30 30 HOUSES
A Plausible Atlas
88/18
Michelangelo Pivetta
atlante possibile
88/18
Editor-in-Chief Saverio Mecca | University of Florence, Italy Scientific Board Gianpiero Alfarano | University of Florence, Italy; Mario Bevilacqua | University of Florence, Italy; Daniela Bosia | Politecnico di Torino, Italy; Susanna Caccia Gherardini | University of Florence, Italy; Maria De Santis | University of Florence, Italy; Letizia Dipasquale | University of Florence, Italy; Giulio Giovannoni | University of Florence, Italy; Lamia Hadda | University of Florence, Italy; Anna Lambertini | University of Florence, Italy; Tomaso Monestiroli | Politecnico di Milano, Italy; Francesca Mugnai | University of Florence, Italy; Paola Puma | University of Florence, Italy; Ombretta Romice | University of Strathclyde, United Kingdom; Luisa Rovero | University of Florence, Italy; Marco Tanganelli | University of Florence, Italy International Scientific Board Nicola Braghieri | EPFL - Swiss Federal Institute of Technology in Lausanne, Switzerland; Lucina Caravaggi | University of Rome La Sapienza, Italy; Federico Cinquepalmi | ISPRA, The Italian Institute for Environmental Protection and Research, Italy; Margaret Crawford, University of California Berkeley, United States; Maria Grazia D’Amelio | University of Rome Tor Vergata, Italy; Francesco Saverio Fera | University of Bologna, Italy; Carlo Francini | Comune di Firenze, Italy; Sebastian Garcia Garrido | University of Malaga, Spain; Xiaoning Hua | NanJing University, China; Medina Lasansky | Cornell University, United States; Jesus Leache | University of Zaragoza, Spain; Heater Hyde Minor | University of Notre Dame, France; Danilo Palazzo | University of Cincinnati, United States; Pablo Rodríguez Navarro | Universitat Politècnica de València, Spain; Silvia Ross | University College Cork, Ireland; Monica Rossi | Leipzig University of Applied Sciences, Germany; Jolanta Sroczynska | Cracow University of Technology, Poland
Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. The volume is the result of a research project conducted by the Department of Architecture of the University of Florence. All the publications of the Department of Architecture DIDA are available with open access online, encouraging exchange with the entire international academic community. Il libro presentato è l’esito della ricerca dal titolo “L’invenzione dell’abitare – studio antologico di alcune peculiari condizioni dell’abitare dalle origini alla contemporaneità” – Settore Scientifico Disciplinare ICAR 14/Composizione Architettonica e Urbana, Responsabile Scientifico Prof. Michelangelo Pivetta, svolta tra marzo 2019 e febbraio 2020 presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La ricerca è stata condotta fino al settembre 2019 attraverso il finanziamento di una borsa di ricerca, nella fase successiva gli aspetti teorici individuati hanno trovato applicazione nei laboratori per mezzo di disegni e modelli. This book is the result of the research project entitled “L’invenzione dell’abitare – studio antologico di alcune peculiari condizioni dell’abitare dalle origini alla contemporaneità (The Invention of Inhabiting – an Anthological Study of Living Conditions from Early to Contemporary Times)” – Scientific Disciplinary Sector ICAR 14/Architectural and Urban Design, Scientific Responsible Prof. Michelangelo Pivetta, held between March 2019 and February 2020 at the Department of Architecture of the University of Florence. The research was conducted through September 2019 with the funding of a research grant, in the subsequent phase the theoretical aspects identified have been applied in laboratories with drawings and models. Gli autori desiderano ringraziare quanti abbiano voluto contribuire alla ricerca attraverso la condivisione di materiali, disegni, immagini e parole. Si ringraziano in questo senso i progettisti, i loro collaboratori e i fotografi che hanno dato corpo alle pagine che seguono rendendole vive, abitandole. The authors wish to thank those who have contributed to the research by sharing materials, drawings, images and words. For this, we thank the designers, their associates and the photographers who have given shape to the pages that follow, making them come alive, inhabiting them. Gli autori rimangono a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte nel caso non si fosse riusciti a recuperarli per chiederne debita autorizzazione. The authors remain at the disposal of all possible owners of rights to the reproduced images in the event that they have not been able to recover them to request due authorisation. Tutti i disegni sono in scala 1:250 (escluse assonometrie ed esplosi assonometrici). All the drawings are 1:250 scale (excluding axonometric and exploded views). progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Alice Trematerra Alessandra Marianelli Benedetta Bizzarri
translated by
Helen Elizabeth Spande
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2022 ISBN 978-88-3338-156-5
atlante possibile 88/18
30 HOUSES A Plausible Atlas 88/18
NDICE
prefazione
UN ATLANTE DELLO SPAZIO DOMESTICO Michelangelo Pivetta Vincenzo Moschetti Laura Mucciolo
08
CIÒ CHE RESTA
Ricordando Adriando Cornoldi e L'architettura della casa
Michelangelo Pivetta
SULL’ADDIO AL “TIPO” IN ARCHITETTURA Vincenzo Moschetti
10 24
HIC SUNT DRACONES!
Considerazioni sul senso di un Atlante
Laura Mucciolo
32
bibliografia
466
crediti
471
AN ATLAS OF DOMESTIC SPACE Michelangelo Pivetta Vincenzo Moschetti Laura Mucciolo
08
WHAT REMAINS
Remembering Adriano Cornoldi and L'architettura della casa
Michelangelo Pivetta
FAREWELL TO THE “TYPE” IN ARCHITECTURE Vincenzo Moschetti
10 24
HIC SUNT DRACONES!
Considerations on the Meaning of an Atlas
Laura Mucciolo
32
bibliography
466
acknowledgements
471
INDEX
preface
Stone House
Herzog & de Meuron
Casa FCN
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Casa Nera
Alberto Bertagna Sara Marini
ITALIA ITALY
PORTOGALLO PORTUGAL SPAGNA SPAIN GRECIA GREECE
House for Drones Malfona Petrini Architetti
Case a Cotronei
Bodár – Bottega d'architettura
Casa em Leiria
Aires Mateus e Associados
Villa Além
Valerio Olgiati architect
Casa em Messines Vítor Vilhena Architects
Casa Cala
Alberto Campo Baeza
Hofmann House
Fran Silvestre Arquitectos
Residence in Megara Tense Architecture Network
GERMANIA GERMANY POLONIA POLAND SVIZZERA SWITZERLAND SVEZIA SWEDEN
Private House
David Chipperfield Architects
Dom Aatrialny
Robert Konieczny (KWK PROMES)
Ri. House
Wespi, de Meuron, Romeo architects
House on Krokholmen Tham & Videgård Arkitekter
42 58 72 86 96
110 130 144 160 176 190
204 218 234 250
Red House
264
Tony Fretton Architects
282
Sergison Bates architects
296
Caruso St John Architects
310
326 336 348
Studio House
Brick House
House in a Garden
David Leech Architects
Casa Caldera DUST
He, She & It
Davidson Rafailidis
Lipton Thayer Brick House Brooks+Scarpa, Studio Dwell
Iturbide Studio
360
Taller de Arquitectura Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo
372
Estudio Aire
386
Felipe Assadi Arquitectos
402 418 430
Casa M
456
STATI UNITI UNITED STATES MESSICO MEXICO CILE CHILE ARGENTINA ARGENTINA
Casa H
Kloof 119A
SAOTA
House in the Hills
Sean Godsell Architects
Optical Glass House Hiroshi Nakamura & NAP
ISM House
444
REGNO UNITO UNITED KINGDOM IRLANDA IRLAND
International Royal Architecture (I.R.A.)
Little House with a Big Terrace
Takuro Yamamoto Architects
SUD AFRICA SOUTH AFRICA AUSTRALIA AUSTRALIA GIAPPONE JAPAN
Un Atlante dello spazio Gli studi relativi allo spazio domestico trovano nel percorso delineato ormai molti anni fa da Adriano Cornoldi1 una ferma definizione. Scomposizione, manipolazione e tessitura degli spazi della casa sono definiti attraverso una lunga storia circoscritta da molteplici condizioni entro cui cercare il simile, il dissimile e avere per fine il progetto. Con L’architettura della casa2 (1988), è stato messo in scena un possibile paesaggio dell’abitare domestico: 100 case allineate per scala di rappresentazione, disegni di progetto e considerazioni compositive, hanno reso concreta la manifestazione di intenzioni scientifiche nel tema della tipologia e della sua continua invenzione. Questo racconto, pur sfumato nelle prassi disciplinari, non è mai stato integralmente perso di vista tanto che nelle definizioni di abitare, la casa occupa ancora una posizione di privilegio assoluto, quasi atto progettuale iniziatico, chiave condivisa di descrizione della critica al contemporaneo. La natura, il paesaggio, la città, le invenzioni, le campionature, il tipo, sono ancora le sentinelle che tengono acceso il dibattito sull’architettura della casa in relazione al fatto della sua (relativamente) semplice adozione a condensatore di pensiero architettonico, moltiplicatore di opportunità critiche. Indugiare, a distanza di trent’anni, lungo il sentiero già tracciato dal Cornoldi adottandone per quanto possibile in ossequio al trascorrere del tempo e delle pratiche, metodi e disposizioni comuni, ha permesso di disegnare le tracce di un nuovo paesaggio domestico tale da meritare di essere racchiuso in un contenitore con l’aspirazione di poter essere degno di essere messo sul tavolo da lavoro come strumento e dispositivo riguardante la composizione. Le case coinvolte nella raccolta appartengono a latitudini disparate, ognuna riconducibile ad una propria realtà contestuale: sei aree geografiche tra cui Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Regno Unito, Irlanda, Germania, Polonia, Svezia, Americhe e Mondi Altri, ma il processo di rappresentazione che le chiama al confronto, annulla questa distanza e di fatto le astrae in una condizione di sospensione, in cui ogni manifestazione è pienamente solo sé stessa in rappresentanza di tutto il mondo che schiude. A partire dall’esperienza disciplinare quasi scomparsa del Cornoldi, le intenzioni di questo lavoro si pongono in una direzione di continuità: determinare l’atto dell’abitare nella sua declinazione privata e mutabile attraverso il (re)disegno degli elaborati
AN ATLAS OF DOMESTIC SPACE Many years ago, Adriano Cornoldi1 outlined a pathway for studies on domestic space, giving them a clear definition. Taken apart, manipulated and interwoven, the spaces of the house are defined through a long history circumscribed by multiple conditions within which the goals were looking for the similar, the dissimilar, and the design. With L’architettura della casa 2 (1988), a landscape of domestic living was generated: 100 houses arranged by size with project drawings and compositional considerations demonstrating concretely the manifestation of scientific intentions in the theme of typology and its continuous invention. This story, although blurred in the practices of the discipline, has never been wholly lost sight of, such that in the definitions of living, the house still occupies a position of absolute privilege, almost a design act of initiation, a shared key to describing the criticism of the contemporary. Nature, the landscape, the city, the inventions, the sampling, the type, are still the sentinels that keep the debate on the architecture of the house alight in relation to the fact of its (relatively) simple adoption as a condenser of architectural thought, multiplier of critical opportunities.
Lingering, after thirty years, along the path already traced by Cornoldi, adopting common methods and provisions as much as possible in accordance with the passing of time and common practices has allowed us to draw the outline of a new domestic landscape that deserves to be enclosed in a container with the aspiration to be worthy of being placed on the work table as a tool and device of composition. The houses from the collection belong to disparate latitudes, each attributable to its own contextual reality: six geographical areas cover Italy, Spain, Portugal, Greece, the United Kingdom, Ireland, Germany, Poland, Sweden, the Americas and the Pacific Rim, but the process of representation that calls them to be compared cancels this distance and, in fact, abstracts them in a condition of suspension, in which each manifestation is fully only itself representing the whole world it opens up. Starting from the almost vanished discipline experience of Cornoldi, the intentions of this work are placed in a direction of continuity: to determine the act of living in its private and mutable declination through the (re)design of conventional drawings in architectural design (sections, axonometries, exploded views), the planting of an obligatory spatial manifestation (the model) and the tracing of a possible new geography of domesticity.
09
domestico convenzionali nel progetto di Architettura (sezioni, assonometrie, esplosi), l’approdo ad una manifestazione spaziale obbligata (il modello) e il tracciare una possibile nuova geografia della domesticità. Ne nasce così una sorta di Atlante, che non ha l’aspirazione di essere un trattato, ma forse indugia più nelle sembianze di un manuale. Non qualcosa di conclusivo, quindi, ma un libro aperto, quasi uno schedario, al quale con il tempo, questo piace pensare, chiunque possa aggiungere le case che verranno. L’Atlante restituisce una “copia fedele” dell’originale: il metodo viene confermato, come per Cornoldi, con l’uso dei disegni di piante, di sezioni, di assonometrie spogliate. I disegni, accompagnati puntualmente da proposte di interpretazioni e geometrie, vengono riletti come partiture compositive che individuano interrogazioni volontarie e non certezze. Per aderire a necessità culturali e contingenti, invece, le prospettive analogiche vengono sostituite da fotografie a colori. Mettere in discussione i metodi di elaborazione, sfuggendo ad un esito fisso, rivela l’utilità dell’Atlante come strumento contemporaneo. Il nuovo Atlante, verificando il processo di “copia”, è in definitiva un originale, perché capace di restituire letture di spazi nuovi sempre sotto possibile aggiornamento restando un libro aperto da tenere sul tavolo. Questo è un libro in cui le considerazioni sono espresse in forma di progetto, attraverso il quale la geografia dello spazio domestico trova sua fedele e stabile collocazione in uno strumento di natura cartografica che si vuole prestare a considerazioni di carattere altro, ristabilendo l’equilibrio tra tipi di scritture o traduzioni dello spazio, differenti solo per scala ma valide a costruire un abaco di riferimenti e di genealogie. Questa attenzione verso lo spazio domestico mette in luce, nuovamente, ciò che una casa può essere. Una casa ancora come esercizio di lettura e riscrittura attraverso cui reperire misure e declinazioni, una casa ancora come strumento critico nel campo di dialettiche mai pienamente concluse. Il lavoro, risultato delle forze di giovanissimi studenti e altri (meno) giovani architetti rappresenta un percorso di avvicinamento, un vero e proprio lento atterraggio verso l’istituzione di uno strumento culturale, un libro, ancora in grado di stabilire quel metodo, ormai sempre più necessario e inderogabile, supporto determinante alla costituzione di una coscienza del fare Architettura.
The result is a sort of Atlas, which does not aspire to be a treatise, but perhaps remains more in the guise of a manual. Not something conclusive, therefore, but an open book, like a filing cabinet, in which over time, it is pleasing to think, anyone can add the houses to come. The Atlas becomes a “faithful copy” of the original: the method is confirmed, as for Cornoldi, with the drawings’ use of plans, sections, and clean axonometric projections. The drawings, punctually complemented by portrayal proposals and geometries, are revised as sheet music, to identify willful questions instead of certainties. Instead, to agree cultural and current necessities, the analogical perspectives are replaced by color photographs. Questioning the processing methods to shun a set outcome, reveals the useful aim of the Atlas as a contemporary instrument. The new Atlas, testing the “copy” technique, is ultimately original, because able to report interpretations of new spaces always under possible updating, remaining as an open book on the work desk. This is a book where the considerations are expressed in the form of a design, through which the geography of the domestic space finds its faithful and stable collocation in an instrument of a cartographic nature that we want to lend to considerations of a different nature, re-establishing the balance between types of writings or translations of space,
different only in terms of scale but valid for building an abacus of references and genealogies. This attention to domestic space once again highlights what a home can be. A house still as an exercise in reading and rewriting through which measures and declinations are found, a house still as a critical tool in the field of never fully completed dialectics. The work, the result of the efforts of young students and other (less) young architects, represents a path of approach, a real, slow landing toward the establishment of a cultural tool, a book, able to establish that decisive support method, now ever more necessary, for creating an awareness of making Architecture. 1 Adriano Cornoldi (Milano 1942 – Venezia 2009), architetto e docente universitario presso l’Università IUAV di Venezia. Nella sua linea di ricerca si collocano gli studi rivolti allo spazio domestico, alla condizione tipologica dell’abitare, al dissidio tra tipo e uso. 2 A. Cornoldi, L'architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico. Con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Roma 1988.
Adriano Cornoldi (Milan 1942 – Venice 2009), architect and university professor at the IUAV University of Venice. His research interests include studies aimed at the domestic space, the typological condition of living, and the conflict between type and use.
1
A. Cornoldi, L'architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico. Con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Rome 1988.
2
CIÒ CHE RESTA Ricordando Adriando Cornoldi e L’architettura della casa
Michelangelo Pivetta La buona casa è quella in cui si abita bene 1
A. CORNOLDI
CONTESTO Con queste parole inizia l’introduzione a un libro da credere ancora oggi fondamentale nella educazione dell’architetto. L’architettura della casa è un testo che ha segnato il percorso formativo e la pratica di molti e del quale, a distanza di anni, tra compagni di studi ancora si parla, che resiste come pochi altri in maniera potente alle nebbiose divagazioni dialettiche di cui sono pieni i nostri tempi.
WHAT REMAINS Remembering Adriano Cornoldi and "L’architettura della casa" «A good house is a house in which one can live well.»1 Background With these words begins the introduction to a book still thought to be essential in the formation of an architect. L’architettura della casa is a text that has marked the education and the practice of many, and which is still spoken of among former classmates after many years; it resists in a powerful way, like few others, the foggy dialectical digressions that saturate our times. Today, with respect to this inherent characteristic in the work of Adriano Cornoldi, one might simply say that it has a certain resilience but, depriving the concept of resiliere of the sluggish idea of passivity that this now abused catchword carries, it is more appropriate to say that it is a real resistance. In fact, flipping through the yellowed pages of this text from thirty years ago, a considerable energy is still perceptible and it is impossible not to reconsider details never noticed before or perhaps that have gained nuance with the accumulation of memories.
As indeed it is incredible, in our times, to find in those pages, material not available elsewhere in the infinite ocean online. L’architettura della casa turns out to be an exceptional anthology, a sort of complete abecedary in every single drawing and passage, published in that romantic analog way in which the pastiness of the images falls short from the current standard for resolution and image quality. A text that was extraordinarily handy and, thanks to the format, repeatedly photocopied and scanned, in part determined by the fact that it wanted to be, above all, an informative manual exactly according to the clear intentions of the author: On the drawing board, where the history book of architecture has regained a stable presence, there has never been a lack of the manual, good or bad. In fact, the manual is located in that safe space, between invention and norm, that no one can dispute within the process of the discipline. [...] In its popular function, the manual shows the most established and widely used methods and techniques, without neglecting innovative experiences and the most important inventions.2
Students in the nineties frequently owned this book, because at the time it was necessary to buy books, it was not optional, but also because it was considered a useful tool. This was not only for the exam or to establish to themselves that they were students of architecture, but also as a future manual for the
11 Oggi, rispetto a questa caratteristica insita nel lavoro di Adriano Cornoldi sarebbe comune dire che è dotato di una certa resilienza ma, privando il concetto di resiliere dell’idea fiacca di passività che questo lemma ormai abusato porta in sé, è più opportuno affermare che si tratti di vera e propria resistenza. In effetti scorrendo le pagine ingiallite di questo testo di ormai trent’anni fa, è percepibile ancora una notevole energia e risulta impossibile non soffermarsi su dettagli mai notati prima o forse semplicemente sfumati nel sommarsi dei ricordi. Come del resto è incredibile, ai giorni nostri, trovare in quelle pagine materiale ancora non disponibile in altri luoghi dell’oceano infinto del web. L’architettura della casa risulta essere una antologia eccezionale, una sorta di abecedario completo in ogni singolo disegno e testo, pubblicato in quel romantico modo analogico in cui la pastosità delle figure è distante da ogni considerazione attuale su definizione e qualità delle immagini. Un testo straordinariamente pronto all’uso e, grazie al formato, all’essere ripetutamente fotocopiato e scansionato, determinando il fatto di voler essere innanzitutto manuale divulgativo esattamente secondo le chiare intenzioni dell’autore: Sul tavolo da disegno, dove il libro di storia dell’architettura ha riconquistato una stabile presenza, non è mai mancato il manuale, buono o cattivo che fosse. Il manuale infatti si colloca in quello spazio sicuro, tra invenzione e norma, che all’interno dell’elaborazione disciplinare nessuno può contendergli. […] In questa sua funzione divulgativa, il manuale testimonia dei modi e delle tecniche più affermate e di più largo uso, senza tralasciare le esperienze innovative e le invenzioni più importanti.2
Il libro ebbe una grande diffusione tra gli studenti negli anni Novanta, perché al tempo serviva acquistare dei libri, non era un’opzione, ma anche perché era ritenuto strumento utile non solo per sostenere l’esame o per testimoniare a sé stessi di essere matricole di architettura, ma anche come futuro manuale utile a individuare nella catalogazione l’imprescindibile necessità e peculiarità del sapere architettonico. Molti studenti lo fotocopiarono, riproducendolo infinite volte, e Cornoldi al contrario di altri, non ne fece mai una questione discriminante, anzi, almeno in pubblico trattò sempre allo stesso modo gli studenti muniti di fotocopie e quelli di libro, a conferma della sua austera partecipazione alle esigenze degli studenti e anche del fatto che la fotocopia fosse ampiamente prevista e auspicata come metodo di diffusione. Un dettaglio da ritenere importante riguarda quel bordo “centimetrato” presente nella quarta di copertina, un fatto su cui si è spesso ragionato e che solo nel tempo ha trovato forse una spiegazione. Al pari delle ossessive scale metriche dei disegni all’interno questa “riga” centimetrata, resa sempre disponibile assieme al “manuale” sul “tavolo da disegno”, definisce un modo di interpretare l’importanza riservata al concetto generale della misura come matrice del progetto. Un sistema metrico, di pensiero innanzitutto, andato perduto nel tempo nella traslazione del progetto dal tavolo da disegno allo schermo dei computer, luoghi dalle leggi fisiche opposte, contingenti nel primo caso inesistenti nel secondo, fatto inequivocabile che ha certamente liberato possibilità prima ignote ma che ha altrettanto obliterato la grammatica metrica come strumento di conoscenza, interpretazione ed espressione all’architettura.
identifying and the cataloging of the essential peculiarities of architectural knowledge. Many students photocopied it, reproducing it countless times, and Cornoldi, unlike others, never made an issue of it, on the contrary. At least in public he always treated students with photocopies and books in the same way, confirming his austere cooperation with the needs of the students and the fact that photocopying was an expected and desired method of dissemination. An important detail is that centimeter ruler border on the back cover, a choice that has often been noted that has perhaps found an explanation only over time. Like the obsessive metric scales of the drawings inside, this perpetuallyavailable ruler together with the “manual” on the “drawing board”, shows the importance of the general concept of measurement as the matrix of design. A metric system, of thought first of all, which has been lost over time in the translation of design from the drawing board to the computer screen, places with opposite physical laws, contingent in the first case, non-existent in the second, an unequivocal fact that has certainly freed up possibilities that were previously unknown, but which has also obliterated metric grammar as an instrument of knowledge, interpretation, and expression of architecture.
Personal memories In 1992, university courses began very late, in November, since that year there was a very long public employee and school strike due to cuts to staff and classes that foreshadowed the disengagement of the state government in the sphere of public education, circumstances well-known these days. Those were times when there was a desire and strength to strike, to affirm a position, or perhaps, compared to today, it simply still made sense to do so. In November of that year I started attending the first year of Architecture at the IUAV University of Venice, leaving home, meeting new people but above all suddenly immersing myself in a world, that of university study, exactly the opposite of the coddled, and somewhat proper, high school I had attended. These were days of real personal struggle, psychological and physical. We had to navigate the brand new classrooms of the Cotonificio site designed for a maximum of one hundred students, immersed in a crowd of three hundred. You could enter those classrooms only if you were a good hour early with respect to the lesson time, and the thought of a chair and a table was not utopian, but sheer fantasy. The teacher-student relationship, eliminated by the numbers more than anything else, appeared in practice not to exist, a condition perpetuated by the absence of e-mails or websites
RICORDI PERSONALI Nel 1992 i corsi universitari iniziarono a novembre, molto tardi dato che quell’anno vi fu un lunghissimo sciopero del pubblico impiego e della scuola dovuto ai tagli di personale e delle classi che già prefiguravano il disimpegno dello Stato nella sfera della Pubblica Istruzione, fatto ormai ben noto ai giorni nostri. Erano tempi in cui si aveva voglia e forza di scioperare, di affermare la propria posizione, o forse, rispetto ad oggi, aveva semplicemente ancora senso farlo. Nel novembre di quell’anno iniziai a frequentare il primo anno di Architettura presso l’Università IUAV di Venezia, andandomene da casa, incontrando nuove persone ma soprattutto immergendomi all’improvviso in un mondo, quello dello studio universitario dell’epoca, esattamente all’opposto dell’ovattato, e un po’ perbene, liceo che avevo frequentato. Erano giorni di vera lotta con sé stessi, psicologica e fisica, quando immersi nella folla dei trecento iscritti per corso ci si doveva destreggiare tra le nuovissime aule della sede del Cotonificio pensate al massimo per un centinaio di studenti. In quelle aule si poteva entrare solo se in anticipo di una buona ora rispetto all’orario di lezione e l’ambire ad una sedia e a un tavolo non era utopia ma semplice fantasia. Il rapporto docente-studente, annullato più che altro dai numeri, risultava in pratica non esistere, condizione ampliata dalla assenza di e-mail e siti internet dove poter rintracciare informazioni o qualsivoglia collegamento tra i mondi quantomai separati degli studenti e dei docenti. Unica modalità per un confronto diretto, anche con uno qualsiasi dei numerosi assistenti (una decina a volte), era quello di superare le schiere di compagni con la forza o presidiare per ore studioli affollati di ogni genere di masserizia umana e materiale. La prima consegna del corso fu programmata per febbraio e preceduta da alcune specifiche e “durissime” lezioni che, dedicate ad autori come Loos, Wright, Mies, LC, Aalto, fecero comprendere a tutti come chi si fosse iscritto ad Architettura pensando ad una libertà progettuale legata alla pratica della continua invenzione, per così dire, si sbagliasse di molto. «In architettura nulla si inventa, tutto si interpreta», questa fu la frase pronunciata durante una lezione su Mies van der Rohe che ancora oggi ricordo spesso e che mise al muro qualsiasi considerazione teorica sulla obsolescenza del “tipo” o della sua impossibile continua prevaricazione. Era del resto il momento in cui il confronto tra «autorità del passato» e «contestazione del contemporaneo»3 si stava consumando attorno a una acquiescente somministrazione di progetti attraverso riviste che della critica, al tempo, facevano ancora il proprio unico mandato. Ci si individuava tra abbonati a “Casabella”, “Controspazio”, “Parametro”, come se il distinguersi attraverso una rivista fosse di per sé una modalità di appartenenza ad un ambito intellettuale, progressista o meno, ad un livello tale da poterlo definire quasi di carattere politico. La prima esercitazione richiedeva tavole formato A1, disegnate a china ovviamente, nelle quali «consolidare gli assunti dei singoli progetti e autori attraverso i canonici sistemi di rappresentazione dell’architettura: piante, sezioni, prospetti, prospettive di esterni ed interni»4. Ogni riferimento ovviamente era da attingere attraverso fotocopie sdrucite, distorte e scalate alla meno peggio, estrapolate dal testo di Cornoldi o da altre fonti bibliotecarie.
where it is possible to find information and make some kind of connection between the seemingly separate worlds of students and teachers. The only way to meet, even with any of the numerous assistants (about ten at times), was to overcome the ranks of comrades by force, or to siege for hours the offices crowded with of all kinds of human and material masses. The first assignment of the course was scheduled for February and preceded by some specific and “very hard” lessons which, dedicated to architects such as Loos, Wright, Mies, LC, Aalto, made everyone understand how those who enrolled in Architecture thinking about design freedom and the practice of continuous invention, so to speak, were very wrong. “In architecture, nothing is invented, everything is interpreted”, this was the sentence pronounced during a lecture on Mies van der Rohe that I still often remember today and that thwarted any theoretical consideration on the obsolescence of the “type” or its impossible continuous prevarication. It was, moreover, the moment in which the confrontation between the «authority of the past» and the «contestation of the contemporary»3 was being consummated around an acquiescent administration of design by magazines, whose critics at the time still held that sole mandate.
We differentiated ourselves as subscribers to “Casabella”, “Controspazio”, or “Parametro”, as if distinguishing oneself through a magazine were in itself a way of belonging to an intellectual sphere, progressive or not, to such an extreme that it became a political label. The first exercise required A1-format tables, obviously drawn in ink, in which «to consolidate the assumptions of the individual projects and authors through the canonical systems of architectural representation: plans, sections, elevations, perspectives of exteriors and interiors»4. Obviously, every reference was to be drawn through torn, distorted and scaled-down photocopies, extrapolated from Cornoldi’s text or from other library sources. Among the many architects I could work on I chose Wright, Mies and Aalto for their respective Robie House, Resor House, and Maison Louis Carré .5 The reasons for my choice are now obscure to me but I cannot deny how my experience on that occasion, almost thirty years ago, still strongly shapes my way of thinking about architecture. Perhaps it is a kind of youthful imprinting which, having settled deeply, constantly determines the definition of certain points of view with respect to the facts of architecture and with respect to the theory that is contained in them.
Tra i molti autori su cui poter lavorare scelsi Wright, Mies e Aalto nelle rispettive Robie House, Resor House e Maison Louis Carré.5 Le motivazioni della mia scelta mi sono oggi oscure ma non posso negare come l’esperienza fatta in quell’occasione, quasi trent’anni fa, plasmi ancora fortemente il mio modo di pensare l’architettura. Forse si tratta di una sorta di imprinting giovanile, che insediatosi profondamente, determina costantemente la definizione di alcuni punti di vista rispetto ai fatti dell’architettura e rispetto alla teoria che in essi è racchiusa. In sostanza l’operazione di Adriano Cornoldi, già al tempo spesso definita fin troppo didascalica, ha avuto un successo straordinario se si vuole soffermarsi sui suoi principi. In essa non vi era alcuna pratica politica o alcun’altra definizione di categorie del giusto e dello sbagliato, ma la semplice volontà di dotare gli studenti, ma non solo, degli strumenti adeguati, teorico-pratici, per poter procedere sia con gli studi che più avanti nella professione. Noto sempre con piacere come L’architettura della casa sia ancora oggi presente nelle librerie degli architetti e poco importa, forse, che quanto e come sia usato, più importante è il fatto che vi sia, lì tra altri ben più sontuosi e sopravvalutati libri, disponibile oggetto totemico, esattamente per come fu pensato dal suo autore.
NUOVI SIGNIFICATI L’intenzione raccolta in queste pagine non è tanto quella di procrastinare assunti che rimangono oggi forse nelle memorie di alcuni e nelle pagine di testi come quello di Adriano Cornoldi, ma di tentare un’indagine che su certi presupposti equivalenti possa proporsi come utile anche nella nostra contemporaneità. Il moltiplicarsi delle fonti di informazione e dei contenitori svela sempre più spesso una tendenza al rendere parziali i punti di vista teorici e pratici che sono origine dei progetti. Ciò produce una frammentazione per eventi pubblicistici o editoriali, sia nel web che su carta, delle informazioni utili non solo all’analisi dei singoli progetti ma anche alla loro possibilità di essere in qualche modo riassunti in uno o più metodi interpretativi dell’abitare come nocciolo fondamentale del suo essere rappresentazione, forse d’elezione, dell’architettura. Proprio nel mondo della globalizzazione sembra stranamente sempre più difficile desumere interpretazioni intellettuali e conseguenti prassi teoriche emergenti e già operanti, manifestate attraverso i progetti e le realizzazioni contemporanee. Andando più a fondo, i progetti rappresentati ormai solo nella loro perfezione fotografica, sembrano disinteressarsi della propria provenienza teorica, anche di carattere territoriale-geografico, sopprimendo lentamente il rapporto con la teoria e la critica stessa che li dovrebbe sostenere. L’emergenza che si rivela quindi risiede nella necessità di nuovi significanti e da qui il tentativo racchiuso in queste pagine, quello cioè di riassumere in un unico contenitore alcuni progetti della contemporaneità, una trentina, certi già noti altri meno, ma tutti in grado di narrare un proprio percorso e che «attraverso l’esplorazione e la riscrittura costruiscono un volto della modernità».6
In essence, the work of Adriano Cornoldi, even at the time often thought of as too didactic, had an extraordinary success if one wants to dwell on its principles. In it there was no political practice or any other definition of categories of right and wrong, but the simple desire to equip students with the appropriate theoretical and practical tools to be able to proceed with their studies and also later as professionals. I always see with pleasure how L’architettura della casa is still present today on the bookshelves of architects and it matters little, perhaps, how much and how it is used, more important is the fact that it is there, among other much more sumptuous and overrated books, an available totem, exactly as it was imagined by its author. New Meanings The intent gathered in these pages is not so much to draw out assumptions that perhaps remain in our minds and in the pages of texts such as that of Adriano Cornoldi, but it is an attempt at an investigation that, on certain equivalent issues, can also be useful in the present. The multiplication of information sources and media increasingly reveals a tendency to make the theoretical and practical points of view that are the origin of designs incomplete.
