Zygmunt Bauman
INDIVIDUALMENTE INSIEME A cura di Carmen Leccardi
DIABASIS la ginestra
LaGinestra
路4路 Collana diretta da Ferruccio Andolfi e Italo Testa
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Cariparma
Si ringraziano Anna Zaniboni e l’Archivio Carlo Mattioli di Parma per la gentile collaborazione In copertina Ginestre di Carlo Mattioli Individually, Together; Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era; From Liberty, Equality, Fraternity to Security, Parity, Network; On Hybrids and the Rest of Us; The Desert, Overcrowded…; Europe: United in Difference; An Interview with Zygmunt Bauman Traduzioni di René Capovin, Paolo Costa, Valeria Annicchiarico
ISBN 978 88 8103 556 4 © 2008 Edizioni Diabasis prima ristampa 2014 Diaroads srl - vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it
Zygmunt Bauman
INDIVIDUALMENTE INSIEME A cura di Carmen Leccardi
Zygmunt Bauman
Individualmente insieme
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Dentro l’individualizzazione. Etica della responsabilità e politica, Carmen Leccardi
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Individualmente, insieme
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La libertà nell’era liquido-moderna: muoversi da un posto all’altro
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Da ‘Libertà, Uguaglianza e Fratellanza’ a ‘Sicurezza, Parità e Rete’
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Ibridi e no
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Il deserto, sovraffollato...
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L’Europa: uniti nella differenza Appendice
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Intervista a Zygmunt Bauman
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Questa raccolta
Dentro l’individualizzazione. Etica della responsabilità e politica Carmen Leccardi
Considerato, sul piano mondiale, uno dei più influenti teorici sociali; autore di diverse decine di libri tradotti in numerose lingue; soprattutto, intellettuale impegnato in una battaglia in cui il segno culturale e quello politico risultano appena distinguibili − partire dal presente per aprire al possibile e pre-figurare un futuro diverso è, nella sua visione, il compito specifico della cultura1 − Bauman rappresenta oggi una delle punte di diamante del pensiero critico. Le sue prese di posizione contro la globalizzazione neo-liberista e la crescente produzione di «scarti» umani che la accompagnano (rifugiati, migranti, richiedenti asilo, sans papier, nuovi e vecchi poveri), insieme alla sua denuncia dello smantellamento degli spazi pubblici e delle reti di protezione sociale ne fanno un’incarnazione contemporanea della tradizionale figura dell’intellettuale impegnato. La vasta popolarità di cui gode oggi la sua produzione scientifica, ben oltre i ristretti circoli accademici, non può dunque essere disgiunta dalla scelta di Zygmunt Bauman di pensare e prendere posizione. Bauman non è infatti soltanto un sofisticato studioso della modernità contemporanea – nelle sue parole, la «modernità liquida». È, al tempo stesso, un implacabile accusatore della privatizzazione dell’esperienza, della colonizzazione della sfera pubblica ad opera del mercato, della degenerazione della politica e della strumentalizzazione in chiave securitaria dell’incertezza, quest’ultima forse il tratto societario ed esistenziale più caratteristico del nostro tempo2.
