Il “Mezzogiorno” d’Europa DIABASIS
€ 14,00
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Il Sud Italia, la Germania dell’Est e la Polonia Orientale nel contesto europeo
A cura di
Bruno Amoroso
DIABASIS
Bruno Amoroso, è professore emerito presso l’Università di Roskilde, Danimarca, e presidente del Centro Studi Federico Caffè, Roskilde-Roma. Cattedra Jean Monnet sulla coesione sociale interna e la cooperazione internazionale dell’Unione Europea. Tra le sue pubblicazioni: Della globalizzazione, Molfetta 1998; Apartheid globale, Roma 1999; Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, Bari 2000; con Sergio Gomez y Paloma Persone e comunità. Gli attori del cambiamento, Bari 2007; Per il bene comune. Dallo stato del benessere alla società del benessere, Reggio Emilia 2009.
A cura di Bruno Amoroso
La questione meridionale continua a essere dibattuta in Italia e percepita in Europa come un problema creato dalle specificità del processo storico e politico italiano e della cultura delle regioni meridionali. La tesi sostenuta dagli autori è che il problema meridionale non è specifico dell’Italia, ma di tutti i Paesi che hanno percorso processi analoghi di sviluppo eurocentrico caratterizzati dalla mancata integrazione di parti del Paese al mercato nazionale, e che occupano una posizione geografica di frontiera rispetto al mercato capitalistico nazionale ed europeo. Entrambi questi fattori hanno trasformato le specificità di questi mercati e sistemi produttivi in ostacoli alla crescita economica accrescendo la marginalità di queste aree. L’analisi individua l’esistenza di tre “Mezzogiorno” d’Europa (Sud Italia, Polonia Orientale e Germania dell’Est) e trasforma la specificità del caso italiano con il cumulo di esperienze ed errori delle politiche sin qui perseguite dallo stato italiano e dall’Unione Europea, in un esempio per ri-orientare le politiche nazionali ed europee verso le proprie regioni e mesoregioni.
Il “Mezzogiorno” d’Europa
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ECIM Economie di comunitĂ Interculture e migrazioni Collana diretta da Bruno Amoroso Arrigo Chieregatti Pierluca Ghibelli Orazio Micalizzi
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Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)
ISBN 978-88-8103-738-4
Š 2011 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it
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Il “Mezzogiorno” d’Europa Il Sud Italia, la Germania dell’Est e la Polonia Orientale nel contesto europeo A cura di Bruno Amoroso
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Il “Mezzogiorno” d’Europa Il Sud Italia, la Germania dell’Est e la Polonia Orientale nel contesto europeo A cura di Bruno Amoroso
Prefazione, Antoni Kuklinski
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I tre “Mezzogiorno” d’Europa, Bruno Amoroso 1.Nuove riflessioni sul dualismo in Europa
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2.Le interpretazioni correnti sulle disuguaglianze regionali
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3.Globalizzazione e integrazione europea
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4.Destabilizzazione e marginalizzazione in Europa
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5.Le regioni d’Europa
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6.Un approccio innovativo
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7.La lunga durata: dualismo, guerra fredda e globalizzazione
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8.Le barriere alla rigenerazione delle comunità
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9.I nodi di Gordio
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10.La soluzione alessandrina
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11.Conclusioni
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Classi dirigenti e prospettive euromediterranee nelle politiche di sviluppo del Sud d’Italia, Mauro Fotia 1.Economia e società nel Mezzogiorno odierno 2.“Abolire” la questione meridionale?
