Finn Juhl | Rebecca Carrai

Page 1

rebecca carrai

Finn Juhl L’architetto



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Per l'originalità del tema di tesi, la complessità della trattazione, la metodologia adottata e l'innovatività dei risultati”. Commissione: Proff. F. Lucchesi, A. Belluzzi, G. De Luca, G. Belli, I. Zetti, V. Lingua, E. Ferretti

Ringraziamenti Desidero ringraziare il mio relatore, il professore Amedeo Belluzzi, il quale mi ha motivato nella ricerca storica, nell'approfondimento della conoscenza dell'opera architettonica di Finn Juhl; mi ha trasmesso il rigore del metodo, la curiosità dell'indagine, la problematicità delle risposte. Ringrazio inoltre il mio correlatore, il professore Gianluca Belli, il quale ha offerto spunti di riflessione interessanti ed è stato di ausilio nell'individuazione del tema di ricerca, verificandone l'originalità. Voglio esprimere gratitudine verso coloro che hanno collaborato alla resa di questa pubblicazione: il Sig. Peter KjærgaardPetersen e la Sig.ra Natalia Fedorova: la Sig.ra Birgit Lyngbye Pedersen; la Sig.ra e il Sig. Lenskjold, i quali mi hanno permesso di visitare le loro abitazioni; la mia coinquilina Sidsel Olsen, di fondamentale aiuto nella traduzione del materiale in lingua danese; il collega Asmund Skeie, che mi ha accompagnato all'esplorazione delle ville di Finn Juhl; ed infine il personale dell'Archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen, le Sig.re Christine Rosenlund, Sara Fruelund e Anja Lollesgaard, le quali mi hanno assistito nella ricerca delle fonti storiche. Dedico questa fatica ai miei cari che mi hanno costantemente sostenuto, incoraggiato e apprezzato in questo importante percorso di crescita culturale.

in copertina Caricatura di Finn Juhl da M. Hartung, Finn Juhl at the Mobilia Club, 1965

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gianluca Buoncore

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 9788833381152

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


rebecca carrai

Finn Juhl L’architetto



Presentazione

pagina precedente (1) Firma di Juhl dall'archivio digitale del Design Museum Denmark

Finn Juhl fa parte di quella folta schiera di progettisti nordici che hanno piegato le istanze meccaniciste e internazionaliste del Movimento Moderno verso un’attenzione più spiccata ai bisogni umani e ai suggerimenti dell’ambiente, finendo per dar vita a un vero e proprio fenomeno di gusto – il cosiddetto stile scandinavo – che paradossalmente si è a sua volta imposto a tutte le latitudini e sfruttando ampiamente i meccanismi di produzione industriale. A differenza di altri progettisti che hanno contribuito a questa epopea, come Alvar Aalto, Arne Jacobsen o Jørn Utzon, Juhl non ha però mai goduto di una vera fama internazionale, nonostante il successo di alcune sue opere e l’attenzione rivoltagli da colleghi e critici a lui contemporanei. Soprattutto, la notorietà di Juhl è stata per lo più legata alla sua attività di progettista di arredi, mentre le sue opere architettoniche sono sempre state relegate in secondo piano. La ricerca di Rebecca Carrai tenta di colmare questa lacuna storiografica, rileggendo le sue architetture più importanti – tra le quali in particolare una serie di case unifamiliari – a partire dall’analisi delle fonti documentarie e attraverso una lettura degli spazi e degli elementi linguistici, considerati nella loro evoluzione temporale e in rapporto agli arredi previsti dal progettista. La dialettica tra spazio e arredi è infatti uno degli elementi cardine della poetica architettonica di Juhl. Per Juhl gli spazi della casa prendono forma a partire dall’arredamento, vale a dire dal modo in cui le necessità della vita vengono organizzate e soddisfatte. L’evolversi di queste necessità nel tempo comporta una variazione degli arredi e quindi degli spazi. L’architettura di Juhl infatti è un’opera aperta, come Rebecca Carrai dimostra ricostruendo le trasformazioni della casa dell’architetto a Charlottenlund. La concezione totalizzante dell’architettura, per la quale spazi e arredi concorrono a realizzare un’opera organica alle esigenze umane; la disponibilità a considerare le proprie creazioni come passibili di mutamenti; e lo sforzo di assumere un approccio da artigiano, pur venendo a patti con le esigenze della produzione industriale, fanno di Juhl un erede diretto e un continuatore degli ideali Arts and Crafts, e non semplicemente un estetizzante disegnatore di mobili. La ricerca di Rebecca Carrai costituisce un tassello e uno stimolo per la rivisitazione critica di Juhl in questa direzione. Gianluca Belli Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