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Il progetto emancipativo che struttura il suo pensiero pone l’analisi sociale al servizio della dignità degli esseri umani e della loro aspirazione alla giustizia. Per il tramite di un’attrezzatura concettuale duttile, che gli consente di attraversare con identica eleganza territori disciplinari diversi, dalla filosofia all’economia, dalle scienze politiche alla storia, Bauman intende contribuire alla «riarticolazione» della condizione umana. Egli fa riferimento, con questa espressione, alla necessità di sostenere in modo attivo la ricerca di significato e di finalità esistenziali espressa dagli «individui sempre più individualizzati» del nostro tempo. In questa cornice analitica, la sociologia gli appare come la disciplina impegnata a conoscere e a far conoscere «la forma delle cose, il terreno dal quale germogliano e le condizioni di incubazione»3. Rendere disponibile questo sapere, metterlo in tensione con un’utopia positiva, una visione del futuro fondata sull’annullamento della necessità e sull’apertura al possibile anche nella «vita liquida» del nostro tempo, fagocitata dai richiami del consumo e povera di politica: questo è l’obiettivo che Bauman si propone e in base al quale intende offrire agli uomini e alle donne di oggi le chiavi di lettura essenziali per la conquista di forme di controllo sulla propria esistenza. Ciò può accadere mettendo a loro disposizione gli strumenti discorsivi capaci di rendere visibili ed intelligibili le dinamiche del potere contemporaneo e le loro ricadute sul piano biografico. Il sapere che la sociologia di Bauman costruisce è pensato, in sintesi, come una forma di prassi. Riprendendo da Barrington Moore l’idea che la stessa continuità culturale e sociale deve essere considerata frutto di un’inarrestabile processo creativo, generazione dopo generazione, piuttosto che come esito scontato di una condizione d’inerzia, Bauman porta la nostra attenzione sulla dimensione dell’imprevedibilità, dell’apertura, della radicalità costitutiva dell’agire umano4. Sebbene la sociologia non sia, com’è ovvio, un movimento politico, non di meno, secondo Bauman, più di altre forme di sa-
pere possiede un forte «potenziale trasformativo», legato alla sua capacità di rovesciare il senso comune e demistificare le apparenze. Questa capacità la pone in condizione di mettere in luce, ad esempio, non solo come l’universo in cui ci troviamo a vivere, i valori e le norme che lo strutturano, siano un prodotto storico, frutto di scelte umane e, in quanto tali, sempre trasformabili. Le consente anche di fare luce sulle molteplici facce dell’esperienza umana e sulla relazione che lega la loro specificità alla storia. A questo scopo appare fondamentale la dimestichezza con una particolare abilità di pensiero, denominata nella prima metà del Novecento dal sociologo americano Charles Wright Mills «immaginazione sociologica»5. In questa abilità, non a caso, Bauman eccelle. È sulla base di tale perizia che egli è ad esempio in grado di connettere magistralmente le esperienze «banali» della vita quotidiana nel nostro tempo con le grandi questioni sociali e politiche, la dimensione micro- con quella macro-sociale. Grazie all’unione tra questa capacità ed uno stile di scrittura creativo, immaginifico, nella produzione più recente sempre più ricco di metafore ed evocativo – in una parola, letterario − Bauman appare oggi come uno straordinario narratore di «storie sociologiche»6. I saggi contenuti in questa raccolta esemplificano bene l’affermazione. Non vi è dunque spazio, nella proposta teorica di Bauman, per l’alternativa tra «impegno» e «neutralità». L’avalutatività weberiana qui non è accolta. In una società individualizzata, dove l’egemonia delle logiche del mercato erode la prossimità, dove il principio del piacere domina il principio di realtà e la «sindrome del consumatore» estende l’usa-e-getta fino alla sfera delle relazioni interpersonali, chi non condivide queste forme di alienazione non può che assumere in prima persona la responsabilità di «pensare contro». Impegno etico e politico non sono disgiungibili.