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3.Il ceto politico. La fase del notabilato
68 71
4.Secondo dopoguerra. Macchina partitica e oligarchie
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5.Anni Ottanta. Avvento del mercato politico
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6.Anni Novanta. Sviluppo locale e “Nuova Programmazione”
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7.Criminalità organizzata e network dei poteri nel Mezzogiorno
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8.Il Mezzogiorno verso un progetto politico unitario
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9.Politica regionale europea e crescita del Mezzogiorno
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10.Deludenti risultati delle prime esperienze di partenariato euromediterraneo
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11.Verso nuove esperienze
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12.Partenariato euromediterraneo e Regioni meridionali
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Un nuovo paradigma per il Mezzogiorno, Daniele Petrosino 1. Introduzione
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2.Paradigmi di spiegazione del dualismo italiano
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3.Come si è cercato di superare il dualismo L’intervento straordinario La strategia dello sviluppo endogeno
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4.Il dualismo nel XXI secolo Dal dualismo economico al dualismo politico Federalismo Il Partito del Sud La sfida geopolitica
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5.La situazione attuale: il fallimento delle politiche di sviluppo Spiegazioni convenzionali del fallimento
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6.Perché i risultati sono stati così scarsi? Cambiamo il gioco Ripensare il Sud Evitare le trappole del Mezzogiorno
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7.Costruire una nuova rappresentazione del Mezzogiorno
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8.Una nuova prospettiva: il paradigma dell’autonomia Ricollocare il Sud in Italia ed in Europa Eguaglianza Beni pubblici e benessere privato Una nuova classe dirigente Guardare al futuro
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Il Mezzogiorno d’Italia: una storia di mancato sviluppo e opportunità perdute, Antonio Corvino 1.Il divario dei tre “Mezzogiorno”: un problema dalle radici lontane
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2.Un excursus delle politiche di recupero del gap fra gli anni Cinquanta e oggi
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3.L’evidenza statistica dei risultati: una prima fase di parziale recupero, seguita da un nuovo allargamento dei divari
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4.L’impatto sociale dell’inadeguatezza delle politiche di catching up negli anni dell’intervento comunitario
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5.L’evoluzione del modello competitivo delle imprese meridionali negli ultimi tre anni: un osservatorio privilegiato
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6.Un’analisi delle politiche di coesione: i problemi aperti
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7.Cenni conclusivi. Alcune ipotesi di intervento
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Bibliografia
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Gli autori
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Bruno Amoroso I tre “Mezzogiorno” d’Europa
1. Nuove riflessioni sul dualismo in Europa Una nuova riflessione sui problemi del dualismo, del fallimento degli obiettivi di inclusione sociale in Europa a livello territoriale, del persistere di forti squilibri negli indicatori socioeconomici tra regioni europee è stata stimolata dalla pubblicazione del Dossier dell’Unione Europea sulla coesione economica del 1999 (ESPD, 1999), riproposto successivamente negli studi di valutazione della Commissione Europea che hanno approfondito le relazioni tra questi obiettivi e le politiche dell’Unione Europea (UE), mettendone in luce i risultati, le potenzialità e le contraddizioni (ERDF-Intereg, 2007). Vi hanno fatto seguito numerosi contributi, tra i quali merita menzione particolare il programma di ricerca sul Futuro delle Regioni europee coordinato dal Ministero per lo Sviluppo Regionale polacco, avviato nel 2007 (Jakubowska, Kuklinski, Zuber, 2007). Spetta a questo ultimo contributo il merito di avere introdotto e applicato con forza e coerenza, nello studio e nell’analisi dei problemi del regionalismo in Europa, un metodo che collega in modo coerente il principio delle interdipendenze esistenti tra le dimensioni sociali, economiche culturali e territoriali a un approccio includente nell’analisi la molteplicità dei livelli che influiscono oggi: locale (comune o distretto), re15