This produces a fragmentation for press or publicity occasions, both online and on paper, of information useful not only for the analysis of individual projects but also for being somehow summarized in one or more interpretative methods of living as a fundamental seed of its being a representation, perhaps by choice, of architecture. Precisely in this era of globalization it seems strange that it is increasingly difficult to guess at intellectual interpretations and consequent theoretical practices that are emerging, and in effect, seen in contemporary design and projects. At their core, the projects now represented only by their photographic perfection, seem to be disinterested in their theoretical origin, or territorial or geographical contexts, slowly suppressing the relationship with the theory and the very criticism that should support them. What emerges, therefore, has a need for new signifiers and hence the attempt recorded in these pages, that is, to sum up in a single container some projects of contemporaneity, about thirty, some already known, others less so, but all able to narrate their own path and that «through exploration and rewriting build a face of modernity».6 Habitation, in its simplest formulation of the house, undergoes more quickly and intensely, more than other types, the
L’abitare nella sua formulazione più semplice della casa subisce in modo più rapido e intenso, più di altre tipologie, le variazioni teoriche frutto delle mutazioni socioculturali che sono alle spalle del pro-getto. Per questo forse, la casa trova sempre più difficoltà ad essere manifesto dell’abitante stesso, luogo in cui la cozmmittenza sia un grado di rappresentare davvero sé stessa e la propria essenza. La casa determina un rapporto doppio con la propria immagine: dal suo progettarsi attorno alla figura del committente al suo manifestarsi sul contesto come sostanza degli aspetti della società che prima la produce e poi la ospita ponendo certamente soluzioni ma anche altrettanto importanti interrogativi. La casa, nel contemporaneo e nonostante alcuni tentativi, sembra rifuggire sempre più dal proprio mandato, come del resto forse tutta l’architettura, e pur tornando ad indugiare su alcuni temi dominanti come quello attuale della semplicità come linguaggio (fino alla spoliazione), nel suo conformarsi quasi all’effimero tende a generare più che altro affascianti immagini in cui l’umano è repentinamente scomparso.7 Così nell’epoca della lenta ma inesorabile scomparsa del monumento, il singolo dovrebbe individuare nella propria casa, e l’architetto prima di lui, il riverbero di una necessità espressiva talmente ulteriore al progetto da arrivare a trascendere il concetto stesso di abitazione. Una casa quindi non è più fatta solo per “stare bene” ma per manifestare in contemporaneo equilibrio ben altro, non sé stessa, ma una radicale posizione teorico-critica. Invece accade che troppo spesso produca solo la propria immagine riverberata digitalmente. Non che questo sia una novità assoluta, ma l’oggi sembra proporre un nuovo punto di vista ed esiti inediti. L’installazione ormai senza ritorno dell’architettura nel campo della rappresentazione digitale, della pura coesione di pixel distribuibile in un istante a scala planetaria, ha superato i rapporti esistenti nell’ecosistema costituito da progetto-societàcommittente-architetto, veicolando ogni progetto alla condizione di un perfetto scenario, esperienza globale di consumo soggetta nel giudizio non a congetture critico-disciplinari di pochi amatori ma al più vasto feedback emozionale dei followers. L’avvento della Civiltà dell’Immagine e il coinvolgimento in essa dell’architettura, farà sì che costruire per comunicare sarà di gran lunga più importante che soddisfare un’esigenza pratica, esaudire una funzione […]8
così, nei progetti qui raccolti questo rapidissimo defluire dell’architettura nel tempo verso i nuovi campi del non-vero globale è più che evidente. Dalla Stone House di Herzog & de Meuron a Villa Além di Valerio Olgiati, il mondo sembra essersi capovolto: dalla netta considerazione dell’equilibrio principi-finalità come base fenomenologica del progetto alla manifestazione semantica di un agire superlativo, per certi versi più che barocco, indotto a inseguire aprioristicamente possibili inquadrature fotografiche, deformazioni ottiche e colorazioni drammatiche con le quali accompagnare lo stupore e l’elogio della moltitudine cyber-relazionale che, rinchiusa nella propria Gabbia di Skinner 9, non è certo interessata a presupposti o speculazioni intellettuali, attività queste che richiederebbero troppo tempo e troppa applicazione per essere indagate mentre si è seduti in una metro. Chiaro è che vi siano ormai moltitudini di architetti che hanno costruito la propria fortuna all’interno della produzione di simulacri di terzo ordine10 attraverso una perfetta comprensione e conseguente utilizzo dello strumento digitale, superando con i confini linguistici, culturali e geografici anche l’aspettativa di un valore proprio dell’architettura.
theoretical variations resulting from sociocultural mutations that are behind the throwing forth of the pro-ject. For this reason perhaps, the house is increasingly less likely to be a manifestation of the inhabitant, a place that does not reflect the client or the client’s essence. The house establishes a double relationship with its own image: from its design around the figure of the client to its manifestation within its context as product of aspects of the society that first creates it and then hosts it, certainly seeking solutions, but also equally important questions. The house today and notwithstanding some attempts, seems to escape more and more from its mandate, as indeed perhaps all architecture does, and while returning to linger on some dominant themes such as the current one of simplicity as a language (even up to spoliation), in its trending to the ephemeral, generates more than anything else charming images in which the human has suddenly disappeared.7 Thus in the era of the slow but inexorable disappearance of the monument, individuals should identify in their own homes, and the architects before them, the reverberations of an expressive necessity so outside design that it transcend the very concept of housing.
A house is therefore no longer made only to allow us to “live well” but to show in simultaneous balance much more, not itself, but a radical theoretical and critical position. Instead what happens too frequently is that it produces only its own image, digitally reverberated. Not that this is an absolute novelty, but the present seems to enable a new point of view and unprecedented results. The insertion of architecture has passed a point of no return in the field of digital representation, of the pure cohesion of pixels shared out in an instant on a planetary scale. It has overcome the existing relationships in the ecosystem of project–company–client–architect, conveying each project to the state of a perfect scenario, a global experience of consumption subject in judgment not to critical and disciplinary conjectures of a few amateurs but to the wider emotional feedback of followers. The coming of the Civilization of the Image and the involvement of architecture with it will make it so that building to communicate will become much more important than satisfying a practical need, fulfilling a function […]8
Adriano Cornoldi, L’architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina Edizioni, Roma 1988.
Non si tratta però di una nuova forma di internazionalizzazione, simile a quella già vista nella diffusione del Moderno, ma al contrario una riorganizzazione dei lemmi di ordine compositivo in un modo molto simile a ciò che è già avvenuto, con molta più schiettezza e rapidità per evidenti motivi e con fini puramente commerciali, nei campi della moda e del design industriale.11 Ma nell’architettura i problemi sono diversi, la sua commercializzazione è di per sé una aberrazione dei suoi fondamenti, e se campionare le sagome di una libreria può sembrare non così doloroso, in architettura dove ci si confronta con territori, climi, normative e tecniche diversissime questo può portare a veri e propri drammi progettuali dagli esiti bizzarrissimi. Di questo ne sono sempre più spesso un esempio le nostre città e soprattutto le loro estese periferie, dove il tema della casa, e più ampiamente dell’abitare, è sbattuto all’angolo dalle ristrettezze normative ed economiche, oltre che intellettuali, di una categoria professionale troppo impegnata a sopravvivere al quotidiano per poter mettere da parte il mouse per qualche ora e permettersi di pensare. Risulta così molto più facile, davanti ad un problema compositivo, scartabellare a-criticamente un qualsiasi sito per trarre copie non-conformi da traslare in un batter d’occhio da Osaka a Palermo senza però affrontarne le problematiche di ordine semantico oltre che pratico. Su questo versante, guardando ai nostri territori italiani ma non solo, resiste in parallelo una certa tendenza alla produzione di progetti asincroni rispetto alla modernità, dove schiere di architetti (non diamo più solo la colpa ai tecnici non laureati e ai committenti) si esibisce in vere e proprie acrobazie progettuali come nel caso della realizzazione di edifici che tendono al richiamo ad architetture per così dire “tradizionali”. La resistente necessità di forme e soluzioni rassicuranti permea le scelte di certe committenze non-evolute o involute, andando in contro ad un professionismo che non si confronta con il proprio tempo. Così viene da chiedersi se questi committenti sempre attenti al progresso da essere circondati da oggetti tecnologici aggiornatissimi, quando scelgono come abitare si affidano a scelte che equivalgono ad un piccione viaggiatore e ad un calesse. La storpiatura e forse l’ipocrita affronto ad un onorevole passato di molte nostre architetture rurali raggiunge livelli indefinibili quando al sommarsi di mensole in pietra, tetti in legno, colonne e finestre riquadrate da spessi profili in pietra corrispondono, nello stesso progetto, strutture a telaio in cemento armato, stratigrafie coibentanti, impianti à la page ecc… Dopo le drammatiche distorsioni dei virtuosi del post-moderno in salsa locale, ecco all’opera i loro successori, educati dalle architetture da villaggio turistico o centro commerciale, che del resto tanto piacciono alle commissioni integrate dei Comuni e anche a molte Soprintendenze, questo è bene sottolinearlo e rammentarlo12. L’architettura tradizionale, come ve ne fosse una davvero, viene interpretata e riprodotta solo ai fini di un rispettoso ossequio ad un paesaggio rurale o cittadino tanto falso quanto temporaneo e come interpretazione di “buon costume” per il mantenimento
thus, in the projects collected here it is more than clear that architecture is flowing through time toward new fields of the global unreal. From the Stone House of Herzog & de Meuron to Villa Além of Valerio Olgiati, the world seems to have turned upside-down: from the clear consideration of the balance between principles and purpose as the phenomenological base of design to the semantic manifestation of a superlative action in some ways more than Baroque, induced to pursue open-mindedly possible photographic shots, optical deformations and dramatic colorations with which to accompany the amazement and praise of the cyber-relational multitude which, enclosed in its own Skinner’s Cage 9, is certainly not interested in intellectual assumptions or speculations, activities that would take too long and to much work to investigate while sitting on the subway. It is clear that there are now multitudes of architects who have built their fortune within the production of third-order simulacra10 through a perfect understanding and consequent use of the digital tool, overcoming linguistic, cultural and geographical boundaries and even the expectation of the value of architecture itself. However, this is not a new form of internationalization, similar to that already seen with the spread of the modern, but on the contrary, a reorganization of the entries of a compositional order in a way similar to what has already happened, more quickly and openly, for obvious reasons and for purely commercial purposes, in the fields of fashion and industrial design.11
But in architecture, the problems are different: its commercialization is in itself a betrayal of its foundations, and if sampling the shapes of a bookshelf might not be so painful, in architecture where you face territories, climates, regulations and very different techniques this can lead to real design dramas with bizarre results. Of this, our cities are increasingly an example, especially in their extensive suburbs, where the theme of the house, and more widely of living, is trampled by regulatory and economic constraints, as well as intellectual ones. It has become a category of professionals too busy surviving everyday life to set aside the mouse for a few hours and think. It seems easier, faced with a compositional problem, to uncritically scroll through whatever site to draw non-conforming copies to send in the blink of an eye from Osaka to Palermo, without, though, addressing the semantic or practical problems. On this side, looking at not just our Italian territories, there remains a certain tendency to produce asynchronous projects with respect to modernity, where legions of architects (we no longer just blame technicians without degrees and clients) perform real design acrobatics like constructing buildings that tend to recall so-called “traditional” architecture. The persistent need for reassuring forms and solutions permeates the choices of certain non-evolved or in-grown clients, going against a professionalism that does not confront its own time. So one wonders how these clients, so attentive to progress as to be surrounded by up-to-date technological
di uno status quo paesaggistico dimenticando come non vi è nulla di più transitorio del paesaggio agricolo e che «è l’architettura che salva la città»13 e null’altro. Egli (l’uomo) non costruisce una sola capanna che non sia manifestazione tangibile di un pensiero, che non rechi testimonianza visibile di cose invisibili, che non sia in senso trascendentale, simbolica oltre che reale.14
Ma l’uomo sembra nel tempo aver modificato radicalmente il suo rapporto con l’architettura sottraendole lentamente il ruolo di essere “testimonianza visibile di cose invisibili”, previsione, anticipazione di possibilità che grazie ad essa possono aver luogo. La prassi quotidiana, l’eccessiva familiarità con il costruito e forse la mancanza di veri committenti, ha obliterato il progetto, e la casa tra tutti, delle ambizioni umane di quotidiana sopravvivenza in territori ostili, governando allo stesso tempo evoluzione sociale e civiltà. Muro, guscio, recinto, parete, interno, esterno, struttura, pianta, sezione sono termini del linguaggio dell’architettura che non si riscontrano più nelle prove più note, se non ancora in rarissimi casi, e questo avviene non per emancipazione di un pensiero progressista e critico della contemporaneità ma per indifferenza alla manifestazione dell’architettura come disciplina, fatta quindi di un suo linguaggio, di un suo metodo, di un modo di operare che dalle formule fondamentali trae la propria costante capacità di rinnovarsi. Non si tratta di assecondare diversi punti di vista intellettuali, non è questione di ordine o disordine, di regola o anti-regola, ma piuttosto di superare una fase segnata da mirabolanti novità, facendo sedimentare la polvere, per ragionare di nuovo su quali siano davvero le condizioni costitutive del progetto di architettura. Proprio per questo il tutto si riduce alla casa, che è da ritenere ancora oggi e nonostante tutto la prova d’autore per ogni architetto, occasione dalla quale non può sfuggire nel dialogo con il proprio operare. In essa si concentra, in piccole e a volte piccolissime dimensioni, tutta la necessità di tramandare memorie e fatti, teorie e congetture. Dalla casa romana, per non partire da troppo lontano, fatta di vestiboli, stanze come esterni, esterni come stanze, luoghi del piacere e della condivisione sociale15, l’architettura ha individuato nel tempo altre modalità, nuove forme in un continuo movimento in avanti di evoluzione. Non sono mai giunto a qualcosa di veramente soddisfacente. Ma non penso d’aver perso del tutto il mio tempo provando a oltrepassare questa linea improbabile: attraverso questo sforzo, mi sembra che traspaia qualcosa che potrebbe essere uno statuto dell’abitabile…16.
Nonostante tutto, la casa si ripete all’infinito fin da quando l’uomo ha trovato più interessante e salutare smettere di arredare caverne per uscire allo scoperto costruendosi un riparo sulla testa. Da quel momento tutto è stato reso possibile e l’architettura è nata perché ciò lo fosse. objects, make choices on how to live that amount to a carrier pigeon and a cart. The distortion and perhaps the hypocritical affront to the honorable past of much of our rural architecture reaches indefinable levels when the addition of stone shelves, wooden roofs, columns and windows framed by thick stone profiles meet, in the same project, reinforced concrete frame structures, insulation stratigraphy, up-to-date systems etc... After the dramatic distortions of the post-modern virtuosos with local flavors, here are their successors at work, educated by the architecture of a tourist resort or shopping center, which, moreover, are liked by the integrated committees of the municipalities and also many Superintendencies, as is worth emphasizing and remembering12. Traditional architecture, as if there really was one, is interpreted and reproduced only for the purpose of obsequious respect for a rural or city landscape, as false as it is temporary, and as an interpretation of a vice squad for the maintenance of a landscape status quo forgetting that there is nothing more transient than the agricultural landscape and that «it is architecture that saves the city»13 and nothing else. He (man) does not build a single hut that is not a tangible manifestation of a thought, that does not bear visible witness to invisible things, that is not there in a transcendental, symbolic as well as real sense.14
But humanity seems over time to have radically changed its relationship with architecture by slowly subtracting from it the role of being “visible testimony of invisible things”,
prediction, anticipation of possibilities that, thanks to it, can take place. The daily practice, the excessive familiarity with the built and perhaps the lack of real clients, has obliterated design, and the house among all, of the human ambitions of daily survival in hostile territories, governing at the same time social evolution and civilization. Wall, shell, fence, separation, interior, exterior, structure, floor plan, section, are terms in the language of architecture that are no longer found in the most well-known texts, if not in very rare cases, and this happens not because of an emancipation of progressive thought and criticism of contemporaneity but out of indifference to the manifestation of architecture as a discipline, therefore made up of its own language, its own method, a way of operating that draws its constant ability to renew itself from the fundamental formulas. It is not a question of satisfying different intellectual points of view, it is not a question of order or disorder, of rule or antirule, but rather of overcoming a phase marked by amazing novelties, letting the dust settle, to think again about what really are the building conditions of the architectural project. Precisely for this reason, everything boils down to the house, which is still thought of today, despite everything, like an artist’s proof for every architect, an opportunity that cannot be escaped in the dialogue with creation itself. In it, in small and sometimes very small dimensions, all the necessities for passing on memories and facts, theories and conjectures, are concentrated.
SCELTE E CONSIDERAZIONI L’indubbia difficoltà del lavoro presentato in queste pagine risiede nel processo di selezione dei singoli progetti. Oltre ad un indirizzo di diffusione nel tempo e nella geografia, è stato usato un parametro relativo al carattere di radicamento nel processo progettuale e del risultato che si potrebbe definire per certi versi di avanguardia. I progetti, come è evidente scorrendo le pagine, appartengono ad ambiti spesso opposti della cultura architettonica, con l’obiettivo di voler configurare un panorama più ampio possibile, per certi versi a-prioristico, dai contenuti quindi finanche eterogenei. Esattamente come nelle migliori antologie lo spessore di ogni singola opera è da rintracciare nell’opera stessa e in un territorio culturale, disciplinare e operativo dentro il quale essa possa essere inscritta. La catalogazione è avvenuta quindi per assunti di sostanziale equivalenza valoriale e non semantica, secondo la valutazione dell’impatto, o riscontro, che le opere possono aver avuto e avere nell’ambito contestuale in cui esse si inseriscono e più ampiamente nella perturbazione, da loro creata, di una condizione di ordine precedente. A consuntivo, per così dire, può apparire come nell’ultima decade, la sensibilità rispetto ad alcuni temi sia ormai definita nei progetti come principi non solo dell’abitare contemporaneo ma come principi dell’abitare la città o i più vasti territori extraurbani. Tre di questi temi divengono veri e propri punti di passaggio rintracciabili in ogni singolo progetto, nuove traiettorie di azione compositiva che possono essere riassunte in con questi termini: ambientalismo, sicurezza, frugalità. L’ambientalismo dagli anni Novanta, con la sua scintilla individuabile nella nota esplosione del reattore nucleare di Chernobyl e successivamente con gli eventi che hanno segnato al passaggio del nuovo millennio il crollo delle certezze precedenti 17, da avanguardia sociopolitica è passato a modus pensandi anche attraverso la creazione di un apparato normativo di dimensioni gigantesche, tale da imporsi sulla quotidianità delle nostre azioni singole e collettive. Negli anni recenti, l’apparato della comunicazione facendo leva più sulla subconscia paura delle persone che sulla loro educazione e mettendo a disposizione tutta la potenza di fuoco del sistema fino ad utilizzare testimonials come attori e ragazzine arrabbiate, ha indotto singole nazioni e apparati politici più ampi come l’Unione Europea a produrre normative particolarmente restrittive più o meno in tutti i campi. Tra questi principalmente sull’edilizia, ovviamente il meno rappresentato politicamente e più soggetto all’evidenza della sua manifestazione, si è concentrato il tiro della legiferazione sovvertendo in pochi anni i caratteri e gli assunti di pratiche edilizie antiche e in buonissima misura non colpevoli. Come si può notare dai progetti qui raccolti, questo ha prodotto effetti diversi su base geografica/nazionale, soprattutto analizzando i progetti situati in Europa che dovrebbero essere invece guidati da una normativa unitaria. Così mentre in Italia, come sempre avviene, non vi sono vie di mezzo e quindi la normativa Europea è stata recepita nel modo più restrittivo modificando la millenaria cultura del costruire del nostro Paese in modo repentino e per certi versi violento, in
From the Roman house, so as not to start from too far away, made with vestibules, rooms like exteriors, exteriors like rooms, places of pleasure and socializing15, over time, architecture has identified other modes, new forms in a continuously advancing evolution. I've never come to anything really satisfying. But I do not think I have entirely wasted my time trying to cross this improbable line: through this effort, it seems to me that something shines through that could be a statute of the habitable...16.
Despite everything, the house has been repeated endlessly since humanity found it more interesting and healthier to stop furnishing caves and get out into the open by building a shelter. From that moment anything became possible and architecture was born for it to be. Choices and Considerations The undoubted difficulty of presenting these pages lies in the process of selecting individual projects. In addition to the focus spread over time and place, the parameters included weighing the degree of being well-rooted in the design process itself, and results that could be defined in some ways as avant-garde. The projects, as it is evident by scrolling through these pages, often belong to opposite areas of architectural culture, with the aim of covering as wide a
panorama as possible, in some ways a priori, from the quite heterogeneous contents. Just like in the best anthologies, the weight of each single work is to be found in the work itself and in a cultural, disciplinary, and practical territory within which it can be inscribed. Cataloguing these, therefore, used substantial value and non-semantic equivalence, according to gauging the impact, or response, that the works may have had and have in the context in which they are inserted and more widely in the ripples, from their creation, on a previous order. In the final balance, so to speak, it may appear, as in the last decade, the sensitivity towards some themes is now defined in the designs as principles not only of contemporary living but as principles of urban living or for the vast territories outside of cities. Three of these themes become real points of passage traceable through every single project, new trajectories of compositional action that can be summarized in these terms: environmentalism, security, and frugality. Environmentalism since the nineties, with its spark identifiable in the well-known explosion of the Chernobyl nuclear reactor and subsequently with the events that marked the collapse of previous certainties at the turn of the millennium17, changed from the domain of a socio-political avant-garde to a way of thinking that imposes itself on the daily order of our individual and collective actions.
altri paesi europei, indifferentemente a medesima o diversa latitudine, queste normative relative alla cosiddetta sostenibilità, pare non siano recepite o comunque non determinino una discriminante tale da introdurre nuovi e diversi termini nelle condizioni del comporre e del costruire18. L’obbligatorietà di stratigrafie tecnologiche, l’ortodosso teorema dell’annullamento dei ponti termici, il vincolo all’installazione di sistemi fotovoltaici, paiono essere questioni praticamente solo italiane introducendo ulteriori categorie di problemi che divengono alla fine principali: aumento dei costi di realizzazione, svilimento di consolidate pratiche edificatorie e mutazione delle soluzioni compositive per coercizione e non per maturazione. Tutto ciò non può che evidenziare esiti tali da ritenere assolutamente parziale il loro confrontarsi a livello globale con altri di altri luoghi, proponendo in qualche modo una sorta di eroismo dei progetti italiani nel loro dimostrarsi, seppur sempre più rari, comunque in grado di porre innanzi evidenti interrogativi e riscontri teorici di un certo spessore. Infine, proprio a questo riguardo, sembra che l’architettura si presenti sempre più inquieta, eterodiretta, forse proprio a causa dell’incorrere in un processo di profonda e strana ibridazione degli assunti compositivi e tecnici del comporre, condizione generata da un lato dalla necessità di applicare con franchezza posizioni teoriche consolidate, dall’altro dall’inderogabile occorrenza di perseguire dettami normativi alieni o indifferenti alla teoria stessa. Il secondo elemento perturbatore rintracciabile è quello relativo al concetto di sicurezza o meglio sarebbe dire in-sicurezza. Al riguardo è innegabile come nello scorrere degli anni e dei relativi progetti, sia evidente una maggiore sensibilità alle questioni della sicurezza personale dei cittadini e come questo abbia e stia ancora modificando alcuni principi legati non tanto alle dotazioni tecnologiche ma soprattutto alla composizione delle abitazioni. Sembra che questo ormai rappresenti un assunto che i committenti interpretano come fondamentale tra le richieste che possono rivolgere all’architetto e paradossalmente questa condizione è più manifesta dove il progetto ha luogo in contesti urbani. Ciò che potrebbe essere interpretato come una maggiore sensibilità alle problematiche della privacy, in realtà sottende, inutile nasconderlo, alla interpretazione delle necessità di sicurezza19. Le case si chiudono all’esterno, si potrebbe dire quasi si fortificano, nell’atto non solo di separarsi più solidamente dal contesto in cui si radicano ma nella volontà di costituire dinamiche spaziali maggiormente protettive e autonome all’esterno nell’organizzare le relazioni che governano l’abitare e gli abitanti. Ciò risulta in modo piuttosto omogeneo dall’Europa agli Stati Uniti a sottolineare come la parte occidentale della società stia subendo, a torto o a ragione, un nuovo e forse inedito stato (reale o emotivo che sia) di in-sicurezza, certamente ampliato da quanto proposto quotidianamente attraverso la cronaca e che in realtà, viste le sempre più drammatiche condizioni di povertà e frustrazione sociale (i recenti eventi di sommosse popolari in Francia e negli Stati Uniti ne sono una manifestazione), forse ha una sua ragione d’essere. Il terzo punto è relativo a quella che si può definire frugalità, che in molteplici forme sta segnando una sempre più evidente e diffusa traiettoria operativa tale da uniformare in modo radicale la sostanza compositiva e l’espressione formale.
In recent years, the communication apparatus has been leveraging people’s subconscious fears more than their education, engaging all the firepower of the system up to using testimonials from actors and angry girls to induce individual nations and political entities as broad as the European Union to produce particularly restrictive regulations in more or less all fields. Among these, for construction, obviously the least represented politically and most subject to the evidence of its manifestation, the aim of legislation has been concentrated, subverting in a few years the characteristics and assumptions of ancient, and to a very large extent, not-guilty building practices. As can be seen from the projects collected here, this has produced different effects based on geographical or national setting, especially seen by analyzing the projects located in Europe which should actually be guided by a unified regulation. Meanwhile, in Italy, as always happens, there is no middle ground and therefore the European legislation has been implemented in the most restrictive way, changing the culture of building that has existed for centuries in a sudden and sometimes violent way. In other European countries, whether at the same or different latitudes, these regulations relating to so-called sustainability seem not to have been implemented or in any case do not impose a discriminant such as to introduce new and different terms in the conditions of designing and building18.
The obligatory technological stratigraphies, the orthodox theorem for eliminating thermal bridges, the rules for the installation of photovoltaic systems, seem to be practically only Italian concerns, introducing further categories of problems that eventually become critical: the increase in construction costs, debasement of consolidated building practices, and mutation of compositional solutions by coercion and not by maturation. This cannot but highlight how the comparison of these designs with others in other places is anything but impartial, suggesting a sort of heroism for the Italian projects in their showing themselves, albeit increasingly rarely, but in any case able to put forward obvious questions and theoretical findings of a certain depth. Finally, precisely in this regard, it seems that architecture presents itself as more and more worried, conditioned, perhaps precisely because of the incidence of a process of profound and strange hybridization of the compositional and technical assumptions of composition, a condition generated on the one hand by the need to openly apply well-established theoretical positions, on the other hand, by the inevitable necessity of pursuing normative dictates that are alien or indifferent to the theory itself. The second perturbing element that can be recognized relates to the concept of security or rather it is better to say insecurity.
Risulta, scorrendo i progetti qui raccolti, come ciò che nel recente passato poteva essere erroneamente ma comunemente definito minimalismo20, in realtà oggi incontri spesso non solo l’espressione di scelte teoriche e/o formali ma la manifestazione di alcune necessità recentemente intervenute. Innanzitutto, l’avvento di una volontà della classe media di non esprimere, o di farlo nel modo più sommesso possibile, il proprio status socioeconomico. Questo è un fatto ed è relativo in buona misura alla tendenza sociale ormai diffusa verso il downshifting o semplicità volontaria o anche, per alcuni aspetti, al rispetto dei rituali imposti dalla cosiddetta decrescita felice. Questi modi di intendere la vita e quindi il relativo abitare, lontani e in contrapposizione ai cerimoniali del recente passato, impongono un allontanamento dall’immagine per certi versi volutamente opulenta di certe epifanie che il Moderno attraverso la classe media ha avuto modo di raccontare. Oggi, al contrario, alle necessità del frugal chic corrisponde una rarefazione del gesto compositivo che definisce essenzialità degli spazi e delle forme del vivere, molto spesso nella realtà molto più onerosi, comunicando in definitiva un distanziamento (spesso, è bene dirlo, effimero e un po’ ipocrita) dal mondo dell’apparenza per indugiare in quello della sostanza delle cose. Se nell’industria certe soluzioni erano definite dalla stretta necessità di contrazione dei costi di realizzazione, oggi equivalenti o simili soluzioni vengono immesse nell’abitare proprio per esprimere una economicità che va nel verso della vera a propria spoliazione. Tutto ciò produce luoghi ascetici, dimensionalmente ridotti, anti-decorativi, disadorni fino all’annullamento di qualsiasi traccia di rassicurante umanità, destinati ad accogliere abitanti particolarmente attenti alla riduzione di qualsiasi loro traccia e costo non tanto economico quanto soprattutto di immagine sociale. Spesso pare attivarsi un programma di riduzione del progetto e della sua impronta alla condizione di previsione di uno stato di abbandono o quasi rovina, indifferente alla presenza dell’abitante, in cui sfuma quel principio di promessa e di aspirazione al bene, in senso antropologico, che ha attratto fino a pochi anni fa il progetto in campi dove al contrario spazialità relazionali, distribuzioni, dimensioni e materiali erano ritenuti dei principi irrinunciabili. L’uomo nuovo, quello contemporaneo, digitale, connesso e “sostenibile”, che anticipa di poco quello futuro, distanziato, singolare e autonomo, sembra soggetto ad un continuo stato d’eccezione nel suo insediarsi, nel realizzare la propria arca e pare disposto, forse per la prima volta nella storia, ad una senziente privazione ritirandosi in gusci ameni, veri e propri rifugi depurati di ogni strumento di dialogo individuale come la propria entità personale, disposto a occupare spazi che si potrebbero definire
In this regard, it is undeniable that over the years and successive projects, a greater sensitivity to the issues of personal safety has evolved and how this has and is still modifying some principles linked, not so much to technological equipment, but above all to the composition of homes. It seems that this now represents an assumption that clients interpret as essential among the requests they can make to an architect and paradoxically this concern is more evident where the project is set in an urban context. What could be interpreted as a greater interest in privacy actually underlies, and it is pointless hiding it, the interpretation of security needs19. The houses are closed to the outside, one could almost say they are fortified, in the act not only of separating themselves more solidly from the context in which they are rooted but in the desire to build more protective and autonomous spatial dynamics on the outside in organizing the relationships that govern the dwelling and its inhabitants. What is quite similar between Europe and the United States is that western society is suffering, rightly or wrongly, a new and perhaps unprecedented state (real or emotional) of insecurity, certainly exaggerated by what is repeated daily on the news and that in reality, given the increasingly dramatic conditions of poverty and social frustration (the recent events of popular riots in France and the United States are a manifestation of this), maybe has its own reason for being.
The third point is related to what can be called frugality, which in many forms is following an increasingly clear and widespread operational trajectory such as to radically standardize the compositional substance and formal expression. It turns out, going through the projects collected here, what in the recent past could have been erroneously but commonly defined as minimalism20, in reality today often is seen as not only the expression of theoretical and/or formal choices but the manifestation of some recent needs. First, the advent of an interest of the middle class not to express, or to do so in the most subdued way possible, their socioeconomic status. This is a fact and is related to a large extent to the now widespread social trend towards downshifting or voluntary simplicity or even, in some respects, to the rituals imposed by the so-called happy degrowth. These ways of understanding life and therefore the relative home, distant and in contrast to the ceremonials of the recent past, impose a departure from the somewhat opulent image of certain epiphanies that the Modern through the middle class has had the opportunity to relate. Today, on the contrary, the needs of frugal chic correspond to a rarefaction of the compositional gesture that defines the essentiality of spaces and forms of living, very often in reality much more onerous, ultimately communicating a distance (often, it should be said, ephemeral and somewhat
di transito assecondando un cosciente sposalizio tra la propria definita essenza terrena e l’assenza di trascendenza spirituale che accompagna questi anni atei.21 La definizione di questi programmi architettonici è un chiaro primo passo lungo una via che ci accompagnerà per i prossimi anni, forse il tratto più evidente e interessante messo in atto per determinare nuove strategie e nuovi punti di vista sull’abitare. Ciò che resta in fin dei conti è ciò che è stato centrale nel lavoro di Adriano Cornoldi e ciò che permane nelle case qui pubblicate: l’uomo e la necessità, pratica e poetica, di abitare la terra, difendersi dalla Natura per sopravvivere. Quali saranno le modalità per il prossimo futuro in parte è già scritto nei disegni che ossessivamente compongono queste pagine e il loro utilizzo antologico per mantenere l’architettura un fatto centrale di civiltà che dipende da tutti noi.
hypocritical) from the world of appearance to linger in that of the substance of things. If in industry certain solutions were defined by the strict need to reduce construction costs, today’s equivalent or similar solutions are introduced into living precisely to express a sense of economy that goes in the direction of actual spoliation. All this produces ascetic places, dimensionally-reduced, antidecorative, unadorned up to the cancellation of any trace of reassuring humanity, destined to welcome inhabitants who are particularly attentive to the reduction of any trace and cost, not so much economic as above all of social image. Often a program seems to be activated to reduce the project and its footprint to the point of anticipating of a state of abandonment or near ruin, indifferent to the presence of the inhabitant, in which that principle of promise and aspiration to good, in an anthropological sense, fades which, until a few years ago, attracted design to fields where, on the contrary, relational spatiality, distributions, dimensions and materials were considered un-renounceable principles. The new man, contemporary, digital, connected, and “sustainable”, who slightly anticipates that future, distant, singular and autonomous, seems subject to a continuous state of exception in settling himself, in building his ark, and seems willing, perhaps for the first time in history, to a sensory deprivation by withdrawing into soothing shells, refuges purified of every instrument of individual dialogue like one’s
own personal entity, willing to occupy spaces that could be defined as transitory, favoring a conscious marriage between his own definite earthly essence and the absence of spiritual transcendence that accompanies these atheistic years. 21 The definition of these architectural programs is a clear first step along a path that will accompany us for the next few years, perhaps the most evident and interesting feature implemented to determine new strategies and new points of view on living. Ultimately what remains is what has been central in Adriano Cornoldi’s writing and what is in the houses published here: humanity and the practical and poetic need to live on the earth, to defend oneself from Nature in order to survive. What will be the modalities for the near future is partly already written in the drawings that obsessively make up these pages and their anthological use to keep architecture a central part of civilization that depends on all of us.
