Tutto si muove, tutto si tiene

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Albertina Soliani

TUTTO SI MUOVE, TUTTO SI TIENE VITA E POLITICA. QUASI UN BILANCIO PER LA GENERAZIONE CHE VIENE.

Prefazione di

Romano Prodi

STATI DI LUOGO DIABASIS


Coordinamento editoriale Fabio Di Benedetto Redazione Leandro del Giudice Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN) Anna Bartoli

In copertina Alunni della scuola BEHS di Yangon (Birmania) rispondono alla domanda “Chi vuol fare una partita di pallone?” Ponte di barche a Boretto Incontro con Aung San Suu Kyi ISBN 978-88-8103-814-5

© 2013 Diaroads srl - Edizioni Diabasis vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: commerciale@diabasis.it www.diabasis.it


Albertina Soliani

Tutto si muove, tutto si tiene Vita e politica. Quasi un bilancio per la generazione che viene. A cura di Giuseppe Bizzi

STATI DI LUOGO DIABASIS



Con la virtù della speranza

Gli ideali che Albertina ha perseguito e gli obiettivi che ha raggiunto sono il risultato di fatica, di semplicità e di assoluta coerenza rispetto ai propri principî. Una vita con un inizio difficile (figlia senza padre in un ambiente non certamente prospero) si è trasformata, con il passare degli anni, in una progressiva conquista non solo di un forte ruolo politico, ma di un ruolo di riferimento etico per una vasta comunità. È chiaro che questo può avvenire solo in presenza di spiccate doti naturali, di cui sono la prova rendimenti scolastici così positivi che la spingono verso un curriculum scolastico del tutto inusuale per le circostanze nelle quali si era trovata a vivere. Le sue doti naturali, unite a una volontà di ferro, sono tuttavia sufficienti per costruire una carriera ma non per diventare un punto di riferimento per gli altri. Questo esige altre virtù che, pur rimanendo celate dal pudore del racconto, bene emergono dalla semplice lettura di queste pagine. La prima dote è quella di capire il prossimo nei suoi sentimenti e comportamenti più elementari di solidarietà e di amicizia, di volere bene a coloro che le sono stati vicini nei momenti più difficili e di avere un atteggiamento sempre positivo verso il prossimo. In tutta la sua attività di insegnante, di preside, di politica è come se Albertina avesse voluto restituire il senso di affetto e di solidarietà che le era stato dedicato dalla comunità in cui si era trovata a vivere nell'infanzia e nell'adolescenza. Da questi sentimenti emergono le sue riflessioni sul ruolo di aggregazione, di pacificazione e di solidarietà che la coalizione dell'Ulivo avrebbe potuto apportare al Paese se non si fosse costruito attorno ad essa un ambiente cosi largamente ostile. Nelle pagine di questo libro appare perciò naturale lo sforzo di tradurre in disegno politico la spontanea solidarietà che aveva accompagnato la sua crescita materiale ed intellettuale. Un disegno che si era naturalmente costruito e irrobustito nei classici luoghi di formazione del mondo cattolico attento alla politica: da un lato


