A volo d'uccello | Francesco Alberti, Marina Visciano (a cura di)

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a cura di francesco alberti marina visciano

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A volo d’uccello Sguardi sul territorio



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La serie di pubblicazioni scientifiche DIDATesi ospita i risultati delle tesi di laurea condotte all’interno della Scuola di Architettura dell’Università di Firenze che, per l’interesse dei temi trattati, le peculiari modalità di ricerca adottate e l’originalità degli esiti conseguiti nell’ambito del progetto dell’architettura, del territorio, del paesaggio e del design, meritano di essere diffusi al di fuori delle aule universitarie. Le tesi di laurea, che sempre meno si connotano come esercizi accademici, sviluppano in molti casi la continua sperimentazione che unisce ricerca, formazione e progetto nel Dipartimento di Architettura. Spesso le tesi esprimono nel modo più efficace la relazione di cooperazione che il DIDA intrattiene sia con altre Università che con i territori, con le loro Associazioni, ONG, Amministrazioni, Enti ed imprese. Le pubblicazioni scientifiche DIDATesi sono soggette ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari, affidata ad un apposito Comitato Scientifico del Dipartimento, secondo i criteri della comunità scientifica internazionale e dell’editore Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire una comunicazione e valutazione più ampia ed effettiva, aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.


progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Susanna Cerri Silvia Cattiodoro

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 Š 2020 ISBN 978-88-33381-11-4

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


a cura di francesco alberti marina visciano

A volo d'uccello Sguardi sul territorio



Indice

Prefazione Francesco Alberti

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Scenari bioregionali per territori in transizione Introduzione Marina Visciano

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Per una transizione della metropoli verso la bioregione urbana: il caso dell’area metropolitana bordolese Luana Giunta

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Patrimonio territoriale ed economie bio-regionali. Uno scenario strategico per ri-abitare la Val Nervia (IM) Agnese Pascucci

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La città policentrica dell’Agna. La pianificazione sovracomunale per uno Scenario Strategico Bioregionale Flavia Giallorenzo

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Servizi ecosistemici dei sistemi agroambientali

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Introduzione Marina Visciano Pianificare sostenibile. Relazioni tra pattern rurali e servizi ecosistemici Lorenzo Bartali, Giulio Galletti

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Agricoltura periurbana e servizi ecosistemici: una metodologia di valutazione per il Parco Agricolo della Piana Matteo Benedettelli, Michela Ciacci

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Approcci innovativi alla pianificazione del territorio

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Introduzione Marina Visciano Patrimonio territoriale e invarianti strutturali. La densità dello spazio configurato e la sua struttura invisibile Massimo Vergamini Connessione tra città e campagna urbanizzata, il caso di Cascina Sara Trevisan Norme figurate per il paesaggio agrario. Regole per la rigenerazione attiva del territorio rurale nel parco agricolo di Riva sinistra d’Arno Irene Conti Patchworking tool for a design of a metropolitan vision: the case of the metropolitan City of Florence David Beker

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Prefazione Giunta alla sua terza uscita, la raccolta di saggi estratti da tesi di laurea selezionate, discusse presso i corsi di laura triennale e magistrale in Pianificazione della Scuola di Architettura di Firenze, con sede a Empoli, cambia impostazione editoriale – passando dalla collana Territori alla collana DIDApress della FUP – e si ‘sdoppia’ in due volumi riferiti a questioni disciplinari, letture ed esplorazioni progettuali afferenti rispettivamente alla scala vasta dei territori e a quella più circoscritta dell’insediamento urbano. Tale scelta ha evidentemente una finalità pratica – rendere le pubblicazioni più agili e più fre-

Un’ulteriore questione chiave che ritroviamo nelle pagine di questa raccolta riguarda le potenzialità dei sistemi ambientali nel fornire ‘servizi ecosistemici’ connessi ai cicli di funzionamento della biosfera, fondamentali per l’uomo non solo in quanto essere vivente, ma anche in relazione alla sostenibilità, sul lungo periodo, delle attività che esso svolge sul territorio: tema strettamente intrecciato ai due precedenti, visto che il perpetuarsi di tali funzioni vitali, messo in pericolo da uno sviluppo basato sullo sfruttamento delle risorse naturali che va oltre la loro capacità di rigenerarsi, è una delle precondizioni es-

quenti rispetto al ritmo biennale finora faticosamente sostenuto, riducendo le attese dei giovani autori nel veder pubblicati i loro lavori – ma fornisce anche, in questo caso, l’occasione per dare risalto alla specificità delle tematiche affrontate in relazione alla loro dimensione spaziale: una focalizzazione che non contraddice affatto l’impostazione fortemente integrata, trans-scalare e multidisciplinare che caratterizza fin dalla loro istituzione, nel 2002, i corsi empolesi, ma che al contrario la rafforza, interpretandola e declinandola in riflessioni, strategie e proposte d’intervento pertinenti alla natura e al livello di complessità dei fenomeni oggetto di studio. Multidisciplinarietà ed integrazione, quindi, come input formativi e presupposti metodologici per comprendere e affrontare le problematiche della città e del territorio nel quadro delle relazioni e interazioni su più livelli che essi di volta in volta sollevano sotto il profilo ambientale, paesaggistico, socio-culturale, funzionale ed economico. Ma è facile ritrovare, negli scritti presenti in questo primo volume, anche altre questioni chiave che, già nell’introduzione alla prima antologia curata nel 2014 da David Fanfani, erano state riconosciute come trame ricorrenti nelle tesi dei nostri studenti, espressioni di una ‘cifra metodologica e sostantiva’, per molti aspetti debitrice degli insegnamenti di Alberto Magnaghi (e non solo), che negli anni si è ulteriormente precisata e consolidata. Tra queste, in particolare: la sfida, propria dell’approccio bio-regionale, per la costruzione, con il coinvolgimento attivo delle popolazioni interessate, di un nuovo patto fra città, territorio e paesaggio, volto a recuperare un rapporto di sinergia fra il sistema insediativo, nelle sue molteplici configurazioni, e il contesto agro-ambientale in cui si inserisce, con il duplice obiettivo di rivitalizzare, anche dal punto di vista produttivo, il secondo e di ridurre l’impronta ecologica del primo; la necessità di adeguare costantemente, nei contenuti prima ancora che nella forma, gli apparati strumentali del governo del territorio agli obiettivi di qualità, sostenibilità, resilienza individuati come imprescindibili, delineando, pur nel riferimento alle specifiche situazioni affrontate nelle tesi, percorsi di innovazione disciplinare, delle politiche e degli strumenti potenzialmente percorribili – dal punto di vista metodologico – anche in altre realtà.

senziali all’attivazione di quei processi di ri-territorializzazione ‘resiliente’ in cui si concretizza il patto sopra menzionato e il più urgente degli obiettivi per cui occorre oggi rinnovare la ‘cassetta degli attrezzi’ di chi si occupa di pianificazione e governo del territorio. Sono dunque questi i temi-guida, rispecchiati nell’articolazione in tre sezioni del libro, a cui si è ritenuto di poter ricondurre i nove saggi tratti da tesi giudicate particolarmente significative prodotte tra il 2016 e il 2017 nei Corsi di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio e di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio dell’Università di Firenze, i cui sguardi abbracciano, da una prospettiva “a volo d’uccello”, ambiti territoriali estesi, seppure diversificati nei loro gradienti di naturalità e urbanità. Contributi che mettono in luce con partecipazione, freschezza e rigore – quest’ultimo commisurato, ovviamente, all’età e alla carriera accademica degli autori – la ricchezza e complessità dei fenomeni oggetto di studio, rivelando una tensione etica verso i temi trattati, insieme a una consapevolezza già matura del ruolo sociale dell’urbanista/pianificatore, da cui non solo le nuove matricole, ma anche gli studiosi e professionisti più navigati possono trarre qualche insegnamento. Ai fini di una più agevole lettura, gli scritti, elaborati dai neo-laureati con la supervisione dei rispettivi relatori, sono preceduti, per ogni sezione, da una breve introduzione a cura della dott.ssa Marina Visciano, già autrice di una delle tesi di laurea inserita in una precedente antologia ed oggi co-editor di entrambi i volumi con cui si inaugura la nuova serie. Francesco Alberti Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Scenari bioregionali per territori in transizione 9


Le città, gli insediamenti, le aree metropolitane sono diventati sempre più sfuggenti e difficilmente distinguibili, e non esiste figura unitaria grande e complicata che sia, in grado di rappresentarli. La città contemporanea […] è infatti diventata un camaleonte. G. Paba, 2017


Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze

La città contemporanea, che come un ragno tesse la sua tela sul territorio circostante, ha dato vita

Bibliografia Magnaghi A. 1995, Per uno sviluppo locale autosostenibile, estratto da Materiali I/95, Edizioni Centro A-Z, Firenze; Magnaghi A. (a cura di) 2014, La regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze; Paba G., Perrone C., Lucchesi L., Zetti I., Granatiero A., Rossi M. 2017, Firenze e la Toscana nella transizione post-metropolitana: dalla città policentrica alla ‘new regional city’, in Balducci A., Fedeli V., Curci F. (a cura di) 2017, Oltre la metropoli. L’urbanizzazione regionale in Italia, Guerini e Associati, Milano;

a delle forme di urbanizzazione sempre più frammentarie e meno distinguibili, mutando l’immagine dei luoghi. Il modello metropolitano e post-metropolitano, che nel breve periodo ha prodotto grandi capitali, ha portato nel tempo ad una forte accelerazione al processo di esaurimento delle risorse, divenendo insostenibile (Saragosa, 2011). Tale modello può essere superato attraverso il modello della ‘bioregione urbana policentrica’, un sistema territoriale in cui l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente antropico creano relazioni sinergiche attraverso processi generativi e autorigenerativi delle risorse (Magnaghi, 1995), puntando ad un maggior equilibrio ecologico, produttivo e sociale (Saragosa, 2011). Una delle sfide odierne è quindi quella di favorire la transizione dei territori post-metropolitani verso il più sostenibile modello bioregionale, in cui la città ritrovi un rapporto positivo con il suo intorno rurale e forestale. Il presente capitolo si compone di tre saggi che hanno come filo conduttore l’approccio territorialista alla pianificazione e come obiettivo la valorizzazione delle specificità dei luoghi. Gli studi proposti si basano su un’attenta analisi conoscitiva dei territori d’indagine, due italiani e uno francese, con un’attenzione particolare ai processi co-evolutivi tra uomo e ambiente su cui si è costruita l’identità dei territori. Il tema della bioregione viene affrontato negli scenari progettuali proposti sotto due punti di vista: il primo è quello della valorizzazione del territorio rurale e dell’importanza che questo ricopre nello sviluppo economico locale; il secondo è quello della promozione del senso di appartenenza e della ‘consapevolezza ambientale’ attraverso il coinvolgimento delle popolazioni locali, volta a conseguire una forma più collaborativa, attiva e ‘interattiva’ del progetto di territorio. La riconquista della ‘sapienza ambientale’ (Magnaghi, 1997) e l’approccio multiscalare e multidisciplinare della pianificazione territoriale sono principi fondamentali per poter innescare processi di sviluppo durevoli e sostenibili, necessari alla messa in valore della qualità territoriale nelle diverse realtà locali.

Saragosa C. 2011, Città tra passato e futuro: un percorso critico sulla via di biopoli, Donzelli Editore, Roma; Magnaghi A. 1997, La dialettica locale/ globale per uno sviluppo locale autosostenibile, Firenze, non pubblicato.

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I livelli di monocentrismo dell’area metropolitana bordolese. Fonti: INSEE 2012; IGN BD Topo; Studio Traits et dinamiques de la Métropole Bordolaise a cura dell’A’Urba. Rielaborazione grafica a cura di Luana Giunta.


Per una transizione della metropoli verso la bioregione urbana: il caso dell’area metropolitana bordolese

Allarmismi territoriali contemporanei L’idea di città nell’epoca attuale sta subendo una forte trasformazione in merito alla riconfigurazione degli elementi urbani e territoriali in relazione ai cambiamenti della società contemporanea, delle predisposizioni politiche, degli oscillamenti economici e delle pressioni sull’ambiente. La pluralità di tali mutamenti è divenuta un fattore rilevante tanto da far pensare ad una vera e propria trasformazione che ha attraversato o sta determinando una qualche rottura dei processi territoriali (Rossi, 2014). L’evoluzione del mondo contemporaneo può essere spiegata identificando le matrici di questa trasformazione in tre macro-processi: la crisi del sistema capitalistico e la successiva riorganizzazione, la rivoluzione tecnologica e delle comunicazioni, la globalizzazione del capitale, del lavoro e della cultura (Ivi, p.8). In questo sistema territoriale complesso le metropoli costituiscono i punti focali di irradiamento del cambiamento della società, l’appiglio politico per le strategie di pianificazione dell’intero territorio. La forma metropoli, a differenza del modello metropolitano, riguarda i modelli e le figure che descrivono, non solo la forma fisica della città

Luana Giunta e del territorio, ma anche gli schemi mentali attraverso i quali ci relazioniamo tra noi stessi, con la città, con la campagna e con il mondo intero. Una sorta di forma mentis che implica un modo di vivere il territorio e la città ma anche un modo di ‘fare pianificazione’ secondo i processi contemporanei: consumismo, rivoluzione tecnologica, globalizzazione; d’ora in avanti detti ‘filtri metropolitani’ in modo da consentire un filo logico con quanto segue. Tali filtri impongono trasformazioni violente del territorio attraverso una enorme richiesta di spazio urbano (città diffusa), di cibo (agricoltura industriale) e di risorse per soddisfare un mercato sempre più grande e insostenibile. La condizione allarmante è data dal fatto che tali risorse stanno inesorabilmente finendo, le conseguenze di questa estinzione saranno catastrofiche poiché si assiste alla rottura di tutti gli equilibri territoriali per continuare a produrre low cost ed extralarge. La forma metropoli, inizialmente concepita come città-madre, si è successivamente evoluta, riguardando una fase urbana che ha abbandonato lo sviluppo della città industriale e che afferma, invece, diverse metafore di città e di problematiche, approfondite dalla

letteratura urbanistica con la ricerca di nuovi modelli descrittivi. Inoltre, è stato constatato che la crisi sociale, economica e ambientale che i territori stanno subendo è strettamente correlata all’eccedere del modello metropolitano. Questo ha portato alla rottura di schemi organizzativi ‘spontanei’ per vedere il moltiplicarsi di modelli amorfi di sviluppo che hanno ormai perso ogni contatto con il territorio che li genera e con le società consumistiche coinvolte. Dopo lunghi processi di maturazione si rivelano a noi oggi le conseguenze critiche dei flussi monocentrici, della settorializzazione dello spazio territoriale, della mancanza di autosufficienza, economica, politica, amministrativa e identitaria, dei centri limitrofi che si conformano definitivamente oggi come ‘città satelliti’ accentuando una forte ‘sottomissione’ alla metropoli e conferendogli un potere sempre più ampio. La degenerazione della forma metropoli ha condizionato oggi gran parte delle dinamiche relazionali della società moderna rendendola estremamente dipendente da essa. Ad esempio, le strategie territoriali delle grandi metropoli (come Londra, Parigi, e persino Milano) in cui la crescita della città è legata all’aumentare del potere

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Daniela Poli Co-relatore: Dott. Sylvia Labèque Aprile 2016

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della città stessa, alla sua capacità di riorganizzare il territorio creando fiumi pendolari di ‘utenti’ (non più cittadini) costretti a precorrere distanze sempre più lunghe per vivere le dinamiche quotidiane. A questo punto ci si può interrogare sulle prospettive future o sull’evoluzione degli attuali modelli. Possono essere necessarie delle ridefinizioni di concetti che ad oggi sembravano assodati ma hanno cambiato decisamente significato. Potrebbe essere fatto un saldo di tutto ciò che è stato investito e travolto dal modello metropolitano, ad esempio: la ‘forma metropoli’ ha cambiato la percezione della prossimità? Dell’economia e della produzione? Delle politiche e delle strategie territoriali? Come far fronte a questo cambiamento? La necessità e la volontà di superare il modello metropolitano parte da queste considerazioni e si diffonde nel mondo scientifico ma anche nella società civile, che inizia a imporre la propria idea di territorio e ne chiede un riconoscimento. Superare la forma metropoli è divenuta oggi una necessità vitale per ristabilire un equilibrio territoriale tra uomo, insediamenti e ambiente. Proprio in ragione di questa consapevolezza tali modelli vengono rimessi continuamente in discussione ma trovano oggi una volontà sempre più condivisa per un’inversione di tendenza. L’area metropolitana bordolese tra problematiche attuali e nuove strategie pianificatorie Il quadro allarmante della metropolizzazione del territorio trova in Francia una declinazione anomala rispetto a quella degli altri paesi poiché se da un lato si assiste alla pianificazione del territorio secondo i ‘filtri metropolitani’ di cui sopra, dall’altro si ha

un riconoscimento istituzionale della metropoli che merita di essere analizzato come processo politico tipico del caso francese, mettendo da parte i preconcetti fino ad ora decritti. Il concetto di metropolizzazione francese inizia ad essere partorito verso la fine della seconda guerra mondiale, periodo nel quale gravi problemi territoriali affliggevano la nazione. Di questi i più urgenti erano: la necessità di una strategia di sviluppo estesa a tutto il territorio nazionale, la riduzione dei disequilibri regionali e la riconversione delle regioni in declino economico. In particolare, il problema della disparità regionale, con la crescita spropositata dell’agglomerazione di Parigi, aveva creato un’instabilità di pesi e confluenze in tutta la nazione che vedevano flussi in entrata e sviluppo economico concentrati sulla capitale1. Inoltre, i disequilibri a scala nazionale vedevano la contrapposizione netta tra est industrializzato ed ovest rurale. Per far fronte a questi problemi lo Stato propone la strategia delle métropoles d’equilibre, poli di sviluppo capaci di attirare le attività e gli abitanti sulle città dominanti delle regioni e contrastare così il monocentrismo di Parigi. Vennero designate otto métropole che dovevano di fatto equilibrare il forte peso attrattivo di Parigi: Lyon-SaintÈtienne- Grenoble; Marseille-Aix; Lille-Roubaix-Tourcoing; Bordeaux; Toulouse; Strasbourg; Nancy-Metz; Nantes-Saint-Nazaire. In seguito, tale politica non diede i risultati attesi e negli anni a seguire divenne meno urgente a favore dello sviluppo delle ville moyennes e dei Pays2. Solo con la Loi MAPTAM del 2014 viene riproposto lo schema metropolitano come strategia di pianificazione del territorio. Questa legge afferma di fatto le ‘metropoli’ come collettività territoriale (metropoli

istituzionale) mescolando così un processo territoriale (metropoli geografica) ad uno schema amministrativo volto alla concentrazione di potere (Paquot, 2015). Il caso bordolese si inserisce in questa duplice definizione metropolitana affermando una netta differenza tra Bordeaux Métropole, l’EPCI comprendente 28 comuni appartenenti alla ex Communauté Urbaine de Bordeaux (la CUB), con una popolazione di 7242243 abitanti e l’aire métropolitaine bordelaise che raggruppa 98 comuni e una popolazione di circa 920000 abitanti (Sysdau, 2014, p.162). Questi due livelli metropolitani bordolesi si combinano tra loro in una relazione univoca nella quale Bordeaux Métropole costituisce il polo urbano e l’area metropolitana bordolese si configura come bacino di utenza della métropole affermando un monocentrismo ben riconoscibile. La concentrazione dell’armatura urbana e delle centralità principali (attività industriali e logistiche, zone commerciali maggiori, grandi infrastutture e servizi del settore quaternario) configurano il polo bordolese come una tipica metropoli. Si possono riscontrare tutte le trasformazioni che le politiche monocentriche hanno imposto sul territorio attraverso i ‘filtri metropolitani’. In particolare, su un rapporto banalizzato città-campagna che vede la contrapposizione da un lato della città diffusa e dall’altro una campagna industrializzata rivolta esclusivamente a dinamiche di mercato globali. Per analizzare il monocentrismo bordolese può essere utilizzata una griglia di lettura semplice organizzata secondo cerchi concentrici (ovvero fasce chilometriche di distanza dal centro attrattivo) che si irradiano dalla métropole verso il territorio aperto e che rivelano differenti livelli di monocentrismo.

Considerate le aree di saturazione in cui gli spostamenti giornalieri, la concentrazione delle attività commerciali, dei servizi e del lavoro, l’offerta abitativa e la densità edilizia subiscono la forza attrattiva della metropoli bordolese; si configura come primo livello di monocentrismo un cerchio di raggio 50km dal centro di Bordeaux. Le aree di saturazione possono essere a loro volta scomposte rivelando: il livello monocentrico della densità abitativa con un raggio massimo di 40 km e quello delle centralità (servizi e funzioni metropolitane) pari a 20 km. Si nota come le densità abitative e l’offerta servizi siano più compatti verso il livello prossimo alla metropoli (circa 15km). Questo crea grossi conflitti tra le aree urbanizzate, aree urbanizzabili e aree agricole attraverso una pressione economica più o meno forte a seconda delle loro prestazioni. Le forme urbane situate nelle interfacce metropolitane (per la maggior parte costituite da pavillonnaire) rispecchiano la volontà di espandere un modo di abitare in cui un forte individualismo prevarica sul senso di urbanità, le forme di residenze monofamiliari e di spazi monofunzionali. Si afferma un modello urbano insostenibile, consumatore di suolo, divoratore di risorse e addomesticatore di territorio. Quanto concerne la campagna e le sue attività esse risultano completamente disconnesse dalla città e pertanto impossibili da inscrivere nella griglia di lettura concentrica proposta prima. In seguito alle dinamiche contemporanee definite dalle politiche del XIX secolo, l’agricoltura bordolese rompe tutti gli equilibri territoriali di lunga durata per inserirsi in un mercato globale in cui Bordeaux è sempre stata una delle città più rappresentative, visto il ruolo del porto e l’importanza storica


della città nel campo del commercio. Le produzioni agricole passano dalla scala locale, organizzata secondo un modello di sussistenza, alla scala globale in cui il mosaico agricolo si semplifica in tre grandi produzioni: la viticoltura e il mercato mondiale del vino con la concentrazione di investimenti ed interessi economici extraterritoriali; la silvicoltura per la produzione della resina esportata in America alla fine del XIX secolo e del legname esportato in tutto il nord Europa; la maiscoltura gestita da grandi multinazionali anch’esse extraterritoriali. A questa globalizzazione dell’economia agricola segue una banalizzazione del paesaggio, attraverso una forte industrializzazione del mondo rurale e allarmanti criticità ambientali riguardo lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Ancora una volta i ‘filtri metropolitani’ guidano le dinamiche territoriali. Il sistema dell’agricoltura di prossimità è stato fortemente compromesso e nuovi conflitti d’uso sono sorti in relazione alla rendita fondiaria contrapponendo: urbanizzazione versus silvicoltura, viticoltura versus urbanizzazione, maiscoltura versus urbanizzazione, ecc. Si assiste oggi a crescenti fenomeni di abbandono di terreni agricoli non più redditizi in cui l’attesa di un’urbanizzazione futura rappresenta l’unica soluzione accettabile. Inoltre, la riconversione verso forme agricole sostenibili diventa sempre più complicata in relazione all’eccessivo inquinamento del suolo. Una netta inversione di tendenza viene segnata dallo SCoT4 dell’area metropolitana bordolese che si inserisce nel quadro nazionale come uno dei più innovatori sia per i vari approcci sperimentali che per la forte componente ambientale che costituisce l’ossatura principale del piano.

sotto La struttura profonda e le macrofigure territoriali. Fonti: IGN BD Topo; BD Alti; BD Bati; Corine Land Cover 2006. Rielaborazione grafica a cura di Luana Giunta pagine successive L’area metropolitana: cuore della bioregione. Fonti: IGN BD Topo; SCoT de l’aire métropolitaine bordelaise, DOO. Rielaborazione grafica a cura di Luana Giunta Concept progettuale per la transizione bioregionale. Fonti: IGN BD Topo; SCoT de l’aire métropolitaine bordelaise, DOO. Rielaborazione grafica a cura di Luana Giunta

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Iniziato in seguito alle leggi Grenelle5 il piano mette al centro delle sue strategie la tutela dei maggiori corridoi ecologici e delle aree agricole con valenza paesaggistica. In seguito, definisce le aree massime di espansione urbana definendo dei perimetri applicabili direttamente ai piani sottordinati (PLU e PLUi). Tale strategia ha diversi scopi: quello di ridurre il consumo di suolo, controllare le forme urbane e soprattutto di contrastare il monocentrismo della metropoli bordolese attraverso una ridistribuzione della popolazione crescente (in seguito alle ultime tendenze migratorie nazionali) nei vari comuni esterni alla metropoli. Quest’ultimo passaggio vede la designazione di altre strategie integrate come quella di una rete di trasporti, pubblici e privati, più efficiente e interconnessa; la disposizione di nuove centralità esterne alla metropoli che si configurano come ‘la geografia prioritaria’ dello SCoT. Queste strategie si formalizzano in misure di protezione e raccomandazioni alla pianificazione sottordinata come la protezione di 120 000 ha di aree agricole, naturali e forestali (Sysdau, 2014, p.42). La sensibilità per le dinamiche territoriali sostenibili si è evoluta negli ultimi anni in seguito alla volontà di dare un senso etico a queste enormi aree protette, riattivando dinamiche di lunga durata e riaffermando le identità locali. In questa ‘rivoluzione filosofica’ lo SCoT propone di intraprendere la sperimentazione dell’approccio bioregionale seguito da un partenariato tra la scuola territorialista dell’università di Firenze e il Sysdau. Il risultato di questa fruttuosa collaborazione vede per il Sysdau6 la volotà di invertire la tendeza metropolitana facendo ‘métropole autrement’ (motto dello SCoT) equilibrando la protezione ambientale, le attività agricole, le modalità dell’abitare, i

trasporti, il turismo, lo sviluppo economico ed infrastrutturale. La necessità di superare la forma metropoli: l’approccio bioregionale e la bioregione girondina Alla luce delle dinamiche analizzate l’attuale condizione dei territori fa della forma metropoli una delle cause principali di questi cambiamenti disastrosi. La necessità di superare quest’epoca urbanistica, non più rappresentativa delle esigenze reali, mette in gioco diverse sfide incentrate sulle dinamiche identitarie (Carle, 2012) degli abitanti di un territorio piuttosto che sul valore del loro potere d’acquisto. L’esigenza di riconnettere l’uomo al suo territorio è un dato che viene innanzitutto dalle società stesse, che esigono oggi un territorio più inclusivo dei bisogni quotidiani e una prospettiva di vita più qualitativa. La pianificazione territoriale ha il ruolo, ma innanzitutto il dovere, di proporre delle vie alternative per attuare questo ricongiungimento desiderato. La visione bioregionale si interpone in questo clima di cambiamento fornendo nuovi modelli territoriali e invitando a riflettere sul legame primordiale tra uomo e territorio. Nella delineazione del concetto di bioregione si considera questo legame tra geografia fisica di un territorio e attività umana come una relazione biunivoca essendo essa stessa l’unione tra il bios (dal greco, vita) e regere (dal latino, governare) (Iacoponi, 2001). La riscoperta della bioregione diventa dunque la consapevolezza e la sensazione di un qualcosa che esiste da sempre in natura, data la sua spontaneità, ma che il nostro mondo moderno e globalizzato ignora o semplicemente ha perso di vista. Assodati i punti chiave della visione bioregionale, è nella bioregione urbana che “appare il riferimento

appropriato per trattare in modo integrato i diversi fattori che caratterizzano l’abitare contemporaneo” (Poli, 2013, p.1) cercando di rimettere a sistema tutte le componenti territoriali secondo una “traiettoria co-evolutiva fra insediamento e ambiente di riferimento” (Ibidem). La bioregione urbana definita da Magnaghi è dunque “un sistema territoriale locale caratterizzato al suo interno: dalla presenza di una pluralità di centri urbani e rurali, organizzati in sistemi reticolari e non gerarchici di città, connessi ciascuno in modo sinergico, peculiare e multifunzionale con il proprio territorio rurale […]; dalla presenza di sistemi idrogeomorfolgici e ambientali complessi e differenziati, relazionati in forme coevolutive

e sinergiche con il sistema insediativo urbano e agroforestale […] [caratterizzando] […] la qualità e gli stili dell’abitare, i caratteri identitari e patrimoniali, equilibri ecosistemici durevoli e la capacità autoriproduttiva di un luogo” (Magnaghi, 2014, p. 10). Proiettando quanto eposto sul caso bordolese, è nel dipartimento della Gironde che si ritrovano i caratteri co-evolutivi tipici della configurazione bioregionale. Attraverso un’analisi delle dinamiche di lunga durata, il rapporto tra Bordeaux e del suo arrière-pays riporta un sistema di interrelazioni virtuose, sinergiche e completamente opposte alla recente ‘forma metropoli’. La Gironde ha più o meno avuto, fino alle grosse trasformazioni del


XIX secolo, un’ipotetica conformazione bioregionale policentrica, fondata su sistemi territoriali equilibrati che garantivano la complementarietà e la sinergia tra le diverse parti all’interno un’unica regione. Il sistema agricolo e quello produttivo delineavano diversi territori all’interno del dipartimento, ognuno dei quali aveva un ruolo economico, identitario, paesaggistico peculiare che ritrovava nell’elemento unitario dell’acqua i caratteri di una ‘bioregione storica’. Tali caratteri bioregionali rappresentano oggi uno scenario futuro di sviluppo sia per il territorio girondino che per la metropopli bordolese, sono un’occasione per ristabilire un equilibrio territoriale attraverso

la riattivazione di questo substrato storico che ne rappresenta la sua ragione d’essere. Ritrovare le identità locali è dunque la sfida per rompere questo schema monocentrico bordolese riallacciando i legami tra la città e il suo territorio verso una relazione di interdipendenza, verso uno scenario condiviso di bioregione urbana. Verso la transizione: una métropole biorégionale per lo SCoT dell’area metropolitana bordolese Una volta descritte le condizioni critiche, le volontà di superarle e gli scenari futuri la questione adesso riguarda: quale azione progettuale per passare dal modello metropolitano allo scenario bioregionale? Per evolvere

la ‘forma metropoli’ verso uno scenario completamente opposto occorre escogitare un mezzo di transizione che possa costituire dei passaggi graduali, una grande sfida per la pianificazione urbana e territoriale. La delineazione della métropole biorégionale riporta la necessità di inquadrare dei processi di trasformazione territoriale, ovvero una transizione tra metropoli e bioregione partendo dalla certezza fisica che “nulla si crea, nulla di distrugge ma tutto si trasforma” (Legge di conservazione della materia, Antoine-Lurent de Lavoisier). La proposizione di questo ossimoro vuole violentemente creare un’associazione mentale tra due sistemi territoriali opposti per cercare di capire come trasformare l’esistente insostenibile in uno scenario aulico di sviluppo. Nel periodo attuale in cui si ha un cambiamento di paradigmi attraverso l’esigenza di transitare verso nuovi sistemi sostenibili, (ad esempio i modelli di transizioni energetiche, biologiche, alimentari, etc.) la métropole biorégionale può essere l’occasione per ripensare una transizione territoriale, modellando i ‘filtri metropolitani’ attraverso i ‘filtri bioregionali’ ovvero: la prossimità del territorio agricolo e delle economie locali per una metropoli che si ricongiunge alla sua campagna, un sistema di relazioni sinergiche e complementari tra le altre città dell’area metropolitana, la connessione uomo-ambiente per la salvaguardia delle risorse naturali. Nel caso bordolese la volontà di fare ‘métropole autrement’ acquista un altro significato in cui la métropole biorégionale si costituisce come alternativa progettuale. La metodologia per la transizione verso la bioregione si struttura secondo una griglia di lettura composta da cerchi concentrici che inquadrano i livelli di prossimità da e verso l’area metropolitana. Tale griglia

non è altro che la rielaborazione dei livelli di attrattività della metropoli, nella volontà di invertire la rotta monocentrica verso una forza centripeta in cui è la città ad essere attratta dalla sua campagna. Vengono riconfigurati dei livelli di prossimità sulla base di nuove centralità agro-urbane invertendo così la rotta monocentrica della metropoli. Le fasi progettuali si dispiegano secondo questo schema concentrico in quattro fasi: la prima detta dei ‘fusi territoriali’, in cui la metropoli si riconnette e si scompone secondo la sua bioregione urbana di riferimento; in un secondo tempo viene dettagliata invece la ‘métropole di prossimità’ che fonda sulla griglia di lettura concentrica la definizione dei livelli di prossimità; la ‘métropole ecologica’ che rompe la griglia di lettura poiché cosidera il dato naturale non inscrivibile a modelli di inquadramento prestabiliti; la costituzione di una rete policentrica e la riattivazione delle identità locali che si traduce nella ‘métropole policentrica’; infine la condensazione di tutte le fasi nella métropole biorégionale che riassembla tutti gli elementi precedenti, delineando gli strumenti di governo del territorio. La pima fase del progetto di transizione bioregionale riguarda la collocazione dell’area metropolitana all’interno della scala dipartimentale. Per “bioregionalizzare” la metropoli bisogna innanzitutto agire al cuore della bioregione di riferimento che ne rappresenta il contesto territoriale pluridentitario capace di rompere lo schema ‘metropoli-deserto circostante’. Ricontestualizzando il livello attrattivo dell’area metropolitana si definisce la città di prossimità, riprogettando il patto città-campagna attraverso la delineazione dei ruoli del territorio rurale prossimo, garantendo 17 una relazione policentrica


delle città, scomponendo la ‘forma metropoli’ attraverso le diverse identità territoriali della ‘bioregione storica’ ovvero i ‘fusi territoriali’. Attraverso la ‘métropole di prossimità’ si intende ripensare al territorio agricolo come produttore di ricchezza. La sanzione di un patto città-campagna (Magnaghi, Fanfani, 2010) diventa quindi la strategia principale per costituire dei vari livelli graduali tra sistema urbano e sistema rurale. Vengono identificati i livelli di prossimità: la cintura agricola multifunzionale posta ad una distanza di circa 20km dal centro metropolitano, nella quale vengono riattivate le dinamiche patrimoniali del territorio agricolo (ad esempio la vigne en joualle7) rilanciando uno sviluppo intrinseco delle aree rurali; le aree periurbane che, con una distanza di circa 15km dal centro metropolitano, costituiscono una corona multifunzionale strategica per la localizzazione di nuove centralità agro-urbane e per il ridisegno delle interfacce metropolitane attraverso la ridefinizione dei margini; infine la valorizzazione degli spazi urbani della ruralità appoggiando le iniziative della comunità e la riqualificazione delle aree dismesse. La ‘métropole ecologica’ intende ristabilire una ‘consapevolezza ambientale’ fondata sulla conoscenza dei diversi tipi di habitat e l’integrazione delle attività umane con quelle naturali assumendo il dato ambientale come elemento regolatore delle azioni antropiche. Per realizzare questo obiettivo vengono proposte azioni di rinaturalizzazione di aree agricole produttive (la ‘vigna sostenibile’ nel caso della viticoltura e il ‘débroussaillement’ nelle aree silvicole) per costituire la maglia fine dei corridoi ecologici, condizionando l’attività agricola secondo misure agro-ambientali e favorendo le connessioni

ecologiche a più livelli. Le ‘reti ecologiche multifunzionali’ (REM) costituiscono invece la grande novità di questo asse. Partendo da riferimenti teorici come le reti ecologiche polivalenti (Malcevschi, 2010) e la trame verte et bleue (Code de l’environnement, 2016) inseriscono la possibilità di integrare delle funzioni d’uso alle aree naturali protette relazionandole di volta in volta all’ambiente circostante (sia esso urbano, agricolo, naturale o silvicolo), costituendo un’infrastruttura ecologica e paesaggistica predominante il progetto di riconversione sostenibile del territorio. La ‘métropole policentrica’ riguarda il sistema delle relazioni territoriali dei centri urbani che viene ripensato a partire dalle peculiarità identitarie. Vengono riattivate le specificità locali che permetteranno ad ogni centro urbano di possedere un proprio ruolo all’interno del sistema economico territoriale, costituendo “sistemi reticolari e non gerarchici di città, connessi ciascuno in modo sinergico, peculiare e multifunzionale con il proprio territorio rurale” (Magnaghi, 2014, p. 10).