1 A. Cornoldi, L’architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Roma 1988, p. 9.
Ibidem, dal testo in quarta di copertina.
2
M. Tafuri, Teorie e storia dell’architettura, Laterza, Bari 1968, p. 266. 3
Trascrizione dagli appunti di lezione.
4
Per fare un esempio, il materiale necessario alla ricerca sulla Maison Carré fu estrapolato dalle fotocopie e dalla conversione in scala dei disegni contenuti in queste, dal no. 236 di “Casabella Continuità” (febbraio 1960), fortuitamente recuperato presso la Biblioteca Civica di Verona.
5
L. Semerani (a cura di), La Casa. Forme e ragioni dell’abitare, in Id., Architettura di nicchie, Skira, Milano 2008, p. 11.
6
Come nella Città Ideale espost a al Palazzo Ducale di Urbino, l’uomo tende a scomparire, anzi scompare, dall’architettura quando essa diviene, forse erroneamente, soggetto e non oggetto.
7
8 G. Neri, Oltre il vuoto il tempo?, in A. Russo, Vuoto & progetto, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 12.
Gli esperimenti sul comportamento degli esseri viventi condotti da Burrhus Skinner hanno introdotto nella letteratura scientifica il concetto di “modellazione” del comportamento attraverso la tecnica del “rinforzo”. Ogni essere vivente cerca il proprio piacere attraverso varie forme e nel modo più rapido e semplice possibile. Così quanto un topo che nella “gabbia” attivando la leva giusta viene premiato attraverso del cibo, altrettanto l’uomo viene educato dal digitale a premiare la propria ricerca di piacere attraverso l’assunzione di immagini che attraverso i “like” (la leva del topo) un algoritmo proporrà sempre più prossime ai propri gusti.
9
10 Si veda J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, a cura di M. G. Brega, Edizioni Pgreco, Roma 2008.
L’architettura degli interni ha lasciato il passo all’industria del design, alla prassi dell’accumulo di oggetti in-utili solo in base alla loro necessaria presenza in quanto status symbol oppure alla loro fasulla relativa economicità.
11
12 Da evidenziare come pur appartenendo ad un unico “sistema” Stato, che in forma più ampia rigurda anche tutto il territorio della Comunità Europea, per rimanere in un ambito di affinità europea, nel settore del controllo del territorio (comuni e Soprintendenze) esistono ed emergono ormai ingiustificabili differenze culturali e pratiche immense non solo tra stati ma anche tra singole regioni italiane. La soggettività del giudizio rispetto alla valutazione di un progetto non è solo determinata dalla personalità del funzionario chiamato a “giudicare” ma alla stessa localizzazione del progetto in una regione o provincia rispetto ad altre. Per verificare ciò in ambito strettamente italiano basti pensare alle opportunità espressive che emergono in Alto Adige rispetto alle difficoltà che si possono trovare, per gli stessi autori, nelle vicine Veneto o Lombardia. 13 Si veda A. Rocca, È l’architettura che salva la città, in “Fuoco Amico”, no. 01 - Nuovo Cinema Maestoso, ottobre 2014, pp. 7-23. 14 T. Carlyle, Sartor Resartus, LiberiLibri, Macerata 2008, p. 276.
Si veda G. Plinio Cecilio Secondo, Lettere, I 24, in Plinio il Giovane. Si veda anche 50 Lettere, a cura di G. Vannini, Mondadori, Milano 2019.
15
16 G. Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 44; ed. or. Espèces d’espaces, Galilèe, Paris 1974.
Come le ali di Icaro, Concorde e World Trade Center, icone della stessa ambizione smisurata degli anni Sessanta sono definitivamente defunti esattamente insieme all’inizio degli anni Duemila. La stessa cieca proiezione dell’uomo nello spazio si è interrotta con lo schianto dello Shuttle Columbia nel 2003.
17
Oltre all’ambientalismo e ai suoi effetti sarebbero da considerare almeno altri due fattori che pongono le pratiche dei progetti italiani in difficoltà rispetto agli equivalenti di altri luoghi: la relazione tra progetto e regolamenti urbanistici e le recenti normative riguardanti il dimensionamento delle strutture.
18
Sull’argomento si consiglia la lettura e i riferimenti proposti da Marco Ragonese nel contributo (in) sicurezza, all’interno della sezione Parole Chiave curata da Giovanni Corbellini nel sito www.architettura.it.
19
20 Il termine minimalismo, traslato dal mondo dell’arte a quello dell’architettura, risulta chiaramente abusato negli ultimi anni, sottolineando una sorta di categoria, un insieme, o per certi versi un vero e proprio stile, che con l’architettura in realtà ha ben poco a che fare. Frugalità, semplicità, spoliazione sono ben altri rispetto alle categorie originali che produssero l’arte di Donald Judd o Sol LeWitt.
Si veda V. P. Mosco, Nuda architettura, Skira, Milano 2012.
21
A. Cornoldi, L’architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Rome 1988, p. 9.
1
2
Ibidem, from the back cover text.
M. Tafuri, Teorie e storia dell’architettura, Laterza, Bari 1968, p. 266. 3
4
Transcription from the lecture notes.
For example, the materials for the research on the Maison Carré was extrapolated from the photocopies and from the scale conversion of the drawings contained therein, from the no. 236 of “Casabella Continuità” (February 1960), fortuitously found at the Biblioteca Civica of Verona. 5
6 L. Semerani (ed.), La Casa. Forme e Ragioni dell’Abitare, in Id. Architettura di nicchie, Skira, Milan 2008, p. 11.
As in the Ideal City from the Ducal Palace of Urbino, people tend to disappear, indeed do disappear, from architecture when it becomes, perhaps erroneously, a subject and not an object.
7
G. Neri, Oltre il vuoto il tempo?, in A. Russo, Vuoto & progetto, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 12.
8
The experiments on the behavior of living beings conducted by Burrhus Skinner have introduced the concept of “modeling” of behavior through the technique of “reinforcement” into the scientific literature. Every living being seeks its own pleasure through various forms and in the fastest and easiest way possible. Just as a mouse who activates the right lever in the “cage” and is rewarded through food, so we are educated by the digital to reward our own search for pleasure through the taking of images and through “likes” (the click of a mouse) an algorithm will propose the next even closer to our tastes. 9
10 See J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, edited by M. G. Brega, Edizioni Pgreco, Rome 2008. 11 The architecture of the interior has given way to the design industry, to the practice of accumulating useless objects only on the basis of their necessary presence as a status symbol or their false relative cheapness.
It should be noted that, although belonging to a single governing “system”, which in broader form also covers the entire territory of the European Community, to keep to an area of European affinity, in the sector of territorial control (municipalities and Superintendencies) there exist and emerge now unjustifiable immense cultural and practical differences, not only between countries, but also between individual Italian regions. The subjectivity of the judgment with respect to the evaluation of a project is not only determined by the personality of the official called to “judge” but also by the regional or provincial location. To verify this, in a strictly Italian context, just think of the expressive opportunities that emerge in Alto Adige compared to the difficulties that can be found, for the same creators, in the nearby Veneto or Lombardy.
12
13 See A. Rocca, È l’architettura che salva la città, in “Fuoco Amico”, no. 01 - Nuovo Cinema Maestoso, October 2014, pp. 7-23. 14 T. Carlyle, Sartor Resartus, LiberiLibri, Macerata 2008, p. 276. 15 See G. Plinio Cecilio Secondo, Lettere, I 24, in Plinio il Giovane. See also 50 Lettere, edited by G. Vannini, Mondadori, Milan 2019.
G. Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Turin 2004, p. 44; 1st ed. Espèces d’espaces, Galilèe, Paris 1974. 16
17 Like how the wings of Icarus, Concorde and the World Trade Center, icons of the same boundless ambition of the sixties all definitively die at the same time in the early 2000s, and how our blind leap into space ended with the crash of the Shuttle Columbia in 2003. 18 In addition to environmentalism and its effects, at least two other factors that place the practices of Italian projects at a disadvantage with respect to their equivalents in other places should be considered: the relationship between design and urban planning regulations and recent regulations regarding the sizing of structures.
On the subject, we recommend reading and references proposed by Marco Ragonese in the (in)security contribution, in the Keywords section edited by Giovanni Corbellini on the site www.architettura.it.
19
20 The term minimalism, translated from the world of art to that of architecture, has clearly been abused in recent years, underlining a sort of category, a whole, or in some ways a real style, which with architecture actually has very little connection. Frugality, simplicity, scavaging are very different from the original categories that produced the art of Donald Judd or Sol LeWitt. 21
See V. P. Mosco, Nuda architettura, Skira, Milan 2012.
SULL’ADDIO AL “TIP IN ARCHITETT Vincenzo Moschetti L’Illuminismo è giunto al termine, dimostra, senza particolare sottigliezza, l’arte popolare di Grandma Moses. Tra le mani ci ritroviamo alcuni appunti a firma di Diogo Seixas Lopes, datati 2012 e raccolti sotto l’iconico nome di Tipology1. Le note avvertono di come Quatremère de Quincy sia stato dimenticato, Durand sotterrato e Rossi non pienamente compreso. È forse questo un sollievo che – prendendoci per mano – porta a dire addio al “tipo” in architettura? L’effetto allucinatorio deriva dalla straordinaria chiarezza e non dal mistero, parafrasando un commento di Grillet 2 sulla narrativa kafkiana, in cui questi elementi – muri, colonne, aperture – dovevano essere combinati per formare unità intermedie – portici, scale, sale e così via – e questi ancora una volta costruiti in complessi completi, che a loro volta formavano città3.
Tuttavia, v’è una possibilità logica sostenuta dalla tremenda verità attraverso cui “nessun tipo può essere identificato con una sola forma […] – ma – tutte le forme architettoniche sono riducibili a tipi” 4, espletando in questo modo il contributo critico tra ambito reale e ambito immaginario a cui far riferimento. La colpa del “tipo” ricade nella propria disumanizzazione poiché in esso è manchevole la presenza della misura ma non quella della geometria, professando in tale prospettiva un’esistenza assai dogmatica e complicata da mettere in atto. Il “tipo” assume dunque il valore di sacra reliquia pronta all’uso – cosciente o meno – di oggetto da collezione, feticcio, figlio di una potente genealogia di segni ereditati e ridotti fino all’inverosimile, oggetto di autentica “codardia”5 e di una traumatica rivelazione critica che tutt’oggi alimenta la messa in scena tra ordine e proprietà inventive. Attivato da “complicati rituali” il “tipo” ha finito per “acquisire una virtuale corporeità in grado di oscurare la stessa fisicità dell’edificio” 6. La storia della città contemporanea rende il suo uso debole, almeno apparentemente poiché si tratta più di una de-regolarizzazione corrispondente ad una crisi positiva di crescita e di trasformazione. L’addio a Durand sta in questo, la perdita della regola e il suo uso interpretativo, ovvero operativo. Così “in termini meno disciplinari tutto ciò significa che occorre rifondare il discorso sulla casa attraverso una preliminare messa tra parentesi dell’apparato normativo costruito attorno ad essa; procedere, al contrario, per modelli esemplari significa avanzare un po’ di più verso l’istinto tipologico arretrando dal tecnicismo corporativo” – ovvero – “detotalizzare non tanto la tipologia, quanto l’intellettualismo tipologico, per ricostruire una descrittività non paradossale per la sua sofisticazione degli elementi dell’abitare” 7. La valenza operatoria del “tipo” lo rende strumento e come tale esso va utilizzato, compromettendolo, verificando il dispositivo secondo il suo perduto ma reale principio: rovesciare la “storia”, quella vicenda che appunto prevede Un ordine che esclude la legge 8.
FAREWELL TO THE “TYPE” IN ARCHITECTURE The Enlightenment has run its course, as the folk art of Grandma Moses demonstrates without particular subtlety. In its hands we find some notes signed by Diogo Seixas Lopes, dated 2012, and collected under the iconic name of Typology1. The notes warn how Quatremère de Quincy was forgotten, Durand was buried, and Rossi not fully understood. Is this relief – we are taken by the hand – that brings us to say a final goodbye to the “type” in architecture? The hallucinatory effect derives from extraordinary clarity and not from mystery, to paraphrase a comment by Grillet 2 on the Kafkaesque narrative in which these elements – walls, columns, openings – were to be combined to form intermediate units – porches, stairs, halls and so on – and these again built into complete ensembles, which in turn formed towns3.
However, there is a logical possibility supported by the tremendous truth through which “no type can be identified with only one form, even if all architectural forms are reducible to types” 4, thus carrying out the critical distinction between real and imaginary environments. The fault of the “type” lies in its own dehumanization since the presence of measure is lacking but not that of geometry, professing, from this point of view, a very dogmatic and complicated existence to put into practice. The “type” thus assumes the value of a sacred relic, ready for use, – conscious or not – a collector’s item, fetish, descendant from a powerful genealogy of inherited signs and reduced to the point of improbability, an object of authentic “cowardice” 5 and of a traumatic critical revelation that feeds the charade between order and inventiveness. Activated by “complicated rituals” the “type” ended up “acquiring a virtual corporeality capable of obscuring the very physicality of the building” 6.
PO” TURA
25
Anna Mary Robertson 'Grandma' Moses (1860-1961), The Old Checkered House in 1860, firmato e datato 'Moses. 1860', datato '1944/June 13', olio su masonite (90.2 x 113.7 cm.), Art © 1973 (rinnovato 2001) Grandma Moses Properties Co., New York.
Tra elenco e memoria i tipi offrono un palinsesto da poter esercitare, ma in quanto tali concedono l’opportunità avvelenata – come la mela di Biancaneve – per cadere in un gioco sterile nel caso essi si assumano come modelli più che come elementi di partenza, come carte aperte in cui definire conseguenze e circostanze. In questo gioco di specchi, indossati gli indumenti dell’Alice di Lewis Carroll, la natura traumatica del “tipo” si rivela agli occhi di una contemporaneità in cui non serve più la “storia”, sommersa già dagli insegnamenti del Bauhaus e ribadita da quelli di OMA9, riportando piuttosto la sperimentazione verso rinnovati territori. Analizzando compiutamente il dettame programmatico illuminista è chiaro come il “tipo” sia legato al fare progetto, come esso sia connesso per sua “natura” ad un tema organizzativo-spaziale assetato di essere macchiato e sempre osservato ben oltre una basilare realtà. Il problema reale al quale bisogna far fronte però è quello del “rinnovamento” che spesso l’architettura si pone come presupposto pratico più che teorico, come via di fuga dalla sua stessa vicenda cronologica. Le parole espresse trovano solo un parziale accoglimento in questo senso, poiché se si osserva il reale per come si presenta emerge dalla contemporaneità quanto l’aggiornamento sul tema tipologico sia apparentemente del tutto assente, a discapito, invece, della presenza assertiva di un discorso approfondito più che a una sua estensione.
The history of the contemporary city weakens its use, at least apparently, since it is more of a de-regularization corresponding to a positive crisis of growth and transformation. The farewell to Durand lies in this, the loss of the rule and its interpretative, or operational, use. Thus “in less disciplinary terms, all this means that it is necessary to re-establish the discourse on the house in a preliminary, in parentheses, normative apparatus built around it; to proceed, on the contrary, for exemplary models means to advance a little more towards the typological instinct, withdrawing from corporate technicalism” – or rather – “detotalizing not so much typology, as typological intellectualism, in order to reconstruct a non-paradoxical descriptiveness for the sophistication of the elements of living” 7. The operative meaning of the “type” makes it a tool and as such it must be used, compromising it, verifying the device according to its lost but real principle: overturning the “history”, that event that precisely foresees An order that excludes the law 8.
Between list and memory, types offer a palimpsest, but as such, they provide the poisoned opportunity – like Snow White’s apple – it yields a sterile game if they are used as models rather than elements of departure, like showing a hand of cards with pre-defined consequences. In this game of mirrors, wearing the clothes of Lewis Carroll’s Alice, the traumatic nature of the “type” is revealed to the eyes of a contemporary world in which history is no longer needed, submerged by the lessons of Bauhaus and again by those of OMA9, experimentation is brought back to redevelop zones. By thoroughly analyzing the expected Enlightenment dictates, it is clear how the “type” is linked to making a design, how it is connected by its nature to an organizational and spatial theme thirsting to be tainted and always observed far beyond a grounded reality. The real problem which must be faced, however, is that of renewal which architecture often poses as a practical rather than a theoretical issue, as an escape route from its own chronological history.
Il trauma prodotto, rispetto a quanti sottolineano l’assenza di una vicenda attuale dell’architettura, quasi di una discontinuità storiografica, trova in questa considerazione un muscolare adeguamento attraverso il quale poter ricollocare le parti perdute di una mappa stabilita da pratiche narrative. I corpi mortali di cui gli studi tipologici si erano fatti carico vengono ora riportati in vita, annullandone del resto l’assuefazione novecentesca, cancellando un uso dello spazio macchinoso e funzionalista, demolendo lo spettro interpretativo scolastico e ripetitivo e decretando – finalmente – la violazione del tipo! Solo il progetto può, e non più solo le parole, descrivere la compiutezza assunta dai segni che per piante dimostrano la capacità del tempo (il nostro) di continuare una vicenda senza fine. Our typology is an inventory of the metropolitan, largely anonymous building production of the 20th century, a survey, so to speak, of today's urban architecture. What looks like an alternative architectural history of the 20th century, a history of architecture without architects, is our trove of urban projects. […] Nevertheless, due to their typological rationality, the architectural objects often appear more imaginative than many a so-called free design. We want to learn from this. Hence the idea of a typology transfer: why can't a gallery building like those found in the hills of Hong Kong, an expressive setback office building from Manhattan, or a fully-built block comprising highly different building types also exist in Zurich?10
UNA CASA È UNA CASA?
Tre temi, tre geografie, nessun tipo
L’operazione compiuta da Herzog e de Meuron, non casualmente allievi di Aldo Rossi (accorpato dalla critica ad una vicenda fin troppo tendenziosa sull’uso delle forme) presso l’ETH di Zurigo, dimostra l’esistenza di una reinvenzione e di una chiara applicazione del “possibile” in architettura. Non una copia quindi, ma una vaghezza del dato geometrico affinché possa questo essere implementato o reso del tutto assente. Stabilito il criterio, senza troppe simulazioni, si può considerare paradossalmente quanto il significato del “tipo” sia oggi (forse) in vita più che mai. La Plywood House11 a Bottmingen, del 1985, mette in scena l’azione teorica attraverso l’atto pratico. L’esistenza di un grande albero di Paulownia a sud del giardino della casa esistente fa in modo che il padiglione si modifichi, piegandosi alla presenza della “natura” e non viceversa, professando quel reato di rottura geometrica; figurando pertanto il progetto domestico per mezzo del sovvertimento e del riadattamento. L’albero è una presenza allegorica in grado di lasciare un’impronta, un calco, che per paradosso traspone nella regolarità basilare del padiglione una modifica geometrica capace di rendere visibile l’etimologia scolastica del τύπος. Il muro incurvandosi fissa l’epilogo del nuovo tempo, della comprensione e di un’apparente deterritorializzazione12 tipologica. Utilizzato come pre-testo per parlare di molte altre cose, il muro apre i confini dell’analisi rimettendo in discussione i segni della composizione al fine di “salvare” la pratica inventiva dalla ripetitività modellistica. Il campo per molto tempo discriminato o, al contrario, copiato senza nessun senso disciplinare, si mostra nella sua concreta definizione manualistica dove «nature is continuous; it is human conscience that is capable of individualizing discrete entities, figures, in order to operate on reality»13.
Antoine Quatremère de Quincy, Encyclopédie méthodique. Architecture. Tome 1, Panckoucke, Paris 1788.
The words expressed find only a partial acceptance in this sense, since if we observe the real as it presents itself, it emerges from contemporaneity how much updating on the typological theme is apparently completely absent, to the detriment, instead, of the assertive presence of an in-depth discourse more than an extension of it. The trauma produced, compared with the emphasis on an absence of a current history of architecture, almost of a historiographical discontinuity, finds here a muscular adaptation through which to relocate the lost parts of a map established by narrative practices. The mortal bodies that typological studies had taken on are now brought back to life, canceling their twentieth-century addictions, erasing a complex and functionalist use of space, demolishing the scholastic and repetitive interpretative spectrum and decreeing – finally – the destruction of the type! Only design can, and no longer just in words, describe the completeness assumed by the signs and for plans demonstrate the ability of time (ours) to continue an endless story. Our typology is an inventory of the metropolitan, largely anonymous building production of the 20th century, a survey, so to speak, of today’s urban architecture.
Roof variations, Brick House © Caruso St John Architects.
Una dissoluzione di quelle forme dell’esperienza che ritrovano un’attuale impostazione fisica debilitando la forza strutturale per recuperare la “libertà” di poter riorganizzare il materiale architettonico. Una distinzione comparativa necessaria e fruttuosa che tuttavia non rinuncia, probabilmente perché “non può”, alla ripetizione quale tecnica compositiva già in atto nelle scuole di Beaux Arts. In questa ripetizione alterata si nasconde la traumatica differenza linguistica, la sconfitta di inopportune identità regionali, il sorpasso – ma anche la sopravvivenza – di un’esistenza temporale14. La curvatura del padiglione è la prova “scientifica” del superamento ordinario della disciplina del progetto, dell’esigenza della modificazione spaziale attraverso zone d’ombra in cui cercare il “mito” teorico, divenuto pratico, e messo in mostra. Tali zone assumono il compito di segni tematici altamente pericolosi e, nello stesso tempo, elementi disponibili al fine di ritrovare le molteplici possibilità che il progetto ha per sua stessa definizione. La ripetitività analitica delle “forme” è il fatto architettonico ricorrente nelle operazioni dello studio Caruso e St John, il cui esercizio progettuale interviene non esclusivamente in operazioni planimetriche ma è in grado di proporre un’opportuna corrispondenza in sezione, o più in generale in alzato governando la vita tout court.
What looks like an alternative architectural history of the 20th century, a history of architecture without architects, is our trove of urban projects. […] Nevertheless, due to their typological rationality, the architectural objects often appear more imaginative than many a so-called free design. We want to learn from this. Hence the idea of a typology transfer: why can’t a gallery building like those found in the hills of Hong Kong, an expressive setback office building from Manhattan, or a fully-built block comprising highly different building types also exist in Zurich? 10
Is a House a House? Three Themes, Three Geographies, no Type The operation carried out by Herzog and de Meuron, not by accident both pupils of Aldo Rossi (merged by critics with an all too tendentious story on the use of forms) at the ETH in Zurich, demonstrates the existence of a reinvention and a clear application of the possible in architecture. Not a copy, therefore, but a vagueness of the geometric data so that it can be implemented or made completely absent. Having established criteria, without too many simulations, one can consider paradoxically how much the meaning of the “type” is today (perhaps) more alive than ever.
The 1985 Plywood House11 in Bottmingen puts theoretical action into practice. The large Paulownia tree to the south of the existing house causes the pavilion to change, folding around the presence of nature and not vice versa, confessing that crime of geometric breakage; thus serving the domestic project by means of subversion and readjustment. The tree is an allegorical presence capable of leaving an imprint, a cast, which paradoxically transposes a geometric modification into the basic regularity of the pavilion capable of making the scholastic etymology of τύπος visible. The bending wall fixes the epilogue of a new time, of understanding, and of an apparent typological de-territorialization.12 Used as a pretext to talk about many other things, the wall opens the boundaries of analysis by calling into question the signs of the composition in order to save the creative practice from modeling repetition. For a long time, how the field discriminated against or, on the contrary, copied without any disciplinary sense, is shown in its concrete manual definition where «nature is continuous; it is human conscience that is capable of individualizing discrete entities, figures, in order to operate on reality»13.
Il percorso genealogico intessuto è la prova di traduzione e tradimento, di un saper leggere e vedere le cose per come esse sono e possono davvero essere. Lo studio inglese senza professare un congelamento o addirittura uno stallo disciplinare, compie una ricerca che assolve la pratica tipologica all’uso di parti di essa, sovrapponendo la storia dell’architettura – esattamente come accadeva durante il Manierismo – e sviluppandone in ogni occasione una singolarità assai radicale rispetto al tema. L’emersione della Brick House (2001-2005) nel tessuto urbano di Westbourne Grove, a Londra, si contrappone alle verifiche sulla realtà de Le forme dell’abitazione di Monestiroli apparse già nel 1979. La casa, giocando sulla tessitura del mattone faccia vista e del béton brut, ripercorre l’uso del patio disarticolandone il racconto manualistico, annullandone lo schema tipologico per un grado di necessità dettato dal sedime, in maniera tale da ridiscutere per parti policentriche il superamento sintattico della forma compiuta alla base delle Encyclopédies. La resistenza dell’ornamento è l’unico presupposto di permanenza di “cose vecchie”, impreziosito dalla presenza della luce naturale che sconvolge volutamente, e per sempre, l’ordine accademico della casa inglese15. Questa sperimentazione compositiva trasporta la casa in territori inabissati, in geografie altre, producendo la crisi teorica di un sistema fino a poco tempo fa fondamentale ma spesso confuso e sovrapposto nei significati. Cosa ne resta? L’organismo insediativo proposto da Nishizawa, a Tokyo, per le follie del Sig. Moriyama (2002-2005), pone il punto di domanda alla famosa asserzione Una casa è una casa, in cui risulta (provocatoriamente) importante comprendere il senso dello spazio domestico in relazione ad un ordine tipologico. Osservando i disegni si deve ribadire la non descrivibilità del tipo e stabilire come l’interpretazione della casa ci ponga di fronte ad una nuova cronologia architettonica: una casa è ancora una casa? Parzializzata per stanze ed esplosione di spazi, il senso del tipo viene distrutto, restando quasi incomponibile, in cui la domesticità viene intesa come percorso urbano di relazioni tra sottili pareti prefabbricate dove scovare le poche interazioni relazionali tra gli attori: gli abitanti. La percezione della perdita di una “forma” è il frutto principale dell’esperimento giapponese che ragiona per peculiari compressioni e piccole dilatazioni.
A dissolution of those forms of experience that rediscover the present physical setting, weakening the structure to recover the freedom of being able to reorganize architectural material. A necessary and fruitful comparative distinction that nevertheless does not renounce, probably because it cannot, repetition as a compositional technique was already in place in the schools of Beaux Arts. This altered repetition hides the traumatic linguistic difference, the defeat of inappropriate regional identities, the overtaking – but also the survival – of a temporal existence14. The bend of the pavilion is the scientific proof of the ordinary overcoming the discipline of the design, of the need for spatial modification through shaded areas in which to look for the theoretical myth, which has become practical and put on display. These areas take on the task of highly dangerous thematic signs and, at the same time, elements for rediscovering the multiple possibilities that the project has by its very definition.
The rigorous repetitiveness of the forms is the recurring architectural feature in the operations of the Caruso and St John studio, whose design exercise intervenes not exclusively in plan, but is able to propose an appropriate correspondence in section, or more generally in elevation, governing life itself. The interwoven genealogical path is the proof of translation and betrayal, of knowing how to read and see things as they really are and can be. The English studio, without professing a freeze or even a stall in the discipline, carries out research that absolves the typological practice of the use of parts of it, superimposing the history of architecture – exactly as it happened during Mannerism – and developing each time a very radical singularity with respect to the theme. The emergence of the Brick House (2001–2005) in the urban fabric of Westbourne Grove, in London, contrasts with the verifications on the reality of Le forme dell’abitazione of Monestiroli that had already been published in 1979.
(ri-disegno) Ryue Nishizawa, Concept di Casa Moriyama, Tokyo, 2002, disegno originale © Office of Ryue Nishizawa.
Herzog & de Meuron, Plywood House, Bottmingen, 1984, © Herzog & de Meuron.
Lo spazio si modifica scegliendo il giardino come elemento di distribuzione, mettendo da parte l’idea originaria di casa, esso esplode all’interno di un segno rettangolare in tanti piccoli organi continuando la narrazione di una sperduta Naked House (2000) per mano di Ban che intende questi luoghi come “vivi”. Gli strumenti Ancient Régime risponderebbero negativamente alle questioni poste, ma le osservazioni proposte – testimoniate se non altro da progetti – mostrano la verificabilità di una risposta più larga in cui il “tipo” trova un’ampia necessità sperimentale. Il tipo non è più visibile per come è stato usato, ma è visibile per come è stato descritto. Pur sotterrando la pratica accademica esso continua a vivere nella sua interpretazione semantica mutando completamente il significato della casa e i suoi perché. Il “tipo” ha quindi mentito. Non v’è nulla di nostalgico, quanto piuttosto un’intensità riconoscibile con cui lavorare i corpi architettonici rendendoli figure disfigurate capaci di generare progetto. Il “tipo” non è più al servizio di una codificazione genetica quanto alla base di un’ambivalenza tra astrazione e linguaggio figurativo, tra vero e verosimile in cui far emergere il significato sintattico di uno spazio mutato. La sequenza semantica tra alfabeto, lessico, linguaggio, si mescola al riferimento manualistico provocando una lacerazione critica del typus, ovvero dell’impronta che tradisce scolasticamente gli schemi statici di Durand, mostrandone “un sistema operato, così come lo sono le cattedrali e i monasteri inglesi” 16.
The house, playing on the texture of exposed brick and béton brut, retraces the use of the patio, disrupting its manual narrative, canceling its typological scheme by a degree of necessity dictated by the ground, in such a way as to rediscuss the syntactic overcoming for polycentric parts of the completed form based on the Encyclopédies. The resistance of the ornament is the only prerequisite for the permanence of old things, embellished by the presence of natural light that deliberately and forever upsets the academic order of the English house15. This compositional experimentation transports the house into the far depths, into other geographies, producing a theoretical crisis in a system that was fundamental until recently but often confused and superimposed in its meanings. What remains of it? The housing arrangement proposed by Nishizawa, in Tokyo, for the follies of Mr. Moriyama (2002–2005), puts the question mark on the famous assertion, “a house is a house”, in which it is (provocatively) important to understand the sense of domestic space in relation to a typological order.
Observing the drawings it is necessary to reaffirm the description-defying nature of the type and to establish how the interpretation of the house places us in front of a new architectural chronology: is a house still a house? Rooms have been compartmentalized and spaces exploded, the sense of type is destroyed. Domesticity is understood as an urban path of relationships between thin prefabricated walls where relational interactions between the actors, the inhabitants, can be found. The perception of the loss of a “form” is the main fruit of the Japanese experiment which reasons by peculiar compressions and small dilations. The space changes by choosing the garden as an element of distribution, putting aside the original idea of the house, it explodes inside a rectangular shape into many small organs, continuing the narration of the lost Naked House (2000) by the hand of Ban who means these places to be “alive”. The tools of the Ancient Régime would respond negatively to the questions posed, but the proposed observations – shown if anything by the designs themselves – show the
L’annullamento del tipo si ha nel momento in cui si guarda ad una definizione scolastica, novecentesca, ma se si arriva a comprendere le parole teoriche, l’enunciato, direbbero i matematici, porta a comprenderne la sua continuità genealogica e progettuale. La casa appare come materia oscura in cui mettere in atto la prassi narrativa per mezzo degli elementi, di piegature e di dettagli che ne alterano l’origine per evitare che lo schema rimanga esclusivamente su carta o piuttosto diventi mera copia di se stesso, quindi modello. Così il progetto senza più l’obbligo formale di inseguire un adattamento fisso si avvera nel momento in cui la “forma” è capace di rivelarne il senso17. Era questa la verità inconfutabile del “tipo”, Rossi lo aveva in parte descritto, oggi realmente visibile e viva; ed è questa la regola che rende l’architettura ancora una disciplina ricca di porte (fin troppo resistenti) da attraversare: una considerazione che non riguarda tanto la storia quanto il futuro che ci attende. Il tipo è morto, viva il tipo.
verifiability of a broader answer in which the “type” finds a wide experimental need. The type is no longer visible as it was used, but is visible as it has been described. While burying academic practice it continues to live in its semantic interpretation by completely changing the meaning of the house and its motives for existence. The “type” then lied. There is nothing nostalgic about it, but rather it has a recognizable intensity with which to work architectural forms, making them disfigured figures capable of generating design. The “type” is no longer at the service of genetic code as much as it is to an ambivalence between abstraction and figurative language, between true and likely in which the syntactic meaning of a changed space emerges. The semantic sequence between alphabet, lexicon, and language, mixes with the manual reference causing a critical laceration of typus, that is, the imprint that scholastically betrays Durand’s static schemes, showing “an operated system, as are English cathedrals and monasteries” 16.
1 Si veda D. Seixas Lopes, Speaking in Tongues: the Return of Typological Studies, lezione presentata all’International Colloquium “Teaching through Design”, FCTUC Coimbra, settembre 2012.
«The hallucinatory effect derives from the extraordinary clarity and not from mystery or mist. Nothing is more fantastic ultimately than precision» in A. Robbe-Grillet, For a New Novel: Essays on Fiction, Northwestern University Press, Evanston 1989, p. 165.
2
A. Vidler, The Idea of Type: The Transformation of the Academic Ideal, 1750-1830, in “Oppositions”, no. 8, 1977, p. 105.
3
Si veda A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padova 1966. 4
5 «Towards always turn to fixed types and ready-mades, or play foul vis-à-vis history, whilst real archetypes scare them – the ‘typophiles’ – out of their wits» in A. van Eyck, Ten Opinions on the Type, in “Casabella”, no. 509510, 1985, p. 112. 6 F. Purini, Addio tipologia?, in M. Petranzan, G. Neri (a cura di), Franco Purini. La città uguale. Scritti scelti sulla città e il progetto urbano dal 1966 al 2004, Il Poligrafo, Padova 2004, p. 164. Saggio apparso inizialmente in “Spaziosport”, 2 giugno 1985, pp. 13-15. 7
Ivi. p. 167.