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Individualmente, insieme
Il titolo apposto da Norbert Elias alla sua ultima opera, pubblicata postuma, La società degli individui, coglie perfettamente nella sua essenza il problema che ha assillato la teoria sociale fin dalle sue origini1. Rompendo con la tradizione inaugurata da Hobbes e trasformata da John Stuart Mill, da Herbert Spencer e dall’ortodossia liberale nella doxa – la cornice preriflessiva di ogni ulteriore conoscenza – del nostro secolo, Elias ha sostituito l’‘e’ e il ‘contro’ con il ‘di’, e così facendo ha spostato il discorso dall’imaginaire delle due forze condannate a una battaglia, mortale eppure senza esito, tra libertà e dominio, in quella di una ‘concezione reciproca’: la società determina l’individualità dei suoi membri e gli individui formano la società con le loro azioni quotidiane mentre perseguono strategie plausibili e realizzabili all’interno della trama socialmente ordita delle loro dipendenze. Il fatto di concepire i propri membri come degli individui è il contrassegno distintivo della società moderna. Questo mutamento di prospettiva, tuttavia, non si esaurisce in un singolo atto, dev’essere rinnovato quotidianamente. La società moderna esiste nella sua attività di ‘individualizzazione’, così come le attività degli individui consistono nella ridefinizione e rinegoziazione quotidiane dei loro reciproci intrecci da noi definiti ‘società’. Nessuno dei due partner resta fermo a lungo. E così anche il significato di questa ‘individualizza-
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zione’ muta di continuo, assumendo forme sempre nuove, dal momento che i risultati accumulati della sua storia passata pongono regole sempre nuove e cambiano la posta in gioco. Il termine ‘individualizzazione’ significa ora qualcosa di molto diverso da ciò che significava un secolo fa e da ciò che suggeriva agli albori dell’epoca moderna: i tempi della tanto decantata ‘emancipazione’ umana dalle fitte maglie della dipendenza, controllo e imposizione comunitari. Gli scritti di Ulrich Beck Jenseits von Klasse und Stand? e quello di qualche anno più tardi Risikogesellschaft: Auf dem Weg in eine andere Moderne, hanno dischiuso un nuovo orizzonte nella nostra comprensione del ‘processo di individualizzazione’2. Questi due lavori descrivono tale processo come una storia non ancora compiuta, con i suoi diversi stadi, benché priva di un telos o di una meta predeterminati e, viceversa, contrassegnati da una logica di svolte marcate e capovolgimenti improvvisi. Si potrebbe dire che come Elias ha ‘storicizzato’ la teoria freudiana dell’‘individuo’ civilizzato indagando la civilizzazione come un evento nella storia (moderna), così Beck ha storicizzato la spiegazione che Elias ha fornito della nascita dell’individuo rappresentando quella nascita come un aspetto della continua, compulsiva e ossessiva modernizzazione. Beck ha anche liberato il ritratto dell’individualizzazione dai suoi orpelli passati e transeunti che ai nostri giorni oscurano la comprensione più che chiarificare l’immagine (e mi riferisco, in primo luogo, alla visione di uno sviluppo lineare, di un ‘progresso’ strutturato lungo gli assi dell’emancipazione, dell’autonomia crescente e della libertà nel senso dell’autoaffermazione), rendendo così possibile un’attenta disamina delle molteplici tendenze storiche dell’individualizzazione e dei loro esiti e consen-
tendo quindi di comprendere meglio gli elementi distintivi del suo attuale stadio di sviluppo. Riassumendo: l’‘individualizzazione’ consiste nella trasformazione dell’‘identità’ umana da un qualcosa di ‘dato’ a un ‘compito’, e nell’attribuzione agli attori della responsabilità rispetto alla realizzazione di questo compito e delle conseguenze (anche degli effetti collaterali) delle loro azioni. In altre parole consiste nell’istituzione di un’autonomia de iure (benché non necessariamente di un’autonomia de facto). Gli esseri umani non vengono più al mondo con delle identità definite. Come Jean-Paul Sartre ebbe una volta a dire: non è sufficiente nascere borghesi – si deve vivere la propria vita da borghesi (la stessa cosa né si doveva né si sarebbe potuta dire dei principi, cavalieri, servi o cittadini dell’epoca premoderna!). Il bisogno di divenire ciò che si è è l’aspetto caratteristico della vita moderna, e