Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale

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«La responsabilità verso i luoghi è primaria almeno quanto il rispetto dell’alterità umana e culturale: il riconoscimento dell’identità dei luoghi è basato sull’esperienza dell’altrove e del diverso.» Il tema dell’ethos dell’abitare, della responsabilità verso la singolarità dei luoghi, si trova così concretamente declinato in condivisione della gestione, del recupero e del progetto dei territori tra esperti, amministratori e cittadini. «Nel tema dell’appartenenza e dell’identità dei luoghi, è da leggersi anche un riannodare di fili interrotti della memoria in racconti identitari e “fondativi”, con un ritrovato accesso alla dimensione cognitiva e simbolica del paesaggio, oltre l’identificazione “estetica” del paesaggio come mera immagine.»

€ 18,00

LUISA BONESIO

Luisa Bonesio

PAESAGGIO, IDENTITÀ E COMUNITÀ TRA LOCALE E GLOBALE

PAESAGGIO, IDENTITÀ E COMUNITÀ TRA LOCALE E GLOBALE

Luisa Bonesio è docente di Estetica nell’Università di Pavia e di Geofilosofia in vari corsi di formazione e di specializzazione. Studiosa del pensiero di Nietzsche, Spengler, Jünger e di estetica del paesaggio e di geofilosofia, si sta dedicando da tempo all’elaborazione di un’ermeneutica del paesaggio. A questi ambiti teorici sono dedicati corsi, pubblicazioni e conferenze, seminari, oltre che l’organizzazione di numerosi convegni in Italia con il patrocinio delle amministrazioni pubbliche. È stata responsabile scientifica dell’annuale Festival “Paesaggio: l’anima dei luoghi”, per il Comune di Pavia (2006-2009). Tra i suoi scritti principali: La terra invisibile, Marcos y Marcos, Milano 1990; Geofilosofia del paesaggio, Mimesis, Milano 1997 e 20012; Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’era dei Titani (con Caterina Resta, Mimesis, Milano 2000); Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia (Arianna, Bologna 2002); Lapidario. Breviario di meditazione alpestre, Ulivo, Balerna (CH) 2003. Ha curato e postfato vari volumi, tra cui i collettanei, di cui è anche coautrice, Geofilosofia (Lyasis, Sondrio 1996); Orizzonti della geofilosofia. Terra e luoghi nell’epoca della mondializzazione (Arianna, Bologna 2000); Ernst Jünger e il pensiero del nichilismo (Herrenhaus, Seregno 2002); La montagna e l’ospitalità. Le Alpi tra selvatichezza e globalizzazione (Arianna, Bologna 2003); Paesaggi di casa. Avvertire i luoghi dell’abitare (con L. Micotti, Mimesis, Milano 2003). Insieme a Caterina Resta dirige la collana “Terra e Mare” presso Diabasis, è ideatrice e autrice del sito www.geofilosofia.it e ha fondato l’Associazione d’iniziativa culturale “Terraceleste”.

DIABASIS

TERRA E MARE

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Il volume intende tracciare il percorso del mutamento epocale di un concetto, quello di paesaggio, caduto progressivamente nell’oblio e oggi tornato ad affermarsi in tutta Europa come paradigma centrale e imprescindibile di una rinnovata consapevolezza dell’abitare e dei valori della territorialità. Interpretato, soprattutto in età romantica, come mera proiezione sentimentale ed emotiva di uno sguardo soggettivo, e perciò destinato a una fruizione di tipo estetico, incapace di concreta cura e salvaguardia del territorio, il paesaggio viene invece oggi riscoperto come espressione e forma da interpretare, là dove lo sguardo dell’uomo e la sua memoria storica incrociano i molteplici volti della terra, in vista non solo di una riqualificazione dei beni paesaggistici, di cui si rivendica l’aspetto culturale, oltre che naturale, ma soprattutto per corrispondere al crescente bisogno di identità e di differenzialità nel devastante processo di delocalizzazione provocato dalla globalizzazione.