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la parrocchia e, dall'altro, la Democrazia Cristiana a cui si è aggiunto un campo di formazione speciale, cioè l'Università Cattolica di Milano. Il tutto nel particolare fermento del mondo cattolico che si era venuto costruendo negli anni del Concilio e che è poi progressivamente calato di intensità nel tempo. Agli studi universitari si sono quindi accompagnate le letture di una pubblicistica cattolica vivace ed esigente, a volte forse radicale ma comunque straordinariamente importante a formare coscienze coerenti e robuste. Coscienze preparate ad accompagnare un necessario rigore etico con un profondo contenuto di laicità della politica. Parlo di riviste come «Il Gallo», «Il Regno» o «Testimonianze», intorno alle quali si dibattevano i problemi fondamentali della società in un clima di pluralismo, di libertà ma anche di quasi certezza che le cose sarebbero migliorate e che saremmo poi vissuti in una società di maggiori opportunità, non solo di carattere materiale ma anche soprattutto di carattere spirituale. A queste riviste, alle quali anch'io ho lungamente attinto e che forse possono dare l'impressione di un cattolicesimo un poco provinciale, si aggiungevano tuttavia i contributi di provenienza oltrealpina, tra i quali emergono i due giganti della riflessione religiosa germanica, cioè Bonhoeffer e Guardini. Un pensatore protestante ed un pensatore cattolico che hanno forse più degli altri influito su coloro che in tutta Europa si sono dedicati alla politica, attenti nello stesso tempo alle tematiche di carattere religioso. Mi fa una certa impressione ricordare che questi maestri di pensiero erano gli stessi sui quali mi sono potuto intrattenere a conversare con il cancelliere Kohl quando avevamo l'opportunità di andare oltre gli assillanti problemi della politica quotidiana. Ricordo come si richiamasse soprattutto a Guardini, proprio in quanto questo grande pensatore fondava le sue riflessioni sulle virtù teologali e, tra queste, soprattutto sulla speranza. Di scommesse sulla speranza Albertina Soliani ne ha portate avanti molte, operando per il miglioramento della scuola dell’obbligo, del sistema carcerario e del sistema sanitario nazionale, sempre con quell'impegno etico che è il frutto diretto del suo processo formativo. Alla luce di tutto questo si comprende come i suoi ultimi anni di impegno parlamentare siano stati per lei estremamente difficili fino ad essere definiti come veri e propri anni bui, nei quali sono stati messi sotto scacco perfino i valori fondamentali che sono alla base della nostra Costituzione. Questo profondo pessimismo si estende anche al giudizio sui risultati delle elezioni del 2013, riguardo ai quali il commento, del tutto esplicito, è


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che la cultura dell'individualismo è ancora prevalente e un'alternativa alla chiusura esistente ancora lontana da potere essere costruita. Forse anche per questo motivo Albertina accentua in questi ultimi anni la sua attenzione verso l'estero, scegliendo naturalmente Paesi nei quali i diritti civili sono stati particolarmente calpestati. La preferenza si rivolge verso l'Armenia e verso la Birmania, nella persona di Aung San Suu Kyi, con la quale si è aperto un vero e proprio rapporto di amicizia. In fondo la dignità della politica può essere difesa tanto in patria quanto all'estero. E, dato che Albertina fonda ogni sua azione sulla virtù della speranza, penso che, nell'intimo del suo cuore, essa non disperi di potere utilmente ricominciare a lavorare per il bene dell'Italia.

Romano Prodi



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Nota del Curatore

Ci sono titoli che seguono i libri. Altri che li precedono. Di più, li trascinano nella loro scrittura. Tutto si muove, tutto si tiene è tra questi. Sono espressioni verbali tipiche di Albertina perché raccontano una sua struttura profonda di carattere e pensiero. È come per il Po che attraversa la sua terra e il suo collegio elettorale. Nello scorrere, tiene tutto con sé. Così è in questo racconto della sua vita, personale e pubblica: dentro le cose, tra la gente. Sapendo che a muovere la storia sono gli uomini e le donne che accettano di mettersi nel cambiamento e nella relazione. Nessuna idea o identità può essere feconda nella staticità. Per questo Albertina scrive che ama stare sui confini, purché siano luoghi da abitare e non linee da fortificare. E allora si scopre che ci sono fili sottili e robustissimi che, anche a distanza di anni e di chilometri, attraversano i confini e tengono misteriosamente unito chi, con uno stesso spirito, lavora per il cambiamento nella chiesa, nella politica, nella scuola. “Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci”, ha scritto l’amica Tina Anselmi. Da Boretto a Roma, dalla Birmania all’Italia. Ho frequentato le elementari alla Pilo Albertelli, “l’Albertina” – come la chiamavano, così, con l’articolo – era la mia direttrice. Avevo una maestra molto brava, ma con la vita segnata e la mente fragile. Applicare regolamenti sarebbe stato molto più facile che accompagnare. Albertina accompagnò, cercando la collaborazione dei genitori. E la maestra ci portò in quinta, preparatissimi. Fu la sua ultima classe, ma ci arrivò in fondo. Insieme. In queste pagine troverete tanto, ma cercate i volti. È lì la chiave d’ingresso.

Giuseppe Bizzi


A mia Mamma da cui tutto è cominciato, alla mia gente che mi ha custodito, ad Aung San Suu Kyi, una vita per la democrazia.


Tutto si muove, tutto si tiene


“Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene?” Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa.