5



Introduzione a Finn Juhl

pagina precedente (2) Primo articolo in italiano su Finn Juhl. 1947, Una Casa in Danimarca, «Strutture» pagina seguente (3) Soggiorno di Casa Juhl. Da Hansen P. P., 2014.

When trying to give an account of one of the most prominent modern Danish designers we must not look at his results only; his local background and the different views under which these results were created are imperative to our understanding and valuation of his importance. (Salicath B., 1995, p.1) In Danimarca, Finn Juhl (1912-1989) è un personaggio conosciuto, stimato soprattutto per il suo contributo nel campo dell’arredamento e delle arti applicate attorno alla metà del XX secolo. Gli anni Trenta rappresentano il periodo storico in cui Finn Juhl debutta come furniture designer, sullo sfondo di un complesso ed articolato contesto geografico, sociale, economico e culturale. La scuola di Kaare Klint, la Reale Accademia delle Belle Arti, la Gilda degli Ebanisti e altre istituzioni simboleggiano i punti cardinali della scena artistica e culturale dell’epoca, un periodo storico di fermento che investe la città di Copenhagen durante i primi decenni del Novecento. Finn Juhl esordisce nel panorama artistico danese nel 1937 esponendo la Sedia Cavalletta alla mostra annuale promossa dalla Gilda degli Ebanisti di Copenhagen, ma non è possibile affermare che egli condivida del tutto i principi di questa organizzazione. I suoi mobili destano scalpore tra i visitatori

della Snedkerlaugets møbeludstilling, mostra annuale della Gilda degli Ebanisti, una istituzione che si propone di coniugare le idee creative dei progettisti con la sapiente manodopera degli artigiani, auspicando un connubio tra spirito di modernità e principi tradizionali. Tra i maggiori esponenti vi è Kaare Klint, visto da molti come colui grazie al quale il design moderno si è sviluppato in Danimarca. Egli è il direttore della Scuola di Architettura alla Reale Accademia di Belle Arti e il portavoce di un gruppo di designers mossi dagli ideali etici propri della cultura scandinava, le cui radici sono riscontrabili nella Scuola di Folclore del pastore luterano N. F. S. Grundvig, nei teoremi della scrittrice svedese Ellen Key, nel concetto della società Skønvirke1, nello slogan propagandistico di Gregor Paulsson Vackrare Vardagsvara2 (Paulsson, 1919)² e nel neoclassicismo di P. V. Jensen-Klint e Kay Fisker. Sebbene i mobili del giovane Juhl siano considerati astratti, alla moda, e talvolta siano incompresi per la loro originalità, sono esposti alla mostra anSocietà fondata nel 1907 da Jens Møller-Jensen in Danimarca col fine di promuovere le arti applicate artigianali e tradizionali, la cui estetica sfocia in forme decorative ricche ed esagerate. 2 Saggio che anticipa temi celebrati durante l'Esposizione di Stoccolma, evento canonicamente identificato come l'introduzione dell'architettura moderna in Scandinavia, e di cui Paulsson è uno degli organizzatori. Il titolo del saggio sta a significare “più cose belle nell'uso quotidiano”. 1