La ‘métropole biorégionale’ si compone di tutte queste dimensioni progettuali ricondensalndole e fondendole tra loro. Vengono identificate cinque macroaree sulla base dei ‘fusi territoriali’ nelle quali la relazione sancita del patto città-campagna si configura con le identità della bioregione storica. Il parco agricolo si costituisce come strumento capace di governare queste macroaree ricostruendo un legame fra società umana e territorio attraverso i caratteri morfologici e identitari dei luoghi, i livelli concentrici di prossimità e l’armatura ambientale. La ‘métropole biorégionale’ trova all’interno dello SCoT dell’area metropolitana bordolese una dimensione strategica in quanto si costituisce come asse trasversale tra le quattro strategie proposte nel piano (Métropole Nature, Métropole Responsable, Métropole à Haut Niveau des Services, Métropole Active). Attraverso la costituzione dei cahier de mise en oeuvre, lo SCoT intende costituire i ‘cantieri della transizione’ nei quali la ‘métropole biorégionale’ rappresenta il punto

di partenza per un cambiemento di approcci progettuali aprendo la strada ad uno scenario bioregionale sempre più concreto e realizzabile. L’ottica bioregionale diventa dunque la ‘terza via’ per un cambiamento radicale del territorio, attraverso una pianificazione che necessita di essere più matura e consapevole dei processi coevolutivi che fondano il territorio stesso. Alle stratificazioni delle componenti ambientali, delle scelte politiche, dello sfruttamento del territorio e il conseguente sviluppo economico si incorpora il riconoscimento “dell’attore che se ne prende cura e lo progetta congetturando la critica e la decostruzione dei presupposti ideologici e teorici del modello della modernità”(Bonesio, 2011, p.4). Proprio attraverso questa decostruzione si può attuare una riformulazione del problema metropolitano per trovare una, mille o nessuna soluzione ma sicuramente l’uscita da una situazione di stallo verso una proposizione di orientamenti futuri ispirati da ideali bieoregionali.


in questa pagina e nella precedente Le métropoles di prossimità, ecologica, policentrica e biorégionale. Fonti: IGN BD Topo, BD Alti; SCoT de l’aire métropolitaine bordelaise, DOO; http://www. acheteralasource.com/vente-directe-producteur/ aquitaine/gironde-33; http://www.amap-aquitaine. org; http://www.drive-fermier.fr/33; https:// laruchequiditoui.fr; http://www.drive-fermier.fr/33. Rielaborazione grafica a cura di Luana Giunta.

Nell’era attuale in cui è forte la necessità di ristabilire le radici della società, che vaga per processi globalizzanti e con una forte fame di identità, l’interazione tra ambiente antropico e paesaggio restituisce un’evoluzione dinamica delle componenti che lo strutturano nella sua condizione più resistente. Dal riconoscimento del carattere relazionale e contestuale del territorio si attua dunque la sua ridefinizione considerando tutte le dimensioni costitutive nella loro reciprocità.

Note

Bibliografia

1 L’idea di combattere tale disparità fu popolarizzata tramite un libro di Jean-François Gravier divenuto slogan in quegli anni “Paris et le désert français” del 1947 che rispecchiava al meglio la problematica urgente del ruolo monocentrico di Parigi. 2 Definite nella Loi Pasqua del 1995 e nella Loi Voynet del 1999 e abrogati con la con l’art. 51 della Loi Réforme des collectivités territoriales del 2010 che sospende la possibilità di creare nuovi Pays. 3 Dato reperito in: <http://www.bordeaux-metropole.fr/vie-democratique/28-communes-de-la-metropole>. 4 Per una definizione sullo strumento vedi Art. L.121-1 del Code de l’urbanisme. 5 Sono due leggi: la prima, Loi n° 2009-967 du 3 août 2009, detta Loi Grenelle I che mette in forma legislativa i forum nazionali sulle emergenze ambientali (Grenelle Environnement); la seconda, Loi no 2010- 788 du 12 juillet 2010, detta Loi Grenelle II che introduce le disposizioni ambientali in pianificazione territoriale e urbana. 6 Sindacato misto dell’area metropolitana bordolese designato per la cooperazione, la redazione, l’approvazione e l’applicazione dello SCoT. Raggruppa i 98 comuni dell’area metropolitana ed è rappresentato da una commissione politica (composta dalle rappresentanze istituzionali delle collettività coinvolte) e da un equipe tecnica per la redazione e la sua mise en oeuvre del piano (http://www.sysdau.fr/). 7 Risistemazione in coltura biodinamica della vigna attraverso l’introduzione di altri tipi di agricoltura secondo il metodo storico della ‘vigne en joualle’. L’azione introduce il concetto di multifunzionalità del vigneto senza consacrare nessun ettaro esistente di coltura, favorendo la diversità del paesaggio e preservando la biodiversità. Tra le varie azioni previste per la ‘vigna en joualle’ anche quella volta alla comunicazione e valorizzazione del prodotto all’interno della filiera del vino attraverso una certificazione aggiuntiva (label de qualité) fondato sulla riattivazione del patrimonio territoriale.

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Fig. 1 Inquadramento multiscalare della Val Nervia e dei suoi comuni. Fonte: http://www.cartografia. regione.liguria.it/ - Gennaio 2017


Patrimonio territoriale ed economie bio-regionali. Uno scenario strategico per ri-abitare la Val Nervia (IM) Agnese Pascucci

Introduzione Ormai da tempo assistiamo ad una crescente attenzione posta verso i temi legati al cibo e, in particolare, ai cosiddetti ‘prodotti tipici locali’. È divenuta consuetudine utilizzare termini come ‘biologico’, ‘Km zero’, ‘filiera corta’, ‘DOP’, ‘DOC’, ‘IGP’. Questa attenzione rivolta al cibo, comporta anche un interesse alle tradizioni produttive e alle economie rurali di un tempo, oltreché al paesaggio agricolo ad essi correlato. Di conseguenza viene spontaneo chiedersi come la nuova valorizzazione di queste attività economiche cosiddette ‘della tradizione’ si relazioni con il territorio, con i paesaggi locali e che influenza abbia su di essi. Da tali quesiti nasce l’idea, illustrata in sintesi nel lavoro che segue, di approfondire lo studio delle relazioni che la produzione agro-alimentare instaura, in un territorio determinato con altri fondamentali aspetti della pianificazione, quali: biodiversità e rinaturalizzazione, controllo del consumo di suolo, ritorno all’agricoltura ed agli antichi mestieri. Tutte tematiche molto attuali le quali ovviamente sono in stretta relazione con la pianificazione urbanistica, i suoi strumenti e le sue tematiche. Il lavoro, di seguito presentato, nasce dunque con l’obiettivo di studiare

alcuni processi attivi di messa in valore del rurale come prefigurazione ed avvio di un nuovo modello di sviluppo locale integrato. Ciò ai fini della definizione di uno scenario territoriale costituito da politiche ed interventi congruenti con tale modello. Si proporranno modelli di uso ed assetto del territorio più attenti alla società locale e alla natura dei luoghi, attraverso la definizione di uno scenario strategico sovracomunale di medio e lungo periodo, mediante l’integrazione fra ambiente ed insediamenti, potenziando quelle aree ritenute strategicamente importanti. L’oggetto di studio viene sviluppato secondo un accurato lavoro di analisi basato sull’approccio territorialista, il quale fonda le proprie radici analitiche ed interpretative sulle componenti territoriali, ecologiche e storico antropologiche. L’analisi multidisciplinare del territorio permetterà di sintetizzare quegli elementi e quelle relazioni che consentirebbero l’evoluzione dello stato di fatto verso possibili assetti futuri, con i quali l’intero territorio analizzato potrà essere valorizzato, tutelato e quindi ri-abitato in una prospettiva bio-regionale. Tale approccio è applicato alla Val Nervia, valle dell’estremo Ponente ligure, la quale è stata scelta come

area di studio paradigmatica da diversi punti di vista. La sua struttura territoriale, evidenzia infatti connotati fortemente agricoli, i quali però nel corso dell’ultimo secolo hanno visto un progressivo avanzamento del bosco, causato dall’abbandono degli spazi rurali a seguito del boom economico il quale ha portato allo spostamento delle popolazioni verso aree industrializzate ed urbane. Oggi, tuttavia, si sta verificando un fenomeno inverso a quello appena citato, ovvero si manifesta un ritorno, da parte di alcuni soggetti sociali, verso le aree rurali, secondo un forte interessamento verso di esse da più punti di vista. Ovviamente tale fenomeno interessa anche la disciplina della pianificazione territoriale, la quale, seguendo un approccio multidisciplinare, è finalizzata a ricostruire la natura dei processi di trasformazione territoriale anche dal punto di vista dell’economia di un dato territorio. Ciò ha ulteriormente motivato la scelta del bacino del torrente Nervia come area di studio, poiché tale ambito ha una storia segnata dall’incrocio di più vicende e potenze politiche, per la sua natura di zona baricentrica tra la catena montuosa delle Alpi Liguri e il mare. Inoltre, la Val Nervia presenta

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. David Fanfani Aprile 2017

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Fig. 2 Il contesto di riferimento, la Val Nervia. Fonte: http://archeonervia.blogspot.it Gennaio 2016

Il paesaggio, definito come il volto visibile del territorio, si muove, vive ed invecchia con gli uomini. E. Turri, 2002

molti aspetti di interesse anche per la sua economia, sia storica che attuale, la quale è basata su radici locali molto forti. Ciò ha portato alla promozione e sviluppo di attività economiche locali, legate alla tradizione, che sul lungo periodo hanno definito in particolare quattro ‘prodotti tipici’, principali motori economici della valle. Obiettivi del lavoro L’obiettivo primario di questo lavoro è dunque quello di definire un modello progettuale integrato finalizzato a restituire valore al territorio rurale, indirizzandolo verso nuovi modelli di sviluppo di tipo endogeno, più attenti alla società locale e alla natura

dei luoghi attraverso la definizione di uno scenario strategico sovracomunale di medio e lungo periodo inclusivo dei comuni di Camporosso, Dolceacqua, Isolabona, Apricale, Rocchetta Nervina, Pigna e Castelvittorio, facenti parte dell’ambito di bacino del torrente Nervia (Fig. 2). Si intende, perciò, definire i criteri per far interagire ambiente ed insediamenti mediante lo sviluppo di quelle aree ritenute strategicamente importanti, sia per il contesto in cui esse sono situate sia per il ruolo che potrebbero ricoprire. Ai fini della definizione di uno scenario strategico è necessario prima analizzare le dinamiche interne ad una valle da sempre divisa, ma che

oggi è destinata trovare una sintesi e conciliare i diversi modelli sociali. Il lavoro si concentrerà sullo studio dell’economia tradizionale e tenterà di valutare l’influenza che essa ha avuto sullo sviluppo dei comuni della Val Nervia, ma soprattutto cercherà di individuare le modalità di produzione e di organizzazione del territorio per la messa in valore e recupero del paesaggio rurale. Da questo punto di vista saranno in particolar modo approfondite le modalità di rafforzamento del nesso di causalità tra la zona geografica e la qualità o le caratteristiche di un prodotto, legame che protraendosi sul lungo periodo, può essere associato ad un’eventuale denominazione, o più

in generale al titolo di ‘prodotto tipico’. Altro obiettivo importante è poi quello di collegare il recupero di economie a base locale con la possibilità di riabitare in maniera adeguata uno spazio rurale dell’entroterra del Ponente ligure, ricostituendo dei nessi di prossimità, sia di senso che ‘funzionale’ e produttiva, fra le popolazioni ed il proprio territorio. Metodologia adottata ed articolazione del lavoro Paesaggio e paesaggio agrario: l’approccio territorialista Nel corso di questo lavoro si evidenzia come il paesaggio può essere considerato il ‘vestimento’ storico di un territorio che muta nel tempo ed è


testimone ed espressione dell’evoluzione culturale e politica, ma nello stesso tempo mantiene forte il collegamento con il proprio imprinting naturale. Perciò ai paesaggi tradizionali va riconosciuto in particolar modo, per promuovere la salvaguardia attiva, il carattere della multifunzionalità, includendo in essa non solo le funzioni produttive, ma anche quelle ambientali, socioculturali, estetiche. La multifunzionalità di un paesaggio è un carattere fondamentale, in quanto supera i confini di ogni singolo agro-sistema connettendosi così, funzionalmente e strutturalmente, agli altri sistemi che nell’insieme costituiscono il paesaggio stesso. La definizione del paesaggio come soggetto ‘vivo’ che esige di essere percepito, capito, interpretato e tradotto in messaggi in continua evoluzione, implica anche una accezione complessa di ‘paesaggio agrario’. Tale termine, infatti, viene spesso utilizzato in maniera inappropriata, quando, nella modernità e nel contesto attuale, richiede una interpretazione adeguata ai processi nuovi che si intessono fra urbano e rurale. Un ‘paesaggio agrario’ potrebbe essere inteso come opposto ad urbano, ma allora comprenderebbe tutto ciò che è esterno a questo ambito, il che risulta essere piuttosto approssimativo; potrebbe essere inteso come limitato allo spazio coltivato, ma anche questa è una limitazione importante oltreché troppo restrittiva; potrebbe ancora essere riferito allo spazio naturale, anche se tale definizione risulta essere oramai difficile da identificare come entità organica, quanto più risulta essere solo una parte del complesso definibile ‘agrario’. Emersa la complessità nella definizione di ‘paesaggio agrario’ è possibile affermare che una sua identificazione va ritrovata

nello spazio in cui si svolge e si realizza la attività agricola come preponderante ed economicamente organizzata, indirizzata a trarre dalla terra i prodotti che essa sola può produrre. In tale ambito l’attività umana si svolge sia mediante la coltivazione che la costruzione di territorio, rivolte entrambe al raggiungimento dello scopo e destinate a contribuire alla vita del paesaggio e a segnarne la trasformazione nei suoi connotati e nelle sue condizioni. Questa identificazione risulta essere fondamentale per alcune considerazioni che si possono trarre e che possono aiutare a capire il passato, il presente e il futuro, almeno come ipotesi. Le considerazioni appena sviluppate trovano piena coerenza nella metodologia di studio adottata e riferita all’approccio ‘territorialista’. Tale approccio pone una distinzione tra i termini ‘territorio’ ed ‘ambiente naturale’, in quanto è ritenuto come quest’ultimo, pur essendo parte integrante del primo, non è sufficiente a definirne la complessità. In tale lettura il ‘territorio’ è “costituito da tre componenti: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente antropico” (Magnaghi, 1995, p. 6). Il territorio risulta essere così “un organismo vivente ad alta complessità, prodotto dall’incontro fra eventi culturali e natura, composto da luoghi (o regioni) dotati di identità, storia, carattere, struttura di lungo periodo […]” (Magnaghi, 1995, p. 7). Da tale definizione deriva la multidisciplinarietà dell’approccio territorialista. Non si può pensare di esaurire la complessità del territorio ricorrendo ad un solo sapere o dominio disciplinare, è necessario ricorrere ad una integrazione fra le varie scienze del territorio, per comprendere la multidimensionalità dei fatti ed opere territoriali. Per tale motivo è fondamentale adottare una pratica di studio e

progetto pluridisciplinare, pratica dove trova un ruolo di grande rilievo anche l’antropologia storica, disciplina della quale ci si è avvalsi per analizzare il territorio della Val Nervia. Sulla base di quanto detto finora, per intervenire su un territorio, mediante un approccio territorialista, è ritenuta necessaria la conoscenza di molteplici caratteristiche, fra cui la conoscenza delle popolazioni che lo abitano e che lo hanno abitato, definendone così le attuali peculiarità. Tra il territorio e la sua popolazione si viene a creare un’interdipendenza costante e continua nel tempo, la quale li porta a fondersi in un tutt’uno inscindibile. L’analisi territoriale, fondata sulla metodologia territorialista, ha svolto quindi la funzione di acquisire i dati analitici necessari ad una azione di pianificazione consapevole, che rispetti le esigenze del dato territorio e che ne valorizzi le qualità di qualunque genere esse siano. Ogni volta che si lavora su un territorio come urbanisti e pianificatori ci si scontra con il problema dell’identità per cui è fondamentale trovare un metodo per capirla, fondando successivamente un progetto su trasformazioni che non distruggano il patrimonio genetico, al contrario contribuiscano ad accrescerlo. Ignorare le identità socioculturali collettive e di lungo periodo comporta rischi di fallimento da parte di una pianificazione territoriale che risulta astratta e inadeguata a cogliere le dinamiche, gli attori e le cause dei fenomeni che intende trattare. È per questo che può anche accadere che una buona pianificazione del territorio, anche tecnicamente pertinente e ben impostata, fallisca, a causa della mancata conoscenza dei comportamenti profondi degli abitanti del dato territorio, i quali dovrebbero essere i principali interlocutori e promotori delle trasformazioni

previste. Perciò essere a conoscenza delle identità socioculturali collettive diviene essenziale al pianificatore che voglia assumere gli attori locali come soggetti di piano (Magnaghi, 1987). Il ruolo ed il metodo dell’antropologia storica L’antropologia storica degli insediamenti umani, stabilisce un nesso specifico tra territorio, storia e comunità locale. Per definizione il territorio ha una storia propria, la quale interviene attivamente nell’esistenza individuale e collettiva, nei processi mentali, linguistici, percettivi, sensoriali, anche se in forma di identità nascosta cumulatasi nel lungo periodo (Carle, 2013, p. 4). La storia diviene così necessaria all’intervento sul territorio, poiché indaga nel tempo tutto quello che vede per protagonista l’uomo, sia come singolo elemento che nella collettività, e soprattutto come questo abbia influenzato sul lungo periodo l’evoluzione di un territorio. Il metodo storico antropologico dimostrando l’importanza dell’analisi storica, definisce anche una concezione ben precisa di storia, la quale pone la problematica dell’identità culturale al centro dello studio di una realtà territoriale, respingendo l’uso di criteri universali finalizzati a valutare le diverse epoche storiche. Per riuscire a delineare nella maniera più corretta possibile la storia locale del territorio preso in analisi, di conseguenza utilizzare le fonti corrette, che siano manoscritte, a stampa, orali, visive e informatizzate, è necessario definire dei riferimenti spazio-temporali. Nel corso degli studi sulla Val Nervia, emerge come la disciplina dell’antropologia storica sia determinante ai fini dell’analisi territoriale. Per analizzare 23 un territorio gli urbanisti


devono confrontarsi anche con la popolazione che abita il dato territorio, affinando le proprie capacità di mettere in comunicazione anche i linguaggi e metodi della sociologia (rurale ed urbana) e dell’antropologia. Così facendo essi possono individuare il modello o i modelli sociali del territorio analizzato, i quali permettono di comprendere e descrivere le caratteristiche proprie della società del dato territorio. Questa fase analitica, però, richiede di essere un’analisi fortemente finalizzata, e non meramente descrittiva o narrativa. Questo affinché possano emergere quelle regole di organizzazione produttiva ed insediativa che hanno governato il territorio nel passato, le invarianti che si sono così costituite, le trasformazioni che sono possibili e sono ammissibili in rapporto all’utilità collettiva. L’analisi perciò deve essere di tipo comprensivo e non settoriale, e deve continuamente confrontare le esigenze dell’ambiente e quelle dell’economia, cioè le esigenze di salvaguardia degli equilibri ecologici, di protezione e valorizzazione del paesaggio, di riconoscimento della cultura e della storia delle comunità insediate, e le esigenze di uso dei suoli in maniera razionale, come risorsa produttiva (Monti et. al., 1985, p. 10). Articolazione e contenuti generali dello studio Le fasi del lavoro Lo studio è stato strutturato in quattro parti: le prime dedicate all’inquadramento dell’area di studio, le ultime destinate alla definizione di uno scenario strategico di sviluppo locale. Attraverso le prime due parti di tale lavoro, adottando un approccio storico antropologico, è stato possibile definire come la Val Nervia sia stata e sia tutt’ora una valle determinata da caratteristiche sia

Fig. 3 Carta della Periodizzazione degli Edifici e delle Infrastrutture. Fonte: Fotointerpretazione su Ortofotocarta (http:// www.cartografiarl.regione.liguria.it/mapfiles/ repertoriocartografico/ORTOFO2013; ORTOFO1986; PTCP della Provincia di Imperia del 2009)

naturali che antropiche molto specifiche ed attive, le quali sul lungo periodo hanno delineato una identità storica, economica e culturale propria dell’area analizzata. A ciò fa da contrappunto il profilo di un territorio estremamente frammentato sul piano geo-politico, in quanto fino alla prima metà del XIX secolo, la Val Nervia era amministrata da tre grandi potenze, i Savoia, la Repubblica di Genova e i Doria di Dolceacqua. Solamente a seguito dell’Unione d’Italia, la valle si vedrà unificata sotto un’unica amministrazione, la provincia di Porto Maurizio. Durante i secoli successivi l’area della Val Nervia ricoprì, nel Ponente ligure, un ruolo fondamentale per la sua posizione strategica, fungendo da territorio

baricentrico e di connessione tra le zone alpine e l’area costiera. Ancora oggi all’interno della Val Nervia sono conservati i percorsi, sia di crinale che di fondovalle, funzionali a tale ruolo di connessione, distintivi della relazione Alpi-mare. Nel corso della terza parte del lavoro sono definite le varie fasi di territorializzazione. Tali fasi risultano fondamentali per la comprensione di una società locale e per la prefigurazione di politiche mediante azioni per una corretta gestione del paesaggio rurale, anche attraverso l’adozione di nuovi approcci che permettano la trasformazione e la ri-valorizzazione del territorio. In questa sezione del lavoro si illustrano anche le analisi svolte sull’area di studio, la

Val Nervia, espresse tramite elaborazioni cartografiche che hanno permesso di individuare gli elementi di un patrimonio territoriale di importanza strategica per l’attivazione di direttive, prescrizioni ed azioni volte alla tutela e valorizzazione territoriale e di politiche di sviluppo che ne garantiscano la sostenibilità. Tramite la conoscenza della struttura territoriale, delle dinamiche evolutive ed all’individuazione delle permanenze storiche è stato possibile mettere in relazione i processi storico-sociali con i fatti geografici e definire le criticità e le potenzialità del territorio oggetto di studio. Ciò ha permesso di poter indicare le azioni progettuali necessarie al raggiungimento degli obiettivi prefissati in principio.


Fig. 4 Carta dell’Uso del Suolo. Fonte: Fotointerpretazione su Ortofotocarta (http://www.cartografiarl.regione.liguria.it/ mapfiles/repertoriocartografico/ORTOFO2013)

Infine, la quarta, ed ultima, parte è dedicata alla individuazione delle modalità di implementazione e realizzazione dello scenario strategico, attraverso la definizione di indirizzi progettuali relativi ai caratteri insediativi, infrastrutturali ed agro-ambientali, riassunti in un’unica immagine di sintesi che rende visibile la comprensione di un ipotetico sviluppo futuro ed assetto dell’intero territorio attraverso il legame delle diverse componenti che lo contraddistinguono. Caratteristiche ambientali ed evoluzione storico insediativa La Val Nervia si sviluppa su una superficie pari a 195 kmq, perpendicolarmente alla linea di costa (Fig.2). Essa viene attraversata dal Torrente

Nervia e dai suoi affluenti, che danno origine ad un bacino idrografico articolabile in tre parti: la Bassa Val Nervia, la Media Val Nervia e l’Alta Val Nervia. Questi tre ambiti territoriali si presentano morfologicamente come piccole valli nelle quali l’insediamento si sviluppa prevalentemente nelle aree di fondovalle. Le aree urbanizzate si sviluppano parallelamente alla fitta rete di corsi d’acqua che strutturano la valle, facendole assumere una forma a ventaglio. I sistemi insediativi sopracitati, costituiscono una rete di antichi borghi ben conservati, i quali danno vita ad una struttura policentrica del sistema insediativo stesso. Il tessuto insediativo, già a partire da un’epoca precedente al 1800,

si sviluppò nelle aree più interne a ridosso dei passaggi e crocevia strategiche delle reti di connessione, rivestendo la funzione di insediamenti di controllo dei vari flussi di merci e persone (Fig.3). I primi centri abitati si posizionano lungo i percorsi d’impianto che collegavano i comuni della valle appartenenti a diverse amministrazioni, implicando così il pagamento di un dazio per la dogana. La posizione di ciascun centro abitato non fu definita solo da interessi politico-amministrativi, ma anche per la loro posizione rispetto al territorio circostante, quindi in base ad un interesse economico e di controllo. A tali centri, si affiancano, a quote più elevate, piccoli insediamenti rurali disposti in maniera diffusa,

generalmente nelle aree climaticamente più favorevoli per lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento. A partire dalla seconda metà del XIX secolo si verifica un incremento del tessuto insediativo e di quello infrastrutturale in coerenza con le esigenze della crescita della popolazione. Si verificò perciò una progressiva urbanizzazione, soprattutto nell’area compresa tra i comuni di Dolceacqua e Camporosso, ovvero nell’area della piana della Val Nervia, nel quale si insediarono strutture industriali e commerciali, ma soprattutto strutture necessarie ad una coltivazione di tipo intensivo, quali le serre, strutture necessarie alla floricoltura e all’orticoltura. Sarà proprio tra gli anni Sessanta ed Ottanta del Novecento che si avrà un boom edilizio che interesserà anche le prime pendici dei monti, mantenendo sempre dove possibile i caratteri degli insediamenti rurali. Ovviamente la costruzione di nuovi insediamenti sulla mezzacosta richiese anche nuove infrastrutture viarie di collegamento che portarono alla perdita di alcuni tratti percorsi intervallivi storici, oltre che al frazionamento e perdita di percorsi di crinale, quali ad esempio l’Alta via dei Monti Liguri, soprattutto nella Bassa Val Nervia, zona più colpita dall’urbanizzazione intensiva. Ad oggi la situazione è rimasta pressoché invariata, difatti dal punto di vista insediativo ed infrastrutturale la Val Nervia presenta le stesse caratteristiche esistenti nel secolo scorso. Alle aree urbanizzate, si affiancano le aree agricole terrazzate retrostanti a quelle e collocate lungo i fondivalle e sui versanti meglio esposti, nelle quali vengono coltivate agricolture specializzate, quali uliveti e vigneti. Nelle zone più acclivi e ad esposizione meno favorevole, sono pre25 senti lembi di pineta e


bosco misto. Inoltre, queste superfici boscate, soprattutto nelle aree di media ed alta valle, risultano essere spesso inframmezzate da praterie submontane. Dunque, alla macchia mediterranea ed al tipico paesaggio terrazzato si va a sostituire, man mano che si eleva l’altimetria della Val Nervia, una vegetazione boschiva costituita da faggi, larici e castagneti (Fig. 4). Le dinamiche socioeconomiche L’economia della Val Nervia è da sempre stata fondata sull’agricoltura, anche se le prime testimonianze ci narrano di una particolare attitudine verso la pastorizia. Nonostante questa iniziale inclinazione, l’area presa in esame è sempre stata prevalentemente dedita all’agricoltura, la quale ebbe un punto di svolta, con l’introduzione nel corso del X secolo di colture pervenuteci fino ad oggi. Grande rivoluzione economica si ebbe con l’arrivo dei monaci di S. Benedetto della Novalesa nel 980 d.C., i quali introdussero la coltura dell’olivo, ottimizzarono le tecniche della viticoltura e più in generale le tecniche agricole della zona. Ben presto la Val Nervia iniziò a contraddistinguersi per la sua produzione di olio e vino. Queste due colture furono, e sono tutt’oggi, le principali produzioni che muovono l’economia della valle, alle quali si affiancano quella del grano e di leguminose, le quali rappresentano una lontana eredità di processi economici antichi. Da sempre i comuni della Val Nervia hanno mostrato il profilo di piccoli centri rurali, costituiti prevalentemente da edifici residenziali abitati da contadini, tanto che ancora oggi troviamo edifici sviluppati in altezza dove al piano terra si trovano le cantine e le stalle. Come già emerso l’economia della Val Nervia si basa non solo sull’agricoltura ma anche sulla pastorizia,

Fig. 5 Carta dello Scenario Strategico sovracomunale. Fonte: http://www.cartografia. regione.liguria.it/ - Gennaio 2017

prevalentemente di pecore e capre, alle quali nel passato erano affiancati anche allevamenti di muli necessari al trasporto delle vivande, o degli agnelli o capretti destinati al macello o, ancora, per trasferire in paese il formaggio prodotto in montagna. Di qui emergono le pratiche sociali proprie della valle, pratiche che ancora oggi spesso si ritrovano all’interno dei comuni. In tempi più recenti, a partire dagli anni ‘60 del Novecento, vi fu una nuova ‘rivoluzione’ in campo agricolo, ovvero vi fu l’introduzione della

floricoltura, economia dalla quale il Ponente ligure acquistò il titolo di Riviera dei Fiori. Tale economia coinvolse prevalentemente le aree più pianeggianti, ovvero i comuni di Camporosso e di Dolceacqua, i quali producevano fiori da reciso e mazzerie, ma anche i restanti comuni aderirono a questa nuova economia attraverso la produzione di fiori e piante che necessitavano di un clima più fresco, e di altimetrie maggiori, che i due comuni sopracitati non potevano garantire.

Oggi l’economia della Val Nervia presenta dei processi di ritorno ad alcune colture della tradizione. Infatti, vi è un cambio di tendenza in campo economico, ovvero si sta verificando un ritorno al settore primario. Ciò influisce positivamente sia sulla produzione di olio, vino, legumi e lavanda, i quattro prodotti con marchio di tutela interni alla valle, ma anche sulla spinta verso le popolazioni locali ed esterne a rivivere questi territori recuperando ed apprezzando i paesaggi agrari della tradizione.