Nella povertà il futuro

La tua vita incontra la politica quando sperimenti una comunità che ti accoglie. A me è successo a cinque anni, la notte di Natale del 1949. E me lo ricordo. Nel teatrino parrocchiale di Boretto sono stata scelta per interpretare Gesù bambino nella rappresentazione del presepe, prima coricata poi in piedi benedicente, tra due angeli. Ricordo ancora le prove sul pavimento dell’asilo del mio paese, con le suore “Figlie dell’Oratorio” che hanno accompagnato con affetto la mia infanzia e la mia adolescenza. Io, una bambina; soprattutto io, figlia senza un padre. Condizione che per la mentalità del tempo poteva condurre all’emarginazione, in particolare in un piccolo paese. Invece ho vissuto la solidarietà che costruisce uguaglianza e opportunità. Abbiamo celebrato così, con la sapienza e la concretezza del popolo, l’Incarnazione di Dio. Abbiamo tradotto così, nelle nostre storie, l’articolo 3 della Costituzione italiana, da due anni entrata in vigore: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Rimuovere gli ostacoli, un impegno che vale una vita. Della mia infanzia povera e dignitosa, come quella di molti in quegli anni, della mia preadolescenza piena di inquietudini e di sogni per il futuro, porto con me una gratitudine senza fine. Per la gente del mio paese; per i campi e gli alberi all’ombra dei quali ho pensato le mie prime poesie; per i tramonti sul Po, uno diverso dall’altro, che scoprivo in bicicletta sull’argine e che descrivevo nei miei temi; per gli scariolanti a cui portavo da


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bere quando scavavano il canale di bonifica; per i morti, giovani e anziani, che ho accompagnato al cimitero. Nella povertà la vita è tutta davanti, la cerchi con passione, il futuro è sempre meglio del presente e del passato. Così la povertà diventa un valore se ti spinge a dare il meglio di te, a capire il senso degli ostacoli, a sperare nell’oltre. E quelli erano gli anni della ricostruzione dopo la guerra. In casa non c’era un libro, solo quello, incompleto, un po’ strappato dalle mie mani di bambina, che aveva usato mia mamma alla scuola elementare, e il mio sillabario. Quando arrivò la televisione, con Lascia o Raddoppia?, si andava dai vicini più benestanti. E solo qualche rara volta al cinema, soprattutto per i film di storia: così giustificavo la spesa e convincevo mia madre. Nel 1951, il 14 novembre, il Po straripò. L’acqua arrivò da sud, dal Crostolo, deviato per evitare un disastro. Ricordo la sera prima sull’argine: il Po enorme, il buio della notte, la corriera che caricò bambini e anziani e ci portò a Reggio Emilia. Mia mamma no, rimase al piano di sopra della fetta di casa che avevamo, per quaranta giorni al freddo, senza luce. Ogni giorno in barca andava ad accudire la mucca e l’asino, ricoverati al primo piano di un capannone industriale. Una rosa rampicante sul muro della casa continuò a fiorire, dentro il metro e mezzo d’acqua. La solidarietà nel bisogno: questo è un paese.


Donne decise e decisive

Sono cresciuta con mia madre, Isotta, e mia nonna, Erminia. Mi sento dentro questa filiera femminile, nella mia storia personale, nella grande storia delle donne. Mia nonna è morta quando avevo undici anni. Aveva fatto la seconda elementare e guardandomi diceva: «Ag tirom föra ‘na maestrina». Aveva intuito la mia strada, mentre insieme andavamo verso i campi, camminando nella polverosa via Goleto. Forse mia madre si ricordò di quelle parole quando difese la mia scelta di frequentare le magistrali a Parma, nonostante a Boretto pochi capissero perché non preferisse per me la scuola professionale che apriva allora nel paese e un futuro da camiciaia più vicino e redditizio. Mia mamma volle darmi, a costo di grandi sacrifici, quello che a lei era stato negato: sapeva che l’istruzione è tutto. Lei aveva smesso di studiare in quinta elementare per ragioni economiche e a undici anni era già a servizio in una famiglia del paese. Poi lavorò nei campi e in fabbrica, fece la lavandaia a domicilio. Fu sempre aperta alle novità: sperimentò la coltivazione del tabacco nel piccolo campo in affitto. Ricordo la casa ingombra di lunghe pertiche, con le foglie appese a seccare che provocavano continui starnuti. Quando andava a lavorare, io stavo coi vicini della Colombana. Gente solidale quella del paese, che credeva nel futuro dell’Italia. Contribuiva a costruirlo con le quotidiane fatiche nelle case, nei campi della Bassa, nel lavoro a domicilio portato dai maglifici di Carpi. I miei vicini di casa erano pescatori mantovani, partivano prima dell’alba e portavano sull’aia anche gli storioni. Adesso nella loro casa abita una famiglia di indiani. É lì, al mio paese, che la politica ha cominciato a coinvolgermi ed appassionarmi, da subito. La politica: la forza collettiva che può trasformare la vita delle persone. Superare disuguaglianze, garantire giustizia, offrire opportunità di felicità.


