmo spingerci fino ad affermare che nel corso di questo processo di adattamento gli uomini, che si adeguano a tutto questo soltanto in nome della sopravvivenza, perdono quello stesso io, quello stesso sé che stavano cercando di preservare, e qui sta la dialettica satanica di questo processo, nella misura in cui si tratta del suo versante umano. HORKHEIMER: Questo adattamento presenta però difficoltà gigantesche. La nostra epoca è l’epoca della psicologia, e in particolare, come ho già accennato, è l’epoca della psicanalisi. Nella psicanalisi il processo di amministrazione si prolunga nell’interiorità dell’uomo. L’uomo trasforma se stesso in oggetto, per così dire si reifica da sé. Non desidera più nient’altro che la carriera. Ambisce a quelle che la psicanalisi chiama capacità di godimento e capacità di lavoro, e questi termini – per quanto mi sia dato vedere, almeno al giorno d’oggi – non designano altro che l’adattamento alla realtà vigente. L’analisi, che un tempo aspirava a portarci fuori da questo mondo per mezzo della critica, resta prigioniera del mondo amministrato. I libri di psicologia che si pubblicano oggi sono quasi senza eccezione quelli che vendono di più. La gente cerca la pace, la pace interiore, e così si rivolge alla psicologia e le chiede cosa fare per raggiungerla. So per
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certo che in alcuni paesi ci sono individui che aspettano con ansia l’uscita dei giornali perché i giornali pubblicano ogni giorno consigli di psicologi sul modo di comportarsi in diverse situazioni. Ecco fin dove è arrivato lo smarrimento degli uomini.
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KOGON: Eppure, professor Horkheimer, nei procedimenti della psicanalisi e nella mania di rivolgersi allo psicanalista mi sembra di scorgere un tipo di smarrimento che non si può interpretare soltanto come adattamento. Dico “non solo”, anche se indubbiamente quello è il momento dominante… HORKHEIMER: Il fine ultimo è pur sempre l’adattamento. KOGON: Sì, il fine ultimo. Può trattarsi di un fine nascosto o consapevole. Quando dico nascosto voglio dire che concorrono altre cause efficienti. Io provo quasi compassione per i molti che credono di poter apprendere dallo psicanalista quali siano le cause riposte dei disagi individuali che essi provano in questa società moderna, in questa società amministrata. Ci vedo quasi un tentativo disperato di liberarsi dalle pastoie, dalle reti, da tutti i vincoli del mondo amministrato. Sono senz’altro d’accordo, così facendo restano all’interno del sistema del mondo amministrato, questo tentativo psicanalitico non abbatte le mura, non spezza le catene, non lacera le reti – dico bene? – perché quello che si ricerca è un punto del proprio passato a partire dal quale, per successive catene deduttive, ogni cosa trova la sua spiegazione. In questo modo non si ottiene certo la libertà di scelta, cioè la libertà della persona, anche se potrebbe trattarsi di uno strumento utile, dico potrebbe, se fossero in gioco dei valori, gli unici in grado di spezzare le catene. HORKHEIMER: Anzi, la psicanalisi è proprio il tentativo di impedire agli uomini di spezzare le catene esteriori insegnando loro a dominare le loro pulsioni e le loro passioni. KOGON: Sì, molto ben detto, certo. ADORNO: Io credo che la stessa psicanalisi offra un modello sul
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quale studiare lo sviluppo del mondo amministrato. Bisogna ricordare che la psicanalisi ha visto giorni migliori. In origine il suo intento era liberare gli uomini, se non altro interiormente, rendendoli coscienti delle loro pulsioni rimosse, e alleggerire la pressione che il prolungarsi della pressione esterna, sociale, produceva dentro di loro. Questo momento è completamente scomparso dalla psicanalisi di oggi, e proprio quella volontà di libertà, in nome della quale la disciplina si è costituita, passa oggi negli ambienti psicanalitici per estraniata, nevrotica o il cielo sa che altro. Nella forma praticata oggi la psicanalisi aspira piuttosto a far sì che gli uomini si sentano a loro agio sotto la pressione generale, e rafforza negli uomini la tendenza, peraltro già ampiamente diffusa, a non ribellarsi alle imposizioni. In particolare le attuali riduzioni divulgative che si sforzano di compendiare o semplificare la psicanalisi, per risparmiare agli uomini la pena e la fatica di meditare su se stessi, non mirano più che a neutralizzare coloro che per qualche ragione non si adattano senza attriti e resistenze, e a fare degli uomini anche sul piano soggettivo quello che essi sono già in ogni caso sul piano oggettivo, vale a dire impiegati potenziali di un’unica, mostruosa impresa di proporzioni gigantesche. KOGON: Proprio per questo vorrei nuovamente ribadire che le intenzioni originarie erano buone anche nel