Criticità e potenzialità per lo sviluppo locale La Val Nervia è caratterizzata da numerose criticità a livello insediativo, infrastrutturale ed ambientale. Tuttavia, tali problematiche, se lette nell’insieme anche di alcune non trascurabili potenzialità, possono al contempo rappresentare delle opportunità per uno sviluppo territoriale e per la valorizzazione dell’intero territorio. Struttura policentrica e frammentazione del sistema insediativo La Val Nervia, nel corso della sua storia, ha subito una forte frammentazione del territorio, la quale ha dato origine a diversi comuni. Si è venuta a creare così una struttura policentrica del sistema insediativo. Attualmente non vi è una grande interazione tra i vari comuni, i quali così facendo non valorizzano il territorio nel suo insieme. Ciò inoltre crea divario tra i comuni più attivi e propensi verso la tutela del territorio e quei comuni minori che stanno subendo un progressivo fenomeno di abbandono. Inoltre, la mancanza di centralità funzionali e di servizi all’interno di questi nuclei storici rurali non incentiva l’insediarsi di nuovi abitanti. L’inserimento di centralità all’interno dei vari sistemi insediativi, risulterebbe dunque essere fondamentale per la creazione di nuove relazioni con gli abitanti, ma soprattutto per sviluppare una nuova interazione tra i vari comuni. Tale tipo di integrazione potrebbe fortemente avvalersi della creazione di una figura di gestione unitaria della valle, ‘federando’ i vari comuni in forma volontaria. Un soggetto di questa natura sarebbe per esempio estremamente adeguato a gestire, nella zona critica della ex Cartiera dei Doria, la prevista trasformazione dell’area in uno spazio di condivisione per l’intera valle,

il quale dovrà fungere da nuovo polo economico di attività per i diversi comuni. La frammentazione delle percorrenze storiche Le problematiche legate al sistema insediativo sono strettamente connesse a quelli infrastrutturali. L’espansione urbanistica in molti casi non ha previsto il mantenimento di adeguati sistemi di collegamento fra i nuovi nuclei urbani rurali, inoltre le infrastrutture viarie hanno comportato la frammentazione dei percorsi storici pedonali, quali le vie ‘marenche’. I sistemi di percorrenze storiche non sono dunque adeguatamente valorizzati, e molto spesso il verificarsi di fenomeni franosi su di essi (generalmente derivati dal crollo dei muretti a secco dei terrazzamenti), implica la loro temporanea interruzione. Ciò comporta anche una mancanza di sicurezza in determinati tratti della sentieristica, che necessita quindi di una maggior tutela nonché di ripristino. Per ovviare a tale criticità è necessaria una valorizzazione degli insediamenti rurali, un miglioramento della qualità edilizia della valle, un recupero delle permanenze storiche come ad esempio il sistema delle varie chiese, i resti dei castelli dei Doria, ciò in sinergia con un processo di ripristino e potenziamento dei sistemi infrastrutturali che permettano di mettere in connessione i diversi sistemi insediativi, e soprattutto i vari spazi rurali. Processi di abbandono del sistema agro-ambientale Con lo spostamento verso le città costiere, vi è stato un progressivo abbandono di aree agricole terrazzate. Questo ha comportato non solo una perdita in campo economico, ma soprattutto ha causato veri e propri

problemi di dissesto idrogeologico. Con l’abbandono dei terrazzamenti vi è la possibilità che questi crollino, causando, come abbiamo visto, oltre ad un disagio nelle aree rurali, anche ad un frazionamento degli itinerari storici. L’abbandono delle aree agricole ha comportato anche l’avanzamento del bosco, anch’esso privo di tutela e cura. Ovviamente una mancanza di adeguate pulizie dei boschi influiscono sul rischio, poiché non si ha una corretta gestione in caso di incendio, di frana o dissesto idrogeologico. Tale criticità può divenire potenzialità tramite il recupero e la valorizzazione dei terrazzamenti, i quali possono essere nuovamente utilizzati per il ripristino delle colture tradizionali, nuovo motore dell’economia locale. Ovviamente là dove vi sono manufatti rurali, si presenta la necessità di un loro recupero al fine di dar vita a luoghi e centri di qualità che attraggano potenziali abitanti, incentivando il ritorno alla campagna. Per quanto riguarda i boschi, soggetti a fenomeni franosi ed incendi, sono una grande risorsa di cui tener conto per il loro elevato grado di biodiversità e soprattutto per le loro potenzialità economiche, legate al turismo naturalistico e sostenibile, ma anche ad una possibile filiera del legno. Infine, il sistema fluviale, da troppo tempo posto in secondo piano, è un elemento che può naturalmente svolgere un ruolo centrale all’interno del territorio, in particolare attraverso la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua per consentire l’aumento della biodiversità e il ripristino dei corridoi ecologici. Lo scenario progettuale La definizione di uno scenario progettuale è stata costruita come possibile e realistica opzione coerente con le potenzialità indicate in precedenza. Tale lavoro si è inoltre

avvalso di un minuto lavoro di ricerche bibliografiche e d’archivio, integrata con interviste ad alcuni abitanti e testimoni privilegiati affinché fosse dimostrata la fattibilità degli studi svolti. L’approccio alla pianificazione è stato di carattere multidisciplinare al fine di definire un futuro scenario strategico integrato per la valorizzazione e la ri-abitazione della Val Nervia. Attraverso la costruzione di uno scenario strategico si è inteso “raccontare storie sui nuovi modi di abitare gli spazi rurali che riconoscono la continuità evolutiva del patrimonio territoriale ereditato dalla storia, prefigurando immagini visionarie di una nuova alleanza tra i processi dell’insediamento umano e le dinamiche della natura facendo riferimento alla visione ecosistemica dell’abitare” (Besio, 2008, p. 251). Mediante la realizzazione dello scenario strategico è stato possibile identificare quei valori patrimoniali appartenenti alla Val Nervia e costituiti da “manufatti, competenze e saperi, tramandati dalle generazioni precedenti e che oggi risultano spesso dimenticati” (Besio, 2008, p. 251), i quali vengono riproposti in tutta la loro consistenza attraverso di esso. Inoltre, la proposta di uno scenario strategico ha permesso di individuare per gli abitanti nuove ‘visioni’ adeguate a sollecitare azioni per superare il problema dell’abbandono del territorio rurale e per la ri-abitazione della Val Nervia. Per quanto riguarda gli elementi costitutivi dello scenario (Fig. 5) si è innanzitutto partiti dalla individuazione delle aree a valenza agro-ambientale, le quali sono state considerate come una risorsa strategica per mantenere le forme d’uso del territorio; sostenere i modi di vita e le attivi27 tà economiche in armonia


con l’ambiente, nonché preservare il tessuto sociale e culturale; mantenere la diversità di paesaggio; offrire opportunità di ricreazione e turismo; incoraggiare le attività specifiche ed educative; portare benefici alle popolazioni locali (Bernetti, 2009). In tale ambito la principale proposta è stata quella di recuperare le aree agricole terrazzate. Tale proposta è sostenuta anche dalla previsione dell’inserimento di orti didattici e ‘turistici’, mediante i quali sia possibile anche ripristinare alcune forme del paesaggio storico, laddove si è andato a perdere. Altro elemento chiave riguarda la proposta di incentivare, mediante la relazione tra le diverse aziende agricole e gli agriturismi già presenti nella valle, forme di mercato agricolo a Km0 come sistema di produzione/consumo localizzato ed equo sia sul piano ambientale che sociale. Mediante il mercato Km0 possono essere infatti promossi i prodotti agro-alimentari tipici del luogo i quali saranno più freschi e sani e soprattutto venduti ad un prezzo più vantaggioso. Per di più l’introduzione del Km0 porta ad un uso consapevole del territorio da parte dei consumatori, i quali possono riscoprire la loro identità territoriale grazie all’acquisto dei prodotti tipici locali. Ciò, inoltre, favorisce un avvicinamento verso la filiera agro-alimentare di nuovi agricoltori, ovvero i giovani agricoltori, promotori di un vero e proprio cambio generazionale. A loro verrà affidata “la produzione di filiere alimentari locali di qualità, che contribuiscono a ridefinire l’identità del luogo, a partire dalla rivitalizzazione delle aree rurali e dei saperi produttivi locali. Il nuovo agricoltore è una figura colta, in rapporto con la ricerca scientifica, ha relazioni urbane e fa parte di reti complesse su territorio di cui ha

cura; la struttura dell’azienda agricola tende a configurarsi come struttura complessa (agro-terziaria), che fa riferimenti a reti territoriali dense ed estese nell’attivare finalità sociali, culturali, formative e di ospitalità” (Chieregin, 2007, pp. 13 -14). Oltre a queste previsioni, si ipotizza il rilancio di un’economia molto importante nella storia della Val Nervia. Si tratta dell’allevamento di pecore e capre, le quali oltre a fornire latte e derivati, hanno sempre fornito la lana. Perciò si è pensato di riqualificare l’area della ‘Cartiera dei Doria’, oggi in stato di abbandono, introducendo un’azienda tessile. Il lancio di questa nuova economia per la valle sarebbe estremamente positivo, soprattutto in un’ottica di economia bio-regionale. In relazione a ciò si propone anche l’istituzione di una fattoria didattica, che permetta l’avvicinamento all’allevamento, organizzando attività didattiche e ricreative, riguardanti le produzioni correlate, ed ovviamente riguardanti la nuova attività tessile. Queste due strutture, seppur distanti territorialmente, dovranno collaborare affinché vi sia una maggior adesione e promozione della nuova economia di valle. L’insieme di queste azioni di mercato locale pone le condizioni per la opportuna creazione di un marchio di valle che tuteli le nuove produzioni, ma soprattutto le promuova anche all’esterno del contesto di riferimento. Attraverso questa azione progettuale si può perseguire anche la tutela e l’aumento di consapevolezza da parte degli abitanti del potenziale racchiuso in questa valle. Sempre nell’ambito del recupero delle aree agricole si prevede, nel comune di Camporosso, un progetto di fondovalle attraverso il quale si procede con una parziale eliminazione e riordino delle serre al fine di incentivare e recuperare la coltura in campo

aperto. Tale proposta viene fatta poiché nella piana di Camporosso, a partire dagli anni Sessanta vi è stata una forte intensificazione di strutture dedicate alla coltura floro-vivaistica in serra. Tali strutture oggi contraddistinguono questo comune rispetto agli altri non solo per il forte impatto visivo, il quale inoltre ha comportato una perdita di qualità insediativa delle aree rurali, ma anche per la perdita dei percorsi storici nell’area limitrofa alla costa e per il consistente incremento dei rischi potenziali dovuti al cattivo funzionamento idrogeologico. La previsione progettuale si pone come principale obiettivo il recupero di un paesaggio storico andato oramai perduto, ma soprattutto quello di restituire alla Bassa Val Nervia una adeguata strutturazione della matrice ecologica a sostegno sia della biodiversità che della funzionalità idraulica e qualità del paesaggio urbano legato alla presenza di piccoli nuclei storici rurali. Tali proposte sono in stretta integrazione con l’obiettivo del recupero di un sistema insediativo di valle policentrico. Nel quadro dei centri storici rurali che risultano ormai essere privi di centralità si propone infatti l’inserimento di piccole polarità diffuse su tutto il territorio al fine far riacquistare valore a tali territori, favorendo la attrattività ed abitabilità degli stessi. Per di più il nuovo scenario per la Val Nervia agirebbe positivamente anche in campo turistico favorendo un modello di fruizione che si pone come alternativo a forme di turismo ‘mordi e fuggi’ che possono influire negativamente su un dato territorio. Ciò al fine di difendere quest’ultimo da una mentalità sbagliata che spesso si manifesta nei comportamenti di alcuni operatori, pubblici e privati,

del turismo stesso che male intendono il marketing dell’accoglienza e dell’attrazione tendendo a creare infrastrutture ed a inventare iniziative che annullano e cancellano i valori della meta stessa (Di Bene, D’Eusebio, 2011, p. 44) . Infine, strettamente connesso al tema dei sistemi insediativi ed agro-forestali vi è quello dell’accessibilità. È opportuno ridisegnare la viabilità di penetrazione, recuperare la viabilità di crinale storica (le vie ‘marenche’), al fine di garantire un’adeguata permeabilità sia valliva che intervalliva. Tutto ciò permetterà di instaurare relazioni tra centri storici e rurali, tramite il potenziamento delle infrastrutture già presenti sul territorio, attraverso il collegamento della rete infrastrutturale viaria e la rete infrastrutturale storica pedonale. Il nuovo scenario per la Val Nervia prevede il miglioramento delle infrastrutture urbane di fondovalle, attraverso il potenziamento del percorso ciclo-pedonale esistente, il quale si sviluppa lungo le sponde del torrente Nervia. A promozione di tale percorso saranno inseriti nella valle sistemi di bike-sharing. Inoltre, vi è l’obiettivo di ripristinare e potenziare la rete di sentieri già esistenti, attraverso i quali è possibile l’attraversamento dei boschi e delle aree rurali per funzioni utili alla collettività, trasformandoli in percorsi didattico-educativi. Questi perciò dovranno essere messi in sicurezza e dovranno avere punti dove sia possibile attrezzarsi ed acquisire informazioni per l’escursionismo, incentivando così il turismo nella valle. Infine, vi è l’intenzione di recuperare gli antichi percorsi di crinale, i quali, anch’essi classificati come sentieri, permettono il collegamento delle diverse aree rurali, oltre che una connessione diretta ‘monti-mare’. Attraverso il ripristino di


tali percorsi andati perduti, si creerà una maggior connessione tra i nuclei rurali storici, promuovendo una vera e propria mobilità sostenibile, definibile ‘verde’. A supporto della realizzazione e sviluppo integrato dello scenario si pone infine la necessità della formazione di un modello gestionale e di governance strategica incentrato sulla formazione di un ‘contratto di valle’, gestito appunto da un’autorità partenariale di valle secondo un modello ‘pattizio’. Questo permetterebbe una maggiore ed efficace relazione tra i vari comuni, i quali dovranno lavorare per il bene dell’intera valle e non più limitando la propria azione e visione ai propri singoli territori. Tutte le azioni progettuali sono state pensate in un’ottica sovracomunale. Esse hanno come fine ultimo quello di far rivivere la Val Nervia in una prospettiva bio-regionale, mantenendo e tutelando la sua identità storica, economica e territoriale. La definizione di uno scenario progettuale, attraverso un’analisi multidisciplinare del territorio, ha permesso dunque di sintetizzare in un’unica immagine, quegli elementi e quelle relazioni che consentirebbero l’evoluzione dello stato di fatto verso assetti futuri, attraverso i quali il territorio rurale potrà essere valorizzato, tutelato e quindi ri-abitato. Considerazioni conclusive In conclusione, il lavoro ha voluto mettere in relazione un modello conoscitivo per la comprensione dei caratteri del paesaggio rurale, con un processo progettuale strategico che fosse in grado di superare la contrapposizione tra spazio costruito e spazio naturale. La presenza di associazioni locali ed azioni svolte dai comuni presenti nell’area

di studio, rappresenta un segnale di una nuova e diffusa sensibilità, poiché è solo attraverso la lettura di questi spazi rurali che è possibile “leggere i segni della storia e poter ricostruire il proprio passato” (Poli, 2002, p. 10). Ed è proprio questa conoscenza che può innescare un processo di valorizzazione ambientale, sociale ed economica, dove le pratiche sociali dovranno interagire con le politiche di sviluppo del territorio agricolo. Ambiente naturale, rurale e spazio fisico urbano dovranno coesistere, originando così un territorio unitario, con le sue ovvie differenziazioni e caratteristiche, dove la pianificazione urbanistica eviterà di ragionare in maniera rigida e settoriale come ha fatto per molti anni.

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Individuazione dei confini della bioregione. Ortofotocarta 2010 Regione Toscana


La città policentrica dell’Agna. La pianificazione sovracomunale per uno Scenario Strategico Bioregionale

Flavia Giallorenzo

Introduzione Il lavoro di tesi ha per oggetto una bioregione coincidente con il bacino imbrifero del torrente Agna, nella piana Firenze Prato Pistoia, e in parte comprensiva dei Comuni di Agliana Montale e Montemurlo. Cardine dell’intero percorso conoscitivo è il fiume, elemento generatore del territorio, delle dinamiche sociali, economiche, ecologiche. In particolare, il suo ruolo di confine tra signorie e poteri divergenti assunto nei secoli insieme ad altri fattori ha spinto all’avvio di un’analisi storica antropologica i cui risultati hanno guidato lo Scenario e il Masterplan. Questi due strumenti di pianificazione basano la loro sostenibilità e coerenza rispetto ad un approccio bio-regionale sul necessario superamento dei limiti amministrativi comunali, in questo caso provinciali, per avvalersi di una scala più adatta alla gestione di realtà complesse che presentano caratteri latenti di potenzialità percepibili se non spezzati e irretiti da limiti precostituiti: il rischio idraulico, le aree agricole, le risorse e le fragilità ecologiche e urbane, il carattere storicamente costruito delle popolazioni insediate. Questo territorio stratificato, denso di storia, storie1, culture, segni e opere si inserisce nel contesto policentrico della Piana, connotandolo di pe-

culiarità da proteggere dall’avanzare delle grandi urbanizzazioni indifferenziate, dalla scarsità e frammentazione di aree agricole, da cicli insediativi destrutturanti, con l’intento di avviare processi di ricostruzione di coscienza locale, alla base di spinte di riappropriazione e ri-affezione al proprio territorio, proponendo inoltre un progetto dal basso. Metodologia adottata e obiettivi “Le fasi del processo di ri-territorializzazione, finalizzate allo sviluppo locale autosostenibile, si fondano su dimensioni conoscitive imprescindibili” (Magnaghi 1997, pp. 6-7). Il contesto teorico entro cui si è evoluto questo studio sul potenziale della pianificazione intercomunale fa riferimento all’approccio bioregionale, che si incardina sulla necessità di pensare il territorio in base alle caratteristiche fisiografiche del luogo e sulla interazione tra queste e i processi di coevoluzione con le società insediate, secondo un processo di sviluppo endogeno, di mutua interazione tra natura e cultura, ponendo come scala accettabile per la conoscenza e la gestione delle risorse il watershed, il bacino idrografico2. Tale metodo viene assunto anche in riferimento alla stretta interazione e

complementarietà fra ambiti urbano e rurale, in particolare in alcune letture più recenti, secondo il modello della bioregione urbana policentrica (Magnaghi, 2014; Magnaghi, Fanfani, 2010). Di questo ambito vengono studiate le condizioni ambientali, economiche e sociali, ovvero le strutture che ne permettono il mantenimento o in alcuni casi la rivitalizzazione: la sezione di valle, derivante dal lavoro di Geddes, è stata adottata su tre periodi storici per comprendere la differenza delle relazioni tra sistemi ecologici ed antropici. La componente antropologica dello studio aiuta a capire il perché di questa diversità. Le teorie relative al watershed3 come regione-sistema di vita hanno influenzato le linee guida dello Scenario e del Masterplan, in cui sono proposti spunti attuabili nelle realtà locali, il cui futuro deriva dai rapporti tra i sistemi di vita delle popolazioni e i sistemi ecologici, delle reti e del ciclo delle acque in particolar modo. La fase conoscitiva è stata sostenuta da elaborazioni di base esistenti fornite con trasparenza e collaborazione da tutti e tre i Comuni, coerentemente con gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità impostati nella tesi. A seguito di questi input è stato possibile costruire car-

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. David Fanfani Aprile 2017

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tografie originali: la rete ecologica e la frammentazione urbana e rurale che si pongono a cavallo tra l’analisi e l’interpretazione. Considerando la natura di confine che questi territori hanno assunto nel corso dei secoli, è emersa la necessità di aprire una fase conoscitiva storico-antropologica che si fonda su un quesito: è possibile riscontrare una memoria storica collettiva e una coscienza di appartenenza ai luoghi da parte delle popolazioni insediate nel sottobacino dell’Agna, su cui si possa applicare un approccio di tipo bioregionale? Una risposta basata su dati scientifici persegue l’obiettivo di riconoscere forze di territorialità attiva capaci di sostenere la proposta progettuale di uno Scenario strategico condiviso e un Masterplan per il Parco fluviale dell’Agna, gestito attraverso contratti di fiume4. Per concretizzare e permettere di chiarire la fattibilità di un’indagine di questo tipo è stato necessario orientarsi nella successione di fatti storici, disegnati dalla storiografia ufficiale, e contestualmente avere un quadro sufficientemente ricco5 da permettere alcune considerazione sulla microstoria6 di questo territorio grazie a ricerche di archivio e alle interviste che hanno poi ispirato ricerche di dettaglio su toponimi significativi. Attraverso le analisi preliminari, implementate in base alle necessità determinate dallo Scenario, procedendo con ordine logico ma senza la rigidità degli schemi preordinati, è stato possibile sintetizzare obiettivi strategie azioni strumenti da cui è emersa l’esigenza di approfondire la scala di progetto attraverso un Masterplan per il Parco Fluviale dell’Agna. Questo intende individuare i confini del parco e progettarne l’accessibilità, rendendolo un elemento ecologicamente, culturalmente, socialmente connettivo a livello sovracomunale.

Questa micro bioregione presenta caratteristiche tali da muovere notevoli interessi economici e culturali che si immagina cresceranno nei prossimi anni. Tutto ciò ha mosso delle considerazioni, immaginando che questi interessi possano essere indirizzati principalmente dalla popolazione che vive questi luoghi. Ha quindi preso forma un progetto dal basso che prevede la raccolta e la condivisione della cultura locale, nelle sue molte sfaccettature, attraverso un sito internet, un blog, i social media che consenta agli abitanti di riversare la propria idea di patrimonio territoriale esistente e di avere una piattaforma di dialogo confronto e scontro propositivo sul futuro che immaginano per questa valle. È stato inoltre progettato un logo che potesse esplicitare obiettivi e drivers, che permettesse di intravedere orizzonti potenzialmente realizzabili e comprensibili attraverso un simbolo grafico riconoscibile. Riferimenti generali per la pianificazione intercomunale delle città della Valle dell’Agna La pianificazione condivisa tra i tre Comuni è un obiettivo e allo stesso tempo uno strumento cardine di questo progetto. Durante la stesura della tesi, avendo come unica premessa il Piano di Innovazione Urbana M+M7 tra Montale e Montemurlo, le tre amministrazioni si sono adoperate per avviare una comunione di intenti di pianificazione anche attraverso un atto formale, un convegno di inizio lavori finalizzato con tutta probabilità all’avvio di un più ampio processo di co-pianificazione che si occupi di infrastrutture, strutture, patrimonio ambientale e culturale. La pianificazione sovracomunale consentirebbe peraltro di gestire al meglio le risorse finanziarie e territoriali, magari, promuovendo studi

accurati con il coinvolgimento di più specialisti. E consentirebbe la realizzazione di piani coordinati sovracomunali a fronte di realtà complesse che necessitano di una gestione integrata, multisettoriale e multi-scalare: la pianificazione idraulica ad esempio, le nuove frontiere della smart city, le infrastrutture, i flussi di dati ed informazioni, le criticità legate ai cambiamenti climatici e la riqualificazione urbana verso scenari resilienti. Le relazioni e i flussi, interni ed esterni ai sistemi, possono essere compresi solo in parte a livello di scala urbana o comunale. Risulta fondamentale dunque costruire una possibilità di pianificazione condivisa, considerato il superamento, o meglio la confusione che regna in enti di livello intermedio come le Province dopo la L. n.56/2014, con cui si avvia un periodo complicato per la gestione integrata del territorio. La Toscana con la L.R. n. 65 del 2014 prevede il Piano Intercomunale come possibilità di gestione integrata e complessa delle realtà accomunate da medesime potenzialità e criticità, nelle quali i corsi d’acqua costituiscono un interessante nodo, poiché storicamente utilizzati per segnare il limite tra Comuni, ma che tuttavia risultano elementi territoriali la cui natura complessa non può essere pianificata per aste, per argini o rive destre e sinistre. La visione olistica ed integrata su queste grandi potenzialità, che risultano sempre più spesso grandi criticità, probabilmente proprio per la pianificazione claudicante di cui sono state oggetto, appare sempre più necessaria. L’esempio francese della Region la più grande divisione amministrativa che pone al centro il fiume, e non lo relega sui confini, è illuminante. La pianificazione intercomunale risulta un passo ‘naturale’ in territori come quelli interessati dall’area di studio

per riallacciare rapporti città-campagna con uno sguardo lungo e con la possibilità di avviare coordinamenti che possano avvalersi di legislazioni se non consolidate, quantomeno esistenti, come l’articolo 102 della L.R. n. 65/2014 sulla perequazione territoriale, una ridistribuzione di oneri e onori tra i Comuni che decidono di confrontarsi. Il ‘caso studio’: criticità e potenzialità tra Agliana Montale e Montemurlo L’area presa in esame è stata definita una micro-bioregione, poiché si tratta di una valle scavata dal fiume Agna, che prosegue prendendo il nome di Calice fino alla piana di Agliana, uno dei tre comuni facenti parte del progetto. Montale e Montemurlo completano il territorio che a livello amministrativo coincide in linea di massima con la conformazione geografica del sottobacino imbrifero del Torrente Agna e Calice, la cui notevole complessità ambientale e dei sistemi antropici nelle loro peculiarità urbane, economiche, sociali e storico culturali appare evidente. La rete ecologica ha una grande potenzialità latente individuabile nel torrente Agna che, se adeguatamente pianificato, potrebbe divenire il corridoio ecologico principale della Piana, collegando la dorsale ecologica del Montalbano con la dorsale dei rilievi della Calvana e del Monteferrato: entrambe strategiche per creare un passaggio interregionale dell’avifauna, dei roditori e degli anfibi, che trovano un ostacolo nell’urbanizzazione diffusa della piana. I grandi insediamenti urbani della valle si inseriscono nel complesso contesto delle strutture policentriche della Piana Firenze Prato Pistoia, affermandosi come chiave di volta tra la natura industriale del distretto pratese e quella florovivaistica pistoiese, ed offrendo un primo nodo


Tavola della Struttura Resistente pagina seguente, a sinistra Tavola dello Scenario strategico di medio-lungo periodo a destra Tavola del Masterplan

di territorio aperto sull’asse urbana ininterrotta Firenze Prato. I caratteri dell’area ad est e ad ovest sembrano influenzare come magneti le attività prevalenti in riva sinistra e in riva destra d’Agna, mentre Agliana si impone come eccezione che conferma la regola, avvicinandosi più al distretto industriale di impronta pratese. Il volto attuale di questa bioregione è condizione di una stratificazione culturale di secoli, rivoluzionato pesantemente solo dal dopoguerra. Sebbene si siano persi molti dei segni fisici sul

territorio, non sono scomparsi quelli impressi nella cultura locale delle comunità che mantengono la percezione della natura di confine del torrente nella sua duplice accezione latina di limes: confine, e corso d’acqua8. Nel primo caso si denota come fortissimo elemento di distanza tra le comunità, talvolta sfociata in derive localiste. Ne sono un esempio gli abitanti di due parrocchie interne al Comune di Agliana che solo da qualche decennio hanno iniziato ad attraversare un confine invisibile: Via del Serragliolo, il cui to-

ponimo anticipa il compito ingrato, è il paloealveo dell’Agna il cui spostamento risale al XIII secolo ma che risulta una permanenza fortissima nelle abitudini locali. Il secondo significato è altrettanto presente nella costruzione di un’immagine condivisa della cultura locale perché è considerabile come principale motore delle attività storicamente presenti sul territorio, sia di pianura che montano. È proprio alle quote maggiori che si trovano testimonianze di archeologia idraulica lungo il corso principale e le aste se-

condarie del torrente, sia sul versante montalese che montemurlese, da cui si diramano poche ma ben mantenute gore che attraversano piccoli borghi oggi per lo più abbandonati, ma che sono uno dei core progettuali della tesi, considerate le loro potenzialità legate all’ambiente, all’economia e alla culturale locale. Quest’analisi si conclude senza definire la presenza o meno di una “identità locale” (Carle, 2012, p.87), com33 pito di storici-antropologi


il cui apporto professionale risulta in questo caso indispensabile9. Si intende dimostrare come in tempi e modi efficienti ed efficaci anche a livello economico nel bilancio di un Piano sia possibile percorrere strade conoscitive riguardanti i comportamenti di chi ha costruito il territorio e ad oggi lo abita. Bisogna tuttavia sottolineare che sull’area di studio, una quantità di fattori hanno inciso su tempi e modi dell’analisi: testi storici, interpretativi di censimenti e stati d’anime presenti negli archivi, la quantità e la qualità degli ‘abitanti significativi’ hanno permesso uno snellimento della ricerca e una maggiore sicurezza dei dati riportati.

Si costituiscono così le basi per un’elaborazione cartografica che ha indirizzato i progetti: la Struttura Resistente si propone di far emergere le connessioni tra le caratteristiche geolitologiche, gli insediamenti di impianto, la natura morfologica della valle per comprendere gli equilibri territoriali e le conseguenze degli ultimi sessant’anni che ne hanno mutato profondamente lo stato. I nuclei della cultura mezzadrile in pianura sono stati inglobati nella città diffusa, ma affiorano ancora come aie isolate dietro cascine in parte affacciate sulle aree agricole, in parte completamente assorbite nel tessuto urbano. I tracciati della cen-

turiazione riemergono in alcuni punti della maglia rurale che ha resistito all’impatto dell’industrializzazione o del vivaismo. Persistono in modo più visibile alcuni segni generati dai periodi di territorializzazione di questa micro bioregione: le grandi rivoluzioni idrografiche ed idrauliche hanno indirizzato gli equilibri ecologici, sociali e politici di questo territorio. Lo studio di questa condizione di affioramento più o meno consistente insieme alle tavole del Patrimonio e delle Criticità ha condotto agli obiettivi primari dello Scenario e alle azioni applicabili attraverso il Masterplan.

Lo scenario di medio lungo periodo e un progetto intercomunale possibile anche nel breve periodo Lo Scenario Strategico affonda le sue radici nel bioregionalismo e intende dimostrare le potenzialità derivanti dalla co-gestione del territorio, dei servizi e della cultura locale attraverso progetti unitari da parte delle realtà amministrative e delle comunità insediate, e grazie ad iniziative bottom up. Si pone a fondamento di questo nuovo avvio dei cicli virtuosi il potenziamento della rete ecologica, nella sua funzione di collegamento e tutela della biodiversità nella Piana. Alle già consistenti dorsali si allacciano allora una


serie di stepping stones10 e di ammorsamenti nelle aree urbane e rurali che conducono al fiume e ai suoi argini verdi, creando una rete minuta ma pervasiva, implementata dalla capillarità delle piste ciclabili, anch’esse assunte a ruolo di connessione grazie alla presenza di alberature. La doppia forza delle nuove condizioni agricole ed ecologiche comporta una revisione positiva del rischio idraulico, mitigato da questi fattori nuovi nell’equazione territoriale. La viabilità è sicuramente un elemento critico, che genera cesure nella maglia agricola e congestiona il tessuto urbano: a tal proposito per abbassare il carico veicolare pesante che serve le industrie su Oste, frazione residenziale completamente inglobata in enormi piastre industriali, si pensa ad un anello di circumvallazione, a cui manca solo un ponte per essere concluso, che renderebbe più vivibile il nucleo residenziale di Oste. Lo accumuna a Montale e Montemurlo la sentita mancanza di un “centro città” a cui è stata data risposta nel progetto. Le aree aperte assumono un ruolo di eccezionale importanza in questo contesto, essendo talvolta potenzialità e criticità contemporaneamente: nella campagna produttiva si riscontrano pratiche agricole definibili industriali, per i ritmi e la gestione della produzione, ma che sono anche il baluardo su cui si fonda la natura policentrica della piana, lo spazio aperto che permette di valorizzare la città e che permette di arginare il fenomeno florovivaistico e di espansione dei lotti industriali. L’obiettivo è di mantenere questa caratteristica e di instaurare relazioni virtuose tra agricoltori, amministratori, cittadini, che potrebbero prendere la forma di un’agricoltura meno impattante, una filiera corta, episodi didatti-

ci, momenti di cogestione del territorio, contratti di fiume, mappature del territorio. Contestualmente alla stesura dello Scenario si è voluto verificarne le linee guida attraverso azioni più puntuali, messe in rete da un progetto unitario: un parco fluviale. La scelta di questo progetto è determinata dalla profondità storica del fiume, elemento naturale, economico e culturale e dal suo essere attrattore di interessi con un basso grado di conflittualità, da non rifuggire, ma che forse dovrebbe essere affrontata in un secondo momento, in cui il rapporto tra le amministrazioni sia consolidato. Il parco individua aree aperte di servizio alla rete ecologica e aree agricole che saranno le fondamenta di nuovi patti con gli attori locali, come i contratti di fiume che hanno effetti non solo a livello di gestione territoriale, attraverso pratiche di cura e monitoraggio attivo, ma anche sullo sviluppo del sentimento di appartenenza di coloro che agiscono in prima persona durante questi processi, come è evidente nel caso del contratto di fiume del Serchio (Vanni, et.al., 2013). Particolarmente importante è per questo territorio l’attività di salvaguardia che gli agricoltori possono intraprendere in particolare sul reticolo delle acque basse, la rete più fragile sul piano idraulico, ad esempio attraverso un ruolo attivo di gestione delle aste e degli argini, mentre le aziende agricole potranno incrementare il loro ruolo costruendo un turismo agroalimentare sostenibile diventando poli della filiera corta a contatto con i consumatori. A beneficio del turismo ma anche degli abitanti, residenti e lavoratori pendolari, si prevede la modifica del sistema delle infrastrutture della mobilità dolce: vari circuiti ciclopedonali ad anello che percorrono la bassa e l’alta pianura andran-

no a servire le aziende agricole polifunzionali e le aree industriali attraverso nodi intermodali tra viabilità lenta, pubblica e privata, ponendo un occhio di riguardo al nodo cruciale costituito dalla stazione ferroviaria di Montale Agliana. Il parco fluviale dell’Agna costituirà in questo contesto uno strumento di loisir, ma anche di riattivazione di alcune economie locali preziose per il loro contributo economico, sociale e culturale: dalle aziende agricole di pianura fino ai poli proto-industriali delle quote più alte, il cui ripristino è integrato alla gestione delle infrastrutture di collegamento, progettando parcheggi scambiatori tra mobilità meccanizzata e lenta in punti strategici che permettano di alleggerire il traffico sull’unica strada tra pianura e montagna. Dimensione interattiva del progetto. Dall’ambito accademico verso un progetto di confronto dal basso sulla realtà locale La realtà locale si propone in una veste potenziale, ma al momento latente sotto una coltre di criticità che è indispensabile affrontare e pianificare al di là dei confini amministrativi. Per dar vita ad un processo di integrazione e simpatia, nel senso etimologico del termine, al concetto di scala sovracomunale e di pianificazione di concerto tra comunità amministrativamente divise si è ritenuto opportuno accompagnare un processo di attivazione dal basso degli attori locali, un primo passo verso la conoscenza delle reciproche realtà e la promozione del sapere locale ed affezione per il destino dei territori della riva destra e della riva sinistra dell’Agna. Era necessaria una piattaforma conoscitiva, accessibile, inclusiva ad impatto economico ridotto: il web, su cui è stato costruito un sito che

fosse una ‘vetrina’, mostrando i dati elaborati con il linguaggio universale delle immagini, che promuovesse soprattutto un processo di partecipazione attraverso la costruzione di mappe dei cittadini: www.cittadagna.it. La mappa riportata nella sezione Conoscere il territorio ha l’obiettivo di registrare i luoghi della cultura, attuale e passata in cui si può riscontrare il senso di appartenenza dei cittadini a questo territorio: è una mappa fondamentale per capire quali siano i poli di socialità e quali i luoghi significativi per la popolazione ed orientare di conseguenza politiche e progetti di territorio. La cartografia non è modificabile online, a differenza di un webgis, ma è aggiornata a seguito del ricevimento di contributi via email e di una verifica, approfondendo i contenuti con articoli del blog, che riporterà anche testi degli ‘abitanti significativi’ intervistati e di coloro che vorranno intervenire nel processo di costruzione e registrazione del sapere locale. In itinere è sorta un’ulteriore possibilità di mappatura del territorio, ‘La mappa Condivisa’, che si basa su quella precedente, ma è connotata da un carattere propositivo. Non avrà ovviamente una valenza fattiva nelle scelte delle amministrazioni ma sarà sicuramente un riferimento non trascurabile per esse. Il blog e il sito devono dunque lavorare di pari passo alla costruzione e quindi alla divulgazione del sapere locale e di una ‘utopia verosimile’ nel contesto territoriale di riferimento. Il progetto Citta d’Agna, che si costituisce del sito, del blog, dei social e intende anche proporsi in maniera attiva attraverso l’organizzazione di giornate di coscienza territoriale, conferenze, attività e laboratori nelle scuole, nasce in con35 tingenze piuttosto ferti-


li trovando già diverse associazioni e gruppi che si occupano di territorio. L’auspicio è di coinvolgere queste associazioni e di creare una rete per aumentare la consapevolezza di chi vi abita e ottimizzare energie e capacità, alimentando costantemente in forma collaborativa la vision progettuale strategica e di dettaglio. Considerati gli obiettivi su cui si basa il progetto, il sito è aperto ad ulteriori punti di vista e questioni da affrontare proposte da cittadini e amministrazioni. Rispondendo all’intento di attrarre le persone con l’immediatezza dei contenuti, è stato progettato un logo che potesse rappresentare l’oggetto e i fini della tesi, ma che fosse anche adatto per ‘Città d’Agna’. Le caratteristiche a monte dell’elaborazione dell’immagine erano la leggibilità, la riproducibilità e la significatività (Dottor 1998), che comporta la messa a fuoco di fattori rilevanti del territorio e del progetto. Il logo si compone di alcuni elementi chiave: il testo, necessario per individuare con certezza il territorio di riferimento, in cui non è stata riscontrata un’emergenza architettonica o ambientale univocamente riconoscibile. I poli rurali della collina, sono riportati con una grafica elementare ma che permette di far emergere la loro capillarità sul territorio e lo stretto rapporto che intercorre con il fiume. Questo attraversa le comunità rappresentate dai nomi e da segni grafici semplici come piccoli cerchi differenziati ciascuno con un proprio colore, racchiusi da un cerchio più grande, su cui spicca l’elemento cromatico che richiama la struttura agricola: allo stesso tempo realtà e auspicio. Questa parte del logo lo rende versatile perché estrapolabile ed utilizzabile da sola.

Conclusioni. Un percorso avviato per un processo di sviluppo locale e pianificazione inclusiva Il progetto di lavoro ha proposto uno scenario a vasta scala attraverso cui sintetizzare linee guida di ampio respiro per le tre amministrazioni della valle dell’Agna, un piano di obiettivi e azioni che ricavasse dalla realtà territoriale le questioni urgenti poste dalle criticità, rendendole motori di nuovi processi di territorializzazione. Una forma di questi processi è la riappropriazione della coscienza locale da parte dei cittadini a cui si è tentato di dare risposta attraverso il progetto Citta d’Agna. Con il sito web, il blog e i social media si sta tentando di coinvolgere la popolazione nella costruzione attiva di un quadro conoscitivo legato al patrimonio materiale ed immateriale, per la creazione di reti e per l’individuazione di ulteriori linee strategiche condivise. Si tratta di un lavoro, Città d’Agna, quanto lo Scenario progettuale, in itinere che presenta tuttavia un accento di forte presa sui processi reali e di supporto metodologico/scientifico e conoscitivo rispetto a criticità e potenzialità da mettere in evidenza per gli attori in campo. Le dinamiche ambientali sociali economiche continuano a mutare l’aspetto e le condizioni – più o meno evidenti – del territorio, imponendo un ritorno continuo sui temi trattati. Il lavoro svolto si auspica quindi che sia una base da cui dare avvio ad approfondimenti e ulteriori progetti di ricerca anche in ambito accademico, che possano garantire un mantenimento dell’attenzione su questo territorio, una piccola e fragile ma allo stesso tempo potente bioregione urbana all’interno delle strutture policentriche della Piana Firenze Prato Pistoia.