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Dipartimento di Filosofia Università degli Studi di Messina TERRA E MARE Collana di Geofilosofia diretta da Luisa Bonesio e Caterina Resta

Dopo la fine dell’ordine cosmico su cui si reggevano le civiltà antiche, dopo il tramonto della Cristianità medievale e il naufragio del delirio prometeico della Modernità, il globo sul quale ormai sappiamo d’avere un destino comune attende con urgenza un nuovo Nomos. Diviene dunque ineludibile, di fronte alla crisi che pervade ogni aspetto della vita sul nostro pianeta, tornare a pensare il senso e le possibili forme del nostro abitare sulla Terra. Ciò può avvenire soltanto a partire da un radicale ripensamento del Luogo, in quanto spazio non meramente astratto e geometrico, ma concreto lembo di terra, ogni volta singolare, qualificato dall’incontro tra natura e cultura e dalle loro stratificazioni storiche, nel convincimento che l’odierno galoppante processo di delocalizzazione non produce unicamente spaesamento, ma impedisce anche ogni possibilità di futuro soggiorno, senza del quale l’umanità è certamente destinata alla sparizione.


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In copertina Gabriele Münter, Landscape with white wall, 1910

Progetto grafico BosioAssociati - Savigliano (CN)

ISBN 978 88 8103 491 8

© 2007 Edizioni Diabasis © 2009 prima ristampa Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it

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Premessa Capitolo primo

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Il paesaggio come rappresentazione Capitolo secondo

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Natura, paesaggi, ambiente Capitolo terzo

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Un secolo ostile al paesaggio Capitolo quarto

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La riscoperta del paesaggio Capitolo quinto

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Ermeneutica del paesaggio Capitolo sesto

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Paesaggio come luogo dell’abitare

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Bibliografia

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Premessa

Dimorare è il modo di essere della saggezza. Si dimora creando un posto, scoprendo un luogo. Non si dimora da qualunque parte, ma presso o in un luogo determinato. Questo luogo è la terra, la casa o il cuore umano. La saggezza è sempre ospite. […] Preparare una dimora alla saggezza equivale a mettere radici nel cuore della realtà. R. Panikkar, La dimora della saggezza

È stato nell’orizzonte di ripensamento dei presupposti più o meno espliciti del progetto occidentale che è scaturita anche quell’importante ridefinizione del concetto e delle pratiche del paesaggio, inteso non più come raffigurazione estetica e proiezione soggettiva, ma come manifestazione concreta, storica, simbolica e comunitaria di identità culturali espresse nel territorio. Anche in questo caso, la sorprendente fortuna del tema negli ultimissimi anni, che ha portato a una fioritura di pubblicazioni, manifestazioni e iniziative, è stata resa possibile da un lungo lavoro di decostruzione di concettualità obsolete, pregiudizi progressisti e diffidenze ideologiche, infine riconosciuto e sancito nella Convenzione europea del paesaggio, siglata nel 2000. Oggi il diritto a luoghi dotati di identità storica, geografica e paesaggistica si trova affermato a vari livelli legislativi, ma soprattutto esprime l’insopprimibile esigenza, per abitanti e comunità, di luoghi qualificati, identitari, significativi, che certamente è stata resa più acuta dagli effetti obliteranti e omologanti del modello globalizzante. L’attenzione e la necessità di luoghi singolari, differenziati, ricchi della loro complessa patrimonialità storica, artistica, ambientale, culturale, compensano il devastante periodo dell’ideologia produttivista e funzionalista, agevolate, anche, in una rinnovata percezione puntata sugli aspetti qualitativi, dagli effetti della massiccia deindustrializzazione del continente europeo. In realtà, senza una trasformazione dell’approccio conoscitivo, propiziata da diversi pensieri sull’abitare, dal riconoscimento dell’inscindibile relazione di senso tra uomo e luogo, nutrita della decostruzione dei presupposti del razionalismo urbani-