The cancellation of the type occurs at the moment when one looks at an academic definition from the twentieth century, but if you can understand the theoretical words, the statement, as the mathematicians would say, leads to understand its genealogical and design continuity. The house appears as dark matter in which to implement narrative practice by means of elements, bends and details that alter its origin to prevent the scheme from remaining exclusively on paper or rather becoming a mere copy of itself, a model. Thus, design no longer has a formal obligation to pursue a fixed adaptation at a time when the form is able to reveal its meaning17. This was the irrefutable truth of the “type”, partially described by Rossi, today visible and alive; and this is the rule that makes architecture still a discipline full of doors (though quite tough) to cross through: a consideration that is not so much about history as about the future that awaits us. The type is dead, long live the type.
8 Si veda M. Cacciari, Un ordine che esclude la legge, in “Casabella”, no. 498-499, 1984, pp. 14-15. 9
Almeno per come l’Ottocento ne ha fatto uso.
E. Christ, C. Gantenbein, Typology. Hong Kong, Rome, New York, Buenos Aires. Review no. II, Park Books, Zürich 2012, p. 12. 10
11 Si veda G. Mack (a cura di), Herzog & de Meuron 1978-1988. Das Gesamtwerk, Band 1, Birkhäuser, BaselBoston-Berlin 1997; ed. en. Herzog & de Meuron 19781988. The Complete Works, Volume 1, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1997.
In merito al concetto di territorio è (forse) importante confrontare la considerazione con lo scritto di V. Gregotti, I terreni della tipologia, in “Casabella”, no. 509-510, 1985, pp. 9-10. 12
13 A. Zaera-Polo, Herzog & de Meuron: entre el Rostro y el Paisaje. Herzog & de Meuron: between the Face and the Landscape, in “El Croquis”, no. 60 + 84, special issue, 2005, p. 395.
«Repetition as the supreme manifestation of freedom and particularity, as dynamic order that creates a space, a time, a rhythm, a temporal synthesis that includes past and future, and avoids both the narrative arguments and the chaotic succession of phenomena» in A. Zaera-Polo, Op. cit. 2005, p. 399.
14
Per correttezza si vedano le sperimentazioni di John Soane.
15
A. Cornoldi, L' architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Roma 2012, p. 17; ed. or. Officina, Roma 1988.
16
Si veda A. Monestiroli, Curriculum Autobiografico, in I. Cortesi (a cura di), Conversazioni in Sicilia con Antonio Monestiroli, LetteraVentidue, Siracusa 2016.
17
Models, Brick House © Caruso St John Architects.
See D. Seixas Lopes, Speaking in Tongues: the Return of Typological Studies, lecture presented at the International Colloquium “Teaching through Design”, FCTUC Coimbra, September 2012.
1
2 «The hallucinatory effect derives from the extraordinary clarity and not from mystery or mist. Nothing is more fantastic ultimately than precision», in A. Robbe-Grillet, For a New Novel: Essays on Fiction, Northwestern University Press, Evanston 1989, p. 165.
A. Vidler, The Idea of Type: The Transformation of the Academic Ideal, 1750-1830, in “Oppositions”, no. 8, 1977, p. 105.
3
See A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padua 1966. 4
5 «Towards always turn to fixed types and ready-mades, or play foul vis-à-vis history, whilst real archetypes scare them – the ‘typophiles’ – out of their wits» in A. van Eyck, Ten Opinions on the Type, in “Casabella”, no. 509510, 1985, p. 112. 6 F. Purini, Addio tipologia?, in M. Petranzan, G. Neri (Eds.), Franco Purini. La città uguale. Scritti scelti sulla città e il progetto urbano dal 1966 al 2004, Il Poligrafo, Padua 2004, p. 164. The essay first published in “Spaziosport”, 2 June 1985, pp. 13-15. 7
Ivi. p. 167.
8 See M. Cacciari, Un ordine che esclude la legge, in “Casabella”, no. 498-499, 1984, pp. 14-15. 9
At least the way the nineteenth century made use of it.
10 E. Christ, C. Gantenbein, Typology. Hong Kong, Rome, New York, Buenos Aires. Review no. II, Park Books, Zürich 2012, p. 12.
See G. Mack (Ed.), Herzog & de Meuron 1978-1988. Das Gesamtwerk, Band 1, Birkhäuser, Basel-BostonBerlin 1997; ed. en. Herzog & de Meuron 1978-1988. The Complete Works, Volume 1, Birkhäuser, BaselBoston-Berlin 1997. 11
With regard to the concept of territory it is (perhaps) important to compare the consideration with the writing of V. Gregotti, I terreni della tipologia, “Casabella”, no. 509-510, 1985, pp. 9-10.
12
13 A. Zaera-Polo, Herzog & de Meuron: entre el Rostro y el Paisaje. Herzog & de Meuron: between the Face and the Landscape, in “El Croquis”, no. 60 + 84, special issue, 2005, p. 395. 14 «Repetition as the supreme manifestation of freedom and particularity, as dynamic order that creates a space, a time, a rhythm, a temporal synthesis that includes past and future, and avoids both the narrative arguments and the chaotic succession of phenomena» in A. Zaera-Polo, Op. cit. 2005, p. 399.
15
To be fair, see John Soane’s experiments.
A. Cornoldi, L' architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Rome 2012, p. 17; 1st ed. Officina, Rome 1988. 16
17 See A. Monestiroli, Curriculum Autobiografico, in I. Cortesi (Ed.), Conversazioni in Sicilia con Antonio Monestiroli, LetteraVentidue, Siracusa 2016.
HIC SUNT DRACONES Considerazioni sul senso di un Atlante
Laura Mucciolo Ogni geografia è una verità temporanea THOMAS R. BERG
MONTAGGIO DELLE ATTRAZIONI Raccolta sistematica di carte geografiche, raffiguranti l’intera superficie terrestre o parte di essa in scala e formato diversi. A seconda del particolare carattere delle carte, si parla di Atlante tematico, scolastico, internazionale, storico, stradale (et al.). ~ tematici possono essere considerati tutti quegli ~ che raffigurano solo uno o alcuni aspetti della Terra, mentre trascurano gli altri: per es., gli ~ economici, linguistici ecc1.
1554, Anversa. Gillis Hooftman van Eyckelberg era un “misuratore di distanze”, costruttore navale, commerciante, banchiere olandese. Anche spasmodico collezionatore di carte e mappe per necessità: mappe la cui dimensione coincideva con quella del tavolo che occupavano. Affidò il compito ad Ortelio di riunire in un volume trentotto piccole carte: è ora possibile poggiare su di un tavolo il mondo intero2. 1570, Anversa. «Quale cosa umana può sembrare grande a chi conosca la grandezza del mondo e l’eternità del tutto?»3. Questo il monito sul planisfero dell’Ortelio, una delle carte del Theatrum4. Sessantanove mappe in questa prima edizione e un appello: qualsiasi lettore in possesso di proiezioni cartografiche sia pronto a spedirle, cosicché l’edizione successiva ne abbia memoria. 1595, Fiera di Francoforte. Un monumentale volume di cinque libri uniti in uno raccoglieva cartografie del globo; il successo sperato non fu soddisfatto: i contenuti erano pressoché noti, il formato assolutamente ingombrante.
HIC SUNT DRACONES!
Considerations on the meaning of an atlas Any geography is only a temporary truth. [Thomas R. Berg] An Assembly of Attractions A systematic collection of geographical maps depicting the entire surface of the earth or part of it in different scales and formats. Depending on the particular character of the maps, there are thematic, scholastic, international, historical, road atlases etc. Thematic atlases can all be considered those which depict only one or some aspects of the Earth, while they ignore the others: for example, an economic atlas, linguistic atlas, etc1.
1554, Antwerp. Gillis Hooftman van Eyckelberg was a Dutch “distance measurer”, shipbuilder, trader, and banker.
Also an erratic collector of charts and maps out of necessity: maps whose size coincided with that of the table they occupied. He entrusted Ortelius with the task of bringing together thirty-eight small maps in one volume: now the whole world can be set on a table2. 1570, Antwerp. «What human thing can seem great to one who knows the greatness of the world and the eternity of everything?»3. This is the warning on the planisphere of Ortelius, one of the maps of the Theatrum4. Sixty-nine maps in this first edition and an appeal: any reader in possession of cartographic projections be ready to send them, so that the next edition will record them. 1595, Frankfurt Fair. A monumental volume of five books joined in one, collected maps of the globe; the hoped-for success was not reached: the contents were mostly known, the format absolutely cumbersome. However, though known in the European system, five months after Kremer’s5 death,
S!
33
Olaus Magnus, Carta marina et descriptio septentrionalium terrarum, abbreviata come Carta Marina, XV sec., Biblioteca di Uppsala “Carolina Rediviva” (xilografia, 170 x 125 cm).
Tuttavia, Kremer5 cinque mesi dopo la sua morte sintetizzava in una parola, anch’essa già nota nel sistema europeo, la raccolta di mappe e cartografie nella stessa dimensione: atlante 6. 1895, Londra. “Il lettore moderno non può fare a meno di un buon atlante”. Così il Times annuncia l’uscita in fascicoli di un atlante: centosettantatre mappe a colori (43 x 28 cm)7. Esistono Atlanti. Strutture di carta che generano composizione, nate da montaggio8 il cui argomento di specie per essere compreso (o quanto meno figurato) necessita di essere indagato. Atlante come catalogazione suggestionabile che nasce da esigenze pratiche, e trova nel contemporaneo collezionismo il suo status9 proprio. the collection of cartographic maps of the same size was summarized in one word: atlas6. 1895, London. “The modern reader cannot do without a good atlas”. Thus the Times announces the publication of an atlas in installments: one hundred and seventy-three color maps (43 x 28 cm)7. There are Atlases. Paper structures that generate composition, born from montage8 whose particular issue to be understood (or at least described) needs to be investigated. Atlas as an influenced cataloging that arises from practical needs, and finds its own status9 in contemporary collecting. Atlas as a paper clock useful for training memory, for warding off the ghost (or salvation) of forgetfulness; object of delight that allows you to choose from the world without leaving your home. The atlases dwell on the unmanageable conditions in spacetime, on the spaces known for macabre (‘captivating’) fame,
on legendary spaces10, on the possibilities that are invisible to the senses, on the ways to subvert the order of things (showing that an atlas is not enough for orientation), on the practical knowledge of an application context, on clouds11. This human-made medium, with digital contributions and haptic results, takes us back to the moment in which we speak of looking, “to the existing mechanics of recognition” 12, that is to encode the perception of space in an act of simultaneous collection. At the end of this collection, a suspended landscape of sums emerges. An arrangement, the possibility of which occurs first in a mental space, then physical, of architectural considerations connected through a paratactic bond. It happens, in the rules of the game that the instrument imposes, to call with the same meaning of home spaces13, with different characters and essences: the atlas underlines this pretentious, alienating, ambiguous state.
Atlante come orologio di carta utile ad allenare il ricordo, ad allontanare il fantasma (o la salvezza) della dimenticanza; oggetto di diletto che consente di scegliere il mondo senza lasciare la propria casa. Gli atlanti si soffermano sulle condizioni non dominabili nello spazio-tempo, sugli spazi noti per macabra (‘accattivante’) fama, su spazi leggendari10, sulle possibilità invisibili ai sensi, sui modi per sovvertire l’ordine delle cose (dimostrando che è insufficiente un atlante per orientarsi), sulla conoscenza pratica di un ambito applicativo, sulle nuvole11. Questo mezzo, a fattura umana con contributi digitali e risultati aptici, riporta al momento in cui si parla del guardare, “alla meccanica esistente agente sul riconoscimento” 12, ossia codificare in un atto di collezione simultanea la percezione dello spazio. Alla fine di questa collezione, a delinearsi, un paesaggio di somme, sospeso. Una disposizione, la cui possibilità avviene in uno spazio mentale prima, fisico poi, di considerazioni architettoniche connesse attraverso un legame di tipo paratattico. Avviene, nelle regole del gioco che lo strumento impone, di chiamare con la stessa accezione di casa spazi13, in carattere ed essenza differenti: l’atlante sottolinea questo stato pretenzioso, straniante, ambiguo. Di queste parti spezzate, il montaggio consente di arrivare all’unità14 e conferma l’esistenza dell’atlante come strumento che pone certezze orientate. Dotati di metodo, ossia di un sentiero possibile verso la cui fine troneggia la certezza dell’avere avuto, nel procedere si sono delineate condizioni che hanno rivelato tanto: tutto quello che è stato visto, non è nelle fila, per sempre perduto, per sempre conteso. Riportare le cose su carta, spesso ma non univocamente, chiarisce il senso della verità15, o dà inizio alla battaglia per la proprietà transitoria sulle cose.
METODO Necessario un linguaggio comune autoimposto, per affrontare questo montaggio, un canone entro i cui confini sentirsi costretti ma certi del segno, della riduzione in scala, del dosaggio della china (più precisamente dei pennini), della chiarezza attraverso cui comunicare del progetto. A partire da questa imposizione, la continua ossessione chiamata (re)disegno, fotografia-analogia trasposta ove per apparecchio fotografico si intende la mano, che ad altro non serve se non ad illuderci di possedere, per un istante che sia solo, lo spazio di questa, quella. (Re)disegnare per capire, nell’ingenua illusione che lo sguardo arrendevole di sorpresa parli dell’esattezza del vero, del possibile, del progetto che da solo si lascia sciogliere, rendendo agevole la conquista16 (seppur intangibile) dell’architettura come sovrapposizione spazio-temporale di immagini. Conquista ancora vera poiché coordinata dalla dimensione univoca17, veste fatiscente con cui reperire misura, proporzione, casualità. Questo territorio cartaceo trova rispondenza e accordi fuori di sé: proiezione trasposta dell’immaginario atlantico, la produzione del modello delle case qui presentate è intesa come rivalutazione dello stato necessariamente aptico del fare architettonico, la cui visione d’insieme definisce un ulteriore atlante tridimensionale dislocato. Se è vero che «la geografia inizia con l’epifania di una faccia allo specchio»18, questo atlante è una geografia: le facce sono le case, ciascuno di questi fogli specchio: una geografia dell’abitare. Un’intenzione di passi congiunti ha delineato un campo polisemico dove «colui che giunge, che approda, che toglie è sempre interlocutore di cose nuove, di nuove posizioni» 19, ove diritto di scoperta coincide anche con diritto di comunicazione. Un documento geografico di primaria utilità pratica, ma in costante aggiornamento, i cui esiti sono veri soltanto nello spazio di questo nostro tempo: ogni cambiamento in linguaggi, segni, pressione del tratto sul foglio, dimensioni di restituzione ma anche alterazione dello spazio delle case (distruzioni, costruzioni, sostruzioni, ostruzioni) altera lo stato delle cose, le terre emerse, le cartografie a cui approdati. Sarebbe la nascita di un nuovo atlante, di una ricerca diversa in presupposti, sentiero ed esiti, sarebbe la costatazione dei futuri possibili, degli atlanti a generarsi da questo, delle geografie ulteriori che oggi non hanno trovato luogo. L’atto del ritornare ad uno spazio, ad un progetto, ad un paesaggio nella speranza di trovarlo immutato è un lusso che non ci è concesso: per ritornare veramente non è sufficiente annullare la distanza, ma nuovamente misurarla20. From these broken parts, the montage allows us to arrive at unity14 and confirms the existence of the atlas as a tool that poses oriented certainties. Equipped with a method, that is, with a possible path towards the end of which the certainty of having had dominates, in the process, conditions have emerged that have revealed so much: everything that has been seen is not in line, forever lost, forever disputed. Getting things back on paper, often but not uniquely, clarifies the sense of truth15, or starts the battle for transient ownership over things. Method A common self-imposed language is needed to face this montage, a canon within which to feel constrained but certain of the sign, of the reduction in scale, of the dosage of
the ink (more precisely of the pen nibs) of the clarity through which to communicate the project. Starting from this position, the continuous obsession called (re)drawing, a transposed photography-analogy Whereby camera we mean the hand, which serves no other purpose than to delude us into believing we possess, for an instant, the space of this, of that. (Re)drawing to understand, in the naive illusion that the compliant gaze of surprise speaks of the exactness of the truth, of the possible, of the project that alone lets itself melt, making it easy to conquer16 (albeit intangible) architecture as a temporal-spatial overlap of images. A still-true conquest because it has been coordinated by the univocal dimension17, a poor dress with which to find measure, proportion, or causality.
TANDEM DRACONES! Guardare una mappa significa parlare di cose possibili: di fronte ad una mappa i viaggi rivelano la loro definizione di possibilità. Esistono abilità necessarie alla redazione di mappe21: compiere viaggi esplorativi, conservare le informazioni contenute, capacità di astrarle/generarle, sapere come utilizzarle. In questo susseguirsi di rituali trova pieno compimento l’affermazione di una mappa intesa come strumento del possibile, che agisce nello spazio del reale, che prova a raccontare la natura e lo stare delle cose. Se esiste, di cosa è fatto quindi, il confine tra mappa e disegno? Sia esso una raccolta di mappe o di disegni, questo atlante, è un oggetto ingannevole; questa collezione ha avuto per strumenti, quelli propri della redazione di mappe, producendo tuttavia disegni; nella casa questo stato di coincidenza tra mappa e disegno trova sede: il disegno di una casa è anche mappa della stessa, o meglio, il riconoscimento coincide con la scoperta, se il soggetto è la casa. Queste mappe di un atlante descrivono, in tutto o in parte, uno dei modi per guardare il mondo. La scienza che si occupa delle condizioni del ‘guardare’ (quella che potremmo definire riscrittura dello spazio) prende il nome proprio di geografia, che attraverso le carte ordina e dispone quanto visto. Qui il legame stretto e (a tratti) balbettante tra geografia di progetto e geografia di spazio: il soggetto è sempre lo stesso a qualsiasi scala si decida di inquadrarlo. Cambiando il settaggio dello zoom otteniamo traduzioni dello spazio, tutte valide, tutte reali. Ci si affida alle carte per poter guardare (e forse capire) lo spazio; se catalogato, poi, raggiunge un livello di pienezza in cui la conquista, si accosta per significato alla collezione. Allo stesso modo, ci si affida alla rappresentazione dello spazio della casa, per avere l’illusione di possedere in modo ubiquo l’essenza della stessa, di poter apprezzare lo ‘stare’ della sezione (difatti un elaborato che nasce da un’operazione di astrazione), gli elaborati bidimensionali e tridimensionali permettono il raggiungimento della stessa conquista di cui per la geografia. Il problema è essenzialmente riducibile alla condizione di scala in cui si sceglie di rappresentare: la geografia mal si adatta alla rappresentazione canonica del progetto, così come il progetto se si esprimesse con la scala cartografica non direbbe: entrambe fallirebbero nel loro compito. Lo strumento cartografico dell’atlante, adattato alle esigenze del progetto, diventa una raccolta cartografica impropria. Ogni qual volta si tenta di definire gli spazi di una casa, si usa l’approccio del geografo: colui che per necessità rappresenta attraverso un supporto22, riportando le immagini del mondo. Le domande che il geografo e l’architetto si pongono nascono entrambe da una ‘problematica’ risolta a diverse scale: l’architetto con il progetto, il geografo con il territorio; entrambi svolgono un’autopsia, trasferire su carta ciò che, momentaneamente, esiste. Questa collezione di anatomie, di spazi segnati tengono e trattengono sulla loro pelle i sinonimi di ossessione e identificazione23. Il peso nella storia del Theatrum è tale da considerarsi il momento in cui, in modo duraturo, si è creduto nella rappresentazione cartografica analogica come entità immutabile. A seguito del grande Teatro del Mondo, l’esattezza delle espressioni cartografiche è direttamente proporzionale alla loro obsolescenza. Quanto impiegherà questo atlante prima di essere considerato desueto? Apparirà ai futuri geografi (dell’abitare) come un relitto abbastanza ingombrante ma chiaro, «una mappa del mondo che parla delle paure e delle ossessioni di un’epoca»24. Apparirà forse a noi stessi, entro un tempo o l’altro, un rifiuto25. Questo oggetto, prodotto di studio è sintesi di paesaggio architettonico, di tipo domestico, dalle istanze quantomeno inesplorate, che (non) si lascia vincere. Esiste una locuzione in lingua latina nonché un mito della cartografia la cui origine - a metà tra legenda e folliaè straordinariamente meravigliosa quanto l’origine dei draghi stessi26. Il 29 febbraio 2012, sul New York Times, il giornalista T. L. Friedman introduceva gli ‘effetti’ della Primavera araba in questa maniera: «In epoca medievale, i territori pericolosi o inesplorati erano spesso indicati sulle mappe con il monito hic sunt dracones, qui ci sono i draghi»27. Ebbene, hic sunt dracones: tandem dracones!28 This paper territory finds correspondence and agreements outside of itself: a transposed projection of the imaginary atlas, the production of the model of the houses presented here is intended as a re-evaluation of the necessarily haptic state of architectural making, whose overall vision defines a further displaced three-dimensional atlas. If «geography begins with the epiphany of a face in the mirror»18, this atlas is a geography: the faces are the houses, each of these sheets reflects: a geography of living. An intention of steps taken together has outlined a polysemantic field where «he who arrives, who lands, who takes away is always the interlocutor of new things, of new positions»19 where the right of discovery also coincides with the right of communication. A geographic document of primary practical utility, but constantly being updated, whose
results are true only in the space of our time: every change in languages, signs, pressure of the stroke on the sheet, dimensions of representation but also alteration of the spaces of the houses (destructions, constructions, substructures, obstructions) alters the state of things, the emerged lands, the cartographies on which they landed. It would be the birth of a new atlas, of a different search in assumptions, path and outcomes. It would be the ascertainment of possible futures, of atlases that are generated from this, of further geographies that have not found a place today. The act of returning to a space, to a project, to a landscape in the hope of finding it unchanged is a luxury that is not allowed to us: to truly return, it is not enough to cancel the distance, but to measure it again20.
Tandem Dracones! Looking at a map means talking about what is possible: when faced with a map, journeys reveal their definition of possibility. There are skills necessary for drawing up maps21: making exploratory journeys, preserving the information obtained, the ability to abstract from it, generate it, and know how to use it. In this succession of rituals, the affirmation of a map understood as an instrument of the possible, which acts in the space of reality, which tries to tell the nature and being of things, finds full fulfillment. If it exists, what, then, is the boundary between map and drawing made of? Be it a collection of maps or drawings, this atlas is deceptive; this collection has had for tools, those proper to the editing of maps, however producing drawings; in the house this state of coincidence between map and drawing finds its place: the drawing of a house is also a map of the same, or rather, the recognition coincides with the discovery, if the subject is the house. These maps from an atlas describe, in whole or in part, one of the ways to look at the world. The science that deals with the conditions of ‘looking’ (what we could define Dalla voce atlante presente nel Dizionario Treccani, consultato in data 04/01/2020.
1
Si vedano T. R. Berg, Mappe: il teatro del mondo, Vallardi, Milano 2018, pp. 103-140; ed. or. Verdensteater. Kartenes Histórie, Forlaget Press, Oslo 2017; P. Binding, Imagined corners. Exploring the World's First Atlas, Headline Book Publishing, London 2003, pp. 70-90.
2
3
Cicerone, Tusculanae disputationes, IV, 17.37.
4 Il Theatrum orbis terrarum (Teatro del mondo) è l’Atlante ad opera di Abramo Ortelio, stampato ad Anversa presso Gillis Coppens van Diest, contenente nella sua prima edizione sessantanove mappe e cartografie del globo. La prima tiratura di trecentoventicinque copie, esaurita in tre mesi, renderà necessaria una ristampa. Nel 1571 è pubblicata in olandese con il titolo di Theatre, oft Toonneel des Aerdt-Bodems, nel 1572 l’edizione francese, Théâtre de l’Univers, e quella tedesca, Theatrum oder Schawbüch des Erdtkreijs. Nella sua ultima edizione, l’Ortelio conterrà novantatré mappe vendendo settemilacinquecento copie. Uno dei nipoti di Plantin, eredi della stampa, dirà di non avere più intenzione di pubblicare una nuova edizione dell’atlante, lasciandolo dov’era «come un Tolomeo della sua epoca».
Gerhard Kremer, latinizzato Gerardus Mercator (15121594), matematico, cartografo, astronomo fiammingo. Si veda S. Garfield, Sulle Mappe. Il mondo come lo disegniamo, TEA, Milano 2018, pp. 143-172; ed. or. On the Map, Profile Books, London 2012. 5
as the rewriting of space) takes the name of geography, which, through maps, orders and arranges what has been seen. Here the close and (at times) stammering link between the geography of the project and the geography of space: the subject is always the same at any scale one decides to use. By changing the zoom setting we get translations of the space, all valid, all real. We rely on maps to be able to see (and perhaps understand) space; if cataloged, then, it reaches a level of fullness in which conquest seems to mean collection. In the same way, we rely on the representation of the space of the house to have the illusion of possessing the essence of the same in a ubiquitous way, of being able to appreciate the ‘being’ of the section (in fact, a drawing that comes from an operation of abstraction), the two-dimensional and three-dimensional drawings allow reaching the same conquest that is geography. The problem is essentially reducible to the condition of scale chosen: geography does not adapt well to the canonical representation of the project, just as the project if expressed with the cartographic scale would not: both would fail in their task.
Gli anni cruciali in cui la teoria del montaggio di Ejzenstejn è presentata e discussa vanno dal 1928-29 al 1940. 9 Le mappe e le cartografie sono un privilegio oggi dell’universo digitale. I sistemi GPS, GIS, ma anche il Transit, il B612, il Secor e il Timation (programmi di posizionamento nate nell’ambito dell’esercito americano, antesignani di Google Maps e Google Earth) ci ricordano di come, dietro l’apparente disinteresse e la libera divulgazione del dato cartografico, si nasconda sempre il grande potere del lasciar “guardare”. Una mappa del mondo contenuta in uno smartphone è quello di cui oggi, continuamente, nel bene e nel male, disponiamo.
20
21
G. Polesello, Il montaggio nella costruzione di architetture, in “ARC”, no. 6, 2000, p. 2. 12
The Times Atlas of the World, rinominato The Times Atlas of the World: Comprehensive Edition nella sua undicesima edizione e The Times Comprehensive Atlas of the World dalla sua dodicesima edizione, è un atlante mondiale attualmente pubblicato da Harper Collins Publisher LLC, New York. La sua edizione più recente, la quindicesima, è stata pubblicata nel 2018.
14 «Il procedimento duale della composizione architettonica […] è un problema di indipedenza e coesistenza, di incontro in rapporto di necessità, in un rapporto ‘poetico’, di necessità poetica, ossia di costruzione. La costruzione esige l’unità; la costruzione è un’operazione complessa, epperò una.» in G. Polesello, Ibidem.
«L’inquadratura è la cellula del montaggio, ha quindi in sé la struttura della forma prima della forma, ed è caratterizzata da uno scontro da un conflitto che è traduzione in immagini del principio dialettico, dal quale nasce il concetto, che non è puro collegamento, secondo un principio drammatico: ogni pezzo evoca una certa associazione. […] il montaggio come Weltanschaung, porta a considerare il cinema come tecnica dell’unità frammentaria del montaggio. […]. Il montaggio viene usato con l’intento di rendere più netta e più viva l’espressione dell’idea. Attraverso il metodo del montaggio si combinano immagini incongruenti rimontando il fatto disintegrato in un unico tutto, ma secondo la nostra visione: secondo il modo in cui vediamo il nostro rapporto con il fatto. […] il montaggio è un tentativo di sintassi», in S. E. Ejzenstejn, La forma cinematografica, Einaudi, Milano 2003.
15 Ris u lt a s orp rend ente la connessione tra riconoscimento e verità; il riconoscimento inteso, non come finzione/rappresentazione ma coscienza dello stato delle cose (Severino, 2019) coincide con l’atto del vedere come percezione e verifica del reale (Wenders, 1992). Il luogo in cui questa connessione si invera è, non a caso, il teatro. Per derivazioni e frontiere, si vedano il capitolo V di E. Severino, La filosofia dei greci al nostro tempo, BUR, Bologna 2004; W. Wenders, The Act of Seeing. Text and Conversations, Faber & Faber, Londra 1997.
8
«Agiva l’idea, già rintracciabile nella missione di Colombo, che l’occupante è sempre portatore di un bene prezioso, come la salvezza di Cristo o, più prosaicamente, un livello di civiltà più avanzato, che riscatta il suo operato e che lo assolve da ogni colpa, nel momento in cui viene offerta ad altri l’opportunità di potersene avvalere», Ivi, p. 80.
19
L’Atlante internazionale delle nubi viene pubblicato con cadenza regolare dal 1896 a favorire il progredire della disciplina metereologica rispetto alla possibilità della previsione. 11
Atlante (Ατλας, Atlas) è un personaggio della mitologia greca; Omero figura ~ come colui che porta su di sé il peso delle colonne che reggono il cielo poggiando sulla Terra; per metafora e personificazione, ~ dà il nome all’atlante di cui si scrive in questa cartografia in forma di note. 7
F. Farinelli, Non un filosofo: un nuovo geografo, in M. Iofrida, F. Cerrato, A. Spreafico (a cura di), Canone Deleuze. La storia della filosofia come divenire del pensiero, Clinamen, Firenze 2008, p. 96.
18
L’interrogativo sorge spontaneo: in quale punto esatto collocare uno strumento d’orientamento se l’argomento d’indagine è immaginario? Se lo spazio è mai esistito, dove l’Atlante poggia le sue certezze?
10
Dalla voce casa, s. f. [lat. casa, propr. «casa rustica»]. – 1. Costruzione eretta dall’uomo per propria abitazione; più propriam., il complesso di ambienti, costruiti in muratura, legno, pannelli prefabbricati o altro materiale, e riuniti in un organismo architettonico rispondente alle esigenze particolari dei suoi abitatori […], Dizionario Treccani, consultato in data 29 gennaio 2019. Altre sette accezioni sono presenti sotto questo lemma di dichiarata complessità, per chi volesse approfondire altri intorni si veda M. Vitta, Dell’abitare, Einaudi, Torino 2008.
6
«Restituire le sfere su una superficie piana e i mondi in tabelle» rese più agevole la conquista del mondo come immagine, fino al punto da inculcare la certezza che «si può conquistare solo ciò che si può ridurre con successo ad una dimensione», in S. Vitale, Atlas. Cartografie dell’esperienza, Clinamen, Firenze 2013, p. 84.
17
13
«[...] la casa rappresentata in una stampa stimola facilmente il desiderio di abitarvi.» in G. Bachelard, La Poétique de l’Espace, Presses Universitaries de France – PUF, Paris 1957; ed. it. La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1975, p. 177.
16
«Le cose e la terra si avviano verso un punto di scomparsa, e che con esse inclinano al tramonto le condizioni e l’esperienza del fare» è uno delle riflessioni cardine di Luigi Ghirri a cavallo degli anni 1980-86. Si veda T. R. Berg, Op. cit. 2018, pp. 15-39.
Nulla vieta di poter raccontare attraverso altri “modi” (il racconto letterario, il fotogramma cinematico ecc.) questo, tuttavia, si conforma pienamente all’obiettivo poiché lascia poco tempo agli equivoci.
22
23 «Sono sempre soltanto gli altri ad avere dei segni sulla pelle che, a dispetto della loro volontà, forniscono informazioni sul loro conto», in S. Vitale, Op. cit., p. 109. 24
Si veda S. Garfield, Op. cit. 2018, p. 44, pp. 39-61.
«Se non esistesse l’inizio della condizione di rifiuto di un prodotto, potrebbe non esistere (qui sta il pericolo evidentemente) neanche il momento prevedibile della sua sostituzione.»,Ý in V. Scelsi, Opera analogica, Sagep, Genova 2017, p. 31. 25
Si fa riferimento alla locuzione da considerare con lo strumento dell’ironia. L’espressione non appare in nessuna delle cartografie medievali (per cui è erroneamente famosa); adorna tuttavia, numerosissime letterature in cui l’espressione è chiaramente folgorante e attrattiva. La raffigurazione dei draghi sulle cartografie, invece, è storia ben più complessa (esiste un catalogo che elenca la presenza di draghi nelle mappe a cura di Erin C. Blake).
26
Si consulti, per approfondimento e chiarimento circa la locuzione, l’appendice al capitolo III dal titolo Il mondo prende forma in S. Garfield, Op. cit. 2018.
27
La scrittrice Dorothy L. Sayers, nella raccolta di poesie Catholic Tales and Christmas Songs (1918) riporta questi versi: «Qui ci sono i draghi da ammazzare, qui ci sono ricche ricompense da guadagnare; e se nel tentativo periremo, ebbene, ben trascurabile cosa è la morte!».
28
The cartographic tool of the atlas, adapted to the needs of the project, becomes an improper cartographic collection. Whenever an attempt is made to define the spaces of a house, the geographer’s approach is used: the one who by necessity represents through a support22, bringing back images of the world. The questions that the geographer and the architect ask themselves both arise from a ‘problem’ solved at different scales: the architect with the project, the geographer with the territory; both perform an autopsy, transferring on paper what, momentarily, exists. This collection of anatomies, of marked spaces hold and maintain on their skin the synonyms of obsession and identification23. The weight in the story of the Theatrum is such as to be considered the moment in which, in a lasting way, it was believed the analogical cartographic representation was an immutable entity. Following the great Theater of the World, the accuracy of the cartographic expressions is directly proportional to their obsolescence.