di questa sola (non dell’‘individualizzazione moderna’, giacché tale espressione è evidentemente pleonastica: parlare di individualizzazione e di modernità significa parlare della medesima condizione sociale). La modernità sostituisce la determinazione della posizione sociale con l’autodeterminazione compulsiva e obbligatoria. Ciò vale per l’‘individualizzazione’ in tutte le sue varianti e per la globalità dell’epoca moderna: per tutti i periodi e per tutti i settori della società. Nondimeno, all’interno di questa condizione comune vi sono variazioni significative che hanno tenuto separati individui appartenenti a periodi successivi, così come varie categorie di attori appartenenti alla medesima fase storica. Il compito di ‘autoidentificazione’ assegnato agli uomini e alle donne agli albori dell’epoca moderna, allorché andarono in pezzi le rigide cornici dei ceti, si ridusse alla sfida di vivere mantenendosi ‘fedeli alla propria schiatta’ (‘al-
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l’altezza dei Rossi’): di conformarsi attivamente ai tipi sociali e ai modelli di condotta stabiliti, di imitare, seguire gli schemi, ‘acculturarsi’, non uscire dalle righe, non deviare dalla norma. I ‘ceti’ vennero in seguito rimpiazzati dalle ‘classi’. Mentre nel primo caso l’appartenenza era una questione di ascrizione, nel secondo caso vi era una larga porzione di attiva realizzazione. Alle classi, a differenza dei ceti, bisognava ‘aderire’ e l’appartenenza doveva essere continuamente rinnovata, riconfermata e testimoniata in una condotta quotidiana. Retrospettivamente, si potrebbe dire che la divisione di classe (o la divisione di genere, per quel che vale) fosse la conseguenza di un accesso diseguale alle risorse necessarie per rendere l’autoaffermazione effettiva. Le classi differivano per lo spettro di identità disponibili e per la maggiore o minore facilità di scelta tra di esse. Gli individui dotati di minori risorse, e quindi con minori possibilità di scelta, dovevano cercare una compensazione della loro debolezza individuale nella ‘forza del numero’, chiudendo i ranghi e impegnandosi in azioni collettive. Come ha osservato Claus Offe, per coloro che si trovavano ai gradini più bassi della scala sociale l’azione collettiva, orientata all’appartenenza di classe, era altrettanto ‘naturale’ e ‘nell’ordine delle cose’ quanto la ricerca individuale dei propri scopi di vita per i loro padroni. La privazioni, per così dire, ‘si accumulavano’ e si congelavano negli ‘interessi comuni’ e venivano viste come suscettibili unicamente di un rimedio collettivo: il ‘collettivismo’ era una strategia obbligata per chi era un potenziale destinatario del processo di individualizzazione, e nondimeno impossibilitato ad autoaffermarsi come individuo attraverso l’uso delle proprie personali, ma palesemente inadeguate, risorse. Viceversa, l’orientamento di classe dei più ricchi era parziale
e in un certo senso derivato. Veniva in primo piano soprattutto quando la distribuzione diseguale delle risorse era messa in discussione e contestata. Si può dire, tuttavia, che nel complesso gli individui ‘sradicati’ (disembedded) della modernità ‘classica’ dispiegarono il loro nuovo potere e i diritti derivanti dall’agire autonomo nella frenetica ricerca di un ‘ri-radicamento’. E non mancavano di certo i ‘luoghi’ disponibili e pronti ad accoglierli. L’allocazione di classe, benché prodotta e negoziabile piuttosto che ereditata o semplicemente assegnata per ‘nascita’ come nel caso degli Stände, tendeva a divenire altrettanto solida, inalterabile e resistente alla manipolazione individuale dell’assegnazione premoderna ai ceti. La classe e il genere influivano pesantemente sulla gamma di scelte dell’individuo. Sfuggire al loro vincolo non era molto più facile che contestare il proprio posto nella ‘catena divina degli esseri’. Nonostante tutti gli intenti e i propositi, il genere e la classe rappresentavano dei ‘fatti di natura’ e il compito residuale dell’‘autoaffermazione’ di gran parte degli individui consisteva nel ‘sistemarsi’ nella nicchia assegnata conformandosi ai comportamenti degli altri occupanti. Questo è esattamente ciò che distingueva l’‘individualizzazione’ dei tempi passati dalla forma che essa ha assunto nella Risikogesellschaft, al tempo della «modernità riflessiva» o della «seconda modernità» (come Ulrich Beck definisce l’epoca contemporanea). Non rimangono molti ‘luoghi’ in cui ‘ri-radicarsi’ – e, in ogni caso, non a lungo. Vi sono invece ‘posti’3 di dimensioni e natura varie, così come di numero e posizione cangianti che costringono gli uomini e le donne a mantenersi in un movimento continuo e che non promettono né riposo, né la soddisfazione di ‘arrivare’, né il conforto di raggiungere la destinazione dove sia consentito de-