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Capitolo quarto

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1. La “liberazione” del territorio Il territorio così pesantemente e ferreamente incatenato dalle maglie della tecnica e piegato senza riguardo agli imperativi dell’industrializzazione, negli ultimi due decenni del secolo scorso, almeno nei paesi più economicamente benestanti, comincia a “liberarsi” da quella che aveva assunto i caratteri di una vera e propria occupazione da parte dello spirito tecnocratico vincente. È una svolta pressoché improvvisa, conseguente innanzitutto alla dislocazione in altri paesi delle attività industriali più pesanti e inquinanti, ma anche al movimento, sempre più diffuso, di un’opinione pubblica più sensibile alle tematiche della qualità abitativa e ambientale e alla ricerca di nuovi stili di abitare. Intere e talvolta anche ampie zone di una regione si trovano improvvisamente private di attività produttive che le avevano segnate, talvolta con effetti indelebili, e consegnate al mondo nell’immagine, nella dura realtà dei ritmi e delle esigenze industriali. Inoltre alcune soluzioni tecnologiche hanno potuto nel frattempo ridurre gli impatti ambientali, o quantomeno quelli visibili degli impianti sul territorio. Così, mentre si amplia e si intensifica l’uso dello spazio ai fini degli spostamenti di uomini, energia, materiali e informazioni, diminuisce quello a fini industriali di trasformazione. Valli montane, zone costiere o interne caratterizzate spesso dalla presenza di monoculture industriali particolarmente inquinanti, da attività estrattive, da manifatture che avevano sostituito nell’economia locale il ruolo primario dell’agricoltura e dell’allevamento, si ritrovano in lassi di tempo piuttosto brevi a doversi riappropriare del proprio territorio, e a riscoprirne le valenze paesaggistiche, ed eventualmente turistiche, in un complesso cammino, tutt’altro che scevro di ambiguità e di difficoltà. Così come a riscoprire e ad aggiornare il fascino delle rovine e l’attrattiva della


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Capitolo quarto

patina, proiettandole sulla “ferraglia” rimasta dopo l’esodo delle produzioni, riconvertendo il culto dei resti alle strutture edilizie, ai luoghi e agli impianti in una sorta di aggiornata e paradossale estetica sublime che si esercita su oggetti ancora “caldi” e dolenti, riscattando il loro orrore estetico e storico nella patina rugginosa o nell’intrecciarsi al nuovo inselvatichimento1. D’altro lato, l’intensificazione, proliferazione e differenziazione delle attività turistiche è cresciuta a dismisura, tanto da configurare quella turistica come la prima industria a livello planetario, con una domanda in crescita esponenziale di luoghi di loisir e di occasioni di turismo culturale e naturalistico-avventuroso. Ma se il turismo può costituire una risorsa, senza governo dei suoi effetti può essere quasi altrettanto devastante della vecchia industria, tanto a livello dei luoghi su cui scarica il suo impatto, quanto delle culture e delle comunità locali che corrono il realissimo rischio di venire annullate nella loro identità e specificità2. Infine, ma non ultimo per rilevanza, il fenomeno della domanda di luoghi identificabili, esteticamente e ambientalmente qualificati, la domanda di memoria e di identità storica e un più generale, quanto spesso ambiguo, movimento di riscoperta della propria identità culturale e delle proprie radici, che costituiscono un palese e probabilmente compensativo contromovimento rispetto alle ideologie e alla realtà di un nomadismo cosmopolitico per lo più coatto, allo sradicamento provocato dalle esigenze della tecnoeconomia mondiale, alla cancellazione di memoria storica e di differenzialità locali come prezzo dell’omologazione mondializzante, e a una generale invivibilità negli spazi progettati e approntati in piena ideologia razionalistica come forme emancipative della modernità. Sarà nel ripensamento geofilosofico del “luogo”, parallelo a questi fenomeni, che avverrà il decisivo spostamento di paradigma del paesaggio. Anche se alcune discipline hanno compreso i mutamenti dei propri paradigmi nel passaggio dal moderno al postmoderno (o dalla modernità fordista a quella postfordista), appare plausibile anche l’interpretazione delle trasformazioni più recenti all’interno della logica della modernità: ancora una volta si assiste all’investimento di senso estetico, salutistico, ricreativo sulla natura da parte di una