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gione (es. Calabria); megaregione (es. Mezzogiorno d’Italia, Polonia Orientale, Germania dell’Est); macroregione, l’insieme delle regioni di uno Stato all’interno della mesoregione (es. l’Italia in Europa); area, territorio parte di una mesoregione (Balcani, Mashreq, Maghreb, ecc.), e a volte a cavallo tra due mesoregioni (es. area scandinava tra Europa e Baltico, Italia del Sud tra Europa e Mediterraneo, ecc.); mesoregione, nel significato di “economia del mondo” (es. Baltico, Mediterraneo, Europa, ecc.). Tuttavia queste nuove aperture intellettuali non hanno sinora avuto una grande influenza sulle linee politiche praticate dall’UE e dai singoli Stati nazionali in materia di sviluppo regionale. Nel primo caso, perché chiaramente in contrasto con le scelte e gli indirizzi di politica economica generale, per i quali, come è noto, il territorio non è assunto come variabile significativa. Nel secondo, quello degli Stati nazionali, perché le norme applicative delle regole comunitarie in materia di finanziamenti a favore delle regioni europee svantaggiate spingono in direzione di scelte politiche e economiche che perpetuano la situazione di dipendenza di queste regioni, anziché favorirne la ripresa. 2. Le interpretazioni correnti sulle disuguaglianze regionali Gli studi regionali si ispirano principalmente alla teoria economica dominante, che afferma l’estendersi del modello di modernizzazione di una economia avanzata, per onde successive, verso altre regioni e aree da questa distanti (dal “centro” alla “periferia”) e che al modello devono adattarsi. È la teoria dei vasi comunicanti applicata dal pensiero liberale ai fenome16
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ni economici e sociali, pur sapendo o ignorando che nell’economia, come nella società, esistono strutture e infrastrutture del potere capaci di orientare o disorientare i “flussi” secondo le proprie convenienze. Infatti, dagli anni Ottanta, assistiamo al persistere o crescere della marginalizzazione economica di vecchie e nuove aree comprensive di più regioni (megaregioni), come si evince da determinati studi e indicatori che riguardano la produzione e il commercio interno e internazionale per settori e industrie selezionate. Questa marginalizzazione è il prodotto di un modello di specializzazione della produzione, che riflette nei vari paesi e regioni i bisogni di approvvigionamento, di risorse e di domanda dei mercati triadici (Stati Uniti, Unione Europea, Giappone). Il nuovo modello emergente nei paesi Baltici, dell’Europa Centrale e Mediterranei valuta i cambiamenti nelle forme di scambio mediante le variazioni degli indici di produzione, sia generali sia per alcuni prodotti selezionati, e lo sviluppo nel corso degli anni più recenti dei rapporti di scambio tra i paesi mediterranei, baltici e l’UE. Gli sforzi di innovazione considerati dagli studi e dalle politiche regionali sono stati concentrati su come adattare le economie locali e le regioni a questa nuova distribuzione territoriale degli scambi e divisione del lavoro, senza interrogarsi se queste tendenze siano in contrasto con i bisogni e le aspirazioni di queste aree, oppure se il successo nel trapianto di alcune “buone pratiche” implicasse la rinuncia a una coerente strategia sociale e spaziale. Le conseguenze si sono viste in Italia con il tentativo di imporre al Mezzogiorno schemi di crescita e organizzazione sociale inadatti mediante la negazione dell’esistenza di consolidate e nuo17
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ve forme di dualismo e proponendo la sua frammentazione territoriale, per facilitare percorsi di colonizzazione economica e culturale1. Contributi che sono rimasti dentro i confini delle specializzazioni, sia tradizionali sia nuove (“nuovo regionalismo”), della ricerca dominati dall’assunto che la globalizzazione sia una nuova fase politica del processo capitalistico di internazionalizzazione (il “neoliberismo”) e non invece, come io e altri sosteniamo da tempo, una trasformazione profonda del suo modo di essere e della sua dinamica (processo di accumulazione), capace di influenzare i rapporti tra economie nazionali e regioni europee e determinarne quindi anche le politiche (Amoroso, 1998; Amoroso, Gomez y Paloma, 2007). Questa affermazione contesta che le disuguaglianze spaziali esistenti siano interpretabili come fenomeni dovuti solo a errori di politiche e alle forme di governo. La percezione delle regioni come entità giuridiche e istituzionali viene estesa a quella di ambiti territoriali comunitari omogenei, contenitori di culture e di sistemi produttivi specifici, e l’analisi si concentra sui loro rapporti con i rispettivi stati nazionali e mercati, sulla loro collocazione rispetto alle economie-mondo. L’interesse per il contributo di Antoni Kuklinski (Kuklinski, 2008) nasce dal fatto che supera i limiti degli studi regionali fin qui prodotti i quali, se hanno svolto un utile ruolo nella definizione e delimitazione di nuove scuole accademiche e specializzazioni rispetto ai trend delle politiche europee e nazionali, hanno tuttavia ottenuto scarsi risultati nell’indicare nuove possibili linee di analisi necessarie per il superamento delle forti ineguaglianze socioeconomiche spaziali e nell’influire sugli orientamenti delle politiche regionali in Europa. 18
