Spopolamento e turistificazione nelle Aree Interne italiane

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lorenzo conoscenti

Spopolamento e turistificazione nelle Aree Interne italiane Il caso studio di Pienza e il progetto di un nuovo centro civico



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Si riconosce la dignità di pubblicazione per la capacità di affrontare con originalità la complessità del tema, attraverso un approccio interdisciplinare e multiscalare”. Commissione: Proff. R. Bologna, C. Piferi, N. Cognome, F. M. G.Lorusso, M. Fagone, M. Carta, G. Ranocchiai, L. Dipasquale

Ringraziamenti Desidero rigraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro. Ringrazio il Professor Claudio Piferi e il Professor Massimo Carta, che mi hanno permesso di svolgere questo percorso con la massima libertà e la massima disponibilità. Ringrazio l'Arch. Massimo Mariani, che mi ha seguito in ogni fase di questo progetto e che non mi fa mancare supporto e fiducia sin dal primo anno di studi. Ringrazio i miei nonni e i miei genitori, perchè è grazie ai loro sforzi, alla loro esperienza e ai loro consigli se ho potuto intraprendere e portare a termine questo percorso di studi. Ringrazio mia sorella Francesca, per avermi insegnato determinazione e solarità. Ringrazio Ettore, per l'amicizia fraterna, la cura quotidiana e l'aiuto fondamentale anche in questo percorso di tesi, condotto parallelamente.

in copertina Luciano Fabro, L’Italia, 1968, Lugano, MASI. Deposito da collezione privata. Courtesy MASI, Lugano

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2023 ISBN 978-88-3338-205-0

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


lorenzo conoscenti

Spopolamento e turistificazione nelle Aree Interne italiane Il caso studio di Pienza e il progetto di un nuovo centro civico



Presentazione

Il progetto di architettura deve essere in grado di assumere una centralità importante nel quadro sociopolitico del sistema territoriale italiano soprattutto nelle realtà urbane minori e potenzialmente fragili. Un sistema costantemente sotto stress, caratterizzato da mutamenti prevalentemente socioeconomici che ne indeboliscono l’identità e, conseguentemente, l’attrattività. I borghi storici delle aree interne del nostro Paese, così come le città d’arte, subiscono oramai da molto tempo processi di turistificazione incontrollata con conseguente spopolamento: un cambio deciso delle proprie prestazioni in relazione a una nuova utenza prevalente. Il progetto come strumento di programmazione strategica a livello territoriale, urbano ed edilizio, è in grado di far dialogare lo sviluppo dei luoghi con aspetti storici e conservativi, valorizzando la quotidianità della vita contemporanea. Un contesto le cui dinamiche si sono rapidamente evolute nel corso della seconda metà del Novecento, determinando un sistema eterogeneo e complesso, per il quale si rendono necessarie molteplici e trasversali competenze. Un dibattito ricorrente in cui la ricerca progettuale affronta indirizzi qui ancora più attuali a fronte della situazione di emergenza globale e del rinnovato interesse per i luoghi aperti. L’evoluzione della tesi ha assunto così i connotati di una “sfida” in grado di racchiudere conoscenze ed esperienze assimilate lungo il percorso di studi a supporto di un approccio investigativo verso un caso esemplificativo, sotto molteplici punti di vista, e nel rispetto delle gerarchie del progetto. L’interesse per la “Città ideale” di Pienza e il sistema territoriale in cui insiste ha permesso così di sviluppare una proposta progettuale dal carattere interdisciplinare e multiscalare: fattori premianti che hanno caratterizzato il lavoro di tesi attraverso una struttura metodologica originale. Una linea tecnologica della progettazione che mantiene fissa la logica sistemica tracciando un metaprogetto infrastrutturale per il potenziamento logistico dei flussi turistici, uno schema urbano policentrico, uno spazio civico e collettivo a destinazione mista per l’interazione culturale. Un modello di saperi aperto e replicabile nei molteplici contesti del Paese.

Claudio Piferi e Massimo Mariani Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Introduzione

pagina precedente Nebbia in Val d'orcia (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino)

"Città e campagna sono indissolubilmente legate. Oggi questo rapporto rende necessarioun governo del territorio che comprenda entrambe in uno stesso sistema. Facendo leva su solidarietà e responsabilità, poi, si potrà recuperare ciò che la globalizzazione ha spezzato." (E. Morin, 2022) La tesi proposta affronta il tema delle dinamiche di spopolamento e turistificazione nelle Aree Interne italiane, attraverso l’utilizzo di un caso studio ritenuto rappresentativo delle tematiche generali, ovvero la 'città ideale' di Pienza. Questa è scelta per il suo essere idea di città fatta pietra e quindi paradigma, per sua stessa natura fondativa, di una “visione umanistica del mondo” (Pieper, 1979). Pienza è scelta anche e soprattutto per la sua odierna spirale di spopolamento, che ha visto più che dimezzare la popolazione residente rispetto ai dati del 1951, antecedenti all’esodo rurale, a fronte di numeri del settore turistico in costante ascesa e paragonabili a quelli delle più famose città d’arte italiane, se rapportati alla popolazione locale. Olin et al. in Past is prologue: Pienza, Italy evidenziano così queste criticità: "Un sito patrimonio mondiale dell’Umanità ha un’economia che prospera per tre mesi in estate e fatica per il

resto dell’anno. I giovani, come altrove in Italia, ricevono un’ottima istruzione, ma poi lasciano la città, la regione e spesso il Paese per trovare lavoro. Alcuni prodotti dell’agricoltura locale sono famosi a livello mondiale e molto ricercati […], ma una generale scarsità di altre attività economiche, […]i problemi dovuti all’insieme di edifici storici, le minacce a lungo termine del cambiamento climatico […] – tutto ciò pone problemi di pianificazione e progettazione. " (Olin et al.,2019, 27) Pienza è quindi proposta come emblema del destino delle Aree Interne italiane, custodi di un enorme patrimonio storico, culturale e paesaggistico, ma frettolosamente dimenticate nella corsa all’urbanizzazione del secolo scorso e oggi consegnate, nei casi più fortunati, che non vedono un definitivo abbandono, al consumo turistico, considerato da molte amministrazioni come unica possibile chiave di sviluppo. Ciò accade, nonostante la monosettorialità turistica e il poco lungimirante benessere economico indotto da questa finiscano per indebolire ulteriormente la tenuta sociale delle già fragili comunità di queste aree. La cornice socioeconomica delle trasformazioni demografiche italiane del Novecento, dall’esodo rurale degli anni ‘50 alla suburbanizzazione dei pri-

mi duemila, e l’immagine di un’Italia fortemente polarizzata, rarefatta, nei suoi centri urbani principali, su cui impattano oggi i grandi numeri dell’industria turistica, fanno quindi da sfondo al lavoro di tesi, che cerca di affrontare tali tematiche generali attraverso la progettazione e gli strumenti propri della disciplina architettonica, non senza contatti con altre discipline, come la sociologia, l’economia o la statistica. Il tutto secondo uno spirito multidisciplinare, che fa dell’"inversione dello sguardo" (De Rossi, 2020), dalle Aree Interne verso le città, la chiave di un nuovo sviluppo territoriale possibile, metro-rurale e simbiotico tra organismi urbani e territori periferici, che assegna alle Aree Interne la capacità di soddisfare la domanda di spazio conseguente alla crisi del paradigma urbano convenzionale, in essere già da molto tempo e resa a tutti visibile dalla crisi pandemica da Covid-19. Dopo una breve analisi che aiuti a visualizzare le dinamiche di spopolamento e di turistificazione in generale per il sistema Italia e in particolare per il caso studio pientino, si procede quindi con l’elaborazione per il territorio in esame di una proposta di strategia territoriale (primo livello progettuale) che, attraverso il potenziamento infrastrutturale e la connessione alle vie lente di fruizione del paesaggio, possa

contribuire alla diffusione e diluizione dei flussi turistici (spillover), riducendo così la pressione turistica localizzata e utilizzando l’utenza turistica come mezzo di sostenibilità economica per una ritrovata accessibilità infrastrutturale alle aree più periferiche, in un’ottica riabitativa e in uno spirito simbiotico dei territori tra loro e dei residenti con i turisti. Dalla strategia territoriale (vie lente, diffusione e destagionalizzazione dei flussi turistici), discendono gli interventi proposti dalla strategia a scala urbana per Pienza (secondo livello progettuale), che segna quindi la traduzione degli stessi concetti alla dimensione del centro abitato. Nel quadro degli interventi proposti dal masterplan si inserisce poi il progetto del nuovo centro civico (terzo livello progettuale), esplorato dal concept architettonico sino al dettaglio tecnologico, che si propone come punto di incontro e spazio di autenticità (D’Eramo,2017) per turisti e residenti, mediante un mix funzionale che integra ufficio turistico, biblioteca comunale, spazi di coworking, caffè letterario, piazza pubblica e percorrenze urbane e che fornisce ai residenti, ai residenti temporanei e ai turisti di Pienza degli spazi comuni di vita quotidiana, oggi sempre più negati e ridotti dalla monocultura turistica.



La cornice socioeconomica: spopolamento, turistificazione e la nuova questione territoriale


% Superficie nazionale aree marginali (60%) aree urbanizzate(40%)

Popolazione residente sul tot in aree marginali (22%) in aree urbanizzate (78%)


Lo spopolamento in Italia

pagina precedente Fig. 5. L'immagine convenzionale del sistema Italia ereditata dalle trasformazioni socioeconomiche del 'Secolo breve': aree urbanizzate e aree marginali (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

Il lungo ‘800

L'eredità del 'Secolo breve': il quadro territoriale odierno L’immagine convenzionale che si ha nel pensare al Sistema Italia e all’organizzazione del territorio italiano è sicuramente quella delle sue città, a buon diritto famose nel mondo e nell’immaginario collettivo dei cittadini italiani. Disseminate lungo la penisola e così diverse tra loro, frutto di storie e dominazioni eterogene nel corso dei secoli, le città italiane sono, nella visione collettiva, il motore economico del Paese, ovvero quei luoghi ricchi di opportunità, dove le cose accadono costantemente e soprattutto velocemente. Oggi le principali città italiane sono anche collegate tra loro da una rete ferroviaria Alta Velocità che ne abbatte le distanze e i tempi di percorrenza. Si tratta ovviamente di una innovazione fondamentale per il Paese, che oltre a garantire rapidità e sviluppo, aiuta a rendere il treno un fondamentale e sostenibile mezzo di trasporto per le lunghe distanze in sostituzione dell’aereo. Tuttavia, l’assenza di una rete ferroviaria minore altrettanto sviluppata ed efficiente fa sì che la velocità guadagnata con l’AV non corrisponda semplicemente ad un annullamento delle distanze e dei tempi di percorrenza, ma anche ad una riduzione della consapevolezza geografica ai soli punti di stazione della nuova linea: Milano,

1914

L’età della catastrofe

Bologna e Roma, o anche Reggio Emilia AV e Firenze, con il treno 'meno veloce'. "La velocità che ci consentono i mezzi di locomozione industriali ci porta a “saltare” lo spazio, a superare quasi senza vederlo il paesaggio perché ciò che conta è andare da un luogo all’altro perdendo di vista quello che sta in mezzo" (Turri E., 1998). Ecco quindi che all’interno di un generalizzato senso di mancanza di tempo indotto dalla velocità a cui siamo abituati, la 'carestia di tempo' (Rosa,2015), si verifica la perdita della capacità più importante del pensare: la memoria (P. Pileri, 2020). "C’è un legame stretto tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio. […] Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio (M. Kundera, 1995). Ciò che più spesso si dimentica rispetto all’immagine territoriale ereditata dal secolo scorso, nella frenesia e nella smemoratezza contemporanea, relegandolo al ruolo di attrattiva del loisir domenicale, è proprio il territorio nel quale i centri urbani principali sono immersi, custode di un secolare rapporto tra città e suo intorno, oggi inter-

1951

L’età dell’oro

1971

1991

La frana

rotto. Si dimenticano così circa la metà dei comuni italiani (52%) che risultano in aree marginali del territorio e anche gli oltre 13 milioni di persone che li abitano, su una popolazione italiana totale di 59,2 milioni di abitanti al 2019. Ne emerge quindi un’immagine convenzionalmente accettata di un’Italia fortemente polarizzata nei suoi centri urbani principali, che è il frutto delle trasformazioni socioeconomiche, culturali e delle scelte politiche susseguitesi dal Secondo Dopoguerra in poi. Una storia, quante storie: scansione temporale e matrice delle principali dinamiche sociali Per comprendere la natura dell’immagine prima proposta, ovvero l’identificazione dell’Italia con i suoi centri urbani principali, è necessario provare a comprendere la storia dei fenomeni che l’hanno prodotta. È quindi innanzitutto utile adottare una scansione temporale di riferimento in cui collocare tali fenomeni, individuata in quella proposta dallo storico Eric J. Hobsbawm attraverso la definizione di Novecento come 'Secolo breve', ovvero di un “corto” Novecento che fino al 1914 presneta caratteristiche assimilabili a quelle del 'lungo' Ottocento, per poi divenire in modo rapido e tumultuoso attraverso le tre età codificate da Hobsbawm (età della catastrofe,

Verso il Terzo Millenio

età dell’oro e frana) alla sua prematura fine nel 1991, lasciando così spazio al principio del terzo millennio. Tale scansione temporale aiuta a comprendere come le più significative trasformazioni sociali, economiche e culturali che hanno portato alla configurazione attuale del mondo occidentale, siano avvenute in modo particolarmente tumultuoso rispetto alle epoche storiche precedenti, in un arco di tempo ridotto e spesso in mancanza di una progettualità o visione di insieme, guidate piuttosto dalle iniziative private e accelerate dal fermento degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e dalla “pace fredda” provocata dal clima di tensione USA-URSS. I fenomeni che hanno portato al quadro territoriale italiano attuale sono infatti molteplici, complessi, tutti interdipendenti e contemporanei tra loro, e pertanto di difficile concettualizzazione, ma, in estrema sintesi, semplificabili nella matrice sopra riportata . I fenomeni in questione sono quindi riconducibili alle dinamiche di spopolamento, migrazione, urbanizzazione e sviluppo industriale che hanno interessato il Paese dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino alle prime due decadi degli anni duemila. sopra Fig. 6. Scansione temporale del 'Secolo breve' secondo lo storico E. Hobsbawn (L.Conoscenti, elaborato di tesi)


1881-1930 circa 1930-1950 circa

1950-1969 circa decenni ‘70-’80-’90 del 1900

primi 2000

SPOPOLAMENTO

MIGRAZIONI

Primi cedimenti dell’equilibrio socioeconomico della montagna

Mobilità stagionale rurale e transumanza

Crisi della montagna e resistenza del tessuto socioeconomico della collina italiana

Mobilità stagionale rurale, migrazioni temporanee verso i centri urbani o all’estero con forti legami economici e sociali con i territori d’origine La collina cede ESODO RURALE: Italia attraalla tensione versata da spostamenti verso urbana del Boom la città, con massiccia economico direttrice dal Sud al Nord-Ovest Definitivo scolla- Amplificazione delle diretmento tra città e trici verso tutto il Centerritori tro-Nord, deboli movimenti periferici, sotto verso la montagna dal 1981 la spinta della globalizzazione Territorio del margine in completo abbandono, asistematici fenomeni di riappropriazione