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La mia opportunità passava per la scuola media di Brescello, a cui arrivai dopo l’esame di ammissione. Mi aveva preparato, pressoché gratuitamente, un’insegnante di Santa Croce: Rina Gialdini. Ricordo che studiavamo all’aperto, in giardino. Poi arrivò l’Istituto Magistrale di Parma, scelto perché era il corso di studi più breve, considerate le difficoltà economiche. Mi sentivo accompagnata: dalla previsione di mia nonna, dalla determinazione di mia madre, dall’incoraggiamento di Gianna Minardi Lombardo, mia professoressa di italiano alla scuola media di Brescello che raggiungeva ogni giorno da Parma. La ricordo come uno dei punti fermi della mia vita. Ancora la incontro, con gioia. Quando per la prima volta ho varcato il portone della scuola, in via Macedonio Melloni, è come se ci fossero state anche loro insieme a me. E le loro madri e le loro nonne e tutte le generazioni di donne che le hanno precedute nel desiderio di apprendere. Incontrare buoni insegnanti è una grande opportunità nella vita. Sono gli insegnanti che fanno l’Italia. A Boretto la mia maestra, Ebe Becchi, era nota per la sua severità. Nei primi anni Cinquanta i programmi della scuola elementare erano quelli mutuati dagli americani nel 1945. Dewey e la scuola attiva ne erano il motore. Educazione ambientale in primo piano, ante litteram. La scuola media a Brescello era già una garanzia: una squadra di docenti di nota competenza e umanità, da Ennio Cabrini a Pietro e Ines Tagliavini, e poi il pittore di Reggio Emilia Marco Gerra. Alle magistrali incontrai la generazione antifascista di Parma: Armando Barone, Arrigo Dedali ed Elena Mauri, dolcissima insegnante di francese. Alla fine degli anni Cinquanta, la ricostruzione della scuola dava forma alle fondamenta culturali e morali che avrebbero assicurato all’Italia un futuro democratico e una preparazione seria alle professioni. Ancora una volta una donna, Carmela Dagnino, segnò profondamente la mia formazione e le scelte successive. Insegnava tirocinio alle magistrali ed era la sorella di don Raffaele, storico parroco di San Giuseppe, chiesa nell’Oltretorrente di Parma. Furono anni intensi e impegnativi, con episodi carichi di futuro. Come quando fu scelto un mio tema per rappresentare l’intero istituto in un concorso sull’Europa. Da pochi anni, nel 1957, erano stati firmati i "Trattati di Roma" che fondavano la Comunità Europea. Ricordo che fui chiamata nell’ufficio del preside, il professor Alfredo Saloni, a ricopiare il tema. Lui accanto a me, era un momento solenne.


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La contemporaneità e la storia entravano nella scuola, con i loro significati profondi, con i loro valori duraturi. Tanti anni dopo ho fatto parte della commissione del Senato per le Politiche dell’Unione Europea. Allora non avrei mai pensato di vivere a livello istituzionale l’idea di Europa di cui scrivevo in quel tema: davvero la politica consente avventure meravigliose anche a chi non ha mezzi. E dà fili robusti e coerenze profonde alla vita. A pranzo mangiavo un panino dalle "Figlie della Croce": era il compenso per i panni stirati da mia mamma, che ogni sera portavo ai clienti. E non di rado sacrificavo il panino per comprare i libri della BUR: tra i primi acquisti, le tragedie di Shakespeare e l’autobiografia di Verdi tratta dalle sue lettere. Un ricordo che ho portato con me, cinquant’anni dopo, quando presentai in Senato e condussi all’approvazione la legge per le celebrazioni del bicentenario della nascita del Maestro. La Dagnino mi indirizzò ai corsi estivi della casa editrice La Scuola di Brescia, dove conobbi il gruppo dei pedagogisti cristiani, da Marco Agosti a Mario Cattaneo, da Vittorino Chizzolini ad Angelo Colombo. Fu quella una palestra importante per prepararmi alla professione e alla vita civile e politica, per cogliere l’importanza della scuola per la costruzione delle persone, della comunità, di un paese democratico. Gli anni dell’adolescenza mi portarono anche a fare, per quaranta giorni d’estate, l’esperienza in fabbrica. Era un modo per affrontare i costi dello studio. Fu una straordinaria esperienza di vita, di fatica, di solidarietà. Si lavorava il pomodoro, che con mia mamma ho anche coltivato. Negli anni giovanili conoscere il lavoro è formativo come studiare.