caso della psicanalisi, che sperava di mostrare la via che porta fuori da questo mondo amministrato. A produrla è stata una sorta di inconfessato bisogno di salvezza. L’intenzione originaria è poi stata sviluppata nella direzione sbagliata, e noi ci troviamo all’interno di un circolo maledetto. Il principale motivo di questa perturbazione mi sembra il fatto che i valori veri, quelli che producono il cambiamento, sono andati perduti, e non tanto al livello della coscienza, perché in senso tradizionale essi continuano a sussistere – da un capo all’altro dell’Europa, da un capo all’altro del mondo non si fa che parlare di valori come libertà e morale, dico bene?, o di bontà, o di quello che volete, cioè di tutti i valori al-
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ti –, ma nella vita dei singoli individui essi non sono una realtà concreta, o lo sono soltanto in modo frammentario, come ultimi residui, e di conseguenza non trasformano in nulla lo status quo. Un esempio: per rapportarsi in modo corretto alla realtà, al mondo esistente, ci vuole un certo tipo di ricettività benevola. Questo non vale solo per gli altri esseri umani. A questo riguardo, professor Horkheimer, in una delle nostre precedenti conversazioni lei ha fatto riferimento alla natura, dicendo che non possiamo guardare alla natura solo in senso cosale… HORKHEIMER: Esatto. KOGON: …Ecco, è necessaria una sorta di ricettività benevola per essere disposti a rinunciare a se stessi in nome di altro, che si tratti di una persona o volendo addirittura di una cosa, anche se questo può suonare stranamente paradossale, dal momento che parliamo di un mondo amministrato e reificato, ma qui uso il termine in senso liberatorio: riuscire a instaurare questo rapporto con la cosa, consegnarsi, armonizzarsi con l’altro; e io credo che sia proprio perché questi valori esistono ormai soltanto nel cervello, ma non vivono nel cuore, che il cervello si ottunde. Un cuore ottuso produce un cervello ottuso. HORKHEIMER: Proprio per questo, io credo, la psicanalisi delle origini ha un grande merito, perché ha mostrato che dei cosiddetti valori possiamo essere consapevoli in moltissimi modi, ma che questi valori possono essere assimilati dalla coscienza morale, cioè dagli uomini, soltanto se nel corso di un’infanzia protetta essi hanno la possibilità di apprendere realmente questi valori da una persona amata. Io credo che nell’attuale situazione economica, con la dissoluzione della famiglia che essa comporta insieme alla dissoluzione di ogni forma di tranquillità e sicurezza, questo non sia già quasi più possibile. Per questo non si giunge più a quello che potremmo chiamare dispiegamento della coscienza morale.
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Questa raccolta
Über das Problem der individuellen Kausalität bei Simmel. Conferenza pronunciata nell’ambito del seminario sociologico di Robert MacIver alla Columbia University di New York il 19 aprile 1940. Pubblicata per la prima volta in Frankfurter Adorno Blätter VIII, a cura di Rolf Tiedemann, per conto del Theodor W. Adorno Archiv, edition text + kritik, München 2003, pp. 42-59. Le note ai testi tradotti dai Frankfurter Adorno Blätter, ove non indicato diversamente, riproducono l’apparato critico dell’edizione tedesca. Traduzione di Francesco Peri. Individuum und Gesellschaft. Entwürfe und Skizze. Si tratta di una serie di abbozzi e frammenti sul tema dell’individuo provenienti dai manoscritti di Adorno, raccolti tematicamente e editi per la prima volta da Rolf Tiedemann in Frankfurter Adorno Blätter VIII, cit., pp. 60-94. I testi risalgono agli anni Quaranta (del giugno 1941 e dell’aprile 1943 i due frammenti precisamente databili), con l’eccezione degli ultimi due, del 1964-1965, che costituiscono annotazioni facenti parte del manoscritto originario della Negative Dialektik e successivamente espunte (per datazione e notizie sui manoscritti si veda nel testo la nota apposta all’inizio di ogni frammento). Traduzione di Francesco Peri. Die verwaltete Welt oder: die Krisis des Individuums. Dialogo radiofonico tra Theodor W. Adorno, Max Horkheimer e Eugen Kogon, tenutosi in occasione di una trasmissione dell’Hessischer Rundfunk (4 settembre 1950) e trascritto dagli editori delle Gesammelte Schriften di Max Horkheimer. Ora in M. Horkheimer, Gesammelte Schriften, vol. 13: Nachgelassene Scriften 1949-1972, a cura di Gunzelin Schmid Noerr, Fischer, Frankfurt am Main 1989, pp. 121142. Traduzione di Francesco Peri. Individuum und Staat. Si tratta di un testo inedito del 1951, pubblicato per la prima volta in Th.W. Adorno, Gesammelte Schriften, vol. 20.1: Vermischte Schriften, a cura di Rolf Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1986, pp. 287-292. La traduzione di Italo Testa è già apparsa in «La società degli individui» 9, 3 (2000), pp. 119-124.