In particolare il momento più significativo ed emblematico delle tendenze che si vogliono mettere in luce è quello del cosiddetto 'esodo rurale', fenomeno migratorio interno degli anni ’50-‘60 che segna il definitivo spopolamento, non più delle sole terre alte, ma anche delle aree collinari o delle campagne pianeggianti, in favore di un trasferimento verso i centri urbani, sia grandi città che piccole realtà di provincia, che crescono esponenzialmente sotto la spinta dello sviluppo industriale e della nascita dei grandi impianti fordisti nelle principali realtà urbane. Il territorio viene quindi a poco a poco rarefatto, prosciugato dall’attrattività dei poli urbani che vedono aumentare costantemente la propria popolazione e a pagarne il prezzo sono soprattutto le campagne, con la definitiva rottura del patto mezzadrile (L 756 15/9/1964) che per secoli ne aveva garantito stretto controllo e manutenzione. Il trasferimento del carico demografico a valle, verso le aree costiere ed urbanizzate, la cosiddetta 'polpa' dell’Italia , sovraccarica i sistemi

Intensi afflussi di migrazioni straniere con movimenti diversificati sul territorio nazionale, prima verso i grandi centri urbani, poi (dopo 2008) verso campagne e aree marginali

di valle, lasciando incustodito e in abbandono l’'osso', ovvero l’interno della penisola, la sua struttura portante, che non garantisce più protezione dai rischi idrogeologici e che non contribuisce più allo sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.1 Sintesi delle dinamiche di spopolamento in Italia Il primo tassello che innesca la rottura del secolare mosaico territoriale italiano è quindi la frattura innescata dalla modernizzazione di fine Ottocento-primi Novecento, che sgretola la tenuta dell’economia montana, quella alpina di sussistenza basata sulla pluriattività e quella appenninica fondata sul pendolarismo del pascolo transumante, ovvero entrambe costituite da migrazioni interne e temporanee tra i territori, come rilevato già nel 1932-1938 dal primo grande studio di inchiesta pubblica sulle aree marginali condotto in Italia da parte dell’Istituto “L’Italia dell’'osso'. Uno sguardo di lungo periodo” di Piero Bevilacqua in “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”, a cura di Antonio De Rossi, 2020, p. 111 e segg

SVILUPPO INDUSTRIALE

URBANIZZAZIONE

Espansione oltre la parte murata Seconda rivoluzione industriale e suoi effetti e consolidamento delle piccole, medie e grandi città nel periodo post unitario Crescita omogenea di tutti i Forte sviluppo del tessuto principali centri urbani in artigianale stretto legame al rispettivo tere manifatturiero ritorio di insistenza; raddoppio a valle di piccole città

Forte polarizzazione del territorio nei principali centri urbani in crestita esponenziale, con nascita di periferie e conurbazioni di la logica funzionalista

Consolidamento della campagna urbanizzata intorno alle città e primi fenomeni di abbandono e dismissioni di un patrimonio edilizio sovrabbondante e privo di qualità, frutto di una espansione tumultuosa, priva di disegno Nelle città dominano tensioni sociali, congestione e problemi ambientali. I centri storici vengono privati della loro vitalità, a consumo dei turisti, sotto la spinta centrifuga dell’urbanizzazione residenziale incontrollata dei decenni precedenti

Manifattura diffusa con mercati locali su tutto il territorio e sviluppo di grandi fabbriche “fordiste”nelle maggiori città Superamento della fabbrica fordista in favore di un capitalismo spontaneo, incentrato sui “distretti industriali”: reti di imprese in uno stesso territorio Forze disgregatrici della globalizzazione e la Grande recessione del 2008 favoriscono la fine della logica distrettuale, con preminenza di singole “medie imprese multinazionali” facenti parte di “catene globali del valore”

nazionale di Economia agraria (Inea) in otto volumi riguardo lo Spopolamento montano in Italia2. È dunque la montagna, l’area che con il massiccio delle Alpi e la dorsale appenninica copre il 35% del territorio nazionale, a mostrare segni di cedimento e di frattura dei suoi equilibri economici, sociali, demografici, ambientali. […] superato il primo quarto di secolo (Novecento), appaiono evidenti gli esiti ormai prolungati di una emigrazione che non è più stagionale e temporanea, ma è diventata permanente. Gli uomini, soprattutto i giovani e comunque figure in età da lavoro, non ritornano più. Nei paesi rimangono in prevalenza le donne, anche se non dappertutto, i vecchi e i bambini. E di bambini ne nascono sempre meno, perché vieppiù ridotto è il numero dei matrimoni, che peraltro tendono a celebrarsi in età avanzata. […] A sgretolare il sistema sono in realtà fenomeni del tutto inediti, che solo in piccola parte riguarda-

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no direttamente la montagna. Essi si svolgono al contrario in aree spazialmente lontane dai luoghi in cui finiscono per avere effetti negativi. E si tratta di profonde dinamiche di trasformazione economica e di modernizzazione territoriale (P. Bevilacqua, 2020)3. La montagna alpina è infatti messa in crisi dal vasto processo di sviluppo industriale che interessa il triangolo territoriale Milano-Torino-Genova e gran parte della pianura padana tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, mentre la montagna appenninica paga un altro vasto processo di riorganizzazione territoriale, iniziato in modo saltuario negli anni post unitari, proseguito nel primo decennio del Novecento e concluso durante il ventennio fascista, ovvero le bonifiche delle Maremme e delle pianure costiere tirreniche e adriatiche, che per secoli erano state polo di destinazione e di ripartenza della ciclica economia pendolare appenninica basata sulle vie di tran“L’Italia dell’'osso'. Uno sguardo di lungo periodo” di Piero Bevilacqua in “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”, a cura di Antonio De Rossi, 2020, pp. 111-114 3

Inea, Lo spopolamento montano in Italia. Indagine geografico-economico-agraria, Roma 19321938, 8 voll. 2


pagina precedente Matrice delle principali trasformazioni socioeconomiche del Novecento: Spopolamento, Migrazioni, Urbanizzazione e Sviluppo industriale (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

sumanza. Tuttavia, nonostante l’incrinarsi del sistema economico – sociale montano, la compagine territoriale italiana non collassa almeno fino al Secondo Dopoguerra, grazie alla tenuta del patto mezzadrile. un formidabile baluardo sociale, che dura da quattro o cinque secoli […] che prevede la divisione più o meno paritaria delle derrate tra proprietario e colono, e la presenza di quest’ultimo, con la sua famiglia all’interno del podere. […] la collina, pur con i suoi molteplici incastri sistemici, con la genialità delle sue soluzioni tecniche, con le mirabili forme del paesaggio agrario –che ha fatto dell’agricoltura italiana un patrimonio estetico spesso di incomparabile bellezza-, nulla può di fronte alle forme dello sviluppo che a partire dagli anni cinquanta cambia il volto dell’intero Paese (P.Bevilacqua, 2020)4. Dagli anni cinquanta, con il Boom economico e lo sviluppo industriale, infatti la collina viene definitivamente travolta e resa obsoleta nel suo meccanismo

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Ivi pp. 117,118

di sussistenza rispetto ai guadagni del lavoro di fabbrica e dei centri urbani, in concomitanza con un’emigrazione sempre più sostenuta e permanente, non più solo verso l’estero, come tradizionalmente avveniva dalla metà del secolo precedente, ma con grandi flussi interni al Paese, verticali dal Sud verso il Nord e orizzontali dalle campagne alle grandi città e ai centri urbani di riferimento dei singoli territori. La definitiva rottura degli equilibri territoriali italiani avviene poi negli ultimi due decenni del Novecento, con i processi di destrutturazione della 'società liquida' e delle logiche di mercato: "Nell'epoca in cui vince l'ideologia barbarica […] secondo cui i liberi appetiti del mercato debbono governare le dinamiche dei territori, le disuguaglianze finiscono col lacerare anche i luoghi, le

regioni, gli spazi, le geografie" (P.Bevilacqua, 2020).5 Molti Stati hanno ad oggi rinunciato alle politiche keynesiane di governo delle economie, limitandosi a creare entro i propri confini condizioni attrattive per i capitali esteri, che quindi si orientano verso iterritori già infrastrutturati e pronti ad accoglierli, rafforzandoli e indebolendo le aree storicamente più fragili: un circolo vizioso alla base della desertificazione economica di aree interne e Mezzoggiorno, e della congestione di valli e coste, che danneggia l'intera economia italiana, in termini di perdita del patrimonio materiale secolare delle aree interne e di mancata cura territoriale.

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Sintesi dei processi di urbanizzazione e di urbanizzazione diffusa tra Ottocento, Novecento e Terzo Millennio Parallelamente alle dinamiche di spopolamento fin qui esposte e sommariamente ripercorse nella loro evoluzione storica, avviene un altro processo strettamente legato allo spopolamento e all’emigrazione rurale, ovvero quello dell’urbanizzazione. Tanto più infatti le montagne e le colline si depauperavano dei propri residenti, quanto i centri urbani si andavano 'gonfiando' per accogliere il carico demografico di nuovi residenti in cerca di opportunità lavorative all’interno delle fabbriche nate sotto la spinta industriale. La storia insediativa dell’Italia unitaria è quella di un paese precocemente urbanizzato attraverso 13 una rete di piccole,


medie e grandi città (policentrismo diffuso) che rimane sostanzialmente stabile tra il Cinquecento, epoca di consolidamento della maggior parte dei centri urbani, fino alla metà dell’Ottocento. A partire da questi primi decenni post unitari infatti alcune città subiscono dei processi di accrescimento alla luce di tre fattori principali: 1. la riorganizzazione della rete amministrativa della nuova macchina statale dell’Italia unita; 2. lo sviluppo della nuova rete ferroviaria, che stimola i processi di raddoppio a valle dei centri urbani storici posti in altura; 3. lo sviluppo industriale, stimolato dai processi di bonifica dei fondivalle e delle pianure costiere, oltre al rafforzamento delle storiche direttrici della Pianura Padana: la via Emilia e la direttrice Torino-Milano-Venezia. (Lanzani,Zanfi, 2020)6. Successivamente, con il passare dei “L’avvento dell’urbanizzazione diffusa: crescita accelerata e nuove fragilità” di Arturo Lanzani e Federico Zanfi in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, pp.123-140. 6

decenni, le dinamiche di urbanizzazione subiscono una decisa accelerazione proprio in conseguenza al progressivo collasso delle economie montane e alto collinari prima esposto. Inizialmente, in una prima fase, l’urbanizzazione colpisce tutti i centri urbani, anche e soprattutto quelli collocati in prossimità delle campagne in via di spopolamento, in modo piuttosto proporzionale alla dimensione del centro urbano preesistente. A partire invece dalla fine degli anni venti, per tutti gli anni trenta, e poi in modo ancora più marcato negli anni cinquanta, dopo la pausa del conflitto mondiale, la crescita urbana tende a polarizzarsi sempre più, investendo in modo tumultuoso poche grandi città: Milano, Roma, Torino, Genova e in misura minore Napoli.7 Le città, sotto la pressione di nuovi residenti lavoratori e la conseguente richiesta di abitazioni e attività commerciali, vive un forte processo di espansione edilizia, con gravi episodi speculativi in quasi tutte le realtà ur-

bane, che vede la nascita di un patrimonio edilizio basato sull’uso del calcestruzzo armato e su tipologie edilizie nuove rispetto all’edificato storico delle città o all’edilizia rurale convenzionale: si diffondono case monofamiliari di prima abitazione, case bi-plurifamiliari, capannoni produttivi, depositi, piccole infrastrutture al servizio dello sviluppo industriale e soprattutto condomini residenziali dotati di spazi commerciali8, che vengono realizzati secondo logiche speculative e autoreferenziali, spesso prive (ad eccezione dei piani INA casa) di progettualità o visione di inserimento nei tessuti urbani preesistenti o nelle campagne, che vengono progressivamente invase dalle nascenti periferie. È quindi questa l’epoca storica in cui l’urbanizzazione si fa diffusa, per così dire 'sparpagliata', secondo quella che è la terminologia anglosassone dell’urban sprawl, assecondando i desideri di una popolazione con possibilità economi“Il costruito, tra abbandoni e riusi” di Francesco Curci e Federico Zanfi in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, pp. 207-231 8

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che via via maggiori, che ambisce allo spazio di una casa individuale, spesso organizzata in lottizzazioni di iniziativa privata lungo le direttrici e i filamenti delle vie di comunicazione urbane e accompagnata dal capannone per attività produttive piccolo industriali o artigianali. Al netto dei fenomeni speculativi e dell’abusivismo che in tanta parte del Paese hanno accompagnato tali espansioni edilizie, è la stessa tendenza alla personalizzazione insita nel desiderio dell’abitazione o dello spazio produttivo privati che assorbe gli sforzi economici dell’iniziativa privata e relega lo spazio pubblico alla banalità e all’incuria di lacerti dimenticati dal taglio dei lotti edificati, che, in abbinamento alla scarsa qualità dell’edilizia stessa e alla sua rapida obsolescenza in relazione alle tecniche costruttive, producono una delle maggiori criticità degli spazi urbani contemporanei. Questi vedono inoltre la mancanza di attrezzature collettive promosse dall’iniziativa pubblica, che risultano totalmente assenti nelle realtà urbane del Sud Italia e solo in parte più diffu-


pagina precedente Didascalia pagina corrente Giovani a Podere (U. Bindi, Gruppo Fotografico Pientino)

se al Nord, almeno sino a tutti gli anni ottanta9. Proprio negli ultimi decenni del Novecento, in concomitanza con politiche di recupero dei centri storici e di patrimonializzazione dei monumenti che vedono un aumento dei prezzi nei centri cittadini, ma anche in virtù della sempre maggiore ricerca di spazio disponibile, non tanto per una popolazione crescente, quanto per una popolazione economicamente più sviluppata sempre più dedita al consumo, si assiste ad un processo di decentramento selettivo o suburbanizzazione, che espelle gli abitanti delle città verso l’esterno, alla ricerca di una maggiore disponibilità di spazio edificabile a costi più bassi. Nascono quindi gli hinterland, o cinture urbane, intorno alle città, frutto del progressivo saldarsi dei centri abitati minori che ruotano come satelliti intorno ai centri maggiori e frutto dell’occupazione dei suo“L’avvento dell’urbanizzazione diffusa: crescita accelerata e nuove fragilità” di Arturo Lanzani e Federico Zanfi in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, pp.123-140. 9

li agricoli adesso in dismissione, dando così origine al fenomeno della 'campagna urbanizzata'. Si tratta di uno 'spazio intermedio' che della città ha perso la sua urbanità e l’articolazione interna fisica e sociale in grado di generare dinamiche autopropulsive (Lanzani,Zanfi, 2020)10, e che della campagna ha ormai dimenticato le dinamiche, i ritmi e la capacità di cura e manutenzione del territorio, relegando gli spazi di naturalità o i residui agricoli a lacerti in abbandono all’interno di un continuum urbanizzato. Tale tendenza alla suburbanizzazione rimane in essere fino ai primi anni del Terzo Millennio, ponendosi come quella dinamica destinata a protrarsi nell’immediato futuro, come chiave

dello sviluppo urbano del nostro Paese, così come di tutti i paesi sviluppati della compagine occidentale. A interrompere questa certezza interviene però la crisi economica del 2008 che apre la cosiddetta Grande Recessione. La crisi, che colpisce soprattutto gli istituiti di credito e conseguentemente la capacità di erogazione dei finanziamenti al ceto medio, principale attore dei fenomeni di suburbanizzazione, accelera quindi l’entrata in crisi dello 'spazio intermedio', che, come detto, non è provvisto dei sistemi di resilienza né della città, né delle aree rurali, e provoca la definitiva perdita di attrattività e di valore di questi sistemi. Quest’ultima condizione si ritrova soprattutto laddove l’urbanizzazione non

ha inglobato piccoli e medi centri dotati di sufficiente complessità urbana, oppure dove – come nel Mezzogiorno- si è costruita quasi esclusivamente di case, priva di spazi di lavoro e di commercio, in forme abusive e carenti di urbanizzazioni di base. D’altra parte, è nelle forme più spazialmente allargate che tale modello di urbanizzazione -totalmente dipendente dall’automobile, gran consumatore di tempi di spostamento e con una rete infrastrutturale enormemente dilata e di costosa manutenzione- inizia a farsi sempre più problematico (Lanzani, Zanfi,2020)11. La problematicità di questo modello di sviluppo, rispondente alle logiche di consumo della società liquida e capitalista, già segnalata dalla