Con il Concilio dentro la storia

Finite le magistrali, c’era da scegliere l’università: come fare? I costi erano improponibili per mia mamma. In quei mesi il governo di centrosinistra di Amintore Fanfani decise, applicando l’articolo 34 della nostra Costituzione, di assegnare un presalario mensile ai “meritevoli e privi di mezzi” che si iscrivevano all’università. Tentammo l’impresa, pur nell’incertezza. Almeno si cominciava. Sulla facoltà non ebbi dubbi: pedagogia. A Bologna o alla Cattolica di Milano? Preferii quest’ultima, perché ritenevo che offrisse la possibilità di un’esperienza più aperta e libera. Potei contare sull’incoraggiamento, per me molto importante, di Carmela Dagnino. Quando andai dal parroco del mio paese per ritirare il certificato di battesimo necessario per l’iscrizione, scoprii che mi avevano battezzato non nella chiesa parrocchiale, ma nella cappella dell’ospizio per anziani. Ma il profilo dei miei primi diciotto anni, steso da monsignor Igino Artoni, deve essere stato un buon lasciapassare. Per un anno mi fu assegnato il presalario; nel frattempo fui chiamata nella scuola per supplenze annuali, andai ad insegnare e il presalario ovviamente cessò. Una generazione, la mia, che ha avuto dalla politica grandi opportunità: la possibilità, sotto i vent’anni, di studiare e di lavorare. Oggi questo è un sogno, ieri era la realtà che dava speranza ai sogni dei giovani. Per tutta la vita ho lavorato affinché la nuova generazione incontrasse nella scuola le sue opportunità. La mia tesi di laurea, parecchi anni dopo, fu su Angelo Colombo, educatore, e sul Gruppo d’azione per le“ Scuole del popolo” dei primi del Novecento, con pionieri come Sibilla Aleramo, Adelaide Coari, Tommaso Gallarati Scotti. L’Italia che si riscatta con l’istruzione, al Nord e al Sud, nell’Agro Pontino. La lotta all’analfabetismo che nasce dalla società civile, dai maestri e dalla cultura, come primo impegno per la nazione. La lunga stagione alla Cattolica mi fece incontrare professori che ci ac-