Note 1 Si fa riferimento alla pluralità di storie attraverso cui è possibile avere un quadro più complesso delle epoche precedenti rispetto alla storiografia classica. È possibile recuperare fonti sulla storia familiare, del diritto e della politica locale, sulla storia matrimoniale, dei confini, agricola, medica, etc. 2 Per un primo inquadramento del tema si veda Aberley D. Interpreting bioregionalism: a story from many voices in McGinnis M.V. Bioregionalism Routledge, London 1998; Sale K.,Dwellers in the land. The bioregional vision, Random House Inc., 1985. 3 Si veda D.E. Lilienthal, TVA-Democracy on the march, Harper and Brothers, 1944; Paba G., Democratic Water: from the Watershed Democracy to Participatory River Planning in Space, Culture, and Regeneration of cities in History, From the viewpoint of International Comparison of Territory and Infrastructure, Tokyo Dicembre 2012; Corsani G., La Storia di un ruscello di Elisée Reclus in G. Orefice Dall’utile al pittoresco: la ventura delle vie d’acqua in Toscana, Storia dell’Urbanistica Toscana/VII Kappa, Roma 2001. 4 “I Contratti di Fiume (CdF) sono strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale.” (<URL:http://nuke.a21fiumi.eu>) (09/2018). 5 Su questo territorio, come accennato nel testo in precedenza, è stato possibile contattare abitanti significativi particolarmente attivi e preparati. Avendo più tempo e minor conoscenze a disposizione, sarebbe stato utile fare un numero maggiore di interviste, ad un campione più eterogeneo. 6 Si veda la nota 1. 7 Un progetto condiviso ma puntuale: <URL: http://maps1.ldpgis.it/montemurlo/?q=node/135> (09/2018). 8 Dal Dizionario IL Latino Italiano, Loescher, 4° edizione. 9 Per approfondire si consiglia la lettura di Carle L., L’identità urbana in Toscana, Aspetti metodologici e risvolti operativi di una ricerca pluridisciplinare. XVI-XX secolo, Marsilio, Venezia, 1998, (pp. 38 e ss.: Dalla constatazione di una coscienza di appartenenza alla verifica dell’esistenza di un’eventuale identità socioculturale collettiva). 10 “[…] piccole isole molto ravvicinate tra di loro, definite stepping stones, tra le quali le popolazioni possono comunque muoversi” (Chirici, 2005, p.2). 11 Per le finalità del progetto, sono stati scelti come social di lancio Facebook e Instagram, che permettono un’attitudine diversa in chi ne fruisce rispetto al sito e al blog: sono utili per creare relazioni informali, e per aspetti più banali ma non trascurabili come la visibilità del sito stesso.


In questa pagina e nella precedente Logo e breve cronistoria delle versioni precedenti

Bibliografia Aberley D. 1998, Interpreting bioregionalism: a story from many voices in McGinnis M.V. Bioregionalism Routledge, London; Carle L. 1998, (a cura di), L’identità urbana in Toscana, Aspetti metodologici e risvolti operativi di una ricerca pluridisciplinare. XVI-XX secolo, Marsilio, Venezia; Carle L. 2012, Dinamiche identitarie, Antropologia storica e territori, Firenze University Press, Firenze; Chirici G. 2005, Analisi della rete ecologica territoriale nazionale: prodromi di un approccio sfocato su base GIS, in Corona P., Iovino F., Marchetti M., Menguzzato G., Nocentini S., Portoghesi L. (a cura di) 2005, Foreste Ricerca Cultura – scritti in onore di Orazio Ciancio, Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze; Corsani G. 2001, La Storia di un ruscello di Elisée Reclus in G. Orefice Dall’utile al pittoresco: la ventura delle vie d’acqua in

Toscana Storia dell’Urbanistica Toscana/VII Kappa, Roma; Dottor C. 1998, Immagine e immagini, in Carle L., L’identità urbana in Toscana, Aspetti metodologici e risvolti operativi di una ricerca pluridisciplinare. XVI-XX secolo, Marsilio, Venezia;

Paba G. 2012, Democratic Water: from the Watershed Democracy to Participatory River Planning in Space, Culture, and Regeneration of cities in History, From the viewpoint of International Comparison of Territory and Infrastructure, Tokyo;

Lilienthal D.E. 1944, TVA- Democracy on the March, Harper and Brothers, New York;

Sale K. 1985, Dwellers in the land. The bioregional vision, Random House Inc., New York;

Magnaghi A. 1997, Introduzione in L. Carle, Sette lezioni su identità socioculturale collettiva e territorio, Edizioni Centro AZ, Firenze;

Vanni F., Rovai M., Brunori G. 2013, Agricoltori come custodi del territorio: il caso della Valle del Serchio in Toscana, Scienze del territorio, Ritorno alla Terra 1/2013, Firenze University Press, Firenze.

Magnaghi A. 2014, La bioregion urbaine. Petit traité sur le territoire bien commun, Eterotopia France/Rhizome, Paris; Magnaghi A., Fanfani D. 2010, Patto città campagna. Un progetto di bioregione urbana per la Toscana, Alinea, Firenze;

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Servizi ecosistemici dei sistemi agroambientali 39



Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze

I più innovativi approcci alla pianificazione territoriale si basano sull’individuazione e sulla valutazione di quei ‘servizi ecosistemici’ (SE) che il Millenium Ecosystem Assessment (MA) ha definito come “i multipli benefici forniti dagli ecosistemi al genere umano” (MA, 2005). Tali servizi sono strettamente collegati al carattere multifunzionale del territorio rurale e forestale e sono stati suddivisi in quattro grandi categorie: • supporto alla vita (supporting): riguarda quelle funzioni che contribuiscono alla conservazione

della diversità ecologica e alla formazione del suolo; • regolazione (regulating): comprende tutti quei benefici che riguardano la regolazione del clima,

dell’erosione, etc.; • approvvigionamento (provisioning): si riferisce a quei servizi prodotti dagli ecosistemi naturali e

semi-naturali e che costituiscono delle risorse (acqua, aria, cibo, etc.); Bibliografia Barrett G. W., Farina A. 2000, Integrating ecology and economics, BioScience, Vol. 50, Issue 4; Brown L.R. 2001, Eco-Economy: Building an Economy for the Earth, W.W Norton & Co., New York; Costanza R., d’Arge R., de Groot R., Faber S., Grasso M., Hannon B., Limburg K., Naeem S., O’Neill R.V:, Paruelo J., Raskin, R.G., Sutton P., van den Belt M. 1997, The value of the world’s ecosystem services and natural capital, Nature International Journal of Science;

• culturali (cultural): riguarda tutti quei servizi che gli ecosistemi offrono da un punto di vista cul-

turale, spirituale, esperienziale, estetico, etc. (MA, 2005). I servizi ecosistemici hanno un carattere fortemente dinamico poiché si evolvono continuamente, mutando le relazioni e i benefici offerti all’uomo (MA, 2005); tale dinamicità comporta una ricerca verso sempre più adeguati approcci per la loro conoscenza, valutazione e, soprattutto, gestione (Giupponi, Galassi, et. al., 2009). Il presente capitolo si compone di due saggi che illustrano diverse metodologie applicate nel territorio toscano per la valutazione dei servizi ecosistemici, facendo particolare riferimento a quella multicriteriale e a quella economica. Entrambi i tipi di valutazione hanno un carattere mutlidimensionale ed integrato, ma mentre nel primo caso si ottengono dei valori finali differenziali (criteri multipli), nel secondo si ottiene un valore finale complessivo e monetario (criterio unico).

Giupponi C., Galassi S., Pettenella D. (a cura di) 2009, Definizione del metodo per la classificazione e quantificazione dei servizi ecosistemici in italia. Verso la strategia nazionale per la biodiversità: esiti del tavolo tecnico, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione per la Protezione della Natura;

La valutazione multicriteriale, focus del primo contributo, si basa sull’individuazione delle principa-

Millennium Ecosystem Assessment 2005, Ecosystems and Human Well-being: Synthesis, Island Press, Washington, DC;

tari i benefici ed i valori di utilità sociale dei servizi ecosistemici. In particolare, il saggio si incentra

Migliorini F., Moriani G., Vallerini L. 1999, Parchi naturali. Guida alla pianificazione e alla gestione, Muzzio Editore, Padova.

li ‘vocazioni’ del territorio complementari a quelle naturali dove la pianificazione territoriale ha un ruolo fondamentale nella ricerca della compatibilità tra la tutela delle risorse e gli usi possibili (Migliorini, Moriani, et. al., 1999). Il saggio approfondisce inoltre l’indagine della relazione tra i servizi ecosistemici e gli aspetti estetico-percettivi del paesaggio. Il metodo di valutazione caratterizzante il secondo contributo si riferisce all’‘economia ecologica’ (Costanza et al., 1997; Barret e Farina, 2000; Brown, 2001), concetto che traduce in termini monesulla valutazione di servizi quali la produzione di cibo, l’impollinazione e il sequestro di carbonio degli agro-ecosistemi. La valutazione dei servizi ecosistemici è una fase fondamentale per indirizzare le politiche territoriali verso un governo sempre più sostenibile del territorio in cui vi sia il giusto equilibrio tra il mantenimento di tali servizi e i benefici da essi ottenibili.

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Fig. 1 Individuazione dei sistemi ambientali e delle aree campione. In verde il sistema dei rilievi boscati sul macigno; in arancio il sistema dei rilievi morbidi su flysch, calcari e marne; in giallo il sistema pedecollinare delle argilliti; in rosa il sistema vallivo dell’Elsa; i colori da celeste a blu per i sistemi ambientali secondari.

Pattern are considered to be a way of putting building blocks into context; for example, to describe a reusable solution to a problem. Building blocks are what you use: pattern can tell you how you use them, when, why, and what trade-offs you have to make in doing so. T. Perroud, 2013


Pianificare sostenibile Relazioni tra pattern rurali e servizi ecosistemici Lorenzo Bartali Giulio Galletti

Introduzione In un mondo in continuo mutamento ambientale, sociale ed economico, tematiche come la sostenibilità ed i servizi ecosistemici assumono un ruolo sempre più determinante per quanto riguarda la governance e la pianificazione. Ma in questo contesto qual è il ruolo che gioca l’organizzazione dello spazio? Quali sono le modalità, con cui l’uomo organizza il territorio, che influiscono positivamente o negativamente sui servizi ecosistemici e sulla qualità dell’ambiente? La tesi si pone l’obiettivo di rispondere a queste domande combinando i concetti di pattern con i servizi ecosistemici ed i rispettivi criteri di valutazione. In relazione al territorio analizzato si individueranno e valuteranno le organizzazioni spaziali in grado di rendere maggiormente sostenibile l’attività agricola dell’uomo, proponendo alcuni indirizzi progettuali per riconfigurare lo spazio agroforestale, tesi al miglioramento della qualità ecosistemica dei territori. Pattern e spazi configurati La gerarchia nella generazione Quale logica potrebbe stare dietro al continuo dispiegarsi della vita e delle sue forme? Quale vantaggio potrebbe avere l’urbanistica nel decifrare questo processo?

Per chi si occupa di governo del territorio, come gli urbanisti, è molto importante capire i meccanismi con cui questo si genera nel tempo dando vita a differenti tipi di spazio (in seguito chiamati spazi configurati). Capire questi meccanismi significa avere la possibilità di intervenire meglio sul territorio, correggendo gli errori presenti ed evitando la loro ripetizione. Le forme o gli spazi configurati che si generano nel tempo sono l’esito di processi piuttosto complessi che vedono l’interazione di molteplici fattori. Il primo passo per comprendere questi processi è tentare di ricostruirli con procedimenti di semplificazione, partendo, ad esempio, da come il tutto si origina, fino a delineare una sorta di mappa concettuale che potremmo definire ‘la gerarchia nella generazione’. Il punto di partenza, che accomuna tutti gli esseri viventi è la volontà di vivere. La vita è al di là dei bisogni, è il motivo stesso per il quale sia i bisogni che gli organismi esistono. Questo fa sì che ogni organismo debba possedere determinate caratteristiche e comportamenti che si traducono in: adattamento; riproduzione; efficientamento; specializzazione. Partendo da queste caratteristiche, intrinseche alla vita, esistono

molteplici possibilità di manifestazione e concretizzazione. Infatti, a seconda dell’ambiente, ogni organismo si trova davanti ad una moltitudine di modi con cui potersi adattare, ciascuno dei quali è collegato ad un set di bisogni da soddisfare. Tenendo conto di ciò, i bisogni esistono in relazione al modo con cui un organismo si adatta nell’ambiente. Pensando alla nostra specie, quello che sicuramente occorre sono in primo luogo le condizioni climatiche a cui il nostro ‘ramo’ evolutivo si è adattato ed in assenza delle quali non potrebbe esistere la nostra forma di vita ovvero: temperature comprese in un certo range, una particolare miscela di gas comunemente detta atmosfera, acqua e cibo. Come accenna Maslow, definendo la sua famosa piramide, esistono molti bisogni e, fermi restando quelli fisiologici, alcuni possono crearsi o essere creati mentre in certi casi possono cessare di esistere. Tale aspetto è visibile in tutto ciò che l’uomo ha creato, partendo proprio dal territorio e dagli spazi configurati che lo compongono. Esistono molti modi per soddisfare un bisogno e ogni volta possono essere diversi da paese a paese, da zona a zona, da luogo a luogo. Queste

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Claudio Saragosa Co-relatori: Prof. Iacopo Bernetti, Prof. Michela Chiti Febbraio 2017

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Fig. 2 Identificazione delle caratteristiche dello spazio configurato ‘Oliveto senza sistemazione del terreno’ e relativa associazione al pattern di riferimento.


modalità con cui noi organizziamo lo spazio al fine di soddisfare un bisogno sono il tramite tra i bisogni e gli spazi configurati1 (forme dello spazio), e prendono il nome di pattern2. Dunque, ad un bisogno può corrispondere più di un pattern e ad ognuno di questi uno o più spazi configurati. Dunque, nell’ipotesi di un pattern in grado di definire il nostro aspetto ci troveremmo ad essere solo uno dei molteplici esiti possibili: il prodotto di detto pattern in un dato luogo e tempo. Applicando le analogie con il corpo umano all’urbanistica, potremmo cercare di avvicinarci all’individuazione del ‘D.N.A.’ territoriale (i pattern) partendo dalle forme che questo ha generato (gli spazi configurati), con la consapevolezza di ottenere comunque qualcosa di limitato. Una grande varietà di fattori influenza sia i pattern che gli spazi configurati, in effetti tutto quello che esiste può influenzarli. Diciamo però che, nel percorso che porta da bisogni a spazi configurati, alcuni fattori incidono più di altri; i fattori ambientali sono uno di questi. Il processo quindi di generazione di un determinato contesto pare dal dover soddisfare determinati bisogni. Dall’interazione tra questi e i fattori ambientali si vanno così a costituire i pattern che in un lungo processo dinamico si affinano sempre di più per meglio rispondere alle varie esigenze. Per finire il pattern si concretizza nel mondo fisico attraverso la costituzione degli spazi configurati che, a loro volta, interagiscono e determinato la gestione dei flussi energetici. Il percorso inverso: dagli spazi configurati ai pattern Per ripercorrere il processo di generazione alla ricerca dei pattern occorre per prima cosa individuare gli spazi che questi hanno configurato.

Scrutando il territorio con occhio attento, iniziamo subito a vedere somiglianze e differenze all’interno degli elementi che lo compongono. Questi sembrano inizialmente disposti in modo casuale ma, osservando più da vicino, appare evidente la presenza di schemi nella loro composizione; noi cerchiamo proprio queste aree, simili per organizzazione e forme: gli spazi configurati. Per essere precisi, gli spazi configurati sono tendenzialmente infiniti a seconda della scala a cui si osserva il mondo; da quelli piccolissimi come le molecole a un campo di olivi con terrazzamenti fino a quelli immensi come galassie. Nel nostro caso ci interessiamo a quelli che è possibile apprezzare e utilizzare in una pianificazione a scala locale e/o territoriale, riferendosi al contesto del Chianti Senese (Comuni di: Castellina in Chianti, Radda in Chianti e Gaiole in Chianti), un territorio poco esteso e prevalentemente rurale, che presenta una morfologia ed una base ambientale anche molto varia. Al fine di individuare gli spazi configurati con la maggior varietà di fattori ambientali presenti nella nostra area di studio (in particolare pedologia, geologia e pendenze) abbiamo ritenuto importante individuare i principali sistemi ambientali e sulla base di questi, alcune aree campione. Tali aree contengono al loro interno una certa varietà di spazi configurati ed una complessiva diversità di fattori ambientali, all’interno delle quali svolgere le successive analisi di dettaglio (Fig. 1). All’interno di dette aree abbiamo individuato e mappato gli spazi configurati che successivamente sono stati incrociati con i vari fattori ambientali tra cui ad esempio pedologia e geologia. L’obiettivo era quello di ottenere quante più combinazioni

possibili tra spazi configurati e fattori ambientali. Sulla base di questa lettura integrata siamo riusciti a classificare e descrivere ogni spazio come mostrato nella Fig. 2. Da spazi configurati a pattern: cosa intendiamo Quando pensiamo di soddisfare il nostro bisogno alimentare di cibo non pensiamo: «mi serve l’olio prodotto da un oliveto terrazzato e con una siepe in fondo, vicino alla strada», pensiamo invece: «ho bisogno di olio per cucinare». La risposta che nel Chianti senese danno a questo determinato bisogno è un campo dove sono coltivati gli olivi; altri potrebbero aver risposto a questo bisogno coltivando palme, mais, canapa ecc. Se il pattern ci dice come soddisfare un bisogno, o meglio come organizzare lo spazio per soddisfare un bisogno, allora il pattern in questo caso è l’oliveto nel senso generale, ovvero un campo con olivi per produrre olio. Come visto nei capitoli precedenti arriva il momento in cui il pattern, che è immateriale, deve dispiegarsi sul piano fisico e per farlo incontra necessariamente l’ambiente con tutti i suoi fattori (geologia, pedologia, pendenze, etc.). Nel suo dispiegarsi cerca di rispondere nel miglior modo alla porzione di territorio in cui si trova, sempre che questo sia possibile. Così il pattern ‘oliveto’ dà origine a tanti spazi configurati quanti sono i possibili adattamenti alle varie situazioni; ne derivano ad esempio oliveti terrazzati e/o oliveti ciglionati (Fig. 2). La valutazione Come dice Salingaros (2006) non esistono solo pattern ‘buoni’ ma anche dei pattern che potremmo definire ‘non buoni’ e che originano spazi configurati brutti o non soddisfare a pieno i nostri bisogni. Dunque, non

tutti i pattern originano spazi configurati ottimali malgrado sia il loro obiettivo. È quindi necessario capire quando un pattern funziona bene e quando no. Per far questo cercheremo di: • individuare le caratteristiche più importanti per uno spazio configurato (in considerazione dell’area in cui viene utilizzato); • individuare una metodologia di valutazione che risponda alle nostre esigenze; • valutare ciascuno spazio configurato. Sulla base di tale analisi sarà quindi possibile costruire una carta della distribuzione dei valori degli spazi configurati, la quale costituirà uno strumento a supporto del pianificatore e di chi dovrà gestire le trasformazioni del territorio. Tale carta prenderà il nome di ‘valutazione ecosistemica’. Utilizzando i risultati delle elaborazioni sarà poi possibile collegare i valori degli spazi configurati ai pattern che li hanno generati. Questo aiuterà sia a capire l’impatto sugli ecosistemi che a renderne possibile il miglioramento, anche attraverso la definizione di un nuovo pattern. Per giungere al nostro obiettivo abbiamo quindi ragionato sulle funzioni che il territorio agricolo possiede: produrre cibo per il nostro sostentamento, legname per i nostri camini, un costante stock di acqua da bere e molto altro ancora. Tutto ciò è, a nostro avviso, riassumibili nella triade vitruviana utilitas (deve essere utile all’uomo), firmitas (deve essere in grado di perdurare nel tempo e quindi sostenibile) e venustas (deve essere bello, o come direbbe Alexander un living center). Queste caratteristiche potrebbero, con qualche adattamento, essere assimilate alle macro-categorie dei servi45 zi ecosistemici individuate


Fig. 3 Esempio di valutazione ecosistemica degli spazi configurati, dei rispettivi pattern di riferimento e mappatura dei valori pagina successiva, Tab. 1 Servizi ecosistemici valutati e criteri di valutazione


Tipologia di servizio ecosistemico

Criteri della valutazione

Scala dei valori 0

4

Servizio di fornitura: F1-Redditività agroforestale

Valutazione in funzione della produzione di cibo e legname

Redditività minima

Redditività Massima

Servizio di regolazione: R1-Sequestro del carbonio

Valutazione dello stock di Co2

Minimo stock presente

Massimo stock presente

Servizio di regolazione: R2-Protezione dall’erosione.

Valutare l’erosione potenziale.

Massimo erosione

Minima erosione

Servizio di regolazione: R3-Protezione dai dissesti idrogeologici di frana

Valutare il grado di suscettibilità alle frane.

Massimo rischio frana

Minimo rischio frana

Servizio di regolazione: R4-Permeabilità ecologica

Valutare la capacità di permettere agli animali l’attraversamento.

Nessuna permeabilità ecologica

Massimo permeabilità ecologica

Servizio culturale: C1-Valore estetico/ paesaggistico

Valutare come ogni spazio configurato incide sulla qualità del territoriale.

Brutto paesaggio

Bel paesaggio

dal Millennium Ecosystem Assessment (MEA)3, ovvero: • servizi di fornitura (utilitas); • servizi di supporto e di regolazione (firmitas); • servizi culturali (venustas). I servizi ecosistemici e relativa quantificazione L’ambiente è un qualcosa di complesso ed in continuo mutare alla ricerca di un equilibrio. Al suo interno esistono molti organismi (fattori biotici) che si relazionano l’un con l’altro e con la materia non vivente (fattori abiotici) innescando utili processi. Questi consistono essenzialmente nel trasformare di continuo l’energia da una forma all’altra affinché ognuno degli organismi che ne fanno parte possa ricevere la forma di energia

più adatta al proprio metabolismo. Gli organismi che popolano l’ambiente cercano continuamente di sopravvivere e per farlo si trovano di fronte varie possibilità tra le quali: • adattarsi all’ambiente; • adattare l’ambiente secondo le proprie esigenze e in funzione dei propri limiti; • adattarsi e adattare l’ambiente instaurando un processo di interazione dinamico. Con crescente capacità da parte dell’uomo di modificare l’ambiente, si è iniziato a pensare alle possibili conseguenze di certe azioni. Cosa può succedere se si estrae più acqua di quanta non si accumula? Cosa può succedere disboscando continuamente foreste? Cosa può succedere inquinando ed immettendo sempre più CO2 in atmosfera?

Each pattern language reflects different modes of life, customs, and behavior, and is appropriate to specific climates, geographies, cultures, and traditions. […] A pattern is a set of relationships, -which can be realized using different materials and geometries. Architects, however, confuse pattern with their representation, i.e., what an arrangement looks like. Pattern are not material, though we experience them with our senses. Nikos A. Salingaros, 2006, pag 220

Il tentativo di arginare il depauperamento delle risorse del nostro pianeta, nonché la necessità di prevenire gli effetti indesiderati delle nostre azioni, ha generato interesse per i servizi ecosistemici e le modalità per misurarli. Partendo dal documento Life + mgn, making good natura4 (CURSA), che riporta l’elenco di tutti i servizi ecosistemici e le rispettive modalità di calcolo, abbiamo deciso di analizzare alcuni di questi servizi, apportando alcune modifiche alle metodologie di valutazione proposte (essendo nate per analisi a scale diverse non tengono conto di tutti gli usi del suolo e delle configurazioni spaziali da noi individuati). Per riuscire a valutare i servizi ecosistemici ci siamo avvalsi di due metodologie di analisi:

• Valutazione analitica: si costituisce di un approccio metodologico scientifico che porta alla risoluzione di un problema o alla definizione di uno stato di fatto basandosi su dati quantitativi reali o validati scientificamente; • Valutazione esperta: si basa sul giudizio di un esperto che è chiamato ad assegnare un valore quali quantitativo su di una determinata tematica, basandosi e sul proprio bagaglio culturale e professionale. Per la valutazione si è scelto di utilizzare una scala di valori che va da 0 a 4, dove lo 0 è il valore più basso e 4 quello più alto. Questo è dipeso dal voler associare i valori numerici a pareri di natura maggiormente qualitativa come ‘minima erosione’, ‘mas47 sima erosione’. Sono stati


utilizzati anche valori intermedi nei casi in cui il professionista ne ha visto la necessità. Gli esperti coinvolti sono stati il prof. Iacopo Bernetti, Il prof. Stefano Carnicelli ed il prof Gherardo Chirici. 1. Valutazione esperta: F1 Redditività agroforestale L’indice della redditività agroforestale non si basa sulla biomassa prodotta all’anno ed il rispettivo valore economico, quanto sui fattori fisici in grado di influenzare la redditività, ed in particolare: • densità delle colture • morfologia del terreno • esposizione • uso del suolo Per ciascuno di questi fattori l’esperto ha attribuito dei valori qualitativi sull’impatto che le diverse combinazioni di fattori potevano avere sulla produzione. Successivamente i vari fattori sono stati ricomposti secondo la seguente formula in modo da dare un valore complessivo: (val. uso suolo * ((‘val. pendenze’ + ‘val. morfologia’ + ‘val. densità’) /6))/2 2. Valutazione analitica: R1 Sequestro del carbonio Questa tematica è stata valutata completamente in modo analitico utilizzando lo stock effettivo del carbonio(t/ha) presente sul territorio la cui stima è ottenuta integrando i dati dell’Inventario Forestale Nazionale (INFC, 2005) con i dati dei satelliti multispettrali SPOT5 HRG e IRS 1B tramite l’algoritmo k-Nearest Neighbours (k-NN). Per maggiori informazioni sull’algoritmo non-parametrico k-NN si fa riferimento a Chirici et al. (2016) e in particolare per la metodologia di stima a Chirici et al. (2008). Dall’analisi zonale tra la carta prodotta dallo studio sopra citato e la cartografia degli spazi configurati, è

stato possibile attribuire a questi ultimi il rispettivo stock medio di carbonio. 3. Valutazione esperta/analitica: R2 Protezione dall’erosione La valutazione dell’erosione si è basata sull’applicazione del modello USLE5 alla nostra area di studio, ed un successivo confronto con il prof. Stefano Carnicelli per verificare l’attendibilità dei dati e ricondurli all’interno della nostra scala di valori da 0 a 4. Detta analisi si basa sui seguenti paramenti così aggregati tramite l’equazione USLE: E= R x K x LS x CP Dove: E = quantità di terreno erosa (tonha-1); R = fattore di erosività della pioggia (UE); K = fattore di erodibilità del suolo (ton ha -1UE-1); L = fattore di lunghezza (adimensionale); S = fattore di pendenza (adimensionale); C = fattore di coltivazione (adimensionale); P = fattore di pratica colturale e/o antierosiva (adimensionale) 4. Valutazione esperta: R3 Protezione da frane L’indice del dissesto geologico legato ai fenomeni franosi si basa sulla relazione che intercorre tra le proprietà fisiche dello strato pedologico e la morfologia del terreno. Il risultato che si ottiene è un semplice indicatore qualitativo in grado di dirci quali potrebbero essere le situazioni più soggette a fenomeni franosi. La valutazione si è basata sui principali fattori del terreno che influenzano i dissesti geologici ed in particolare: profondità; drenaggio; morfologia del terreno.

5. Valutazione esperta: R4 Permeabilità ecologica Per ogni spazio configurato individuato è stato valutato il grado di permeabilità ecologica ovvero, la capacità di consentire agli animali un transito al proprio interno. L’esperto, in questo caso il Prof. Gherardo Chirici, ha preso in considerazione unicamente lo strato informativo ‘dell’uso del suolo’ legato, dove possibile, al tipo di gestione agronomica assegnando valori compresi tra 0 (Minima permeabilità ecologica) e 4 (Massima permeabilità ecologica) in funzione delle informazioni disponibili sull’area di studio e del suo bagaglio di esperienze personali. Valutazione complessiva dei servizi ecosistemici e rispettiva attribuzione ai singoli pattern Dare una valutazione complessiva dei servizi ecosistemici, indicando quanto, nel complesso, ogni spazio configurato influisce sulla qualità ambientale serve ad individuare le aree più “critiche” dal punto di vista ecologico e quindi quelle situazioni sulle quali intervenire prioritariamente. Sulla base dei singoli indicatori siamo andati ad assegnare ad ogni spazio configurato il rispettivo valore dei servizi ecosistemici e successivamente grazie ad una valutazione complessiva è stato possibile riuscire ad attribuire ad ogni pattern un rispettivo valore in funzione delle proprie caratteristiche spaziali, organizzative e di relazione con l’ambiente di riferimento. La schematizzazione di detta valutazione è visibile nell’immagine sottostante (Fig.3). Scenari progettuali Il compito del pianificatore e di coloro che si occupano della gestione del territorio, è quello di intervenire considerando in maniera integrata tutti i fattori in gioco: fisici, ambientali

e antropici. Lo studio fin qui condotto ci ha permesso di creare una piccola impalcatura per poter operare in questa direzione, nonostante siano ancora molteplici i fattori non analizzati. Gli scenari che di seguito si propongono non vogliono quindi considerarsi come scelte compiute e omnicomprensive di tutto, ma come semplici applicazioni metodologiche del percorso compiuto. Modello automatico Ad ogni combinazione tra fattori ambientali e spazi configurati corrisponde un certo valore ecosistemico. Con questa prima elaborazione si seleziona, in modo automatico, e per ogni situazione geografica6, lo spazio configurato con il maggior valore ecosistemico. Nonostante piuttosto immediato, lo scenario, ottenuto esclusivamente sulla base dei dati riscontrati nell’area di indagine, ha restituito ipotesi progettuali spesso irrealizzabili o comunque limitanti da un punto di vista della corretta gestione del territorio. Tale ipotesi non dà per esempio la possibilità di modificare il pattern o le configurazioni spaziali in modo da adattarsi alle diverse condizioni geografiche o ambientali, ma si basa soltanto sulla scelta migliore tra un numero limitato di possibili alternative. Modifica del pattern Un’altra tipologia di intervento consiste nella modifica dei pattern al fine di adattarsi alle condizioni geografiche e aumentare il valore dei servizi ecosistemici. Considerando una delle aree campione analizzate (Fig.5) si osserva come il territorio a sud presenti un basso valore ecosistemico complessivo in presenza dei vigneti, dove il fattore più limitante ad incidere sull’analisi è


quello relativo all’erosione (valore 0). Volendo andare ad incidere proprio sull’erosione occorre analizzare che parametri incidono sul suo valore. Partendo dall’equazione Erosione = R x K x LS x CP gli unici fattori su cui è possibile intervenire sono L, C e P, rispettivamente la lunghezza dell’appezzamento sulla linea di massima pendenza, Il tipo di uso/pratica colturale e il tipo di dislocazione dei filari e/o coltivi (rittochino, cavalcapoggio, etc.). Ipotizzando una modifica dei soli fattori L e C, è possibile ottenere il valore dell’erosione come si vede nella tab. 2. Mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici In questo scenario si cerca di integrare il precedente (scenario 2) con i possibili effetti dei cambiamenti climatici, dando luogo sia ad azioni di mitigazione e adattamento che cercando di mantenere il più possibile la struttura agronomica attuale. Una simulazione dei cambiamenti climatici, effettuata tramite la metodologia dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC7,ipotizza da qui al 2050 una leggera diminuzione delle precipitazioni ed un rialzo delle temperature medie. Tali variazioni non influenzeranno solamente il ciclo dell’acqua (maggior evapotraspirazione, minor disponibilità di acqua nel suolo, e prolungati periodi di siccità) ma vanno a modificare anche altri fattori come quello dell’agricoltura, e nello specifico del nostro territorio, il settore vitivinicolo, una delle principali economie del Chianti. L’analisi delle temperature medie nell’intervallo aprile-ottobre indica un aumento delle temperature che passeranno da 16.96 °C a 21.59 °C nel 2050. Relazionando così le proiezioni al 2050 con la classificazione dei principali tipi di vitigno per intervalli

di temperature realizzata da Jones (2006), si evince la possibilità che il vitigno di Sangiovese (tipico del territorio) si avvicini ad una situazione critica nella quale verranno a mancare le condizioni climatiche per la sua coltivazione. La proposta di modifica del territorio che proponiamo cerca quindi di reinterpretare i pattern individuati cercando di intervenire sui fattori in grado di invertire le tendenze climatiche in atto e in qualche modo mitigarle. In particolare grande rilevanza viene attribuita alle siepi e ai filari che, oltre ad avere un alto valore ecologico, svolgono in termini agro-ecologici (Caporali 2010) importanti azioni di difesa e protezione territoriale (proteggono da agenti atmosferici, aumentano biodiversità, migliorano le condizioni micro climatiche e possono attivare processi mutualistici. In relazione a quanto evidenziato si prevedono: 1. Modifica del pattern vigneto con riduzione della sua lunghezza, fattore in grado di contrastare l’erosione, con contestuale inserimento di alberature. 2. Sostituzione dei vigneti a rittochino con quelli a tagliapoggio e modifica del sesto di impianto con l’inserimento di siepature tra i filari allo scopo di ombreggiare e creare un microclima favorevole al sangiovese; 3. Recupero dei terrazzamenti abbandonati e applicazione del pattern Vitato-Olivato la cui organizzazione con il filare di vigna posizionato tra il terrazzamento e l’olivo; quest’ultimo acquisirebbe il ruolo di filare alberato con effetti di ombreggiature e mitigazione. Conclusioni Esiste una relazione tra il modo di configurare lo spazio attorno a noi e i servizi ecosistemici che si generano

Fig. 4 Graficizzazione degli scenari di trasformazione Tab. 2 Tentativo di modifica della lunghezza dei campi al fine di diminuire l’erosione

Fattore L

Valore risultante nell’equazione

Stato attuale

120 m

2.32

Modifica

80 m

1.90

Fattore C

Valore risultante nell’equazione

Stato attuale

Vigneto senza inerbimento tra i filari

0.64

Modifica

Vigneto totalmente inerbito nell’inverno, con diserbo primaverile-estivo solo sui filari

0.04

Valore dell’erosione

Valore dell’erosione

Stato attuale

371.74

0

Modifica

18.288

3

all’interno del territorio agroforestale? Questa era la domanda su cui si è sviluppato il nostro percorso di ricerca portando a individuare l’esistenza ed alcune particolarità della relazione tra spazi configurati e servizi ecosistemici. Dalle analisi è emerso infatti che ogni tipologia di spazio può assumere valori ecosistemici piuttosto diversificati, in funzione della propria posizione geografica/ambientale. La localizzazione svolge quindi un ruolo chiave all’interno della relazione pattern - servizi ecosistemici. Su tale analsi siamo quindi andati a proporre alcuni scenari progettuali basati sull’utilizzo dei pattern ‘migliori’ e sulla loro modifica per meglio adattarsi ai processi in atto dati dal cambiamento climatico.

