Abitare il paesaggio storico | Novella Lecci, Luca Pasqualotti

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novella lecci luca pasqualotti

Abitare il paesaggio storico Progetto per il Poggio Strozzoni a Pitigliano



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Per l’evidente spettro di multidisciplinarità che il lavoro dimostra in tutte le sue componenti. Da una approfondita analisi storicaurbanistica svolta anche al livello archivistico, all’accurato rilievo fotogrammetrico, fino alla sensibile interpretazione di temi e figure del territorio, confluiti in un progetto particolarmente appropriato alla complessità degli argomenti affrontati”. Commissione: Proff. L. Andreini, F. Fabbrizzi, C. M. R. Luschi, R. Renzi, A. Trombadore, M. Berni, M. Bennicelli Pasqualis

in copertina Vista su Pitigliano

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Simone Spellucci

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-134-3

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


novella lecci luca pasqualotti

Abitare il paesaggio storico Progetto per il Poggio Strozzoni a Pitigliano



Tesi come passaggio

Comunemente quello che si intende con la parola tesi è ciò che si afferma su un determinato argomento. Per arrivare a proporre una tesi occorre la formulazione di un’ipotesi che attraverso la costruzione di un ragionamento viene soddisfatta e legittimata. Quindi nell’idea di tesi è insita l’elaborazione di un percorso che consente a una serie di congetture di trasferirsi dall’etereo campo delle idee al più concreto campo della realtà e a ben vedere, questo passaggio di stato contenuto nell’essenza di ogni tesi e già espresso fin dalla sua stessa etimologia di “cosa che viene posta”, cioè strappata da un mondo per collocarsi in un altro. In una tesi di laurea in architettura, questo passaggio tra un mondo e l’altro appare una cosa meno comprensibile rispetto ad altre discipline, perché nella maggioranza dei casi il trasferimento nella realtà, per gli ovvi motivi del caso, rimane solo in potenza. Questo è davvero un peccato perché ci sono tesi che hanno tutte le carte in regola per mutarsi davvero da pensiero ad azione, da idea ad architettura, assolvendo in maniera egregia a tutte le fasi del percorso completo necessario a tale trasformazione. È il caso, questo, della doppia tesi di laurea elaborata e discussa da Luca Pasqualotti e da Novella Lecci, affrontata in maniera comune nella parte iniziale dell’ipotesi-analisi compiuta sul luogo e separata in due distinte proposte nella parte progettuale. Una tesi che affronta con piglio eccezionalmente maturo la questione della progettazione in ambiente storico, ben consapevole che l’architettura non possa essere altro che l’espressione interpretata dei suoi diversi caratteri e delle sue molteplici identità, offrendo risposte formali nel pieno rispetto dei linguaggi e dei codici della contemporaneità, ma allo stesso tempo sensibilmente ancorate ai luoghi e “come se ci fossero sempre state”. Il percorso di tesi, partito da un rilievo inteso come primo strumento di progetto, ha permesso di disvelare nelle figure, nelle misure e nelle permanenze riscontrate nel paesaggio di Pitigliano e nelle sue preesistenze architettoniche, una serie di principi formali che attraverso una sensibilità rara sono stati interpretati nella riproposizione di una continuità che affonda le proprie radici nel passato. Un passato sentito come materiale vivo e non come sterile campionario formale, ma una materia fluida e in divenire grazie alla quale potere intravedere attraverso la nuova architettura proposta, una concreta e possibile ipotesi di futuro. Quindi, tesi, non solo perché le ipotesi sono state ampiamente e felicemente soddisfatte dai progetti ma anche perché, il passaggio tra l’idea e la realtà ci pare in questo caso così vivido e autentico da sembrare quasi un fatto scontato, quasi da pensare che le prefigurazioni che questi lavori ci regalano, abbiano depositato dentro di noi la consapevolezza che presto sentiremo risuonare i nostri passi negli spazi che ci mostrano. Fabio Fabbrizzi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Paesaggio storico

pagina precedente Carta di inquadramento del territorio intorno a Pitigliano. A sinistra del fiume Fiora il comparto detto ‘Area del Tufo’

Area del Tufo Da sud della Toscana fino all’alto Lazio si distingue un’area chiamata Tuscia, scavata dai torrenti che scorrono nelle strette valli e cosparsa di paesi arroccati. Una regione con una storia antica, in cui le tracce dei popoli che l’hanno abitata diventano le matrici di un paesaggio culturale (UNESCO 2005); un territorio dove il rapporto tra uomo e natura ne ha costruito i caratteri identitari, ma che allo stesso tempo non perde il suo fascino naturalistico unico. I resti archeologici testimoniano una storia che inizia lontano: probabilmente risalgono all’età della pietra le prime grotte scavate per trovare riparo. La tradizione di costruire per via di levare si è perpetuata a lungo, favorita dalla lavorabilità della roccia che costituisce

quest’area, un materiale poroso di origine vulcanica: il tufo. Il fiume Fiora, che può essere considerato il confine settentrionale naturale dell’Area del Tufo, si presenta come spartiacque tra due aree morfologicamente differenti: a sinistra le dolci colline di Manciano; a destra gli affluenti del Fiora, tra cui la Lente, scavano il territorio in profonde vallate, corrugandolo nella tipica conformazione. Lungo i fiumi i popoli costruiscono le loro vie di comunicazione, strutturano il sistema infrastrutturale e sfruttano la naturale struttura difensiva degli speroni per costruirvi gli insediamenti (Boitani et altr., 1973). Dopo gli Etruschi i Romani continuano ad insediare questi luoghi che continuano a svilupparsi: le vie cave vengono utilizzate fino al medioevo e vi si costru-

iscono gli scacciadiavoli; i paesi in cima agli speroni si sviluppano e rinnovano le strutture di fortificazione fino al periodo rinascimentale. Si ottiene in questo modo una stratificazione storica che imprime il territorio. Alcuni paesi hanno avuto continuità evolutiva, si sono ampliati nel corso dei secoli e sono tutt’ora abitati. Altre aree invece, numerose sul territorio, sono state nel tempo abbandonate ed oggi sono individuate come aree archeologiche: necropoli etrusche, castelli medievali, monumenti rupestri. Tra le più rilevanti l’area archeologica di Sovana, Norchia e Vitozza. Le dinamiche di trasformazione più recenti hanno visto una tendenza allo spopolamento dei centri minori dell’entroterra in favore di uno sviluppo lungo la costa a seguito della realiz-

zazione di nuove infrastrutture. Questo fenomeno di abbandono del territorio, diffuso in tutt’Italia, coinvolge anche i comuni di Pitigliano e Sorano che sono classificati come Aree Interne ed inclusi nelle strategie di sviluppo perché considerate a rischio marginalizzazione (Strategia nazionale per le Aree interne, 2014).

questa pagina Carta geologica

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La struttura urbana di Pitigliano

pagina precedente Vista assonometrica del paese di Pitigliano

Cenni storici L’enorme sperone tufaceo è sede dell’insediamento umano fin dall’antichità. È in epoca etrusca che si registrano le prime attività di cui ci perviene traccia. Nel III sec. a.C. circa l’intero territorio viene conquistato dai romani che istituiscono a Sovana il centro urbano principale e di controllo della zona. Dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente non si hanno più notizie dell’insediamento urbano di Pitigliano. Quando i Longobardi cominciano ad appropriarsi della Tuscia, il territorio di Pitigliano cade sotto la dominazione della contea di Roselle. Nel 1202 Pitigliano conquista grazie alla proclamazione di Innocenzo III la propria indipendenza. Durante questo periodo la famiglia degli Aldobrandeschi ottiene il controllo della contea e lo mantiene fino al 1293, anno in cui la famiglia Orsini prende il controllo della città. Nel medioevo viene costruita una fortezza all’ingresso principale dell’insediamento. Nel 1500 l’edifi-

cio viene ampliato grazie ad un progetto affidato dagli Orsini all’architetto Antonio Sangallo il Giovane. Nel XVI sec. le persecuzioni sugli ebrei dello Stato Pontificio e dei Medici del centro Italia, costringono la comunità ebraica a fuggire nelle zone di confine dei due stati. Si forma a Pitigliano una grande comunità ebraica. La condizione di povertà che vivono gli abitanti in quel periodo determinano un’insurrezione popolare, e nel 1604 Pitigliano perde la propria indipendenza in favore del Granducato di Toscana. Le condizioni di vita dei cittadini non migliorano. La comunità ebraica perde i propri privilegi e viene istituito il ghetto ebraico. Nel 1737 il Granducato di Toscana passa sotto il controllo degli Asburgo – Lorena. Nel 1860 Pitigliano e la Toscana entrano nel territorio italiano.