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crisi economica del 2008 e dal successivo decennio di Grande recessione, emerge in modo ancora più vigoroso dopo la crisi pandemica del 2020, che attraverso le restrizioni e il lockdown ha avuto la forza mediatica e comunicativa di mettere sotto gli occhi della comunità occidentale tutta l’inadeguatezza del paradigma urbano convenzionale, frutto delle tumultuose trasformazioni del Novecento e troppo spesso guidato da una forte componente di iniziativa privata e dalle logiche di mercato, piuttosto che da un’attenta progettualità pubblica in grado di costruire urbanità e quindi comunità. Proprio la mancanza di spazio aperto che garantisse possibilità di socialità compatibilmente alle restrizioni sanitarie, ma anche l’introduzione massiccia del telelavoro e un nuovo senso del tempo nel modo di percorrere e vivere le città, hanno quindi fatto volgere lo sguardo alla ricerca di nuove frontiere dell’abitare, di un nuovo paradigma urbano, che potrebbe trovare risposta nell’enorme patrimonio custodito dalle aree marginali e sino ad og-

gi dimenticato da una visione strettamente urbanocentrica12. Breve sintesi dello sviluppo imprenditoriale italiano in relazione alle dinamiche territoriali Altra storia parallela allo spopolamento delle terre alte e alla conseguente crescita dell’urbanizzazione è quella, ad esse strettamente connessa, dello sviluppo economico, di cui la teoria economica dominante, almeno fino agli anni settanta del Novecento, si è occupata in modo piuttosto marginale in termini di distribuzione spaziale dei processi di sviluppo e di diffusione imprenditoriale. Nella tradizionale teoria della localizzazione prevale una rappresentazione fisico-metrica dello spazio, che risulta privo di differenze e specificità geografiche, in grado di influenzare le scelte localizzative delle attività economiche, a parte i costi di trasporto connessi alla distanza fisica tra produzione e consu-

mo (D.Cersosimo et al., 2020)13. L’estraneità della dimensione territoriale nelle logiche aziendali è infatti evidente tanto nello sviluppo delle unità produttive più minute, che, in misura chiaramente maggiore, nella logica delle grandi industrie fordiste. In Italia in particolare, nei primi anni del Secondo Dopoguerra, vige ancora una struttura sociale rurale, caratterizzata da una produzione manifatturiera fortemente diffusa nel territorio, frammentata e dispersa, la cui natura localizzativa era basata sulla prossimità al consumatore finale, che ricalca il modello di sviluppo urbano policentrico tipicamente italiano. Città e campagne erano popolate da pulviscoli di fabbri, falegnami, sarti, ciabattini, tappezzieri, magliai, frantoiani, focalizzati sui bisogni elementari delle popolazioni. Era dunque la domanda locale a condizionare rigidamente le 'strategie' localizzative del“Gli imprenditori e i luoghi: scenari in movimento” di Domenico Cersosimo, Antonella Rita Ferrara, Rosanna Nisticò in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, pp. 253-269 13

“La città in era (post) covid: tra tendenze centrifughe e cambiamenti funzionali” di Chiara Agnoletti, Claudia Ferretti, Patrizia Lattarulo e Leonardo Piccini, IRPET Regione Toscana, marzo 2022 12

le imprese, che nascevano evidentemente già localizzate nel luogo di vita dell’imprenditore (D.Cersosimo et al., 2020)14. Progressivamente però, questo rapporto territoriale spontaneo e particolarmente stretto, tipico della manifattura italiana, inizia ad incrinarsi nel momento in cui si viene a formare un mercato nazionale e nel momento in cui l’Italia si consolida all’interno della compagine economica europea, con l’introduzione delle grandi fabbriche fordiste. La fabbrica fordista è costituzionalmente 'sradicata', programmaticamente estranea ai luoghi di insediamento: efficienza e competitività sono risolte 'altrove', nei suoi recinti impenetrabili e nella one best way degli algoritmi dell’ottimizzazione tecnologica (D.Cersosimo et al., 2020)15. Tale ordine fordista entra però in crisi a partire dagli anni settanta, a causa della scarsa capacità di adattamento delle grandi fabbriche ai repenti14 15

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pagina precedente Copertina del piano regolatore della Val d'Aosta pagina corrente Ivrea, fabbriche Olivetti con Alpi sullo sfondo (Getty Images)

ni cambiamenti dei modelli di consumo: al capitalismo gerarchico del primo ventennio post bellico si va quindi sostituendo un capitalismo più spontaneo, molecolare, con un forte senso di appartenenza comunitario e più vicino al DNA territoriale italiano. Sono gli anni della piccola e media impresa che torna a fiorire in virtù della sua capacità resiliente e della sua flessibilità nell’adattarsi ai mutamenti del consumatore, organizzate in reticoli produttivi territorialmente addensati, i distretti, che riescono a competere con le grandi aziende degli altri paesi. Nell’ultima parte degli anni settanta avviene quindi, a partire dalla la concettualizzazione di 'distretto industriale' di Alfred Marshall (1920), una riflessione sempre più profonda sul rapporto territori e industria, da parte del gruppo di studiosi italiani composto da Giacomo Becattini, Sebastiano Brusco e Arnaldo Bagnasco (1975), secondo i quali lo spazio geografico non è più semplice contenitore fisico-metrico, ma “una costruzione storica economico-relazionale in cui società, tra-

dizioni, appartenenza e coscienza collettiva giocano un ruolo fondamentale non solo per la vita delle persone che vi risiedono ma anche per lo sviluppo economico” (Becattini et al.,1975). I prodotti italiani sono quindi, nella fase dei distretti e ancora oggi, in simbiosi con i territori in cui vengono portati alla luce, in simbiosi con le popolazioni locali e con i loro secolari savoir-faire che sono la base del made in Italy. Con l’avvento del nuovo millennio tuttavia, i distretti italiani subiscono un duro contraccolpo a causa delle forze disgregatrici di una globalizzazione sempre più aggressiva e a causa della sempre più forte finanziarizzazione dell’economia, che si discosta dalle produzioni reali. Nonostante questo i distretti hanno saputo adattar-

si, trasformarsi per resistere a questo impatto, con la formazione di imprese leader più forti di altre che vengono riassorbite o eliminate dal sistema e con approvvigionamenti che fuoriescono dai confini del distretto per dirigersi verso paesi emergenti, secondo le logiche della globalizzazione. La comparsa delle imprese leader indebolisce però l’'effetto distretto' e il suo rapporto con il territorio, messo ancora più in crisi dalla combinazione della globalizzazione e delle sue catene globali del valore (spacchettamento e frantumazione dei cicli produttivi in varie aree del mondo) con la Grande Recessione, che impone la sopravvivenza delle sole imprese leader che sono in grado di 'multinazionalizzarsi' sempre più (media impresa multinazionale), rinunciando al loro lega-

me territoriale. Così come l’urbanizzazione di inizio millennio si arena contro la crisi economica del 2008, mettendo in discussione il modello di suburbanizzazione e tracciando un grande punto interrogativo sul destino delle aree suburbane, contemporaneamente le nuove tecnologie digitali della cosiddetta 'quarta rivoluzione industriale' o 'Industria 4.0' emergono nel momento in cui l’incrinarsi della logica distrettuale apre nuovi interrogativi sulla tenuta del rapporto produzione-territori-occupazione, che le nuove tecnologie potrebbero contribuire a riaccentrare o ad allentare definitivamente16. La sensazione di chi scrive, in questo complesso rapporto produzioni-territori, è quella secondo cui a

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pagina precedente Chiesa di Cosona in abbandono (Pienza) (R.Massai, Gruppo fotografico pientino) pagina precedente Famiglia contadina in Val d'Orcia (R.Massai, Gruppo fotografico pientino)

prescindere dalle mutevoli iniziative private che inseguono le logiche di mercato, il compito del decisore pubblico e quindi della pianificazione territoriale sia quello della scelta: scegliere quali assetti strategici tutelare, riorganizzare i territori e le loro infrastrutture affinché vi siano i presupposti necessari allo sviluppo economico e all’insediamento delle realtà produttive non può essere conseguenza delle decisioni delle singole imprese, ma deve essere frutto di una precisa strategia che abbia come obbiettivo la sinergia tra abitanti e occupati di un territorio. Breve sintesi delle dinamiche di migrazione interna e esterna L’Italia sin dalla sua Unità conosce molte forme di mobilità territoriale interna, alcune delle quali si sono mantenute sino ad oggi. Innanzitutto vi è la mobilità rurale, che vede una 'mobilità stagionale in ambito agricolo', legata all’andamento dei raccolti e ai cicli vitali delle specie coltivate, ma anche una 'migrazione rurale stanziale' legata i processi di bonifica che si sono susseguiti a partire dai primi del Novecento (M.Colucci,2020)17. Nel ciclo di riforme varato dai governi centristi nei primi anni cinquanta, dob“Antichi percorsi, nuove mobilità: le migrazioni interne” di Michele Colucci in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, pp. 317-332 17

biamo infatti ricordare la riforma agraria. […] Nella Maremma tosco-laziale, nella Sila calabrese, nel Delta padano, nella Piana del Fucino abruzzese, in alcune zone della Sicilia tale spostamento ebbe a tuti gli effetti la valenza di una migrazione interna verso le campagne, proprio negli anni in cui a livello nazionale riprendeva vigore in maniera eccezionale la migrazione verso i centri urbani (M.Colucci,2020). Altra tipologia di mobilità interna è quella legata allo spopolamento montano, prima inteso come mobilità stagionale temporanea e poi trasformatosi in un vero e proprio abbandono delle aree montane in prima istanza e successivamente nell’esodo rurale, che costituisce un’emorragia ininterrotta delle campagne dal 1951 sino al 1981, anno del censimento che vede per la prima volta dopo trent’anni un’inversione di tendenza e una debole riappropriazione delle aree montane da parte di emigranti di ritorno, per via dello sviluppo turistico o dello sviluppo industriale che in parte interessano queste aree. Simmetrica all’esodo ru-

rale e sua conseguenza è poi la mobilità riconducibile ai fenomeni di urbanizzazione già citati: movimenti verticali dal Sud al Centro-Nord verso le grandi città industriali (negli anni del boom si stimano oltre 4 milioni di persone in movimento dal Sud18) e movimenti orizzontali dalle campagne alle aree urbane più prossime, a tutte le latitudini della penisola. Negli ultimi trent’anni del Novecento e nei primi duemila la configurazione della mobilità interna ha invece molto a che fare con la mobilità in entrata da paesi in via di sviluppo: sono proprio i migranti stranieri in entrata a muoversi spesso sul territorio italiano con maggiore frequenza rispetto ai cittadini italiani e lungo direttrici di spostamento più corte. In particolare dopo il 2008 e le conseguenze della crisi, i migranti stranieri hanno cambiato le proprie destinazioni di spostamento dalle grandi città produttive – laddove il senso di 'congestione sociale' o di 'as-

sedio'19(Membretti, Ravazzoli,2020) risulta maggiore nei confronti dello 'straniero', del 'profugo' – verso le città medio piccole e le campagne del sud Italia, in cui vi è maggiore richiesta di manodopera agricola; ma anche verso le aree montane appenniniche, ormai spopolate di italiani. Proprio la disponibilità di spazio in quelle terre alte abbanonate ormai da decenni dai cittadini italiani dovrebbe far riflettere su possibili modalità di riappropriazione di questi territori, anche mediante il ripopolamento da parte di cittadini stranieri interessati alle risorse di queste aree.

“Immigrazione straniera e neo-popolamento delle terre alte” di Andrea Membretti ed Elisa Ravazzoli in Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. A cura di Antonio De Rossi, 2020, p. 19

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pagina precedente Ponte crollato sull'Orcia Sp 18, principale arteria di collegamento della Val d'Orcia con l'Amiata (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino)

Una nuova questione territoriale e il 'problema generazionale' Il quadro descritto dalla matrice dei fenomeni sopra riportata (spopolamento, migrazioni, urbanizzazione e sviluppo industriale) e le brevi sintesi di questi fenomeni nell’Italia post-unitaria ripercorse nei precedenti pragrafi, fanno emergere con forza un’eredità del 'Secolo breve' particolarmente complessa, frutto dell’intrecciarsi di fenomeni complessi, tra loro tutti contemporanei ed interdipendenti. Tale eredità territoriale vede quindi la gran parte del territorio nazionale in spopolamento o definitivo abbandono (montagne e colline), una forte polarizzazione dei centri urbani, spesso tramutati in grandi conurbazioni allargatesi a macchia d’olio fagocitando campagne e territorio, e uno spazio intermedio, esito dei processi di suburbanizzazione, che sembra aver perso ogni sua destinazione e valore sociale ed economico alla luce della Grande Recessione e della crisi dei distretti manifatturieri tipici dell’economia italiana. Ancor più evidente con la crisi pandemica da Covid-19 del 2020, il tramonto del paradigma urbano convenzionale e la necessaria elaborazione di una nuova strategia abitativa dei territori, impongono alla nuova generazione di architetti, in sinergia con molteplici altre figure professionali, un impegno di cui

La questione territoriale

chi scrive avverte forte la 'responsabilità dell’architetto' (R. Piano,2016) nel tentativo di risolvere la questione territoriale italiana che si configura come un vero e proprio 'problema generazionale', al fine di mitigare le crisi sociali, economiche, ambientali e culturali che affliggono le città contemporanee. La questione territoriale, che l'immagine territoriale odierna del sistema Italia sin qui descritta pone, va infatti al di là della sola ben più nota e annosa 'questione meridionale' e riguarda piuttosto tutto il territorio nazionale, ad ogni latitudine della penisola, dalle Alpi sino alla Sila, lungo la fondamentale direttice poli-aree interne. La realtà territoriale italiana attuale, con la conseguente 'questione' che ne deriva, pone quindi in evidenza un'aperta violazione di quelli che sono i principi su cui si fonda la Repubblica, in particolare i principi di 'uguaglianza formale' e di 'uguaglianza sostanziale' sanciti da primo e secondo comma dell'Art.3 della Costituzione Italiana, che impegnano la Repubblica alla rimozione degli ostacoli che impediscono l'effettivo compimento di tale uguaglianza tra i cittadini. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Costituzione italiana, art.3) Ecco quindi che i circa tredici milioni di cittadini che risiedono nelle aree marginali, seppur distribuiti su una vasta superficie territoriale con una conseguente densità abitativa molto bassa, rappresentano comunque un numero piuttosto consistente sul totale di popolazione nazionale (59 mln): si tratta di persone per le quali raramente vengono concepite politiche e strategie da parte delle istituzioni e per le quali l'accessibilità ai servizi risulta più difficoltosa, per non parlare di quella al mondo del lavoro che è inevitabilmente più complessa, per la sola motivazione di essere nate in territori più svantaggiati in termini geografici e di capacità di gestione da parte dello Stato.