How long will this atlas take before it is considered obsolete? It will appear to future geographers (of living) as a rather cumbersome but clear relic, «a map of the world that speaks of the fears and obsessions of an era»24. Perhaps it will appear to us, at one time or another, as a rejection25. This object, the product of study, is a synthesis of an architectural landscape, of a domestic type, with at least unexplored examples, which (does not) allow itself to be overcome. There is a Latin phrase as well as a myth of cartography whose origin – halfway between legend and folly – is as extraordinarily wonderful as the origin of the dragons themselves26. On February 29, 2012, in the New York Times, journalist T. L. Friedman introduced the ‘effects’ of the Arab Spring in this way: «In medieval times, areas known to be dangerous or uncharted were often labeled on maps with the warning: Beware, here be dragons»27. Well, hic sunt dracones: tandem dracones!28 Dragons, at last.
1
Translated from the entry atlante in the Treccani encyclopedia, accessed 04/01/2020.
The pivotal years in which Eisenstein's montage theory is presented and diseussed range from 1928-29 to 1940.
See the fourth chapter of T. R. Berg, Mappe: Il teatro del mondo, Vallardi, Milano 2018, pp. 103-140, ed. or. Verdensteater. Kartenes Histórie, Forlaget Press, Oslo 2017; Binding P., Imagined corners. Exploring the World’s First Atlas, Headline Book Publishing, London 2003, pp. 70-90.
9 Maps and cartography are a privilege of the digital universe today. The GPS systems, GIS, but also the Transit, the B612, the Secor and the Timation (positioning systems developed in the American military, forerunners of Google Maps and Google Earth) remind us of how, behind the apparent disinterest and the free disclosure of cartographic data, the great power that permits this ‘looking’ is always hidden. A map of the world contained in a smartphone is what we have today, continuously available, for better or for worse.
2
3
Cicerone, Tusculanae disputationes, IV, 17.37.
The Theatrum Orbis Terrarum (Theater of the World) is the Atlas by Abraham Ortelius, printed in Antwerp by Gillis Coppens van Diest, containing sixty-nine maps and cartographies of the globe in its first edition. The first printing of 325 copies, sold out in three months, requiring a second printing. In 1571 it was published in Dutch with the title of Theatre, oft Toonneel des Aerdt-Bodems, in 1572 the French edition, Théâtre de l’Univers, and the German one, Theatrum oder Schawbüch des Erdtkreijs, followed. In its last edition, the Ortelius atlas contained 93 maps, selling 7500 copies. One of Plantin’s descendants, heir to the press, said that he no longer intended to publish a new edition of the atlas, leaving it where it was “like a Ptolemy of his time”.
4
Gerhard Kremer, Latinized as Gerardus Mercator (1512–1594), Flemish mathematician, cartographer, astronomer. See S. Garfield, Sulle Mappe: Il mondo come lo disegniamo, TEA, Milan 2018, pp. 143-172; ed. or. On the Map, Profile Books, London 2012.
5
Atlas (Ατλας, Atlas) is a character from Greek mythology; Homer depicts Atlas as the one who carries the weight of the columns that support the sky, braced against the Earth; by metaphor and personification, Atlas, from a written note, was the name first given to this cartography collection.
6
7 The Times Atlas of the World, renamed The Times Atlas of the World: Comprehensive Edition in its 11th edition and The Times Comprehensive Atlas of the World in its twelfth edition, are world atlases currently published by Harper Collins. Its most recent edition, the fifteenth, was published in 2018. 8 «The shot is the montage cell, therefore it has in itself the structure of the form before the form, and is characterized by a clash of a conflict that is translation into images of the dialectical principle, from which the concept is born, which is not pure connection, according to a dramatic principle: each piece evokes a certain association. […] the montage as Weltanschaung, leads us to consider cinema as a technique of the fragmented unity of montage. […]. Montage is used with the intention of making the expression of the idea clearer and more alive. Through the method of montage, incongruent images are combined, reconstructing the disintegrated fact into a single whole, but according to our vision: according to the way in which we see our relationship with the fact. […] montage is an attempt at syntax.», from S. E. Ejzenstejn, La forma cinematografica, Einaudi, Milano 2003.
10 This begs the question: in which exact point is an orientation tool located if the subject of investigation is imaginary? If space never existed, where does Atlas base his certainties?
L’Atlante internazionale delle nubi (The International Cloud Atlas) has been published on a regular basis since 1896 to support the progress of the meteorological discipline in forecasting.
11
12 G. Polesello, Il montaggio nella costruzione di architetture, from “ARC”, no. 6, 2000, p. 2.
From the entry casa: «feminine noun, [Latin casa, specifically «casa rustica»]. – 1. upright structure built for inhabiting; more properly, complex of environments, made with masonry, wood, prefabricated panels, or other materials, and united in an architectonic organism responding to the specific needs of its inhabitants […]» from Dizionario Treccani, accessed 29/01/2019. Seven other meanings are present under this lemma of declared complexity, for those wishing to delve further, see M. Vitta, Dell'abitare, Einaudi, Turin 2008.
13
«The dual proceeding of the architectural composition […] is a problem of independence and coexistence, of meeting in relation to need, in a ‘poetic’ relationship, of necessity poetic, rather than constructive. Construction needs unity; construction is a complex operation, though one.» from G. Polesello, Ibidem.
14
15 The connection between recognition and truth is surprising; the recognition understood, not as fiction/ representation but consciousness of the state of things (Severino, 2019) coincides with the act of seeing as perception and verification of the real (Wenders, 1992). The place where this connection is true is, not surprisingly, the theater. For derivations and frontiers, see the fifth chapter in E. Severino, La filosofia dei greci al nostro tempo, BUR, Bologna 2004; W. Wenders, The Act of Seeing.Text and Conversations, Faber & Faber, London 1997. 16 «[...] the house represented in a print easily stimulates the desier to live there» from G. Bachelard, La Poétique de l’Espace, Presses Universitaries de France – PUF, Paris 1957; ed. it. La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1975, p. 177.
«Rendering the spheres on a flat surface and the worlds in tables» made it easier to conquer the world as an image, to the point of inducing the certainty that «only what can be successfully reduced to one dimension can be conquered», from S. Vitale, Atlas. Cartografie dell’esperienza, Clinamen, Florence 2013, p. 84.
17
F. Farinelli, Non un filosofo: un nuovo geografo, in Iofrida M., Cerrato F., Spreafico A. (Eds.), Canone Deleuze: La storia della filosofia come divenire del pensiero, Clinamen, Florence 2008, p. 96.
18
«The idea, already seen in Columbus’s mission, that the occupier is always the bearer of a precious good, such as the salvation of Christ or, more prosaically, a more advanced level of civilization, which redeems his work and which it absolves from all guilt, when the opportunity to make use of it is offered to others», Ivi, p. 80.
19
«Things and the earth are moving towards a point of disappearance, and with them, sliding toward sunset, are the conditions and experience of doing» is one of Luigi Ghirri's key reflections in the years 1980-86.
20
21
See T. R. Berg, Op. cit. 2018, pp. 15-39.
Nothing prevents us from being able to tell through other “ways” (the literary story, the cinematic frame, etc.) this however fully conforms to the objective as it leaves little time for misunderstandings. 22
«It is always only the others who have marks on their skin which, in spite of their will, provide information about them», from S. Vitale, Op. cit. 2013, p. 109.
23
24
See S. Garfield, Op. cit. 2018, p. 44, pp. 39-61.
«If the beginning of the refusal condition of a product did not exist, the foreseeable moment of its replacement could not exist (this is obviously the danger).», from V. Scelsi, Opera analogica, Sagep, Genoa 2017, p. 31. 25
Reference is made to the phrase to be considered with the ironic tool. The expression does not appear on any of the medieval maps (for which it is erroneously famous); however, it adorns numerous works of literature in which the expression is clearly dazzling and attractive. The depiction of dragons on maps, on the other hand, is a much more complex story (there is a catalog edited by Erin C. Blake that lists examples of dragons on maps).
26
For further information and clarification on the term, see the appendix to the third chapter Il mondo prende forma from S. Garfield, Op. cit. 2018.
27
The writer Dorothy L. Sayers, in the collection of poems Catholic Tales and Christmas Songs (1918) reports these verses: «Here be dragons to be slain, here be rich rewards to gain; If we perish in the seeking, why, how small a thing is death!».
28
Tony Fretton Architects
Studio House
Sergison Bates architects
IRLAND
UNITED KINGDOM
Red House House in a Garden David Leech Architects
Brick House Caruso St John Architects
USA Casa Caldera DUST
He, She & It
Davidson Rafailidis
Lipton Thayer Brick House Brooks+Scarpa, Studio Dwell
CHILE Casa H
Felipe Assadi Arquitectos
MEXICO Iturbide Studio Taller de Arquitectura Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo
ARGENTINA Casa M Estudio Aire
GERMANY Private House David Chipperfield Architects
POLAND Dom Aatrialny
Robert Konieczny (KWK PROMES)
SWITZERLAND Ri. House
Wespi, de Meuron, Romeo architects
SWEDEN House on Krokholmen
Tham & Videgård Arkitekter
ITALY
Stone House
Casa FCN
Houses for Drones
Case a Cotronei
Herzog & de Meuron
Malfona Petrini Architetti
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Casa Nera
Alberto Bertagna Sara Marini
Bodár - Bottega d'architettura
Optical Glass House
Casa em Leiria
Villa Além Valerio Olgiati architect
JAPAN
PORTUGAL
Aires Mateus e Associados
Hiroshi Nakamura & NAP
ISM House
International Royal Architecture (I.R.A.)
Little House with a Big Terrace
Casa em Messines
Takuro Yamamoto Architects
Vítor Vilhena Architects
Casa Cala
SPAIN
Alberto Campo Baeza
Hofmann House Fran Silvestre Arquitectos
Tense Architecture Network
SOUTH AFRICA
Kloof 119A SAOTA
AUSTRALIA
GREECE
Residence in Megara
House in the Hills
Sean Godsell Architects
Tavole Urbania
Formello
Cotronei
Noto
Casa di Pietra
Herzog & de Meuron
Casa Nera
Alberto Bertagna Sara Marini
Malfona Petrini Architetti
Case a Cotronei
Bodár - Bottega d'architettura
Casa FCN
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
ITALIA / ITALY
Houses for Drones
ITA
ENG
Questa casa dista qualche chilometro dal mare e si adagia su un promontorio remoto che permette un’ampia visuale del paesaggio circostante. Il progetto si appropria del paesaggio assorbendone lemmi tipologici e materiali come le proporzioni dettate dal rapporto tra pianta e alzato e i tamponamenti in pietra. Intorno all’abitazione schiere infinite di uliveti si ripetono lungo tutti i crinali, scanditi da omologhi muri in pietra e divisi da strette strade che incidono il paesaggio modellato dall’uomo per poter essere lavorato. La struttura principale è costituita da uno scheletro in cemento armato che dispone ordinatamente sia la composizione delle piante che quella dei prospetti. La pietra oltre che reiterare echi di tradizioni costruttive chiaramente in relazione con il luogo, determina anche una configurazione estetica in grado di rassicurare l’osservatore e l’abitante della casa. La relazione per scavo con il terreno al piano terra e il programma di aumento delle superfici vetrate verso la parte sommitale dell’alzato conferisce una dichiarazione di correità tra territorio e progetto nella definizione di un paesaggio ulteriore, tanto centripeto quanto centrifugo rispetto al progetto. Gli spazi interni sono pensati per lo sviluppo di un libero susseguirsi di funzioni attorno all’unico strumento distributivo che è rappresentato dalla struttura cruciforme. Esattamente come nelle case contadine d’un tempo, gli spazi contigui divengono occasione di comunità per gli abitanti e promessa di possibili continue variazioni spaziali e funzionali.
This house is a few kilometers from the sea and sits on a remote promontory that provides a wide view of the surrounding landscape. The project appropriates the landscape by absorbing typological and material elements such as the proportions dictated by the relationship between the plan and the elevation and the stone surfaces. Around the house, endless rows of olive groves repeat along the ridges, punctuated by similar stone walls, and divided by narrow roads that cut into the landscape, shaped by man to be worked. The main structure consists of a reinforced concrete skeleton that neatly arranges both the composition of the plans and that of the elevations. The stone, as well as reiterating echoes of construction traditions clearly related to the setting, also determines an aesthetic configuration capable of reassuring the observer and the inhabitant of the house. The relationship with the earth by excavation on the ground floor and the increase in the glazed surfaces towards the top of the elevation confers a declaration of correctness between the territory and the design in the definition of a further landscape, both centripetal and centrifugal with respect to the project. The interior spaces are designed for the development of a free succession of functions around the only distribution system which is represented by the cruciform structure. Just as in the farmhouses of the past, the contiguous spaces become an opportunity for community for the inhabitants and a promise of possible continuous spatial and functional variations.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
43
Herzog & de Meuron Tavole 1982 | 1988
ITALIA / ITALY
Stone House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
profilo sud / south facade
profilo nord / north facade
1
5
10
15
20
profilo ovest / west facade
profilo est / east facade
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
© Architekturzentrum Wien, Sammlung, Foto: Margherita Spiluttini
© Architekturzentrum Wien, Sammlung, Foto: Margherita Spiluttini
© Architekturzentrum Wien, Sammlung, Foto: Margherita Spiluttini
ITA
ENG
La domanda dell’abitare si confronta qui con alcuni termini che ne definiscono le modalità. L’area di progetto di natura argillosa a forti pendenze, nonché gli impedimenti attesi per raggiungere il sito, hanno trovato nell’impiego di modalità prefabbricate una condizione costruttiva che è diventata regola di giunzione tra le parti. L’uso della casa si riferisce ad un intervallo temporaneo (stagionale), che consenta anche la possibilità di ammettere ospiti, tuttavia garantendo d’inverno una condizione di sicurezza. L’edificio poggia su elementi prefabbricati necessari per rintracciare, in sezione e con gli occhi, la linea d’orizzonte che coincide con l’ultimo filo visibile di mare. La relazione compositiva dei volumi muta al variare dell’uso abitato e delle stagioni: la posizione reciproca di Volume Matrice (6 x 12 m) e Volume Satellite (8 x 3 m) raccontano come e dove si abita. Nei periodi temporali di chiusura obbligata, i volumi sono disposti parallelamente, l’esito del nonspostamento è un blocco compatto a protezione di eventuali violazioni. All’atto d’uso, il Volume Satellite trasla su binari ancorati alla struttura prefabbricata in cemento armato, modificando le relazioni spaziali: il fronte mare si apre rinnovando il rapporto con l’orizzonte e rivelando lo spazio abitato.
Here, the question of living addresses some terms that define how to live. The steep slopes and clay soil of the area, as well as the expected difficulties of reaching the building site, have led to the use of prefabricated methods, a constructive condition that has become the rule of junction between the parts. The house is meant to be used on a temporary (seasonal) basis, which also allows for hosting guests, however it is still secure in winter. The building rests on prefabricated elements that retrace, in section and with the eyes, the horizon line which coincides with the last visible slice of the sea. The compositional relationship of the volumes changes with the how they are inhabited and the seasons: the reciprocal position of Matrix Volume (6 x 12 m) and Satellite Volume (8 x 3 m) tell how and where one lives. In the periods of obligated closure, the volumes are arranged in parallel, the result of the non-shift is a compact block to protect against intruders. When in use, the Satellite Volume moves on tracks anchored to the prefabricated reinforced concrete structure, modifying the spatial relationships: the seafront opens up, renewing the relationship with the horizon and revealing the living space.
testo di / text by Laura Mucciolo
59
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo Noto 2009 | 2011
ITALIA / ITALY
Casa FCN
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano della copertura / roof plan
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo nord-ovest / north-west facade
profilo nord-ovest / north-west facade
profilo sud-est / sud-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Armin Linke ©
ph. by Armin Linke ©
ph. by Armin Linke ©
ITA
ENG
La casa è stata progettata in un’area da tempo in attesa di edificazione. La committenza ha richiesto una netta separazione tra zona notte, zona giorno e uno spazio di ricevimento, chiare relazioni con l’esterno e allo stesso tempo riservatezza. Si è impostato un volume lungo e stretto, largo 6 metri e lungo 23, che si adagia sulla pendenza del lotto a collegare la strada con la quinta di querce e il parco sottostante. Il volume espone così i suoi lati lunghi l’uno al sole del sud, l’altro ai venti del nord. Il programma funzionale è stato distribuito su tre livelli: la zona notte è al primo piano, quella giorno al piano terra, lo spazio di ricevimento nel seminterrato. L’edificio sul fronte strada accoglie il garage e si presenta come disegnato da un bambino. Verso la scarpata la quinta di querce funge da quarto prospetto. L’accesso principale è posto sul lato lungo a sud e mette in scena una sorta di rituale, l’ingresso è ogni volta una scelta: percorrendo un “ponte” in ferro si può arrivare quasi a toccare le querce o si può davvero entrare. La casa è rivestita di ardesia, mentre l’interno è interamente bianco. L’esterno è un dispositivo di orientamento grazie alla sensibilità del materiale (il lato nord ha il nero sempre intenso della pietra, quello sud narra l’azione schiarente del sole), l’interno registra le variazioni di luce. Di notte la casa nera si confonde con il buio, del disegno dell’architettura restano solo le grandi finestre illuminate.
The house was designed in an area that has long awaited construction. The client requested a clear separation between the sleeping area, the living area and an area to receive guests, clear relations with the outside world and at the same time discretion. A long and narrow volume has been designed, 6 meters wide and 23 meters long, which lies on the slope of the lot connecting the road with the curtain of oaks and the park below. The volume thus exposes its long sides, one to the southern sun, the other to the north winds. The functional program has been distributed on three levels: the sleeping area is on the first floor, the day area on the ground floor, the reception space in the basement. The building facing the street houses the garage and looks like a child’s drawing. Towards the escarpment, the curtain of oaks acts as a fourth elevation. The main entrance is located on the long side to the south and sets up a sort of ritual, the entrance is every time a choice: crossing an iron “bridge” you can almost touch the oaks or you can go inside. The house is covered with slate, while the interior is entirely white. The exterior is an orientation device thanks to the sensitivity of the material (the north side has the always intense black of the stone, the south side responds to the sunlight’s brightness), the interior changes with the variations in light. At night the black house merges with the darkness, only the large illuminated windows show the architectural design.
testo di / text by Alberto Bertagna, Sara Marini
73
Alberto Bertagna Sara Marini Urbania 2010
ITALIA / ITALY
Casa Nera
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
piano primo / first floor
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo ovest / west facade
profilo est / east facade
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo sud / south facade
profilo nord / north facade
1
5
10
15
20
ph. by Fabio Mantovani ©
ph. by Fabio Mantovani ©
ph. by Fabio Mantovani ©
ITA
ENG
La casa per la tradizione architettonica italiana, probabilmente più che per altre di altri luoghi, rappresenta una condensazione di valori di notevole impegno. Non solo l’apparato normativo ormai mostruoso e dai limiti intangibili impone prerogative progettuali fortemente limitanti, ma lo stesso valore che la committenza italiana, ma forse potremmo dire più ampiamente latina, attribuisce al costruire la propria casa è di gran lunga maggiore rispetto ad altre realtà geografiche ed antropologiche. La casa italiana è costruita per sempre, ambisce cioè a divenire non solo lo spazio domestico dell’individuo e della famiglia, ma da sempre, è valore testamentario che l’individuo produce per permutare sé stesso nel tempo. Abitare, come relazione tra lemma e concetto espresso, ha ancora quel significato lontano della lingua latina che rimanda ad altri termini quali possedere. Qui gli autori sembrano essere stati in grado non solo di rappresentare ancora quel senso di infinitezza relativo al valore della costruzione ma anche l’inderogabile assunto di riferimento nei confronti di una tradizione che partendo dal Razionalismo Italiano guarda a quella “scuola romana” nella quale prestigiosi autori hanno saputo dedurre ulteriori considerazioni teoriche. All’ordinata composizione planimetrica si sovrappongono deformazioni geometriche in grado di mettere volutamente in crisi dialettica l’intera opera, in ossequio a quel gusto a volte anche ironico e tipicamente romano, per la contraddizione dei principi nello stesso momento in cui essi vengono affermati. Appare una sorta di ecumenismo contraddetto quindi, che pone come finalità non un immaginario formalistico ma il risultato di questo contrasto in forme fortemente espressive e definitivamente contemporanee.
For the Italian architectural tradition, probably more than for others, the house represents a condensation of values of considerable commitment. Not only the now monstrous regulatory apparatus with intangible limits imposes strongly constrained design prerogatives, but the same value that the Italian client, but perhaps we could say more broadly Latin, attributes to building one’s own home is far greater than that in other realities, geographical and anthropological. The Italian house is built forever, that is, it aims to become not only the domestic space of the individual and the family, but has always had a testimonial value that the individual produces in order to transmit himself through time. Abitare / Living, as a relationship between the word and the concept expressed, still has that distant meaning in the Latin language that refers to other terms such as possessing. Here the creators seem to have been able not only to still represent that sense of infinity related to the value of the building but also the binding assumption of reference towards a tradition that, starting from Italian Rationalism, looks to that “Roman school” in which prestigious authors have been able to deduce further theoretical considerations. The ordered, planimetric composition is superimposed on geometric deformations capable of deliberately putting the entire work into a dialectical crisis, in accordance with that sometimes ironic and typically Roman taste, due to the contradiction of principles at the same time in which they are affirmed. A sort of contradicted ecumenism therefore appears, which sets as its aim not a formalistic imagery but the result of this contrast in strongly expressive and definitively contemporary forms.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
87
Malfona Petrini Architetti Formello 2015 | 2017
ITALIA / ITALY
House for Drones
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
profilo sud / south facade
profilo nord / north facade
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
profilo ovest / west facade
profilo est / east facade
1
5
10
15
20
ph. by Matteo Benedetti ©
ph. by Matteo Benedetti ©
ITA
ENG
Il paesaggio della Calabria, dove queste case si trovano, è compresso tra il mare e ripidi versanti montani che ospitano antichi e frammentati centri urbani. Spesso questi agglomerati di case hanno dimenticato il significato dell’architettura, lasciando il compito del costruire ad una prassi per certi versi spontanea. Appare evidente come l’ambito di relazioni indagate dagli autori sia quello della critica al Razionalismo, fattore con il quale l’architettura italiana si trova ancora spesso a fare i conti, ma qui pare che queste liaisons siano state selezionate con accurata precisione e poi espresse quasi per collage in un insieme inquieto di frammenti, citazioni, aforismi che sorgono dal passato (anche meno remoto) posizionandosi in un sistema grammaticale complessivamente rinnovato. La disinvoltura delle sovrapposizioni attraverso scostamenti, scarti, svuotamenti, trova il suo doppio nel palinsesto delle facciate dove un basamento è individuato come soluzione empirica ai problemi di un attacco a terra insidioso, ma indirizzando al contempo ai candidi volumi ossessivamente intagliati il compito di divenire parametro metrico di tutta l’architettura. Il sogno borghese della villa viene poi sfamato nella definizione di interni dettagliatissimi e di una raffinatezza ben ulteriore rispetto alla crudele verità dei prospetti dove questi si dichiarano ulteriormente come macchine per guardare o per generare ambiti spaziali dal carattere poetico. La narrativa che sta dietro a queste opere impone interrogativi sempre nuovi e il trovare ad essi risposta è parte integrante del fare architettura, cioè in definitiva di quella pratica difficilissima che è la costruzione dell’arte.
The landscape of Calabria, where these houses are located, is compressed between the sea and steep mountain slopes that are home to ancient and fragmented urban centers. Often these agglomerations of houses have forgotten the meaning of architecture, leaving the task of building to a practice that is, in some ways, spontaneous. It appears evident that the relations investigated by the designers is that of the criticism of Rationalism, a factor with which Italian architecture still often has to deal with, but here it seems that these liaisons have been selected with careful precision and then expressed almost as a collage in a restless set of fragments, quotations, aphorisms that arise from the past (or even less remotely), positioning themselves in a totally renewed grammatical system. The ease of overlapping through deviations, rejects, emptying, finds its double in the palimpsest of the facades where a base is identified as an empirical solution to the problems of an insidious attack on the ground, but at the same time addressing the candid volumes obsessively carved with the task of becoming a parameter metric of all architecture. The bourgeois dream of the villa is then fed the definition of extremely detailed interiors and a much further refinement with respect to the cruel truth of the elevations where they further declare themselves as machines to look at or to generate spatial environments with a poetic character. The narrative behind these works always poses new questions and finding answers to them is an integral part of making architecture, that is, ultimately, of that very difficult practice that is the construction of art.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
97
Bodár – Bottega d'architettura Cotronei 2007 | 2019
ITALIA / ITALY
Case a Cotronei
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano interrato / basement floor
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
ph. by Stefano Anzini ©
ph. by Stefano Anzini ©
ph. by Stefano Anzini ©
Madrid Valencia Leiria São Bartolomeu de Messines Alentejo
Casa em Messines
Vítor Vilhena Architects
Villa Além
Valerio Olgiati architect
Casa em Leiria
Aires Mateus e Associados
Casa Cala
Alberto Campo Baeza
Fran Silvestre Arquitectos
House in Megara Tense Architecture Network
Megara
SPAGNA / SPAIN – PORTOGALLO / PORTUGAL – GRECIA / GREECE
Hofmann House
ITA
ENG
La casa, situata sulla sommità di un piccolo promontorio alla periferia di Leiria, si presenta come blocco monolitico di colore bianco. Il tema è quello dell’archetipo, della casa dell’infanzia, ripetutamente disegnata nei percorsi dell’innocenza. All’interno di questo sogno, tuttavia, si scopre un mondo altro dove la massa viene scavata e dove si incontrano elementi di dispersione e catalizzazione dell’abitare. L’operazione si divide tramite due binari di attraversamento, il primo, al livello della strada, custodisce nella terra le camere da letto, ognuna con un proprio patio, distribuite intorno ad un cortile centrale. I livelli superiori, invece, inseriti nel corpo principale, sono destinati alla vita diurna segnata dal passaggio della luce che attraversa il vuoto ricavato a partire dalla copertura. Questa frattura, esposta in sezione, rivela, ma allo stesso tempo si manifesta come il principale elemento di connessione fra spazio domestico, privato, e spazio esterno destinato al pubblico. I cortili delle camere da letto, svelati nel giardino, si relazionano con l’oggetto “monumentale” fornendo letture differenti sulla sua scala per confrontarsi poi con il vicino Castello. Il corpo della casa, all’esterno, è quindi lasciato integro rispetto agli accadimenti interni che invece ammettono una complessità distribuita su tutte le quote che trovano solo nel cielo l’elemento di relazione possibile al fine di mantenere in equilibrio l’immagine archetipica rincorsa.
The house, located on the top of a small promontory on the outskirts of Leiria, appears as a white monolithic block. The theme is that of the archetype, of the childhood home, repeatedly drawn along the paths of innocence. Within this dream, however, one discovers another world where the mass is excavated and where elements of dispersion and catalysts of living are found. The work is divided by two crossing tracks, the first, at street level, holds the bedrooms underground, each with its own patio, distributed around a central courtyard. The upper levels, on the other hand, are inserted in the main body, are intended for daytime use marked by the passage of light that crosses the void created in the roof. This break, shown in section, exposes, but at the same time appears as the main element of connection between domestic space, private, and external space for the public. The courtyards of the bedrooms, revealed by openings in the garden, relate to the “monumental” object with different readings on scale and responses to the nearby castle. The body of the house, on the outside, is therefore left intact with respect to what happens inside, which instead has a complexity distributed across the different levels that finds a relational element able to keep the archetypical image running after it in balance only in the sky.
testo di / text by Vincenzo Moschetti
111
Aires Mateus e Associados Leiria 2005 | 2010
PORTOGALLO / PORTUGAL
Casa em Leiria
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
piano interrato / basement floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano della copertura / roof floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
profilo nord-ovest / north-west facade
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
sezione / section
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ITA
ENG
In questo progetto di rara complessità l’autore pare chiaramente aver messo in opera quanto poi de-scritto nel noto libro Architettura Non-referenziale fino a lasciare il lettore/osservatore in dubbio se il libro sia il progetto o il progetto sia il libro. Al di là di questa considerazione, l’architettura di Olgiati sembra appartenere ad un mondo altro in cui le usuali considerazioni relazionali tra contesto, progetto, città, paesaggio, vengono costantemente mediate da un programma intellettuale in continua evoluzione e pedissequamente aggiornato ad ogni singola occasione. Il progetto di architettura però, nonostante i presupposti, sembra sempre ricondurre alle proprie fondamentali pratiche facendo uso dei propri insostituibili strumenti, modelli e componenti. In fondo un muro è un muro, per come la si voglia piegare, e alla fine divide sempre lo spazio in almeno due parti. Allo stesso modo, gli spazi dell’abitare seguono le necessità umane e anche quelle più radicali o paradossali, portando la composizione di luoghi rassicuranti nei quali la sensibilità moltiforme della specie umana può trovare più o meno sempre ristoro alle proprie innate necessità. Qui però vi è la sagace strategia di interpretazione di un autore in grado distaccarsi dal problema, di modificare il piano di indagine, configurando sostanza e immagini ulteriori alle semplici considerazioni sul costruire e accompagnando il progetto verso territori diversi, luoghi del sogno, confinanti con quelli dell’arte o forse già al loro interno.
In this project of rare complexity, the author clearly seems to have implemented what was later described in the well-known book Non-Referential Architecture to the point of leaving the reader/observer in doubt whether the book is the project or the project is the book. Beyond this, Olgiati’s architecture seems to belong to another world in which the usual relational considerations between context, project, city, and landscape, are constantly mediated by an intellectual program in continuous evolution and updated at every single occasion. The architectural project, however, despite the assumptions, always seems to lead back to its fundamental practices by making use of its irreplaceable tools, models and components. After all, a wall is a wall, however you want to bend it, and in the end it always divides the space into at least two parts. In the same way, the living spaces follow human needs and even the most radical or paradoxical ones, bringing the composition of reassuring places in which the multifaceted sensitivity of the human species can more or less always find relief for its innate needs. Here, however, there is the shrewd strategy of interpretation of an author able to detach himself from the problem, to modify the investigation plan, configuring substance and images further to the simple considerations on building and accompanying the project towards different territories, dream places, bordering on art or perhaps already within it.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
131
Valerio Olgiati architect Alentejo 2009 | 2014
PORTOGALLO / PORTUGAL
Villa Além
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
profilo sud-est / sud-east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano terra / floor plan
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
© ArchiveOlgiati
© ArchiveOlgiati
© ArchiveOlgiati
ITA
ENG
La sobrietà del progetto svela il proprio attaccamento ad un linguaggio, ormai definibile come tradizione, dell’architettura portoghese più nota ed apprezzata. La casa si compone di un monolite bianco, semplicemente intagliato ove necessario e che appare come appoggiato su quel lembo di territorio dell’Algarve in gran misura poco addomesticato. Proprio dal suo sovrapporsi a questo paesaggio pressoché naturale, il progetto si dichiara non come mezzo narrativo di una simbiosi tra natura e artificio ma come una dichiarazione di autorevolezza dell’architettura. Pur campionando e rinnovando i lessici più semplici delle architetture agricole della zona, la casa si manifesta attraverso la propria stereotomia come strategia di insediamento anti-mimetica, anzi orgogliosamente presente a manifestare l’antico diritto a costruire. A completare il percorso teorico collaborano le deformazioni e gli intagli del parallelepipedo quasi a volersi opporre, resistere, ad una linea di contatto con il suolo. La copertura, ulteriore spazio abitativo e vero ulteriore prospetto dell’edificio diviene luogo del sublime dedicato all’estasi solare e al divertimento attorno alla vasca d’acqua più simile, per evidente scelta, ad un primitivo invaso che ad una piscina.
The sobriety of the project reveals its attachment to a language, now definable as a tradition, of the best known and most appreciated Portuguese architecture. The house consists of a white monolith, simply carved where necessary and which appears as if it rests on that strip of territory of the Algarve which is largely untamed. Precisely from its superimposition on this almost natural landscape, the design declares itself not as a narrative means of a symbiosis between nature and artifice but as a declaration of the authority of architecture. While sampling and renewing the simpler lexicons of the agricultural architectures of the area, the house manifests itself through its stereotomy as an anti-mimetic settlement strategy, indeed proudly present to manifest the ancient right to build. The deformations and carvings of the parallelepiped collaborate to complete the theoretical path, almost as if to oppose, resist, a line of contact with the ground. The roof, a further living space and a true further elevation of the building, becomes a place of the sublime dedicated to solar ecstasy and fun around the pool more similar, by evident choice, to a primitive reservoir than to a swimming pool.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
145
Vítor Vilhena Architects
São Bartolomeu de Messines 2018
PORTOGALLO / PORTUGAL
Casa em Messines
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano della copertura / roof floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
profilo nord / north facade
profilo ovest / west facade
1
5
10
15
20
profilo est / east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ITA
ENG
Una delle più recenti realizzazioni del maestro spagnolo sembra determinare la raggiunta consapevolezza e maturità delle precedenti ed ormai decennali straordinarie sperimentazioni condotte sul tema della casa. L’oggetto è qui come in precedenza è il relazionarsi con un immaginario mediterraneo in cui ombre, masse murarie e complessità compositive definiscono un linguaggio ormai non solo manifesto ma perfettamente in grado di determinarsi come una sorta di scuola. Il progetto, posto su un terreno in leggero declivio e posizionato a guardare, non vedere, da una distanza misurata una parte di Madrid, si pone come parametro di misura rispetto ad un contesto di altre abitazioni a tratti variopinto. Emerge quindi per razionale semplicità del gesto e per massa, irradiando tutt’attorno la propria immagine definita dal candore delle pareti e dall’oscurità delle profonde cesure che su queste trovano posto. La composizione è perfettamente organizzata, come d’abitudine per l’autore, secondo un’idea di architettura tridimensionale dove piante e sezioni si scambiano continue informazioni suggerendo molteplici punti di osservazione interni ed esterni all’edificio. All’interno così trovano luogo spazi eterei, corrosi solo dalle grandi aperture sul paesaggio circostante e dagli arredi necessari ad una vita da condurre in intensa relazione con il giardino e lo straordinario cielo madrileno.