Unità edilizie del centro storico

L’evoluzione del centro storico di Pitigliano si adatta al territorio impervio. Ne consegue le costruzioni di cui è costituito sono variegate e molteplici. Non è possibile rintracciare una classificazione codificata dei tipi di aggregato. Dal confronto storico dei catasti è però stata identificata macro-classificazione. La dimensione tipica edilizia del modulo elementare di base è compresa tra 3,00 m e 5,00 m.

Logica insediativa Edifici

Grotte Sperone tufaceo Detriti

Le prime tracce della città riconducibili alla civiltà etrusca mostrano come la roccia, di particolare lavorabilità, non fosse utilizzata come elemento da aggregare per la costruzione di elementi architettonici pensati per “addizione”, ma come enorme masso roccioso dentro al quale per “sottrazione” gli abitanti della città scavavano i vani necessari per le loro attività. All’interno dello sperone tufaceo è possibile tracciare i percorsi di cunicoli antichi che si estendono all’interno della roccia a volte anche per decine di metri.

Legenda Sedime edificato al 1897

Sedime edificato al 1988

Sedime edificato al 1956

Sedime edificato al 2007

Sedime edificato al 1978

Aree di intervento

1 AREA DI INTERVENTO Ruderi della chiesa di S. Francesco 2 AREA DI INTERVENTO Parco Orsini 3 Porta principale della cittadella 4 Palazzo Orsini 5 Acquedotto mediceo

6 Antica chiesa rupestre di S. Francesco 7 Area archeologica le mecerie 8 Complesso parrocchiale 9 Sinagoga 10 Chiesa di Santa Maria e S. Rocco 11 Porta Sovana

12 Via cava Poggio Cani 13 Via cava S. Giuseppe 14 Santuario della Madonna delle Grazie 15 Museo Alberto Manzi



Parco Orsini

pagina precedente Il belvedere di Poggio Strozzoni visto dal bosco sottostante. Nella parte basale del torrione roccioso è scavato un antro

Il Parco Orsini si colloca a nord del paese di Pitigliano e si estende fino a Poggio Strozzoni, in direzione Sorano, passato il torrente Procchio. Qui vi si trovano emergenze storiche appartenenti al sedicesimo secolo: la chiesa di San Francesco, all’estremità orientale del Poggio, e il Parco Orsini, esteso sul versante nord-ovest. Del Parco Orsini rimangono solo alcuni resti. Un portale in pietra con due nicchie laterali, che si trova nell’attuale via di S. Chiara, doveva essere l’accesso verso il paese: da qui partiva un viale alberato che, superando il Procchio per mezzo di un ponticello, arrivava fino al Poggio Strozzoni dove si sviluppa la parte più caratteristica del Parco. Sedili, padiglioni, scalinate, statue e belvedere sono scolpiti su rocce affioranti e offrono spettacolari affacci verso Pitigliano e verso la valle del fiume Lente. Dal parco pubblico, a cui si accede da via S. Francesco, si struttura un sentiero che percorre longitudinalmente l’altopiano che conduce verso ovest al bosco e verso est ad un belvedere che affaccia sulla valle del Lente. Entrando nel bosco si incontrano le prime sculture del Parco: gradini intagliati, un sedile in una nicchia su una terrazza semicircolare, il sedile antropomorfo, ed ancora, scendendo lungo le scale, si trovano il sedile detto ‘del papa’ ed i resti di una statua riconosciuta come Ninfa.

Dall’atro lato del Poggio si erge il belvedere la cui spettacolarità rende noto il Parco, e alla sua destra si trovano i troni scolpiti nella roccia su cui sono ancora visibili le tracce di uno stemma con una rosa, simbolo della famiglia. I resti di un altro portale di accesso, di cui rimangono solo dei lacerti, si trovano nei pressi del San Francesco, la cui storia spesso si interseca a quella del Parco. Oggi il Parco è in stato di abbandono, snaturato dall’incuria e dalle trasformazioni urbanistiche, vi si accede attraverso un’anonima strada che si imbocca dalla via S. Francesco. Il Parco è una testimonianza importante per il Paese di Pitigliano, un monumentum che rischia di essere perso. È un esempio di espressione artistica della famiglia Orsini in cui può essere cercato un rapporto uomo–natura rinascimentale (Lazzaro, 1990), e con l’identità storica dell’area del tufo, che affonda le radici nel periodo etrusco. Il Parco, è individuato nel regolamento urbanistico del 2015 tra gli Ambiti assoggettati a progettazione unitaria, manifesta la necessità di un intervento di recupero. Il Parco Orsini generalmente viene fatto risalire al periodo in cui dominò Niccolò IV (Bredekamp, 1989), ma non ci sono pervenuti documenti che lo attestino come committente o che rivelino il progettista. Negli ultimi anni sono state condotte ulteriori indagini

dall’alto Poggio Strozzoni visto dal Palazzo Orsini a Pitigliano Sedile scolpito su un affioramento tufaceo a Parco Orsini su Poggio Strozzoni

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ADP Capitolo della Collegiata di Pitigliano. Indicazioni di proprietà obblighi ecc. ”cominciando dalla via di procolo fino alle greppe di Strezzoni et l’acqua di Procolo fino al fosso del Revellino ... un orticello dove già era un noce sopra la via di procolo scontro la porta di Strezzoni” L’inventario compilato per ordine di Giovan Francesco Orsini quando rientra in possesso di Pitigliano, viene ripreso da un altro vecchio del 1550. Ciò potrebbe lascerebbe possibile l’ipotesi che il Parco Orsini di Pitigliano fosse precedente al giardino delle meraviglie di Bomarzo

1563

1500

Ricognizione del Cancelliere del Tribunale di Pitigliano

Secondo la leggenda il Conte Orso Orsini strozza la moglie Lucrezia al Parco Orsini

Con l’arrivo dei Medici a Pitigliano, il Parco viene declassato a podere e abbandonato

1575

1608

“Conferitomi... al ponte del Prochio per ivi incamminarmi, presi il cammino per la strada che porta al San Francesco et essendo gionto alla porta per la qual s’entra in Strozzoni, fu osservata la medesima serrata a chiave”

Viene fatta una stima dei lavori di consolidamento per il Portone di Strozzoni (miscellanea 1569-1783)

1639

1600

1631

1700 1 Terra lavorativa spogliata 2 Terra ortiva 3 Sodo a pascolo 4 Sodo macchioso con greppe 5 Bosco,o sia Macchia

da sinistra Topografia del Capitanato di Sovana e Contea di Pitigliano e Sorano. Rettificata nelle posizioni e misure da Ferdinando Morozzi, 1768 Pianta del Podere Strozzoni di proprietà di S.S.R. posto nella contea di Pitigliano Livellario, Paolo Leoni, 1785

storiografiche in cui sono state rintracciate alcune citazioni del Parco nei documenti che hanno permesso di fare una datazione ante quem che farebbe risalire il Parco almeno al 1563 (Biondi, 2018). La storia del parco è avvolta dalla leggenda: la tradizione narra che l’ultimo conte Orsini avesse un’amante a Sorano, ma fosse estremamente geloso della moglie. Un giorno, tornato a Pitigliano, la incontrò nel parco. Le chiese come andava a Pitigliano e lei rispose innocentemente: "Più o meno come è andata a Sorano". Il Conte

la considerò una confessione, la strangolò e la gettò a capofitto nel torrente. Da questo momento il Poggio si chiama Strozzoni (Bruscalupi, 1986). Del parco oggi rimangono solo alcune tracce poiché lo stato di abbandono si protrae già da molto tempo: già nell’ottocento, l’esploratore inglese George Dennis, nel suo libro in cui racconta dei viaggi Cities and cemeteries of Etruria (1848), parla solo di due figure scavate nella roccia che erano chiamati dal popolo Orlano e sua moglie e già non rimane traccia della villa degli

Orsini. Anche nel ventesimo secolo del Paco viene fatto solo qualche accenno: alcune foto pubblicate da E. Baldini delle più note sculture e sedili ne testimoniano lo stato ad inizio ‘900; il parco attrae l’attenzione di Paolo Portoghesi che ne scrive un articolo sui Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura nel 1955. Nel 1981 viene fatto un progetto di massima per la valorizzazione di Poggio Strozzoni (Dott. D. Dallari e Arch. S. Varoli Piazza), sostenuto dalla locale Banca di Credito Cooperativo di Pitigliano diretto alla salvaguardia

delle emergenze architettoniche ed artistiche e prevedendo anche una sistemazione più consona della vegetazione naturale, e l’inclusione dei resti del convento e chiesa di S.Francesco; purtroppo la realizzazione fu solo parziale.