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Individuum und Organisation. Si tratta dell’Einleitungsvortrag tenuto da Adorno in occasione del Darmstädter Gespräch del 1953. Pubblicato per la prima volta in F. Neumark (a cura di), Darmstädter Gespräch. Individuum und Organisation, Neue Darmstädter Verlagsanstalt, Darmstadt 1954, pp. 21-35; 2ª ediz. in H. W. Sabais (a cura di), Die Herausforderung. Darmstädter Gespräche, Paul List, München 1963, pp. 135-147, ora in Th. W. Adorno, Gesammelte Schriften, vol. 8: Soziologische Schriften I, a cura di R. Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1972, pp. 440-456. Il testo non compare nella scelta di scritti di Adorno pubblicata nel 1976 presso Einaudi con il titolo Scritti sociologici. La traduzione di Alessandro Bellan è già apparsa in «La società degli individui» 9, 3 (2000), pp. 125-139. Gesellschaft. Erste Fassung eines Soziologischen Excurses. Il testo, databile al 1954, è stato pubblicato per la prima volta in Frankfurter Adorno Blätter VIII, cit., pp. 143-150. È parte del progetto dei Soziologische Exkurse che videro la luce nel 1956 come vol. 4 dei Frankfurter Beiträge zur Soziologie, e la cui paternità è attribuita «allo Institut für Sozialforschung collettivamente». Questo studio sul concetto di «società», così come il Beitrag zur Ideologienlehre raccolto nel vol. 8 delle Gesammelte Schriften, costituisce una delle redazioni preliminari del contributo di Adorno all’articolo dei Soziologische Excurse. Al tempo stesso, però, esso va inteso come prima stesura dell’omonimo saggio che Adorno redasse nel 1965 per lo Evangelisches Staatslexikon, anch’esso raccolto nel vol. 8 delle Gesammelte Schriften. Traduzione di Francesco Peri.
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LA GINESTRA Biblioteca per un individualismo solidale
Da due secoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità naturali e all’accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofi e pensatori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nelle quali la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati. La collana La ginestra documenta l’esistenza di questa tradizione di individualismo solidale attraverso i testi di autori classici e contemporanei.
Titoli pubblicati Georg Simmel Friedrich Nietzsche filosofo morale a cura di Ferruccio Andolfi Ralph Waldo Emerson Società e solitudine a cura di Nadia Urbinati Pierre Leroux Individualismo e socialismo a cura di Bruno Viard Zygmunt Bauman Individualmente insieme a cura di Carmen Leccardi Ágnes Heller La bellezza della persona buona a cura di Brenda Biagiotti
Harry G. Frankfurt Catturati dall’amore a cura di Gianfranco Pellegrino Gustav Landauer La rivoluzione a cura di Ferruccio Andolfi Theodor W. Adorno La crisi dell’individuo a cura di Italo Testa Titoli in preparazione Friedrich E.D. Schleiermacher Monologhi
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Questo libro
di Theodor W. Adorno ottavo della collana La Ginestra nata dall’amicizia e dal lavoro comune individuale e solidale tra l’Associazione omonima e le Edizioni Diabasis viene stampato nel carattere Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia nel marzo dell’anno duemila dieci
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