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civiltà più che mai metropolitana e cosmopolitica, con la differenza, rispetto ai decenni ’50-’80 del XX secolo, di un ampliamento della richiesta, ma anche della potenziale “offerta”. Tuttavia non appare ancora superato il primato urbano sulle “campagne”, soprattutto dal punto di vista delle priorità produttive e culturali: è come se la società che anela, in molti suoi comportamenti e aspirazioni, alla “natura” e ai paesaggi storici, non volesse o non potesse privarsi della propria centratura urbana e tecnologica3, oltre che dell’immaginario con cui guardare “fuori” di se stessa. Secondo le previsioni, le megalopoli sono destinate a crescere in numero e abitanti in tutto il mondo, e già ora un abitante su due del pianeta vive in spazi urbani, considerando in essi anche l’indefinito allargamento dei quartieri suburbani e periurbani. Che poi anche le “campagne” ricadano pienamente nella logica metropolitana che informa di sé i territori, lo aveva visto, ben prima dei sociologi e pianificatori odierni, Spengler, parlando di riduzione a “provincia” delle campagne da parte della cosmopoli, che diventa il terreno su cui si muove il nuovo nomade. L’antagonismo essenziale della città rispetto al paesaggio da cui si stacca, contrapponendovisi, non viene smentito dalla funzionalizzazione estetica e ludica che la città compie sulla natura, riconosciuta da Spengler come «azione distruttiva sull’imagine del paesaggio»: «Prima la città si era abbandonata al paesaggio, ora essa vuol farlo simile a sé. Così le vie campestri si trasformano in strade militari, le foreste e le praterie in parchi, i monti in punti panoramici; nella stessa città viene inventata una natura artificiale: fontane al posto di sorgenti, aiuole, laghetti, siepi squadrate invece di prati, di stagni e di cespugli»4. E, all’esterno (di cui è sempre più difficile determinare i contorni), i “paesaggi materni” delle civiltà trascorse, ormai attraversabili e visitabili – acquistabili – sui cataloghi delle agenzie di viaggio e delle società immobiliari. Tuttavia i canoni estetici e le tipologie paesaggistiche messe in forma tra Settecento e Ottocento mostrano un’insospettabile persistenza, a fronte di un mondo profondamente mutato. Così, se la campagna torna ad esercitare un fascino di massa, a rigore essa non esiste più in quanto tale, perché non ci sono più le forme di agricoltura che l’avevano resa possibile; moltissimi vogliono abitare in campagna, ma quasi nessuno vuole occuparsene, oppure si verifi-