L’ingegner Ferdinando Morozzi propone di costruire un cimitero fuori di Pitigliano “in un piccolo compo chiamato in Paese Strozzoni.. per essere circondato da un lato dalle profonde rive del Prochio e per avere dall’altro una barriera di Cipressi e Lecci”. L’Anonimo dissentisce affermando che il luogo “serve di delizia e passeggio ai Pitiglianesi”

“Fuori dall’abitato, oltrepassato il Prochio e le sue cascate, Pitigliano ci riserba un’ultima gradevole sorpresa cogli avanzi della cosiddetta Villa Orsini sul Poggio degli Strozzoni ... Più che villa veramente il vasto pianoro degli Strozzoni dovette essere un meraviglioso giardino ed incantevole luogo di delizie”

Descrizione della Contea di Pitigliano, Anonimo Apatista

Nicolosi C.A., La montagna maremmana, Istituto Italiano delle Arti Grafiche, Bergamo

1770

1911

1800

Portoghesi P., Note sulla Villa Orsini di Pitigliano, in Quaderni dell’istituto di storia dell’Architettura

Progetto di massima per la valorizzazione di Poggio Strozzoni (Piazza S.V., Dallari D., 1981), sostenuto dalla locale Banca di Credito Cooperativo di Pitigliano e diretto alla salvaguardia delle emergenze architettoniche ed artistiche con sistemazione più consona della vegetazione naturale, anche con l’inclusione dei resti del convento e chiesa di S. Francesco, non ebbe seguito

1955

1900

1981

2000

da sinistra Archivio di Stato di Grosseto, Antico Catasto Toscano - Pitigliano - Sezione B - Foglio 3, Ceccarelli Giuliano, 1825 Progetto di massima per la valorizzazione di Poggio Strozzoni, D. Dallari, S. Varoli Piazza, 1981

La ricerca L’indagine sul Parco Orsini si è svolta elaborando una metodologia interdisciplinare che, mettendo in relazione informazioni di carattere storico geografico e metrico, mira a comporre un quadro il più completo possibile. La ricerca si è strutturata in diverse fasi: la ricerca archivistica documentaria, il rilievo, l’analisi critica. Un primo momento è stato dedicato alla raccolta e allo studio dei documenti esistenti sulla storia del Parco Orsini. Le informazioni storiche riguardanti

il Parco sono poche e spesso contornate da un alone di leggenda. Inoltre si è notata la carenza di cartografia ad una scala adeguata per descrivere l’area di studio e la collocazione degli elementi del Parco, così come la mancanza di una cartografia storica che ne mostrasse il disegno originario e i confini; la prima carta descrittiva della Contea di Pitigliano deriva infatti alla seconda metà del diciottesimo secolo (Rombai, 1982). Ciò ha reso necessario una fase di rilievo al fine di documentare, catalogare e collocare i reperti rupe-

stri su una cartografia digitale che potesse essere di supporto alle analisi e ai successivi studi conoscitivi ed utilizzi divulgativi. Si è proceduto facendo prima un sopralluogo per comprendere le peculiarità del Parco, e per poter progettare l’attività di rilievo più adatta. Le caratteristiche del sito, che si colloca su un pendio boscoso e impervio, rendono difficile muoversi con una strumentazione pesante, e la fitta vegetazione può ostacolare il rilevamento tramite drone. Per questi motivi, oltre che per questioni di economicità, è

stato scelto di usare un GPS (gps etrex 20x Garmin, precisione ± 3.5m). Il rilievo è stato accompagnato da una campagna fotografica al fine di documentare il lavoro svolto, di catalogare e descrivere lo stato di fatto e la tipologia di elementi individuati. Attraverso un software GIS open source, i dati georeferenziati corrispondenti ai reperti sono stati inseriti su una carta topografica in formato vettoriale che è stata utilizzata come cartografia di base.

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pagina precedente Carta degli elementi del territorio del Poggio Strozzoni. Gli elementi mappati sono quelli emersi dai sopralluoghi e dallo studio delle carte storiche questa pagina Foto di alcuni elementi significativi

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da sinistra Sperone roccioso utilizzato come rimessa (n3), versante meridionale; Torre circolare a Pitigliano, versante settentrionale; Sperone roccioso di Poggio Strozzoni (n5), versante meridionale

Un sistema territoriale costruito Ciò che è emerso è una grande quantità di elementi che testimoniano l’insediamento di Poggio Strozzoni e che non si limitano a i più conosciuti sedili attribuiti al Parco Orsini, ma svelano un’attività del territorio che mette a sistema le risorse e che si tramanda per secoli: lungo i torrenti sorgevano numerose officine idrauliche (molini, gualchiera, polveriera) attive fino al diciannovesimo secolo e il versante meridionale è tagliato da un’area estrattiva ormai dismessa. Durante il rilevo del Parco Orsini sono stati individuati degli affioramenti rocciosi scolpiti non citati dai precedenti studi sul Parco e le strutture censite non sono tutte facilmente riconducibili alla loro funzione originaria perché il quadro storico del Poggio risulta frammentario ed incompleto.

Su alcune strutture sono state fatte delle ipotesi basandosi sulla comparazione con altre simili, e cercando conferma, nella toponomastica e nelle usanze del tempo. Per esempio, in accordo con l’ipotesi che il parco Orsini fosse stato un parco di caccia (Melardi, 2018), le strutture senza coperture interrate e quindi ben mimetizzate sono state individuate come trappole realizzate per la cattura di lupi. Queste sono storicamente costruite come un buco scavato nel terreno con la forma troncoconica la cui apertura superiore veniva camuffata con frasche e foglie e l’animale vi veniva attirato con un’esca. Entrambe le strutture si trovano sul versante settentrionale e verso il lato a valle si trova l’ingresso: un varco nel tufo in cui si intuisce la predisposizione ad un infisso di chiusura. Questo tipo di trappola ha origini molto antiche e

con delle variazioni viene usata fino al diciannovesimo secolo.Anche la toponomastica avvalora questa lettura: le due strutture si collocano sul versante delimitato dal Fosso del Lupo. Inoltre, come appare dalle carte storiche (Leoni 1789), il terreno del Poggio era utilizzato come sodo a pascolo, un’attività ancora tradizionale dell’Area del Tufo. Le trappole sarebbero quindi potute servire anche a proteggere gli ovini dai predatori che popolavano i versanti boscosi. Sono stati inoltre individuati degli affioramenti rocciosi che somigliano al noto sperone belvedere che affaccia sulla valle del fiume Lente, ma che rimangono meno evidenti perché di dimensioni ridotte e perché sono immersi e mimetizzati nella folta vegetazione, o sono stati trasformati e si confondono tra le edificazioni che sorgono


da sinistra in alto Belvedere scolpiti a Poggio Strozzoni (Ortofoto del 1954); Belvedere scolpiti a Poggio Strozzoni (CTR); Strutture aggettanti e punti panoramici a Pitigliano (Ortofoto 2016); Baluardi ed elementi aggettanti caratteristici dell’insediamento di Pitigliano (Pianta della Terra e della Rocca di Pitigliano Contea S.A.R. 1749)

sul lato meridionale del Poggio. La loro posizione, localizzata durante il rilievo GPS, sembra seguire una logica: si trovano ad una quota che differisce di pochi metri e sono ben distribuiti su tutto il perimetro del promontorio. Il percorso che li collega, che corre lungo tutti i versanti, ricorda il percorso di vedetta lungo le mura, e gli speroni le torri rompi-tratta di un sistema difensivo di una città arroccata sul pianoro, della quale oggi non rimane traccia. Inoltre la disponibilità d’acqua sul promontorio, trovata in un vano ipogeo appena scorgibile e confermata dalla presenza del pozzo del convento di S.Francesco, renderebbe plausibile l’ipotesi di un insediamento su Poggio Strozzoni. Confrontando Poggio Strozzoni e Pitigliano si nota come questi due promontori presentino una struttura tra loro simile.