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porre le armi, rilassarsi e smettere di preoccuparsi. Non esiste la prospettiva di un ‘ri-radicamento’ alla fine della strada imboccata da individui (ormai cronicamente) sradicati. Intendiamoci: ora, come in passato, l’individualizzazione è un destino, non una scelta; nella terra della libertà individuale di scelta l’opzione di sottrarsi all’individualizzazione e di rifiutarsi di partecipare al gioco è enfaticamente esclusa dall’ordine del giorno. Il fatto che gli uomini e le donne non possano incolpare nessuno delle loro frustrazioni e travagli non significa, ora non più che in passato, che essi possano difendersi contro la frustrazione ricorrendo alle loro risorse personali o tirarsi fuori dai guai prendendosi, come il barone di Münchausen, per i lacci delle scarpe. Se si ammalano è perché non sono stati sufficientemente decisi e solerti nel seguire il regime di vita più salutare. Se sono disoccupati è perché non hanno acquisito le competenze necessarie per superare un colloquio di lavoro o perché non si sono dati da fare abbastanza per trovare un posto o perché, semplicemente, hanno poca voglia di lavorare. Se sono incerti sulle loro prospettive di carriera e si arrovellano sul proprio futuro è perché non sono stati sufficientemente bravi a farsi amici e a influenzare le persone e non hanno appreso a sufficienza le arti del sapersi presentare e del sedurre. Questo, in ogni caso, è ciò che gli viene detto, e ciò che finiscono per credere così che essi si comportano als ob, ‘come se’ questa fosse, in effetti, la verità delle cose. Come Beck giustamente e acutamente osserva «il modo in cui si vive diventa una soluzione biografica a contraddizioni sistemiche». I rischi e le contraddizioni continuano a essere socialmente prodotti; è proprio l’obbligo e la necessità di farvi fronte che vengono individualizzati. Riassumendo: c’è un divario crescente tra l’individualità
intesa come destino e l’individualità intesa come capacità pratica di autoaffermazione (come «individuazione», il termine scelto da Beck per distinguere l’individuo che si sostiene e si motiva da sé da un individuo meramente «individualizzato», vale a dire un essere umano che non ha altra scelta se non di agire come se l’individuazione fosse già stata compiuta); e colmare questo divario, si badi bene, non fa parte di questa capacità. La capacità autoaffermativa delle donne e degli uomini individualizzati, di regola, non raggiunge ciò che sarebbe richiesto da un’effettiva autocostituzione. Come ebbe a osservare Leo Strauss, l’altra faccia della libertà senza freni (unencumbered) è l’insignificanza delle scelte – i due aspetti si condizionano l’un l’altro: perché preoccuparsi di proibire ciò che comunque ha scarsa rilevanza? Un osservatore cinico potrebbe dire che la libertà arriva quando ormai ha ben poca importanza. Vi è un perfido sentore d’impotenza nell’unguento di libertà prodotto dalle spinte all’individualizzazione, e questa impotenza risulta tanto più odiosa e irritante alla luce del potenziamento che ci si attendeva da tale libertà. Non è magari che, come in passato, lo stare fianco a fianco e il marciare allo stesso passo possono rappresentare un rimedio? Forse facendo convergere le forze individuali, per quanto esangui ed esili, in una presa di posizione e in un’azione collettiva sarà possibile fare congiuntamente delle cose che nessun uomo o donna da solo potrebbe mai sperare di fare? Il problema, tuttavia, è che le difficoltà più comuni degli ‘individui-per-destino’ oggigiorno non sono cumulabili: semplicemente non si sommano in una ‘causa comune’. Tali difficoltà sono costituite fin dal principio in modo tale che mancano della forma necessaria per intrecciarsi con le diffi-