Una Italia, quante Italie: la Snai (Strategia Nazionale per le Aree Interne) La citata complessità del quadro territoriale odiern, prodotta dagli altrettanto complessi e interrelati fenomeni socioeconomici che l'hanno generata, necessita quindi di una rappresentazione territoriale da utilizzare come base di lavoro altrettanto complessa e capace di descrivere tutte le specificità e le differenze dei territori. Poco utili alla luce di questa consapevolezza sono infatti i modelli di rappresentazione adottati negli scorsi decenni, ovvero quelli delle Italie 'verticali', come l’Italia dicotomica o le Tre italie, che rispettivamente distinguono il blocco Nord e il blocco delle regioni del Sud o al più i tre macroambiti Nord-Ovest, CentroNord-Est e Sud. Molto più utile è invece la rappresentazione 'orizzontale' operata dalla SNAI, ovvero la Strategia Nazionale per le Aree Interne, sviluppata nel 2014 dall'Agenzia per la Coesione territoriale del Governo Italiano, con l'obiettivo di invertire i trends demografici delle aree interne. Tale classificazione dei comuni italiani in base alla distanza dai centri di erogazione dei servizi, cerca quindi di rappresentare il policentrismo tipicamente italiano e la rete di piccoli e grandi centri urbani strettamente connessi alle campagne che è connaturata allo sviluppo insediativo italiano, e con essi 21


le differenze e le dicotomie territoriali, proprio attraverso una lettura orizzontale del territorio italiano, lungo la direttrice che collega i poli urbani ai territori marginali della zona di riferimento. Una parte preponderante del territorio italiano è caratterizzata da un’organizzazione spaziale fondata su “centri minori”, spesso di piccole dimensioni, che in molti casi sono in grado di garantire ai residenti soltanto una limitata accessibilità ai servizi essenziali. Le specificità di questo territorio possono essere riassunte utilizzando l’espressione “Aree interne”. Le Aree interne italiane possono essere caratterizzate nel seguente modo: a) sono significativamente distanti dai principali centri di offerta di servizi essenziali (istruzione, salute e mobilità); b) dispongono di importanti risorse ambientali (risorse idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere); c) sono un territorio profondamente diversificato, esito delle dinamiche

dei vari e differenziati sistemi naturali e dei peculiari e secolari processi di antropizzazione. Una parte rilevante delle Aree interne ha subito, a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, un processo di marginalizzazione che, innanzitutto, si è manifestato attraverso intensi fenomeni di de-antropizzazione: a) riduzione della popolazione sotto la soglia critica e invecchiamento demografico; b) riduzione dell’occupazione e del grado di utilizzo del capitale territoriale. In secondo luogo, tale processo si è manifestato nella progressiva riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta locale di servizi pubblici, privati e collettivi – i servizi, cioè, che definiscono nella società europea contemporanea la qualità della cittadinanza (Agenzia per la Coesione territoriale, 2014)1. Di seguito l’estratto della Strategia in relazione in relazione alla classificazione dei comuni interni e non: […] L’individuazione delle Aree inter“Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, Accordo di Partenariato 2014-2020, Agenzia per la Coesione territoriale, Governo italiano. 1

ne del Paese parte, dunque, da una lettura policentrica del territorio italiano, cioè un territorio caratterizzato da una rete di comuni o aggregazioni di comuni (centri di offerta di servizi) attorno ai quali gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale. […] Il 'Centro di offerta di servizi' viene individuato come quel comune o aggregato di comuni confinanti, in grado di offrire simultaneamente: tutta l’offerta scolastica secondaria, almeno un ospedale sede di DEA di I livello2 e almeno una stazione ferroviaria di categoria Silver3 . L’introduzione del servizio ferroviario, assieme a due servizi essenziali quali l’istruzione e la salute, si spiega con il valore che la mobilità ferroviaria ha rivestito in questo Paese, L'ospedale sede DEA di I livello rappresenta un’aggregazione funzionale di unità operative che, oltre alle prestazioni fornite dal Pronto Soccorso, garantisce le funzioni di osservazione, breve degenza e di rianimazione e realizza interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, terapia intensiva di cardiologia. Inoltre, assicura le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche, di diagnostica per immagini, e trasfusionali. 3 RFI classifica le stazioni in: PLATINUM (13 grandi impianti); GOLD (103 impianti medio-grandi); SILVER (impianti medio-piccoli); BRONZE (impianti piccoli con bassa frequentazione). 2

nell’ottica del pieno rispetto del diritto alla cittadinanza. Si reputa pertanto fondante la presenza di una stazione ferroviaria di qualità media nella rete dei Centri di offerta di servizi. All’individuazione dei Centri fa seguito la classificazione dei restanti comuni in 4 fasce: aree di cintura; aree intermedie; aree periferiche e aree ultra periferiche. Essa è stata ottenuta sulla base di un indicatore di accessibilità calcolato in termini di minuti di percorrenza rispetto al polo più prossimo (Agenzia per la Coesione territoriale, 2014)4. Le aree interne, sulla base della distanza dal polo più prossimo, vengono quindi classificate in tre tipologie: intermedie (tra 20 e 40 minuti), periferiche (tra 40 e 75 minuti) e ultraperiferiche (oltre i 75 minuti) (metodo DPS, 2013). Nella classificazione comunale operata dalla SNAI esistono poi le aree di cintura con una distanza t<20 min dal polo di riferimento, e i poli stessi.

“Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, Accordo di Partenariato 2014-2020, Agenzia per la Coesione territoriale, Governo italiano. 4


pagina precedente a sx L'Italia dicotomica (L.Conoscenti, elaborato di tesi) a dx Le tre Italie (L.Conoscenti, elaborato di tesi) pagina corrente a sx Classificazione comunale Snai (Conoscenti,Noferi, elaborato di tesi) a dx Comuni italiani classificati come aree interne (Conoscenti,Noferi, elaborato di tesi) in basso a dx L'inversione dello sguardo, dalla visione urbanocentrica a quella metrorurale (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

La Snai è quindi una strategia di sviluppo territoriale innovativa, che stimola la concertazione tra istituzioni locali e sovralocali, integrando risorse comunitarie e ordinarie, e che introduce un metodo rigoroso per la mappatura del territorio, la riorganizzazione dei servizi ai cittadini e il monitoraggio degli interventi. Proprio in virtù di tutte le considerazioni sin qui esposte, la classificazione Snai è accettata come base di riferimento di questo lavoro di tesi, per lla sua capacità di sintesi dell'effettivo

quadro territoriale odierno italiano. La necessaria 'inversione dello sguardo' Accettata la rappresentazione del territorio italiano operata dalla SNAI come più utile classificazione ad oggi disponibile per comprendere le differenze che caratterizzano il territorio in direttrice 'orizzontale', è quindi possibile operare quella che si può definire l’'inversione dello sguardo' (A.De Rossi,2020) lungo tale direttrice orizzontale polo-aree interne, ovvero leggere orizzontalmente il territorio non più

dal punto di vista delle città che si espandono in esso, come sino ad ora è accaduto, ma proprio a partire dalle aree interne ultraperiferiche fino al polo urbano di riferimento, passando per aree interne perfieriche, intermedie e cinture. Il tutto secondo una visione non più metrofila o urbanocentrica, ma al contrario metrorurale e quindi simbiotica tra aree marginali e poli urbani. 'Invertire lo sguardo' rispetto alle tematiche territoriali e alla convenzionale rappresentazione territoriale costituisce un capovolgimento necessario e

preliminare per lo sviluppo di una qualsiasi strategia che voglia affrontare la 'questione territoriale', secondo l'idea fondamentale che: questi luoghi non devono essere luoghi del 'consumo' (di natura, di tradizioni, di turismo ecc.), ma innanzitutto 'territori della produzione': di nuove culture, di innovazioni sociali, di saperi e pratiche tecnorurali, di rinnovati modi di fare welfare e di interagire con l'ambiente (A.De Rossi,2020).

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Età del turismo e turistificazione

pagina precedente Fig. 5. L'immagine convenzionale del sistema Italia ereditata dalle trasformazioni socioeconomiche del 'Secolo breve': aree urbanizzate e aree marginali (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

Il fenomeno turistico Sul quadro territoriale sopra descritto e adesso ben rappresentato dalla classificazione SNAI, oltre ai citati fenomeni di spopolamento, migrazione, urbanizzazione e sviluppo industriale - tutti provenienti dalle dinamiche del secolo scorso e ancora oggi in costante mutamento - che l’hanno prodotto, impatta in modo particolarmente prorompente un altro fenomeno tipico dell’epoca contemporanea, ovvero quello turistico. Il turismo, inteso in senso moderno, è un’invenzione del XIX secolo, che ha conosciuto il suo boom nel corso del Novecento. Nasce infatti con l’abitudine dei nobili europei di effettuare dei viaggi di formazione attraverso il continente, il cosiddetto Grand Tour, alla scoperta delle testimonianze dell’antichità classica sempre più note in seguito alle campagne di scavi archeologici in Italia e Grecia tra Settecento e Ottocento. Nei termini di Bourdieu, quel che Samuel Johnson afferma è che nel Settecento il viaggio in Italia è componente indispensabile del capitale simbolico di una persona comme il faut, perché chi ne è privo è "sempre in stato di inferiorità" […] Un consiglio che veniva instancabilmente dato ai rampolli in procinto di partire era quello di avere sempre un blocco da disegno in cui ritrarre (a tempera o acquarelli) paesaggi o

spettacoli visti in viaggio, per cui i viaggiatori finirono per privilegiare la 'dipingibilità' in quel che osservavano. Da qui il sorgere della categoria di 'pittoresco' (letteralmente ciò che è adatto ad essere dipinto) che diventerà uno dei criteri fondamentali (e poi più derisi) del futuro turismo (M.D'Eramo,2019) Evoluzione del fenomeno turistico Con l’evoluzione dei mezzi di trasporto, sempre più veloci, diffusi ed economicamente accessibili a strati più ampi della popolazione, nel corso dell’Ottocento, di pari passo al consolidamento della borghesia come ceto dominante, anche il turismo diviene un fenomeno più frequente, che esce dalle élites nobiliari, suscitando spesso indignazione per lo svilimento dell’alto valore culturale attribuito sino ad allora al viaggio: "Fin dall’inizio la possibilità di spostamento che i nuovi mezzi di trasporto offrivano astrati sempre più ampi della popolazione fece paventare il degrado del viaggio. Nel numero dell’agosto 1848, un articolo del Blackwood’s Edimburgh Magazine, intitolato Modern Tourism esordiva così: ' I meriti delle ferrovie e della navigazione a vapore sono stati vantati sperticatamente, e noi non vogliamo svilirne i vantaggi. Non c’è dubbio che ci trasportano da città in città con una velocità inimmaginabile per i nostri genitori […]. Senza

dubbio sono davvero convenienti per il viaggiatore che desidera raggiungere l’America in due settimane […]. Ma hanno funestato la nostra generazione con un crudele flagello: hanno coperto l’Europa di turisti…' La ferrovia, scriveva John Ruskin nel 1849, ' trasforma l’uomo da viaggiatore in pacco vivente ' perché il passeggero del treno 'a malapena sa i nomi delle città dove è passato, e solo di sfuggita le riconosce dai campanili delle cattedrali più famose che gli sembrano alberi lungo una strada molto distante' […] È infatti ad allora che risale la distinzione tra viaggiatore e turista, con un significato positivo riservato al primo e negativo al secondo" (M.D'Eramo,2019). Tale disprezzo sociale così diffuso per il turista rispetto al viaggiatore, come spiega Pierre Bordieu (1979), è dovuto al meccanismo tale per cui qualcosa perde di valore nel momento in cui da privilegio di pochi passa ad essere pratica sociale maggioritaria. È infatti questa l’epoca in cui iniziano a diffondersi sempre più guide per turisti, diverse per profilo di turista e per itinerario, in cui ai quaderni di viaggio dei viaggiatori si vanno sostituendo i souvenirs e in cui nasce la cosiddetta 'villeggiatura borghese'.

La stessa trasformazione avvenuta nel corso dell’Ottocento con l’'imborghesimento' del turismo, si ripete poi nel corso del Novecento con la sua 'proletarizzazione': con l’avvento dell’automobile, il boom economico, le ferie pagate e poi la diffusione su larga scala del trasporto ferroviario e aeroportuale, avviene infatti la definitiva trasformazione del turismo in fenomeno di massa e la conversione della villeggiatura borghese in 'vacanza'. L'età del turismo Roma: ad agosto la città deserta traversata solo da frotte di turisti accaldati, assorti nel loro stremante dovere: volti paonazzi, bottiglioni di plastica in mano. Le serrande sono chiuse. I senzatetto occupano le strade dormendovi anche di giorno.aleggia un senso di abbandono, come se un pifferaio di hamelin avesse portato con sé tutti i residenti. Così ci si mostra infine la città turistica nella sua estrema verità: un guscio vuoto, un fondale di teatro (M.D'Eramo,2019). L’età del turismo, termine che indica un fenomeno talmente rappresentativo della nostra epoca al punto da assimilarlo all’intera età contemporanea, sta ad indicare come il turismo sia quel settore che, proprio in virtù della sua massificazione avvenuta nel Novecento, ormai pervade 25


tutti gli altri, causandone un rapporto di dipendenza e relazione; così come si poteva dire lo stesso dell’età del bronzo o dell’età dell’imperialismo, ovvero di quei fenomeni che condizionano per un certo periodo di tempo anche tutti gli altri. Definire l’età del turismo e riconoscerla nell’epoca contemporanea significa infatti individuare, come per ogni età, un inizio e una fine di questo fenomeno. La stessa rapidità di connessione logistica che ha garantito la massificazione del turismo e la nascita dell’industria turistica con i suoi flussi e incassi miliardari è quella che D’Eramo, autore dell’Indagine sull’età del turismo , intravede come probabile concausa della dissoluzione del fenomeno turistico così come siamo abituati a conoscerlo: la rapidità di connessione spinge infatti sempre più a vivere più luoghi in contemporanea. Non si abbandona mai del tutto il luogo di origine dopo un trasferimento, o addirittura si vive da pendolari tra luoghi una volta inimmaginabili a causa delle loro distanze. Ecco quindi che questa multidimensionalità alla quale