One of the most recent creations of the Spanish master seems to determine the achieved awareness and maturity of the previous decade of extraordinary experiments conducted on the theme of the house. The object here is, as previously, the relationship with a Mediterranean imagery in which shadows, masonry masses and compositional complexities define a language that is now not only manifest but perfectly capable of defining itself as a sort of school. The project, placed on a slightly sloping ground and positioned to look at, not see, part of Madrid from a measured distance, it establishes a parameter of measurement with respect to a context with groups of other multi-colored houses. It therefore emerges for the rational simplicity of the gesture and for the mass, radiating all around its own image defined by the whiteness of the walls and the darkness of the deep caesuras that punctuate them. The composition is perfectly organized, as usual for the creator, according to an idea of three-dimensional architecture where plans and sections exchange continuous information suggesting multiple points of observation inside and outside the building. Inside, there are ethereal spaces, corroded only by the large openings on the surrounding landscape and by the furnishings necessary for a life to be led in intense connection with the garden and the extraordinary Madrid sky.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
161
Alberto Campo Baeza Madrid 2013 | 2015
SPAGNA / SPAIN
Casa Cala
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
piano interrato / basement floor
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
profilo nord / north facade
sezione / section
1
5
10
15
20
profilo sud / south facade
sezione / section
1
5
10
15
20
profilo ovest / west facade
sezione / section
1
5
10
15
20
profilo est / east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Javier Callejas Sevilla ©
ph. by Javier Callejas Sevilla ©
ph. by Javier Callejas Sevilla ©
ITA
ENG
Tra gli interpreti e autori della nouvelle vague in terra di Spagna, Silvestre sembra aver intrapreso una via che seppur fortemente radicata alle proprie origini, interpreta uno sguardo verso il presente piuttosto denso di significati. Questo progetto, forse più di altri di medesima tipologia, racchiude l’esito di una ricerca in equilibrio su tre appoggi: ossequio ad un immaginario mediterraneo di chiara matrice ispanica, ricerca di metodi costruttivi assolutamente contemporanei e individuazione di esiti formali tali da poter essere definiti quasi dei paradossi. Se da un punto di vista puramente teorico le opere dell’autore sembrano costantemente in grado di avanzare i limiti dell’invenzione sulla base delle possibilità del contemporaneo, dal punto di vista pratico questo equilibrio induce alcune considerazioni in merito all’assunto del valore di verità che esse rappresentano quando, ad esempio, eterei bianchi muri per ovvie motivazioni statiche nascondono in realtà non masse intonacate ma iperboliche strutture in acciaio. È il caso della copertura di questa casa, che definisce uno spazio illibato da appoggi sfidando la meccanica delle costruzioni. Ma proprio qui sta il valore ulteriore dell’architettura di questo edificio e del pensiero dell’autore: rompere l’asse liturgico tra materia e sagoma per definire nuova forma, anche attraverso lo strumento della finzione teatrale che proprio della contemporaneità è un assunto. Se il mandato quindi di costruire «l’architettura del proprio tempo» pare essere eternamente valido, Silvestre in questa casa, ne reinterpreta il valore secondo modalità dense di riferimenti e raffinatissime per esito.
Among the interpreters and authors of the nouvelle vague in the land of Spain, Silvestre seems to have embarked on a path that, although strongly rooted in its origins, interprets a look towards the present rather full of meanings. This project, perhaps more than others of the same type, contains the result of a research in balance on three supports: respect for Mediterranean imagery of clearly Hispanic origin, seeking absolutely contemporary construction methods, and the identification of formal outcomes that can be defined as almost paradoxes. If, from a purely theoretical point of view, the author’s works seem constantly capable of advancing the limits of invention on the basis of the possibilities of the contemporary, from a practical point of view this balance induces some considerations regarding the assumption of the value of truth which they represent when, for example, ethereal white walls for obvious static reasons actually hide not plastered masses but hyperbolic steel structures. This is the case of the roof of this house, which defines a space free from supports, challenging the mechanics of the construction. But precisely here lies the further value of the architecture of this building and of the author’s thought: breaking the liturgical axis between matter and shape to define a new form, through the instrument of a theatrical fiction which is an assumption proper to contemporaneity. Therefore, if the mandate to build «the architecture of one’s time» seems to be eternally valid, Silvestre in this house reinterprets its value in a way that is dense with references and highly refined as a result.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
177
Fran Silvestre Arquitectos Valencia 2018
SPAGNA / SPAIN
Hofmann House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
sezione / section
profilo nord-ovest / north-west facade
1
5
10
15
20
profilo sud-ovest / south-west facade
1
5
10
15
20
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ph. by Fernando Guerra, Sergio Guerra © FG + SG | Architectural Photography
ITA
ENG
Il lavoro di TENSE si occupa della possibile rilettura del difficile rapporto tra il mondo mediterraneo, ovviamente in particolare quello orientale di matrice greca, e i dilemmi di una contemporaneità che al contrario sembra sempre più rivolta verso le culture dell’occidente nordico. Questo paradossale connubio linguistico che gli architetti di TENSE indagano sembra trovare un suo possibile equilibrio soprattutto in questo progetto per una casa nella piana di Megara. Lasciati per un attimo alle spalle i lemmi canonici dell’architettura del mediterraneo qui nell’entroterra greco possono apparire altre suggestioni e interpretazioni linguistiche come il modello del recinto. Infatti, questa casa, che si posiziona al limite di una piana agricola in cui la pratica delle culture dell’olivo è talmente radicata nel territorio da apparire quasi rovina, si rinchiude in un recinto dalle proporzioni simili a quelli già ampiamente presenti nella zona ma in questo caso non perimetrando un podere ma gli spazi della casa. Unica eccezione risulta la vetrata che definisce la zona giorno e che come una camera ottica inquadra i versanti pietrosi dei monti circostanti. All’interno è un susseguirsi di spazi aperti e chiusi a disegnare stanze e patii in modo che l’interno sia sempre in contatto con un esterno controllato e misurato dalla presenza del recinto. Una considerazione ulteriore meriterebbe la definizione dell’inusuale impianto triangolare, che in un luogo che conosce solo angoli retti (a parte Micene e poco altro) può sembrare una prevaricazione, ma d’altro canto è espressione di un modo di interpretare la contemporaneità assolutamente lecito e dal carattere comprensibilmente indagatorio.
TENSE’s work deals with the possible reinterpretation of the difficult relationship between the Mediterranean world, obviously in particular the eastern one of Greek origin, and the dilemmas of a contemporaneity that, on the contrary, seem increasingly turned towards the cultures of the Nordic West. This paradoxical linguistic union that the architects of TENSE investigate seems to find its balance especially in this project for a house in the Megara plain. Leaving behind the canonical lemmas of Mediterranean architecture here in the remote Greek countryside, other suggestions and linguistic interpretations may appear, such as the model of the enclosure. In fact, this house, which is positioned at the edge of an agricultural plain where the olive tree cultivation is so deeply rooted in the territory that it appears like a ruin, is enclosed behind walls with proportions similar to those already widely present in the area but in this case it does not border a farm but the spaces of the house. The only exception is the glass window that defines the living area and which, like a camera lens, frames the stony slopes of the surrounding mountains. Inside there is a succession of open and closed spaces to mark out rooms and patios so that the interior is always in contact with an exterior controlled and measured by the presence of the walls. The definition of the unusual triangular layout deserves a further consideration: in a place that knows only right angles (apart from Mycenae and little else) it may seem like a prevarication, but on the other hand it is an expression of an absolutely legitimate way of interpreting contemporaneity, and understandably investigative.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
191
Tense Architecture Network Megara 2011 | 2014
GRECIA / GREECE
Residence in Megara
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo nord / north facade
1
5
10
15
20
ph. by Petros Perakis ©
ph. by Petros Perakis ©
ph. by Petros Perakis ©
Krokholmen, Värmdö
Berlino
Opole Brissago
House on Krokholmen Tham & Videgård Arkitekter
David Chipperfield Architects
Dom Aatrialny Robert Konieczny (KWK PROMES)
Ri. House
Wespi, de Meuron, Romeo architects
GERMANIA / GERMANY POLONIA / POLAND - SVEZIA / SWEDEN SVIZZERA / SWITZERLAND
Private House
ITA
ENG
Il progetto si insedia in un celebre sobborgo berlinese contraddistinto da una energica presenza vegetale e dalla dedizione ad un abitare destinato a pochi fortunati. Nel suo utilizzare il dislivello naturale del terreno sembra raccogliere tutti, o quasi, gli strumenti grammaticali del Movimento Moderno producendo un palinsesto di infiniti rimandi che nel loro sovrapporsi divengono vere e proprie dichiarazioni. Una liaison architettonica che l’autore, proprio negli anni Novanta, evidenzia anche in altri progetti paralleli inducendo la propria ricerca negli ambiti di un Moderno ancora, per certi versi, vitale. Un Moderno che a Berlino appare inevitabilmente interrotto dagli eventi della Storia, ma che è ripreso proprio da questo progetto, e forse pochi altri di autori. Le evidenti necessità di privacy e l’utilizzo delle facciate in laterizio hanno imposto un panneggio chiaroscurale di notevole spessore che va ad incrementare il quoziente interrogativo nel complesso di relazioni visive instaurabili con l’edificio. Se quindi sono innegabili le estese e sagaci relazioni con i progetti delle case Lange, Esters e Wolf di Mies van der Rohe, altrettanto appare evidente la tentazione dell’autore nel volerne evolvere il mandato secondo articolazioni compositive maggiormente complesse, forse manifestazione di esigenze e modalità di abitare più recenti. Compositamente la casa si sviluppa secondo logiche tanto di pianta quanto di sezione, mitigando spazi e funzioni di evocazione e dimensioni ampiamente borghesi e ordinando, sempre in ossequio all’opera anteguerra del maestro di Aquisgrana, gli spazi secondo sequenze di dilatazioni e compressioni.
The project is set in a famous Berlin suburb characterized by lush plant growth and meant as a home destined for the lucky few. In the use of the natural unevenness of the ground, it seems to collect all, or almost all, the grammatical tools of the Modern Movement, producing a palimpsest of infinite references that in their overlap become real declarations. An architectural liaison that the author, then, in the nineties, also highlighted in other parallel projects, inducing his own exploration into a Modern style, still in some ways, vital. A Modern that in Berlin appears inevitably interrupted by the events of history, but which is taken up by this project, and perhaps only by a few other authors. The evident need for privacy and the use of brick facades have imposed a chiaroscuro drapery of considerable thickness which increases the interrogative quotient in the complex of visual relationships established with the building. Therefore, if the extensive and profound relationships with the design of the Lange, Esters and Wolf houses by Mies van der Rohe are undeniable, the temptation of the author in wanting to evolve the mandate according to more complex compositional articulations, is perhaps a manifestation of more recent lifestyle needs and choices. Compositionally, the house develops according to the logic of both plan and section, mitigating spaces and functions of evocation and broadly bourgeois dimensions and ordering, always in accordance with the pre-war work of the master from Aachen, the spaces following sequences of expansion and compression.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
205
David Chipperfield Architects Berlino 1994 | 1996
GERMANIA / GERMANY
Private House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
profilo nord-est / north-east facade
profilo sud-ovest / south-west facade
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
profilo nord-ovest / north-west facade
1
5
10
15
20
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Christian Richters ©
ph. by Stefan Müller ©
ITA
ENG
La corte centrale guida l’intera composizione dell’edificio proponendo lontane assonanze geografiche. Il progetto affronta in modo virtuoso alcune problematiche della contemporaneità assecondato da una evidente ricerca all’interno delle considerazioni che possono essere fatte attorno al concetto del lusso. La casa consta di due porzioni ben distinte: un basamento fortemente stereotomico, nascosto e protettivo, e un alzato speculare per carattere, ma ampiamente vetrato e in continua connessione con il paesaggio agreste circostante. Evidenti sono le relazioni continue con i maestri del Moderno, dal Mies van der Rohe delle sue case in campagna agli architetti del Razionalismo italiano fino, forse, ad alcune opere della cosiddetta estetica white di matrice statunitense. Per Robert Konieczny, in questo progetto più che in altri, sembra importante portare innanzi le istanze di una complessiva rilettura dell’abitare borghese in senso quasi melodrammatico. Riservatezza ma narrazione, distanza oggettiva ma appropriazione del contesto, sono contrappunti difficilmente governabili ma che qui sembrano essere stati affrontati e svolti con una precisione di carattere sintetico. Tutto infine appare perfettamente coordinato, esteticamente perfetto, tanto da dimenticare, forse volutamente, quella necessaria tentazione all’ironia, all’approssimazione e all’errore voluto (e necessario) come categorie valoriali che l’architettura della contemporaneità, che ormai misura sé stessa con il design più che con l’edilizia, ha ormai deliberatamente dimenticato.
The central courtyard guides the entire composition of the building by proposing distant geographical connections. The project tackles in a skilled way some issues of contemporaneity supported by a clear search for the concept of luxury. The house consists of two distinct portions: a strongly stereotomic basement, hidden and protective, and an elevation with contrasting qualities, extensive glass windows, and in continuous rapport with the surrounding rural landscape. The ongoing relationships with the masters of the Modern are evident, from Mies van der Rohe with his houses in the countryside to the architects of Italian Rationalism up to, perhaps, some works of the so-called white aesthetic of American origin. For Robert Konieczny, in this project more than in others, bringing forward the demands of an overall reinterpretation of bourgeois living seems important in an almost melodramatic sense. Confidentiality but with narration, objective distance but appropriation of the context, are counterpoints that are difficult to manage but which here seem to have been addressed and carried out with synthetic precision. Finally, everything appears perfectly coordinated, aesthetically perfect, so much so as to forget, perhaps deliberately, that necessary temptation to irony, approximation and desired (and necessary) error as value categories that the architecture of contemporaneity, which by now measures itself with design rather than construction, has now deliberately forgotten.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
219
Robert Konieczny (KWK PROMES) Opole 2002 | 2006
POLONIA / POLAND
Dom Aatrialny
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
profilo nord-est / north-east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by KWK Promes ©
ph. by KWK Promes ©
ph. by KWK Promes ©
ITA
ENG
Il progetto di questa casa si confronta con due emergenze straordinariamente complesse: topografia e ristrettezza del terreno a disposizione e l’impressionante offerta visuale donata dalla presenza scenica del Lago Maggiore e dei ripidi versanti montani che lo contengono. Il primo problema viene svolto attraverso l’utilizzo di una tipologia per così dire a torre, dove l’edificio si sviluppa in negativo rispetto alla quota zero della strada di accesso posta in alto. Dal punto di vista compositivo questa scelta quasi obbligata viene portata avanti introducendo percorsi in discesa contraddistinti dallo svelamento di un’architettura fatta più che di rarissimi materiali di continue sorprese scenografiche garantite da un intelligentissimo utilizzo dello spazio come matrice linguistica. Ciò è possibile perché il processo compositivo messo in atto è quello dello scavo puntuale e preciso di vuoti all’interno di una massa muraria precedentemente stabilita. Così l’architettura diviene monumentale pur disponendo, per scelta e necessità, di pochissime risorse dimensionali e linguistiche. Allo stesso modo la scena del paesaggio lacustre, troppo immensa per essere introiettata tutta assieme, viene parcellizzata in un continuo susseguirsi di punti di vista precisissimi che, come vere e proprie vecchie cartoline, propongono visuali dettagliate di un “fuori” in eterno divenire. L’opera di selezione appunto di queste visuali sembra integrata nel processo compositivo, divenendone probabilmente matrice definitiva, al pari della accuratissima selezione dei materiali e del loro esibirsi negli interni quanto negli esterni, secondo quel gusto per il frugale che connota molta società e quindi architettura dei nostri tempi.
The design of this house faced two extraordinarily complex criticalities: topography and the narrowness of the land available, and the impressive visual value of the view of Lake Maggiore and the steep mountain slopes that frame it. The first problem is addressed through the use of a tower-type, so to speak, where the building develops below the starting altitude of the access road at the top. From the compositional point of view, this almost obligatory choice is developed by introducing downhill paths characterized by the unveiling of an architecture made of, rather than very rare materials, of continuous scenographic surprises guaranteed by a very intelligent use of space as a linguistic matrix. This is possible because the compositional process implemented is that of the punctual and precise excavation of voids within a previously established wall mass. Thus architecture becomes monumental while having, by choice and necessity, very few dimensional and linguistic resources. In the same way, the scenery of the lake landscape, too immense to be absorbed all at once, is parceled out in a continuous succession of very precise views which, like real, old postcards, offer detailed looks at an “outside” in eternal change. The work of selection of these views seems to be integrated into the compositional process, probably becoming its definitive matrix, like the very careful selection of materials and their performance both indoors and outdoors, according to that taste for the frugal that characterizes a lot of society and therefore the architecture of our times.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
235
Wespi, de Meuron, Romeo architects Brissago 2013
SVIZZERA / SWITZERLAND
Ri. House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
piano terzo / third floor
1
5
10
15
20
piano quarto / fourth floor
1
5
10
15
20
profilo sud-ovest / south-west facade
profilo sud-est / south-east facade
1
5
10
15
20
sezione / section
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Hannes Henz ©
ph. by Hannes Henz ©
ph. by Hannes Henz ©
ITA
ENG
Nella costruzione della piccola casa per vacanze sull’isola di Krokholmen, all’interno del raggruppamento di terre dell’arcipelago di Stoccolma, si precisa il rapporto tra figura e sfondo in ambito architettonico, ciò che più dettagliatamente già l’Essai (1753) di Laugier aveva posto sotto la lente. Il sistema domestico è segnato da una casa con recinto, dove l’emersione in senso orizzontale si contrappone allo sfondo boschivo definito da presenze tanto vegetali quanto animali. I pini nani, modificati dalla forza del vento, sono gli elementi che descrivono il campo di posizionamento della casa dove va in scena la contrapposizione tra i segni della pianta e quelli della sezione. Se nella prima lo spazio dell’abitare trova posto all’interno di un’area rettangolare ricavata tra due “efflorescenze” rocciose, in sezione, al contrario, una copertura a capanna concava ricorda quella di una tenda provvisoria, a rievocare a chi osserva i temi di una vita nei boschi in nome dell’avventura. All’ombra degli alberi si rivela dunque un doppio registro dell’abitare, da un lato l’idea di rifugio dove gli ambienti trovano posto al di sotto della copertura; dall’altro, lo spazio esterno, dove rocce e muschi trasportano all’interno del recinto parti di “natura”. Arrivando dal mare il profilo della casa torna ad operare nuovamente nel doppio linguaggio da cui è nata, in cui la vetrata orizzontale rafforza la verticalità del colmo della grande tenda e dove il fuoco del camino ancora una volta segnala presenze, movimenti, figure.
In the construction of the small holiday home on the island of Krokholmen, within the Stockholm archipelago, the relationship between figure and background in the architectural field is examined, which the Laugier’s detailed Essai (1753) had already placed under the lens. The domestic system is marked by a house with a fence, where the horizontal emersion contrasts with the wooded background defined by both plants and animals. The dwarf pines, modified by the force of the wind, are the elements that describe the position of the house where the contrast is set between the signs of the plan and those of the section. If in the first, the living space is placed inside a rectangular area found between two rocky “outcroppings”, in section, on the contrary, a concave shed roof recalls that of a temporary tent, to evoke the themes of a life in the woods in the name of adventure. In the shade of the trees, therefore, a double register of living is revealed, on the one hand the idea of refuge where the rooms are placed under the roof; on the other, the external space, where rocks and mosses carry parts of “nature” into the enclosure. Arriving from the sea, the profile of the house returns to operate again in the double language from which it was born, in which the horizontal window reinforces the verticality of the ridge of the tall tent and where the fire in the hearth once again signals presence, movement, figures.
testo di / text by Vincenzo Moschetti
251
Tham & Videgård Arkitekter Krokholmen, Värmdö 2013 | 2015
SVEZIA / SWEDEN
House on Krokholmen
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
profilo nord-est / north-east facade
profilo nord-ovest / north-west facade
profilo sud-ovest / south-west facade
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
sezione / section
profilo sud-est / south-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Åke E:son Lindman, Lindman Photography ©
ph. by Åke E:son Lindman, Lindman Photography ©
ph. by Åke E:son Lindman, Lindman Photography ©
Dublino
Londra Londra Londra
House in a Garden
David Leech Architects
Caruso St John Architects
Studio House
Sergison Bates architects
Red House
Tony Fretton Architects
REGNO UNITO / UNITED KINGDOM IRLANDA / IRLAND
Brick House
ITA
ENG
La casa è situata nel quartiere di Chelsea, noto per il suo posizionamento storico quasi autonomo dal contesto londinese e riservato spesso al risiedere di una borghesia raffinata e progressista. Il colore rosso delle facciate, parte fondamentale del progetto che della referenzialità fa forse il suo principale punto di appoggio, riecheggia del colore di alcuni edifici storici ormai parte integrante della tavolozza di colori della Londra che al legno sostituì, dopo il noto incendio del 1666, il mattone. Il progetto si dispone su tre piani ed è destinato ad un utilizzo di rappresentanza e privato secondo una logica di separazione funzionale per piani in sezione. Il fronte principale sfrutta i differenti allineamenti delle case a fianco, da cui ne risulta una sovrapposizione di ordini, secondo un principio classico tripartito. L’asse centrale della casa è segnato dal bay window aggettante sulla strada e corrispondente al salone a doppia altezza di rappresentanza. Gli spazi interni si susseguono secondo le disposizioni funzionali, collocandosi dal salone, perno della vita sociale dell’edificio, fino alla terrazza dove un giardino pensile corona il quinto prospetto (la copertura) ampliando le stanze più private verso la città circostante attraverso un tetto-giardino e una piccola serra con inusuali piante tropicali. Da segnalare la dedizione raccolta nella programmazione di un altrettanto inedito giardino al piano terreno, dove piante esogene richiamano, forse, un languido e altrettanto raffinato punto di vista su una eredità post-coloniale che a Londra sembra essere perennemente presente nelle architetture così come nei volti delle persone.
The house is located in the Chelsea neighborhood of London, known for its historical setting almost independent from the London context and often reserved for the residences of a refined and progressive class. The red color of the facades, a fundamental part of the project which is perhaps its defining characteristic, echoes the color of some of the historic buildings that are now an integral part of the palette of London as brick replaced wood after the wellknown fire of 1666. The house is arranged over three floors intended for receiving visitors or for private use according to a logic of functional separation by the floors in section. The main facade exploits the different alignments of the houses alongside, which results in an overlapping of orders, according to a classic tripartite principle. The central axis of the house is marked by the bay window projecting onto the street and corresponding to the doublehigh main living room for entertaining. The interior spaces follow one another according to functional arrangements, ranging from the living room, the pivot of the building’s social life, to the terrace where a hanging garden crowns the fifth elevation (the roof), extending the more private rooms towards the surrounding city with a roof garden and a small greenhouse with unusual tropical plants. Worthy of note is the dedication collected in the programming of an equally unprecedented garden on the ground floor, where exotic plants recall, perhaps, a languid and equally refined point of view on a post-colonial heritage that in London seems to be perpetually present in the architecture as well as in the faces of the people.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
265
Tony Fretton Architects Chelsea, Londra 2000 | 2002
REGNO UNITO / UNITED KINGDOM
Red House
vista assonometrica / axonometry
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
primo piano / first floor
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
piano terzo / third floor
1
5
10
15
20
profilo nord-est / north-east facade
profilo sud-ovest / south-west facade
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
sezioni / sections
1
5
10
15
20
ph. by Peter Cook ©
ph. by Peter Cook ©
ph. by Peter Cook ©
ITA
ENG
Il progetto è sito nel sobborgo londinese di Hackney, nello spazio esiguo di un tessuto urbano frammentato e dalle vocazioni insediative eterogenee: abitativo, industriale e artigianale. Dal punto di vista teorico l’edificio appartiene all’ambito dell’architettura che si potrebbe definire narrativa. Esso infatti camuffa la propria struttura e la propria composizione mascherandosi attraverso una sequenza di cortine vetrate e di rivestimenti in mattoni al fine di assecondare una dichiarazione di appartenenza alla tradizione edilizia locale. Dell’intera narrazione fanno parte tutti gli aspetti: dai compositivi a quelli tecnici. La composizione è destinata a risolvere innanzitutto le problematiche derivanti da un contesto fortemente consolidato e da una geometria del terreno oblunga. Il piano terra è quindi condizionato dall’esigenza di disporre di una corte interna, necessaria alla presenza di affacci e aperture sui locali destinati ad attività di lavoro. I piani superiori allo stesso modo si diramano attorno alla scala che funge esclusivamente da collegamento verticale e che si inerpica ripida lungo i piani secondo razionalità ed economia gestuale. Economia questa che non fa altro che dichiarare l’ambito di appartenenza e le finalità di questo edificio, che della misura e dell’equilibrio tra parsimonia edilizia e rarefazione compositiva fa i propri punti di riferimento.
The project is located in the London borough of Hackney, in the narrow space of a fragmented urban fabric dedicated to heterogeneous uses: workshops, residential, and industrial. From a theoretical point of view, the building belongs to the field of architecture that could be defined as narrative. In fact, it camouflages its structure and its composition by masking itself through a sequence of glass curtains and brick cladding in order to seem to belong to the local building tradition. All aspects are part of the whole narrative: from the compositional to the technical ones. The composition is intended to solve first of all the problems deriving from a strongly consolidated context and an oblong terrain geometry. The ground floor is therefore defined by the need to have an internal courtyard, to provide views and openings on the rooms meant as work spaces. The upper floors in the same way extend from the staircase which serves exclusively as a vertical connection and which climbs steeply along the floors according to rationality and gestural economy. This economy that does nothing but declare the context to which it belongs and the purposes of this building, which from the dimensions and balance with the parsimonious buildings and compositional rarefactions makes its own points of reference.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
283
Sergison Bates architects
Bethnal Green, Londra 2000 | 2002
REGNO UNITO / UNITED KINGDOM
Studio House
vista assonometrica / axonometry
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
sezioni / sections
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
piano primo / first floor
5
10
piano secondo / second floor
15
20
profilo nord-ovest / north-west facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Ioana Marinescu ©
ph. by Ioana Marinescu ©
ph. by Ioana Marinescu ©
ITA
ENG
Gli oggetti preziosi e solitamente più rari tendono a nascondersi alla vista e il non-mostrarsi è per essi essenza formale e principio estetico. Questo edificio che si posiziona in una area complessa dell’urbanistica londinese, si rappresenta come riempimento di un vuoto lasciato libero dalla sbadatezza edilizia. Anche in questo caso l’economia gestuale, nella quale sono ampiamente rintracciabili note dell’ambientazione cosiddetta frugal chic, appartiene alla sfera delle necessità. I materiali esposti con raffinata crudeltà, si manifestano per sovrapposizioni che rimandano alla memoria di alcuni ambiti brutalisti noti e ampiamente apprezzati che hanno accompagnato la pratica dell’architettura londinese/britannica dal secondo dopoguerra in poi. Lo spazio a disposizione viene sostanzialmente occupato da una copertura che, accartocciata per definire diverse altimetrie interne, in alcuni punti si libera della propria materia per determinare intromissioni luminose utili alla sopravvivenza degli abitanti e all’elevazione poetica degli spazi interni. La casa, in pratica un luogo sotterraneo, proprio attraverso questi puntuali inserti di luce si propaga negli spazi interni secondo una logica che suggerisce il senso di protezione ma anche di incognita proprio delle caverne e degli ipogei in generale. Rifugio, secondo le categorie della rescissione dei legami con il mondo esterno, questa casa definisce la realizzazione, cercata e raggiunta, di un luogo dell’altrove.
The things that are precious and usually more rare tend to hide from view and not-showing-themselves is for them a formal essence and aesthetic principle. This building, which is positioned in a complex area of the London urban scene, appears to fill a void left free by building carelessness. Here, the gestural economy, in which notes of the so-called frugal chic setting are easily recognized, belongs to the sphere of necessity. The materials, exposed with refined cruelty, show overlaps that refer to the memory of some well-known and widely appreciated brutalist environments in the practice of London-based and British architecture continuing from the post-war period. The available space is substantially filled by a roof which, crumpled up to establish different internal heights, in some points is freed of its substance bringing in light benefitting the survival of the inhabitants and the poetic elevation of the interior spaces. The house, practically a subterranean place, is propagated in the interior spaces through these punctual inserts of light according to a logic that suggests a sense of protection but also the unknown character of caves and hypogea in general. Refuge and cutting ties with the outside world, this house defines the realization, sought and reached, of a place elsewhere.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
297
Caruso St John Architects Westbourne Grove, Londra 2001 | 2005
REGNO UNITO / UNITED KINGDOM
Brick House
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
piano interrato / basement floor
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
sezione / section
1
5
10
15
20
sezion / section
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Hélène Binet ©
ph. by Hélène Binet ©
ph. by Hélène Binet ©
ITA
ENG
La casa si colloca all’estremità di un’area suburbana degli anni ’40 a Dublino all’interno di un terreno trapezoidale. Il sito è delimitato a sud da una siepe esistente di nocciolo e ligustro, a nordovest dal muro bianco della terrazza originale e a nord-est da un alto muro che si affaccia su un vicolo pubblico. Non lontano dalla narrativa letteraria anglosassone il progetto di David Leech reinventa gli spazi confrontando la presenza delle stanze con quella di un giardino che chiama a sé l’ambiguità di presenze floreali anche volutamente infestanti. Costruita a partire da una base quadrata, l’architettura della casa prende vita al piano terra grazie ad una ossatura-struttura cruciforme in grado di distribuire per mezzo di una spina dorsale principale i quattro ambienti di vita diurna. La presenza di una grande vetrata scorrevole annulla l’esistenza del basamento per dar corpo ad un unico spazio tra sala da pranzo e giardino. È nella parte superiore, riservata alle camere da letto, a ricomporsi il recinto strutturale che si annoda e converge in un lucernario rettangolare che nell’immagine sembra voler sostituire la presenza di un comignolo vero e proprio. La casa, destinata a continuare il racconto della periferia irlandese, si serve del color erica, proveniente da una pianta il cui nome fu assegnato da Linneo, per rivelare la sua vicenda e per ritrovare nella relazione con il giardino e con la flora le connessioni decorative possibili tali da aggiornarne continuamente il palinsesto architettonico.
The house sits at the edge of a 1940s suburban area in Dublin within a trapezoidal plot. The site is bordered to the south by an existing hazelnut and privet hedge, to the north-west by the white wall of the original terrace and to the north-east by a high wall overlooking a public alley. Not far from the Anglo-Saxon literary narrative, David Leech’s project reinvents spaces by linking the presence of the rooms with that of a garden that calls to itself the ambiguity of flowers and plants that seem deliberately infesting. Built starting from a square base, the architecture of the house comes to life on the ground floor thanks to a cruciform skeleton-structure capable of distributing the four daytime living environments by means of a main spine. The presence of a large sliding window cancels the existence of the base to give body to a single space between the dining room and the garden. It is in the upper part, reserved for the bedrooms, that the structural enclosure recomposes itself and converges into a rectangular skylight which in the image seems to want to replace the presence of a real chimney. The house, destined to continue the story of the Irish suburbs, uses the heather color, coming from a plant whose name was assigned by Linnaeus, to reveal its story and to find decorative connections in the relationship with the garden and flora, so as to continuously update the architectural palimpsest.
testo di / text by Vincenzo Moschetti
311
David Leech Architects Hollybrook Grove Clontarf, Dublino 2016 | 2017
IRLANDA / IRLAND
House in a Garden
viste assonometriche / axonometries
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
piano della copertura / roof floor
1
5
10
15
20
profilo nord-ovest / north-west facade
profilo sud-ovest / south-west facade
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
profilo nord-est / north-east facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by David Leech Architects ©
ph. by David Leech Architects ©
ph. by David Leech Architects ©
Evanston San Rafael Valley
Buffalo
Città del Messico
Santa Fe
Casa H
Felipe Assadi Arquitectos
Zapallar
Lipton Thayer Brick House
Brooks+Scarpa, Studio Dwell
Davidson Rafailidis
Casa Caldera Iturbide Studio
DUST
Taller de Arquitectura Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo
Casa M Estudio Aire
STATI UNITI / UNITED STATES MESSICO / MEXICO - CILE / CHILE ARGENTINA / ARGENTINA
He, She & It
ITA
ENG
Nell’immaginario della casa come avamposto o come applicazione delle regole possibili della riduzione delle dimensioni e delle funzionalità, questo progetto emerge per qualità tali da poter essere ritenuto un fortunatissimo esempio di applicazioni teoriche in ambiti per certi versi inattesi. Attorno al progetto di questa casa, rifugio e osservatorio in una terra tanto bella quanto difficile, si compongono una lunghissima serie di risorse richiamate dalla composizione molto più raffinata di quello che la semplicità potrebbe comunicare. Osservando la casa attraverso le notevoli fotografie non possono tornare alla mente alcune allusioni tratte da vecchi film western legate alla poetica dell’abbandono e per certi versi alla eroicità di certa fatiscenza, ma anche quella indagine in una contemporaneità che fa i conti con la tradizione compositiva, in questo caso di alcune architetture centro americane come quella delle zaguan. L’estrema vicinanza al confine tra Stati Uniti e Messico impone forse anche una riflessione sulla condizione prossima a quella del fortilizio, altra memoria western, che però più che preservare da violazioni indesiderate sembra voler proteggere gli abitanti, attraverso i materiali durevoli e ruvidamente trattati, da una natura tanto magnifica quanto arcigna e strabordante.