Nel caso di Pitigliano l’analisi dell’insediamento storico risulta più complessa perché nei secoli il paese si è si è evoluto e trasformato stratificandosi, ma senza cancellarne le matrici. Infatti il sistema di affacci, i belvedere, che oggi sono punti panoramici, possono essere ricondotti ad una conformazione difensiva del centro urbano. Nell’antichità rappresentavano strategici baluardi come risulta evidente osservando la carta del 1749 Pianta della terra e rocca di Pitigliano Contea in cui sono evidenziati con colore e con la lettera S: Baluardi e luoghi spaziosi intorno al paese.

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pagina precedente Aula principale dei ruderi di San Francesco a Poggio Strozzoni

Abitare le rovine della chiesa di San Francesco A poche centinaia di metri dal paese di Pitigliano, luogo antichissimo ed affascinante, in cui l’insediamento umano e la conformazione naturale dello sperone tufaceo si uniscono senza soluzione di continuità, si trova in parziale stato di abbandono il convento di San Francesco, un edificio cinquecentesco progettato da Antonio Sangallo il Giovane. Nel corso della storia del paese di Pitigliano, il complesso di San Francesco non ha mai avuto un rapporto diretto con la città, l’edificio dal carattere religioso si articola infatti secondo uno schema chiuso, privato, riservato ai frati francescani che lo abitavano. Una volta abbandonato nel 1810 per la soppressione napoleonica degli edifici ecclesiastici, viene definitivamente estromesso dal circuito e delle relazioni con la città e ne consegue così un lento e continuo processo di degrado che culmina con la totale rovina. Dopo l’inutilizzo dell’edificio durante gli ultimi cento anni, la diocesi decide nella seconda metà del secolo scorso, di parcellizzare il complesso e di mantenere solo la parte della chiesa, anch’essa ridotta allo stato di rovina, e necessitante di un intervento di riqualificazione che ne completi di nuovo le parti. L’idea è perciò quella di riqualificare l’edificio attraverso un progetto contem-

Il convento di San Francesco Un progetto di Antonio Sangallo il Giovane

poraneo che apra la vecchia chiesa al paese, anche cambiandone la funzione in maniera calibrata, permettendo ai cittadini di usufruire dell’edificio al servizio della comunità. Considerando la “città” come un sistema di edifici al servizio dell’uomo che si relazionano e si integrano a vicenda, la rovina e più in generale un edificio non può essere parte della ‘città’ senza che le persone lo abitino, la città in sostanza “è l’uomo con gli altri uomini” ed il progetto contemporaneo su di una preesistenza non è altro che un’occasione per ribadire ancora una volta che la “tensione verso un futuro non è distruzione del passato ma è chiamare il passato a partecipare del presente e a preparare il futuro” di una città per gli uomini. Proporre un progetto su di una chiesa attribuita al Sangallo nel paese di Pitigliano è un’occasione preziosa per riflettere sul progetto contemporaneo con le rovine, e definire una metodologia di intervento che riesca ad avere delle basi solide e non arbitrarie. La proposta progettuale è certamente allo stesso modo figlia della visione soggettiva dell’architetto e della sua sensibilità, ma nasce in questo caso dall’ascolto del Sangallo, dalla lezione della storia, dalla tradizione e dai caratteri del territorio, in maniera tale che il risultato sia un intervento contemporaneo che si trovi sulle rovine del conven-

to di San Francesco a Pitigliano, ed in nessun altro luogo. Lo studio prende piede dall’analisi della figura del Sangallo, così da definire una linea progettuale consona al suo pensiero architettonico e che non contraddica l’idea dell’autore sul concetto di convento. Antonio Sangallo il Giovane L’architetto completo è secondo Sangallo quello che unisce la perizia del disegno con quella del cantiere. Esempio massimo del suo tempo di quello che si può raggiungere in architettura attraverso l’ordine mentale, che tesaurizza le idee anziché abbandonarsi all’improvvisazione. (G.Giovannoni,1958) Lo studio storico spesso attribuisce ad Antonio Sangallo il Giovane la fama di abile costruttore, che ha poca dimestichezza con la ricerca del “vero bello dell’Architettura”.

a destra Particolare dell’antica facciata della chiesa di San Francesco


Il suo personale studio della disciplina comincia con il trasferimento a Roma, dove conosce Donato Bramante, Raffaello Sanzio e Baldassarre Peruzzi e dove si avvicina alla figura di Alessandro Farnese, intellettuale e futuro papa Paolo III. Il forte interesse per gli scritti e le opere architettoniche antiche, lo inducono ad operare una reinterpretazione del trattato “De Architectura” di Marco Vitruvio Pollione attraverso gli schizzi delle sue opere. Il trattato non viene mai realizzato, ma è grazie alla volontà di adempiere alla sua stesura, che ci pervengono un copioso numero di schizzi sangalleschi che ci permettono di analizzare la sua figura e quella dei suoi collaboratori. Sangallo preferisce concepire l’edificio come il risultato della somma di ele-

menti tecnici, distributivi e funzionali, e non come un’occasione per la ricerca del “bello” nell’Architettura. In questo modo la venustas non è che un fattore secondario dell’edificio, declassata dalla posizione originaria attribuitagli da Vitruvio, è in qualche modo assorbita nella sfera dell’utilitas, ridotta ai termini della dignitas, del decor di ciò che conviene… assume dunque in questo modo, valenze in ultima analisi utilitarie, strumentali, che non ne possono esaltarne l’importanza. (G.Giovannoni,1958) Il caso studio: i ruderi della chiesa di San Francesco a Pitigliano Le rovine della chiesa si trovano in una zona periferica del paese di Pitigliano. Il convento viene completato prima del 1522, su progetto di Antonio Sangal-

lo il Giovane, data in cui vi si celebra il matrimonio di Ludovico Orsini e Giulia Conti di Montalcino. Il complesso comunica inizialmente con l’antico Parco Orsini, oggi quasi totalmente perduto, prima che i frati stessi decidano di interrompere i collegamenti con il parco e rendere il convento un complesso sostanzialmente autonomo, come evidenzia la ricognizione del cancelliere del Tribunale di Pitigliano nel 1731 : Conferitomi… Al ponte del Prochio per ivi incamminarmi, presi il cammino per la strada che porta al San Francesco et essendo giunto alla porta per la qual s’entra in Strozzoni, fu osservata la medesima serrata a chiave. Il convento mantiene un buono stato di conservazione almeno fino al 1788. Già nel 1810 però con la soppressione

napoleonica dei conventi e dei luoghi ecclesiastici, la chiesa viene abbandonata dai francescani, e viene custodita da un eremita, che con l’elemosina riesce a mantenere discretamente la chiesa. Abbandonata la chiesa dall’eremita, Carolina Allegretti per testamento riceve il convento da Monsignor Barzellotti, e grazie ad una raccolta di beneficenza riesce a compiere alcune opere di restauro della chiesa. Nel 1855 viene per l’ultima volta utilizzata come lazzeretto in occasione dell’epidemia di colera di quegli anni. Nei primi anni del ventesimo secolo un grosso incendio comporta gravissimi danni all’intera chiesa, riducendola allo stato odierno. Nella seconda metà del ‘900 la chiesa subisce parziali restauri piuttosto invasivi visibili nella parte anteriore della chiesa.