è indotto il soggetto contemporaneo è anche la stessa che nella sua capacità di trasporto ormai non condivide più nulla con la lentezza del viaggio originario (M. D'Eramo, 2019). Ciò che però più interessa, al di là delle teorie sull’età del turismo, è l’impatto di un settore economico così pervasivo su tutti gli altri settori e sulla città come organismo fondamentale del vivere dell’uomo. La 'città turistica' è infatti un inedito nella storia delle città, proprio dell’epoca contemporanea o appunto dell' 'età del turismo'. L'industria turistica: il turismo come fenomeno globale e i suoi grandi numeri Il processo di massificazione del turismo, iniziato nel corso del Novecento, è tutt'oggi in costante divenire, in particolare a partire dagli anni duemila, con l'avvento di voli low cost e piattaforme online di locazione turistica. È quindi utile, per comprendere la portata reale di questi fenomeni di così difficile inquadramento, osservare adesso alcuni dati numerici sul turismo. Per

quanto riguarda infatti il peso del turismo nell’economia italiana, è bene ricordare che I servizi turistici fanno capo a un complesso di attività eterogenee, difficilmente circoscrivibili per mezzo delle tradizionali classificazioni settoriali. Una precisa misurazione del peso del turismo nell’economia deve infatti tenere in conto da una parte che non vi è una corrispondenza biunivoca tra le branche di attività economica e i prodotti “caratteristici” del turismo [ad esempio spesso il settore del trasporto turistico offre anche servizi di ristorazione o vendita di prodotti diversi da quelli dello specifico settore trasporti]; dall’altra, che taluni servizi caratteristici del turismo non vengono acquistati esclusivamente dai turisti veri e propri (come, ad esempio, nel caso della ristorazione) [ma anche da viaggiatori per lavoro o da semplici residenti]. Il Conto Satellite del Turismo (CST), pubblicato per l’Italia dall’Istat, è lo strumento statistico utilizzato a livello internazionale per rappresentare il fenomeno del turismo – che in que-

sto studio intendiamo come l’insieme di attività e servizi volti a soddisfare le esigenze di chi (italiano o straniero) si sposta dal suo luogo di abituale residenza per vacanza, lavoro ed altri motivi – in coerenza con la contabilità nazionale, e per misurarne la dimensione economica complessiva. La contabilità satellite sfrutta fonti statistiche di diversa natura per calcolare l’intensità con cui i turisti consumano ciascun prodotto, stimando per questa via il 'contenuto turistico' di ciascun settore. Nel 2015, ultimo anno per cui sono disponibili i dati del CST, in Italia le attività connesse al turismo producevano un valore aggiunto di 88 miliardi di euro, pari al 5,9 per cento del totale (Banca d'Italia, 2019)1. Secondo le stime UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite) “il 2018 è stato il 9° anno consecutivo di crescita sostenuta [del turismo] e il turismo rappresenta ora il 7% delle esportazioni globali, crescendo, negli ultimi sette anni, a un ritmo “Turismo in Italia: numeri e potenziale di sviluppo”, QEF, Luglio 2019, Banca D’Italia, p.17 1


pagina precedente sx Tramonto a Oia, Santorini, Settembre 2018 folla di turisti nel tessuto edilizio storico dx Stazione di Myrdal, Norvegia 2019, esempio di integrazione di flussi turistici e sistemi infrastrutturali in aree isolate

più rapido rispetto alle esportazioni di merci”2 e nel 2019 sono stati superati gli 1,4 miliardi di arrivi turistici internazionali nel mondo, con ben due anni di anticipo rispetto alle previsioni a lungo termine dell’UNWTO, per un totale di entrate delle esportazioni del turismo internazionale pari a 1,5 trilioni di $ di cui ben 256 miliardi di $ solo dati dal trasporto di passeggeri internazionali3. L’Italia, in virtù del suo enorme patrimonio storico, culturale e paesaggistico, costituisce naturalmente una delle destinazioni turistiche più famose e visitate del mondo, collocandosi quarta al mondo per numero di turisti stranieri (65 mln nel 2019) e sesta nella classifica mondiale per entrate da viaggi internazionali (44,3 mld di € nel 2019, pari al 3,4% delle entrate turistiche a livello mondiale). Inoltre l’Italia in tutto l’ultimo decennio detiene il primato mondiale, con numeri in continua crescita, sia per il totale delle strutture ricettive (218.327 strutture al 2019, fonte Eurostat) che per i posti letto (5.175.803 posti letto al 2019, fonte Eurostat). Bisogna inoltre ricordare che si tratta di numeri fortemente al ribasso, proprio in virtù dei citati fenomeni di avvento delle piattaforme online per locazioni brevi (AirBnB, la più famosa, nasce nel 2008) e di agevolazione nella rapidità di trasporto con i voli low cost. Federalberghi nell’agosto 2018 rileva infatti 397.314 alloggi italiani disponibili su AirBnB, con una crescita esponenziale che non sembra intenzionata ad <https://federturismo.it /it /la-federazione/566-news/news-2019/16411-unwto-international-tourism-highlights-2019> 3 ibidem 2

arrestarsi: si tratta di un aumento del 78,34% in soli due anni, pari a 174.528 alloggi disponibili in più rispetto all’agosto 2016. L’Istat invece censisce per lo stesso anno solo 113.538 strutture extralberghiere di tipo analogo (appartamenti in affitto e B&B), con un evidente ammanco di oltre 280 mila alloggi che sfuggono al controllo ufficiale. La regione più interessata dal fenomeno AirBnB è sicuramente la Toscana con 59.320 annunci ad agosto 2018. Nello stesso periodo tra le città italiane maggiormente coinvolte si registrano Roma (29.519 alloggi AirBnB disponibili), Milano (18.482), Firenze (11.341), Venezia (8.025) e Napoli (6.858)4 , con tutte quelle che possono essere le problematiche in termini di spopolamento e gentrificazione5 dei centri storici, derivanti da una così massiccia conversione in tempi piuttosto brevi delle abitazioni delle principali città in alloggi turistici. Conseguentemente all'elevato numero di strutture ricettive, anche il numero di occupati direttamente coinvolti nei settori turistici (alloggi e ristorazione) risulta particolarmente elevato per l'Italia nel panorama europeo, sempre al netto del sommerso: 302.571 dipendenti di strutture ricettive e 1.279.739 dipendenti di strutture di ristorazione (Eurostat, 2019). Più specificatamente, per rendere l'idea della portata dei fenomeni presi in esame, i flussi turistici si valutano Tutti i dati citati sul tema AirBnB provengono dal report “Turismo e shadow economy”, pag.3-4, Federalberghi, settembre 2018 5 Riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane. Dall’inglese Gentrification, a sua volta derivato dal s. Gentry (piccola nobiltà). Fonte: Treccani Online.

in termini di arrivi6 e presenze7, generalmente raccolti dall'Istat sulla base delle informazioni fornite dalle stesse strutture ricettive e pertanto da considerarsi sempre ampiamente sottostimati. Considerando la storia del fenomeno turistico in Italia nell’ultimo ventennio, proprio attraverso il dato di arrivi e presenze, si può riscontrare nell’intervallo 2000-2019 un complessivo aumento del 57% sugli arrivi, che al 2019 supera i 131 mln, e del 27% sulle presenze, che superano i 436 mln al 2019. Tutto il ventennio, dopo una prima stagnazione dei dati turistici in seguito all’attentato delle torri gemelle, vede quindi un aumento incessante di arrivi e presenze, con flessioni dei dati a causa degli effetti della crisi economica solo in corrispondenza del biennio 2008-09 per gli stranieri, che mostrano però un recupero già nel 2010, e in corrispondenza del biennio 2012-13 per gli italiani, che più a lungo risentono della crisi del debito sovrano e della conseguente riduzione della capacità di spesa anche sul fronte degli spostamenti turistici. In anni più recenti anche i dati degli italiani in termini di arrivi e presenze sono tornati a crescere, sino ai massimi del 2019 prima dell’avvento della pandemia.8 Negli ultimi anni, l'aumento del dato sulle presenze è tuttavia più contenuto rispetto a quello degli arrivi, a testimonianza di una progressiva riduzione del numero di pernottamenti per sin-

4

Numero di clienti arrivati, distinti per paese estero o regione italiana di residenza che hanno effettuato il check-in nell’esercizio ricettivo nel periodo considerato. (fonte Istat) 7. Numero delle notti trascorse dai clienti negli esercizi ricettivi nel periodo considerato. (fonte Istat) 8. “Turismo in Italia: numeri e potenziale di sviluppo”, QEF, Luglio 2019, Banca D’Italia, p. 26 6

golo viaggio nell’ultimo ventennio e quindi di una diminuzione della 'permanenza media', come ormai avviene per quasi tutte le maggiori destinazioni turistiche europee, proprio a causa dell'ultimo processo di massificazione del fenomeno turistico. In Italia in particolare, si è passati dal dato di 5,6 giorni del 2001 ai soli 3,3 giorni di media del 2019; dato, questo, che fa registrare proprio all’Italia uno dei cali più intensi di permanenza media nell’intero panorama europeo, paragonabile solo a quelli che hanno interessato Spagna e Portogallo9. Chiarita sommariamente la portata globale dei grandi numeri dell'industria turistica, ai fini di questo lavoro di tesi, è adesso utile provare a capire gli effetti di tali numeri sul quadro territoriale italiano. I problemi della turistificazione In tre modi muoiono le città: quando le distrugge un nemico spietato […], quando un popolo straniero vi si insedia con la forza […], o, infine, quando gli abitanti perdono la memoria di sé, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri a se stessi, nemici di se stessi. […] Venezia può morire se perde la memoria, se non sapremo intenderne lo spirito e ricostruirne il destino (S. Settis, 2014). Settis nel testo manifesto Se Venezia muore ammonisce circa quelli che sono i rischi connessi alla 'turistificazione', ovvero la massificazione del fenomeno turistico che impatta sulle città d'arte e su tutto il quadro territoriale. I problemi che la turistificazione delle città

27

9

ibidem



pagina precedente Stazione Monte Amiata in abbandono, linea ferroviaria Asciano-Monte Antico alle porte della Val d'Orcia (Marzo 2023)

turistiche pone sono molteplici, dall’usura del patrimonio fisico, sino al decoro urbano in relazione ai massicci flussi e allo smaltimento dei rifiuti connessi. Tuttavia il problema più importante causato da questo fenomeno in seguito alla patrimonializzazione dei centri storici avvenuta nel secolo scorso è proprio la gentrificazione dei centri storici, ovvero il cambiamento di composizione sociale degli utenti dei centri storici. A causa dei costi immobiliari sempre più elevati e a causa di servizi e attività commerciali sempre più dedicati ai turisti piuttosto che ai veri abitanti della città, i residenti decidono sempre più spesso di affittare a breve termine le proprietà in centro così da ricavarne alte rendite per trasferirsi nelle zone suburbane, laddove maggiori sono i servizi e le comodità per i residenti, oltre che la disponibilità di spazio. Ecco quindi che la città si svuota dei suoi abitanti, perde il secolare rapporto tra 'pietre e popolo' (T. Montanari, 2013) sulla quale si è fondata e si trasforma in uno scenario teatrale, mette in scena sé stessa a beneficio del turista, o meglio a beneficio di quello che il turista si aspetta di vedere da quella città. Roma recita la sua romanità, Parigi la sua francesità, e così via Firenze, Napoli, Venezia e tutte le principali destinazioni (M. D'Eramo, 2019).

Il turismo e le aree interne Il quadro territoriale prima proposto non è fine a sé stesso o meramente funzionale alla rappresentazione dell’esistenza delle aree interne e dello spazio intermedio come entità territoriali sino ad ora ignorate, ma anche per sottolineare come il fenomeno turistico che si pensa molto spesso in relazione alla città turistica, vada a colpire anche la restante parte del territorio producendo effetti analoghi, con l’aggravante che, ancor più che nelle città, nelle realtà in via di spopolamento il turismo di massa è spesso incoraggiato dalle amministrazioni e visto come unica chiave di sviluppo possibile. Anzi che mettere a punto strategie di recupero e ri-abitare del territorio, si baratta quindi un guadagno odierno e poco lungimirante, con la sostenibilità del tessuto economico e sociale di un intero territorio, che viene così condannato al servilismo alla monocultura turistica e all’indebolimento della sua capacità di tenuta sociale per il futuro. La logica del turismo di consumo che già affligge molte città, Venezia, Roma e Firenze su tutte, viene quindi trasportata e riproposta nelle campagne delle aree interne, laddove anche il più 'lento' turismo rurale viene tramutato in fenomeno di massa. Proprio in virtù di quella che è l’enorme varietà e qualità paesaggistica italiana

e proprio in conseguenza di quella che è la storia insediativa policentrica e diffusa del sistema Italia, le aree interne, a dispetto della loro difficile accessibilità connessa alla definizione stessa di area interna, sembrano essere sede di una forte attrattiva turistica e quindi di una progressiva specializzazione nei confronti di questo settore. Ciò emerge infatti già da un rapido e sommario confronto delle percentuali e dei numeri assoluti di comuni a specificità culturale e a specificità turistica sul totale dei comuni classificati come aree interne e sul totale dei comuni non appartenenti alle aree interne. Se quindi la percentuale di comuni con specializzazione nei settori cultura e creatività pende a favore dei centri urbani, sicuramente più ferventi e vivaci dal punto di vista culturale, la percentuale e il numero assoluto di comuni con specializzazione nel settore turistico sono nettamente a favore delle aree interne; a testimonianza delle loro capacità attrattiva La consegna delle aree interne al servilismo del consumo turistico per altro sembra acuire le disomogeneità territoriali e tradire totalmente gli obiettivi della Snai di un nuovo incremento demografico e di una ritrovata accessibilità e residenzialità delle aree interne, quando invece, proprio il turismo potrebbe esssere, se attentamente mo-

nitorato e gestito, uno strumento di sostenibilità economica per una riorganizzazione infrastrutturale dei collegamenti polo/aree interne, che sia quindi precondizione all’attrazione di lavoro e nuovi abitanti, in una visione 'metroruale' e 'riabitativa'10. Ecco quindi che i temi dell’accessibilità, dello spopolamento e dello sviluppo turistico risultano inscindibilmente collegati tra loro e, se governati e indirizzati verso la diffusione e la diluizione dei flussi, possono essere la materia prima per un rinnovato sviluppo delle aree interne.

“Cultura e aree interne – Ingredienti di un nuovo modello di sviluppo?”, Nota 3/2021 Osservatorio Regionale della Cultura. Regione Toscana 10

29



Il caso studio: Pienza

31



pagina precedente Piazza Pio II a Pienza (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino) pagina corrente sopra Turisti in Piazza Pio II in alta stagione (Settembre 2020) sottoPiazza Pio II vuota in bassa stagione (Dicembre 2020)

Il perchè di un caso studio I temi sin qui esposti, afferenti ai filoni dello spopolamento delle aree interne e della turistificazione, sono temi molto generali, di natura socioeconomica e di difficile inquadramento per la loro natura complessa, come spesso già segnalato. L’obiettivo di questa tesi è quindi quello di poter utilizzare gli strumenti propri della disciplina architettonica, appresi in questi anni di formazione, all’interno del perimetro della cornice socioeconomica trattata, così da potersi cimentare in strategie progettuali che possano contribuire, anche attraverso l’interdisciplinarietà e la trasversalità con altre figure professionali, alla mitigazione delle problematiche connesse a tali temi. Ecco quindi che la scelta non poteva che ricadere su uno specifico caso studio, approfondibile alle varie scale del progetto, che sia tuttavia esportabile e rappresentativo di una logica più ampia, ovvero quella delle tematiche generali trattate e relative all'intera compagine territoriale nazionale.Da qui la scelta di occuparsi della città di Pienza. Pienza è infatti città di fondazione, città ideale e quindi idea stessa di città fatta pietra per sua stessa natura fondativa. Ecco che Pienza nasconde insito in sé il binomio tra mondo socioeconomico/organizzazione di un modello sociale e architettura costruita. Inoltre

Pienza: Venezia e Civita

Pienza, intesa come novella Venezia o novella Civita , gode del grande pregio di essere città monumentale, elevata dal suo stesso fondatore al 'rango di città' nonostante le sue modeste dimensioni, e quindi riunisce in sé i due filoni che sin dalla cornice iniziale si cerca di collegare: lo spopolamento delle aree interne in cui Pienza ricade e la turistificazione delle grandi città turistiche. Per raccontare queste due tematiche si seglie infatti come modalità quella dell'utilizzo di un caso studio, proprio sulla scorta di due illustri esempi: Se Venezia muore di Salvatore Settis, che affronta il tema della turistificazione e morte delle grandi città d'arte attraverso il caso 'esemplare' di Venezia, e Civita senza aggettivi e senza altre specificazioni di Giovanni Attili, che racconta il tema dell'overtourism attraverso l'esempio di Civita di Bagnoregio, borgo medioevale situato in area interna e pertanto di difficile accessibilità. Pienza, nel suo duplice valore di 'città' monumentale e di area interna, ambisce quindi a divenire modello, ovvero rappresentazione in scala, di una strategia territoriale e urbana potenzialmente adattabile ad altri casi analoghi almeno nelle sue istanze ispiratrici: la diluizione dei flussi turistici (spillover) per uno sviluppo omogeneo dei territori, la riduzione della pressione turistica localizzata e il potenzia-

mento infrastrutturale, proprio mediante la sostenibilità economica data dai flussi turistici, al fine di una ottenere una nuova accessibilità dei territori in chiave ri-abitativa. Pienza è inoltre una sfida esemplare anche in ter-

mini di inserimento architettonico e di dialettica progettuale tra conservazione e cambiamento, in termini formali e funzionali, per il costante confronto con le preesitenze storiche che 33 essa impone.