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coltà degli altri. Le difficoltà possono essere simili (e i sempre più popolari talk-show dei nostri giorni fanno di tutto per convincerci della loro somiglianza e per inculcare nella mente degli spettatori l’idea che il loro principale elemento di somiglianza consiste nel fatto di essere affrontate da ciascuno a modo proprio), ma non formano comunque ‘un tutto che è più grande della somma delle sue parti’ e non acquistano alcuna nuova qualità, più facile da gestire, per il fatto di essere affrontate e fronteggiate collettivamente. Il solo vantaggio che può derivare dalla compagnia di altri sofferenti è la rassicurazione che ciò che tutti gli altri fanno quotidianamente è combattere da soli contro le difficoltà, rafforzando in questo modo la vacillante risoluzione a continuare finché si può a farlo. Uno può forse imparare dall’esperienza degli altri come sopravvivere alla prossima ondata ‘recessiva’, come comportarsi con bambini che pensano di essere adolescenti e con adolescenti che rifiutano di diventare adulti, come ‘liberarsi’ del grasso o di altri ‘corpi estranei’, come sbarazzarsi di una dipendenza non più soddisfacente o di partner non più graditi. Ma ciò che si impara innanzitutto dalla compagnia degli altri è che il solo servizio che la compagnia degli altri può rendere sono i consigli su come sopravvivere nella propria irredimibile solitudine e che la vita di ciascuno è piena di rischi che devono essere affrontati e superati da soli. E non manca poi un altro problema: come Tocqueville già sospettava, liberare le persone può significare renderle indifferenti. Secondo Tocqueville l’individuo è il peggior nemico del cittadino. L’individuo tende a essere tiepido, scettico o diffidente nei confronti del ‘bene comune’, della ‘società buona’ o della ‘società giusta’. Che cosa significa ‘interessi comuni’ se non lasciare che ogni individuo soddisfi i
propri? Qualsiasi altra cosa gli individui possano fare come collettività fa presagire dei vincoli alla loro libertà di perseguire ciò che essi reputano conveniente per sé, e in ogni caso non favorirà questa ricerca. Le due sole cose utili che ci si possono attendere e si possono desiderare dal ‘potere pubblico’ sono l’osservanza dei ‘diritti umani’, lasciare cioè che ciascuno segua la propria strada, e consentire a ciascuno di farlo in pace, garantendo la sicurezza del suo corpo e dei suoi beni, chiudendo i criminali in prigione e mantenendo le strade libere da borseggiatori, pervertiti, mendicanti e da sconosciuti sgradevoli e malintenzionati. Con la sua consueta e inimitabile arguzia Woody Allen ha saputo cogliere le manie e le debolezze degli individui-perdecreto tardo-moderni rovistando tra degli immaginari volantini pubblicitari di «corsi estivi per adulti» cui gli americani sarebbero ansiosi di partecipare. Il corso di teoria economica prevede il tema «Inflazione e depressione: come vestirsi in simili evenienze». Il corso di etica propone invece «L’imperativo categorico e sei modi per farlo funzionare nel vostro caso»; mentre il prospetto del corso di astronomia informa che «il sole, che è composto da gas, può esplodere in ogni momento, provocando la completa distruzione del nostro sistema planetario; gli studenti verranno istruiti su ciò che il cittadino medio può fare in una simile eventualità». Riassumendo: l’altra faccia dell’individualizzazione pare essere la corrosione e la lenta disintegrazione della cittadinanza. Joël Roman, membro della redazione di «Ésprit», ha notato nel suo recente libro La Démocratie des Individus (1998) che «la vigilanza è degradata alla mera sorveglianza dei beni, mentre l’interesse generale non è più che una collezione di egoismi che fa leva sulle emozioni collettive e la paura del vi-
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cino», e invita a ricercare quella «rinnovata capacità di decidere insieme» che ora si fa notare soprattutto per la sua assenza4. Se l’individuo è il peggior nemico del cittadino e se l’individualizzazione crea problemi alla cittadinanza e alla politica basata sulla cittadinanza è perché gli interessi e le preoccupazioni degli individui in quanto individui riempiono lo spazio pubblico pretendendo di esserne i soli legittimi occupanti e spingono fuori dal discorso pubblico tutto il resto. Il ‘pubblico’ è colonizzato dal ‘privato’; l’‘interesse pubblico’ si riduce alla curiosità sulle vite private di figure pubbliche e l’arte della vita pubblica consiste