Ad oggi il convento si presenta parcellizzato in due, l’area della chiesa ancora di proprietà della diocesi e la parte del dormitorio e del chiostro di proprietà privata. Alla luce della storia del convento, e senza un rilievo architettonico e stratigrafico dello stato attuale su cui leggere il susseguirsi delle fasi murarie, non sarebbe possibile immaginare un progetto di riqualificazione calibrato sulle rovine del complesso di San Francesco. Tuttavia, ad oggi sono disponibili i disegni originali di Antonio Sangallo il Giovane che lui stesso conservò meticolosamente. Questo materiale è consultabile nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi grazie anche ad una classificazione ordinata effettuata da Gustavo Giovannoni nella prima parte del secolo scorso. Lo stu-

dio perciò prosegue analizzando questi schizzi, da cui è possibile evincere una lettura compositiva del convento. La genesi del progetto cinquecentesco di San Francesco a Pitigliano L’edificio è pensato dall’architetto a partire dallo schema planimetrico. La composizione del complesso architettonico ruota attorno a due poli principali, quello del cortile del dormitorio e quello del chiostro. Fuori da questi due perimetri, che sono le uniche due aree a cielo aperto, si dispongono i corpi di fabbrica. Figurando un asse di simmetria centrale ai due chiostri, il complesso si struttura secondo un rettangolo di proporzione 1 a 2 in cui il lato lungo è quello dell’asse e la chiesa e il dormitorio si collocano alle due estremità. La disposizione dei corpi di fabbri-

ca segue una logica ben precisa. Quello che può a primo impatto sembrare lo schizzo di un’idea di progetto, riconducibile ad una fase iniziale, rappresenta già uno schema proporzionato che controlla accuratamente spazi compositivi. Sorge il dubbio guardando bene gli schizzi che la rigorosità e la precisione riscontrata nei disegni del Sangallo sia figlia di un canone, lo strumento geometrico necessario per tradurre l’idea dell’edificio in spazio misurato. Analizzando i disegni è in effetti possibile riconoscere una proporzionalità precisa. Da un’attenta analisi degli appunti a margine degli schizzi del Sangallo si ritrovano degli appunti sull’unità di misura adottata. Effettuando un rapido riscontro è stato possibile riconoscere l’utilizzo del piede romano come unità mensoria.

Antonio Sangallo grande studioso della classicità, si serve di una misura classica per rintracciare nelle proprie opere la giusta proporzione ed armonia tra le singole parti e il tutto, prova chiarissima delle conoscenze intellettuali dell’architetto.

pagina precedente Foto dalla strada dei ruderi della chiesa di S.Francesco in alto Foto della tavola n°811 A disegnata da Antonio Sangallo e contenente il disegno delle fortificazioni del paese e il convento di S. Francesco

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dall’alto verso il basso Studio della composizione progettuale del convento a partire dall’unità mensoria del CORTILE Studio della composizione progettuale del convento a partire dall’unità mensoria del CHIOSTRO Schema progettuale generatore del convento


in alto Modello tridimensionale dei ruderi della chiesa

Il rilievo architettonico dello stato attuale: un metodo per leggere lo spazio La campagna di rilievo si è divisa essenzialmente in cinque fasi, sopralluogo, progetto di rilievo, campagna fotografica, restituzione del dato e disegno degli elaborati. Per poter reperire e restituire tutto il dato necessario alla descrizione della rovina il rilievo dei ruderi della chiesa di San Francesco è stato effettuato attraverso la fotomodellazione, tecnica di rilevamento indiretto che restituisce modelli geometrici di manufatti a partire da una serie di fotografie. Pur essendo una tecnica di rilevamento indiretto è necessario, per completare il processo di restituzione, prendere una serie di misure attraverso il rilevamento diretto o strumentale e conferire al modello 3D la scala e l’orientamento esatti. Prima della fase di acquisizione della fotografia è necessario che le impostazioni della macchina fotografica siano calibrate correttamente, attraverso l’impostazione della lunghezza focale, delle ISO e dell’apertura del diaframma. Decise le impostazioni da utilizzare, si procede con la fase di scatto delle foto, che devono essere prese ad una distanza pressoché costante dall’oggetto in esame e che devono avere tra loro una percentuale di oggetto fotografato in comune pari a circa il trenta percento. Superata la fase

di acquisizione delle fotografie, si procede con la fase di elaborazione del dato, in questo caso ci si serve di uno dei software che permette la ricostruzione 3D dell’oggetto attraverso la fotografia. La fase finale di questo processo prevede di estrapolare dal modello tridimensionale gli elaborati architettonici bidimensionale necessari per la verifica dello studio e per il progetto. Analisi geometrica dello stato di fatto Estrapolati dal rilievo gli elaborati architettonici della chiesa al suo stato attuale lo studio si è focalizzato ancora una volta sulla ricerca della matrice geometrica attraverso la quale il progetto è stato realizzato. Dalla nuova analisi geometrica condotta sulla pianta della rovina si evince che la conferma che speravamo di riscontrare dal rilievo è esattamente confermata, l’unità mensoria utilizzata da Antonio Sangallo il Giovane per il progetto della chiesa e di conseguenza del convento è quella del piede: 29,6 cm.

a destra Pianta della chiesa di S. Francesco pagina successiva Studio geometrico dello stato attuale

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questa pagina Rilievo dello stato attuale

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Il progetto

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Abitare il paesaggio storico: un progetto per Poggio Strozzoni a Pitigliano

pagina precedente 1_veduta di Pitigliano, 2_veduta di Poggio Strozzoni Edificio di testa Il palazzo L’edificato ELEMENTI DI PROGETTO 1_cretto; 2_grotta; 3_affaccio; 4_ dislivello; 5_cannocchiale prospettico; 6_soglia

Presupposti del progetto L’intervento su Poggio Strozzoni propone di recuperare i ruderi della Chiesa di San Francesco e del Parco Orsini, attraverso la progettazione di strutture contemporanee che accolgano funzioni al servizio della comunità locale e dei visitatori, incentivando lo sviluppo locale. Per riattivare l’area, renderla nuovamente fruibile e parte di un unico sistema con il cuore del paese di Pitigliano, si è visto necessario pensare ad una spina funzionale che relazionandosi con le tracce storiche articola i nuovi inserimenti: il centro culturale diocesano di San Francesco ed il nuovo centro polifunzionale di Rocca Strozzoni. I due interventi sono l’articolazione di un unico sistema unitario mirato a creare una rete sinergica di relazioni

con le attività già presenti nel territorio per valorizzarne le risorse. Lo scopo è quello di creare uno spazio per attività culturali, di didattica e formazione incentrato sul territorio e sul patrimonio culturale, in modo tale da incrementare lo sviluppo turistico complementariamente alle imprese locali. La strategia di sviluppo ha come obiettivo l’integrazione del turismo, cultura, mercato d’impresa, partendo dalle competenze già radicate tradizionalmente nel luogo, in modo da trovare un filo conduttore tra l’identità storica e una prospettiva futura. Gli elementi del territorio diventano il punto di partenza per la lettura interpretativa da cui scaturisce il progetto.

Poggio Strozzoni

Strada di crinale

Progettare con il Paesaggio Nel territorio possono essere individuati degli elementi, gli iconemi1 che contribuiscono alla definizione dell’identità locale. Questi acquisiscono un significato che trascende dal solo valore funzionale o dal solo estetico, ma creano un sistema complesso che chiamiamo paesaggio. L’architettura contribuisce e ne è personaggio principale nella creazione di questo equilibrio e l’architetto diventa responsabile di una progettazione che sia rispettosa e che valorizzi i caratteri del luogo anche in visione di uno sviluppo che risponda alle esigenze della contemporaneità. L’architettura dovrebbe quindi essere “nel luogo" ovvero le forme devono essere in relazione con esso, l’architetto deve sensibilmente coglierne la storia e raccontarla con il linguaggio

dei muri e delle pietre. leggere un luogo per poi interpretarlo modificandolo attraverso il progetto. Dall’analisi del contesto è parso evidente che la spazialità tipica di tutto il complesso urbano storicizzato sia il frutto di un’azione progettuale che agisce per sottrazione.

Allineamenti perpendicolari alla curva di livello

Struttura dell’intervento

Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine e di un paese. Si può dire che gli iconemi stanno al paesaggio come il fonema sta alla parola.