La metodologia affrontata con la ricerca potrebbe essere un valido strumento di supporto per le azioni di governance e pianificazione. Ovviamente il lavoro, concentrandosi solo su determinati aspetti ed indicatori, non può ritenersi completo e pertanto si ritiene necessiti di futuri approfondimenti su specifiche tematiche come la qualità estetico/paesaggistica, l’utilizzo di ulteriori indicatori, uno studio più approfondito sui cambiamenti climatici e la necessità di un’indagine interscalare.

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Fig. 5 Schematizzazione della metodologia applicata con possibili integrazioni del modello


Note

Bibliografia

1 Come dice l’etimologia del termine lo spazio configurato è un qualcosa di ‘fisico’ o di ‘visibile’, con un determinato aspetto ed una forma identificata; risultato di un processo di configurazione. In definitiva lo spazio configurato è una delle possibili rappresentazioni fisiche del pattern e non va confusa con quest’ultimo in quanto non detiene né una natura fisica né è direttamente rappresentabile. 2 I pattern in architettura sono qualcosa di non materiale, una modalità di disporre elementi in un certo contesto. Gli edifici, per esempio, sono ciò che viene utilizzato, il pattern è ciò che dice come, quando e perché utilizzarli, e gli aggiustamenti che occorre fare di volta in volta per disporli. I pattern codificano le interazioni tra l’uomo ed il proprio ambiente e riflettono differenti modi di vivere e comportamenti a loro volta legati a specifici climi, geografie, culture e tradizioni. I pattern non devono essere confusi con le loro rappresentazioni poiché non sono materiali. 3 I servizi ecosistemici vengono generalmente identificati come “Benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”. (Millennium Ecosystem Assessment -MEA-, 2005). All’interno del nostro studio verranno invece considerati come i prodotti finali e complessi che si manifestano e concretizzano a seguito di un lungo processo dinamico, interno agli ecosistemi, in grado di trasformare semplice energia in una più nobile, rendendola disponibile per tutti gli esseri viventi. 4 È un modello dimostrativo di valutazione qualitativa e quantitativa dei servizi ecosistemici nei siti pilota. 5 L’Equazione Universale delle Perdite di Suolo (USLE) stima l’erosione media annua su un terreno, basandosi su pendenze, precipitazioni, tipo di suolo, topografia, sistemi colturali e pratiche agro-colturali. http://www.omafra.gov. on.ca/english/engineer/facts/12-051.htm. 6 Area data dalla combinazione dei fattori ambientali, ovvero: Geologia + Pendenza + Esposizione + Pedologia (Granulometria, Tessitura, Drenaggio, Profondità). 7 L’IPCC è un gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento Climatico, formato nel 1988 da l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale.

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Fig. 1 Inquadramento dell’area di studio


Agricoltura periurbana e servizi ecosistemici: una metodologia di valutazione per il Parco Agricolo della Piana Matteo Benedettelli Michela Ciacci

Introduzione Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l’importanza della piena funzionalità della rete ecologica nei confronti della salubrità ambientale e, in particolare, della capacità di resilienza delle aree agricole ma anche di esplorare le possibilità di introdurre tali prestazioni nell’ambito degli strumenti e procedure di governo del territorio. La letteratura scientifica di riferimento è concorde nell’affermare che gli agro-ecosistemi, inerenti alle attività agricole, di pari passo con gli agro-ecomosaici, inerenti la gestione territoriale, dipendano e, a loro volta influenzino, i servizi ecosistemici in un ciclo continuo. Il tema dei servizi ecosistemici, d’altro canto, sta assumendo sempre più interesse anche da parte delle politiche del governo del territorio, in quanto essi possono costituire soprattutto un’opportunità per l’analisi del complesso rapporto città-campagna, in piena ottica bioregionalista. La Regione Toscana, mediante la definizione del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2014-2020, ha elaborato, grazie al Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale per lo sviluppo sostenibile) e all’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione del settore

Agricolo forestale (ARSIA), una serie di scenari relativi agli impatti sul sistema agricolo-forestale dovuti al cambiamento climatico per i prossimi 100 anni, in particolare evidenziando per l’area metropolitana fiorentina una sensibilità medio-alta alla desertificazione e una riduzione in termini di produttività agricola attestata tra il 10 e il 20% per il frumento duro, al 50% per il settore olivicolo e tra il 20 e il 30% per quello vitivinicolo. In questo lavoro si cerca quindi di individuare le evidenze e le linee metodologico/operative per la corretta progettazione di reti ecologiche a partire dalla valutazione dei servizi ecosistemici che esse possono fornire. Ciò anche a supporto della redazione di politiche territoriali e di settore integrate fra di loro, in particolare, finalizzate al sostegno di quelle attività agricole che siano in grado di ridurre o mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio. Materiali e metodi Lo studio e la rigenerazione del sistema agro ambientale periurbano Lo studio è stato condotto nell’ambito del Parco agricolo della Piana Fiorentina, più precisamente in gran

parte delle aree agricole di pianura dei comuni di Prato, Firenze, Calenzano, Campi B.zio, Sesto F.no, Poggio a Caiano e Signa per un’estensione di circa 8000 ha complessivi (Fig. 1). Il lavoro è stato strutturato in una prima fase conoscitiva del territorio, funzionale all’individuazione di criticità ambientali dell’area, su cui è stato possibile, di conseguenza, ipotizzare uno scenario di ricostituzione ecologica; su questo sono applicate poi metodologie scientifiche per la valutazione dei servizi offerti dall’ecosistema sotto diversi punti di vista. Sulla base delle analisi della documentazione esistente1 e di elaborazioni di dati ISTAT e ARTEA, è stato possibile ricostruire un quadro relativamente aggiornato del sistema agricolo del Parco della Piana da cui sono emerse le principali potenzialità e criticità. Rispetto a quest’ultime, risulta particolarmente rilevante l’estrema semplificazione in termini di uso del suolo del paesaggio che ha caratterizzato questa zona dagli anni ‘50; ciò è dovuto soprattutto al progressivo accorpamento e intensivizzazione delle aziende, a prevalente ordinamento cereali-

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Prof. David Fanfani; Co-relatore : Prof. Gherardo Chirici Aprile 2017

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Fig. 2 Scenario agro-ecologico di progetto pagina successiva, Fig. 3 Analisi del servizio relativo alla produzione di cibo

colo, che conducono i propri terreni secondo modalità di agricoltura convenzionale. Il paesaggio semplificato e le componenti ambientali frammentate e contaminate, dovuto alle pressioni dell’espansione urbana e ai tassi di inquinamento prodotti dai settori agricolo e industriale, ha inevitabilmente comportato nel tempo un depauperamento dei terreni e una riduzione in termini di biodiversità. Per potere effettuare un confronto tra la gestione colturale odierna, di cui non sono disponibili informazioni statistiche di dettaglio, e quella prefigurata nello scenario, è stato ipotizzato un ciclo di rotazione triennale come migliore ipotesi di conduzione agricola in regime convenzionale. Il passo successivo dell’analisi è stato quello relativo allo studio della rete ecologica condotto mediante software Idrisi che ha riguardato l’elaborazione di indici di grandezza, forma, disturbo antropico, connettività ecologica e core area, mediante un approccio specie-aspecifico. Dagli elaborati ottenuti, tenendo conto anche della rete ecologica di livello regionale, sono state individuate una serie di riconnessioni verdi mancanti di pianura e, successivamente, costruito un ideogramma progettuale come base per lo scenario di ricostituzione non solo ecologica ma anche agro-forestale. Dalla sovrapposizione quindi della rete ecologica ottenuta allo schema progettuale agro-ambientale definito dalla variante al PIT, è stato possibile delineare uno scenario di breve-medio periodo incentrato sugli aspetti agro-ecologici (Fig. 2).

In particolare, quest’ultimo ha riguardato la definizione di due principali componenti ecologiche finalizzate al disegno organico e funzionale della rete: le dorsali di riconnessione e le siepi di margine. Le prime, che costituiscono la struttura principale di riconnessione, sono state disegnate prioritariamente lungo i confini aziendali con una profondità di 8 metri per garantire una efficienza ecologica di maggior rilievo mentre le siepi sono state disegnate in modo da garantire la distribuzione capillare sull’area, con una profondità di due metri, corrispondente ad un valore di minima efficienza ecologica. Le riconnessioni ecologiche si compongono di un ciclo arbustivo indicativamente di 5 anni, poiché da riferirsi per la sua realizzazione ai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) della medesima durata, di un ciclo arboreo di 4 anni poiché da riferirsi alla piantumazione di salici, pioppi ed ontani per la cosiddetta short rotation forestry e di un ciclo arboreo lungo riferito a boschi permanenti da realizzare nella piana, in accordo anche con le previsioni elaborate dalla Regione Toscana nella variante al PIT regionale. Per quanto riguarda la componente agricola, coerentemente con i pattern ecologici di area vasta individuati, è stata ipotizzata la conversione delle attività agricole verso modelli di conduzione più sostenibili vicini al modello dell’’agricoltura biologica rigenerativa’2 a partire dall’introduzione di un ciclo di rotazione quadriennale che prevede oltre

al frumento e al granturco, già peraltro comunemente coltivati nell’area, il lino come ulteriore specie da produzione con caratteristiche depauperanti ed il cece come specie da produzione con caratteristiche miglioratrici (Fig. 2). Queste specie sono state scelte compatibilmente con gli interessi produttivi aziendali ma anche con l’implementazione degli aspetti eco-ambientali dell’area; infatti, mediante la diversificazione delle colture e soprattutto l’inserimento della pratica dei sovesci, si mira all’incremento della biodiversità e della sostanza organica nel terreno, andando così a ridurre la necessità di apportare input chimici ed energetici, tipici delle prati-

che agricole convenzionali. Ciò è anche finalizzato a conferire un valore aggiunto, in termini qualitativi, alle produzioni in modo da contrastare la precarietà del settore agricolo di fronte alle fluttuazioni dei mercati globalizzati per quanto riguarda le principali commodities alimentari. La selezione e valutazione dei servizi ecosistemici nello scenario progettuale Definito lo scenario progettuale, sono stati presi in esame molteplici metodi di valutazione dei servizi offerti dal territorio in modo da poter scegliere quello più congeniale per quanto riguarda l’analisi dell’agro-ecosistema in oggetto. Si ricorda


dell’offerta dei servizi, per cui nel caso dell’impollinazione abbiamo scelto di utilizzare InVEST4 mentre per gli altri due servizi ci siamo basati su nostre elaborazioni statistiche. Tra i vari metodi di valutazione economica invece si è adottato quello dei prezzi di mercato, in base al quale è possibile stabilire il valore di un bene in base alla disponibilità degli individui a pagare per quel bene stesso, secondo il cosiddetto metodo delle ‘preferenze rivelate’. La coerenza dei metodi di valutazione impiegati per ognuno dei servizi, in particolare avendoli riferiti a prestazioni annuali e avendoli tradotti in termini monetari secondo un unico metodo di valutazione, ha permesso di poter operare somme e differenze cartografiche tra i valori attuali e quelli dello scenario.

che l’analisi dei Servizi Ecosistemici (SE) rappresenta un metodo di valutazione in grado di fornire un quadro e un linguaggio comune per rappresentare i beni e le funzioni, erogate dall’ambiente naturale, responsabili della qualità di vita di un territorio (Berg, Rogers, Mineau, 2016, pp 68-80). Nel nostro caso, abbiamo adottato uno dei sistemi di valutazione più conosciuti e condivisi a livello internazionale proposto dal Millennium Ecosystem Assessment (MEA)3, che suddivide i servizi in supporto, fornitura, regolazione e servizi culturali. Per l’analisi dei servizi relativi alle attività agricole, abbiamo preso in esame tre servizi fondamentali, fortemente correlati alle

funzioni e vitalità del settore agricolo e sui quali l’agricoltura stessa può incidere fortemente. Si tratta dei servizi di produzione alimentare, di impollinazione da parte degli insetti e del sequestro della CO2 — nonché della sua mancata emissione — come fattore di contrasto ai cambiamenti climatici. La valutazione dei servizi ecosistemici I servizi selezionati sono stati valutati in termini di offerta, ove possibile di domanda, e di valore economico, riportandone la spazializzazione cartografica per ognuno. Esistono molteplici software liberi in grado di orientare nella valutazione

La produzione di cibo Nel servizio relativo alla produzione agro-alimentare, l’offerta nello scenario dal punto di vista quantitativo è stata calcolata tenendo conto delle rese medie ad ettaro fornite dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) mentre dal punto di vista qualitativo prevede l’introduzione di sementi locali e/o antiche che possiedono caratteristiche nutritive e di adattabilità migliori. Ciò che è emerso dalla valutazione è che la produzione, rispetto alla situazione attuale, risulta inferiore quantitativamente per i seminativi ma è più variegata in termini di offerta e qualitativamente migliorata, grazie all’eliminazione degli input chimici tipici dell’agricoltura convenzionale. Inoltre, sono state fatte delle considerazioni dal punto di vista della domanda, non in termini assoluti quanto in termini di persone che si possono sfamare, suddivise per fasce d’età, in base alla produzione

agricola prefigurata nello scenario: in base cioè ai fabbisogni alimentari giornalieri forniti dall’European Food Safety Authority (EFSA), è stato possibile confermare che lo scenario può coprire in cereali circa la metà della popolazione che si sarebbe potuta sfamare in regime convenzionale ma, d’altro canto, permette di saturare ed, anzi, eccedere la quantità richiesta di legumi e olio di semi da parte della popolazione totale che abita i comuni interessati dal Parco. Tuttavia, per quanto riguarda l’aspetto cerealicolo è stato ipotizzato un ampliamento della produzione attuale della filiera cerealicola del Gran Prato, realtà consolidata nel territorio pratese ed in continua crescita. Attualmente le aziende che ne fanno parte sono una decina e si stima una produzione annuale di circa 800 tonnellate di grano mentre con l’ingresso in filiera della totalità delle aziende del Parco si potrebbe ottenere una produzione annua di circa 5100 tonnellate, in grado, ad esempio, di produrre panificati per circa 90.000 persone all’anno. La valutazione economica, che risulta generalmente superiore nello scenario, è stata spazializzata mediante l’attribuzione alle colture individuate per lo scenario dei prezzi mensili medi all’origine per prodotto forniti da ISMEA e dall’Associazione Granaria Emiliana Romagnola (AGER) (Fig. 3). Impollinazione Uno dei servizi principali da cui dipende l’agricoltura è quello offerto dagli insetti impollinatori. Nonostante esso venga spesso trascurato nelle analisi territoriali, è stato, in questo caso, preso in considerazione poiché sta ricevendo molte attenzioni, specialmente negli ultimi an55 ni a causa della cosiddet-


Fig. 4 Analisi del servizio relativo all’impollinazione pagina successiva, Fig. 5 Analisi del servizio relativo alla capacità di sequestro della CO2

ta sindrome della scomparsa delle api, soprattutto dalle politiche europee, in quanto dall’impollinazione dipende la gran parte della catena alimentare, è strettamente correlata al tipo di conduzione agricola e comporta, quindi, una serie di esternalità positive di altissimo valore. Per il calcolo di questo servizio, ci siamo serviti, come annunciato, del software InVEST che, nonostante operi una considerevole semplificazione, non prendendo in esame gli effetti dannosi degli input chimici sugli insetti, opera a partire da valutazioni sulla disponibilità di siti per la nidificazione, la disponibilità floreale cioè l’abbondanza di cibo, la distanza di foraggiamento e la dipendenza delle colture dall’impollinazione. È possibile utilizzare il software per più tipologie di insetti, nel nostro caso è stato valutato contemporaneamente per api e bombi. Dalla restituzione cartografica emerge che il servizio offerto aumenta sensibilmente per tutta la pianura mentre si riduce in vicinanza delle aree urbane poiché il software calcola l’abbondanza degli insetti in base ad un indice di frammentazione delle celle agricole rispetto all’urbanizzato. I valori economici sono stati calcolati grazie al metodo delle ‘preferenze rivelate’ proposto dalla FAO (Gallai, Vaissière, 2009) che, a partire dalle informazioni sulle produzioni, sulla dipendenza delle colture dall’impollinazione e sui prezzi dei prodotti agricoli ottiene il valore economico per ogni categoria agricola. Il dato spazializzato evidenzia che, nonostante gran

parte delle colture cerealicole non dipendano strettamente dall’impollinazione e nonostante una riduzione delle superfici colturali dovuta all’introduzione della rotazione quadriennale, le aree centrali presentano un incremento del valore economico di produzione. Ciò può dare un’idea del fatto che, a prescindere dalle scelte colturali effettuate in questo scenario, il servizio di impollinazione possa avere delle ricadute molto significative in relazione alla struttura dell’agro-eco-mosaico e al tipo di conduzione agricola impiegata (Fig. 4). Sequestro della CO2 La valutazione dell’impronta ecologica delle attività agricole è stata compiuta grazie allo studio -non ancora pubblicato- condotto dal Consorzio LaMMA sugli effetti dei rimboschimenti nel Parco della Piana e ad un report di dati compiuto sull’azienda agricola Montepaldi dell’Università degli Studi di Firenze, in base ai quali si è potuto stimare la quantità di CO2 sequestrata annualmente rispettivamente per la componente forestale e quella agricola. In particolare, il primo di questi studi ha determinato, mediante tecnica Eddy Covariance5 valori medi di Net Ecosystem Exchange nell’ambito di alcune aree boscate della Toscana mentre, nel caso dell’azienda di Montepaldi, i valori riportati sono riferiti alla singola prestazione del suolo rispetto al sequestro, non considerando quindi le attività connesse (emissioni dovute ai trasporti, lavorazioni, trasformazione ecc.) che contribuisco-

no significativamente alle emissioni di gas serra. Dopo le elaborazioni cartografiche in ambiente GIS, è emerso come la conduzione in convenzionale, ad oggi, emetta CO2 mentre nello scenario si registra una capacità di sequestro notevolmente superiore. La valutazione economica per questo servizio ha preso come riferimento il prezzo stabilito dal mercato dei permessi di emissione definito dall’European Climate Exchange, in base al quale i prezzi hanno visto una progressiva discesa negli ultimi anni, fino a scendere ai 5€/tonn circa dello scorso aprile 2017. Nonostante il prezzo per le emissioni fortemente ribassato, dalle elaborazioni

cartografiche emerge comunque un generale incremento del valore economico per questo servizio nello scenario, rispetto alla situazione odierna (Fig. 5). Risultati Si può affermare che lo scenario, così configurato, nonostante sia stato valutato tramite modello dei benefits transfer6, comporti indubbiamente dei vantaggi quali-quantitativi per l’area di studio che determinano un incremento delle prestazioni economiche annuali del 36,2% per la produzione agro-alimentare, dell’83,6% per il servizio di impollinazione e del 7594% per


la capacità di sequestro di CO2. Per completare la valutazione dei servizi ecosistemici di un territorio, è inoltre possibile operare una somma finale che rappresenta, anche se nel nostro caso tendenzialmente sottostimata e incompleta7, una ‘carta del valore economico-territoriale’ in grado di fornire una base di supporto per strategie di sviluppo o priorità di interventi; questa operazione è stata possibile avendo valutato ciascun servizio in termini monetari e avendo utilizzato delle valutazioni al riguardo, basate sui prezzi del mercato di riferimento, relativamente ad una prestazione annuale. Dal confronto dei valori economico- territoriali attuali e di scenario si rileva

un incremento di valore totale, riferito ad un anno, di circa il 44%. Dietro questo incremento, si cela non solo un beneficio per la comunità di riferimento ma riguarda anche i ritorni economici per chi direttamente gestisce il territorio che, in questo caso, corrisponde agli operatori agricoli. Servizi ecosistemici, agricoltura e governo del territorio: la costruzione di comparti agro-ecologici Tra le possibilità di realizzazione dello scenario, sono state prese in esame le opportunità offerte dalla governance, dalla scala europea a quella locale; sono stati individuati quegli obiettivi all’interno della Strategia Europa 2020 connessi alla ru-

ralità da porre in relazione all’analisi dei servizi ecosistemici, tra cui le strategie per la biodiversità e il Roadmap to a Resource Efficient Europe che richiede agli Stati membri le mappe degli ecosistemi e dei relativi servizi. L’aspetto che è stato maggiormente approfondito è quello relativo alla PAC e, in particolare, al primo pilastro riferito ai pagamenti diretti, il cosiddetto greening, legato alla tutela ambientale e al contrasto ai cambiamenti climatici. Per il secondo pilastro, invece, riferito ai Piani di Sviluppo Rurale (PSR) di competenza regionale, sono state prese in esame le misure compatibili con il nostro scenario per il caso toscano: sono state individuate sei misure relative agli investimenti in immobilizzazioni materiali, ai pagamenti agroclimatico-ambientali e all’agricoltura biologica ed è stato riscontrato che, fatta eccezione per quest’ultima, le possibilità di accesso dei singoli agricoltori risultano praticamente nulle poiché le assegnazioni dei punteggi per i finanziamenti si applicano principalmente alle aree soggette a vincoli naturali che nell’ambito del Parco della Piana ricadono sul 20% dell’area circa. Risulta invece decisamente più vantaggiosa l’opportunità di presentarsi come gruppo aggregato di soggetti pubblici e privati offerta dai bandi multi-misura dei Progetti Integrati di Filiera (PIF), Piani di sviluppo locale LEADER, Gruppi operativi del Partenariato Europeo per l’Innovazione (PEI) e nell’ambito dello strumento innovativo dei Progetti Integrati Territoriali (PIT) che si pone come obiettivo l’attuazione di strategie mirate alla mitigazione o l’adattamento ai cambiamenti climatici mediante la valorizzazione del ruolo svolto dall’agricoltura. Nel PIT Parco della Piana, presentato con il bando di marzo 2017, l’Accordo Territoriale è stato promosso dal capo-

fila Città metropolitana di Firenze e interesserà circa 600 ha, attivando tutte le misure previste nel bando. Per quanto riguarda gli obiettivi di biodiversità e di paesaggio, grazie all’attivazione della misura 4.4.1, circa il 5% dei finanziamenti verrà destinato a siepi e alberature con funzione di corridoi ecologici che verranno realizzati nei comuni di Prato e Poggio a Caiano. Alla luce di quanto detto, il dispositivo dei PIT risulta essere uno tra gli strumenti pubblici più adatti ai fini della realizzazione del nostro scenario, per il quale abbiamo concepito un apposito quadro normativo in grado di orientare preventivamente e congiuntamente i fondi delle politiche rurali verso gli obiettivi agro-ambientali dello scenario: a partire dallo Scenario Strategico, così come delineato dalla Regione Toscana, segue il Progetto di Territorio corrispondente alla disciplina del Parco vera e propria, a carattere sovra-comunale, e che si identifica con lo scenario agro-ecologico da noi ipotizzato, per arrivare, infine, al Piano operativo che ha come base territoriale la creazione di ‘comparti agro-ecologici’, mediante i quali si attiveranno le misure del PSR. È possibile, in questo modo, orientare i fondi PAC e PSR, grazie alla geolocalizzazione preventiva degli interventi prioritari, in azione congiunta con i piani urbanistici che saranno quindi in grado di anticipare la processualità programmatica, progettuale e valutativa delle politiche rurali e, di conseguenza, incrementare notevolmente le possibilità di realizzazione degli interventi agro-ecologici stessi, di concerto con il soggetto privato. Il dispositivo dei ‘comparti agro-ecologici’, inoltre, rappresenta una proposta innovativa per la pianificazione in ambito territoriale8, in quan57 to non si riferisce ai so-


li termini quantitativi per il rispetto degli standard, previsti dai comparti urbanistici, né ai distretti di sola natura economica, quanto piuttosto ad uno strumento per l’individuazione di un determinato numero di aziende agricole che si adoperano per unirsi in forma associata mediante Accordi o Patti agro-urbani, con lo scopo di realizzare il disegno definito dal Piano Operativo. Il comparto, in questo senso, corrisponde quindi a porzioni di territorio in cui ricadono aziende agricole interessate dal passaggio della rete ecologica all’interno del Parco e diventa così lo strumento di gestione spaziale, al pari del comparto edificatorio, per l’applicazione delle riconnessioni verdi sul territorio. Inoltre, ai fini della realizzazione degli interventi agro-ecologici mediante le misure del PSR, la sotto-misura 16.5 Sostegno per azioni congiunte per la mitigazione del cambiamento climatico e l’adattamento ad esso e sostegno per approcci comuni ai progetti e alle pratiche ambientali in corso da attivare nei PIT richiederebbe l’inserimento di una tematica di intervento apposita definita ‘Rete Ecologica’, oltre alle già presenti, da rendere però obbligatoria tra le condizioni di ammissibilità della misura stessa, poiché prioritaria rispetto agli obiettivi che questa si prefigge. Possono, inoltre, essere previste una serie di misure incentivanti per la realizzazione dei singoli interventi di riconnessione ecologica, da mettere in atto mediante un ordine di priorità: sarà infatti necessario realizzare in primis le dorsali Nord-Sud tramite un finanziamento pari al 100% della spesa ammissibile per l’intervento e una detrazione fiscale del 20% annuo. Seguiranno le connessioni minori, quali le siepi di margine aziendale e di margine colturale, la cui realizzazione dipenderà dall’intensità di aiuto prevista nel bando

PIT, attualmente pari all’80%, e garantirà una maggiorazione dei punteggi nell’accesso alle altre misure dello stesso, oltre ad una detrazione fiscale del 10%. Inoltre, sulla base del comparto possono attivarsi anche altre forme incentivanti che possono riguardare, ad esempio, la creazione di Patti agro-urbani, i quali fanno riferimento a Sistemi Agro-alimentari Locali cioè attività a catena, in contesto periurbano, che vanno dal produttore al consumatore; in questa catena di attori, il Parco della Piana può proporsi come gestore di un centro funzionale alla distribuzione ma anche, e soprattutto, può fornire un’azione di supporto e di animazione per la comunità agricola del Parco. Conclusioni All’agricoltura sono richieste nuove sfide che hanno a che vedere con l’approvvigionamento alimentare sostenibile e sicuro per la popolazione odierna e futura e con la crescente concorrenza dovuta agli effetti dei cambiamenti climatici, alla riduzione della biodiversità e alla fertilità dei suoli. Le metodologie di valutazione proposte sono funzionali a sottolineare l’importanza di considerare alcuni aspetti tipicamente eco-ambientali all’interno delle politiche territoriali, specie se da riferire ai contesti periurbani. Dai risultati ottenuti, che riteniamo debbano essere maggiormente approfonditi e che risultano tendenzialmente sottostimati, è emerso un significativo aumento dei servizi ecosistemici in termini sia di offerta assoluta che di valore economico, relativi esclusivamente all’implementazione della rete ecologica individuata nello scenario. Un significativo contributo che può offrire il governo del territorio su questo tema è quello di agire congiuntamente alle politiche rurali -in modo da riuscire a ridurre quelle esternali-

tà negative relative alle attività agricole- e agli strumenti e politiche di piano. Un primo passo verso questa direzione può riguardare, da un lato, il rafforzamento di alcune misure esistenti, dall’altro la previsione di nuove misure incentivanti, in modo da rendere appetibile l’adesione degli operatori agricoli alle misure agro-ambientali, ma può riguardare anche la ricerca di strumenti di pianificazione innovativi, come i dispositivi agro-ecologici, creati ad hoc, nell’ambito della disciplina del Parco. È necessario cioè mirare ad individuare le sinergie possibili fra gli obiettivi di rigenerazione insediativa del territorio nel suo insieme e dell’agricoltura periurbana, come sistema ambientale ed economico complesso, in modo, altresì, da sanare una storica e infruttuosa frattura fra governo dell’urbano con quello del rurale.

Note 1 Per il notevole supporto si ricordano, in particolare, gli studi condotti nell’ambito del CdL Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio dell’Università degli Studi di Firenze. 2 L’‘agricoltura organica rigenerativa’, così definita dall’organizzazione americana di ricerca no-profit Rodale Institute, è un tipo di agricoltura che tende alla creazione di cicli nutritivi chiusi mediante un approccio di tipo olistico al mondo agricolo che incoraggia il benessere ambientale, sociale, economico e spirituale (Rodale Institute, 2014). 3 Il MEA è un progetto di ricerca lanciato nel 2001, con il supporto del generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, che ha coinvolto circa 1400 esperti da tutte le parti del mondo. L’obiettivo è stato quello di valutare le conseguenze dei cambiamenti subiti dell’ecosistema per il benessere umano e formulare la base scientifica per le azioni necessarie per migliorare la conservazione e l’uso sostenibile di tali sistemi. Cfr. MEA: <URL: http://www.millenniumassessment. org/en/About.html, 2005>. 4 Integrated Valuation of Ecosystem Services and Tradeoffs (InVEST), versione 3.3.3 rilasciata in data 2/7/2016 dal gruppo NatCap che lavora in partnership con la Stanford University e la University of Minnesota. 5 La tecnica dell’Eddy Covariance (correlazione turbolenta), anche se non ancora riconosciuta come metodologia ufficiale, serve a misurare i flussi di massa (CO2 e H2O) e di energia che una superficie vegetale scambia con l’atmosfera. Si tratta di una tecnica micrometeorologica che mette in relazione la direzione del moto delle particelle di aria (eddies) al di sopra di una superficie vegetale e la massa di gas trasportata in questo moto (Consorzio Lamma, 2014). 6 Il modello dei benefits transfer viene utilizzato per stimare il valore economico dei servizi ecosistemici sulla base della generalizzazione e trasferimento ad uno specifico contesto di informazioni ottenute invece direttamente da studi e rilievi per altre scale territoriali. 7 Per ottenere una valutazione completa dei servizi offerti da un territorio è necessario prendere in esame anche le altre tipologie di servizi offerte, ad esempio, dal MA o comunque servizi che si ritengano necessari per la valutazione di un determinato territorio, in collaborazione con gli esperti dei vari settori. 8 Esperienza di questo tipo sono state realizzate dalla Regione Piemonte mediante il progetto Rurbance che ha delineato un meccanismo di perequazione di tipo territoriale e dal PSR della Regione Marche, in corso, che tramite degli ‘accordi agro-ambientale d’area’, attua strategie condivise e coordinate di interesse ambientale mediante approccio bottom-up a scala sovralocale.


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Approcci innovativi alla pianificazione del territorio 61



Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze

Uno dei più notevoli mutamenti concettuali che hanno riguardato la cultura urbanistica è il passaggio da una visione mono-disciplinare dei fenomeni territoriali ad un approccio volto a favorire una maggiore integrazione tra le diverse competenze settoriali incidenti sul territorio. A tal proposito, i saggi raccolti in questa sezione offrono una rassegna di studi effettuati sul territorio toscano in cui l’approccio alla pianificazione territoriale vede tra loro interrelati più filoni di ricerca riguardanti le dimensioni strategica, prescrittiva e rappresentativa degli strumenti di piano. A livello strategico, gli indirizzi proposti puntano verso un modello di agricoltura multifunzionale che vede il territorio rurale “sempre più chiamato a svolgere non solo la funzione primaria di soddisfazione del bisogno alimentare di base della popolazione, ma anche una serie diversificata di altre funzioni ‘socialmente desiderabili’ quali la tutela dell’ambiente e del territorio, la salvaguardia delBibliografia Alexander C., Ishikawa S., Silverstein M. 1977, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction, Oxford University Press, New York;

la cultura e delle tradizioni rurali, la fornitura di alimenti sicuri, salubri e di elevata qualità, la fornitura di servizi ricreativi” (Pacciani, Toccaceli, 2010, p.456). I contributi che si avvalgono di questa visione integrata dell’agricoltura si concentrano sulla ridefinizione morfologica e funzionale di quegli spazi rurali del territorio aperto, di margine o interclusi e, in particolar modo, di quelli attualmente in stato di degrado e/o abbandono.

Pacciani A., Toccaceli D. (a cura di) 2010, Le nuove frontiere dello sviluppo rurale. L’agricoltura grossetana tra filiere e territorio, FrancoAngeli, Milano;

Dal punto di vista prescrittivo la ricerca, in linea con gli aspetti strategici descritti, si concentra

Poli D., Pianificazione paesaggistica e bioregione: dalle regole statutarie alle norme figurate, in Magnaghi A. (a cura di) 2014, La regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze;

sione da parte degli attori interessati e più in generale dei cittadini. Per la pianificazione territoria-

Saragosa C. 2014, Bioregione e identità urbane: le configurazioni spaziali di Cecina (LI), in Magnaghi A. (a cura di) 2014, La regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze; Sitkowski R. 2007, Form And Substance: What land Use Lawyers Need to Know About Form Based Land Development regulations, Zoning and Planning Law Report, vol. 30, n.3.

sull’aspetto normativo del territorio rurale, attraverso la redazione di ‘norme figurate’, prescrittive e non consultive (Sitkowski, 2007) che ne facilitino non solo la leggibilità, ma anche la comprenle, la norma figurata è uno strumento che “mette in moto il processo, aiuta a implementarlo, guida lo sguardo e l’azione, favorisce la costruzione di un’immagine condivisa e innalza la conoscenza e la coscienza di luogo” (Poli D., 2014, p.126). Tale filone di ricerca punta inoltre all’elaborazione di un regolamento ‘unificato’ per i diversi comuni coinvolti dal progetto che contribuisca ulteriormente alla comprensione delle norme da parte di tutti gli attori coinvolti in un progetto di territorio (bioregione), indipendentemente dai confini amministrativi che vi si sovrappongono. Infine, il carattere rappresentativo della pianificazione viene approfondito secondo due aspetti, il primo riguardante l’omogeneità rappresentativa (legata a quella normativa), mentre l’altro riferito ad una nuova modalità di rappresentazione delle risorse e più in generale del patrimonio territoriale. Nel primo caso, la sfida è quella di semplificare la lettura delle riproduzioni cartografiche degli indirizzi strategici a scala sovracomunale, attualmente resa difficile dalle differenti modalità di rappresentazione utilizzate nella redazione dei piani.

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La metodologia adottata è quella del ‘patchworking’ con cui, attraverso l’unificazione e l’omogeneizzazione dei segni grafici si punta a costruire uno strumento di più facile consultazione. Il secondo aspetto, legato alle modalità di rappresentazione del patrimonio territoriale, punta ad un tipo di raffigurazione capace di costruire sintesi interpretative meno rigide, basate su cartografie in cui non vi sia più una divisione netta tra risorse e criticità, al fine di meglio rappresentare la complessità del territorio. Il metodo esposto nell’ultimo saggio propone una carta del patrimonio territoriale basato sul concetto di configurazione spaziale o pattern (Alexander, 1977), a partire da ‘regole di composizione dello spazio’ (Saragosa, 2014). La carta del patrimonio consiste quindi nella rappresentazione dei livelli di densità di configurazioni spaziali, intesa non come mera sovrapposizione, ma come luogo di interazione e connessione tra i diversi pattern individuati. In questa visione più innovativa di patrimonio, vengono considerati risorse anche quegli elementi che possono essere visti come ‘brandelli di territorializzazione’, parzialmente critici o in apparenza tali, ma che se sottoposti a interventi possono costituire delle potenziali risorse.