unicamente nell’esposizione di affari privati e in confessioni pubbliche di sentimenti privati (quanto più intimi tanto meglio). Le ‘questioni pubbliche’ che resistono a una simile riduzione diventano semplicemente incomprensibili. Le probabilità che gli attori individualizzati siano ‘ri-radicati’ nel corpo della cittadinanza repubblicana sono minime. Ciò che li spinge ad avventurarsi sulla scena pubblica non è tanto la ricerca delle cause comuni e dei principi della vita in comune, quanto il disperato bisogno di creare delle ‘reti’. La condivisione dell’intimità, come Richard Sennett non si stanca di evidenziare, tende a essere il metodo preferito, forse il solo rimasto, per ‘creare comunità’. Questa tecnica di costruzione può generare solo ‘comunità’ fragili e di breve durata come pure emozioni disperse e vagolanti, che si spostano erraticamente da un obiettivo all’altro e che vagano nella vana ricerca di un approdo sicuro: comunità fondate su preoccupazioni condivise, su paure o odi comuni, ma in ogni caso comunità ‘a tempo’5: il momentaneo raccogliersi intorno a un ‘piolo’ (peg) su cui molti individui solitari appendono le loro solitarie paure individuali. Come so-
stiene Ulrich Beck (nel saggio On The Mortality of Industrial Society)6, «ciò che emerge dal dissolversi delle norme sociali è l’io nudo, aggressivo, spaventato, alla disperata ricerca di aiuto e amore. In questa ricerca di se stesso e di una socialità solidale esso facilmente si perde nella giungla del sé. […] Un essere allo sbando nella nebbia del suo sé è ormai incapace di prendere atto che questo isolamento, questo ‘confinamento solitario dell’io’ è una condanna di massa». L’individualizzazione è destinata a restare tra noi; qualsiasi riflessione volta a individuare i mezzi necessari per far fronte all’impatto che essa ha sulla nostra condotta di vita non può che prendere le mosse dal riconoscimento di questo fatto. L’individualizzazione garantisce a un numero sempre crescente di uomini e donne un’inedita libertà di sperimentare, ma (timeo danaos et dona ferentes…) porta con sé anche il compito inedito di far fronte alle sue conseguenze. Questo enorme divario tra il diritto all’autoaffermazione e la capacità di controllare i contesti sociali che rendono tale autoaffermazione possibile o irrealistica pare essere la principale contraddizione della ‘seconda modernità’, un’epoca che, attraverso tentativi ed errori, riflessioni critiche e audaci sperimentazioni, dovremo imparare collettivamente ad affrontare collettivamente. In The Reinvention of Politics Ulrich Beck sostiene che ciò di cui abbiamo bisogno non è nientemeno che «un’altra Riforma» e che essa richiede una «radicalizzazione della modernità»7. A suo avviso «essa presuppone delle invenzioni sociali e il coraggio collettivo di intraprendere degli esperimenti politici», anche se lui stesso si affretta a precisare che a tal fine sono richieste «delle inclinazioni e delle qualità che non sono esattamente diffuse, e forse nemmeno più in gra-
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do di mobilitare una maggioranza». Nondimeno qui stiamo e non abbiamo altre condizioni in cui agire, e in queste condizioni, che ci piaccia o meno, agiremo, facendoci carico delle conseguenze delle nostre azioni e/o della nostra incapacità di agire. Note 40
1. Cfr. N. Elias, Die Gesellschaft der Individuen, Suhrkamp, Frankfurt 1987, trad. it. La sociertà degli individui, il Mulino, Bologna 1990. 2. Cfr. U. Beck, Risikogesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1986, trad. it. La società del rischio, Carocci, Roma 2000. 3. L’espressione inglese è «musical chairs» (letteralmente: sedie musicali) che sta a indicare quel gioco di società in cui alcune persone si muovono a suon di musica intorno a delle sedie (in numero sempre inferiore di un’unità al numero dei giocatori) su cui devono cercare di sedersi non appena la musica si interrompe. Il giocatore che rimane senza sedia viene eliminato [n.d.t.]. 4. Cfr. J. Roman, La démocratie des individus, Calmann-Lévy, Paris 1998. 5. Letteralmente «comunità appendiabiti» (peg-communities) [n.d.t.]. 6. Cfr. U. Beck, On the Mortality of Industrial Society, in Id., Ecological Enlightenment, Prometheus Books, Atlantic Highlands 1994, pp. 37-62 . 7. Cfr. U. Beck, The Reinvention of Politics, Polity Press, Cambridge 1997.