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Edificio di testa Il palazzo L’edificato

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Masterplan del progetto 1_ Centro culturale San Francesco 2_ Centro di formazione Rocca Strozzoni 3_ Parco Orsini



Rocca Strozzoni un centro di formazione sul territorio

L’architettura che dialoga con il paesaggio Il progetto si propone con l’intento di recuperare il Parco Orsini e l’intero Poggio Strozzoni individuando nella valorizzazione del patrimonio storico culturale un’opportunità di sviluppo per Pitigliano. Si instaura un continuo dialogo con il territorio e la sua storia che si traduce nel progetto contemporaneo. Il Parco Orsini viene integrato nel sistema che struttura il Poggio unendo il San Francesco, la Rocca e il territorio circostante in un unico sistema. La Rocca Strozzoni diventa il fulcro del Poggio, il principale punto di accesso e di accoglienza del Parco. È una struttura a cui convergono le attività del territorio riservando spazi per la formazione pratica e teorica. Il progetto intercetta i caratteri architettonici ed insediativi del paese di Pitigliano e più in generale dell’Area del Tufo calandosi nel luogo. I materiali, le tradizioni, il legame con la topografia sono lezioni che devono essere apprese prima di progettare in un contesto con una profonda ed antica cultura. I

colombari, le grotte rupestri, le vie cave che tagliano la roccia, gli affacci sul panorama, sono suggestioni che riaffiorano nel progetto. La fase progettuale poggia le basi sulla precedente indagine di ricerca, fondamentale nell’individuazione delle strutture che sono e sono state significative e che quindi devono essere ricordate perché appartenenti intrinsecamente al luogo e determinanti della sua identità.

in alto Immagine rappresentativa del progetto. Olio su tela dell’autore

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da sinistra Analisi della struttura urbana di Pitigliano Schema delle direttrici di progetto su Poggio Strozzoni pagina successiva, dall’alto in senso orario Vano ipogeo del Museo della Sinagoga, Pitigliano; Colombario; Ingresso al dromos; Tronco di cono scavato nella roccia in un vano ipogeo, Ristorante il Noce, Pitigliano




pagina precedente Assonometria del Parco di Poggio Strozzoni

Gli elementi del parco di Poggio Strozzoni 1 Accesso al Parco 2 Elemento Parco Orsini 3 Cisterna 4 Rocca Strozzoni 5 Accesso all’uliveto 6 Area pic-nic 7 Area giochi 8 Torre dell’Arte 9 Stanze dell’arte 11 Ingresso al bosco 12 Statua del Dio Fluviale 13 Torre di ingresso 14 Scalette scolpite 15 Sedili 16 Nicchia con piazzale circolare 17 Sedile umano 18 Sedile del Papa 19 Venere 20 Sedili 21 Scalette 22 Sedili 23 Belvedere 24 Grotta 25 Impianto mini idroelettrico 26 Gora 27 Belvedere scolpiti sopra la cava 28 Porte incise sulla parete rocciosa 29 Grotta sottostante lo sperone roccioso 30 Parcheggio della Rocca Strozzoni

dall’alto Vista del nuovo belvedere sulla cava verso Pitigliano Progetto di una fonte in prossimità della statua della Ninfa



pagina precedente Pianta piano primo, gli elementi emersi nei sopralluoghi sono indicati con numeri: 21 _Sperone belvedere; 23_Sperone roccioso; 24_Tracce di una struttura ipogea e presenza di acqua; 27_Frammento murario del perimetro del Parco Orsini; 37_Tracce di un canaletto scavato nel tufo tipo catena d’acqua in basso Prospetto settentrionale della Rocca Strozzoni

Il Parco Il progetto segue le direttrici del vicino paese di Pitigliano e degli altri borghi storici arroccati tipici dell’Area del Tufo. Una strada di crinale taglia centralmente tutto il parco spezzandosi in corrispondenza delle perpendicolari che suddividono l’uliveto nelle diverse zone tematizzate distribuite lungo il percorso. Una strada in quota circonda il pianoro e ne segna il confine: è il percorso delle mura che intercetta gli speroni rocciosi, i nuovi belvedere, e divide la città dal bosco.

Al centro dell’altopiano un uliveto, la Natura addomesticata, identifica la città. Gli alberi di olivo rappresentano il paesaggio tipico dell’Area del Tufo e degli altopiani che contornano Pitigliano, e disegnano un giardino regolare e produttivo che diventa luogo di formazione all’aperto. All’esterno, lungo i versanti scoscesi, si contrappone la Natura selvatica, il bosco, dove si trovano i resti del Parco Orsini ed i nuovi interventi puntuali che creano una rete che abbraccia lo sperone. Il visitatore è condotto dai percorsi, ma anche da

riferimenti visuali: una torre, di dimensioni minori rispetto a quella della Rocca, individua l’area centrale del pianoro. I percorsi in quest’area sono rettilinei, tra loro paralleli o perpendicolari, mantengono una struttura cardo-decumana in cui si individuano delle stanze all’aperto (l’area picnic, l’area giochi, le stanze dell’Arte). Quando i sentieri arrivano alla soglia del bosco, cambiano carattere e diventano tortuosi, intricati, assimilandone i caratteri. Si scoprono i sedili del Parco Orsini, nelle sue rivelazioni cinquecentesche e



Titolo capitolo

pagina precedente Didascalia

pagina precedente Pianta piano zero 1_ accesso; 2_area amministrativa: accesso, sala riunioni, ufficio; 3_ area ricettiva: area ristoro, area vendita ed esposizione dei prodotti locali, servizi; 4_ punto informativo; 5_ sala conferenze; 6_area didattica: aule e laboratori per attività di formazione, servizi, area amministrativa; 7_torre; 8_accesso al Parco in alto Sezione trasversale CC’

allo stesso tempo di carattere etrusco. Alla fine del groviglio in cui troviamo la Ninfa, il Fauno (sedile antropomorfo), il sedile del Papa, e gli altri, che è stato chiamato il Bosco incantato si arriva sopra la cava la cui parte sommitale è stata scolpita e sono state create delle terrazze da cui si torna a poter contemplare il paese di Pitigliano. Dall’altro lato del Parco, più ad Est si trova un altro accesso al bosco: dal piazzale della Rocca, dove è stato ritrovato il vano ipogeo con l’acqua parte il Percorso dell’Acqua, che segue

quella che è stata individuata come una sorta di catena d’acqua e che si dirige verso la base della torre rocciosa belvedere, da cui si prosegue verso valle attraverso una strada che dolcemente scende, intercettando una grotta scavata e una delle strutture incassate nel terreno a pianta circolare, ipotizzata come trappola. Per riscoprire la storia del territorio e il rapporto con il bosco si propone di completare con le opere artistiche la narrazione della storia del luogo e dei personaggi che lo abitano, riallaccian-

dosi agli usi tradizionali. Nel concetto di Arte Ambientale (Mazzanti, 2004) gli artisti vengono chiamati a pensare di proiettare le loro opere in un posto preciso o scegliere il luogo che ispiri l’atto artistico. Diventa primaria la riflessione del rapporto tra Uomo e Natura, spazio e tempo, la collocazione all’esterno che implica un percorso che spesso viene associato ad una ricerca interiore. La realizzazione in situ dell’opera e la relazione tra Parco ed artisti, prolungata nel tempo, mette in moto un sistema di collaborazioni e relazioni


questa pagina Sezione longitudinale pagina successiva Assonometria della Rocca Strozzoni

tra enti, favorevole per l’economia locale che possa contribuire alla valorizzazione territoriale. Rocca Strozzoni, centro polifunzionale del Parco Orsini La spina del Parco è la Rocca Strozzoni, un complesso che si articola modellando il crinale del Poggio e si pone come centro di presidio dell’intero sperone e del territorio circostante. Alla Rocca si arriva tramite una deviazione della via di San Francesco, un taglio profondo nella roccia che conduce al versante nord. Nell’idea di fare delle tracce storiche i punti cardine che piegano il progetto, il punto di accesso si colloca in corrispondenza di un piedritto che si ipotizza essere uno degli accessi originari del Parco Orsini. La Rocca si configura come una sequenza di volumi in-

tagliati nel tufo in cui vengono ospitate sia funzioni a carattere recettivo che attività di formazione. Il progetto ha come punto di partenza l’analisi del paese di Pitigliano e della logica insediativa dell’Area del tufo. La struttura si pone a difesa dell’accesso più facile: quello dall’altopiano e accoglie le funzioni necessarie a rendere il progetto autosufficiente, ma satellite agli altri servizi offerti dal vicino paese in modo da rafforzare la rete di attività sul territorio. I volumi della nuova Rocca sono puliti, stereometrici, scavano montagna simulando un’operazione in negativo, per via di levare piuttosto che per quella di mettere. La pianta quadrata è generata da una geometria modulare evidente che cerca nella proporzione degli ambienti un legame con il tessuto storico del paese: una compo-

sizione di moduli quadrati, 4.5 m x 4.5 m, che si sommano e ruotano seguendo l’andamento delle curve di livello. Il centro polifunzionale si sviluppa su un livello, al pari della strada di accesso, ma attraverso numerose rampe e scale si creano collegamenti tra i livelli del terreno e gli spazi circostanti all’edificio. Gli spazi si articolano secondo uno schema distributivo principale rappresentato da un asse longitudinale che si adatta con percorsi secondari alla funzione degli ambienti. L’asse distributivo segna la distinzione tra spazi di servizio dal lato contro-terra e spazi serviti. La parte recettiva è contenuta nel primo volume che articola attorno ad un chiostro centrale; è composta da un’area di ristoro e da un’area di esposizione e vendita dei prodotti locali. Lungo l’asse distributivo si collo-



cano una serie di volumi tra cui l’auditorium e il plesso con le aule laboratorio. Dall’altro lato della terrazza panoramica si trova il centro amministrativo direttivo del complesso. Nell’articolarsi i riferimenti rimangono quelli del territorio: le vie cave, i dislivelli, la massa del tufo, la sottrazione, i colombari. L’attualizzazione di questi elementi e la reinterpretazione plasma spazi nuovi, ma che in qualche modo appartengono già al luogo. La sequenza di volumi termina con una Torre, punto conclusivo della Rocca, ma accesso alla città, il Giardino degli Ulivi che si estende sul promontorio. La torre è un riferimento che visibile anche da lontano, identifica il Luogo. Allo stesso tempo offre un punto panoramico unico a 360° da cui vedere il paese, la valle e il San Francesco.