Carrara Carrara

Pistoia

Massa

Prato Lucca

Pistoia

Massa

Prato

Firenze

Firenze

Lucca

Pisa Pisa

Livorno

Livorno

Arezzo

Arezzo

Siena

Siena

Pienza

Pienza

Grosseto

Grosseto

Poli Cinture Aree interne intermedie Aree interne periferiche Aree interne

LUNIGIANA

Carrara

Carrara Pistoia

Massa

Lucca

ALPI APUANE

GARFAGNANA

Massa

APPENNINO PISTOIESE

Prato

Firenze

Pistoia

MUGELLO

Prato

Firenze

Lucca Pisa

Pisa

Livorno

Livorno Arezzo

PRATOMAGNO E VALDARNO

CASENTINO

COLLINE DEL CHIANTI

COLLINE PISANE

Arezzo

Siena

Siena

COLLINE SENESI

MONTAGNOLA

Pienza

Pienza

COLLINE METALLIFERE

VALDICHIANA ARETINA

VALDICHIANA SENESE

VAL

D’ORCIA CETONA AMIATA Grosseto

Grosseto

Linea Alta velocità

Pienza come area interna Come illustrato nelle seguenti mappe, seguendo la metodologia DPS Corretta proposta dall'Irpet della Regione Toscana come adattaemento della metodologia DPS della SNAI (il metodo

MAREMMA

Corridoio paesaggistico della Costa Tirrenica Corridoio paesaggistico del Crinale Appenninico

Rete fondamentale doppio binario elettrificata

Corridoio paesaggistico del Corso dell’Arno

Rete complementare doppio o singolo binario elettrificata

Corridoio paesaggistico della Via Francigena

Rete complementare doppio binario non elettrificata

Corridoio paesaggistico del Canale della Bonifica

Rete complementare binario semplice non elettrificata

Corridoio paesaggistico della Via della Transumanza

DPS Corretto rivede al ribasso il numero di centri di erogazione servizi, ovvero di poli, al fine di restituire un quadro più veritiero delle difficili condizioni di accessibilità di molte aree della Regione Toscana, mentre rialza il numero di

luoghi classificabili come aree interne, intermedie, periferiche o ultraperiferiche), il comune di Pienza ricade all’interno delle cosiddette 'aree interne periferiche', più precisamente all’interno delle 'aree interne con elevata poten-

zialità turistica' se si guarda alla caratterizzazione economica, ma cosa più importante Pienza ricade all’interno di un grave vuoto infrastrutturale dei sistemi viari e ferroviari della Regione, come visibile già ad un primo sguar-


Arezzo

Arezzo

Siena

Siena Valdichiana

L.Trasimeno

Pienza

Chiusi

Aree interne fragili Aree interne turistiche con bassa potenzialità Aree interne turistiche con potenzialità Aree interne residenziali Poli e cinture Ospedali DEA II livello Ospedali DEA I livello Scuole secondarie superiori

3

Arezzo

VALDARNO

Arezzo

CHIANTI VAL D’ELSA

VALDICHIANA ARETINA

Siena

Siena

2

COLLINE E CRETE SENESI

L.Trasimeno

VAL D’ASSO

VAL DI MERSE

VAL D’ORCIA

Chiusi

LAGO TRASIMENO

VALDICHIANA SENESE

Chiusi

4 1

MONTE CETONA Via Francigena

MONTE AMIATA

Via Cassia Antica Via Lauretana Nuove ciclovie

Stazioni GOLD

1

Stazioni SILVER Stazioni BRONZE

do alle mappe del sistema viario e ferroviario . Al contempo Pienza si trova però al crocevia di importanti 'vie lente di fruizione del paesaggio' e quindi all’interno di un crogiolo si sistemi paesaggistici di rara bellezza e di straordi-

nario valore ambientale, da valorizzare e collegare tra loro tramite strategie territoriali basate su recupero del patrimonio ferroviario dismesso, sentieri e cammini, in accordo con le istanze del Progetto di Fruizione lenta del paesag-

Ciclovia francigena

2

Ciclovia della bonifica

3

Ciclovia dell’Arno

4

pagina precedente da alto sx Pienza rispetto a Regione Toscana: aree interne, sistema autostradale, sistema ferroviario e vie lente di fruizione paesaggistica (L.Conoscenti, elaborati di tesi) pagina corrente da alto sx Pienza rispetto alle provincie di Siena e Arezzo: aree interne, rete stradale, rete ferroviaria e vie lente (L.Conoscenti, elaborati di tesi)

Progetto di fruizione lenta del paesaggio regionale. Regione Toscana

Ciclovia dei 2 mari

gio proposto dal Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico della Regione Toscana.

35


5000

4770 3960

4000 3163

3000 2056

2000

1861

1871

1881

1901

1911

1921

1931

1936

1951

1961

30000

25976

25000 20000

15230

15000 10000 5000 0

1971

2991

21602

21027

Marzo

Pienza come realtà in spopolamento Pienza, come molte altre realtà rurali, in analogia a quanto già riportato circa lo spopolamento in Italia, a partire dal Secondo Dopoguerra vive il cosiddetto 'esodo rurale' e il definitivo collasso della tradizionale economia collinare a causa della rottura del patto mezzadrile. Tale fenomeno inaugura un trend demografico in continua diminuzione, che conduce ad una popolazione odierna più che dimezzata rispetto ai dati del 1951 e in costante invecchiamento: la densità abitativa del comune di Pienza (16,37 ab/km2) risulta nettamente inferiore rispetto a quella della provincia di Siena (69 ab/km2) e a quella italiana (197,4 ab/ km2); l'indice di vecchiaia pientino registra un valore di 298,54 contro il 174 italiano; l'età media a Pienza (49,5 anni) è superiore

2001

2011

5216

Aprile

Maggio

2019

16698

Giugno

a quella in Italia (45,5 anni) e il tasso di natalità al 5,8 ‰ è ben inferiore al già basso dato italiano del 7‰1. Tali dati, comuni a quelli di molte altre realtà toscane e italiane delle aree interne, delineano una situazione certamente allarmante e problematica, che il fenomeno turistico non sembra contribuire a sanare, ma anzi sembra piuttosto acuire. Pienza come luogo di turistificazione A fronte dei dati sulla popolazione in costante diminuzione, i numeri del turismo risultano in costante ascesa nell’ultimo decennio, ovvero negli anni di maggior massificazione del turismo a livello globale e di sviluppo maturo del turismo rurale in Toscana. I daTutti i dati citati si riferiscono all'anno 2019, fonte Istat 1

1991

22363

4779

1846

Gennaio Febbraio

19094

1981

Luglio

4069

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

ti dei principali indici turistici, che rapportano i flussi alla dimensione demografica del luogo analizzato rendendo confrontabili tra loro realtà diverse per dimensioni, sono infatti nel caso di Pienza ben superiori a quelli delle maggiori città d’arte italiane, con flussi che risultano particolarmente variabili in relazione alla stagionalità, come visibile nel trend delle presenze per mese sopra riportato, dal quale emerge una netta predilezione primaverile ed estiva nel visitare Pienza. In particolare la sproporzione con le altre realtà turistiche italiane emerge nel momento in cui si confrontano due dei più importanti indici turistici: la 'pressione turistica', calcolata come (presenze)/ (pop.residente×365)×100, che indica il numero giornaliero di turisti ogni 100 abitanti; e il 'tasso di funzione ricettiva

semplice', calcolato come (posti letto)/ (pop.residente)×100 , che indica invece la propensione all'accoglienza turistica, in termini di numero di posti letto ogni 100 abitanti. Basti pensare infatti che, con dati Istat 2019, antecedenti all'anomalia della pandemia, Pienza registra una pressione turistica pari a 21,43 turisti ogni 100 abitanti, ben superiore ai 13,71 di Venezia, agli 8,18 di Firenze, ai 4,55 di Roma, ai 2,43 di Milano e allo 1,09 di Napoli. La situazione non migliora passando al tasso di funzione ricettiva semplice, che per Pienza corrisponde a 88,6 posti letto ogni 100 abitanti, contro gli appena 31,3 di Venezia, i 14 di Firenze, gli 8,66 di Roma, i 5,32 di Milano e gli 1,8 di Napoli. Significativo è anche il dato sulla permanenza media, pari a 2,42 gg (2019), ben inferiore al già basso 3,3 italiano.


pagina precedente sopra Trend demografico del comune di Pienza, 1861-2019, fonte Istat (L.Conoscenti, elaborati di tesi) sotto Stagionalità delle presenze nel comune di Pienza, 2019, fonte Istat (L.Conoscenti, elaborati di tesi) pagina corrente Turisti sulle mura del casello, Pienza (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino)

Pienza tra conservazione e cambiamento: le fasi storiche, i rischi della patrimonializzazione e la necessità di una progettualità In relazione alle problematiche riscontrate di spopolamento e turistificazione in Pienza, risulta utile ripercorrere brevemente le fasi di evoluzione storica della realtà pientina, che vedono un alternarsi di oblio e riscoperta, al fine di comprendere la complessità storica di un luogo tanto iconico e poter così immaginare su di esso una progettualità e un conseguente immaginario di futuro. ORIGINI. Enea Silvio Piccolomini, divenuto Papa Pio II, diede vita all’ambizioso progetto di trasformazione del borgo natio di Corsignano in sede pontificia e borgo cardinalizio: tra il 1459 e il 1462 sorsero i principali edifici di Pienza, sotto la direzione dell’architetto Bernardo Rossellino. Il palazzo pontificio, autoritratto di Pio II, il Duomo, nuova definizione rinascimentale della “casa di Dio” il Palazzo Borgia e il Palazzo comunale, si compongono a creare la piazza, in costante dialogo con la natura ed il paesaggio, secondo la visione umanistica del mondo di Pio II. Nella reciproca relazione delle parti tra loro e con la natura sta l’importanza di Pienza come complesso urbanistico. OBLIO. Con la morte di Pio II Pienza vede interrompersi i lavori, per via del suo

decentramento da Roma. Vive quindi alterne vicende, contesa tra le mire del Valentino, del governo senese e del nuovo pontefice Pio III. Più volte occupata e liberata durante la Guerra di Siena, Pienza divenne “città fatale” per il dominio senese sulla Val d’Orcia, sino a passare sotto il controllo dei Medici, con tutto il territorio senese, nel 1557. L’economia della valle e di Pienza, distrutte dalla guerra, vissero un profondo tracollo, che segnò l’inizio dell’oblio di Pienza. RISCOPERTA.Dimenticata per molti secoli e protetta nella sua integrità architettonica dall’oblio e dai provvedimenti pontifici di Pio II, Pienza rimase esclusa dai convenzionali itinerari del Grand Tour, che pure le correvano vicino, lungo la francigena. Sconosciuta persino agli studiosi, venne a poco a poco riscoperta nel suo valore di città-utopia a partire dal 1822, anno in cui compare negli scritti di Von Rumhor e poco a poco in quelli di molti altri studiosi, storici e architetti che vengono a visitarla e a rilevarne e studiarne i monumenti.

ABBANDONO. Pienza vive le vicende della guerra e le profonde trasformazioni socioeconomiche successive. L’esodo rurale spopola queste terre, che iniziano un lento processo di declino demografico tutt’oggi in corso. PATRIMONIALIZZAZIONE. I rilievi del gruppo di Cataldi, gli studi di Pieper e di altri studiosi restituiscono definitivamente Pienza al suo ruolo di prima città utopia del Rinascimento. Pienza ottiene quindi il riconoscimento Unesco, pochi anni prima dell’intera Val d’Orcia: dando via il suo sviluppo turistico. FUTURO La spirale di spopolamento e turistificazione rischia di cancellare l’urbanità su cui si basa Pienza: quale futuro possibile dunque? Sicuramente, pur nella consapevolezza storica, la via progettuale non può essere il solo 'paradigma della patrimonializzazione', da decenni unico garante della qualità e della conservazionedei luoghi, che purtroppo ha però spesso condotto all'immobilismo, al congelamento della vita secondo "un'idea di sviluppo tutta incentrata sul-

la valorizzazione turistica" (A. De Rossi,2020). Proprio quest'ultima, come rammentato nei paragrafi precedenti, si rende colpevole, in virtù della massificazione del fenomeno turistico, dello svilimento dei luoghi, della loro perdità di 'autenticità' (M. D'Eramo,2019) e di quel mirabile e secolare rapporto tra civitas e urbs che ha storicamente caratterizzato gli insediamenti italiani. L'alternativa è allora un progetto architettonico, fisico, che partecipa attivamente alla costruzione di percorsi di riattivazione economica e sociale, […] Reinsediamenti, […] cultura, turismo dolce, saperi artigianali e filieri produttive, piccole infrastrutture e mobilità, ingegneria ambientale, gestione dei rischi e del cambiamento climatico possono e devono essere i temi di questo nuovo modo di intendere il progetto fisico di questi spazi, trovando nei portati della Snai […] le condizioni base per l'abitabilità e l'infrastrutturazione dei luoghi e per costruire una rinnovata dimensione produttiva di queste aree. 37 (A. De Rossi,2020)



pagina precedente Ponte sull'Orcia in costruzione,fine Ottocento, oggi crollato (Gruppo Fotografico Pientino)

Pienza come comune di interfaccia tra Val d’Orcia e Val di Chiana In accordo con una lettura 'orizzontale del territorio' e con l’'inversione dello sguardo' (A. De Rossi,2020) tra poli urbani e aree interne, pieni e vuoti, una progettualità relativa alle dinamiche di spopolamento e turistificazione di Pienza non può che partire da una lettura territoriale più ampia, che esca dai confini comunali di Pienza e coinvolga l’intero territorio circostante, al fine di individuare una strategia progettuale sistemica già alla scala territoriale. Così procedendo, Pienza rivela un’altra sua peculiarità che ne fa un caso studio piuttosto idoneo: pur saldamente inserita nel sistema paesaggistico della Val d’Orcia, Pienza dal punto di vista amministrativo fa sia parte del Parco artistico naturale e culturale della Val d’orcia (sito unesco), sia dell’Unione dei comuni della Valdichiana senese. Recentemente le colline di Pienza e Montepulciano sono state anche insignite nel loro complesso del titolo di Paesaggio rurale storico, secondo una tendenza alla patrimonializzazione che, pur volendo tutelare i territori, ne aumenta come visto i rischi di consumo e turistificazione. Pienza risulta quindi una realtà di interfaccia, liminale, tra due sistemi paesaggistici molto diversi, entrambi ricchi di risorse, quello della Val d’Orcia, a sua volta legato al

Proposta di una strategia territoriale

sistema dell’Amiata e delle colline e crete senesi attraverso la Val d’Asso, e quello della Valdichiana senese, che, insieme a quella aretina, costituisce un vero e proprio corridoio infrastrutturale. In questo territorio si intrecciano quindi ben quattro diversi ambiti paesaggistici (PIT Regione Toscana), quali Ambito Valdichiana, Ambito Colline senesi, Ambito Val d'Orcia e Val d'Asso e Ambito Amiata, oltre che innumerevoli morfotipi insediativi, da quello radiocentrico di Arezzo e Siena, a quello reticolare collinare delle Colline senesi e Val d'OrciaVal d'Asso, sino a quello reticolare di pianura del corridoio infrastrutturale della Valdichiana, che testimoniano, a dispetto della vicinanza geografica, uno sviluppo territoriale fortemente disomogeneo, dal punto di vista fisico, storico e quindi socioeconomico. In particolare, se si confrontano Unione dei comuni della Valdichiana senese e comuni del Parco artistico naturale culturale della Val d'Orcia, sistema di cui Pienza costituisce il perno centrale e l'anello di congiunzione, si può notare che a parità di superficie circa, la popolazione residente, e conseguentemente la densità abitativa, sono nettamente inferiori in Val d'Orcia. Quest'osservazione segnala già a partire da questi semplici indicatori una marcata disomogeneità territoriale, nell’ambito demografico