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9. I nodi di Gordio La storia di ciascuna di queste tre megaregioni ha prodotto l’esistente dualismo in un meccanismo di dipendenza, in parte studiato e in parte ancora da analizzare. Tuttavia, le politiche di “aiuto”, nelle varie forme e tipologie che queste hanno assunto nel vocabolario e nelle politiche dell’UE, hanno contribuito in generale all’indebolimento delle capacità economiche, politiche e culturali di ogni regione di dare risposta ai problemi emergenti. Numerosi elementi suggeriscono che la forma dei flussi finanziari dell’aiuto alle regioni dell’Italia del Sud sono state una delle maggiori cause dell’indebolimento delle istituzioni politiche e amministrative locali e regionali e dei rispettivi sistemi produttivi. Il sistema politico è divenuto in modo crescente dipendente da questi flussi e si è legittimato mediante la loro distribuzione per ottenere consenso politico. Le basi per l’utilizzo dei fondi e il consenso che ne è derivato ha prodotto legami crescenti con le organizzazioni criminali, le uniche in grado di garantire sia l’utilizzo sia il consenso. Di conseguenza, gli obiettivi di democratizzazione e di sostenibilità delle comunità locali sono stati accantonati. Si è invece venuto formando un circolo vizioso della dipendenza, che rende difficile la sopravvivenza delle istituzioni locali e regionali e dei loro sistemi produttivi. Questo sistema, mediante la finanziarizzazione, ha infiltrato il sistema economico e politico a tutti i livelli istituzionali. Il meccanismo è facile da comprendere. Fino a un certo punto della storia italiana, nel periodo del primo dopoguerra, le istituzioni politiche naziona51
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li e locali ricavano la loro legittimità e consenso dalla capacità di rappresentare gli interessi dei cittadini e delle comunità e, soprattutto di promuovere il loro bene comune e i sistemi produttivi locali. La modernizzazione seguita alla seconda guerra mondiale ha trasformato il quadro di riferimento politico e produttivo locale, da prima con lo strumento della Cassa del Mezzogiorno, successivamente, con il sistema europeo di finanziamento a favore delle regioni arretrate. I sistemi produttivi delle regioni in oggetto sono oggi indeboliti o scomparsi, le comunità rurali e la rete dei piccoli comuni svuotata dalle migrazioni. Il ruolo assegnato alle istituzioni è quello di gestire grandi flussi finanziari provenienti dallo Stato e dall’UE. Flussi che per gli obiettivi e i tempi di utilizzo previsti richiedono un sistema imprenditoriale, sistemi produttivi locali e comunità di fatto inesistenti. Per queste ragioni il potere politico si è trasferito a giuristi, esperti di finanza e faccendieri che, legittimati dal loro ruolo istituzionale di distributori di fondi, lo hanno utilizzato per consolidare il proprio consenso elettorale e i propri affari. In assenza di forti sistemi produttivi locali la sola società in grado di gestire grossi finanziamenti per grandi infrastrutture e servizi e, nel contempo, garantire il consenso politico organizzato ai politici e alle istituzioni, è la criminalità organizzata. Da ciò si è creata la rete di interessi e di collusione tra politica, istituzioni e economia criminale. Una recente tesi di dottorato all’Università della Calabria analizza bene questo processo: La stagione dell’intervento straordinario e del trasferimento di risorse ha coinciso, forse non a caso, con una profonda trasformazione del fenomeno mafioso calabrese.
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Fino agli anni Cinquanta le famiglie di ‘ndrangheta imponevano ‘reputazione e rispetto’, in determinate aree della regione, attraverso guerre interfamiliari, prevaricazioni e minacce ammantate da pretestuosi ‘valori’ tradizionali, ma non erano decisive per la complessiva economia della regione. Col tempo le stesse famiglie intuiscono che la ricchezza, che nella mafia tradizionale poteva essere la conseguenza della capacità di farsi rispettare, “diventa la base della reputazione e il suo possesso diventa obbligatorio per l’acquisizione di una qualunque posizione di rispetto”. Da qui un interesse diretto verso il flusso di ricchezza che giunge in Calabria attraverso l’intervento straordinario. La ‘ndrangheta interviene negli appalti, nella gestione di opere pubbliche, nelle integrazioni comunitarie per le produzioni agricole, nella gestione dei servizi pubblici. Condiziona la politica e collude con essa, si espande fino ad assumere le odierne caratteristiche di una potente impresa criminale attiva sul piano internazionale dei traffici di droga e armi, nella quale i tratti originari legati alle origini geo-culturali diventano soltanto il contenitore simbolico di una organizzazione che si muove sul piano globale con modalità che trascendono ogni appartenenza culturale (Greco, 2008).