In imagining a house as an outpost and conceiving rules for the reduction of size and functionality, this project emerges for its quality in that it can be considered a very successful example of theoretical applications in areas that are in some ways unexpected. Around the design of this house, refuge and observatory in a land as beautiful as it is difficult, there is a very long series of resources recalled by a much more refined composition than what its simplicity conveys. Observing the house through the notable photographs some allusions from old Westerns cannot but come to mind tied to the poeticness of abandonment and in some ways the eroticism of a kind of precariousness, but also that look into a contemporaneity that addresses compositional tradition, in this case Central American architecture like that of the zaguan. The extreme proximity to the border between the United States and Mexico perhaps also requires a reflection on the condition close to that of the fort, another western memory, which, however, rather than preserving from unwanted violation seems to want to protect the inhabitants, through the durable and roughly treated materials, from a nature as magnificent as it is severe and overpowering.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
327
DUST
San Rafael Valley Arizona, USA 2015
STATI UNITI / UNITED STATES
Casa Caldera
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
profilo sud-ovest / south-west facade
profilo nord-ovest / north-west facade
1
profilo nord-est / north-east facade
sezione / section
profilo sud-est / south-east facade
piano terra / ground floor
5
10
15
20
ph. by DUST ©
ph. by DUST ©
ph. by DUST ©
ITA
ENG
Tre volumi, diversi per impieghi e abitanti, entrano in comunicazione al livello d’accesso e al livello della copertura, attraverso una falda che cambiando tre volte pendenza, ne dichiara la fine. La relazione tra i volumi, con esigenze spaziali differenziate, è ribadita palesemente attraverso impiego di strutture e pelli diverse per i tre oggetti, che risultano connessi da rapporti tecnici di necessità: l’insieme si comporta come un sistema di vasi comunicanti che gestisce e convoglia, a seconda delle condizioni di apertura definite dall’utilizzatore, temperature e umidità, di fatto costituendo un corpo unico. He è volume – d’esterno oscuro, bianco artificiale l’interno – di 4 x 8,5 m sprovvisto di aperture che funziona come atelier di pittura, She è un volume distribuito su due livelli che accoglie un laboratorio per la lavorazione di ceramiche e argenti (6 x 7 m), It – blocco in acciaio e pelle in policarbonati – è occupato da varietà vegetali (8 x 5,5 m); esternamente appaiono come oggetti disposti in relazione statica, come traspare dalle sezioni, al variare delle condizioni di occupazione – come comunicano le piante – esiste coesistenza osmotica dell’insieme. La cattura della spazialità di limite tra due volumi o della condizione spaziale incrociata – da un volume si traguarda un altro inquadrando le aperture – racconta proprio di questa relazione. He, She & It è un accampamento in un lotto urbano denso e stratificato: un giardino pluviale alimentato dalla copertura cinge l’insediamento, sotto le pendenze avviene l’abitare.
Three volumes, for different uses and inhabitants, communicate at the access level and at the level of the roof through a pitch that, after changing its slope three times, declares its end. The relationship between the volumes, with different spatial needs, is clearly reaffirmed through the use of different structures and skins for the three parts, which are connected by technical relationships of necessity: the whole behaves like a system of communicating vessels that manages and conveys, depending on the opening conditions defined by the user, temperatures and humidity, in fact constituting a single body. He is a volume – dark outside, artificial white inside – of 4 x 8,5 m without openings that functions as a painting studio, She is a volume distributed on two levels that houses a studio for making ceramics and silverwork (6 x 7 m), It – block in steel and polycarbonate skin - is for plant varieties (8 x 5,5 m); externally they appear as objects arranged in a static relationship, as can be seen from the sections, as the conditions of occupation change – as plants communicate – osmotic coexistence of the whole exists. The capture of the spatial boundary between two volumes or of the crossed spatial condition – from one volume you can look at another framed by the openings – tells of this relationship. He, She & It is a camp in a dense and stratified urban lot: a garden fed by the rainwater surrounds the building, under the sloped roof living happens.
testo di / text by Laura Mucciolo
337
Davidson Rafailidis Buffalo, New York 2015
STATI UNITI / UNITED STATES
He, She & It
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / ground floor
sezione / section
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
profilo sud / south facade
1
5
10
15
20
ph. by Florian Holzherr ©
ph. by Florian Holzherr ©
ph. by Florian Holzherr ©
ITA
ENG
Si può affermare che il mattone faccia parte della storia di Chicago come il travertino fa parte della storia di Roma. Il noto passaggio da una città di legno ad una di mattoni ha la propria causa non in una evoluzione tecnica dovuta a chissà quali scelte, ma esattamente a seguito degli eventi drammatici dovuti all’incendio che devastò la città nel 1871. Se da un lato si può attribuire al medesimo evento anche l’affermazione definitiva di una scuola architettonica americana, dall’altro non si può fare a meno di individuare proprio nel mattone di argilla l’elemento fondamentale che dai maestri della Scuola di Chicago e oltre, passando per F. L. Wright fino alle interpretazioni di Mies van der Rohe, ha definito un panorama di assoluta identità. L’ultima fabbrica di Chicago Common, quei mattoni rustici buoni solo per strutture e tamponamenti, pare abbia chiuso i battenti nel 1981, quindi questa facciata, esattamente come in passato, utilizza mattoni più raffinati e curati (Face Brick). La storia pare quindi ripetersi, in modo piuttosto intelligente, ad opera di architetti californiani che forse proprio in questo materiale indagano le radici dell’architettura del proprio Paese. Questa casa per una famiglia, si insedia in un sobborgo tra i più usuali che caratterizzano i sistemi urbani statunitensi e se il progetto può sembrare fermarsi alla facciata contemporanea in contrasto con case di legno variopinte e ordinati prati, il frammento in mattoni si impone facendo scomparire anche il prato, sostituito da una aiuola di falasco, quasi a rammentare un immaginario delle rovine della mitica Barboursville. Dietro la facciata, la composizione si razionalizza e anche i materiali in opposizione divengono contemporanei ad assecondare modalità e necessità di vita moderne. Una facciata in vetro, forse la vera facciata della casa, convoglia tutta la luce possibile all’interno delle stanze in una Chicago nota per il proprio pessimo clima, ma a segnare ulteriormente come anche le note facciate di Mies pensate per l’IIT possano essere un riferimento a cui attingere a piene mani.
It can be said that brick is part of the history of Chicago as travertine is part of the history of Rome. The well-known passage from a wooden city to a brick city has its cause not in a technical evolution due to who knows what choices, but precisely as a result of the dramatic events of the fire that devastated the city in 1871. If, on the one hand, the definitive affirmation of an American architectural school can be attributed to the same event, on the other, one cannot help but identify precisely in the clay brick the fundamental element that the masters of the Chicago School and beyond, passing through F. L. Wright up to the interpretations of Mies van der Rohe, defined a panorama of absolute identity. The last factory of Chicago Common, those rustic bricks good only for structures and sides, seems to have closed its doors in 1981, so this facade, exactly as in the past, uses more refined and selected bricks (Face Brick). History therefore seems to repeat itself, in a rather intelligent way, by Californian architects who perhaps investigate the roots of their country’s architecture through this very material. This single-family home is set up in a typical suburb that characterizes American urban systems and if the project may seem to stop at the contemporary facade in contrast with differently colored wooden houses and orderly lawns, the brick fragment imposes itself by making itself and even its lawn disappear, replaced by a sedge bed, as if to recall an evocation of the ruins of the legendary Barboursville. Behind the facade, the composition is rationalized and even the materials in opposition become contemporary to accommodate modern lifestyles and needs. A glass facade, perhaps the real facade of the house, conveys all the light possible inside the rooms in a Chicago known for its bad climate, but to further mark how even the well-known Mies facades designed for the IIT can be a reference to draw on with both hands.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
349
Brooks+Scarpa, Studio Dwell Evanston 2018
STATI UNITI / UNITED STATES
Lipton Thayer Brick House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / floor plan
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
profilo nord / north facade
sezione / section
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Brooks + Scarpa ©
ph. by Marty Peters ©
ph. by Marty Peters ©
ITA
ENG
Questa casa, che in realtà è anche luogo del lavoro e della rappresentazione della vita e dell’intelletto di una della più raffinate artiste dei nostri tempi, si inserisce in un brano di città caratterizzato da un’edilizia frammentata di piccoli e coloratissimi edifici. Lo spazio a disposizione viene interpretato in modo introflesso, manifestando all’esterno solo una elaboratissima facciata in mattoni che come un tessuto, un vero e proprio velo, avvolge gli spazi dell’abitare. Una corte porta luce ed aria ai vari piani fungendo da diaframma interpretativo dei vari luoghi necessari alla casa che, in verticale, accompagnano la composizione fino ad un attico, sorta di giardino pensile, da dove poter osservare il contesto circostante. La raffinatezza dei materiali poveri risiede nella loro semplice esattezza, individuando volta per volta il metodo più netto per riproporre soluzioni chiaramente legate alla storia e alla tradizione edificatoria messicana, e non solo. L’edificio per come è costituito, per come in sé si insedia nel quartiere di Niño Jesus e per ciò che accoglie, rappresenta già un caposaldo di riferimento, sorta di monumento contemporaneo e chiaramente destinato al futuro, del pensiero architettonico messicano.
This house, which is also a place of work, represents the life and the intellect of one of the most refined artists of our times, inserted into a fragmented passage of the city characterized by small, colorful buildings. The available space is interpreted in an introflex way, showing on the outside only a very elaborate brick facade that, like a fabric, a real veil, envelops the living spaces. A courtyard brings light and air to the various floors acting as an interpretative separation for the various places necessary to the house which, vertically, accompany the composition up to an attic, a sort of hanging garden, from where you can observe the surrounding context. The refinement of the poor materials lies in their simple precision, used each time with the exact method to propose solutions clearly linked to the history and building traditions of Mexico, and beyond. The building as it is constituted, for how it fits in the neighborhood of Niño Jesus and for what it holds, already represents a landmark, a sort of contemporary monument clearly destined for the future, of Mexican architectural thought.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
361
Taller de Arquitectura Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo Coyoacan, Città del Messico 2012 | 2016
MESSICO / MEXICO
Iturbide Studio
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
piano primo / first floor
piano secondo / second floor
piano terra / ground floor
piano terzo / third floor
5
10
15
20
sezioni / sections
profilo ovest / west facade
1
5
profilo nord / north facade
10
15
20
ph. by Rafael Gamo ©
ph. by Rafael Gamo ©
ph. by Rafael Gamo ©
ITA
ENG
La meditazione sul linguaggio plastico applicato al calcestruzzo che l’ambito sudamericano così tanto ha dato e continua a dare all’architettura è il tratto fondamentale di questo progetto. Il materiale diviene così non solo scelta costruttiva ma anche formazione di una immagina di relazione con la propria tradizione e sostanza estetica di valore espressivo. Ciò si manifesta ancor più nettamente quando il materiale stesso viene impiegato secondo i limiti massimi delle proprie caratteristiche, suggerendo ulteriori legami trascritti tra narrazione di un sapere tecnico e manifestazione della capacità di metterlo in opera. Il progetto, che nella composizione in pianta si articola secondo una pratica ordinatissima, si assume l’incarico di dialogare, all’interno di una vasta area di espansione urbana, con la contemporaneità del pensiero architettonico argentino. La copertura costituita da una massa sovrabbondante scavata dove è necessario fino a divenire un reticolo, si appoggia su di un basamento all’interno del quale tutte le funzioni della casa trovano luogo. Ovunque nella sua proiezione a terra delle sue ombre questa copertura misura lo spazio massimo di insediamento proiettando a terra una sorta di vero e proprio pomerium metafisico, un recinto quasi primitivo, con funzione di limite tra un dentro e un fuori l’architettura, tra la casa come sito della rassicurante protezione e una natura esterna in cui l’ignoto può prendere forma.
Meditation on the plastic language applied to concrete that the South American environment has given and continues to give to architecture is the fundamental feature of this project. The material thus becomes not only a constructive choice but also forms an image of the relationship with one’s own tradition and aesthetic substance of expressive value. This manifests itself even more clearly when the material itself is used according at the maximum limits of its characteristics, suggesting further transcribed links between the narration of technical knowledge and the manifestation of the ability to put it into practice. The project, which in the composition of the plan is articulated according to a very orderly practice, takes on the task of dialogue, within a vast area of urban expansion, with the contemporaneity of Argentine architectural thought. The roof made up of an overabundant mass dug where necessary until it becomes a lattice, rests on a base within which all the functions of the house take place. Everywhere in its projection on the ground of its shadows this roof measures the maximum dimensions of the space by creating on the ground a sort of real metaphysical pomerium, an almost primitive enclosure, with the function of a limit between an inside and an outside of the architecture, between the home as a site of reassuring protection and an external nature in which the unknown can take shape.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
373
Estudio Aire Santa Fe 2009 | 2013
ARGENITNA / ARGENTINA
Casa M
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
profilo nord-ovest / north-west facade
sezione / section
1
5
10
15
20
profilo sud / south facade
sezione / section
1
5
10
15
20
ph. by Walter Salcedo ©
ph. by Walter Salcedo ©
ph. by Walter Salcedo ©
ITA
ENG
Il progetto di questa casa sembra riassumere le tensioni insite e tipiche in quelle occasioni che si possono definire prove d’autore. Appare evidente come Assadi in questo progetto abbia voluto, per scelta ma forse anche per necessità culturale, riassumere e consolidare quella lunga serie di sperimentazioni messe in atto precedentemente e che qui trovano sia conferme che necessari ulteriori proposte, per non dire interrogativi. L’opera si determina per piani che si definiscono attraverso una sommatoria d’arte disposta tra tecniche costruttive, linguaggi e memorie reinterpretate e rinnovate con il consolidamento fisico di un pensiero fortemente rappresentativo dell’architettura sudamericana. Il luogo pretende l’ossequio necessario, le rocce e il Pacifico non possono essere ritenuti attori non-protagonisti, ma ciò non sembra aver imposto scelte particolarmente circostanziate all’autore, anzi, si propongono come soluzioni integranti una composizione per frammenti quasi eterogenei accatastati ordinatamente e che solo a consuntivo trovano la propria coordinata unitarietà nelle prestazioni inaudite richieste al principale materiale di costruzione: il calcestruzzo. Il progetto quindi prende forma definitiva in quell’ambito immaginario che nella latinità d’invenzione del Sudamerica ha saputo offrire occasioni straordinarie alla cultura e alla pratica del progetto di architettura e che proprio in questo progetto permangono e si rinnovano nel presente.
The design of this house seems to summarize the inherent and typical tensions of those examples that can be defined as artist’s proofs. It is evident that Assadi wanted, by choice but perhaps also by cultural necessity, to summarize and consolidate that long series of experiments carried out previously which here find both confirmation and demand further proposals, if not questions. The work is determined by levels that are defined through a culmination of art, set between construction techniques, languages and memories reinterpreted and regenerated with the physical consolidation of a strongly representative association with South American architecture. The place demands the necessary respect, the rocks and the Pacific cannot be considered non-actors, but this does not seem to have imposed particularly restrictive choices on the author, on the contrary, they appear as an integral solution for the composition of almost heterogeneous fragments stacked neatly and that only in the final balance find their coordinated unity in the unprecedented performance required of the main construction material: concrete. The project therefore takes its definitive shape in that imaginary context which in the South American Latin invention has been able to offer extraordinary opportunities to the culture and practice of architectural design and which in this project continue and are renewed in the present.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
387
Felipe Assadi Arquitectos Zapallar, Cile 2018
CILE / CHILE
Casa H
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
profilo sud-ovest / south-west facade
sezione / section
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Fernando Alda ©
ph. by Fernando Alda ©
ph. by Fernando Alda ©
Little House with a Big Terrace Takuro Yamamoto Architects
Optical Glass House Hiroshi Nakamura & NAP
Kloof 119A SAOTA
Cape Town
Tokyo Hiroshima Isumi
International Royal Architecture (I.R.A.)
House in the Hills
Sean Godsell Architects
Barrabool
SUD AFRICA / SOUTH AFRICA AUSTRALIA / AUSTRALIA GIAPPONE / JAPAN
ISM House
ITA
ENG
Salendo rapidi tornanti la Kloof Nek Road, nella densa urbanizzazione che circonda le pendici della Table Mountain, riserva eccezionali scorci visuali sia sulla baia che sulla celebre montagna attorno alla quale Cape Town si adagia. Si intravede, al di là di un muro né alto né basso, un volume scultoreo, emergente per semplicità ma stranamente perimetrato da vetro. Esso racchiude e copre la parte più privata dell’intera casa che sotto di esso si sviluppa. Il progetto, per sua natura difficile, ha dovuto affrontare problematiche di diverso ordine: un affaccio su una strada trafficata, un programma funzionale complesso e il doversi adattare ad un pendio scosceso e poco solido. Nonostante ciò, SAOTA è riuscito a realizzare un’architettura resistente alle eterogenee declinazioni formali a cui la regione, arcobaleno anche nella narrativa d’architettura, ci ha abituato. Anzi, sembra evocare un preciso mandato evolutivo di certa ottima architettura africana del Dopoguerra, dove gli influssi del mondo anglosassone e statunitense hanno reso possibile un preciso linguaggio di raffinata interpretazione e invenzione. La casa è un dispositivo doppio: tanto pensato per permettere la vita all’esterno e la visione attraverso precisi punti del magnifico contesto di sovrapposizione urbana e naturalistica, tanto in grado di rendere esclusivo e allo stesso tempo rappresentativo l’insieme dei diversi luoghi di cui la casa è composta.
Climbing rapid hairpin turns of the Kloof Nek Road, in the dense urbanization that surrounds the slopes of Table Mountain, the site offers exceptional views of both the bay and the famous mountain around which Cape Town lies. Beyond a wall, neither high nor low, we can see a sculptural volume, emerging for simplicity but strangely surrounded by glass. It encloses and covers the most private part of the whole house that develops under it. The project, difficult by nature, had to tackle problems of various kinds: fronting on a busy road, a complex functional program, and having to adapt to a steep and not very solid slope. Despite this, SAOTA has managed to create an architecture that is resistant to the heterogeneous formal declinations to which the region, rainbow in the architectural narrative, has accustomed us. Indeed, it seems to evoke a precise evolutionary mandate of some excellent post-war African architecture, where the influences of the Anglo-Saxon and American world have made a precise language of refined interpretation and invention. The house is a double device: thought through for outside life, and the seeing out through precise points to the magnificent context of urban and naturalistic overlap, so much so as to make exclusive and at the same time representative the different places from which the house is composed.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
403
SAOTA
Cape Town, Repubblica del Sud Africa 2017
SUD AFRICA / SOUTH AFRICA
Kloof 119A
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
profilo sud-ovest / south-west facade
1
5
10
15
20
profilo nord-ovest / north-west facade
1
5
10
15
20
piano primo / first floor
1
5
10
15
20
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
sezioni / sections
1
5
10
15
20
profilo nord-est / north-east facade
profilo sud-est / south-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Adam Letch & Micky Hoyle ©
ph. by Adam Letch & Micky Hoyle ©
ph. by Adam Letch & Micky Hoyle ©
ITA
ENG
La rarefazione insita nell’esito progettuale di questa casa rappresenta forse la prova compiuta dell’autore nel campo delle architetture per così dire effimere. Ambito che proprio in Australia più che in altre parti del mondo, vari autori hanno saputo, anche grazie al lavoro di straordinari maestri come Murcutt, porre innanzi con istanze linguistiche di metodi e pratiche edilizie proprie di una terra giovane e in gran parte ancora naturale. Anche in questo caso, il progetto, si conforma non solo alle necessità pratiche di un’architettura rarefatta per indole costruttiva, ma anche alla volontà di incidere il meno possibile con l’atto violento del costruire su una terra straordinaria. La definizione tettonica della composizione per elementi pseudo-industriali non sembra entrare in contrasto con il contesto del paesaggio circostante, ma anzi desumerne tratti salienti. Così i tronchi di diffusi eucalipti divengono le colonne esili che misurano il pomerio dello spazio abitato e le loro fronde si densificano nel reticolo a configurazione variabile che ne copre l’area. In fondo questo è questa casa, uno stratagemma per ricreare un ambito spaziale di ombra e di protezione nei confronti del torrido ambiente circostante, un insediamento di pionieri pronto a svolgere qualsiasi possibile finalità. Il resto è lasciato all’abitante, nella libertà di una pianta che reinterpreta le prerogative di modalità di vita e di dialogo con la terra altrettanto libere e vissute liberamente, dove i volumi minimi racchiudono funzioni minime e dove la forma è un problema casomai di costruzione e non di immagine.
The rarefaction inherent in the design outcome of this house perhaps represents the author’s complete test in the field of so-to-speak ephemeral architecture. An area that right in Australia more than in other parts of the world, various designers have shared, in part thanks to the work of extraordinary masters such as Murcutt, to put forward with linguistic requests of building methods and practices typical of a young and largely still natural land. Furthermore, the project, conforms not only to the practical needs of a rarefied architecture due to its constructive nature, but also to the desire to change as little as possible with the violent act of building on an extraordinary land. The tectonic definition of the composition by pseudo-industrial elements does not seem to conflict with the context of the surrounding landscape, but rather responds to salient features. Thus the trunks of widespread eucalyptus become the slender columns that measure the pomerium of the inhabited space and their fronds densify in the variable configuration grid that covers the area. After all, this is this house, a stratagem to recreate a spatial sphere of shadow and protection against the torrid surrounding environment, a settlement for pioneers ready to carry out any work. The rest is left to the inhabitant, in the freedom of a plan that reinterprets the prerogatives of ways of life and dialogue with the earth that are equally free and lived freely, where minimal volumes contain minimal functions and where form is a problem of construction and not of image.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
419
Sean Godsell Architects
Barrabool, Australia 2014 | 2018
AUSTRALIA / AUSTRALIA
House in the Hills
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
profilo nord-ovest / north-west facade
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
1
5
10
15
20
ph. by Earl Carter ©
ph. by Earl Carter ©
ph. by Earl Carter ©
ITA
ENG
Il sogno racchiuso nel progetto di questa casa sembra esprimere all’insieme e nel completo le aspirazioni e le memorie non solo della committenza ma anche dell’intero Giappone. L’incastro urbano in cui la casa si inserisce, in un rapporto di scala quasi paradossale con gli edifici circostanti, fa apparire l’edificio come un tassello autonomo dal contesto facendo riemergere le figurazioni dei più antichi centri urbani giapponesi, dove l’assenza quasi totale di allineamenti predispone a continue variazioni altimetriche, volumetriche e formali. Qui il tradizionale legno usato come materiale da costruzione è sostituito con materiali contemporanei nel passaggio ad una linguistica evoluta e ad un confort degli abitanti ormai irrinunciabile anche in un Paese, e presso un popolo, che ha fatto storicamente propri standard diametralmente diversi da quelli occidentali. Anche qui le minime misure dell’intervento rimangono a presidiare una razionalità compositiva quasi propria di altri mondi, perfino estranei all’architettura. Ogni spazio, sia in pianta che in sezione, ha relazioni precisissime con il proprio scopo senza allontanarsi mai, del resto, da quel concetto di spazio, quasi sacro, a cui l’architettura nipponica ci ha abituato. Grande invenzione, paradosso nel paradosso, è la configurazione di un giardino segreto (ma non troppo) posizionato ad una quota non terrena e nascosto silenziosamente, ma non negato, da una quinta in mattoni di vetro a chiudere quasi un incantesimo in cui è raccolta tutta l’essenza della poetica relazione tra edificio e vegetazione, tecnica precisissima e sapienza spaziale.
The dream contained in the design of this house seems to express the aspirations and memories not only of the client but also of Japan as a whole. The interlocked urban position in which the house is inserted, in an almost paradoxical relationship of scale with the surrounding buildings, makes it appear independent from the context, evoking depictions of the oldest Japanese urban centers, where the almost total absence of alignments create continuous altitude, volumetric and formal variations. Here the traditional wood used as a building material is replaced with contemporary materials in the transition to an evolved linguistics and for the comfort of the inhabitants that has become indispensable in a place, and among a people, which historically has made its own standards diametrically different from those of the West. Here, too, the minimal dimensions of the structure preside over a compositional rationality almost that of other worlds, even unrelated to architecture. Each space, both in plan and in section, has very precise relationships with its purpose without ever departing from that concept of space, almost sacred, to which Japanese architecture has accustomed us. A great invention, a paradox in a paradox, is the configuration of a secret garden (but not too secret) positioned at a non-earthly level and hidden silently, but not denied, by a glass block curtain that almost encloses an enchantment in which the essence of the poetic relationship between building and vegetation, very precise technique, and spatial knowledge is collected.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
431
Hiroshi Nakamura & NAP Hiroshima, Giappone 2012
GIAPPONE / JAPAN
Optical Glass House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
sezione / section
piano terra / ground floor
piano primo / first floor
piano secondo / second floor
1
5
10
15
20
profilo sud-est / south-east facade
1
5
10
15
20
1
5
10
15
20
ph. by Nacasa & Partners Inc. ©
ph. by Nacasa & Partners Inc. ©
ph. by Nacasa & Partners Inc. ©
ITA
ENG
In un’area strutturata da condizioni residenziali autonome e isolate tra loro, un piccolo volume bianco (d’ingombro 6 x 8,5 m) si innesta in un lotto non univocamente definito da limiti, complessivamente circoscritto da vegetazione sparsa non controllata. La casa si rivela in due configurazioni: la rappresentazione “a forma di casa” – una copertura a capanna che chiarisce l’obiettivo dello spazio (rispondendo alla domanda cos’è?) e disegna al contempo elaborati di prospetto e sezione del nucleo abitato; la relazione volumetrica, leggibile al livello d’accesso, che definisce la sua conformazione forzatamente simmetrica (rispondendo alla domanda com’è?). Uno spazio esterno segnato da una passerella funziona come loggiato in cui risolvere le pratiche di mediazione tra interno ed esterno; ancora un esterno è distributivo tra i due corpi laterali abitati; nei due volumi laterali si raccolgono le azioni del giorno e della notte; l’ultimo interno è nel vuoto compreso tra i due pieni (lo spazio costruito e la copertura) che si raggiunge per mezzo di una scala. Una soffitta di solo tetto è un tappeto volante, che conferma ciò che dall’inizio questo “bianco bagliore” comunica: il contatto eventualmente revocabile con l’attacco a terra, la contrazione dei tempi di realizzazione confermati dall’impiego di materiali promiscui e non strutturati, hanno fatto da guida a questa architettura che, come principio, potrebbe rimettersi in viaggio per atterrare altrove.
In a zone defined by autonomous and isolated residential areas, a small white volume (with a footprint of 6 x 8,5 m) is grafted onto a site without clearly defined limits, but circumscribed by sparse, wild vegetation. The house appears in two configurations: the “house-shaped” representation – a gable roof that clarifies the purpose of the space (answering the question what is it?) and at the same time defines the elevation and section of the inhabited nucleus; the volumetric relationship, readable at the access level, establishes its necessarily symmetrical conformation (answering the question how is it?). An external space marked by a walkway functions as a loggia in which to resolve the mediation between inside and outside; the exterior distributes between the two inhabited lateral volumes where the actions of day and night are held; the last interior space is in the void between the two solids (the built space and the roof) which can be reached by means of a staircase. An attic with roof only is a flying carpet, which confirms what this “shining white” communicates from the beginning: the connection with the ground can be revoked, the contraction of construction times confirmed by the use of mixed and unstructured materials, acted as a guide for this architecture which, in principle, could go on its way to land elsewhere.
testo di / text by Laura Mucciolo
445
International Royal Architecture (I.R.A.) Isumi, Giappone 2012
GIAPPONE / JAPAN
ISM House
vista assonometrica / axonometry
esploso assonometrico / exploded view
piano terra / ground floor
piano primo / first floor
profilo nord-est / north-east facade
1
5
profilo sud-est / south-east facade
10
15
20
sezioni / sections
1
5
10
15
20
ph. by I. R. A. ©
ph. by I. R. A. ©
ph. by I. R. A. ©
ITA
ENG
Osservando il progetto di questa casa non possono che emergere in chiara forma costruita alcuni dei principali assunti della cultura giapponese che in modo così distinto segnano l’approccio ideologico ai fatti della vita e quindi dell’architettura. La perfezione stereotomica dell’edificio, impostato su un terreno come spesso accade di assoluta piccolezza, viene corrotta dallo scavo che permette l’introduzione di due grandi spazi coperti. Questo fatto, di per sé piuttosto inusuale per questo tipo di abitazioni giapponesi, conferma la particolarità di un’idea che comprime al massimo possibile lo spazio chiuso dell’abitare per donare un ulteriore spazio aperto configurato come portico e loggia. Nella dislocazione degli spazi risulta unitaria la sovrapposizione della saggezza artigianale degli architetti giapponesi nel trovare soluzioni funzionali che ad osservatori occidentali possono sembrare quasi paradossali, così come per le modalità dell’abitare nipponico posizionato nel campo delle strette necessità che diviene volontà di utilizzare al meglio gli spazi esigui disponibili. Nella recente e vivace produzione architettonica giapponese questa casa sembra rispettare, da molti punti di vista, quei dettami dell’estetica e della sostanza legati all’immaginario e alla pratica del mono no ware, posizionandosi però chiaramente in una ulteriore rilettura contemporanea di una visione architettonica tra le più dense di valori al mondo.
Observing the design of this house, some of the main features of Japanese culture seem to emerge in a built form, which in such a distinct way mark the ideological approach to the facts of life and therefore of architecture. The stereotomic perfection of the building, set on a terrain of absolute smallness as often happens, is corrupted by the excavation that allows the introduction of two large covered spaces. This fact, in itself rather unusual for this type of Japanese house, confirms the peculiarity of an idea that compresses the closed space of the living as much as possible to give an additional open space configured as a porch and loggia. In the dislocation of the spaces, the superimposition of the artisan wisdom of Japanese architects in finding unique functional solutions that to Western observers may seem almost paradoxical, just as for the Japanese lifestyle, focusing on strict needs becomes the desire to make the best use of the limited space available. In the recent and lively Japanese architectural production, this house seems to respect, from many points of view, those dictates of aesthetics and substance linked to the imagery and practice of mono no ware, but clearly positioning itself in a further contemporary reinterpretation of an architectural vision among the most dense with values in the world.
testo di / text by Michelangelo Pivetta
457
Takuro Yamamoto Architects Tokyo, Giappone 2013 | 2015
GIAPPONE / JAPAN
Little House with a Big Terrace
esploso assonometrico / exploded view
1
5
10
15
20
piano terra / ground floor
piano intermedio / intermediate floor
piano primo / first floor
piano secondo / second floor
sezione / section
profilo nord-est / north-east facade
1
5
10
15
20
ph. by Takuro Yamamoto Architects ©
ph. by Takuro Yamamoto Architects ©
ph. by Takuro Yamamoto Architects ©
BIBLIOGRAFIA /BIBLIOGRAPHY AA.VV., Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni, Electa, Milano 2004. AA.VV., Palladio. La sua eredità nel mondo, Electa, Milano 1980. Ábalos I., Il buon abitare. Pensare le case della modernità, Christian Marinotti, Milano 2009. Ackerman J. S., The Villa. Form and Ideology of Country Houses, Princeton University Press, Princeton 1990; ed. it. La Villa. Forma e ideologia, Einaudi, Torino 1992. Alabisio A., Architettura giapponese e architetti occidentali, Novalogos, Aprilia 2014. Albiero A., Coccia L., Abitare il recinto. Introversione dell’abitare contemporaneo, a cura di | edited by Gabbianelli A., Gangemi, Roma 2008. Allison P., Ritter A., Outside In. London Architecture, edited by | a cura di Fingerle C. M., Verlag Anton Pustet, Salzburg 2000. Assadi F., Kotani A. S., Adrià M. (eds. | a cura di), Felipe Assadi, Arquine, Ciudad de Mexico 2016. Avella F., Casa Farnsworth di Mies van der Rohe. Interpretazione grafica, Aracne, Roma 2006. Bachelard G., La Poétique de l’Espace, Presses Universitaries de France – PUF, Paris 1957; ed. it. La poetica dello spazio, a cura di | edited by Giovannini M., Dedalo, Bari 1975. Baudrillard J., Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, a cura di | edited by Brega M. G., Edizioni Pgreco, Roma 2008. Bell J., Stathaki E., The New Modern House. Redefining Functionalism, Laurence King Publishing, London 2012. Berg T. R., Verdensteater. Kartenes histórie, Forlaget Press, Oslo 2017; ed. it. Mappe. Il teatro del mondo, Vallardi, Milano 2018. Binding P., Imagined Corners. Exploring the World’s First Atlas, Headline Book Publishing, London 2003.