Arezzo

Unione dei comuni della Valdichiana senese Comuni del Parco artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia

Siena

Unione dei comuni Amiata Val d’Orcia Unione dei comuni Amiata Val d’Orcia Unione dei Comuni della Val di Merse Comuni della Val d’Elsa Comuni delle colline e crete senesi Comuni del Chianti Comuni del Valdarno Comuni della Valdichiana aretina

Chiusi

Superficie a confronto (Km2) fonte Istat,2019

Residenti a confronto (n. ab) fonte Istat,2019

e dello sviluppo economico, nell’erogazione dei servizi e nella tendenza allo spopolamento, sino all’impatto del fenomeno turistico, che ricalca le più generali differenze tra i territori della Provincia di Siena e quella di Arezzo. Vi è quindi un servilismo delle aree più spopolate come la Val d'Orcia verso le aree interne intermedie della Valdichiana, in termini di accessibilità ai servizi, eredità dello sviluppo industriale e urbano di queste aree intermedie a partire dal Boom economico. Come

Densità media a confronto (n.ab/km2) fonte Istat,2019

già rilevato però, le aree intermedie presentano tutti i problemi tipici del continuum urbanizzato, tra cui la perdita di attrattività e di valore d'uso conseguente alla crisi economica del 2008; problematiche, queste, a cui non fa eccezione il corridoio infrastrutturale della Valdichiana. Paradossalmente quindi, nell'ultimo decennio di massificazione del turismo e di definitiva crisi dei sistemi produttivi di fondovalle, i rapporti di forza tra Val d'Orcia e Valdichiana si 39 stanno invertendo: è la prima


Sez. A

Sez. BCDEF

Sez. GI

Sez. HJ

Sez. KLMN

Sez. OPQRST

2011, fonte Istat

2011, fonte Istat

2011, fonte Istat

2011, fonte Istat

2011, fonte Istat

2011, fonte Istat

Sez. A 2011, fonte Istat

a richiamare a sé forza lavoro spesso proveniente dalla seconda. Il risultato è quindi un acuirsi dei già profondi solchi delle dicotomie di questi due territori, ciascuno sempre più irrigidito nella rispettiva sfera di storiche problematiche, a causa di un circolo vizioso, quello dello spopolamento, della turistificazione e della 'questione territoriale' di aree interne e spazi intermedi, che anzichè ridursi sembra allargarsi e fagocitare sempre più sistemi. La dicotomia territoriale tra Valdichiana e Val d'Orcia, che sintetizza la più generale dicotomia esistente tra Provincia di Siena e Provincia di Arezzo in termini di sviluppo industriale, turistico ed insediativo, è ben rappresentata dalle mappe coropletiche sopra riportate, ovvero mappe realizzate con il software R che aiutano a visulaizzare la distribuzione spaziale di un dato statistico1: sono riportate per brevità Le mappe sono estrapolate dalla Tesi magistrale di Noferi Ettore, "Dinamiche di spopolamento e turistificazione nei comuni delle province di Siena e Arezzo", relatore Prof. Gianni Betti, Dipartimento di Economia Politica e Statistica dell'Università di Siena (DEPS, cdl SSIC), 2022 1

Pressione turistica:

Funzione ricettiva semplice:

Perc. agriturismi sul rispettivo

n. turisti giornalieri ogni 100 ab

n. posti letto ogni 100 ab

totale provinciale

2019, fonte Istat

2019, fonte Istat

2019, fonte Istat

SCARSA ACCESSIBILITA’

POTENZIAMENTO INFRASTRUTTURALE

MONOCULTURA TURISTICA

SVILUPPO SISTEMICO

TURISMO DI CONSUMO

SPOPOLAMENTO E ABBANDONO

solo le mappe che riportano la percentuale di occupati sul totale di ogni singolo comune, divisi per sezione Ateco, nell’anno 2011 (dati Istat), dalle quali emerge la composizione degli occupati comune per comune, che aiuta a comprendere i settori economici prevalenti nei comuni delle province di Siena e Arezzo; oltre che le mappe dei principali indici turistici, sempre con dettaglio comunale, in riferimento all'anno 2019 (dati Istat). Sono invece omesse per brevità, seppur molto utili, le mappe riguardo la variazione percentuale

della popolazione comune per comune nel periodo di riferimento 1951-2019, che sintetizzano quindi il tema demografico. Le mappe occupazionali mostrano una netta prevalenza delle sezioni GI, legati alla sfera turistica, nella provincia di Siena, contro una prevalenza delle sezioni BCDEF, afferenti al settore secondario, in provincia di Arezzo. Spicca il dato Gi per tutti i comuni del Chianti e della Val d'Orcia, in particolare per Pienza, della quale si rileva invece una grave lacuna di occupati nelle sezioni professionali e direzio-

TURISMO DIFFUSO

RIABITARE

nali KLMN, sintomo questo dell'impoverimento sociale che è in atto in territori come quello pientino, a causa della combinazione di spopolamento e turistificazione. È quindi evidente il profondo squilibrio tra territori limitrofi, per i quali è necessario invece pensare uno sviluppo sinergico e condiviso, che crei benessere e tutela del patrimonio esistente facendo leva sui rispettivi punti di forza. Una proposta di strategia territoriale Dall'analisi sin qui condotta, discende


pagina precedente sopra Mappe coropletiche della percentuale di occupati per settore Ateco a livello comunale, prov.Si-Ar (E.Noferi, elaborato di tesi) sotto Mappe coropletiche dei principali indici turistici, prov.Si-Ar (E.Noferi, elaborato di tesi)

SIENA

MONTAGNANO

CASTELNUOVO BERARDENGA

CASTIGLION FIORENTINO

CESA

MONTE SAN SAVINO

MONTECCHIO MARCIANO

RAPOLANO

CASTELNUOVO SCALO

TAVERNE D’ARBIA

POZZO DELLA CHIANA

ARBIA

CORTONA LUCIGNANO

pagina corrente sopra Schema della strategia territoriale: patrimonio ferroviario, attivo o dismesso,in blu; e vie lente, in ocra. (L.Conoscenti, elaborato di tesi) sotto Dalla monocultura turistica allo sviluppo sistemico: parole chiave della strategia territoriale (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

SERRE DI RAPOLANO ISOLA D’ARBIA

RIGOMAGNO

FOIANO DELLA CHIANA

PONTE A TRESSA

CAMUCIA

FARNETELLA

ASCIANO

MONTERONI D’ARBIA

SCROFIANO

SINALUNGA

GUAZZINO

BETTOLLE

TREQUANDA TORRITA DI SIENA

CHIUSURE VESCOVADO PONTE D’ARBIA MONTISI

SAN GIOVANNI D’ASSO

MURLO

ABBADIA DI MONTEPULCIANO

BUONCONVENTO

VALIANO

PETROIO

CASTELMUZIO

GRACCIANO

S.ANNA IN CAMPRENA

MONTEFOLLONICO

ACQUAVIVA MONTEPULCIANO

TRE BERTE

TORRENIERI

PIENZA S.ALBINO

la necessità di affrontare una qualsiasi progettualità su Pienza e il suo territorio proprio a partire dalla scala più ampia, territoriale. Non avrebbe infatti senso, a fronte di tematiche così complesse, pur affrontando un caso studio specifico, tentare una progettualità puntuale, risolta in un singolo intervento architettonico, avulso dal suo contesto più ampio. La sensazione di chi scrive è infatti quella dell'imprescindibile necessità di collocare un qualunque intervento strettamente architettonico all'interno di una strategia progettuale, territoriale prima ed urbana poi, coerente con il singolo progetto architettonico e ancor prima con il contesto socioeconomico sin qui descritto ed affrontato. La strategia territoriale proposta si basa quindi essenzialmente su due operazioni: la diluizione dei flussi turistici (spillover) nel territorio diffuso e l'aumento dell'accessibilità infrastrutturale per turisti e residenti. I fattori chiave proposti sono quindi la presenza di turisti come elemento di sostenibilità economica un potenziamento infrastrutturale, il recupero

MONTICCHIELLO

SAN QUIRICO D’ORCIA

MONTALCINO

CHIANCIANO MONTALLESE

BAGNO VIGNONI LA FOCE CHIUSI CASTIGLIONE D’ORCIA SANT’ANGELO IN COLLE

GALLINA

CASTELNUOVO DELL’ABATE

SARTEANO CASTIGLIONCELLO DEL TRINORO

CONTIGNANO CETONA

CAMPIGLIA D’ORCIA MONTENERO

SEGGIANO

VIVO D’ORCIA

BAGNI SAN FILIPPO

PIAZZE

CINIGIANO

RADICOFANI

CASTEL DEL PIANO MONTICELLO AMIATA

ABBADIA SAN SALVATORE

MONTELATERONE

SAN CASCIANO DEI BAGNI

ARCIDOSSO CELLE SUL RIGO PIANCASTAGNAIO

del patrimonio ferroviario dismesso, la riattivazione di sentieri e cammini (Via Francigena, Via Lauretana, Ciclovia della Bonifica) e la trasformazione delle stazioni ferroviarie di prossimità in nodi di interscambio modale e luoghi di ritrovata comunità. Studi rilevano infatti che i flussi turistici in Toscana tendono ad utilizzare gli strumenti di mobilità offerti, pur sussistendo ad oggi una prevalenza nell'uso dell'automobile da parte di turisti italiani e stranieri, proprio a causa delle lacune della rete infrastrutturale ad oggi

esistente.2 Si suppone quindi che investimenti pubblici sull'adeguamento infrastrutturale, specie in termini di offerta ferroviaria e di TPL (trasporto pubblico locale), potrebbero trovare ampio riscontro in un territorio così interessato dai flussi turistici, soprattutto stranieri. Tale strategia territoriale proposta cerca quindi di recepire le indicazioni del Progetto di fruizione lenta del pa-

“Accessibilità e trasporti a servizio delle aree turistiche”, Irpet, Regione Toscana,p.58 2

esaggio, varato dal PIT Regione Toscana, e cerca di superare le criticità della monocultura turistica (carenza di residenti, carenza di servizi, vuoto infrastrutturale, servilismo economico, dicotomie territoriali) per raggiungere l'obiettivo di uno sviluppo sistemico, fondato su una visione riabitativa del territorio, metrorurale e simbiotica tra residenti, residenti temporanei e turisti che vivono questi luoghi.

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CORSINIANUS


Pienza e la sua valle

pagina precedente sopra Schemi di insediamenti in Val d'Orcia (da sx a dx: Preistoria, Etruschi, Romani, Medioevo) (L.Conoscenti, elaborati di tesi) sotto La strategia territoriale applicata alla Val d'Orcia: Via Francigena e principali stazioni riattivabili (L.Conoscenti, elaborati di tesi)

Architettura e paesaggio in proporzione L’evento epocale, che fa emergere il complesso urbanistico di Pienza sull’intero progettare e costruire del primo Rinascimento è il dialogo dell’architettura con il paesaggio, condotto così insistentemente come mai lo era stato prima di allora. Per la prima volta dai tempi antichi, lo sguardo viene proiettato dalla città verso il paesaggio e la natura viene inserita come immagine nel quadro dell’architettura, in una relazione di comparazione così accentuata da far apparire gli edifici della piazza come una metamorfosi del paesaggistico nella stereometria dell’architettura. Mai prima di allora uno spazio interno urbano era stato inserito nel contesto di un panorama di un paesaggio aperto; mai in precedenza aveva avuto inizio un dialogo così intenso dell’architettura con il suo archetipo e con l’elemento che le sta di fronte: la natura e la topografia. [...] La piazza dinanzi allo spazio aperto è il terzo grande tema di ispirazione umanistica dell’impianto urbanistico di Pienza (J. Pieper, 1979). La Val d’Orcia, patrimonio Unesco dal 2004, costituisce uno straordinario palinsesto del secolare rapporto tra uomo e natura, del tentativo di tramutare un’arida valle di biancane e calanchi in una terra fertile e coltivabile. Si

tratta quindi di un paesaggio antropizzato straordinariamente armonico, inscindibilmente legato all’uso del suolo da parte dell’uomo e alle colture agricole impiantate, che devono essere oggetto di un’attenta conservazione e pianificazione. La valle è abitata sin dal epoca preistorica ed ogni popolazione ha lasciato tracce del suo passaggio nell'organizzazione territoriale: dai sentieri di crinale preistorici, alle grance, castelli e abbazie medioevali, passando per le percorrenze commerciali etrusche e le griglie di impianto ortogonale dei romani (Cataldi, Formichi, 2007), fino ad arrivare all'utopia idraulica di Pio II. Il fondatore di Pienza, dopo aver concepito un rapporto così simbiotico tra edificato urbano e paesaggio in cui questo si inserisce, arrivò ad ipotizzare un grande invaso a fondo valle, lungo il fiume Orcia, così da garantire a Pienza e ai suoi abitanti cibo e prosperità (F. Pellegrini, 2008). L'utopia di Pio II rimase tale e con essa anche i problemi di sostentamento degli abitanti della valle, almeno fino agli anni '30 del '900, quando avvenne la bonifica della Val d'Orcia ad opera del Consorzio di Bonifica, che rese la valle coltivabile e le conferì l'attuale immaginario. “Ovunque si vedevano terre denudate, solcate da ruscellamenti, valloncelli, borri, crepacci e profondi scoscen-

dimenti. [...] E’ questa la sola parte di Toscana tutta incolta.”1 (G. Sandrulli, 1934) Ad oggi la valle, anche grazie ai processi di tutela e patrimonializzazione, vive della bellezza del suo paesaggio e del turismo rurale, collocandosi saldamente nel contesto delle 'aree interne ad elevata potenzialità turistica': la Val d'Orcia, tra le più ambite mete mondiali, paga un pesante isolamento infrastrutturale, la perdita di residenti e una massiccia pressione turistica altamente stagionale. La dimostrazione di come il turismo acuisca le differenze esistenti in territori tra loro simili è data proprio dai cinque comuni del Parco della Val d'Orcia, due dei quali, più periferici, Castiglion d'Orcia e Radicofani, presentano dati sui flussi turistici di gran lunga inferiori rispetto ai comuni di Pienza, Montalcino e San Quirico d'Orcia. Ecco quindi che, oltre in virtù del secolare rapporto tra Pienza e valle, il passaggio alla scala territoriale della Val d'Orcia sembra obbligato nel graduale processo di avvicinamento alla progettualità su Pienza, al fine di operare anche in questo territorio più ristretto quelle strategie di diluizione dei flussi e di rinfrastrutturazione già descritti per la scala territoriale. In particolaSandrulli G., Si redime la terra desolata della Val d’Orcia, <<Il Messaggero>>, 1934 1

re nel caso della Val d'Orcia, un'importanza fondamentale, sia per il suo valore storico-culturale, sia per il suo posizionamento baricentrico, è rivestita dal tracciato della Via Francigena, che si innesta all'altezza di Torrenieri sul tracciato dismesso della linea ferroviaria Asciano-MonteAntico. Proprio quest'ultima può rivestire quindi una grande importanza nel tentativo di ricucire la lacuna infrastrutturale che, come visto, colloca gran parte di questi comuni saldamente all'interno del quadro territoriale della aree interne.