Questa descrizione, paradigmatica per il caso italiano9, anticipa alcuni caratteri la cui diffusione nelle altre regioni europee è in corso. A questo punto, per concludere, non si possono evadere alcune domande. Può il sistema politico riformare se stesso? Come si può ricreare un sistema di poteri equilibrato, provvisto di adeguati controlli e orientato al bene comune delle comunità? Come riprendere il controllo sull’economia predatoria e ristabilire condizioni di attività normale, sia per le necessarie azioni sociali, sia per le oneste attività private dei cittadini? L’urgenza di risposte adeguate è data dal fatto che, fin quando non saranno trovate 53
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e applicate, i “predoni” continueranno le loro scorrerie selvagge. Ritengo che i problemi vadano affrontati utilizzando il metodo proposto da Antoni Kuklinski, che consiglia di individuare alcuni punti nodali – i nodi di Gordio – e applicare a essi la soluzione di Alessandro. Non è difficile ricavare, da quanto sin qui detto, che il nodo di Gordio da sciogliere è quello del potere dei predatori, che si serve della finanza come arma letale per le comunità e le loro economia (Galbraith, 2008). Il sistema finanziario, propostosi come intermediario e facilitatore degli scambi tra il sistema di produzione e lo Stato, ha finito con il sovvertire entrambi, assumendo in primis il governo delle società. L’economia di mercato si è trasformata in un’«economia d’azzardo» (une économie casino). I nuovi centri di potere dell’economia globale non sono più le grandi imprese nazionali o i centri industriali ma i centri finanziari e le borse, i paradisi fiscali, che spingono gli Stati a promuovere la competizione mediante vantaggi alla speculazione finanziaria e commerciale. La liberazione dei mercati (deregulation) non è servita a renderli più accessibili e trasparenti ai cittadini, ma a dare mano libera ai poteri forti esistenti, trasformando questi non luoghi in “centri di salute” per il capitale, a prescindere dalla sua origine. È in questi club esclusivi che la finanza internazionale si è ricongiunta con i rami distinti della famiglia che hanno scelto la via delle armi, della droga, della prostituzione, del commercio di organi: in una parola il mondo della “criminalità organizzata”. È in questi “centri di salute” che il miracolo della guarigione avviene, trasformando l’illegalità in normalità. La “globalizzazione del crimine” diventa il “crimine della globalizzazione”, che fa passi 54
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avanti con la costruzione e la predicazione di una nuova legge internazionale e di proprie regole al fine di mantenere il suo status quo (Amoroso, 2002, 2004). 10. La soluzione alessandrina La soluzione va cercata nello smontare il meccanismo di potere che lega potere economico e potere politico a livello globale e all’interno dei singoli Stati. Esiste oggi un circuito finanziario alimentato dalla concentrazione del potere fiscale dello Stato che preleva risparmio da tutte le regioni di appartenenza, per poi ripartirlo con l’UE e riconsegnarlo su flussi controllati dai sistemi finanziari e di potere alle regioni ed alle comunità. La soluzione alessandrina deve consistere nel disarmare la finanza e le sue istituzioni, che sono le grandi banche nazionali e i centri finanziari, riportare le transazioni e gli scambi tra comunità, regioni, megaregioni e Stato nazionale alla natura reale di scambi di beni e servizi. Si tratta cioè di drenare i flussi finanziari gestiti dai centri di potere economico e politico – dalle municipalità e verso le municipalità, dalle regioni e verso le regioni, dallo Stato e verso lo Stato – soffocando così le possibilità di vita delle attività illegali e riportando l’economia dentro i sentieri della produzione di beni e servizi utili alla vita delle comunità. L’aspetto istituzionale di questo cambiamento è rappresentato dal bisogno di reintrodurre nella costruzione europea e nazionale forme di federalismo intese come autogoverno delle comunità, estese ai sistemi finanziari e fiscali. Un processo, cioè, opposto a quanti pensano di realizzare una maggiore integrazione e inclusione sociale in Europa mediante la concentrazione e la standardizzazione dei sistemi economici e finanziari. 55