Caniggia G., Strutture dello spazio antropico, Uniedit, Firenze 1976. Capozzi R., Le architetture ad Aula: il paradigma di Mies van der Rohe. Ideazione, costruzione, procedure compositive, Clean, Napoli 2011. Carlyle T., Sartor Resartus, LiberiLibri, Macerata 2008. Carranza L. E., Lara F. L., Modern Architecture in Latin America. Art, Technology and Utopia, University of Texas Press, Austin 2015. Caruso A., Markus Wespi, Jérôme de Meuron, Libria, Melfi 2006. Caruso A., The feeling of things, Ediciones Poligrafa, Barcelona 2008; ed. it. In sintonia con le cose. La base materiale della forma nell’architettura contemporanea, tr. a cura di | edited by Melotto B., Christian Marinotti, Milano 2016. Chiorino F., Case in Giappone, Electa, Milano 2017. Chipperfield D., Irace F., Schulz B., Fernández-Galiano L., David Chipperfield Architects, edited by | a cura di Nys R., Verlag der Buchhandlung Walther König, Köln 2013. Christ E., Gantenbein C., Typology. Hong Kong, Rome, New York, Buenos Aires. Review no. II, Park Books, Zürich 2012. Ciorra P., Ostende F. (eds. | a cura di), The Japanese House: architettura e vita dopo il 1945, Marsilio, Venezia 2016. Cofano P., Konstantinidis D. (eds. | a cura di), Aris Konstantinidis 19131993, Electa, Milano 2010. Cohen J. L., Colomina B., Friedman M., Gehry F. O., Mitchell W. J., Frank O. Gehry: The Art of Architecture, edited by | a cura di Ragheb J. F., Solomon R. Guggenheim Museum Publications, New York 2001. Collotti F., Architekturtheoretische Notizen, Quart Verlag GmbH, Luzern 2001; ed. it. Appunti per una teoria dell’architettura, Quart Verlag GmbH, Luzern 2002. Connors J., The Robie House of Frank Lloyd Wright, University of Chicago Press, Chicago 1984.
Biraghi M., Micheli S., Storia dell’architettura italiana 1985-2015, Einaudi, Torino 2013.
Cornoldi A., L’architettura della casa. Sulla tipologia dello spazio domestico: con un atlante di 100 abitazioni disegnate alla stessa scala, Officina, Roma 1988.
Biraghi M., Storia dell’architettura contemporanea I, 1750-1945, Einaudi, Torino 2008.
Cortesi I. (ed. | a cura di), Conversazioni in Sicilia con Antonio Monestiroli, LetteraVentidue, Siracusa 2016.
Biraghi M., Storia dell’architettura contemporanea II, 1945-2008, Einaudi, Torino 2008.
Criconia A. (ed. | a cura di), Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile, Franco Angeli, Milano 2017.
Blaser W. (ed. | a cura di), Mies van der Rohe, Zanichelli, Bologna 1991.
Curtis W. J. R., Danys Lasdun. Architecture, City, Landscape, Phaidon, London 1994.
Bologna A., La resistenza di Laugier. Il classicismo di Murcutt, LetteraVentidue, Siracusa 2019. Bonaiti M. (ed. | a cura di), Architettura è. Louis I. Kahn, gli scritti, Electa, Milano 2002. Boschi A., Lanini L., L’architettura della villa moderna. Volume primo. Gli anni della grande sperimentazione, 1900-1940, Quodlibet, Macerata 2016. Boschi A., Lanini L., L’architettura della villa moderna. Volume secondo. Gli anni delle utopie realizzate, 1941-1980, Quodlibet, Macerata 2017. Boschi A., Lanini L., L’architettura della villa moderna. Volume terzo. Gli anni dei linguaggi diffusi, 1981-2018, Quodlibet, Macerata 2018.
D’Onofrio A., Anomalie della norma. Herzog & de Meuron, Edizioni Kappa, Roma 2003. Dal Co F., Abitare nel moderno, Laterza, Roma-Bari 1982. Dal Co F., De Michelis M., Oswald Mathias Ungers. Opera completa (1991-1998), Electa, Milano 1998. Dal Fabbro A., Clorindo Testa. L’architettura animata, Marsilio, Venezia 2003. Davidovici I., Forms of Practice. German-Swiss Architecture 1980-2000, gta Verlag, Zürich 2018.
Bösel R., Zanchettin V. (eds. | a cura di), Adolf Loos 1870-1933. Architettura. Utilità e decoro, Electa, Milano 2006.
Davidovici I., Somers D., Steinmann M., Sergison Bates Architects. Building, edited by | a cura di Wirz H., Quart Verlag GmbH, Luzern 2014.
Bradbury D., New Nordic Houses, Thames & Hudson, London 2019.
Davidson S., Rafailidis G., Process of Creating Space. An Architectural Design Workbook, Routledge, London 2016.
Butini R. (ed. | a cura di), I luoghi dell’abitare. Tham & Videgård Arkitekter, Libria, Melfi 2012. Cacciatore F., Abitare il limite. Dodici case di Aires Mateus & Associados, LetteraVentidue, Siracusa 2009. Cacciatore F., Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Louis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2008. Camesasca E. (ed. | a cura di), Storia della casa, Rizzoli, Milano 1968. Campo Baeza A., La Idea Costruida. La Arquitectura a la Luz de las Palabras, C.O.A.M., Madrid 1998; ed. it. L’idea costruita, LetteraVentidue, Siracusa 2012. Campo Baeza A., Principia Architectonica, Christian Marinotti, Milano 2018.
De Oliveira O., Subtle Substances. The Architecture of Lina Bo Bardi, Romano Guerra Editora Ltda-Editorial Gustavo Gili, São PauloBarcelona 2006. Defilippis F., Lo spazio domestico nel moderno. Variazioni sulle forme storiche dell’abitare, Aión, Firenze 2012. Diderot D., D’Alambert J.-B., Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Le Breton-Durand-Briasson-David, Paris 1751-1772. Di Domenico G., L’idea di recinto. Il recinto come essenza e forma primaria dell’architettura, Officina, Roma 1998. Doumànis O., Architettura greca contemporanea. Guida 1945-1988, Aletheia, Firenze 1990.
Dunster D., Alison + Peter Smithson. The Shift, Academy Editions, London 1982.
Hours V., Mauduit F., Architectural Guide. Chile, DOM Publishers, Berlin 2016.
Durand J.-N.-L., Précis des Leçons d’Architecture, Ecole Polytechnique, Paris 1802-1805.
Iofrida M., Cerrato F., Spreafico A. (eds. | a cura di), Canone Deleuze. La storia della filosofia come divenire del pensiero, Clinamen, Firenze 2008.
Ebner P., Hermann E., Röllbacher R., Kuntscher M., Wietzorrek U., Typology +. Innovative Residential Architecture, Birkhäuser, Basel 2009.
Ippolito L., La villa del Novecento, Firenze University Press, Firenze 2009.
Eisenman P., John Hejduk. 7 houses, The MIT Press, Cambridge Mass.London 1980. Eisenman P., Roman M., Palladio Virtuel, Yale University Press, New Haven 2015. Ejzenštejn S. M., La forma cinematografica, Einaudi, Milano 2003. Elser O., Kurz P., Cachola Schamal P. (ed. | a cura di), SOS Brutalism: A Global Survey, Park Books, Zürich 2017. Emery N., L’architettura difficile. Filosofia del costruire, Christian Marinotti, Milano 2007. Esposito A., Leoni G., Fernando Távora. Opera completa, Electa, Milano 2005.
Irace F. (ed. | a cura di), Storie d’interni. L’architettura dello spazio domestico moderno, Carocci, Roma 2015. Irace F., David Chipperfield, Electa, Milano 2011. Ishigami J., Another Scale of Architecture, Seigensha, Kyoto 2011. Itoh T., Futagawa Y., The Elegant Japanese House: Traditional Sukiya Architecture, Weatherhill, New York 1982. Jameson F., Postmodernism or, The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, Durham 1990. Jodidio P. (ed. | a cura di), Robert Konieczny: KWK Promes, F., Images Publishing Group, Melbourne 2022. Jodidio P., 100 Contemporary Wood Building, Taschen, Köln 2015.
Espuelas F., El Claro en el Bosque. Reflexiones Sobre el Vacío en Arquitectura, Fundación Caja de Arquitectos, Barcelona 1999; ed. it. Il vuoto. Riflessioni sullo spazio in architettura, Christian Marinotti, Milano 2004.
Jodidio P., Chipperfield, edited by | a cura di Kobler F., Taschen, Köln 2015.
Farrell T., Furman A. N., Revisiting Postmodernism, RIBA Publishing, London 2017.
Landsberger M. (ed. | a cura di), Laboratorio sull’abitare. Progettare la casa e lo spazio della città, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2016.
Fernández Per A., As Built. Caruso St John Architects, a+t architecture publishers, Vitoria-Gasteiz 2005.
Lauri T. (ed. | a cura di), Tham & Videgård Arkitekter, con saggi di | with essays by Ibelings H., Long K., Arvinius + Orfeus Publishing, Stockholm 2009.
Foti F., Il paesaggio nella casa. Una riflessione sul rapporto architetturapaesaggio, LetteraVentidue, Siracusa 2009. Frampton K., Richard Meier, Electa, Milano 2003. Fretton T., Building and their Territories, Birkhäuser, Basel 2013. Fretton T., Progetti per l’arte. Tony Fretton Architects, a cura di | edited by Labella A., Libria, Melfi 2010. Fretton T., Tony Fretton Architects. The Aedibus International no. 5, edited by | a cura di Vermeulen P., Quart Verlag GmbH, Luzern 2010. Fretton T., Tony Fretton, edited by | a cura di Turnbull D., Editorial Gustavo Gili, Barcelona 1995.
Kunze L. (ed. | a cura di), Wespi De Meuron Romeo, Publisher Deutscher Architektur Verlag, Münster 2020.
Le Corbusier, Vers une Architecture, Èditions Crès et Cie, Paris 1923; ed. it. Verso una architettura, a cura di | edited by Cerri P., Nicolin P., Longanesi, Milano 1973. Leatherbarrow D., Uncommon Ground. Architecture, Technology and Topography, The MIT Press, Cambridge Mass. 2000. Linton T., Out of the Real. Tham & Videgärd Arkitekter, Birkhäuser, Basel 2010. Lloyd N., A History of the English House from Primitive Times to the Victorian Period, The Architectural Press, London-New York 1931.
Fretton T., Zumthor P., Diener R., Das Haus, gta Verlag, Zürich 2010.
Loos A., Ins Leere Gesprochen 1897-1900, Verlag Der Sturm, Berlin 1921; ed. it. Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972.
Garfield S., On the Map. Why the world looks the way it does, Profile Books, London 2013; ed. it. Sulle Mappe. Il mondo come lo disegniamo, TEA, Milano 2018.
Lucan J., Composition, Non-Composition: Architecture et Théories, XIXeXXe siècles, Presses Polytechniques et Universitaires Romandes - PPUR, Lausanne 2009.
George R. M. (ed. | a cura di), Burning Down the House: Recycling Domesticity, Westview Press, Boulder 1998.
Lucan J., Valerio Olgiati. Projects 2009-2017, Simonett & Baer, Basel 2018.
Giedion S., Space, Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1941; ed. it. Spazio, Tempo ed Architettura. Lo sviluppo di una nuova tradizione, a cura di | edited by Labó E., Labó M., Hoepli, Milano 1954.
Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 1978-1988. Das Gesamtwerk, Band 1, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1997; ed. en. Herzog & de Meuron 1978-1988. The Complete Works, Volume 1, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1997.
Giurgola R., Mehta J. (eds. | a cura di), Louis I. Kahn, Zanichelli, Bologna 1981.
Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 1989-1991. Das Gesamtwerk, Band 2, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1996; ed. en. Herzog & de Meuron 1989-1991. The Complete Works, Volume 2, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1996.
Goad P., Carter E. (eds. | a cura di), Sean Godsell. Houses, Thames & Hudson, London 2019. Grasso Cannizzo M. G., Loose Ends, edited by | a cura di Marini S., Lars Müller Publishers, Baden 2014. Grasso Cannizzo M. G., Vuoto attivo, Libria, Melfi 2011. Gregotti V., Dentro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino 1991. Guell X., Nys R. (eds. | a cura di), David Chipperfield, introduction by | con introduzione di Frampton K., Editorial Gustavo Gili, Barcelona 1992. Gutiérrez R., Arquitectura y Urbanismo en Iberoamerica, Ediciones Cátedra, Madrid 1983. Hartoonian G., Crisis of the Object: The Architecture of Theatricality, Routledge, New York 2006. Hilberseimer L., Mies van der Rohe, Paul Theobald and Company, Chicago 1954; ed. it. Mies van der Rohe, a cura di | edited by Monestiroli A., CLUP, Milano 1984.
Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 1992-1996. Das Gesamtwerk, Band 3, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2000; ed. en. Herzog & de Meuron 1992-1996. The Complete Works, Volume 3, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2000. Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 1997-2001. Das Gesamtwerk, Band 4, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2008; ed. en. Herzog & de Meuron 1997-2001. The Complete Works, Volume 4, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2008. Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 2002-2004. Das Gesamtwerk, Band 5, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2020; ed. en. Herzog & de Meuron 2002-2004. The Complete Works, Volume 5, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2020. Mack G. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron 2005-2007. Das Gesamtwerk, Band 6, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2018; ed. en. Herzog & de Meuron 2005-2007. The Complete Works, Volume 6, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 2018.
Malfona L., Building the Landscape. Residential Pavilions in the Roman Countryside, LetteraVentidue, Siracusa 2018.
Picon A., French Architects and Engineers in the Age of Enlightenment, Cambridge University Press, Cambridge Mass. 1992.
Malfona L., Residentialism. A Suburban Archipelago, Actar Publishers, New York 2021.
Picone A. (ed. | a cura di), Culture mediterranee dell’abitare, Clean, Napoli 2016.
Marini S., Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città, Quodlibet, Macerata 2008.
Pisani D., Paulo Mendes da Rocha. Tutte le opere, Electa, Milano 2013.
Marini S., Corbellini G. (eds. | a cura di), Recycled Theory: Dizionario illustrato / Illustrated Dictionary, Quodlibet, Macerata 2016. Marini S., Nuove Terre. Architetture e paesaggi dello scarto, Quodlibet, Macerata 2010. Marini S., Sull’autore. Le foreste di cristallo di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Quodlibet, Macerata 2017. Marino L., Aris Konstantinidis. Un caso greco tra tradizione e modernità, Aión, Firenze 2008.
Pivetta M., Libera, una città simile, DidaPress, Firenze 2017. Plinio il Giovane, 50 Lettere, a cura di | edited by Vannini G., Mondadori, Milano 2019. Powers A., Modern. The Modern Movement in Britain, Merrell, London 2007. Providência P., Architectonica Percepta. Texts and images 1989-2015, Park Books, Zürich 2016. Purini F., Comporre l’architettura, Laterza, Roma-Bari 2000.
Martí Arís C., Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, a cura di | edited by De Benedetti M., CittàStudi, Milano 1990.
Quaroni L., Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Mazzotta, Milano 1977.
Martí Arís C., Silencios Elocuentes. Borges, Mies van der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza, UPC, Barcelona 1999; ed. it. Silenzi eloquenti. Borges, Mies van der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza, Christian Marinotti, Milano 2002.
Quatremère de Quincy A., Dictionnarie Historique d’Architecture, Librairie d’Adrien Le Clere et Cie, Paris 1832.
Maxwell R. (ed. | a cura di), Stirling. Scritti di architettura, Skira, Milano 1998. Messina B., Spazi domestici del XX secolo, LetteraVentidue, Siracusa 2008. Moneo R., L’altra modernità. Considerazioni sul futuro dell’architettura, a cura di | edited by Medina Díez C., Pierini O. S., Christian Marinotti, Milano 2012. Monestiroli A., In compagnia di Palladio, LetteraVentidue, Siracusa 2013. Monestiroli A., L’architettura della realtà, Allemandi, Torino 1979. Monestiroli A., La metopa e il triglifo. Nove lezioni di architettura, Laterza, Roma-Bari 2002. Montaner J. M., Despues del Movimiento Moderno. Arquitectura de la Segunda Mitad del Siglo XX, Editorial Gustavo Gili, Barcelona 1995; ed. it. Dopo il movimento moderno. L’architettura della seconda metà del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1996. Morris A., John Pawson. Plain Space, Phaidon, London 2010.
Quatremère de Quincy A., L’Encyclopédie méthodique ou par ordre de matières par une société de gens de lettres, de savants et d’artistes; précédée d’un Vocabulaire universel, servant de Table pour tout l’Ouvrage, ornée des Portraits de MM. Diderot et d’Alambert, premiers Éditeurs de l’Encyclopédie, Panckoucke, Paris 1782-1832. Renna A., L’illusione e i cristalli. Immagini di architettura per una terra di provincia, CLEAR, Roma 1980. Riley T., Reed P. (eds. | a cura di), Frank Lloyd Wright. 1867-1959, Electa, Milano 2003. Robbe-Grillet A., For a New Novel. Essays on Fiction, Northwestern University Press, Evanston 1989. Rocca A., Lo spazio smontabile, LetteraVentidue, Siracusa 2017. Rogers E. N., Esperienza dell’architettura, Einaudi, Torino 1957. Rossi A., L’architettura della città, Marsilio, Padova 1966. Rothman T., Ordinary and Extraordinary: Brooks + Scarpa, Artifice Press, London 2018. Russo A., Vuoto & progetto, LetteraVentidue, Siracusa 2018.
Morse E. S., La casa giapponese, Rizzoli, Milano 1994.
Salter P., Bates S., Sergsion J., Brick-Work. Thinking and Making: Sergison Bates Architects, gta Verlag - ETH Zürich, Zürich 2007.
Mosco V. P., Nuda architettura, Skira, Milano 2012.
Scelsi V., Opera analogica, Sagep, Genova 2017.
Muthesius H., Das Englische Haus. Entwicklung, Bedingungen, Anlage, Aufbau, Einrichtung und Innenraum, Verlag Bei Ernst Wasmuth Verlag, Berlin 1908-1911.
Scully V. Jr., Architettura moderna, George Brazziler, New York 1967.
Muthesius S., The English Terraced House, Yale University Press, New Haven-London 1982. Nesbitt K. (ed. | a cura di), Theorizing a New Agenda for Architecture. An Anthology of Architectural Theory 1965-1995, Princeton Architectural Press, New York 1997. Neumeyer F., Mies van der Rohe. Le architetture, gli scritti, a cura di | edited by Caja M., De Benedetti M., Skira, Milano 1997. Norberg-Schulz C., L’abitare. L’insediamento, lo spazio urbano, la casa, Electa, Milano 1984. Nuvolari F., Hortus Conclusus, Mazzotta, Milano 1986. Oechslin W., Palladianesimo. Teoria e Prassi, Arsenale, Verona 2006. Olgiati V., Non-Referential Architecture, edited by | a cura di Breitschmid M., Park Books, Zürich 2019. Olgiati V., The Images of Architects, Quart Verlag GmbH, Luzern 2013. Olgiati V., Villa Alem, Simonett & Baer, Basel 2015. Perec G., Espèces d’Espaces, Galilèe, Paris 1974; ed. it. Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 2004. Petranzan M., Neri G. (eds. | a cura di), Franco Purini. La città uguale. Scritti scelti sulla città e il progetto urbano dal 1966 al 2004, Il Poligrafo, Padova 2004.
Semerani L. (ed. | a cura di), La Casa. Forme e ragioni dell’abitare, Skira, Milano 2008. Semerani L., Gallo A., Lina Bo Bardi, il diritto al brutto e il SESC-Fàbrica da Pompéia, Clean, Napoli 2012. Sergison J., Inside/Outside, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 2009. Sergison J., Teaching/Practice, edited by | a cura di Davidovici I., Park Books, Zürich 2018. Severino E., La filosofia dei greci al nostro tempo. La filosofia antica e medioevale, Rizzoli, Milano 2004. Sorrentino F., Oswald Mathias Ungers. L’Uno e il Molteplice, Clean, Napoli 2017. Stalder L. (ed. | a cura di), Valerio Olgiati, Buchhandlung Walther König, Köln 2008. Tafuri M., Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Milano 1986. Tafuri M., Teorie e storia dell’architettura, Laterza, Bari 1968. Taut B., Ich Liebe Die Japanische Kultur, Gebr. Mann Verlag, Berlin 2004. Távora F., O Problema da Casa Portuguesa, Cadernos de Arquitectura, Lisboa 1947. Teodori M., Architettura e città in Gran Bretagna. Pianificazione urbanistica e interventi edilizi nelle città inglesi degli ultimi cento anni, Cappelli, Bologna 1967.
Teyssot G. (ed. | a cura di), Il progetto domestico. La casa dell’uomo: archetipi e prototipi. XVII Triennale di Milano, Electa, Milano 1986.
Chimenti C., La casa indossata. La cultura dell’abitare nel secondo dopoguerra, in “Parametro”, no. 127, pp. 14-40.
Teyssot G., Paesaggio d’interni. Interior Landscape. Quaderni di Lotus, Electa, Milano 1987.
Citation J., House in the Hills by Sean Godsell Architects, in “Architecture Australia”, 2019 National Architecture Award, November | novembre 2019, p. 59.
Tham B., Videgård M., The Operative Elements of Architecture, Publisher Bokforlaget Arena, Malmö 2014. Tonon C. (ed. | a cura di), L’architettura di Aires Mateus, con un saggio di | with an essay by Cacciatore F., Electa, Milano 2011. Tonon C., Ville in Portogallo, Electa, Milano 2010.
Cornoldi A., Caratteri costruttivi e normativi nella tipologia edilizia, in “Parametro”, no. 82, pp. 20-25. Crespi G. (ed. | a cura di), Profilo Felipe Assadi, in “Casabella”, no. 892, 2018, pp. 62-91.
Trevisiol R., Una Modernità eterna, Alinea, Firenze 1999.
Dal Co F., Sean Godsell. Casa sulla costa, Victoria, in “Casabella”, no. 886, pp. 70-81.
Tschumi B., Architecture and Disjunction, The MIT Press, Cambridge Mass.-London 1994.
Frampton K., Evoluzione del concetto di abitazione, in “Lotus International”, no. 10, 1975, pp. 24-33.
Turrini D., Alberto Campo Baeza. Pietra, luce, tempo, Libria, Melfi 2010.
Gregotti V., I terreni della tipologia, in “Casabella”, no. 509-510, 1985, pp. 4-7.
Turrini D., Manuel Aires Mateus. Un tempio per gli Dei di pietra, Libria, Melfi 2011. Ungers O. M., Architettura come Tema, Architecture as Theme, Lotus, Milano 1982. Ursprung P. (ed. | a cura di), Herzog & de Meuron. Natural History, CCA Lars Müller Publishers, Montréal-Baden 2002. Uspensky B., Principles of Structural Typology, Mouton De Gruyter, Berlin 1968. Van der Rohe L. M., Ludwig Mies van der Rohe, gli scritti e le parole, a cura di | edited by Pizzigoni V., Einaudi, Torino 2010.
Jackson N., The Japanese House: Architecture and Life after 1945, in “a+u”, no. 77, 2017, pp. 80-82. Locci M., Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, in “Architectural Design”, no. 75, 2007, pp. 64-67. Magnani F., Sean Godsell Architects, Casa nelle colline, Victoria, Australia, in “Casabella”, no. 899-900, 2019, pp. 34-49. Magni C., In un giardino a Dublino. Contrasti e Opposti, in “Casabella”, no. 895, 2019, pp. 52-61.
Venezia F., Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Electa, Milano 2011.
McCormack S., Peckham A., Question of Authenticity: Brickwork and “Found Space”, in “ARQ. Architectural Research Quarterly”, no. 15(2), 2011, pp. 105-118.
Vidotto M., Alison + Peter Smithson. Obras y Projectos, Works and Projects, Editorial Gustavo Gili, Barcelona 1997.
Norberg-Schulz C., La casa e il movimento moderno. The Dwelling and the Modern Movement, in “Lotus International”, no. 9, 1975, pp. 28-37.
Vincenti M. (ed. | a cura di), Tony Fretton. Linguaggio, materia e percezione dell’architettura, Alinea, Firenze 2009.
Oshima Tadashi K., Optical Glass House, Hiroshi Nakamura & NAP, in “The Architectural Review”, 23 novembre | November 2012, www. architectural-review.com, accessed | consultato 19/03/2020.
Visconti F., Capozzi R., Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare, Clean, Napoli 2019. Vitale S., Atlas. Cartografie dell’esperienza, Clinamen, Firenze 2013. Vitta M., Dell’abitare. Corpi, spazi, oggetti, immagini, Einaudi, Torino 2008. Wenders W., The Act of Seeing. Text and Conversations, Faber & Faber, Londra 1997. Wilfried W., Jacques Herzog & Pierre de Meuron, Editorial Gustavo Gili, Barcelona 2000. Wirz H., Markus Wespi Jérôme de Meuron, Quart Verlag GmbH, Luzern 2008. Wright F. L., Le stampe giapponesi, una interpretazione, Electa, Milano 2008.
Pallasmaa J., Tham & Videgård Arkitekter, in “El Croquis”, no. 188, 2017, pp. 210-223. Pireddu A., La casa sognata, in “Firenze Architettura”, no. 1, 2015, pp. 44-51. Pivetta M., TALLER | Mauricio Rocha + Gabriela Carrillo. Un tessuto, una facciata, due corti, in “Firenze Architettura”, no. 2, 2019, pp. 28-35. Reichlin B., Tipo e tradizione del moderno. Type and tradition of the Modern, in “Casabella”, no. 509-510, 1985, pp. 32-39. Rocca A., È l’architettura che salva la città, in “Fuoco Amico”, no. 01 Nuovo Cinema Maestoso, ottobre | October 2014, pp. 7-23. Rykwert J., Un modo di concepire la casa, in “Lotus International”, no. 8, 1974, pp. 38-41.
Zevi B., Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1953.
S.n., Brick House, London, in “AV Monographs”, no. 115, 2005, pp. 134137.
Zumtor P., Thinking Architecture, Lars Müller Publishers, Zürich 1998; ed. it. Pensare Architettura, Electa, Milano 2003.
S.n., He, She & It, in “Domus Web”, 10 marzo | March 2016, www. domusweb.it, consultato | accessed 13/12/2019.
Saggi / Essays
Seixas Lopes D., Speaking in Tongues: the Return of Typological Studies, “Teaching through Design”, FCTUC Coimbra, September | settembre 2012.
AA.VV., Residence in Hiroshima, in “Detail”, no. 2, 2013, pp. 157-161. AA.VV., Transparency, Translucence - Developments in Construction Materials, in “Detail”, no. 1, 2013, pp. 174-182. Ackermann J. S., Il paradigma della villa, in “Casabella”, no. 509-510, 1985, pp. 60-61. Boudet D., Brick House, Londres, in “Le Moniteur Architecture-amc”, no. 153, 2005, pp. 60-65. Brislin P., The problem of scale, in “Architectural Design”, no. 82, 2012, pp. 116-121. Cacciari M., Un ordine che esclude la legge, “Casabella”, no. 498-499, 1984, pp. 14-15. Campo Baeza A., Architectura sine luce, nulla architectura est, in “Domus”, no. 760, 1994, pp. 86-88.
Sergison Bates architects, Casa di riposo, Huise-Zingem 2005–11, in “Casabella”, no. 834, 2014, p. 14. Sergison Bates architects, Edificio residenziale e asilo nido in Rue Rousseau, Ginevra 2006–11, in “Casabella”, no. 834, 2014, pp. 17-19. Sergison Bates architects, Padiglione in un giardino privato, Merenworth 2008–11, in “Casabella”, no. 834, 2014, p. 15. Sergison Bates architects, Progetto per una casa-torre, Nutley 2011, in “Casabella”, no. 834, 2014, p. 16. Sergison Bates architects, Restauro della casa Upper Lawn, Fonthill Estate, Tisbury, Wiltshire, 1959-62, in “Casabella”, no. 834, 2014, p. 20. Teyssot G., Imparare ad abitare, in “Parametro”, no. 127, 1984, pp. 8-12. Vidler A., The Idea of Type: The Transformation of the Academic Ideal, 1750-1830, in “Oppositions”, no. 8, 1977, pp. 95-115.
C Van Eyck A., Ten Opinions on the Type, in “Casabella”, no. 509-510, 1985, p. 112. Von Fischer S., Versteinertes Zelt/Fortified Tent, in “Werk, Bauen & Wohnen”, April | aprile 2006, pp. 36-43.
“El Croquis”, no. 166 - Caruso St John 1993-2013. Forma y Resistencia. Form and Resistance, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2013.
Woods B., Brick House, in “ORIS”, vol. 8, no. 40, 2006, pp. 76-86.
“El Croquis”, no. 174-175 - David Chipperfield 2010-2014. Figura y Abstracción. Figure and Abstraction, edited by | a cura di Cecilia Márquez F., Levene R., edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2014.
Riviste / Magazines
“El Croquis”, no. 186 - Aires Mateus 2011-2016. En el Corazon del Tiempo. At the Heart of Time, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2016.
“2G. International Architecture Review”, no. 34 - Sergison Bates, 2005. “2G. International Architecture Review”, no. 44 - Smiljan Radic, 2007. “2G. International Architecture Review”, no. 46 - Tony Fretton, edited by | a cura di Sato A., Cousins M., Steinman A., 2008. “A.Mag”, no. 09 - Jonathan Woolf - Sergison Bates, 2016. “A.Mag”, no. 20 - Tony Fretton Architects, 2020. “A.Mag”, no. 21 - Wespi De Meuron Romeo Architects, 2020. “ARC. Rassegna dei dottorati italiani in progettazione architettonica e urbana”, no. 6, 2000. “Arquitectura Viva”, no. 219 - Valerio Olgiati. Poetics of Gravity, 2008. “AV Monographs”, no. 191-192 - David Chipperfield 1984-2009, 2008. “AV Monographs”, no. 225 - Aires Mateus, 2020. “AV Monographs”, no. 236 - Alberto Campo Baeza. Lyrical Longing, 2021. “AV Monographs”, no. 77 - Herzog & de Meuron 1980-2000, 1999. “Casabella”, no. 509-510 - I terreni della tipologia, 1985. “Casabella”, no. 810 - Gli antipodi dell’abitare, 2012. “Casabella”, no. 834 - Super Normal, 2012. “Detail”, David Chipperfield Architects: Erweiterte Neuauflage, edited by | a cura di Hofmeister S., 2019. “Domus”, no. 612, 1980. “El Croquis”, David Chipperfield 1991-1997, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 1998. “El Croquis”, no. 109-110 - Herzog & De Meuron 1998-2002. The Nature of Artifice. La Naturaleza del Artificio, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2002. “El Croquis”, no. 120 - David Chipperfield 1998-2004. Minimalismo Denso. Dense Minimalism, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2004. “El Croquis”, no. 127 - John Pawson 1995-2005. Pausa para Pensar. Pause for Thought, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2005. “El Croquis”, no. 129-130 - Herzog & De Meuron 2002-2006. Monumento e Intimidad. The Monumental and the Intimate, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2006. “El Croquis”, no. 150 - David Chipperfield 2006-2010. Conciliatión de Contrarios. Conciliations of Opposities, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2010. “El Croquis”, no. 152-153 - Herzog & De Meuron 2005-2010. Programa, Monumento, Paisaje. Program, Monument, Landscape, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2010. “El Croquis”, no. 154 - Aires Mateus 2002-2011. Construir el molde del espacio. Building the mould of space, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2011. “El Croquis”, no. 156- Valerio Olgiati 1996-2011. Afinadas Discordancias. Harmonized Discordanices, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2011. “El Croquis”, no. 158 - John Pawson 2006-2011. La Voz de la Mateira. The Voice of Matter, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2011. “El Croquis”, no. 163-164 - Glenn Murcutt 1980-2012. Plumas de Metal. Feathers of Metal, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2012. “El Croquis”, no. 165 - Sean Godsell 1997-2013. Ruda Sutileza. Tough Subtlety, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2013.
“El Croquis”, no. 187 - Sergison Bates architects 2004-2016. Tolerancia y Precision, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2016. “El Croquis”, no. 188 – Tham & Videgärd. 2005-2017. Dualidades y Singualaridades. Dualities and Singularities, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2017. “El Croquis”, no. 201 - Caruso St John 2013-2019. La Cualidad Fisica del Espacio. The Physical Quality of Space, edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2013. “El Croquis”, no. 60+84 - Herzog & De Meuron 1981-2000. Entre el Rostro y el Paisaje. La Astucia de la Cosmética. Between the Face and the Landscape. The Cunning of Cosmetics., edited by | a cura di Márquez Cecilia F., Levene R., 2005. “JA. The Japan Architect”, no. 114 - Hiroshi Nakamura & NAP, 2019. “Werk, Bauen & Wohnen”, no. 5 - Sergison Bates architects, 2005.
CREDITI/ACKNOWLEDGEMENTS Hanno collaborato alla ricerca attraverso idee e disegni:/ Through ideas and drawings, the team that took part to the research:
Collaboratori/ Collaborators
Studenti/ Students
Vincenzo Moschetti
Matteo Batistini
Carla Meringolo
Lapo Fuochi
Lorenzo Dalle Luche
Anna Miotti
Giampiero Germino
Alessia Fausto
Elisa Moncini
Fabio Gnassi
Margherita Franchi
Claudia Naldoni
Alessandro Guidi
Vanni Frassoni
Giada Paciotti
Giulia Miniaci
Rebecca Gallo
Myriam Palma
Laura Mucciolo
Giulia Lina Gentile
Francesca Paoli
Andrea Guazzoni
Edoardo Pieroni
Giulia Hu
Matteo Polignano
Gianluca Ippoliti
Luigi Rastiello
Sevda Khanlou
Lavinia Remer
Alessia La Novara
Giulia Righi
Jacopo Lazzerini
Jurgen Rina
Leonardo Lepore
Alessia Saracino
Martina Liboriano
Leonardo Solenne
Maria Greta Libri
Rachele Spagnolo
Elena Maffei
Caterina Stefanelli
Klejvi Mallunxa
Lidia Talarico
Filippo Mani
Emanuele Tottone
Olivier Mannari
Adelaide Tremori
Filippo Marchionni
Nicola Urbani
Ermelinda Marinella
Giovanni Zaccaria
Simona Masini
© 2022 ISBN 978-88-3338-156-5
€ 30,00