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pagina precedente Schizzo di insieme degli interventi alla scala urbana (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

Proposta di strategia urbana

3

[Pienza è] una città ideale in quanto questo luogo, artificialmente creato, simboleggia in forma esemplare le idee che l’Umanesimo del primo Rinascimento ha associato all’istanza culturale di 'città' (J. Pieper, 1979) Il genius loci: Pio II ingegnere sociale e il progetto di borgo cardinalizio La storia di fondazione di Pienza e della sua trasformazione da borgo medioevale di Corsignano a città di Pio è cosa piuttosto nota e per quanto interessante e imprescindibile da conoscere per chiunque voglia tentare di approcciare una progettualità su un corpo urbano così particolare e assoluto nel panorama della storia dell'architettura e dell'urbanistica, in questa sede sembra opportuno, per brevità, evitare di riassumerne le vicende. Ciò che è invece utile ai fini di una progettazione, a livello di strategia urbana, è il tentativo di comprendere le motivazioni che hanno portato alla nascita di questo luogo, al fine di stimolare più consapevoli e ragionate riflessioni progettuali. A parlarci di genius loci pientino è il Card. Ammannati nelle sue lettere: “Qui nacque, qui fu battezzato, qui lasciò le impronte dei suoi santi piedi. Ovunque sono rivolti gli occhi sono presenti i ricordi del suo nome.”1 1

Card. Jacopo Ammannati, lettera a destinatario

Secondo il cardinale papiense il genius loci di questo luogo per lui già mitico è ormai lo stesso Enea Silvio Piccolomini. [...] Chi altro può essere il genius loci di una città se non colui che l’ha voluta e fatta costruire in un modo genialmente ideale? Nel ragionamento dell’Ammannati si fa strada lentamente l’idea che una piccola città nata per volontà di un uomo colto e potente come il pontefice, scomparso lui, non potesse più crescere ma restare un luogo ideale per l’otium degli umanisti e per le vacanze di coloro che sulle orme di Pio cercassero un luogo che, oltre a parlare di lui con le sue opere, si proponesse quale straordinario esempio di unità fra paesaggio, cultura e architettura (F. Pellegrini, 2008) Per ovviare al destino di oblio che effettivamente Pienza incontrò dopo la sua morte, Pio II si sforzò di costruire un vero e proprio sistema urbano, basato sulla capacità di attrarre utenza, individuata nei cardinali al seguito della corte pontificia; e corrispondente ad una precisa visione della vita, quella umanistica, oltre che ad una precisa forma di governo. Pienza è quindi un vero e proprio esperimento di ingegneria politica e sociale2 (F. Nevola, 2009), compiuto per mezzo dell'architettura.

ignoto, Agosto 1468 2 Si vedano le vicende di Francesco Patrizi, umanista, urbanista e teorico di Pio II

2 1

Una nuova strategia: poli di approdo, diluizione dei flussi e mix funzionale La capacità politica dell'architettura di produrre cambiamenti sociali è quindi l'elemento più significativo della storia pientina che si intende mutuare al giorno d'oggi, dal momento che spopolamento e turistificazione impongono la costruzione di una nuova visione sociale. Il centro urbano di Pienza appare infatti diviso in tre nuceli ben distinti, frutto delle vicende socioeconomiche dei secoli passati e del Novecento in particolare: il centro storico, sottosposto alla maggiore pressione turistica, solcato dai cosiddetti 'recinti per turisti' e tramutato in 'spazio teatrale' ad appannaggio dei soli turisti e a scapito dei residenti; l'espansione residenziale, ignorata dai flussi turistici e priva di un vivace tessuto eco-

nomico; e l'arcipelago produttivo, cresciuto invadendo la cammpagna limitrofa, distante e disaggregato, sotto la spinta delle pressioni economiche del secolo scorso. Obiettivo della strategia urbana è quindi la ri-unione del tessuto urbano, mediante la ridefinizione dei margini, la creazione di poli di approdo al sistema Pienza, funzionali sia per i turisti che per i residenti, la successiva organizzazione dei flussi e delle percorrenze, per rendere più omogeneo l'impatto della pressione turistica, ed infine la creazione di spazi di convivenza e condivisione tra residenti, residenti temporanei stanziali che i nuovi servizi dovrebbero attrarre (smartworking, ecc.) e turisti. Il tutto al fine di ampliare il perimetro di vivibilità quotidiana per tutte le uten- 45 ze coinvolte.



Il nuovo centro civico

pagina precedente Pienza dall'alto, in basso a sx visibile il lotto di progetto (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino) pagina corrente Il mix funzionale del nuovo centro civico (L.Conoscenti, elaborato di tesi)

Il perchè di un nuovo centro civico: mix funzionale e spazi di autenticità Le problematiche riscontrate alla scala territoriale e urbana sin qui analizzate hanno stimolato una progettazione architettonica che cercasse di essere quanto più possibile coerente con tali istanze. Ecco quindi che il tema di un luogo di servizi e spazi collettivi per l'incontro tra residenti, residenti temporanei e turisti, sembra essere quello più affine e rispondente ai tentativi su larga scala di spillover della pressione turistica, ovvero di diluizione e diffusione dei flussi sul territorio e nel centro urbano, e di rinnovata abitabilità e produttività delle aree interne in abbandono. Il centro civico è infatti concepito come casa della comunità, come spazio di autenticità, resistente alle insidie della turistificazione e dello spopolamento, dove i residenti trovino servizi e spazi collettivi utili a stimolare i propri interessi e a compiere le proprie attività (studiare, lavorare, documentarsi, relazionarsi, giocare ecc.). Al contempo però l'edificio, sia per forma che per funzione, con l'inserimento al suo interno dell'ufficio turistico e il posizionamento nei pressi del polo di approdo a Pienza n.1 della strategia per la scala urbana, vuole anche risultare attrattivo nei confronti dell'utenza turistica, che è letteralmente invitata a 'sbattere', ad 'inciampare' contro la presenza

dell'edificio. L'idea è quella per cui il turista 'mordi e fuggi' che spesso consuma i luoghi che vede, piuttosto che visitarli veramente, anche se poco documentato, trovi nell'edificio, e nell'ufficio turistico in particolare, una facile occasione di informazione sul luogo che sta per vedere. Ottimale sarebbe poi l'incontro del turista con i residenti che vivono gli spazi del centro civico, che utilizzano la piazza annessa come spazio di relazione, che escono dal parcheggio interrato loro dedicato o che semplicemente percorrono le nuove viabilità istaurate dalla presenza dell'edificio e del suo spazio piazza. Proprio per giocare sulla riconoscibilità dell'edificio da parte del turista, le due testate dell'edificio che si aprono sulle percorrenze principali, sono dotate di un grande oculo con stromba-

tura asimmetrica, che in una sorta di collage post-moderno richiama la luna piccolomini e la facciata del Duomo di Pienza, per trasformare l’oggetto, sede dell’ufficio turistico ed emblema di una nuova concezione del rapporto turista-residente, in un 'marker turistico' della città di Pienza: un simbolo rappresentativo dell’attrattiva da visitare, che segnala e mette in evidenza, al punto da diventare essa stessa un’attrattiva di visita (M.D'Eramo, 2017). Sempre nel tentativo di favorire il contatto tra percorrenza dei turisti lungo il fronte stradale e l'interno urbano della piazza, l'edificio si solleva da terra, garantendo permeabilità visiva e spaziale. Le alte finestre che si aprono lungo le pareti laterali dietro le facciate 'timpanate' accompagnano poi lo sviluppo curvo della 'navata' che costituisce il

corpo di fabbrica, accelerato dalle linee di colmo e di imposta del tetto che salgono e scendono rispetto al punto centrale dell'edificio. L'impressione vuole essere quella di un corpo dinamico, sfuggente e levitante sul lotto, capace di simulare la sospensione della propria massa e matericità dei mattoni di rivestimento sul vetro sottostante, che nasconde i veri appoggi strutturali dell'edificio: grandi pilastri in acciaio che corrono lungo la spina serviente e sorreggono, aprendosi, i portali di acciaio delle falde.

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Conclusioni

pagina precedente Nebbia in Val d'Orcia (R. Massai, Gruppo Fotografico Pientino)

Per concludere, il percorso di tesi, al di là degli specifici risultati progettuali, esito di un percorso di studi magistrale e quindi sicuramente perfettibili in ogni parte, dalla strategia territoriale, al dettaglio tecnologico, passando per la scala urbana, la progettazione architettonica, la progettazione strutturale e le strategie bioclimatiche, mi ha dato modo di provare ad affrontare quelli che avverto come problemi generazionali che rientrano all’interno della “responsabilità dell’architetto” (R.Piano,2016). In particolare, ciò che più rimane di questo percorso è il tentativo di affrontare problematiche complesse, di natura socioeconomica, che riguardano la vita di tutti noi cittadini, attraverso gli strumenti propri della disciplina architettonica, appresi negli anni di formazione, pur nella consapevolezza della necessaria interdisciplinarietà e del fondamentale confronto tra diverse professioni e diversi ambiti del sapere, al fine di poter approcciare temi complessi. La speranza che accompagna la conclusione, necessariamente aperta ed irrisolta, di questo percorso è quindi quella per cui l’'inversione dello sguardo' come chiave di lettura delle dinamiche territoriali apra a numerosi campi di applicazione degli studi compiuti. Invertendo lo sguardo sul territorio che ci circonda si scopre infatti che esiste

un’enorme quantità di patrimonio naturalistico, paesaggistico, storico, culturale e, anche e soprattutto edilizio, di cui le aree marginali sono silenti custodi, che attende di essere riscoperto, studiato, riqualificato e messo a sistema. Invertire lo sguardo significa quindi ripensare il rapporto delle città con le loro periferie e, attraverso di queste, con il territorio circostante e con le altre città, in un’ottica policentrica. Significa recuperare e consolidare il patrimonio delle costruzioni murarie di migliaia di centri storici a rischio sismico. Significa ripensare il destino ed il futuro energetico delle strutture edilizie nate tumultuosamente negli anni del boom e che hanno saturato lo spazio intermedio e le campagne urbanizzate. Significa ripensare l’infrastrutturazione dei territori e la mobilità in una nuova ottica metrorurale. Significa immaginare un diverso modo di coltivare, allevare, costruire.. o forse significa recuperare un modo di coltivare, allevare, costruire che abbiamo dimenticato, legato ai ritmi della natira che ci ospita. Invertire lo sguardo significa immaginare un diverso tipo di società, in cui al senso di invasione e di insicurezza si sostituisca la consapevolezza dell'esistenza di tanto territorio abbandonato pronto ad accoglierci tutti e che attende solo di essere riscoperto e recuperato. Invertire lo sguardo sul territorio si-

gnifica provare a rinnovare il policentrismo e la produttività diffusa, che per secoli hanno fatto la fortuna di un paese così variegato come l'Italia. Invertire lo sguardo significa prendere consapevolezza di quanto lavoro si può e si deve ancora fare in questo nostro 'Stivale', che, per quanto malconcio possa apparire, ci insegna molto e meriterebbe in cambio molto . In definitiva quindi, la speranza che mi accompagna alla fine di questo percorso universitario, è quella di poter contribuire attraverso gli studi, la formazione e, un giorno, la carriera professionale, ad affrontare quelle che sono le più importanti sfide del nostro tempo, la crisi sociale e culturale, ma anche e soprattutto le crisi energetiche e ambientali, tutte inscindibilmente legate alla crisi del paradigma di sviluppo urbano sino ad oggi adottato, di cui, ancora una volta, avverto forte la 'responsabilità dell'architetto'.

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Postfazione

Non è facile chiosare un lavoro così complesso, e anche ambizioso, poiché le direzioni possibili della ricerca che questa tesi delinea sono molte, e forse non mi basta riferirmi ai macro-temi già così ben delineati e sintetizzati nella prefazione a questo volume (su tutti la crisi climatica provocata da modelli socio-economici estrattivi, e il progressivo abbandono delle aree non metropolitane, così poco efficienti secondo quegli stessi modelli neo-liberisti). Il lavoro che si è potuto apprezzare, a me pare, è un esempio di come l’architettura, con le sue specificazioni scalari, possa entrare pienamente nell’urgente dibattito sul futuro assetto dei differenti spazi nazionali, avendo conquistato consapevolezza grazie alla frequentazione assidua di differenti saperi, e grazie ad una rilettura della connessione inscindibile tra architettura e territorio. Questo lavoro rinnova l’eccezionale utilità dell’architettura che con la sua fisicità, nell’offrire soluzioni progettuali a problemi spazialmente collocati, nello stesso tempo indaga profondamente sui motivi delle scelte delle localizzazioni e sulla definizione di programmi funzionali coerenti. Così un intervento su Pienza (che prevede la fornitura di nuovi servizi alle persone) si riverbera sulla Val D’Orcia, dimostrando l’eccezionale portata euristica del progetto. Si disvelano le debolezze di un patrimonio storico fragile, si denunciano i rischi di una iper specializzazione spaziale, si delineano possibili soluzioni non banali. Ben consci di come gli spazi territoriali e urbani reagiscono con più o meno lente, ma comunque ineluttabili, modificazioni fisiche al cambiamento di senso e di uso, ecco che la specializzazione turistica ci appare contraddittoria rispetto alle decantate (e certificate) qualità spaziali e patrimoniali di Pienza e della sua valle. Che senso può essere riattribuito a quei luoghi? Il solo mostrarsi, conseguenza della ipertrofia mercificata della dimensione estetica, non basta, poiché i differenti paesaggi – urbani, rurali – resistono o sono rigenerati grazie ad un territorio abitato e vero. Le architetture che rivelano la necessità di questo legame mutabile ma inscindibile (come quella proposta da questa tesi), ci interrogano su di una sostenibilità complessiva e durevole. Massimo Carta Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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61



Indice

Presentazione Claudio Piferi e Massimo Mariani

5

Introduzione

6

La cornice socioeconomica: spopolamento, turistificazione e la nuova questione territoriale

9

Lo spopolamento in Italia

11

La questione territoriale

21

Età del turismo e turistificazione

25

Il caso studio: Pienza

31

Pienza: Venezia e Civita

33

Proposta di una strategia territoriale

39

Pienza e la sua valle

43

Proposta di strategia urbana

45

Il nuovo centro civico

47

Conclusioni

57

Postfazione Massimo Carta

59

Bibliografia

61


didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Ottobre 2023



La tesi affronta lo spopolamento e la turistificazione nelle Aree Interne italiane, con l’approfondimento di un caso studio, ritenuto rappresentativo delle tematiche generali: la città ideale di Pienza. Essa è stata scelta per il suo essere, per sua stessa natura fondativa, ‘idea di città’ fatta pietra e quindi paradigma, ma anche per la capacità di riassumere in sé le problematiche della città turistica, con numeri paragonabili alle più famose città d’arte, e città dell’abbandono. La cornice socioeconomica e la ‘questione territoriale’ fanno quindi da sfondo ad una progettazione a più scale, dal territorio al dettaglio tecnologico, nello sforzo di declinare problematiche di ordine socioeconomico attraverso gli strumenti dell’architettura. Lorenzo Conoscenti Nato a Milano da genitori di origine siciliana e napoletana, vive in Toscana sin dall’infanzia. Poliziano d’adozione, consegue a Firenze la laurea magistrale in Architettura. Fa sue le tematiche di accessibilità e di uguaglianza territoriale, con questa tesi dedicata ad un luogo d’elezione, la ‘città ideale’ di Pienza

ISBN 978-88-3338-205-0


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