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Fig. 1 Elementi e forme del terrazzamento


Patrimonio territoriale e invarianti strutturali. La densità dello spazio configurato e la sua struttura invisibile Massimo Vergamini Introduzione Un aspetto fondamentale del patrimonio territoriale è senza dubbio la sua rappresentazione cartografica, vale a dire la sua descrizione attraverso lo strumento da sempre a supporto dell’urbanistica. È in questo tema che s’inserisce questo lavoro il cui obiettivo principale è quello di sperimentare una diversa modalità di rappresentazione del patrimonio territoriale fondata sulla densità dello spazio configurato intesa non solamente come il semplice accostarsi degli elementi che lo compongono, bensì come il loro intrecciarsi e concatenarsi. La descrizione dell’accumularsi nel tempo delle azioni coevolutive fra uomo e ambiente, del processo di sedimentazione che, guidato da quei princìpi riproduttivi del territorio, che definiamo invarianti strutturali, ha dato alla superficie terrestre una forma, un carattere specifico e una propria personalità. A questo tentativo di rappresentazione arriveremo dopo aver visto alcune considerazioni sui concetti, cercando di fornire degli approfondimenti, che potremmo indicare come sotto-obiettivi, soffermando l’attenzione soprattutto sull’aspetto della forma, di come cioè il complesso delle relazioni tra uomo, risorse e flussi si manifesta al nostro sguardo,

divenendo spazio configurato. Così ha preso forma anche il territorio scelto per l’applicazione pratica della sperimentazione, costituito da una porzione dell’area circostante e comprendente un centro abitato situato in Media Valle del Serchio1, denominato Borgo a Mozzano. Patrimonio territoriale: evoluzione verso una nuova visione Il concetto di ‘patrimonio territoriale’ è divenuto, nella pianificazione territoriale italiana un termine molto frequentato (Magnaghi, 2010), determinando, in questa, la mutazione strutturale della posizione del territorio che passa dall’essere uno sfondo senza altro valore, sul quale programmare attività più o meno legate ai suoi caratteri, ad essere un palinsesto complesso, con valori propri, esito di processi di territorializzazione e di de-territorializzazione (Magnaghi, 2001). La sua definizione comprende la presenza di più sedimenti arrivati dalle fasi di territorializzazione precedenti, quali quelli materiali connessi con le fisicità dei luoghi, quelli della società e dell’economia, legati alle risorse e ai saperi, quelli culturali ed identitari frutto della memoria collettiva, frutto di attività antropiche reificanti e

strutturanti che hanno trasformato la natura in territorio (Magnaghi, 2010). Questa concezione ha introdotto nella pianificazione un notevole rinnovamento nella costruzione del piano, che necessita ora di un’analisi multidisciplinare, tesa a riconoscere gli elementi ed i caratteri patrimonializzanti del territorio d’intervento. Riconoscere, interpretare e rappresentare il patrimonio territoriale, su cui impostare le strategie, sono passaggi che sono richiesti nell’elaborazione di uno strumento di pianificazione. Da inizio anni 2000 si osservano le prime realizzazioni di carte del patrimonio territoriale nell’ambito di piani comunali e provinciali. Tra i più interessanti possiamo citare:

Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Claudio Saragosa Co-relatore: Prof. Maddalena Rossi Aprile 2017

• il Piano Territoriale della Provincia di Prato (2003) dove Il patrimonio territoriale è rappresentato come un “Atlante” contenente l’elencazione delle risorse essenziali, quali gli elementi del sistema insediativo, del sistema infrastrutturale e le aree del sistema agro-forestale; • il Piano Strutturale di Follonica (2003), dove nella tavola del patrimonio si elencano le risorse, distinte in agroambientali e paesaggistiche, del sistema insediativo ed infrastrutturale;

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• il Piano Strutturale di Scandicci (2003), la cui impostazione simile a quelle dei due casi precedenti, con tuttavia una distinzione tra patrimonio boschivo e degli ambiti fluviali, con relativa vegetazione. Con la L. R. n. 65/2014 per la prima volta si adotta in ambito normativo il termine ‘patrimonio territoriale’ come “l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future. Il riconoscimento di tale valore richiede la garanzia di esistenza del patrimonio territoriale quale risorsa per la produzione di ricchezza per la comunità” (L.R. Toscana 65/2014, art.3, c.1). La norma indica anche che è costituito da caratteri, risorse, insediamenti ed altri componenti compresi in quattro ambiti strutturali del territorio, che sono la struttura idro-geomorfologica, la struttura ecosistemica, la struttura insediativa e la struttura agro-forestale. Un esempio di carta del patrimonio territoriale redatta quando la Legge appena citata ha reso obbligo normativo la sua presenza, si ha nel Piano Strutturale di Lucca (2016). Qui la suddivisione degli elementi segue un’impostazione basata sui quattro ambiti dettati dalla Legge Regionale ma per il resto la rappresentazione è molto simile a quella delle tavole dei Piani del 2003. In pratica le molte rappresentazioni del patrimonio territoriale, che accompagnano ormai il processo di pianificazione, tendono a descrivere come patrimonio quegli elementi che, presenti ancora oggi, lo erano già a una determinata data del passato, generalmente fissata nel periodo antecedente o subito successiva alla seconda guerra mondiale. Molto probabilmente da allora in poi

l’uomo non è più riuscito nella sua attività tesa a soddisfare i propri bisogni, a costruire territori e quindi patrimonio, e, in effetti, siamo di fronte alla più intensa e lunga fase di de-territorializzazione della storia (Magnaghi, 2001). Patrimonio territoriale: densità di configurazioni di qualità e ‘accoppiamento empatico’ A questo punto si pone il problema di come rappresentare il patrimonio territoriale in maniera efficace ed ancor prima, di come procedere alla sua individuazione. Ma per raggiungere questo scopo può essere stabilita una regola generale e universale? Se vediamo la definizione coniata per il patrimonio territoriale, ossia il “costrutto storico coevolutivo, frutto di attività antropiche che hanno trasformato la natura in territorio…” (Magnaghi, 2010, p.96), notiamo l’utilizzo di termini che richiamano la storia ed il passato e che sembrano sviare la ricerca verso gli elementi della nostra storia, verso i sedimenti materiali e culturali, determinando il loro riconoscimento come patrimonio territoriale solo per il carattere legato alla loro antichità. Per aiutare a superare tale deviazione riteniamo opportuno proporre alcune considerazioni. Noi ci troviamo immersi in un mondo in continua evoluzione dove l’uomo non vive passivamente subendo il cambiamento ininterrotto del sistema, ma bensì interviene cercando di adattare la materia alle proprie esigenze, tendendo a rimescolarne le qualità già presenti ed a scoprirne di nuove (Saragosa, 2016). La continua attività è quella che con la sua coevoluzione ha portato alla costruzione delle città e del territorio ed attraverso le diverse e successive fasi di territorializzazione e de-territorializzazione (Magnaghi, 2001),

ha prodotto il territorio dove stiamo cercando di individuare il nostro patrimonio territoriale. In questa ‘fabbricazione’ di patrimonio assume un ruolo fondamentale la forma che prende il prodotto delle relazioni materia-energia uomo, ossia in definitiva lo spazio in cui viviamo e che percepiamo, ed entra in gioco un ulteriore elemento, ossia il gusto, dal termine inglese taste, nel suo più ampio significato, che comprende tutto il nostro ambito sensoriale (Chiesi, 2014) ed aggiungerei emozionale. È indubbio che lo spazio che ci circonda non riesce a trasmetterci sempre la stessa emozione e non è semplice determinare quali siano le condizioni formali rispetto ad altre che fanno scaturire una maggiore emozione. Per arrivare ad individuare quelle soluzioni che presentano una qualità emotiva più alta è necessario che nel processo di costruzione dello spazio, nel combinare le qualità, sia ricercata anche quella forma in grado di stimolare il senso di equilibrio che suggerisce la parola abitare, il giusto accoppiamento empatico (Saragosa, 2016). È in relazione a questo equilibrio che si deve configurare lo spazio, ed è così ad esempio che la costruzione del territorio rurale avverrà attraverso la continua ricerca di un modo sempre più efficiente di catturare il flusso energetico del sole, piuttosto che il modo migliore per governare il ciclo delle acque per l’irrigazione, in un processo continuo di rielaborazione dei sedimenti materiali e cognitivi che porta alla selezione delle configurazioni dello spazio di maggiore qualità attraverso una successione di tentativi, di confronti e di eliminazione di errori. Così anche per la costruzione dello spazio urbano, per il quale sono state concepite e sperimentate configurazioni come

strade, piazze, isolati, etc., attraverso mille tentativi ed errori. Le configurazioni di qualità non sono tutte uguali e naturalmente variano in funzione di luoghi e culture diverse, ma, come vedremo meglio in seguito, ciò che accomuna quelle di un certo luogo, di una certa cultura, è la struttura della configurazione che rimane invariante e che le rende riconoscibili. Come individuare queste proprietà dello spazio? La qualità è riconosciuta laddove si trovano più configurazioni spaziali ammassate e concentrate tra loro. Ciò è quanto sperimentato attraverso recenti ricerche2 che hanno dimostrato che l’indicatore di questa qualità è dato dalla densità con cui le configurazioni spaziali si depositano e si relazionano. La densità, che può essere intesa anche come la corposità dello spazio, costruita con le conoscenze accumulate nell’evoluzione del processo di sperimentazione e correzione degli errori, con l’intersecarsi, il mischiarsi, il sovrapporsi tra loro delle configurazioni, ci dà il senso del bello. Ci fornisce una risposta alla domanda suggerita da Alan De Botton (2007): perché certi luoghi fatti dall’uomo ci sembrano più belli di altri? cosa li rende più belli? E forse risponde anche alla domanda che ci siamo posti ad inizio paragrafo, se pensiamo alla bellezza del luogo e del territorio come possesso di ricchezza, garantita dalla densità delle configurazioni che costruiscono quello spazio attraverso prove di gestione dei flussi e delle forme sedimentate nel tempo e più sono sedimentate più costituiscono un patrimonio (Saragosa, 2016). Le invarianti strutturali come maglia generatrice di patrimonio Leggendo le considerazioni di molti esperti del settore che hanno valutato l’applicazione pratica del concetto


Fig. 2 Le trasformazioni di Thompson e applicazione al terrazzamento pagine successive a sinistra, Fig. 3a Scomposizione dello spazio configurato urbano a destra, Fig. 3b Scomposizione dello spazio configurato rurale

di invariante strutturale, si nota la tendenza a riconoscerle tra quegli elementi già tutelati e già sottoposti a specifica disciplina conservazionista dalle loro norme di settore, come il Codice dei beni culturali, le norme sul vincolo idrogeologico ecc. (Maggio, 2014). Dopo la definizione normativa adottata con la L.R. n. 1/2005, è intervenuta in maniera più efficace la Legge 65/2014, nella quale le invarianti strutturali si leggono come la ‘struttura nascosta’ (Poli, 2015) che tiene assieme il patrimonio attraverso i “caratteri specifici, i principi generativi e le regole che assicurano la tutela e la riproduzione delle componenti identitarie e qualificative del patrimonio territoriale” (L.R. Toscana n. 65/2014, art.5, c.1). Punto fermo è l’esistenza di una stretta connessione tra patrimonio ed invarianti, al di là delle modalità con cui questa connessione si manifesti. Risalendo alle origini del termine, in effetti, la locuzione ‘invariante strutturale’ nasce all’interno delle scienze

biologiche per indicare quell’insieme di caratteri che nei sistemi viventi garantiscono la conservazione del sistema e il suo adattamento alle avversità. In pratica un ‘codice’ che consente la riproduzione dell’organismo con invarianza, rispetto alle trasformazioni dei processi vitali, all’interno di un range definito di valori (Saragosa, 2011). Nel capitolo precedente abbiamo definito patrimonio territoriale quella qualità dello spazio, che sia un paesaggio rurale piuttosto sia un ambiente urbano, costituito da una corposità di configurazioni, di pattern3, prodotte dal processo continuo con cui l’uomo entra in relazione con la materia e con i flussi di energia e che assume determinate forme con le quali si manifesta al nostro sguardo ed ai nostri sensi. Se guardiamo a queste configurazioni dal punto di vista di come sono relazionate tra loro e con il contesto esterno, possiamo immaginare che questo scheletro, questa ossatura più o meno visibile che le congiunge, rappresenti l’invarianza delle qualità

dello spazio, le invarianti strutturali del patrimonio territoriale. Prendendo in esame l’esempio del terrazzamento, la più comune sistemazione agraria di collina, vediamo come in questo caso la struttura sia costituita da un sistema di elementi quali: • il paramento verticale che sostiene i piani coltivabili; • le fossette di raccolta delle acque alla base dei paramenti; • l’altezza dei paramenti; • la distanza tra i paramenti; • l’inclinazione dei paramenti; • la pendenza del piano coltivabile; • la coltivazione arborea od erbacea; • la presenza di siepi sulla sommità del paramento. Tutti questi elementi sono parte del sistema che funziona con delle regole e delle sinergie, e che può assumere diverse forme all’interno di un intervallo di possibilità che consente di mantenere riconoscibile e funzionante la struttura. Il terrazzamento può manifestarsi, infatti, con forme variabili in base a

come cambiano tipologia e modalità di composizione degli elementi che pertanto non rappresentano di per sé delle invarianti. Può cambiare il tipo di paramento (murato, non murato, od altro), può variare l’altezza e l’ampiezza dei gradoni, la loro pendenza, ecc., ma il tutto nel rispetto di quel range di valori che definiscono la struttura che lega il sistema e che rappresenta la reale invariante del terrazzamento (Fig. 1). Possiamo cioè pensare l’invariante strutturale come una ‘maglia’ di una rete, che può, entro un certo limite, allungarsi, deformarsi, rimanendo sempre comunque integra nella sua struttura, in grado di cambiare la forma, pur mantenendo i vari elementi in relazione sinergica, legati come le variabili in una funzione matematica ancorché complessa. Ancora una volta troviamo nelle scienze biologiche il supporto a questa definizione di invariante strutturale, infatti nel suo libro On Growth and Form (1917), tradot69 to in italiano in ‘Crescita e


forma’, il naturalista scozzese D’Arcy Wenthworth Thompson, considerato il pioniere della morfogenesi, attraverso l’uso della matematica e, soprattutto, della geometria nello studio della biologia, mostra l’intenzione di illustrare come all’origine delle forme biologiche vi siano anche i vincoli delle forze fisiche, che si esprimono seguendo leggi matematiche e geometriche. Molto note sono le ‘trasformazioni geometriche’ delle forme biologiche che il naturalista scozzese illustra nel suo libro. In queste ‘trasformazioni’, un’opportuna deformazione del reticolo in cui è inscritto il profilo del corpo di un animale o di una sua

parte, suggerisce una possibile mutazione fra due differenti animali di specie anche diverse. Facendo nostre le intuizioni di Thompson e cercando di applicarle al caso in questione, possiamo arrivare a vedere anche le forme che hanno prodotto il territorio e che abbiamo definito patrimonio, come inscritte all’interno di un reticolo che ne rappresenta lo scheletro invisibile, che ne guida la generazione, realizzata dal giustapporsi delle diverse configurazioni spaziali, all’interno di un sistema di regole, consentendone altresì lo sviluppo e le trasformazioni nello spazio e nel tempo. In tal modo, le mutazioni che avvengono alla forma continuano ad essere

generate con i caratteri, i criteri e le regole proprie di questa struttura fino a quando possono essere inscritte nel reticolo, seppur deformato, continuando ad essere patrimonio. Da vincolo ad opportunità Riflettendo su quanto detto, appare che staticità o passività sono nozioni che poco hanno a che vedere con l’invariante strutturale ed infatti abbiamo parlato di invarianti mostrando delle trasformazioni. Trasformazioni ed evoluzioni, all’interno delle quali le invarianti sono ciò che, pur nella mutazione, rimane riconoscibile (Saragosa, 2011), rappresentando la struttura, lo scheletro che

segue e rende possibili le modifiche, guidandole dentro quella che abbiamo definito la ‘maglia’ di una rete che si adatta alle diverse situazioni e ai diversi contesti in cui opera. Si tratta quindi di un sistema dinamico, attivo, la cui tutela è insita nell’insieme di regole che comprende e che ne hanno consentito la persistenza, la lunga durata. L’apparato disciplinare a supporto delle invarianti deve pertanto essere teso soprattutto a facilitarne l’individuazione e a promuoverne l’utilizzo con riferimento alle diverse possibili ‘forme’ che la struttura può assumere, intervenendo più che sui singoli elementi sui meccanismi, sulle relazioni, sul fare piuttosto


che sul vietare. Allora Possiamo definire le invarianti come vere e proprie ‘opportunità’ da impiegare per riprodurre patrimonio territoriale, per creare spazi e luoghi di qualità, cioè territorio. Descrizione dell’area di sperimentazione La porzione di territorio oggetto dell’applicazione è situata nell’area denominata Media Valle del Serchio, collocata come intuibile nella parte mediana della valle dove scorre l’omonimo fiume, delimitata dai rilievi dell’Appennino Tosco-Emiliano a est e dalle propaggini delle Alpi Apuane a ovest.

Sotto il profilo socio-economico l’area è contraddistinta dalla presenza contemporanea di elementi tipici di una zona interna a matrice rurale, che copre la quasi totalità dei versanti collinari e montani, e di elementi propri di una zona a vocazione industriale sviluppatasi lungo il fondovalle. L’area che potremmo definire ‘di sperimentazione’ dove abbiamo scelto di sviluppare il nostro lavoro è quella che comprende il centro abitato di Borgo a Mozzano, uno dei principali della valle, ed il relativo intorno territoriale. La scelta è supportata dalla constatazione della presenza, in questa porzione di territorio, di molti degli

elementi dell’ecosistema territoriale che caratterizza l’area della Media Valle, sia per quanto concerne la struttura della base ambientale sia per quanto riguarda il sistema antropizzato nelle sue componenti insediativa, produttiva (anche agricola) e infrastrutturale. Individuazione e rappresentazione del patrimonio territoriale Dallo spazio configurato ai pattern Definito il patrimonio territoriale come il risultato del continuo processo di sperimentazione e correzione con il quale l’uomo ha realizzato configurazioni spaziali di qualità che hanno prodotto il territorio, abbiamo

sostenuto che maggiore è la densità di queste configurazioni spaziali, più siamo in presenza di patrimonio territoriale. Per provare a rappresentare questa densità, costruiremo una carta che, rispetto alla tradizionale rappresentazione planimetrica, restituisca all’osservatore un’ulteriore dimensione, quella appunto della densità, della sovrapposizione, della sedimentazione. Ai fini dell’obiettivo è necessario definire preliminarmente quali elementi concorrono alla costruzione dello spazio configurato di qualità. Ecco che a questo punto assume fon71 damentale importanza il


concetto di pattern, cui abbiamo già fatto cenno. Per giungere alla definizione dei pattern riteniamo sia utile compiere il percorso a ritroso, a partire dallo spazio configurato, cioè il risultato finale del dispiegamento dei pattern, ben percepibile. Facciamo questo percorso prendendo un determinato spazio configurato, di qualità, del centro urbano e, operando una scomposizione, separiamo le diverse configurazioni spaziali che lo compongono e quindi a scomporre quest’ultime a loro volta in altri elementi che le costituiscono. È possibile notare come lo spazio urbano sia composto di diverse configurazioni spaziali,

quali ad esempio l’edificazione lungo l’asse territoriale, l’edificazione lungo le strade minori e i vicoli, la piazza. È fondamentale sottolineare che lo spazio configurato non è il risultato della semplice unione delle parti bensì del loro intreccio, del loro sedimentarsi l’una sull’altra. Osservando gli edifici lungo l’asse territoriale urbano è immediato notare come gli stessi siano elementi che definiscono sia l’asse territoriale sia la piazza, oppure la strada urbana minore. Proseguendo nel percorso inverso di scomposizione è possibile separare le diverse configurazioni spaziali negli ulteriori elementi che le costituiscono ed osservare anche in questo

caso, come i singoli elementi vanno a comporre lo spazio (Fig. 3). La ricerca degli elementi costitutivi delle diverse configurazioni spaziali potrebbe continuare ancora, ad esempio il tipo edilizio, la forma delle gronde del tetto, la forma delle aperture, la loro dimensione, la loro disposizione rispetto ai fronti stradali, fino ad arrivare ai materiali costruttivi, ai loro colori etc. Allo stesso modo è possibile procedere per il territorio rurale, presa una determinata porzione di spazio configurato, possiamo pensarla come risultato della sovrapposizione e della sedimentazione di diverse configurazioni spaziali (Fig. 4).

In tutto questo sistema complesso che abbiamo cercato di scomporre per semplificarne la descrizione, i pattern rappresentano le regole, le modalità con cui tutti gli elementi si dispongono e che si ripetono adattandosi di volta in volta alle mutabili condizioni ambientali e culturali. Si noti come anche in ambito rurale gli elementi che compongono le configurazioni spaziali possono a loro volta essere scomposti in ulteriori principi generativi dello spazio, come ad esempio altezza dei filari, materiali utilizzati, coltivazioni diverse etc. Passando in pratica dalla grande scala alla piccola scala (o viceversa), si vede come una caratteristica


fondamentale del pattern, considerato come lo abbiamo definito, è la sua multi-scalarità. Nelle figure sono schematizzati i pattern che abbiamo individuato nelle nostre configurazioni spaziali sia in ambito urbano sia rurale, come sempre attraverso degli schemi abbiamo cercato di rappresentare e rendere visibile la struttura nascosta che tiene insieme i vari pattern nel loro configurare lo spazio di qualità, e che abbiamo definito come invariante strutturale.

Rappresentazione del patrimonio territoriale attraverso una carta descrittiva della densità dello spazio configurato Basandoci sull’analisi ‘scompositiva’ descritta costruiremo una rappresentazione del patrimonio territoriale che renda evidente il carattere essenziale della densità, facendo uso inizialmente di un software GIS e quindi in seguito, di un software di elaborazione grafica per gestire meglio la sovrapposizione dei singoli strati. L’informazione geografica di base è stata reperita dalla Carta Tecnica Regionale 2K, disponibile per le aree urbanizzate, mentre per le aree al di fuori di queste è stato possibile

utilizzare la CTR in scala 1:10000. La scelta dei vari strati informativi per la visualizzazione della carta finale deriva dalle analisi fatte in precedenza. Nell’ambito urbano sono state pertanto selezionate le strade che rappresentano l’asse territoriale urbano, gli edifici su questo prospicenti, le strade minori e l’edificato a queste allineato, le piazze, e così via, realizzando per ognuna un apposito layer. Nel territorio rurale le informazioni a disposizione sono state integrate attraverso la costruzione di nuovi strati informativi, come peri i terrazzamenti e ciglionamenti, per i filari di viti e di olivi, per i campi delimitati, le siepi e così via, rilevandoli dalle ortofoto.

L’operazione conclusiva consiste nel sovrapporre sulla base cartografica di sfondo costituita dalla CTR di colore bianco, ad eccezione delle aree naturali rappresentate dalla vegetazione e dai corsi d’acqua, tutti gli strati informativi selezionati che, attraverso effetti di trasparenza, di spessore delle linee e di ombreggiatura, vanno a disporsi e a intrecciarsi uno sull’altro fornendo un’immagine caratterizzata dalla presenza di zone con tratti di un colore più marcato, segno della presenza in quel punto di una più alta densità, quindi di maggiore patrimonio territoriale 73 (Fig. 5).


Una volta selezionati i pattern e le configurazioni spaziali, questi vanno a sovrapporsi ed a intrecciarsi l’uno con l’altro, allo stesso modo di come nel continuo accumularsi e sedimentarsi nel tempo delle azioni co-evolutive fra uomo e ambiente, guidato dal dispiegamento dei principi generativi che abbiamo definito invarianti strutturali, ha preso forma il territorio che oggi noi viviamo. Conclusioni Il risultato raggiunto consente di percepire in modo intuitivo la distinzione tra zone dove è presente una maggiore densità, una più intrecciata sedimentazione di quelle configurazioni dello spazio che abbiamo definito di qualità e zone invece dove questa corposità non è presente; vale a dire maggiore patrimonialità e minore patrimonialità. Riprova di ciò è dato dal fatto che la percezione di questa diversificazione non è derivata da analisi basate sulla storicizzazione degli insediamenti, bensì sul livello di densità e sovrapposizione delle configurazioni dello spazio che abbiamo individuato come generatrici di territorio. Dal punto di vista pratico è risultato favorevole aver optato su una grafica basata su linee, piuttosto che su poligoni, e monocromatica. Questa combinazione ha consentito di poter rendere in maniera più efficace l’intrecciarsi degli elementi sovrapposti e di avere una maggior resa nella gestione delle trasparenze dei molteplici layer stratificati. Grazie alle scelte grafiche appena descritte, la rappresentazione può essere agevolmente sovrapposta, in ambiente GIS, ad altri strati informativi. Come per ogni sperimentazione il risultato ottenuto deve essere considerato uno spunto per continuare e

approfondire gli studi. In particolare, riteniamo che sarebbe appassionante lavorare ulteriormente sulla modalità di descrizione grafica cercando di introdurre la terza dimensione alla rappresentazione. L’efficacia descrittiva gioverebbe della possibilità di attribuire diversi valori al tratto anche in senso verticale. Una ricerca in tale direzione riteniamo possa costituire un nuovo passo verso la realizzazione di una rappresentazione ampiamente condivisa della patrimonialità territoriale e del suo valore, ritenuta indispensabile per ridare al territorio i princìpi e le regole per la propria rigenerazione.

Note

Bibliografia

1 Con il nome Media Valle del Serchio si identifica un’area geograficamente localizzata nella parte nord-ovest della Toscana e, più nel dettaglio, confinante a sud con la piana di Lucca ed a nord con la Garfagnana. 2 Vedi l’esperimento fatto per il piano di Cecina (LI) descritto in: Saragosa C. 2014, Bioregione e identità urbane: Le configurazioni spaziali di Cecina (LI), in Magnaghi A. (a cura di) 2014, La Regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze. 3 I pattern sono definiti da C. Alexander come enti che esprimono relazioni tra un certo contesto, un problema e una soluzione (Alexander, 1979).

Alexander C. 1979, The timeless way of building, Oxford University Press, New York; Chiesi L. 2014, Situarsi nello spazio progettato. Per una definizione sociologica dell’abitare in Chiesi L., Surrenti S. 2014, L’ospedale difficile. Lo spazio sociale della cura e della salute, Liguori editore, Napoli; D’Arcy W.T. (autore), Bonner J.T. (a cura di) 1992(ed. or. 1917)., Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino; De Botton A. 2007, Architettura e felicità, Guanda, Parma; Maggio M. 2014, Invarianti strutturali nel governo del territorio, Firenze University Press, Firenze; Magnaghi A. (a cura di) 2001, Rappresentare i Luoghi. Metodi e tecniche, Alinea, Firenze; Magnaghi A. 2010, Progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino; Magnaghi A. 2012, Proposte per la ridefinizione delle invarianti strutturali regionali, in Poli D. (a cura di) 2012, Regole e progetti per il paesaggio. Verso il nuovo piano paesaggistico della Toscana, Firenze University Press, Firenze; Poli D. 2015, Il patrimonio territoriale fra capitale e risorsa nei processi di patrimonializzazione proattiva in Meloni B. (a cura di) 2015, Aree interne e progetti d’area, Rosenberg e Sellier, Torino; Saragosa C. 2001, L’ecosistema Territoriale e la sua base ambientale, in Magnaghi A. (a cura di) 2001, Rappresentare i Luoghi. Metodi e tecniche, Alinea, Firenze; Saragosa C. 2011, Città tra passato e futuro. Un percorso critico sulla via di Biopoli, Donzelli Editore, Roma; Saragosa C. 2014, Bioregione e identità urbane: Le configurazioni spaziali di Cecina (LI), in Magnaghi A. (a cura di) 2014, La Regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze; Saragosa C. 2016, Il sentiero di Biopoli. L’empatia nella generazione della città, Donzelli Editore, Roma.


pagine precedenti, Fig. 4a e 4b Scomposizione dello spazio configurato rurale pagina successiva, Fig. 5 Rappresentazione del patrimonio territoriale per densitĂ di configurazioni spaziali

75


Fig. 1 In alto, estratto dell’elaborato finale dello studio della stratificazione storica dell’edificato, le sue pertinenze e delle infrastrutture. In basso, categorizzazione dei modelli di struttura insediativa ed esempio di schemi esplicativi dei modelli.

Fig. 2 In alto, Categorizzazione delle destinazioni di uso del suolo dell’area di studio (a) e della viabilità (b). In basso, un estratto dell’elaborato contenente l’individuazione dei principali morfotipi rurali.


Connessione tra città e campagna urbanizzata, il caso di Cascina

Sara Trevisan Introduzione Nel corso dell’evoluzione degli insediamenti nel Comune di Cascina si ha un’edificazione frammentata nell’intera piana che si può tuttavia considerare ‘continua’ nelle sue parti strutturanti, infatti si presenta come un morfotipo lineare1. Il morfotipo lineare nasce intorno ad agglomerati insediativi storici di dimensioni ridotte, con uno sviluppo e una presenza più marcata dell’edilizia recente (Magnaghi, Fanfani, 2010, p. 137). Cascina si è estesa con la massima facilità grazie alla morfologia pianeggiante del suolo e una maggiore infrastrutturazione del territorio agricolo; una città di questo genere, a meno che non vengano attivate delle politiche di pianificazione che contrastino la diffusione urbana, può svilupparsi liberamente e all’infinito, seguendo un procedimento di sviluppo essenzialmente confuso e ripetibile. Caratteristica di questo luogo è la formazione, nel tempo, della ‘campagna urbanizzata’, cioè un tipo di struttura insediativa che non si contrappone all’urbano ma che tuttavia non è collocabile “né isolata nella campagna, né annessa ad un nucleo storico” (Geddes, 1915, p. 205). Si parla di un tipo di insediamento diffuso, com-

prendente un edificato distante dal centro urbano che a causa della sua mancanza – e quindi ovvia necessità – di servizi, è dipendente dal nucleo centrale. Il centro nasce e sopravvive con l’attività agricola, dalla quale deriva una struttura resistente nel territorio aperto; questa struttura è tutt’ora apprezzabile — seppur con differenti funzioni – cioè la funzione agricola è passata in secondo piano rispetto a quelle paesaggistica e identitaria. Con la costruzione delle industrie a ridosso dei centri compatti e il periodo di boom economico, il sostentamento si è infatti spostato dall’attività agricola all’industria del legno, con conseguente spopolamento delle campagne e perdita della funzione aziendale da parte dell’edificato nel territorio aperto. Grazie a questa dinamica si ha anche ad una modifica della struttura e delle gerarchie degli agglomerati insediativi nel territorio, modifica legata anche all’espansione disordinata delle configurazioni insediative stesse e della disposizione di altri elementi di origine antropica – sia areali che puntuali – con conseguente infittimento delle infrastrutture della mobilità, conseguenza della nuova necessità di collegare i nuovi elementi agli esistenti. Nel

complesso, questa situazione porta ad una frammentazione generale del territorio ed a una situazione di estraneità tra gli elementi dell’ambito urbano e di quello rurale, situazione che si può notare anche nelle zone di margine o intercluse agli insediamenti, i quali, spesso vuoti, presentano caratteristiche di evidente abbandono e trascuratezza. L’area oggetto di studio, individuata all’interno dei confini comunali e al di sopra del limite posto dalla superstrada Fi-Pi-Li, si presenta con le caratteristiche tipiche delle aree agricole periurbane, caratterizzate quindi dalla pressione antropica e alla tendenza a profonde e rapide trasformazioni delle aree a ridosso dell’insediamento esistente. Per prendere in considerazione il territorio aperto – cioè quello che nel tempo si è sempre presentato come adatto all’attività agricola – è bene ricordare che l’agricoltura è una forma di uso del territorio basata sull’organizzazione di componenti e processi naturali e antropici e, attraverso questa, l’umanità ha sostituito ormai gran parte degli ecosistemi originari con gli ‘agroecosistemi’. C’è stata quindi una sostituzione della vegetazione originaria con quella colturale, mentre la

Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Carlo Natali Co-relatore: Prof. Iacopo Bernetti Febbraio 2016

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Abaco in cui sono riportati i morfotipi rurali individuati, suddivisi per categoria.