Questa raccolta
Individually, Together, conferenza tenuta presso il Dipartimento di Filosofia di Parma il 29 gennaio 2000. La traduzione di Paolo Costa è già stata pubblicata in «La società degli individui», 9, 2000, pp. 5-12. Una versione inglese è successivamente comparsa con il titolo Forward by Zygmunt Bauman: Individually, Together, in U. Beck e E. Beck-Gernsheim, Individualization, Sage, London 2002, pp. XIV-XIX. Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era; From Liberty, Equality, Fraternity to Security, Parity, Network; On Hybrids and the Rest of Us; The Desert, Overcrowded…; Europe: United in Difference, conferenze tenute in diversi luoghi tra il 2006 e il 2007. Il testo di From Liberty, Equality, Fraternity to Security, Parity, Network è apparso in una versione francese in Liberté, Égalité, Fraternité, Télérama hors/série, Paris 2007. Una versione modificata di Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era è apparsa in Z. Bauman, Does Ethics Have a Chance in a Society of Consumers, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2008. Traduzioni di René Capovin. An Interview with Zygmunt Bauman, intervista a cura di Massimo Cappitti, raccolta il 30 maggio 2000. La traduzione di Valeria Annicchiarico è già comparsa in «La società degli individui», 9, 2000, pp. 13-26.
LA GINESTRA Biblioteca per un individualismo solidale
Da due secoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità naturali e all’accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofi e pensatori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nelle quali la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati. La collana La ginestra documenta l’esistenza di questa tradizione di individualismo solidale attraverso i testi di autori classici e contemporanei. Titoli pubblicati Georg Simmel Friedrich Nietzsche filosofo morale
Harry G. Frankfurt Catturati dall’amore
A cura di Ferruccio Andolfi
A cura di Gianfranco Pellegrino
Ralph Waldo Emerson Società e solitudine
Gustav Landauer La rivoluzione
A cura di Nadia Urbinati
A cura di Ferruccio Andolfi
Pierre Leroux Individualismo e socialismo
Theodor W. Adorno La crisi dell’individuo
A cura di Bruno Viard
A cura di Italo Testa
Zygmunt Bauman Individualmente insieme
Friedrich E.D. Schleiermacher Monologhi. Un dono di capodanno
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A cura di Ferruccio Andolfi
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John Dewey Individualismo vecchio e nuovo
A cura di Brenda Biagiotti
A cura di Maria Rosa Calcaterra
Charles Taylor La democrazia e i suoi dilemmi A cura di Paolo Costa
Questo libro
di Zygmunt Bauman quarto della collana La Ginestra nata dall’amicizia e dal lavoro comune individuale e solidale tra l’Associazione omonima e le Edizioni Diabasis viene pubblicato alla sua prima ristampa nel carattere Garamond a cura di PDE Spa presso lo stabilimento di LegoDigit Srl - Lavis (TN) nel marzo dell’anno duemila quattordici
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«La nostra è una società individualizzata: abbiamo raggiunto una libertà di autoaffermazione individuale e di autoespressione virtualmente illimitata che non ha precedenti. La vita individualizzata, però, ha le proprie angosce, forse non meno dolorose di quelle di una vita vissuta all’ombra della tendenza totalitaria»
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