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L’aspetto reale è di ripartire dalle comunità, dai comuni, dalla vita quotidiana delle persone e delle famiglie, che sono il primo livello di espropriazione oggi attuato dai sistemi finanziari e di potere e ciò richiede due fasi: la prima è l’eliminazione delle cause che rendono necessario il ricorso ai sistemi bancari e finanziari nella vita quotidiana delle persone. La moneta è diventata necessaria, perché qualcuno ha stabilito che sia il solo strumento che dà accesso a tutto ciò che ha un prezzo. Nella nostra vita quotidiana queste cose sono costituite dalla casa, dall’acqua, dagli alimenti, dall’abitazione, dalla sanità, dalle infrastrutture, i trasporti. È possibile dichiarare questi bisogni beni comuni finanziati dalle comunità in forma solidale ed a cui affidarne la gestione e la cura. È possibile trasformare gran parte del lavoro e dei servizi richiesti per queste funzioni in movimenti e scambi di beni e servizi reali tra persone e forme organizzate dell’economia. Si tratta di evitare che più della metà del benessere prodotto si trasformi in un flusso finanziario che parte dalle tasche dei cittadini verso lo Stato, per poi farvi ritorno attraverso canali istituzionali e privati di vario livello che ne dirigono la maggior parte verso gruppi predatori. Il secondo livello nell’uso della moneta è condizionato dal fenomeno del consumismo, una parte del quale corrisponde alle preferenze e scelte delle persone e un’altra è indotta mediante forme di pressione determinate con gli stili di vita, le mode ecc. creati dalla pressione disinformante pubblicitaria e dalla promozione di forme non etiche di vita. A questo livello si produce il rapporto bene-moneta che porta a una degenerazione di entrambi nel rapporto merce-finanza. Tagliare questo nodo di Gordio significa sostituire la pubblicità con si56
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stemi critici informativi sui prodotti. Sistemi che hanno come obiettivo la rivalutazione del rapporto tra cultura, natura e sistemi produttivi, il commercio locale e la scelta di materiali e prodotti locali, a scapito dei prodotti di importazione e delle invenzioni tecnologiche per il stimolare il consumo. Questo significa restituire la vera dimensione di mercato al commercio, creare e proteggere reti locali e regionali di produzione e distribuzione. In questo contesto la moneta torna alla sua reale funzione di intermediario degli scambi tra reddito e beni prodotti, uno strumento per promuovere investimenti sociali e privati. Accanto all’esistenza di moneta nazionale o europea, il valore delle monete locali, di forme di credito e pagamento rivolte a sostenere la vita delle comunità, la piccola distribuzione ecc. sono elementi di una nuova economia già oggi in via di sperimentazione e che va sostenuta. Le banche di credito popolare, le varie forme di credito cooperativo e casse di risparmio, marginalizzate dall’inizio del processo di globalizzazione, hanno tuttavia dimostrato una forte capacità di resistenza e di gestione che ne fa per l’Italia circa il 30 per cento del sistema creditizio nazionale. Devono pertanto riprendere il ruolo, dal quale sono state in parte espropriate dalla creazione del mercato unico europeo, dalla moneta europea e dalla Banca Europea, finalizzata a raccogliere i risparmi dei cittadini nelle varie regioni per poi canalizzarli verso progetti di sviluppo altrove, che si sono spesso rivelati disastrosi per le comunità locali, le regioni ed i singoli Stati. Una sana base di sistemi di credito locale, decentrati e governati in forme cooperative o di forte partecipazione, possono costituire la base per le istituzioni di credito nazionale che operano come fondi di solidarie57
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tà per la creazione di infrastrutture comuni, per garantire a tutti i cittadini l’accesso ai beni e di servizi necessari. Ma questi processi di ampliamento dal basso della base comunitaria possono aver luogo solo se gli astratti principi della democrazia – una testa un voto – sono accompagnati da una forte partecipazione e con il diritto di veto verso decisioni non condivise che riguardano la vita della comunità. Una volta che la finanza sia stata drenata di risorse mediante queste trasformazioni e con essa i gruppi predatori di potere dello Stato, anche le loro rappresentanze nelle nostre istituzioni regionali e locali si estingueranno. Sarà così possibile ridar vita a una nuova classe politica dirigente, a nuove istituzioni capaci di collocare l’interesse pubblico e il bene comune al centro delle nostre reali preoccupazioni ed obiettivi. 11. Conclusioni Il nodo gordiano è rappresentato dalla interazione dominante tra istituzioni corrotte e organizzazioni criminali. La soluzione alessandrina richiede il taglio di questi legami possibile interrompendo i flussi finanziari che ne sono il vero nutrimento e con il ristabilimento di un alto grado di autonomia e autogoverno per queste regioni. Ciò significa porre al centro la rigenerazione delle comunità e dei sistemi produttivi locali e regionali insieme alla più ampia autonomia e autosufficienza che questo richiede. La soluzione alessandrina dovrebbe quindi capovolgere l’obiettivo della globalizzazione “dal globale al locale” nel suo contrario. Dentro la prima scelta le regioni avrebbero la sola opzione di adattarsi alle nuove priorità imposte dall’esterno. Adottan58