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compagnarono nella chiusura di un’epoca verso una nuova stagione. Seguivo le lezioni affollate di un giovane Francesco Alberoni, e poi dei maestri di pedagogia Mario Casotti e Aldo Agazzi, dei filosofi Emanuele Severino e Giovanni Reale, e di una giovane e brillante Lidia Menapace che, allora, ci formava anche nel Movimento Femminile della DC. Giuseppe Lazzati, il rettore, era, per tutti, un punto di riferimento. A lui scrissi una lettera dopo aver visto la presenza della polizia nei corridoi dell’Università durante le occupazioni studentesche. È stata una stagione di pendolarismo, relazioni, esperienze. Ho vissuto gli anni della contestazione, il Sessantotto, e poi la strategia della tensione e la strage di piazza Fontana. Non era lontana in me la memoria diretta dei rischi che la democrazia può correre. Ricordo il 7 luglio del 1960, quando la polizia sparò in piazza a Reggio Emilia e cinque furono i caduti. Stavo nell’orto di casa, verso sera, e un uomo passando in bicicletta gridava la notizia come se la democrazia fosse stata colpita a morte. A Milano, quando avevo qualche momento libero, andavo in piazza del Duomo. Visitavo la tomba del cardinale Andrea Ferrari, di Parma e già vescovo di Guastalla, e guardavo le novità librarie. Un giovedì del maggio 1967, in una vetrina della Galleria, vidi Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana. Lo lessi avidamente in treno e la mattina dopo lo feci arrivare alla mia cara professoressa Dagnino. Don Lorenzo Milani ci cambiò la vita e le categorie con cui guardare alla società e alla scuola. Come padre Ernesto Balducci, che quando divenni direttrice didattica chiamai a parlare al Collegio docenti: ci richiamò alla necessità di educare al pensiero critico. Riferimenti della mia formazione pedagogica, come Mario Lodi, che la Dagnino nel 1962 ci portò a incontrare alla scuola di Vho di Piadena. Conoscevo da vicino le idee e le esperienze che avrebbero cambiato la nostra cultura, pedagogica e non solo. Questa era l’aria che si respirava a Milano. Raggiungevo la città in treno e, ogni volta, a San Donato guardavo il palazzo dell’ENI, disegnato da Marcello Nizzoli, il grande designer del Novecento di Boretto, creatore della “Lettera 22” dell’Olivetti. Richiamava la pianta ottagonale del Battistero di Parma. E poi c’era Boretto, dove continuava il mio impegno, tra parrocchia – ero delegata delle aspiranti di Azione Cattolica – e politica, con la mia militanza nella Democrazia Cristiana. Boretto era l’unico comune della bassa reggiana a essere governato da una giunta civica di centro, guidata dal maestro Stefano Verzellesi. Ricordo che ci si incontrava spesso per discu-


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tere dei problemi del paese; con la formazione delle liste, sperimentai le prime tensioni della politica. Milano, Boretto: due realtà così diverse che vivevano lo stesso clima di cambiamento e di dialogo. Maturai la convinzione, nelle relazioni e nell’esperienza ancora prima che nelle idee, che era necessaria un’apertura alle forze e alle culture di centrosinistra. Era la semina dell’Ulivo. Cresciuta nell’oratorio femminile della parrocchia, ho vissuto con intensità la vita dell’Azione Cattolica assumendo infine l’incarico di presidente della Gioventù Femminile della Diocesi di Guastalla. D’estate ho condiviso la responsabilità dei corsi estivi in Val di Fassa insieme con la Gioventù Femminile di Parma, con Luigina Gabbi, con Mimma e Paola Mazza. Un periodo di approfondimento biblico, di apertura, di fiducia nel cambiamento. Leggevamo insieme la Bibbia e Lettera a una professoressa, davvero lo spartiacque tra un’epoca e l’altra. Stavamo attraversando la stagione del Concilio, che ho vissuto con grande intensità. Insieme a tanti, con la voglia di incontrarci e di incontrare. Ricordo il cenacolo di Boretto, la scuola dei laici della Diocesi di Guastalla, i resoconti del Concilio di Raniero La Valle sull’«Avvenire d’Italia» della domenica, che leggevo con avidità sotto l’albicocco dell’orto. E poi i viaggi comunitari per conoscere l’Isolotto di Firenze di don Enzo Mazzi o la comunità dei Focolarini a Loppiano. E l’incontro a Roma in piazza San Pietro con i padri conciliari, insieme al vescovo di Guastalla Angelo Zambarbieri. Il vescovo del Concilio che ha accompagnato la mia giovinezza. C’era voglia di capire e ritrovarsi in un linguaggio nuovo e comune: leggevamo «Adista», « Il Regno», «Il Gallo», «Testimonianze»; partecipavamo agli incontri dei gruppi spontanei di tutt’Italia. Con l’occupazione della Cattedrale nel 1968, Parma fu al crocevia del fermento che percorreva tutti gli ambiti del vivere insieme. L’eco arrivò direttamente al mio paese, con alcuni amici che erano stati, anche se per caso, presenti al fatto e partecipi. Mi sentivo dentro il cambiamento, parte del cambiamento. Quando arrivò il ‘68 io insegnavo alla scuola elementare di San Prospero a Parma, frequentavo settimanalmente l’Università Cattolica di Milano, vivevo il rinnovamento nella Chiesa e l’impegno sociale e politico come parti non scindibili della mia vita. Leggevo molto, preferibilmente di teologia, nel cuore del rapporto tra fede e storia: da Guardini ai tedeschi, ai francesi, alla teologia della liberazione dell’America Latina. Trascorrevo le ore d’inverno presso la stufa della cucina a leggere i libri di Raissa e Jacques Maritain. E Paulo Freire, dal Brasile, ci insegnava la pedagogia degli oppressi.