4. Aree ortive, incolte o con vegetazione arbustiva in evoluzione e colture specializzate

Aree ad alta naturalità e perifluviali

Perimetrazione su tre lati da edificato

Aree con bassa diversità colturale con prevalenza di seminativi

Perimetrazione su tre lati da edificato e contatto con infrastrutture varie che costituiscono barriera

3. Aree incolte e/o compromesse

Perimetrazione su tutti i lati da edificato

Aree a diretto contatto di elementi antropici non valicabili

4.4 A ridosso di insediamenti, nessuna interclusione e rapporto diretto col territorio aperto

Aree a diretto contatto delle barriere infrastrutturali, nessuna inclusione

Con edificazione continua lungo il fronte strada

Aree intercluse nelle aree industriali

Edificazione diffusa con tendenza alla struttura insediativa lineare lungo strada

biomassa accumulata (produttività primaria) viene destinata al consumo diretto umano o al consumo degli animali in allevamento. Negli agroecosistemi, livelli trofici, catene alimentari e prelievo delle biomasse accumulate sono sotto il controllo umano. Componenti e processi naturali e antropici interagiscono nello spazio e nel tempo e determinano differenti tipi di paesaggio: i segni di tali componenti e processi possono diventare importanti indicatori per esprimere giudizi sull’attuale stato di gestione e per ispirare criteri di progettazione e pianificazione del territorio. Nel caso studio oggetto della tesi, con lo spostamento dell’economia dall’agricoltura all’industria, l’ambito agricolo si è semplificato, portando in secondo piano la produzione agricola e perdendo diversità – sia dal punto di vista ecologico che percettivo – rendendolo quindi meno appetibile, anche dal punto di vista della fruibilità paesaggistica. Il caso prende in oggetto una problematica – e una richiesta – attuale dei centri urbani: vista la crescita della popolazione e una conseguente richiesta di risorse alimentari, all’interno delle aree agricole si richiede la capacità di fornire servizi ecologici, oltre al tradizionale servizio di alimentazione umana. Si richiede all’agricoltura, in poche parole, di svolgere un ruolo di valenza socioeconomica e ambientale, ricollegandosi ad un concetto di multifunzionalità del territorio agricolo (ISPRA, 2008). Nel territorio aperto l’insediamento ha acquistato i caratteri della campagna urbanizzata, che è collegata funzionalmente alla città ma scollegata dall’ambiente in cui è direttamente inserita. Le aree a carattere agricolo a contatto della città, e/o intercluse nella stessa si mostrano come – e unicamente – in attesa di

un’eventuale futura edificazione. La finalità del mio studio è quello di ripristinare la chiara percezione degli ambiti urbano e rurale e attribuire una funzione agli spazi agricoli, di margine e interclusi all’urbano in stato di trascuratezza e abbandono, seguendo un approccio di multifunzionalità del territorio agricolo: si punta quindi alla realizzazione di beni pubblici – come paesaggio e benessere dei cittadini – in modo tale da limitare la pressione urbana sul territorio rurale. Il conferimento delle funzioni è svolto attraverso la stesura di un ‘abaco degli interventi’ coerente con le caratteristiche del territorio, applicabile e adattabile ai casi analoghi a quelli individuati e orientato a possibili linee guida future di indirizzo2. Analisi dell’evoluzione e della morfologia insediativa Le analisi partono con lo studio dell’evoluzione della città, col fine di vedere come si è creata la situazione attuale e con quale dinamica; queste analisi ci permettono inoltre di capire in che modo si sono creati i ‘pieni e i vuoti’. Le soglie temporali considerate sono quelle ritenute più significative, cioè che mostrano una situazione drasticamente differente rispetto alla precedente. Nella Fig. 1 (in alto) si riporta l’elaborazione finale di queste informazioni, mostrando in che periodo erano presenti edifici, le loro pertinenze e le infrastrutture. Come si può vedere nella situazione al 1830, inizialmente Cascina si mostra come un organismo compatto, con caratteristiche di centralità rispetto all’edificato nel resto della piana, situato soprattutto lungo la via Tosco Romagnola – l’asse principale di espansione – e la viabilità poderale minore, tracciata ovviamente per esigenze agricole. Nel 1878 si ha un aumento dell’edificazione lun-


go strada – soprattutto lungo l’asse principale d’espansione – con un inizio di approccio di edificazione lungo i percorsi di impianto – perpendicolari a questa – e la presenza della linea ferroviaria Leopolda, costruita indicativamente tra il 1844 e il 1848. Dal 1950 al 1978 aumenta l’edificazione – già presente nella soglia precedentemente considerata – lungo l’asse principale e i percorsi di impianto, con addensamento maggiore nelle parti dove sorgeranno successivamente due tra i poli principali di Cascina – Navacchio e San Frediano. Nel frattempo, gli agglomerati minori – aumentati a loro volta di dimensione – acquistano importanza, al che in questo periodo si ha una modifica della viabilità di collegamento tra i vari agglomerati, modifica che consiste nell’allargamento della sezione stradale e della sua cementificazione. In generale si nota un ingresso più marcato della città nel territorio aperto e la negazione della caratteristica di centralità del centro storico di Cascina, ormai inglobato nella struttura complessiva lineare dell’insediamento. Le ultime soglie considerate sono quelle riguardanti la situazione al 2001 e quella attuale, in cui il territorio si presenta diviso in due parti ben distinte, con confine costituito dalla linea ferroviaria: una parte è caratterizzata da una struttura compatta di nodi urbani principali legati agli assi infrastrutturali di maggiore importanza e l’altra è costituita da agglomerati sparsi strutturati attorno ad una rete stradale minore di collegamento servita prevalentemente da strade poderali. Si nota la creazione di aree di varco paesaggistico perpendicolari al percorso della Via Tosco Romagnola. Cascina si è strutturata principalmente attorno all’asse principale della via Tosco Romagnola; quindi si

mostra in generale come un morfotipo lineare: in questo sistema complessivo possiamo individuare diversi modelli di struttura insediativa lineari – in forma semplice o composta – fino alla struttura a griglia. Per quanto riguarda i modelli insediativi lineari gli agglomerati possono essere scollegati rispetto al sistema insediativo globale o collegati all’asse principale di espansione, con direzione perpendicolare o parallela e in forme semplici o composte. Le caratteristiche ricorrenti di questo modello sono: • La creazione di situazioni di varco a scala di dettaglio in base alla forma del margine (edificazione continua o discontinua); • La creazione di spazi semi interclusi (con conseguente creazione di un varco paesaggistico) o interclusi; • La presenza di addizioni concentrate nei punti di fusione tra due aggregazioni, cioè nei punti di intersezione stradale; • La presenza di addizioni parallele all’asse stradale dietro all’edificazione esistente. Per quanto riguarda i modelli insediativi con struttura a griglia, si hanno i casi di griglia ‘chiusa’ – in cui l’edificato è continuo o discontinuo lungo il fronte strada – che si presentano eventualmente con addizioni concentrate nelle intersezioni stradali; in entrambi i casi si ha la formazione di spazi interclusi da edificato con dimensione variabile in base a quella della griglia stessa. Nei pressi delle anse dell’Arno invece la struttura a griglia si presenta in forma ‘aperta’, con eventuali addizioni di edificato concentrate al termine della strada; si ha la formazione di spazi semi interclusi con spazio libero da edificazione a contatto diretto con gli argini del fiume.

Tra le forme – create dagli impianti con struttura a griglia – importanti dal punto di vista della connettività sono la struttura compatta della città storica resistente dal 1830 – il quale si individua lungo l’asse principale, la Via Tosco Romagnola – e l’edificazione continua lungo il fronte strada della via Tosco Romagnola stessa: entrambi costituiscono una barriera alla connettività e alla creazione di varchi trasversali al percorso della sopra citata Via. Infine, si sono prese in considerazione le aree – e gli edifici – industriali, e l’edificato sparso poderale. Nel primo caso le aree permettono interventi di mitigazione in quanto costituiscono una barriera, nel secondo caso si può presentare un’edificazione lungo viabilità minore poderale (non asfaltata) e/o la presenza di viabilità di collegamento (asfaltata) di proseguimento a quella all’interno degli agglomerati residenziali: per questa tipologia di insediamento si crea una criticità nel caso di grande quantità (e densità) di viabilità asfaltata carrabile, la quale porta alla frammentazione del territorio aperto. Sempre parlando di edificato sparso poderale, si ha anche il caso particolare in cui si ha la tendenza di formazione di una struttura lineare, soprattutto lungo il fronte delle strade di collegamento tra più agglomerati insediativi: sono edifici che fanno parte dell’ambito rurale ma che tendono a mostrarsi come parte dell’urbano. Analizzati i vari casi, le principali proposte di intervento – scelti in base alle caratteristiche dei casi stessi – sono queste: • creazione o potenziamento delle aree di varco, mettendo a sistema le aree semi intercluse o intercluse tra di loro e con le aree pubbliche esistenti, conferendo nuova destinazione e funzione dove necessa-

rio, intervento valorizzato anche dalla legge regionale, in particolare parlando delle connessioni ecologiche e fruitive tra il territorio urbanizzato e quello rurale3; • evitare l’edificazione e la lottizzazione degli spazi interclusi, semi interclusi e delle aree di varco a scala di dettaglio create dall’edificazione discontinua lungo strada, puntando piuttosto ad un’edificazione per agglomerati; • evitare l’espansione disorganica e diffusa delle aree produttive e puntare alla mitigazione delle loro aree di margine. Nella Fig.1 si riporta l’elaborazione finale della categorizzazione generale dei modelli di struttura insediativa con un estratto degli schemi esplicativi dei modelli stessi, tra cui quello a pettine – il quale comporta la formazione di spazi semi interclusi –, quello di edificazione parallela rispetto alla direzione dell’asse principale di espansione – con un’aggiunta di una fila di edificato dietro a quella già esistente – che comporta la creazione di spazi interclusi e la situazione in cui si hanno addizioni di edificato nelle intersezioni stradali e per ultimo un esempio di ‘edificazione per agglomerati’, un’eventuale soluzione per mantenere un varco di connessione all’interno del territorio aperto. Uso del suolo, viabilità e morfotipi rurali Dopo aver analizzato e categorizzato la struttura degli insediamenti, attraverso le analisi dell’uso del suolo e della viabilità si individuano le caratteristiche delle altre parti del territorio. L’uso del suolo prevalente dell’area agricola è costituito da seminativi e sporadici orti e colture specializzate come viti, olivi e frutteti – concentrati nelle dirette vicinanze dell’insediamen79 to, sia diffuso che com-


patto. Si nota un grande sottoutilizzo delle aree, vista la presenza della grande quantità di incolti e di aree a vegetazione arbustiva in evoluzione – solitamente spontanea – a testimonianza di comportamenti di trascuratezza e mancanza di interventi di manutenzione. Per quanto riguarda la viabilità si individuano tre categorie principali: il caso in cui la pista ciclabile è in sede protetta rispetto alla viabilità di scorrimento, i percorsi asfaltati carrabili – che permettono spesso un uso promiscuo ciclopedonale e su gomma – e le infrastrutture ad alto scorrimento, come la linea ferroviaria e la superstrada Fi-Pi-Li. Il tipo di viabilità che più cattura l’interesse nell’ambito del caso studio è quella ciclopedonale, in quanto in generale permette una maggiore fruizione del territorio. A Cascina la caratteristica principale della viabilità ciclopedonale riguarda la maggioranza di percorsi in direzione nord-sud, i quali permettono il collegamento tra città e campagna – ma non la fruibilità della campagna stessa. La viabilità viene suddivisa anche in base alla sua relazione col territorio; la viabilità può essere infatti di collegamento tra più agglomerati, di impianto – cioè lungo la quale si instaura l’insediamento –, non invasiva – come nel caso della viabilità minore poderale a bassa densità – e infine di barriera – come nel caso della superstrada Fi-Pi-Li e della linea ferroviaria. Per ognuna di queste si individuano ulteriori interventi, cioè la manutenzione della viabilità poderale minore, la sua mitigazione e l’eventuale recupero delle aree a diretto contatto con la viabilità stessa. L’analisi della distribuzione sul territorio delle varie destinazioni d’uso sarà utilizzata come base di un’ulteriore analisi e categorizzazione del territorio aperto cioè l’individuazione dei morfotipi rurali, di cui

una parte è riportata nella figura 2, in basso. Come illustrato nella Fig.3, si individuano quattro gruppi di categorie principali, ovvero le ‘Aree ad alta naturalità e perifluviali’, le ‘Aree con bassa densità colturale con prevalenza di seminativi’, le ‘Aree incolte e/o compromesse’ e le ‘Aree ortive, incolte o con vegetazione arbustiva in evoluzione e colture specializzate’. Le sottocategorie si individuano in base al rapporto con gli insediamenti, le infrastrutture e gli spazi. Per ogni morfotipo sono stati assegnati degli interventi, quelli più frequenti riguardano il recupero degli spazi incolti e con vegetazione arbustiva spontanea, attraverso per esempio la destinazione ad orto o a prato con l’impianto di specie autoctone. Un’altra caratteristica importante del territorio rurale è la struttura fondiaria: si nota ancora la struttura della centuriazione romana resistente, che vede l’impianto della Via Tosco Romagnola come intervento di ristrutturazione. Con l’affiancamen-

to di un ortofoto del 1964 e della situazione attuale si può notare la sostituzione delle colture promiscue con la monocoltura, con conseguente diminuzione della biodiversità rurale; la promiscuità è data anche dalla presenza di filari alberati lungo i lati degli appezzamenti, come previsto dalle sistemazioni a prode, tipico di questo luogo. Tra gli interventi si prevede quindi il mantenimento di queste forme, in modo tale da mantenere l’identità locale, attraverso anche la manutenzione delle sistemazioni idraulico-agrarie e della vegetazione di corredo. Le aree di margine e le relazioni tra ambito urbano e rurale Dopo averli studiati singolarmente, si studia il modo in cui l’ambito urbano e rurale interagiscono tra di loro, attraverso l’analisi degli spazi e dei margini – e le aree di margine – tra l’ambito rurale e quello urbano. Per quanto riguarda i tipi di spazio che si sono creati in conseguenza ad un’evoluzione disorganica del centro – co-

me si vede dalla figura 4 in alto – si individuano tre categorie principali: le prime due sono i ‘fondi interclusi’ e i ‘fondi semi interclusi’ e contengono i casi creati dal rapporto con tipi diversi di perimetrazione da parte dell’edificato, mentre l’ultima categoria raccoglie le situazioni in cui si ha il contatto – e l’eventuale interclusione – con elementi di origine antropica, e nessuna interazione diretta con l’edificato4 – come le ‘Aree di golena, intercluse tra il fiume Arno e i suoi argini, di origine antropica’ e le ‘Aree a diretto contatto con la superstrada Fi-Pi-Li’ già prese in considerazione. Le sottocategorie sono individuate in base alla tipologia e agli elementi nell’intorno, per esempio il contatto con edifici a destinazione produttiva e la linea ferroviaria. Anche qui, per ogni categoria si individuano le caratteristiche principali e i relativi interventi: per esempio, nel caso riguardante il contatto diretto con l’edificato residenziale gli interventi principali saranno di destinazione ad orto o alla manutenzione degli spazi a prato con impianto di spe-


Estratto della categorizzazione dei margini ‘rururbani’ pagina precedente, Fig. 4 Estratto dell’elaborato finale dello studio della categorizzazione degli spazi pagina successiva, Fig. 5 Esempio di ideogramma di stato di fatto e del relativo ideogramma con lo scenario di progetto con riportati gli interventi selezionati per la zona scelta

cie autoctone, negli altri casi invece si può parlare eventualmente anche di mitigazione, attraverso impianto di colture energetiche. L’altro elemento preso in considerazione che mette in relazione l’ambito urbano e quello rurale è il margine tra loro. La categorizzazione – di cui si riporta l’elaborazione finale della categorizzazione nella figura 4 in basso – è stata effettuata sulla base della forma del margine e sul livello di estraneità tra città e campagna. Si individuano due categorie per la forma – continua, frastagliata – e due categorie per il livello di estraneità – il margine compatto e quello poroso. Le differenze di forma si individuano in base alla presenza – o meno – di rientranze e sporgenze, in cui il margine continuo in particolare costituisce una divisione netta tra l’ambito urbano e rurale. Per quanto riguarda la differenza tra margine compatto e poroso si prendono in considerazione gli elementi che fanno parte del limite urbano, per esempio un margine compatto può crearsi nel caso di un

allineamento continuo del retro degli edifici, il passaggio di una strada – anche vicinale – a confine, e infine nel caso della presenza di aree asfaltate. Anche qui si individuano le caratteristiche di ogni caso e in base a tali caratteristiche vengono di conseguenza assegnati degli interventi: nel caso specifico del margine frastagliato si prevede un’eventuale nuova edificazione col fine di eliminare le rientranze – soprattutto nel caso di margine compatto – in quanto il margine continuo diventa – in alcuni casi – di più facile gestione e mitigazione; la viabilità ovviamente sarà interna all’edificato esistente col fine di non creare un margine continuo compatto. Nel caso del margine continuo si sono presi in considerazione anche dei casi particolari che portano di conseguenza ad interventi differenziati: per esempio, nel caso in cui si ha la formazione di aree intercluse compromesse tra la barriera e l’ambito residenziale, si prevedono due interventi diversi nel territorio aperto e nell’area interclusa stessa.

Definizione e applicazione del metodo A questo punto dello studio dell’area, ‘l’abaco degli interventi’ è completo e le linee di intervento individuate fin ora possono essere adattate e applicate nelle varie parti del territorio in base alle caratteristiche che presentano. Si prende un’area di esempio per mostrare in che modo si applica il metodo: questa si trova a ridosso degli argini del fiume Arno, che presenta la creazione di spazi semi interclusi con l’edificato. La prima parte dell’applicazione del metodo consiste nell’individuazione degli elementi principali dell’area tra quelli individuati tra le varie categorizzazioni effettuate fin ora – cioè il modello di struttura insediativa, il morfotipo rurale, i tipi di margine e di spazi e la viabilità esistente – come mostrato nella Fig. 5 in alto – e, in base a questi, si conferiscono gli interventi precedentemente assegnati, scegliendo quelli più adatti al caso specifico – come mostrato nella Fig. 5 in basso.

In linea generale il fine è quello di attivare progetti sul margine o sui ‘vuoti’ urbani, in modo tale da sopprimere la pressione urbana sul territorio aperto. Per quanto riguarda il costruito, si può riprogettare il margine in modo tale da rendere continua l’edificazione ed evitare frammentazioni – e quindi evitare la formazione di rientranze e sporgenze nel territorio aperto – che, nel caso di margini compatti, portano a criticità5. Con il recupero delle aree in stato di evidentemente abbandono, conferendo una destinazione d’uso che richiede una loro manutenzione, si va anche ad apportare delle migliorie al benessere dei cittadini, in quanto le aree sottoposte a manutenzione tendono a non attirare microfauna nociva e, inoltre, la presenza di vegetazione tende ad apportare migliorie positive al microclima. Si punta a riprogettare e valorizzare le aree intercluse o libere come ‘spazi pubblici multiuso’, destinandoli per esempio ad attività 81 agricole, ricreative, orti ur-



bani, parchi e giardini pubblici. Questi spazi pubblici multiuso sottoposti ad intervento sono successivamente collegati tra di loro e con gli spazi pubblici già esistenti attraverso percorsi pedonali e di mobilità dolce, creando una sorta di ‘cintura verde’. I vari interventi sono stati accuratamente scelti per la finalità prefissata: per esempio, la presenza di orti all’interno dei contesti urbanizzati ha come fine la produzione di reddito e di approvvigionamento di cibo, con conseguente creazione di nuovi metodi per passare il tempo libero; inoltre, destinando le aree a questo uso, si riprende un comportamento produttivo tradizionale della zona, incentrato sulla produzione diretta6. Un’alternativa agli orti urbani è la manutenzione a prato dell’area – con impianto di vegetazione arborea e arbustiva di specie autoctone – e infine, questi spazi possono essere anche attrezzati – in modo tale da essere fruibili come giardini pubblici. L’impianto di siepi multifunzionali e i filari di colture arboree specializzate, posizionate al confine degli appezzamenti o al limite delle infrastrutture viarie locali, aiuta l’aumento della biodiversità e lo spostamento della microfauna, inoltre permette un miglioramento del microclima e, dal punto di vista percettivo, paesaggistico, inoltre permette una riconnessione con le forme della matrice agricola del territorio aperto7. Nei casi di necessità di mitigazione degli elementi appartenenti alla matrice antropica si punta all’impianto di filari di vegetazione arborea ad alto fusto sul margine o, nel caso di interi spazi compromessi, di colture energetiche, per la produzione di biomasse nei pressi di edificato e la coltura di piante oleaginose nel caso di diretto contatto col territorio aperto, in modo tale anche da ristabilire un uso delle aree attualmente inuti-

lizzate, integrandolo con l’economia dell’insediamento. Tra gli interventi si prevede infine la manutenzione e il recupero della viabilità minore poderale e locale – con eventuale creazione di itinerari di svago – in modo tale da agevolare la fruizione del territorio aperto e l’utilizzo delle aree intercluse e semi intercluse di grandi dimensioni, attraverso il passaggio di viabilità di collegamento tra parti di agglomerato insediativo, in direzione est-ovest. Conclusione Il caso di studio preso in considerazione mostra come caratteristiche principali le forme insediative che sono il risultato di un’espansione, spesso incontrollata, affini a molti altri centri. Questo tipo di espansione porta alla creazione di aree intercluse percepite come ‘vuoti urbani’ che scollegano le parti dell’insediamento, in quanto in uno stato di evidente abbandono e trascuratezza; nella stessa condizione si trovano anche le aree di margine, percepite unicamente per una futura edificazione. Affinché questi ‘vuoti’ diventino parte integrante dell’ambito – e della vita – urbana è necessario attribuire a queste aree una funzione. Nel caso specifico del lavoro di tesi queste funzioni attribuite sono legate alla multifunzionalità dell’agricoltura, con la finalità principale di creare una connessione – e integrazione – tra gli ambiti urbano e rurale, mantenendo e rispettando i caratteri strutturali tipici dell’ambiti stessi. Questo porta alla creazione di beni pubblici quali, per esempio, il paesaggio e benessere dei cittadini – anche dal punto di vista della fruizione e della sicurezza alimentare. Nonostante la legge regionale promuova, attraverso i piani di settore “il sostegno delle forme di agricoltura utilmente integrabili con gli insediamenti urbani, compresi gli or-

ti sociali e l’agricoltura multifunzionale, salvaguardando gli elementi del paesaggio rurale ancora presenti” (L.R. Toscana 65/2014, Art. 67 Ambiti periurbani, c.2), a livello locale/comunale queste intenzioni vanno a perdersi, in quanto non sono direttamente disciplinate e controllate degli strumenti urbanistici, quindi le analisi e le proposte di interventi diventano fini a sé stesse, in quanto non vengono tradotte all’interno degli strumenti operativi stessi. È necessario quindi integrare, all’interno degli strumenti locali anche le analisi e le linee di intervento riguardanti l’ambito agricolo e la matrice ecologica/ambientale, in modo tale da ottenere un quadro completo del territorio e di conseguenza una base per gli indirizzi di piano che portino ad un’evoluzione organica e controllata del centro, con finalità di miglioramento della qualità degli insediamenti.

Bibliografia Magnaghi A., Fanfani D. (a cura di) 2010, Patto città campagna, un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale, Alinea Editrice, Firenze Romano B. 2000, Continuità Ambientale, pianificare per il riassetto ecologico del territorio, Andromeda Editrice, Colledara (TE) Fanfani D. 2009, Pianificare tra città e campagna. Scenari, attori e progetti di nuova ruralità per il territorio di Prato, Firenze University Press, Firenze Geddes P. 1915, Cities in evolution:an introduction to the town planning movement and to the study of civics, Williams, London Jordan N. et al. 2007, Sustainable development of the agricultutal Bio-economy, Science

Note 1 Questo è un articolo riguardo il mio lavoro di tesi; Sara Trevisan, Connessione tra Città e Campagna, il caso di Cascina, Relatore: Prof. Arch. Carlo Natali, Empoli, sessione straordinaria febbraio 2015. 2 Il modello di analisi e progettazione è stato tratto dal testo: Magnaghi A., Fanfani D. (a cura di) 2010, Patto città campagna, un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale, Alinea Editrice, Firenze – rielaborato e riadattato. 3 “Negli ambiti periurbani possono essere realizzati gli interventi […], in coerenza con gli elementi del paesaggio rurale, garantendo il ruolo di connessione ecologica di tali aree e le connessioni ecologiche e fruitive tra il territorio urbanizzato e quello rurale” (L.R. Toscana 65/2014, Art. 67 - Ambiti periurbani, c.3). 4 Quindi l’interclusione non è data dalla distribuzione dell’edificato ma da elementi di origine antropica. 5 I margini compatti costituiscono una barriera e non permettono interventi integrati con finalità di connessione tra l’ambito urbano e quello rurale. 6 Quindi conferendo un uso si esalta e recupera in contemporanea l’identità locale. 7 Solitamente per dividere gli appezzamenti di terreno a confine vengono piantati filari di specie arboree, che aumentano inoltre la biodiversità.

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Fig. 1 Delimitazione dell’area di studio: il parco agricolo perifluviale


Norme figurate per il paesaggio agrario Regole per la rigenerazione attiva del territorio rurale nel parco agricolo di Riva sinistra d’Arno

Irene Conti

Introduzione La ricchezza della ricerca condotta per l’esame di Piani e Progetti di Paesaggio - sostenuto nell’ambito del corso di laurea di Pianificazione e Progettazione della città e del territorio dell’Università di Firenze - l’esito positivo della sua valutazione e la concretezza della possibile ricaduta sul territorio delle indicazioni ivi contenute, hanno costituito la spinta propulsiva di una decisione di riorganizzazione e di perfezionamento del lavoro di gruppo ai fini dell’esame finale di tesi. Il successo del lavoro ha condotto alla redazione del presente articolo che ha l’obiettivo di riassumere la ricerca di molti mesi in qualche pagina. Si può dedurre, quindi, che saranno messi in luce i tratti salienti e le fasi più importanti che compongono la struttura portante del lavoro. Il titolo Norme figurate per il paesaggio agrario. Regole per la rigenerazione attiva del territorio rurale nel parco agricolo di Riva sinistra d’Arno suggerisce l’argomento principale: l’elaborazione di regole capaci di creare presidio territoriale attivo nella creazione di paesaggio. Il metodo individuato alla definizione di tali regole si compone di due fasi: una fase analitica, composta da sopralluoghi e approfondimenti bi-

bliografici e cartografici sull’area di studio; una fase progettuale, incentrata sull’elaborazione di norme scritte rivolte all’attività agricola, le quali, elaborate insieme ad un agricoltore, sono state successivamente rappresentate in forma grafica. Le elaborazioni frutto di questa ricerca si inseriscono nel percorso di progetto Coltivare con l’Arno. Parco agricolo perifluviale, con l’obiettivo di collaborare alla definizione delle politiche intraprese all’interno del parco. Tale progetto interessa il territorio periurbano plano-collinare nel settore della riva sinistra dell’Arno compreso tra le tre città che si sono sviluppate vicino al fiume - Firenze, Scandicci e Lastra a Signa - ed è fortemente integrato al Contratto di fiume dell’Arno. La valorizzazione di quest’area - promossa dalla Città metropolitana (ente capofila) assieme ai comuni delle aree interessate e dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze1 - è stata sostenuta finanziariamente dell’Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione del Consiglio della Regione Toscana (L.R. 46/2013), con il finanziamento degli enti locali. “L’obiettivo generale è di evitare la marginalizzazione del territorio, offrendo (specie ai gio-

vani) possibilità alternative e sostenibili di utilizzazione di queste ‘terre di nessuno’, ma che hanno l’indubbio vantaggio di essere vicinissime a decine di migliaia di cittadini. Per far questo, occorreranno investimenti di risorse finanziarie e umane, migliorare la qualità della vita delle popolazioni residenti, favorire la creazione di un corridoio ecologico, regolare l’equilibrio idro-geologico, coinvolgere i cittadini nella gestione del territorio, unitamente agli utenti/consumatori” (Gilberti, 2014, p 4). Le problematiche attuali del territorio rurale Le campagne italiane, da qualche decennio a questa parte, sono soggette a forti contraddizioni che hanno mutato il paesaggio profondamente e molto velocemente. Questi luoghi hanno risposto allo stile di vita capitalistico con la modernizzazione delle campagne, l’agricoltura industrializzata e una nuova forma di marketing territoriale2 che ha favorito l’idealizzazione di un territorio, ormai concepito come marchio di qualità -estetica e produttiva-, e alla riproduzione delle componenti che lo caratterizzano secondo modalità territoriali basate sulle scelte di alcuni prodotti piuttosto

Corso di Laurea Triennale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Daniela Poli Co-relatore: Dott. Giuseppe Pandolfi Aprile 2017

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che altri. Così, molti agriturismi trasformano il loro intorno adattandolo ad un’immagine di paesaggio che è un’icona di quello storico: “filari di cipressi che attraversano senza alcuna razionalità i rilievi collinari, oppure con ristrutturazioni ‘faccia a vista’, con l’esaltazione di archi e archetti, che richiamano una dimensione di antichità del tutto fasulli” (Poli, 2013, p. 7). Questa distinzione di immagini paesaggistiche e l’esclusione di altre, oltre ad indurre selezioni inevitabili nella composizione sociale di chi abita e coltiva quel territorio, prodotte dall’aumento delle rendite fondiarie, ha inevitabilmente ricadute dirette sulla formulazione degli strumenti che regolano l’attività agricola su un dato territorio, i quali finiscono per favorire l’agroindustria senza considerare le esigenze dei piccoli produttori. Si assiste così, ad una rottura dell’interazione positiva che per secoli ha caratterizzato il rapporto, spesso inconsapevole, tra agricoltura e paesaggio. Negli ultimi decenni, però, in conseguenza alla forte crisi economica, che ha investito l’approccio capitalistico nella tua interezza, è ormai presente in molti contesti una ripresa qualitativa delle attività agricole, una “ricontadinizzazione molecolare” (Poli, 2013, p. 7) sia nelle aree periurbane che in quelle di campagna. Questo fenomeno, modello alternativo alle dinamiche dominanti, induce inevitabilmente alla modifica delle forme di governo del territorio, basate fino ad ora su procedure gerarchiche, verso nuove modalità decisionali e strumenti interattivi e integrati che poggino sulle potenzialità delle risorse locali. Il ripopolamento rurale si può già intravedere sul territorio: nelle forme di resistenza contadina e nel recupero di modalità di agricoltura tradizionale, sia dal punto di vista produttivo che della multi-

funzionalità dell’agricoltura, sia con la conversione di imprese tradizionali in forme ecologiche. Queste forme di ‘nuova agricoltura’ sono costrette a lottare ogni giorno contro un processo di gentrificazione che trasforma i fabbricati agricoli in costose residenze, snatura i rapporti tra fondo agricolo ed edilizia rurale e, soprattutto nelle aree prossime alla città, aumenta il prezzo dei terreni. L’accesso alla terra diventa, così, estremamente difficile. Inoltre, la lunghezza dei procedimenti di approvazione dietro le richieste di costruzione - anche di annessi agricoli reversibili - ostacolano lo sviluppo e la creatività di questa ‘neoruralità’ che si distingue per un (tentativo di) ritorno generalizzato all’agricoltura3. Infine, la diversità degli impianti normativi in materia di agricoltura, che cambia da comune a comune, ha portato ad esiti e ricadute di trasformazioni diversi su territori i cui caratteri, in realtà, hanno una continuità spaziale che non si ferma ai limiti immaginari dettati dai confini comunali. Ognuno dei tre comuni compresi nell’area del parco agricolo, oggetto del presente lavoro, possiede la propria normativa; la mancanza, quindi, di uno strumento volto a unificare le direttive in materia di territorio e edilizia rurale, all’interno di un progetto diretto alla promozione del luogo, ha reso evidente l’esigenza di un’omogeneità essenziale allo sviluppo e alla valorizzazione dell’agricoltura locale. Gli obiettivi e il metodo del lavoro Le considerazioni sopra condotte hanno orientato il lavoro qui presente verso tre obiettivi principali: 1. una maggior accessibilità dell’attività agricola e un maggior riconoscimento dei piccoli agricoltori, tramite la promozione di un’agricoltura che - pur sotto il controllo degli strumenti di pianificazione e

gestione del territorio – sia: • multifunzionale, in quanto produttrice, oltre che di alimenti, di paesaggio, ambiente e spazio sociale; • sostenibile, in quanto orientata a perseguire – con un approccio olistico che tenga conto delle sfide climatiche ed energetiche - la trasmissione alle generazioni future di ambienti coltivati e abitabili che non contengano minacce per la loro aspettativa di sviluppo; • biologica su filiera corta, in quanto esente dall’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti chimici a favore di soluzioni compatibili con l’ambiente (utilizzo del compost, rotazione colturale, ecc.) • contadina, in quanto erede delle modalità di produzione tradizionali locali e fautrice del recupero e la reinterpretazione di antichi saperi. 2. un’omogeneità delle direttive e una maggior comprensione delle stesse, tramite l’elaborazione e l’unificazione della normativa in materia dei tre comuni coinvolti nel progetto in un unico strumento strategico di pianificazione e progettazione; 3. lo snellimento dei procedimenti burocratici, in questo caso rivolto unicamente alla costruzione dei manufatti trattati all’interno della normativa comune. Le problematiche odierne necessitano di strumenti strategici di pianificazione volti all’integrazione tra governo del territorio e sviluppo rurale, secondo modalità che indirizzino le azioni verso una produzione sociale del paesaggio grazie al ruolo attivo della cittadinanza nella pianificazione. Il progetto “Coltivare con l’Arno. Parco agricolo perifluviale” è un esempio virtuoso di pianificazione strategica ma necessita di una serie di normative in grado di attuarne le disposizioni.

Gli obiettivi del presente lavoro si traducono, così, nella definizione di un unico strumento normativo, di natura attuativa, per l’area del parco: un Regolamento Figurato per il paesaggio e per l’attività agricola. L’intento è quello di esprimere ogni regola accompagnando la descrizione scritta ad un disegno che ne renda immediatamente leggibili le caratteristiche. In altre parole: rendere la norma figurata. Questa duplice forma di descrizione delle attività consentite (es. inserimento di un annesso agricolo) - sia in termini di collocazione paesaggistica che di specifiche costruttive - rende la comprensione difficilmente equivocabile e agilmente applicabile. Si tratta, quindi, di mettere in campo uno strumento per il territorio rurale che preveda: l’uniformazione della normativa nell’area del parco agricolo dei tre comuni coinvolti e lo snellimento dei procedimenti burocratici per la attività edilizie, il tutto in riferimento alle regole agro-paesaggistiche relative ai morfotipi individuati. Come introdotto in precedenza, la definizione del Regolamento ha seguito due fasi: 1. la fase analitica di ricerca bibliografica, per quanto concerne il metodo e l’applicazione della norma figurata, e di approfondimento, sia riguardo i riferimenti legislativi regionali in materia di attività agricola e strumentazioni urbanistiche comunali, sia dei caratteri identitari del paesaggio e del tessuto economico agricolo dell’area presa in esame. Come modelli metodologici che applicano la norma figurata sono stati presi in considerazioni tantissimi casi nazionali e internazionali. Quelli maggiormente strutturati e affini agli scopi del lavoro riconducono a esperienze francesi - Paysages et batiments agricoles. Guide à l’u-


Fig. 2 Rappresentazione del morfotipo 1 e dei suoi caratteri identitari. Esso è interno alla componente di paesaggio ‘il territorio perifluviale coltivato’ a sua volta compresa nella figura territoriale della ‘pianura d’acqua’

sage des agriculteurs -, belga - Conseils pour l’intégration paysagère des bâtiments agricoles - e italiane PIT con valenza di Piano Paesaggistico della Toscana. I riferimenti legislativi approfonditi a livello regionale in materia di attività agricola sono stati la L.R. 65/2014 e il D.P.G.R. n. 63r/2016, che ne attua alcuni articoli dettando disposizioni in materia di qualità del territorio rurale. Essi hanno aiutato ad avere una panoramica precisa sulle possibilità e modalità di trasformazione del fondo da parte dell’imprenditore agricolo. Queste possibilità, però, possono essere limitate dagli strumenti urbanistici comunali che hanno il potere di dettare specifiche proprie in caso di vincolo paesaggistico o di aree di interesse ambientale. I caratteri identitari del territorio sono stati individuati attraverso studi e analisi cartografiche sulla lunga durata, sopralluoghi e interviste

agli agricoltori. La definizione della struttura insediativa profonda - individuazione di figure territoriali, componenti paesaggistiche e morfotipi rurali- e delle trasformazioni che hanno caratterizzato l’edilizia rurale e i fondi coltivati hanno permesso una conoscenza dell’area tale da poter formulare delle regole di inserimento paesaggistico e modalità costruttive pensate appositamente per il territorio del parco. I sopralluoghi, le interviste e i rilievi effettuati su alcune aziende dell’area hanno confermato le problematiche sopra citate e approfondito il quadro economico, i principali caratteri dell’edilizia rurale e gli ordinamenti colturali presenti nell’area. 2. la fase progettuale di definizione di norme generali di collocazione paesaggistica delle infrastrutturazioni agricole, seguite da disposizione più specifiche rispetto le loro modalità di costruzione.