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do invece il nuovo obiettivo, “dal locale al globale”, i bisogni, gli interessi e le aspirazioni delle comunità locali e regionali sarebbero posti al centro dell’attenzione. Fenomeni endogeni hanno influenzato negativamente lo sviluppo delle megaregioni dei tre “Mezzogiorno” nel corso della loro storia. Oggi qualcosa di nuovo potrebbe verificarsi se queste hanno la capacità di affrontare le nuove sfide che vengono dall’esterno e di trasformarle a proprio vantaggio. Il risveglio delle economie asiatiche, della Cina in particolare, sta producendo una forte spinta innovativa di sostegno alla rigenerazione delle economie regionali in Africa, nel Mediterraneo e nell’America Latina. Le regioni dei tre “Mezzogiorno” europei sono nella posizione di evitare di restare fuori da questi processi ponendo se stesse in primo piano di una strategia regionale capace di combinare lo sviluppo locale con la rivitalizzazione delle megaregioni e mesoregioni, cioè in una prospettiva diversa e opposta a quella perseguita dalla globalizzazione. Il Mezzogiorno italiano si trova oggi al centro della formazione di un nuovo sistema logistico per il trasporto e lo scambio di merci tra l’Asia, Africa e l’Europa. Due possibili scenari si possono intravvedere: 1. il Mezzogiorno diventa ancora una volta un ponte logistico per un sistema di trasporto e comunicazione rivolto a servire le regioni ricche d’Europa Occidentale, senza il coinvolgimento dei mercati e dei sistemi produttivi delle regioni del Sud d’Italia; 2. oppure diviene parte di un nuovo sistema di scambi internazionali centrato sui propri mercati e potenziali di crescita. Riorientare le politiche e i mercati delle regioni del Mezzogiorno verso il Mediterraneo, l’Africa, e l’Estremo Oriente dovrebbe far parte degli obiettivi della so59
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luzione Alessandrina che renderebbe questa megaregione più forte nel Sud e più attrattiva nel Nord. La prospettiva dei tre “Mezzogiorno”, per l’impatto che può produrre sulle politiche regionali dell’UE, dovrebbe trovare uno spazio di rappresentanza di queste megaregioni nel sistema istituzionale europeo e produrre politiche concertate, sia per la difesa delle loro specificità culturali e produttive, sia per una iniziativa concertata per la loro cooperazione verso le aree esterne all’Unione Europea, rappresentate a Sud dal Mediterraneo e l’Africa in generale e a Est dalla Russia, Ucraina, Turchia, Balcani. Credo che sia condivisibile l’affermazione di Antoni Kuklinski: a causa “del fallimento del processo decisionale politico convenzionale, la scelta di soluzioni alessandrine è l’unica via percorribile per recidere i nodi di Gordio delle singole regioni”.
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Note 1. Questo orientamento della scuola dominante nella letteratura odierna meridionalista fa riferimento ai contributi della rivista Meridiana nel corso degli ultimi decenni. Sul tema vedi le considerazioni dei saggi di Mauro Fotia e Daniele Petrosino pubblicati in questo volume. 2. Un fenomeno identificato come “globalizzazione triadica” e “apartheid globale”. Vedi Amoroso (1999), Petrella (1992), Sideri (1999). 3. Per una accurata ricostruzione dei dati e del dibattito di quegli anni si rinvia alla rasegna ed analisi contenuta nel volume Amoroso, Olsen (1978), e Woolf (1974). 4. Un giudizio critico severo sulle politiche agricole e per il Mezzogiorno e sull’impatto del Mercato Comune europeo fu espresso sulla rivista «Cronache Meridionali» di Giorgio Napolitano (Napolitano, 1958). 5. «In ogni forma di conoscenza, come in ogni forma di ignoranza, c’è la tendenza ad allontanarsi dalla verità in direzione opportunistica», (Myrdal, 1970, p. 21). 6. Queste mie tesi sono state elaborate in occasione del VI Rapporto sul Mediterraneo, pubblicato dal CNEL nel 2001, e riprodotte in Amoroso, 2000, cap. 10. “Economia e vita materiale: note per una ricerca”, pp. 181-191. 7. Sul tema interessanti sono i contributi di Meldolesi, 1998, 2009. 8. East Germany is empting out, in «The Global edition of the New York Times», june 19, 2009, p. 3. 9. Il testo di Mauro Fotia pubblicato in questo libro approfondisce questi e altri aspetti del problema nei punti 4, 5, 6. Del tema si occupa anche il testo di Daniele Petrosino.