nuale della Gilda degli Ebanisti allo stesso modo di quelli progettati da noti designers danesi del tempo, tra cui Kaare Klint, Børge Mogensen o Hans J. Wegner. Con la progettazione della propria casa, Juhl viene riconosciuto nel panorama nazionale anche per le opere architettoniche. In Danimarca il progetto è pubblicato per la prima volta sulla rivista, «Arkitekten», (Juhl, 1944, pp. 121-127) nell’anno 1944; mentre in Italia appare su «Strutture» solo tre anni dopo. Nel 1950, un altro articolo inerente alla casa viene pubblicato sulla rivista «Domus»: è scritto da G. B. De Scarpis e presenta le stesse fotografie ed illustrazioni dell’articolo di «Arkitekten» di sei anni prima. Finn Juhl viene introdotto nel panorama italiano con queste parole: Presentando Finn Juhl, architetto, arredatore, ideatore di mobili e ceramiche, avviciniamo il pubblico italiano ad uno dei rappresentanti più significativi della giovane scuola danese, e ad un artista che assomma a queste prerogative nordiche una sensibilità, una immaginazione, un eclettismo umanistico sorprendenti. (De Scarpis, 1950, pp. 19-24) Nel 1951, Edgar Kaufmann Jr., figlio del noto imprenditore statunitense

Edgar J. Kaufmann ed all’epoca curatore del dipartimento di Industrial Design del MoMa, invita Finn Juhl ad allestire la sua prima mostra negli Stati Uniti d’America intitolata Good Design. Nel 1954, il catalogo della mostra itinerante più celebre al mondo sulle arti applicate dei Paesi scandinavi, Design in Scandinavia, illustra gli arredi di Finn Juhl, tra cui la maestosa Sedia del Capo, la cui fotografia occupa un’intera pagina del volume (Remlov, 1954, p. 100). Dalla metà degli anni Cinquanta, Finn Juhl è considerato una celebrità tanto in America quanto in Danimarca, al punto che Anders Hostrup-Pedersen, amministratore delegato della Georg Jensen, lo elegge architetto ufficiale della nota ditta di argenti, commissionandogli in seguito anche il progetto della sua resistenza estiva a Raageleje. Riguardo alla fortuna dell’architetto, Bent Salicath sostiene che Juhl venga apprezzato prima in America che nel suo stesso Paese (Salicath, 1955, p. 20). Martin Hartung spiega la ragione del ritardo nel successo di Finn Juhl in Danimarca attraverso la descrizione del contesto socio-culturale e delle figure che dominano la scena artistica agli inizi della carriera dell’architetto, come ad esempio Kaare Klint e la sua scuola, a cui l’architetto si oppone, proponendo un design non corri-


spondente alle idee estetiche dei predecessori (Hartung, 1965). Dopo il ‘boom’ di commissioni degli anni Cinquanta, dagli anni Sessanta sino all’anno della morte (1989), parallelamente al graduale declino della cosiddetta Golden Age of Danish design, per Juhl gli incarichi iniziano a diminuire ed egli è impegnato soprattutto nell’allestimento di mostre retrospettive. The Arts of Denmark, Viking to Modern del 1960 al MoMa di New York e Two Centuries of Danish Design (Hiort, 1968) del 1968 al Victoria & Albert Museum di Londra, laddove, venti anni prima, era stata allestita A Century of Danish Design da Kaare Klint, testimoniano la fama dell’architetto maturata durante gli anni precedenti. L’attenzione critica circa l’opera di Juhl torna in auge dopo la sua scomparsa e nel 1990 viene pubblicata la prima monografia completa da Esbjørn Hiort (Hiort, 1990), in lingua danese ed inglese. La fortuna postuma dell’architetto deve molto alla seconda moglie Hanne Wilhelm Hansen, la cui Casa musicale Wilhelm Hansen Fonden possiede tuttora i diritti delle opere di Finn Juhl. Da questo momento in poi, la sua fama si propaga a livello internazionale, fino al Giappone dove nel 1990 ha luogo il memoriale per la morte di Juhl ad Osaka (Abe, Tetsuo, Satoshi, Noritsugu, Haijme, Reiko, 1990). Per quanto riguarda la conoscenza dell’architetto negli Stati Uniti d’America, certamente l’amicizia con Edgar Kaufmann Jr. ha giocato un ruolo fondamentale. I mobili di Finn Juhl, così come la maniera di esportare il design danese all’estero, sono tuttora oggetto di interesse di studiosi contemporanei americani, come è testimoniato dalla tesi di dottorato Making Danish Modern, 1945-1960, discussa all’Università di Chicago nel 2014 (Taft, 2014) o dalla mostra retrospettiva The Value of Good Design (MoMa, 2019).