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Capitolo quarto

cano conflitti circa le aspettative dei cittadini che la vorrebbero coerente con un certo immaginario estetico che ne hanno, e gli agricoltori, che spesso ambiscono ad adottare stili di vita e di consumo tipicamente urbani. Quanto al gusto per gli aspetti selvaggi e sublimi della natura, esso non solo non è tramontato nell’inclinazione estetica comune, a dispetto degli esercizi critici e del sarcasmo scaricato su di esso da filosofi e avanguardie, ma ha conosciuto uno straordinario incremento proprio grazie a quel progresso della sicurezza e al controllo del pericolo che avrebbe dovuto liquidarlo: l’accesso alla natura selvaggia è possibile, in varie forme e gradi di intensità, e i suoi luoghi diventano il pretesto e il teatro, molto spesso, di pratiche sportive “estreme” che, in un certo senso, rappresentano l’avatar del genere “pittoresco eroico”. Inoltre, in un mondo ammorbato dalla sua tecnica, la selvatichezza della natura, ormai non più repulsiva e terrifica, rappresenta ancora l’ideale di un mondo incontaminato e primigenio, nei cui residui brandelli poter tirare il fiato5. In modo analogo, lo sguardo naturalistico si unisce alla ricerca di sempre più minuziosi dettagli paesaggistici, alla ricerca di sopravviventi aspetti di primordialità nel paesaggio. Così ancora oggi, «questi due modelli paesaggistici, la campagna pastorale e la foresta selvaggia ispirano, spesso in modo dialettico, pratiche e discorsi paesaggistici contemporanei. Essi corrispondono a due concezioni della natura che contrappongono gli uomini della foresta a quelli, i contadini, che hanno sviluppato al suo esterno l’(agri)cultura. I paesaggi pittoreschi non sono, dunque, né desueti né aneddotici […]. L’idea di pittoresco non soltanto fa parte di un’economia del loisir all’aperto, ma contribuisce alla territorializzazione della società, o comunque accompagna la valorizzazione di patrimoni pubblici. Vi sono più concezioni del pittoresco contemporaneo, dalle maggiormente raffinate a quelle più popolari»6. Ma occorre, oggi, tenere più che mai presente come, accanto a un modello di valorizzazione paesaggistica che discende da canoni artistici e ad uno più specificamente naturalistico-scientifico, se ne sia affermato su larga scala un terzo, in cui la “natura” diventa la costruzione sociale di un rapporto con un territorio (per una pratica sportiva, per ricerca di quiete; può essere la riva di un torrente su cui pescare, una strada di campagna in cui correre o


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andare in bicicletta; un bosco, una spiaggia deserta in cui meditare, un luogo carico di significati di gruppo, familiari o personali, ecc.): si tratta di (micro)paesaggi attivati da ragioni simboliche o da pratiche temporaneamente condivise, caratterizzati dall’incostanza e dalla variabilità dei modelli e delle pratiche sociali. Infine, gli aspetti propriamente storici del paesaggio ricevono nuova attenzione e nuova valorizzazione, sia a scopi identitari ed estetici della comunità cui appartengono, sia con finalità di attrazione turistica. Reinseriti nella consapevolezza del tessuto cui appartengono e nel quale s’inscrivono, non più come irrelati exempla provenienti da tempi andati, i segni architettonici o antropici a vario titolo contribuiscono alla generale tendenza di “mettere in paesaggio” i territori, quali che siano7, partecipando sia della tendenza al recupero della memoria e al conservazionismo che sembrano caratterizzare gli ultimi anni, spesso anche in forme alquanto parossistiche e compensative8, sia del movimento di espansione dell’economia turistica e della sempre più diffusa valorizzazione paesaggistica dei territori (viaggi, villeggiature, seconde case, ecc.). Tutte queste modalità di rapportarsi alla natura percepita come paesaggio fanno sì che si possa parlare della nostra società occidentale avanzata come di una “società paesaggista”, con tutti gli enormi problemi che questa caratterizzazione comporta, ma anche con la crescente necessità di affinare gli strumenti analitici per la comprensione della complessità di questo fenomeno, prima ancora di farne un oggetto da marketing9, così come si assiste a un imponente movimento di recupero memoriale, attraverso il cosiddetto “patrimonio culturale”. Anche in questo caso, il passaggio dalla dissipazione al conservazionismo è stato piuttosto rapido, immettendo nel campo patrimoniale categorie intere di oggetti, ambiti culturali o estetici obsolescenti, prima quelli minacciati di scomparire nella cultura industriale, poi il patrimonio etnologico contadino e successivamente quello industriale e urbano. Ma è interessante notare come anche la nuova consapevolezza e le nuove riflessioni sul paesaggio sorgano dalla necessità di tutelare i siti naturali e le culture tradizionali dall’ondata azzerante dell’industrializzazione, e come, in modo significativo, a diventare attori del recupero del patrimonio siano state, pressoché in tutti i paesi d’Europa, le