La Torre al piano terreno è libera e dà accesso all’uliveto attraverso una gradonata. L’interno invece è scavato da un cono che ricorda i granai presenti in paese e che poi sono stati riadattati dagli abitanti in ristoranti o usati come cantine. La punta del cono è scoperta e permette il passaggio della luce creando un’atmosfera scenografica che sorprende il visitatore. La struttura è massiva e composta prevalentemente da due materiali che ne definiscono il carattere litico: il tufo e il cemento. Il tufo rappresenta la costruzione locale: dalle primitive caverne, le necropoli costruite per sottrazione, alle strutture medioevali, fatte da conci che si compongono per addizione. Pur essendo una pietra porosa e soggetta all’erosione proprio per questa caratteristica è anche facilmen-

te lavorabile e leggera per essere trasportata. Il cemento è la pietra artificiale, simbolo della modernità, dialoga con un linguaggio contemporaneo. Il muro definisce degli spazi chiusi e la solida struttura, nel suo essere permanente, duratura e resistente al passaggio del tempo, si mette in relazione con la storia.

in alto Sezione trasversale DD’ pagina successiva Vista del percorso sulla Rocca e della Torre




pagina precedente Collage metafora del progetto Titolo: "Percorsi scavati"

Dal rilievo al progetto contemporaneo: un edificio al servizio degli uomini L’attuale cultura del restauro propone un metodo progettuale conservativo che tende a considerare la dimensione materiale dell’edificio congelandone lo stato attuale, o ricostruendo le parti mancanti dell’opera allo stato originale, dimenticandosi in parte delle ragioni per cui un edificio è nato. Un architetto di contro è abituato a pensare all’edificio come alla metafora di un altro linguaggio, come la realizzazione fisica di un concetto astratto, di un’idea. Estremizzando la riflessione non c’è nessun tipo di differenza fra un libro ed un’Architettura, se si considerano entrambi come testimonianza dell’azione di un uomo, lo scrittore o l’architetto, che tenta di donare ad un altro uomo una forma di beneficio. Non è importante perciò secondo l’architetto lo stato fisico della materia, è fondamentale però che questo stato fisico sia la traduzione di un’idea, che è l’elemento principale, vitale e fondante l’Architettura. La riflessione che si vorrebbe proporre perciò per quanto riguarda il tema della ricostruzione delle rovine è la seguente, ed è probabilmente estendibile anche al campo del restauro architettonico. Un edificio ed una rovina meritano di essere mantenuti e con-

L’architettura contemporanea nasce dalla tradizione Il centro culturale di San Francesco a Pitigliano

servati allo stato attuale se, essendo parte della città e cioè sistema originariamente a servizio dell’uomo e della società, assolvono ancora alla loro funzione fondamentale, quella di essere abitati. Anche Vitruvio propone nel suo trattato De Architectura fra i tre punti fondamentali di un edificio l’utilitas, spesso oggi tradotta con il termine “funzionalità” e perciò declinata al carattere distributivo dell’Architettura, ma che probabilmente significa in maniera più generale utile ad uno scopo. Nel caso del rudere ad esempio, se questo ormai non è più testimonianza perché ridotto ad uno stato impietoso e non più riconducibile ad un’idea, perde completamente la sua utilità perché l’uomo non può più trarne un insegnamento, un beneficio. Se c’è un’utilità in un rudere è appunto quella di testimonianza del passato, e per questo deve essere a tutti i costi conservato. Nel caso invece in cui dalla rovina sia possibile ancora estrapolare una testimonianza, è auspicabile attraverso un intervento contemporaneo renderla di nuovo evidente, leggibile e comprensibile all’uomo, che può di nuovo in quel caso servirsene ed abitarla. A San Francesco nello specifico, attraverso lo studio della rovina non era possibile ricondurci ad uno stato primordiale dell’opera, che comunque non può essere riproposto oggi.

Il progetto perciò attraverso l’interpretazione del dato reperito dall’analisi, trova attraverso un’espressione contemporanea una forma che tenta di aggiungere un senso al senso della preesistenza. Al pari del ricordo la rovina è un frammento della memoria che descrive in maniera non esauriente l’opera alla quale appartiene. L’incompletezza della rovina però può essere considerata a tutti gli effetti come uno stato transitorio dell’edificio, che ci aiuta a comprendere la sua passata grandezza, ma anche la sua temporaneità in quanto artificio creato dall’uomo. Lo stato di fatto dell’edificio spoglio del superfluo “può a volte però rivelarci l’essenza compositiva dello spazio che essa rammemora, una tensione solitamente sepolta dalla totalità della geometria, o solitamente occultata dalla forza della materia.” La rovina è ancora un luogo, in attesa, di cui non si ha bisogno solo di mantenere la materia, ma con cui il progetto, sistema strutturato di segni, deve entrare in dialogo per rintracciare quei valori di cui l’architettura si è sempre fatta portavoce e metafora. Interviene una visione che mira a comprenderne prima di tutto l’idea da cui viene generato lo spazio stesso. La prima traccia di quest’idea è il “tempo interno” della rovina, il suo ritmo, la sua

essenza spaziale, che ora può emergere dalla costruzione priva delle sue sostruzioni, che ci impedivano una volta che l’opera era ancora integra, di abbracciarne con un unico sguardo la vera composizione architettonica. La seconda traccia di questo senso della rovina è da rintracciare nello stretto legame con il luogo in cui è stata realizzata, e con cui ha tessuto nel passato e conserva tutt’ora nel luogo mutato, importanti relazioni. Tutto questo fa sì che si possa considerare la rovina architettonica come un elemento unico, a maggior ragione da valorizzare e da riprogettare, tenendo in considerazione le opportunità e le capacità che scaturiscono dalle sue singolarità ed esaltandone di nuovo la vitalità. Il progetto è lo strumento attraverso cui la sensibilità del progettista pro-iettare, “porta avanti”, il dato presente con un linguaggio capace di parlare al futuro.

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questa pagina Schema progettuale del nuovo intervento. L’idea è quella di generare un percorso che segua la particolare tofografia del territorio e la regola geometrica imposta dal Sangallo

Schema geometrico di facciata basato sull’utilizzo del piede romano

Il centro studi San Francesco a Pitigliano Il centro studi diventa così, analogamente alla città, una sovrapposizione di livelli verticali e orizzontali, lungo il percorso che dalle prime sale di uso comune è articolato per raggiungere lo spazio più specializzato della navata centrale, vicino al quale, oltre la parete di vetro troviamo la Conoscenza, rappresentata dall’albero delle mele. È seguendo quest’idea che si cerca di evidenziare nuovamente il carattere liturgico dell’edificio, trasponendo tut-

tavia in un centro studi l’essenza spaziale della vecchia chiesa. Lo schema delle nuove parti del progetto utilizza la stessa matrice geometrica applicata al progetto originale dal Sangallo, in modo da intrecciare profondamente la nuova realtà con quella antica rispettandone la composizione. Ma non è solo attraverso la funzione pubblica che l’edificio si apre alla città.Individuate infatti le caratteristiche tipiche delle costruzioni di Pitigliano e il modo in cui tali edifici si relazionano con la topografia, il territorio e il tufo

dello sperone, abbiamo tentato di stabilire una forma di intervento in grado di rendere finalmente la vecchia chiesa un frammento della città. L’idea è di progettare un basamento ai piedi dell’edificio, sfruttando il terreno antistante di proprietà della diocesi, al fine di ricordare il modo in cui l’insediamento storico della città si relaziona con lo sperone. Adeguando le nuove parti alla pendenza della strada di fronte alla chiesa, è stato possibile concepire un ingresso dal livello sottostante l’attuale quota del-

la chiesa ed in continuità con il livello della strada. Una volta entrati nell’edificio dal nuovo basamento, l’accoglienza costituisce la cerniera che dirige il flusso dei visitatori a seconda dell’area dell’edificio dove devono recarsi.