Stabilita la porzione di territorio, ovvero le aree rurali così come definite dalle L.R. 6/95, all’interno del quale dovrebbe inserirsi il Regolamento Figurato, si è passati alla definizione dei diversi accorgimenti di inserimento paesaggistico dell’infrastruttura agricola a seconda della figura territoriale, della componente e del morfotipo. I caratteri identitari del paesaggio e le norme di collocazione sono stati entrambi rappresentati graficamente: l’intento è stato, da un lato, di giustificare le prescrizioni della normativa elaborata e coinvolgere l’operatore agricolo nella comprensione dei caratteri del paesaggio e, dall’altro, spiegare le possibilità e le modalità di azione e trasformazione che l’agricoltore possiede all’interno di ciascuna figura territoriale. Il metodo, quindi, ha visto la definizione di norme dalla piccola alla grande scala: dalle modalità di inse-

rimento paesaggistico di un ipotetico manufatto, si è passati alla definizione delle possibilità e modalità di azione concreta - come e cosa è possibile costruire e cosa no -, giungendo infine ai caratteri costruttivi del singolo manufatto -con specifiche riguardanti le costruzioni in aree vincolate. Le tipologie di manufatti approfonditi nella ricerca all’interno del Regolamento sono state selezionati tenendo conto della vocazione territoriale e sulla base delle attività presenti: 1. Ricoveri per animali da allevamento • Ricoveri per allevamenti avicoli 2. Ricovero per animali utili alla conduzione agricola • Ricovero misto • Ricovero per ovini • Ricovero per suini • Ricovero per equini 87 • Ricovero per bovini


Fig. 3 Rappresentazione delle regola di inserimento paesaggistico di un manufatto all’interno dell’area compresa nel morfotipo 1

3. Edifici e strutture per lo stoccaggio dei prodotti, il deposito di attrezzi e macchinari e per l’esercizio dell’attività agricola • Fienili • Tettoie • Serre • Biolaghi per irrigazione Per dettare regole rispetto le dimensioni dei ricoveri animali e del pascolo necessario si è tenuto conto del benessere animale4, eccedendo spesso rispetto le estensioni previste. Tuttavia, per non entrare in merito delle normative igienico sanitarie i numeri rimandano a strutture adatte ad un numero esiguo di animali. Per stabilire il dimensionamento degli edifici -stoccaggio dei prodotti e il deposito attrezzi- è stata predisposta una classificazione degli operatori agricoli in rapporto alla capacità produttiva dell’attività (UC - Unità Colturali). Per consentire a chiunque abbia in coltura delle superfici di potersi dotare delle infrastrutture necessa-

rie alla conduzione del fondo, è stata eliminata la dicitura assoluta di ‘azienda agricola’; quest’ultima, utilizzata dai RU di tutti i comuni, costituisce una discriminante che esclude automaticamente una serie di attività agricole le quali, di conseguenza, non vengono normate. Così, all’interno di questo Regolamento, la categoria degli ‘operatori dell’agricoltura amatoriale’, è stata eliminata e accorpata alle altre in modo da coinvolgere anche le loro reali esigenze in termini di avviamento e mantenimento di un’attività5. Infine, l’obbligatorietà del carattere reversibile del manufatto6 è risultato essenziale sia rispetto i tempi di costruzione, sia rispetto la possibilità della semplificazione procedimentale che tale Regolamento vuole attuare. La rappresentazione della norma: il Regolamento Figurato Il Regolamento Figurato, esito finale di questo lavoro, vorrebbe esse-

re un manuale di linee guida utili alla costruzione di infrastrutture agricole in senso ampio, e al loro inserimento nel paesaggio. Tali linee guida trovano la loro base teorica nel manuale Paesaggio e fabbricati rurali: suggerimenti per la progettazione e la valutazione paesaggistica di Lionella Scazzosi e Paola Branduini e si ispirano al modello delle Chartes Paysagéres7 e alle diverse guide elaborate dalle amministrazioni locali francesi (CAUE8). Queste ultime “non sostituiscono l’attività di un architetto paesaggista nella redazione del Volet paysager 9 , ma consentono agli agricoltori di comprendere preliminarmente già da soli le potenzialità paesaggistiche del loro sito, aiutandoli a riflettere sull’aspetto che potrà assumere il nuovo fabbricato e a vagliare diverse ipotesi di collocazione, forma e materiali” (Scazzosi, Branduini 2006, p. 164). Il Regolamento figurato, però, vuole introdurre qualcosa di nuovo rispetto alle linee guida fornite sia

dal manuale italiano sia dalle esperienze francesi: • rispetto alle linee guida italiane, che forniscono consigli generali sulle metodologie di analisi del paesaggio, di recupero di edifici storici e di inserimento paesaggistico di nuove costruzioni, il Regolamento si cala in un contesto locale, all’interno della pianificazione ordinaria, andando a dettare politiche altamente specifiche per un territorio preciso. • rispetto alle guida francesi, invece, fornisce all’agricoltore un potere ancora maggiore perché, se seguito alla lettera, permette una notevole autonomia di scelta riguardo la tipologia di annesso più adatto all’attività agricola che si persegue e la sua successiva costruzione, il tutto accompagnato da un controllo finale da parte delle amministrazioni. Il paesaggio rurale, se opportunamente caratterizzato, può assumere un ruolo chiave per il successo della


Fig. 4 Norma figurata di un ricovero misto di animali utili alla conduzione agricola

produzione agroalimentare di una zona e la qualità e funzionalità dell’edificato rurale rappresenta un elemento di valorizzazione dei fattori extra-agricoli del territorio, oltre che delle produzioni agricole. La complessità territoriale porta con sé tutte le ricadute della discrezionalità amministrativa da un lato, dall’altro le incomprensioni e il raggiro delle regole da parte di attori agricoli insoddisfatti di una normativa che contrasta gli interessi dell’attività. Nella realtà, a fronte di un regolamento severo e cieco nei confronti delle esigenze economiche della piccola agricoltura, corrisponde un territorio senza regole: la campagna risulta, così, un luogo in cui domina l’incoerenza tra autorizzazioni e realizzazioni, beneficiata anche dell’assenza di controllo. L’iter per la costruzione di questo regolamento si è basato, infatti, oltre che su un’attenta analisi volta alla conoscenza del territorio, sul dialogo e l’ascolto dei diretti interessati a cui ha seguito una riflessione sui biso-

gni e un’accurata definizione economica e architettonica di ogni annesso agricolo. Un altro elemento essenziale è la necessità di un’omogeneità delle direttive in materia. Il territorio compreso all’interno dei tre comuni coinvolti nel progetto è, attualmente, frammentato dal punto di vista normativo: ogni Ente promuove le proprie regole in ambito extraurbano. Data la continuità dei caratteri che identificano il territorio comune alle tre amministrazioni e data la volontà dello sviluppo e della valorizzazione dell’agricoltura locale, sembra scontata l’esigenza di un’unificazione delle direttive. In tal modo, il Regolamento racchiude prescrizioni valide su tutto il territorio, favorendo non solo una transizione verso una nuova agricoltura in grado di rigenerare il patrimonio territoriale, ma anche una maggiore coerenza paesaggistica complessiva degli insediamenti. Attualmente, la possibilità di gestire un tipo di agricoltura di grande sca-

la è ostacolata da più fattori: il costo eccessivo della terra, la tutela degli interessi che favoriscono l’agroindustria -in pianura-, la conservazione ossessiva del ‘bel paesaggio’ -in collina- e, a quest’ultima strettamente collegata, la questione delle complicazioni burocratiche che precedono ogni minimo intervento di trasformazione del territorio. A tal proposito la L.R. n.64/2014 si impegna nello snellimento degli iter di approvazione degli interventi con minor impatto sul paesaggio attraverso il DPGR n.63/R/201610 il quale indica le specifiche condizioni e le tipologie di attività in presenza delle quali è consentito realizzare annessi agricoli senza la presentazione del PAPMAA11, ma tramite titoli abilitativi come il permesso di costruire, la segnalazione di inizio attività e la comunicazione di attività edilizia libera. Tuttavia, gli strumenti urbanistici comunali possono contenere disposizioni differenti, al fine di assicura-

re la tutela di immobili ed aree di rilevante interesse paesaggistico o ambientale. Inoltre, in caso l’intervento ricada in zone soggetta a vincolo paesaggistico è obbligatoria la verifica di conformità da parte della Sovrintendenza ai beni culturali e paesaggistici. L’area interessata dalle norme del presente Regolamento Figurato, oltre ad avere rilevanza paesaggistica, è sottoposta quasi ovunque a vincolo paesaggistico. Le attuali direttive urbanistiche in materia di edilizia rurale dei comuni impongono prescrizioni molto vincolanti, assoggettando qualsiasi intervento ad autorizzazione e a PAPMAA: la realizzazione delle più piccole strutture reversibili necessarie alla normale conduzione del fondo è, così, fortemente ostacolata, impedendo l’attività dei piccoli coltivatori e favorendo le grandi aziende. Si può comprendere come l’allungamento dei tempi richiesti dalle procedu89 re burocratiche condizioni


pesantemente le scelte sull’opportunità o meno di intraprendere un’attività di piccola agricoltura, escludendo a priori chi non possiede i requisiti minimi necessari alla presentazione del PAPMAA. L’attività di questi ultimi, inoltre, non venendo nemmeno ufficialmente riconosciuta, e quindi non normata, ricade inevitabilmente in forme illegali ‘clandestine’, traducendosi, potenzialmente, in forme di abusivismo edilizio. Questo Regolamento, che vuole essere anche una guida per l’attività agricola, intende riconoscere soprattutto quelle categorie di agricoltori la cui attività non è contemplata dalla normativa vigente, affinché esse possano essere facilitate e promosse pur nel rispetto dei caratteri paesaggistici del territorio. La normativa ad-hoc, rivolgendosi in particolare -ma non solo- ai giovani agricoltori, hobbisti, piccole-medie aziende e contadini, intende incentivare un’attività agricola sostenibile e di qualità, non monocolturale, la quale necessita di piccoli annessi precari volti alla conduzione del fondo, facilitazioni burocratiche, e presidio sul territorio. I presenti indirizzi contenuti nelle norme sostituiscono a tutti gli effetti la presentazione del PAPMAA -unicamente per la parte che riguarda la costruzione e l’installazione di annessi agricoli-, della SCIA e del permesso di costruire, previa valutazione di conformità dell’ufficio tecnico comunale. Inoltre, per eliminare la presenza di allegati esterni e rendere maggiormente comprensibili i criteri di inserimento paesaggistico e le scelte tecniche, sono stati elaborati alcuni abachi riassuntivi sia rispetto la suddivisione del territorio in base ai caratteri di paesaggio contenenti norme illustrate, sia rispetto le possibili opzioni costruttive del manufatto. Infine, onde evitare fraintendimenti comunicativi con le amministrazio-

ni sarà possibile compilare, da parte degli operatori agricoli, un semplice documento di ‘autocertificazione’ online12. Una volta lette le norme interne al Regolamento e consultate le tabelle riassuntive basterà, così, selezionare le informazioni da denunciare e l’amministrazione potrà effettuare una verifica in tempo reale delle dichiarazioni fatte, tenendosi costantemente aggiornata sulle attività che si svolgono sul territorio. Sarà poi compito degli enti locali accertarsi della veridicità delle intenzioni denunciate attraverso sopralluoghi sul posto e controlli. Qualora l’operatore agricolo dovesse avere esigenze difformi dalle seguenti indicazioni dovrà seguire l’iter burocratico standard previsto dalla strumentazione urbanistica vigente. Conclusioni Il lavoro esposto all’interno della tesi si è posto come obiettivo la formulazione di regole figurate compatibili con i caratteri del paesaggio locale ed in grado di promuovere un’attività agricola per tutti, finalizzata ad assicurare presidio sul territorio. Ad oggi, le problematiche locali in ambito agricolo e in tema di pianificazione del territorio rurale, come abbiamo potuto approfondire, sono tante e la maggior parte riguardano, da un lato, la mancanza di una normativa omogenea su scala territoriale seguita dall’assenza di dialogo tra gli attori e, dall’altro, l’ostacolo all’esercizio della piccola agricoltura. Queste grosse questioni, associate alle dinamiche in atto nelle campagne toscane - quali i fenomeni di deruralizzazione, gentrificazione, museificazione del paesaggio – influiscono in maniera decisiva sulla possibilità di fare agricoltura e, quindi, sul presidio territoriale.

Questo Regolamento offre soluzione a molti di questi problemi, smorzando fortemente le trasformazioni in atto nelle campagne: al suo interno sono racchiuse prescrizioni valide su tutto il territorio compreso nei tre comuni, al fine di sostenere una maggior coerenza nelle trasformazioni che riguardano il paesaggio, permettendo, inoltre, una generale transizione verso una nuova agricoltura di grande scala sana, multifunzionale e multi-produttiva. La normativa, che dovrebbe essere elaborata di concerto da pianificatori, agricoltori, comuni, associazioni di categoria, in collaborazione con la Sovrintendenza13, è altamente specifica e dettagliata, tanto da costituire un vademecum in materia di agricoltura: gli indirizzi contenuti nelle regole figurate, infatti, studiate appositamente per il territorio del parco agricolo di riva sinistra d’Arno, una volta validate dagli enti preposti se seguite alla lettera, permetterebbero lo scavalcamento delle procedure burocratiche, facilitando così l’esercizio dell’attività agricola. Il coinvolgimento degli agricoltori nella definizione delle norme nella fase di redazione del lavoro ha costituito un arricchimento metodologico e conoscitivo essenziale. Dopo quanto studiato, analizzato ed esposto, il pensiero a riguardo può andare verso un’unica direzione: la promozione della partecipazione alle decisioni di chi, tutti i giorni, vive, modifica e costruisce territorio. In questa visione lo spazio rurale acquista forma e fisionomia, passando da contesto vuoto e passivo a contesto attivo (Dematteis, Governa, 2005) in cui i soggetti sociali giocano un ruolo importante in un processo produttivo di territorio attraverso la gestione sociale e sinergica dei suoi ‘elementi costruttivi’.

La redazione di norme figurate consente di avvicinare amministratori e legislatori ai cittadini, semplificando la diffusione, l’apprendimento e soprattutto la comprensione delle direttive. Questo Regolamento Figurato, anche se non strettamente prescrittivo, agisce direttamente sulle azioni stimolando l’attivazione di comportamenti simili a quelli proposti (Poli, 2014) e mostra l’efficacia e l’indubbia l’utilità di questa formula, che dovrebbe essere coinvolta all’interno di un qualsiasi altro tipo di strumento di pianificazione ordinaria e strategica. Questo lavoro vuole portare una ventata di innovazione in materia di pianificazione del territorio agricolo, offrendo un esempio e un metodo all’interno della strumentazione urbanistica ordinaria.


Fig. 5 Estrapolazione dalla tabella riassuntiva dei materiali utilizzabili per la costruzione degli annessi e delle infrastrutture agricole. Sono specificati dimensionamenti possibili e i materiali diversi a seconda della parte della struttura.

Note 1 Il Dipartimento di Architettura (Laboratorio di progettazione ecologica degli insediamenti e l’Unità di ricerca interdipartimentale Progetto Bioregione Urbana hanno coordinato il processo partecipativo e le azioni della ricerca-intervento (resp. Prof.ssa Daniela Poli). 2 “Per marketing territoriale si intende un processo di valorizzazione economica dei punti di forza di un territorio e dei suoi prodotti agricoli” (Donadeiu, 2013, p.XIII). 3 Con ritorno generalizzato si intende il riavvicinamento alla terra da parte di gente di tutte le età e di tutte le formazioni culturali (anche senza un bagaglio di conoscenze e strumenti in campo agrario). 4 Regolamento (CE) n. 834/2007 sull’agricoltura biologica. 5 È scomparso, quindi, il riferimento assoluto alle ULU - Unità Lavorativa Uomo -, in quanto un amatoriale non può avere dipendenti (ma può pagare ditte esterne, se ha molta terra) e quello alla PLV - Prodotto Lordo Vendibile -, che esiste in un bilancio aziendale ma non se sei un privato che fa raccogliere le olive da terzisti e magari le conferisce tutte ad un consorzio. 6 I manufatti reversibili sono strutture leggere necessarie per utilizzazioni di durata temporanea strettamente legata all’attività agricola che soddisfano contemporaneamente requisiti specifici. 7 Si tratta di uno strumento francese che detta direttive per la gestione e lo sviluppo del territorio aperto. Le azioni sono mirate volte alla salvaguardia dei contesti agricoli e alla valorizzazione dei paesaggi rurali, coinvolgendo tutti gli attori del settore agricolo. Le chartes paysageres assumono la forma di un contratto morale tra i diversi attori di un territorio (Marson, Baccichet, 2013). 8 Conseil d’Architecture, Urbanisme et Environnement. 9 È uno strumento di valutazione e autorizzazione della qualità paesaggistica di nuove costruzioni, che integra la normale procedura di autorizza-

Bibliografia 10

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zione delle opere edilizie. Esso è simile all’italiana ‘Relazione paesaggistica’. Il regolamento di attuazione di alcuni articoli della legge inerenti la qualità del territorio extraurbano. Disciplinato dagli artt. 74 e 84 della legge regionale 65/2014: strumento di programmazione del territorio rurale di durata decennale ed è redatto dall’imprenditore agricolo. Esistono dei requisiti minimi, ovvero le superfici fondiarie minime coltivate specificate nel DPGR n.63/R, per la presentazione del programma aziendale. Form di Google rintracciabile al sito: https://goo. gl/forms/Bv03Ly3g2YVYLHse2. Il Regolamento recepisce, a cascata, gli obiettivi e le azioni promosse dal PIT e, quindi persegue le volontà della Sovrintendenza dei beni culturali e del paesaggio.

Dematteis G., Governa F. 2005 (a cura di), Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello Slot, Franco Angeli editore, Milano;

Agricoltura paesaggistica. Visioni, metodi, esperienze, collana Territori, Firenze University Press, Firenze;

Donadieu P. 2013, Prefazione in Poli D. (a cura di), Agricoltura paesaggistica. Visioni, metodi, esperienze, collana Territori, Firenze University Press, Firenze;

Poli D. 2014, Pianificazione paesaggistica e bioregione: dalle regole statutarie alle norme figurate in Magnaghi A. (a cura di), La regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, Firenze;

Giliberti G. 2014, presentazione in “Tra Arno e colline: agricoltura qui vicino Alimentazione sana, qualità della vita, rispetto dell’ambiente e del paesaggio”, in Butelli E. (a cura di), Catalogo della mostra del progetto di parco agricolo di riva sinistra d’Arno consultabile al sito: <URL: http://open.toscana.it/documents/41668/0/Tra+Arno+e+colline_ agricoltura+qui+vicino/da2cf810-6d044680-adf6-14b11b5a9834>;

Scazzosi L., Branduini P. 2014, Paesaggio e fabbricati rurali. Suggerimenti per la progettazione e la valutazione paesaggistica, Maggioli Editore, Milano.

Marson A., Baccichet M. 2013, La dimensione progettuale delle Chartes Paysageres come strumento di contenimento dello sprawl, in Marson A. (a cura di), Riprogettare i territori dell’urbanizzazione diffusa, Bieffe s.p.a., Recanati; Poli D. 2013, Agricoltura paesaggistica: un arredo fittizio della campagna o un’opportunità di sviluppo per il mondo rurale in evoluzione?, in Poli D. (a cura di)

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Fig. 1 Excerpt from the Gis software project, David Beker


Patchworking tool for a design of a metropolitan vision: the case of the metropolitan City of Florence

David Beker

Introduction With law number 56 of the 7th of April 2014, the Metropolitan cities became a legal body to all effects, in the regions of statuto ordinario1 substituting the provinces in the government of area vasta2 which refers to an administrative level of the province. The official website of the metropolitan city of Florence quotes that “The metropolitan city is not a new province with a different name. It functions as an integrator and supporter to the municipalities in its area. It’s intention is to simplify the institutional framework and help create important works that the single municipalities have structural difficulties to bring to realization, such as strategic planning, the integration of local planning into the territorial contest and to identify vast functional economic strategies that can be integrated with the individual”3. One of the more fundamental tasks given to this new Metropolitan body is the realization of a Strategic Metropolitan Plan with validity of three years, which sets the guidelines both for the metropolitan city and for the individual municipalities included in its territory. The committee of the metropolitan city of Florence describes this plan as a tool that serves

to understand the evolution of the territory, design processes for the development and order of the metropolitan area and establish big projects that benefit collaboration between the administration and the general public. The committee looks at this future plan as an instrument open to the public and encourages contribution and help in its design. The University of Florence and my supervisors are taking an active part in the realization of works for the future strategic plan, and we were hoping that the subject of this thesis might serve as a small contribution. A Quick Summary of the Patchwork Method The method that we’ve developed during the thesis is a combination of all the strategic maps from the different structural municipality plans found in the Metropolitan province of Florence, into one big synthesized strategic structural plan that may serve as guidance for the realization of the actual strategic Metropolitan plan. We have done this by acquiring all the available digital versions of the different plans, georeference4 them into a big patchwork of the province and use the plans together with the

implementing rules, to represent all the strategies of the singular municipalities in the province. This has led us to form a sketch representation of what combining the different plans might look like that is presented in the conclusion of this publication.

Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Giuseppe De Luca Co-relatore: Arch. Luca di Figlia Sessione: Aprile 2017

The Idea for This Thesis The Strategic Metropolitan Plan of Florence is going to be the first of its kind. The suggestions and indications that it will give are going to have implications on the whole province. If before the Territorial Plan for Provincial Coordination (PTCP) could seek guidance in its previous publications, this plan cannot. Given the strategical characteristics of this soon to be Metropolitan Plan, it’s short three year validity, and the fact that it will be constantly updated, it is clear to see that such an instrument must take the individual Municipal Structural Plans (Piani Strutturali comunali) under serious consideration, since their validity and guidance is “timeless” or in other words does not have an end date. The metropolitan city of Florence consists of 42 municipalities, each with its own structural plan - responsible for the future strategies of the community’s territory.

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Fig. 2 Excerpt from the project prepared for DIDA Labs, David Beker

If two or more municipalities want to or need to collaborate on a supramunicipal plan or a work that is of supramunicipal interest, they have to study each other’s works and publications if they want to avoid misperceptions. Material is available and open to the public but unfortunately not always easily accessible, which might lead to complications based on negligence. This has led us to believe that with the upcoming Strategic Metropolitan Plan to be developed and other supramunicipal plans in the future might benefit from an instrument or a method that can help avoid clashes when different bodies need to work together. Inspiration for the Patchwork Method PTG Online PTG online5 is a service constructed by Association between the order of architects in the province of Milan, Assimpredil ANCE and Centro Studi per la Programmazione Intercomunale dell’area Metropolitana. The

service allows you to consult rapidly and in real time the plans of territorial governance (which are the version of structural plans in Lombardy). The website contains a mosaic of all the documents that each municipality has made available, placed over Google maps. The service is constantly updated and very easy to use. If a workgroup needs to work on the supramunicipal plan they can easily consult all the works and publications made by all the municipalities in their project area. This online tool was part of the inspiration for the development of our patchwork method and it is important to note it. Hopefully in the future, the metropolitan city of Florence will decide to develop a similar tool. At the time being we have made an offline desktop version that may serve a similar purpose. “Pianificare l’area vasta - Una vision per l’asse Pisa-Valdera” - Seminar My supervisor, Professor De Luca

conducts a seminar that regards the planning of a united vision for the municipalities of Valdera, which at the moment of writing of this publication officially represents 7 communes (Bientina, Buti, Calcinaia, Capannoli, Casciana Terme Lari, Palaia and Pontedera6) in the Pisa province. In the preparation for the seminar a group of students guided by my professor created a synthesized strategy map (that apart from the official members, also included Chianni, Lajatico, Ponsacco, Santa Maria a Monte and Peccioli and summed up to a total of 12 municipalities) to show an image of a fully united Valdera. The process with whom this work was conducted is similar to the one that I’m doing for this thesis: a study of the strategies of each municipality to be later combined into one map that represents everything together. I have also had the opportunity to be present in one of the meetings conducted by the union of Valdera, where my professor explained this body of work, and how the study

revealed some misunderstandings and potential strategic problems between the municipalities. Internship at DIDA Lab Regional Design During my internship at DIDA Lab Regional Design, in preparation to the authorization of law number 56 of the 7th of April 2014, we have conducted a study that regarded both the metropolitan city of Florence and the physical metropolitan area, an area that might have included some parts of the province of Prato and Pistoia. The plane between Florence and Pistoia beginning from the 60s have slowly became a completely urbanized area with well-connected infrastructure that may be considered as the physical metropolitan city consisting of a densely populated urban core sharing industry, infrastructure, and housing. If the metropolitan city of Florence have considered including Prato and Pistoia into the metropolitan area, the strategical plan


that needed to follow this decision would have to include the singular municipalities of all three provinces. Since such an area would be largely vast, before beginning to combine the different structural plans of the municipalities we decided to start with the three PTCP’s combining them into one sympathetic map. This work has laid the foundation on which my thesis is based and I consider the thesis to be a more in-depth study of the internship results. Technical Aspects of the Patchwork Method The Gathering the Material This part of the thesis described how aggregation of all necessary material was conducted. The administrating bodies of the singular municipalities are obligated by Italian law to share works of spatial planning with the public via public records. They must make it available and accessible to anyone who wants to read it and give counseling and clarification to anyone seeking assistance. In this new age of technology it is expected that such material may be consulted online under a singular structure. While it may be so in other provinces, Florence (at the time of writing of this publication) does not provide a collective database where all the individual plans may be viewed simultaneously and in real time. If one wants to consult to works of different municipalities, he must go to the individual websites, download the works in PDF format and consult them off-line. This is precisely what I had to do for each of the 42 communes. 16 of the municipality websites did not have the information available online, 4 of them (Vaglia, Rufina. Castelfiorentino and Greve in Chianti) do not have a digital version of the

material but only a paper version. For these 4 communes I have decided to consult the old PTCP because I did not have the means to transform those documents into digital form. The other 12 communes either had outdated websites, technical issues other excuses or simply did not make it available online. This fact made the gathering of information a long and tiresome process of telephone calls, emails, follow-up emails and follow-up telephone calls given to the fact that the work hours in which the personnel (technicians, engineers, architects geometra etc.) responsible for the structural plan answer to communication is very restricted. Eventually I was able to gather all the remaining structural plans via email communication and by visiting the municipalities to physically receive the material. Importing the Material into GIS This part of the work was strictly technical and discusses the manipulation of both digital and physical data in order to construct the patchwork. It is explained to the fullest detail in the thesis which allows the patchwork method to be reproduced and I will avoid repeating it here in the publication. Briefly, the process consisted of: 1. Conversion: Conversion of files from different formats into a singular format; 2. Georeferencing: Association of the raster database to its geographical location; 3. Clipping: Cutting and placing the new georeferenced raster database into a patchwork; 4. Working the patchwork: The creation of a united legend and representation for the patchwork (together with the analytical process).

Analytical Aspects of the Patchwork Method Strategic choice of Strategy While collecting the individual works of the singular municipality’s, georeferencing the maps that I’m going to use for the creation of the synthetic map, I have also started to analyze the material that I have downloaded. For each municipality I’ve created forms, in which I have specified certain analytical aspects that contributed to the study: Name of the municipality, the time it took to begin adopt and approve the structural plan, method of representation - if it is a strategical map or a generic U.T.O.E map, the strategies that I was able to extrude from this structural plan using the map and the implementing rules document. I wanted to take note and see if there is a relation between the year of the approval, the time that it took for a plan to be approved, it’s choice of representation for the strategies (written document, or detailed map+ written documents. Here is an example of such forum for Comune di Bagno a Ripoli. While studying the different documents of implementation, and disciplines, I started to realize that every Municipality will cover itself from all directions by prescribing all the strategies that it can – the more the better,even if the only application of the strategies would be the writing itself to serve as a fail safe. In the thesis I gave an exaple from the document ‘Norme di Attuazione’ of San Piero a Sieve. The municipality stated that it had zones of natural interests identified by PTCP. But in the current PTCP, San Piero a Sieve was completely left out of such zones. The only logic can be that they either never had them, or that their overly general strategies

from 2006 have made them lose their natural areas. The study of this thesis made me to start seriously considering that a strategy when written in a very general matter, without clearly defined planning to back it up, is either an empty statement or is destined to fail. This is why I had to choose carefully which strategies I’m going to represent in my collective map of strategies, if I wanted it to be of any use for future vision of the Strategic Metropolitan Plan. The strategies that I chose to represent are strategies that were chosen based on a few aspects: If the element appears drawn in the strategic map and described with precision in the ‘norms of the implication’. If for the lack of a strategic map where the element could have been drawn, it is still described with high enough precision that I can make an intelligent assumption of where that strategies going to be. I Have excluded strategies that pass all responsibility of realization to other future plans (Regolamento Urbanistico, Piani Attuativi), without giving any specification. The making of the Legend - synthesizing the strategies After making it clear enough for myself on what I am NOT going to pick, and what I am NOT going to represent, there were still a lot of strategies. Since the purpose of this thesis was to apply the patchwork method to the creation of two-dimensional flat cartographic document of synthesis, it was clear to me that I cannot represent every single one but must group them up together into groups, which are fully described in the 95 thesis.



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pagine precedenti , Fig. 3 Excerpt from the forum for the Municipality of Bagno a Ripoli, David Beker Fig. 4 Final cartographic keys, David Beker Fig. 5 Excerpt from the final cartographic keys, David Beker


In the legend there are three general representative categories: Punctual, linear and aerial. The linear describes for the most part specific interventions drawn by the strategic map (new streets, new bike lanes, pre-existing ecological corridors etc. etc.). Aerial representations are often more general in nature, they’re applied to strategies who haven’t or need not specific indication. Aerial representations are also applied when the original strategic map has chosen the same method. Punctual representation is divided between very specific to very arbitrary. It is specific when it represents a the exact location of where the strategies going to be applied, but it is also used where the indication in the norms of execution are specific enough to make me understand where that new street is going to be passing more or less, or in what part of the city is the new bike lane going to be developed etc. etc. In the end, Fig. 4 is what came to be our legend. “Patching up” The Vision When the long and selective analytical process was complete, our vision of how a metropolitan strategic plan might look like came out almost by itself. Now that we had all the individual strategic plans of the singular municipalities one next to each other thanks to the technical part of the patchwork method I applied the the selective process over the patchwork and drew a united version of what we called “The vision of a metropolitan strategic plan for the province of Florence”. Conclusions and Criticism Combining the gathering of material, analysis, technical tasks and the process of critical thinking into a patchwork of performance, I have

come to realize a synthetic map of all the most important strategies from the singular municipalities of the metropolitan city of Florence. In the process of creation of this map I could not avoid noticing the excellent quality of urbanism and territorial government that is presented by the majority of the municipalities of the Metropolitan city of Florence. If even half the strategies that are described in these works of detail, will come to realization, then the vision for the new metropolitan city of Florence looks very positive. Verification of results based on the provisions of the strategies would be a very interesting continuation of this work, and I ask any who is interested in collaborating on this topic to contact me. During the study of this thesis I tried to see if there was a connection between the time of process of approval of the structural plan and its resulting quality. Since I have both cases of very long approval times resulting in clearly readable and well-structured plans and quickly approved unmanageable garbage, I come to the conclusion that time is not necessarily an indicator of quality. After further reflection and thought I came to the conclusion that there probably three major styles of strategy representation of the structural plan. And that they are changing over time. The older plans, that is plans approved in the end of the 90s and early 2000’s usually keep the UTOE + Norme di Attuazione with very general guidelines and specifications on how other plans of detail need to execute on the general strategies. Mid 2000’s is where you start to see some variations of the strategical map – UTOE with new planned streets, or Sistemi which strategies of nature characteristics combined with a clearer and more precise

guidelines of specific work plans to apply on the general strategies written in the document of norms of implication. Late 2000’s is where the dedicated strategic maps of project start to appear. As someone who read 38 structural plans (both maps and texts) in the last couple of months, I have to say that I came across the best and clearest description of not only the strategies but all other aspects of the structural plan when one of those strategic maps was part of the project. For one point of view it be limiting to the operating plan, if the structural plan draws a blue print on the territory. It might seem as an indication of what is expected the operating plan to generate, and thus leaves little room for imagination and creativity. I do not agree with this point of view, because the structural plan can never draw guidelines specific enough for the operating plan to simply copy and paste. I believe that an example of what may be done is a good place to start having ideas and being creative. I did not study the operating plans in the course of the study of this thesis so I cannot tell if there is a straight relation between structural plans that include a strategic map and a faster realization of the operating plan, but what I had to do for the creation of the synthesized strategic metropolitan map was to follow the indications of the structural plan and I have found it much more easier and faster to be able to follow the guidelines of a structural plan when there was a map summarizing the strategies. In conclusion all three versions work, but the more detailed and representation is easier to work with and I hope that the Province of Florence will adopt that version as a norm in the future.

The composed patchwork may be found in the archives of the university of Florence and a more updated version can be found by contacting me personally, My professors or DIDA LABS.

Notes 1 Regions of “statuto ordinario” include variations in their governing system, such as a metropolitan city body and other planning implications. The regions are: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. 2 Area vasta, or translated from Italian, ‘large area’ stands for an administrating level of the provinces and of the metropolitan cities, or in other words a level of planning and governing the territory, its resources and the different relationships between the local authorities. 3 Quoted from the Metropolitan City of Florence website: <URL: http://pianostrategico.cittametropolitana.fi.it/ presentazione>. 4 Georeferencing is explained in the Technical part of the publication. 5 The full service can be vied at http://www.pim. mi.it/pgtonline/. 6 As seen on the official website of the union of Valdera 29/03/2017 : http://www.unione.valdera.pi.it/homepage.

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Comune di Pelago 2014, Sistemi-Subsistemi e U.T.O.E, Piano Strutturale; Comune di Pontassieve 2004, Sistemi, Subsistemi e Altri Elementi del Territorio, Piano Strutturale; Comune di Reggello 2016, Strategie dello Sviluppo Sostenibile, Piano Strutturale; Comune di Rignano sull’Arno 2014, Strategie per lo Sviluppo Durevole del Territorio, Piano Strutturale; Comune di San Casciano in Val di Pesa 2009, Strategia relativa alle U.T.O.E, Piano Strutturale; Comune di San Godenzo 2005, Sistemi Territoriali e U.T.O.E., Piano Strutturale; Comune di San Piero a Sieve 2006, Statuto Del Territorio, Piano Strutturale; Comune di Scandicci 2012, Mosaico delle U.T.O.E., Piano Strutturale; Comune di Scarperia 2006, Statuto Del Territorio, Piano Strutturale; Comune di Sesto Fiorentino 2003, Sistemi di U.T.O.E., Piano Strutturale; Comune di Signa 2005, Sistema Infrastrutturale, Piano Strutturale; Comune di Tavarnelle Val di Pesa 2004, Planimetria Generale, Piano Strutturale; Comune di Vicchio 2016, Territorio Urbanizzato e U.T.O.E, Piano Strutturale; Comune di Vinci 2010, Comune di, U.T.O.E., Piano Strutturale; Comuni di Gambassi Terme e Montaione 2002, Tav 5 - U.T.O.E e Sistemi, Piano Strutturale; Comuni di Gambassi Terme e Montaione 2002, Viabilità, Piano Strutturale.


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Luglio 2020



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