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Fede e storia, spiritualità e laicità: tutto si tiene. Nell’unità della persona il vivere e il credere, la professione e la politica stanno insieme nello stesso tempo, con il medesimo impegno. Distinguendo modi, spazi, metodi, strumenti. Ho visto negli anni successivi il venir meno della tensione di allora, la debolezza e il degrado della politica, l’uso strumentale dei valori religiosi, lo smarrimento della Chiesa, l’impoverimento del laicato cattolico. Quella stagione mi plasmò, per sempre.


Albertina Soliani

Tutto si muove, tutto si tiene Vita e politica. Quasi un bilancio per la generazione che viene.

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Con la virtù della speranza Giuseppe Bizzi

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Nota del curatore Albertina Soliani

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Nella povertà il futuro Donne decise e decisive Con il Concilio, dentro la storia Verso l’impegno politico, con le donne Nella scuola il tesoro Le pari opportunità nella società e nelle istituzioni La vittoria di Berlusconi Verso L’Ulivo, sempre un passo più in là. Per unire Al governo del mio Paese La prima caduta di Prodi. Con i Democratici e la Margherita Al Senato: resistere a Berlusconi I venti mesi del governo Prodi: al Senato con Rita Levi Montalcini. Nasce il Partito Democratico La crisi, il governo Monti, il mio lavoro in una legislatura fallimentare Il mio territorio: attraversare i confini La mia città: Parma L’Europa. E il mondo Resistenza, Costituzione, Democrazia: il senso dell’impegno politico Amiche a Roma Ho incontrato la Birmania


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SpiritualitĂ e politica Sentinella, quanto resta della notte? Il tempo di fronte a noi

Lettere agli amici Roma, 11 giugno 1996 Roma, 13 luglio 2007 Parma, 11 agosto 2010 Parma, settembre 2010 Parma, 24 maggio 2011 Parma, 30 agosto 2011 Parma, settembre 2011 Roma, 23 ottobre 2012 Parma, febbraio 2013 Parma, aprile 2013 Rangoon, agosto 2013 Parma, 17 ottobre 2013 Parma, 18 ottobre 2013

Rendiconto 163

INTERROGAZIONI

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MOZIONI

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Grazie Postfazioni Sandra Zampa

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Le nostre serate di amicizia e democrazia Vanna Iori

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Quei sentieri comuni

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Quasi un bilancio di una vita privata e pubblica da Boretto a Rangoon narrata in questo libro stampato nel carattere Simoncini Garamond a cura di PDE Spa presso la tipografia La Stamperia s.r.l. di Parma nell’ottobre dell’anno duemila tredici



Titoli pubblicati nella collana Stati di luogo

Mario Rinaldi La bottega di Aldo (2013) (a cura di) Aberto Ferraboschi e Olga Ragazzi Dalla vecchia Reggio al mondo nuovo. Economia, società e primo socialismo a Reggio Emilia 1886-1901 (2010) (a cura di) Mara Pellegrino, Dimma Spaggiari e Rina Spagni Reggio Emilia: femminile plurale. Storie di donne che fanno e organizzano che creano e inventano (2010) Raffaella Govoni Il cardinale Domenico Toschi. Da Castellarano a Roma 1535-1620 (2009) Sandro Chesi Pietro Marazzi: un capitano dei... miracoli. Dalla “fabbrica di cartone” all’impero ceramico (2009) (a cura di) Paola Artoni, Cristian Fabbi e Alessandro Piantoni Parole senza lettere: un percorso didattico sperimentale sui disturbi specifici di apprendimento (2008) Gabriele Franceschi Il ponte delle maravegie (2008) Carlo Pagliarini Racconti: radici e memorie di un santilariese (2008) Sauro Mattarelli Romagna Graffiti (2008) Carla Gandolfi In viaggio con Luigi (2007) Ludovico Testa La vita è lotta: storia di un comunista emiliano (2007) (a cura di) Gabriella Bonini e Antonio Canovi Narrazioni intorno a Filippo Re: ritratto poliedrico di uno scrittore scienziato (2006)



ISBN 978-88-8103-814-5

€ 19,00


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