pagina successiva Vista dalla strada del nuovo centro studi




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Masterplan di progetto


Sullo stesso piano basamentale troviamo due sale per seminari con servizi multimediali, vani tecnici, sale per il personale, servizi e una piccola sala espositiva direttamente sotto il livello della chiesa, da cui una scala aerea conduce al centro della sala princi-

pale del centro studi. La suddetta scala, elemento cardine ed espressivo del progetto sancisce il vero ingresso nella vecchia sala della chiesa e sottolinea il tema e l’idea fondamentale sia della chiesa che della biblioteca, il percorso di avvicinamento verso qualcosa

o qualcuno. Il parapetto della scala si prolunga nell’aula ussumendo una forma a ferro di cavallo, attorno alla quale si sviluppano le postazioni studio della sala pensate in maniera tale da favorire la circolarità delle idee. L’arredamento si integra con il progetto archi-

tettonico e diventa un elemento chiave dello spazio, al punto che i pilastri in legno, che ricreano il profilo a capanna della chiesa, sono allo stesso tempo librerie e supporto strutturale, anch’essi perciò metafora del supporto fondamentale dello studio dei testi per la ri-


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in alto Sezione di progetto passante l’ingresso

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cerca della Conoscenza. I pilastri di legno e la libreria stabiliscono un nuovo equilibrio spaziale della sala principale e delle tre cappelle laterali, ora funzionali e di servizio alla prima. Mentre il parapetto della scala diventa il banco principale di consultazione dei libri,

la pavimentazione attraverso l’utilizzo di pose in opera differenti divide idealmente gli spazi di percorrenza da quelli di sosta. L’esterno, di fronte alla chiesa e superiore al nuovo basamento, assume le sembianze di un giardino terrazzato, che sfrutta l’altimetria per in-

trodurre la facciata dell’edificio, reinterpretando il filtro spazio del portico antico, precedentemente di fronte alla facciata.


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in alto Sezione di progetto passante l’aula principale

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questa pagina Pianta all’altezza del basamento abitato 1_ piazza esterna; 2_aula; 3_reception; 4_ripostiglio; 5_archivio; 6_zona espositiva; 7_servizi; 8_vano tecnico; 9_ archivio superiore pagina successiva Vista interna della sala espositiva

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1 questa pagina Pianta all’altezza dell’aula principale 1_giardino esterno; 2_aula principale; 3_sale studio laterali; 4_giardino tergale pagina successiva Vista interna all’aula principale

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Postfazione

Un professore è in fondo un inguaribile ottimista e quando vede gli esiti della formazione di alcuni studenti, è certo che il futuro è posto in buone mani. Perché è di questo che si tratta, della capacità di pro-iectus, gettare in avanti seguendo una visione attenta che ha messo a frutto tutte le noiose nozione degli anni di studio. Non intendo esprimermi sui progetti in quanto tali, ma vorrei sottolineare come essi siano eloquenti di una coscienza progettuale sensibile verso l’altro e verso il passato ma con una affermazione orgogliosa dell’oggi anzi, come dicevo, del Futuro. Gli autori, ormai colleghi, hanno avuto un coraggio che a molti di noi navigati architetti e teorici dell’architettura ci è mancato. È innegabile che si sia abdicato all’architettura ed alla discussione con la storia per i lidi più tranquilli dello star system, che nel nostro ambito chiamiamo Archistar, a cui si è lasciato campo aperto senza un reale confronto di merito sui perché del progetto, senza che l’accademia abbia messo sotto stress un linguaggio architettonico ormai balbuziente. Ho invece sotto i miei occhi due menti fresche che si sono messe a discutere con San Gallo, con gli Etruschi, con la storia di una comunità ed hanno compiuto una azione architettonica reale, vera, inaudita per molti. Ma è questa la cosa più importante, hanno dimostrato una libertà di pensiero ed una coerenza con la storia, da cui hanno tratto la vera grande lezione, tutto diviene, ma chi studia più Eraclito! È capitato che fra noi professori ci si sia domandato se mai fosse lecito mangiarsi le rovine di un monumento e intervenire in un territorio paesisticamente di valore. Molti nella loro certezza accademica hanno risposto con un secco no! Ma vi dico che essi sono morti e non riescono ad immaginarsi un futuro anzi, terrorizzati dall’altro, dall’idea dell’altro, preferiscono un rudere che vedere l’idea di San Gallo ricostituirsi nell’oggi declinata ed arricchita dalla contemporaneità. Oppure preferiscono lasciare gli antri etruschi ad una memoria sbiadita e ormai ignota ai più anziché celebrarli in nuove spazialità dove esaltare la forza tettonica di un territorio. La paura ha governato le menti degli architetti dello scorso secolo, l’arroganza governa quelli di questo periodo, il coraggio e l’altruismo governerà il futuro, ne sono certa dopo aver visto questi due coraggiosi, liberi e realistici progetti di architettura. Non mi rimane altro che ringraziare i due autori augurandogli un futuro non conformista per trovare il coraggio di rimanere nella minoranza intellettuale, d’altro canto Michelangelo non fu contestato per la Sistina? Ma chi erano i contestatori? Io non ne ricordo i nomi.

Cecilia Maria Roberta Luschi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Bibliografia

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Indice

Tesi come passaggio Fabio Fabbrizzi

5

Paesaggio storico

7

La struttura urbana di Pitigliano

9

Parco Orsini

11

Il convento di San Francesco. Un progetto di Antonio Sangallo il Giovane

19

Il progetto

27

Abitare il paesaggio storico: un progetto per Poggio Strozzoni a Pitigliano

29

Rocca Strozzoni, un centro di formazione sul territorio

33

L’architettura contemporanea nasce dalla tradizione. Il centro culturale di San Francesco a Pitigliano

47

Postfazione Cecilia Luschi

61

Bibliografia

62


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Gennaio 2021



Il territorio italiano è disseminato di reperti che testimoniano la storia e cultura dei popoli che lo hanno abitato nel corso del tempo. Molto spesso questi segni del passato, patrimonio di enorme valore, vengono dimenticati e abbandonati. Questo è il caso della chiesa di San Francesco ed il Parco Orsini, situati sull’altopiano di Poggio Strozzoni presso Pitigliano, un paese a sud della Toscana, in un territorio con una storia antica detto anche Area del Tufo. Il Parco e la chiesa, da sempre legati, di origine cinquecentesca e appartenenti ad un momento particolarmente fiorente per Pitigliano, sono oggi in stato di degrado, ma vengono individuati come opportunità per lo sviluppo contemporaneo del paese. Il recupero, infatti, propone di creare nuovi spazi per attività culturali, di didattica e formazione: il centro culturale diocesano di San Francesco ed il nuovo centro polifunzionale di Rocca Strozzoni. I due interventi sono l’articolazione di un unico sistema mirato a creare una rete sinergica di relazioni con le attività già presenti nel territorio per valorizzarne le risorse. Il lavoro di tesi si articola in diverse fasi, dalla ricerca archivistica, al rilievo, fino al progetto architettonico. Il nuovo intervento si innesta sul contesto storico e fa dei caratteri tradizionali la matrice alla base di un progetto contemporaneo che cerca un rapporto dialogico con il suo passato.

Novella Lecci architetto, nasce a Fiesole (FI) nel 1994, si forma presso la Scuola di Architettura dell’Università di Firenze dove si laurea in Scienze dell’Architettura nel 2016, relatrice la Prof.ssa C. Luschi, e consegue la laurea magistrale in Architettura a dicembre 2019 con relatore il Prof. F. Fabbrizzi. Luca Pasqualotti architetto, nasce ad Arezzo nel 1994, si forma presso la Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, laureandosi con lode il giorno 20 Dicembre 2019 con la tesi presentata in questa pubblicazione, relatore Fabio Fabbrizzi.

ISBN 978-88-3338-134-3


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