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Gli autori Bruno Amoroso è professore emerito presso l’Università di Roskilde, Danimarca e presidente del Centro Studi Federico Caffè, Roskilde-Roma. Cattedra Jean Monnet sulla coesione sociale interna e la cooperazione internazionale dell’Unione Europea. Tra le sue pubblicazioni: Della Globalizzazione, Il capitalismo del XXI secolo, Molfetta 1998; Apartheid Globale, Roma 1999; Europa e Mediterraneo, Le sfide del futuro, Bari 2000; con Sergio Gomez y Paloma Persone e comunità. Gli attori del cambiamento, Bari 2007; 8 Rapporti sul Mediterraneo: 2001-2008, (red.) Roskilde-Roma; Per il bene comune. Dallo stato del benessere alla società del benessere, Reggio Emilia 2009. Antonio Corvino è Direttore Generale Osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza con sede in Bari e Direttore Generale Confindustria Lecce. Coordinatore tra il 2003 e il 2005 degli Accordi di Programma Quadro settoriali e territoriali per la Regione Puglia nonché, nel 2005, responsabile di progetto e coordinatore del relativo gruppo di lavoro tecnico-scientifico incaricato della redazione, da parte di Finpuglia, del Programma Operativo Generale per la Promozione e lo Sviluppo Industriale e il Sostegno alle Imprese in Puglia. Docente, dal 1991 al 1994, in Tecniche delle ricerche di marketing presso la Scuola a fini speciali in Comunicazione d’Impresa, presso l’Università di Bari, è curatore e autore di pubblicazioni, saggi e contributi a contenuto economico, tra cui coordinatore Rapporti Industria di varie regioni del Mezzogiorno d’Italia pubblicati dall’Osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza tra il 1995 e il 2010. Tra le sue pubblicazioni: con N. Quirino, Un indicatore provinciale di vitalità del sistema economico e sociale in «Rassegna Economica-Banco di Napoli», 1, 2008; con Ernesto Somma, Indicatori sintetici ed aree geografiche sub-nazio-
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nali: un’applicazione all’economia nazionale in «Rivista di Economia e Statistica del territorio», 1, 2007; Lo sviluppo del settore calzaturiero in un’area periferica, Napoli 1989. Mauro Fotia insegna Sociologia Politica presso l’Università di Roma La Sapienza. In passato è stato docente di Scienza della Politica presso le Università di Messina e Trieste e visiting professor presso varie università straniere. Si è occupato soprattutto dei rapporti tra le classi politiche e le masse, con particolare riferimento alle tematiche inerenti il sistema politico e la finanza pubblica, e con applicazioni empiriche sul territorio del Mezzogiorno d’Italia. Tra le sue pubblicazioni: Il territorio politico. Spazio, Società e Stato nel Mezzogiorno d’Italia, Napoli 19983; Il neoliberismo in Italia, Roma 20003; Il ritorno dell’estrema destra, Roma 20003; Il liberalismo incompiuto, Milano 2003; Neocentrismo e crisi della politica, Trieste 2007. Antoni Kuklinski è professore emerito presso l’Università di Varsavia, presidente della Polish Association of the Club of Rome è direttore del Centro di ricerca delle regioni europee RECIFER nella School of Business-National-Louis University a Nowy Saçz. Membro Onorario della Akademie für und Raumforschung Landesplanung in Hannover e dell’Accademia Internazionale dello sviluppo regionale e cooperazione a Mosca, è presidente del Team V “Europa 2050” Forecasting Comitato “Polonia 2000” Plus. Tra le sue pubblicazioni: The Role of the Regions in Federal Europe of the 21st Century, in Régiók Európája, Tanulmánykötet, str. 38-46, 2002; What Can Polish EU Membership Mean for the EU and for Europe as a whole? Preliminary reflections, in Reconceptualizing Europe, str. 37-67, Uppsala University 2002. Co-editor, Space, Structure, Economy: A Tribute to August Loesch, Edited to Mark the Centenary of August Loesch’s Birthday, october 15, 2006; Europe: The Global Challenges, Nowy Saçz 2005; Dilemmas in Regional Policy, Berlin 1983.
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Daniele Petrosino insegna Sociologia generale e di metodi e tecniche della ricerca sociale presso l’Università di Bari. Tra le sue pubblicazioni: Lavoratori senza, Bari 2006, Razzismi, Milano 1999, Stati in frantumi. Le secessioni nel mondo contemporaneo, Bari 1998, con C. De Fiores, Secessione, Roma 1996, Stati Nazioni Etnie, Milano 1991. L’Osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza (OBI) (Bari), costituito nel 1996, ha lo scopo di approfondire la conoscenza dei sistemi produttivi regionali, sviluppare le relazioni tra il mondo bancario e le imprese e supportare le Istituzioni locali nella programmazione degli interventi per lo sviluppo sul territorio. Pubblicazioni e ricerche di lato ai rapporti tematici su commessa di Enti Pubblici, Banche...: Rapporto strutturale sui sistemi produttivi del Mezzogiorno, pubblicato annualmente dal 1996 al 2007. Rapporto annuale Impresa e Competitività, in collaborazione con l’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) pubblicato dal 2008. Rapporto annuale Pil, Valore Aggiunto e Occupazione Regioni Meridionali, Province e Comuni, in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne, dal 2006. Rapporto congiunturale trimestrale (Congiuntura Mezzogiorno), pubblicato in collaborazione con l’Istituto di Studi e Analisi Economica (ISAE) e SRM dal 2008.
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Curato da Bruno Amoroso Il “Mezzogiorno” d’Europa inaugura la collana ECIM “Economie di comunità, Interculture e migrazioni” stampato nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni dalla tipografia Sograte di Città di Castello per conto di Diabasis nel gennaio dell’anno duemila undici