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Capitolo quarto

comunità locali. Così, a causa delle trasformazioni omologanti che si sono verificate ovunque, investendo periferie urbane come campagne e piccoli centri, anche a seguito della presa di consapevolezza ecologica per il rischio subìto da tutti i contesti naturali, l’attenzione per la dimensione del patrimonio memoriale si è ridestata. Ma, mentre per la sensibilità romantica si trattava di paesaggi storici disseminati di rovine, oggi l’attenzione si dirige principalmente al tessuto complessivo, anche degli usi e costumi minimali e quotidiani, del palinsesto storico, dilatato fin quasi al presente: se la prima focalizzazione del patrimonio individuava essenzialmente testimonianze alte (paesaggi d’eccellenza, monumenti importanti, ecc.), oggi, anche a causa degli effetti della sensibilizzazione alla dimensione etnoantropologica, l’attenzione è rivolta piuttosto all’insieme del tessuto: «Una società si stupisce della propria complessità, di cui si sta dimenticando. […] L’oggetto e il contesto formano un tutto connesso dal punto di vista etnologico. Espulsi dall’uso e dalla funzione, si dissociano. Riconoscere e preservare non hanno più lo stesso senso né le medesime conseguenze di un tempo»10. In questa dilatazione inusitata dell’idea di patrimonio si inscrive la riscoperta del paesaggio come dimensione totalizzante e irrinunciabile alla sua stessa pensabilità, e tuttavia anche in questo caso occorre essere consapevoli che vi si può nascondere l’antica prospettiva “pittoresca” sulla lontananza nostalgica: «Elemento del patrimonio, l’oggetto muta natura e funzione. Serve ad altro. A che cosa, se non all’illustrazione del Patrimonio? […] Davanti a queste nuove necropoli d’oggetti fuori uso, di manichini e ricordi, occorre molta cultura e molta convinzione per provare qualcosa che non sia un sentimento divertito, magari intenerito, di pittoresco e di lontananza. Il patrimonio sarà individuato, ci viene detto, a partire da pezzi ben selezionati e debitamente documentati. Ma basta? La memoria profonda è meno legata al possesso che al godimento»11. 2. Il modello del museo territoriale Come si sarà notato, nella valorizzazione estetica e memoriale dei luoghi della “società paesaggista”, convivono spunti e logiche anche molto diverse, sia nell’idea di fruizione, che nello sguardo


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Sintesi feconda di lunghe riflessioni letture dialoghi ricerche …camminate e sguardi… sul mutato paradigma del paesaggio che dà senso e forme al nostro abitare la terra (identità differenze singolarità) colloca la responsabilità dei luoghi nel quadro del rispetto delle alterità umane e culturali esige governance e partecipazione il libro di Luisa Bonesio conosce la sua prima ristampa nel carattere Simoncini Garamond su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni dalla tipografia Sograte di Città di Castello per conto di Diabasis nel settembre dell’anno duemila nove


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TERRA E MARE Collana di Geofilosofia 1. L. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale 2. F. Saffioti, Geofilosofia del mare. Tra Oceano e Mediterraneo 3. Paesaggio: l’anima dei luoghi, a cura di Luisa Bonesio e Luca Micotti 4. O. Broggini, Le rovine del Novecento. Rifiuti, rottami, ruderi e altre eredità

TERRA E MARE Collana di Geofilosofia minima 1. C. Resta, Stato mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso


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TERRA E MARE

Collana di Geofilosofia 1. L. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale 2. F. Saffioti, Geofilosofia del mare. Tra Oceano e Mediterraneo 3. Paesaggio: l’anima dei luoghi, a cura di Luisa Bonesio e Luca Micotti 4. O. Broggini, Le rovine del Novecento. Rifiuti, rottami, ruderi e altre eredità

TERRA E MARE minima

1. C. Resta, Stato mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso


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