Non solo in America, ma in generale all'estero, è osservabile un rinnovato interesse verso l'opera di Finn Juhl, come testimonia il volume Finn Juhl, Life, Work, World3 (Bundegaard C., 2019) pubblicato un anno dopo la presente tesi di laurea. In Italia, al di là di qualche articolo sulla sua casa ed all’apparizione dei suoi arredi nei cataloghi della IX, X, XI Triennale di Milano, il racconto dell’opera di Juhl appare generalmente tardivo ed incompleto. Solo a partire dagli anni Sessanta, si verifica un leggero aumento del numero di pubblicazioni sull’architettura danese e di conseguenza anche su Finn Juhl all’interno di riviste o testi specializzati italiani. Ciò nonostante, la sua figura risulta sempre oscurata dalla notorietà di altri architetti e designer scandinavi, tra cui Alvar Aalto, sul quale Stefano Ray nel 1965 offre un racconto dettagliato in L’architettura moderna nei paesi scandinavi, proponendo, al contrario, una trattazione concisa su Juhl. Ad oggi, nel nostro Paese, la conoscenza di Finn Juhl è scarsa al punto che non esiste una monografia in lingua italiana. Riguardo la fortuna critica di Juhl, è possibile affermare inoltre che, sia in Danimarca che negli altri Paesi, essa sia relativa soprattutto ai pezzi di arredo e non alle architetture, ad eccezione della sua abitazione, oggigiorno un museo aperto ai visitatori. Casa Juhl ad Ordrupgaard e il progetto di interni per la Trusteeship Council Chamber a New York sono da considerarsi le sue opere architettoniche più note, sia per quanto testimoniato da fonti del passato, sia per la recente pubblicazione di testi, perlopiù a caIl volume di C. Bundegaard, così come la maggior parte dei testi su Finn Juhl, mira a valorizzare la figura di Juhl in quanto furniture designer, piuttosto che come architetto. L’analisi dell’opera di Juhl elaborata da Bundegaard privilegia gli arredi, il ruolo di Juhl in quanto ambasciatore delle arti applicate danesi all’estero, e i celebri acquarelli che denunciano le palette di colori adottate e il genio di Juhl nella composizione cromatica, similmente a quanto proposto da P. P. Hansen e A. L. Sommer nei rispettivi testi.

3

rattere commerciale che descrivono il lavoro dell’architetto incentrandosi su tali progetti. Poco si conosce invece sulle altre architetture e sullo studio che Juhl conduce in merito alla tipologia residenziale unifamiliare e sulla filosofia espressa in Hjemmets Indretning libro che egli pubblica nel 1954 per riassumere la sua visione circa l’ambiente domestico. La mia ricerca, sfociata nella tesi di laurea discussa nel 20174, propone la prima monografia completa in lingua italiana sulle architetture di Juhl, basata sullo studio del corpus grafico e sulla testimonianza orale di conoscenti dell’autore, come nel caso di Peter Kjaergaard Petersen, nipote dell’originaria proprietaria della Casa estiva che egli progetta ad Asserbo; di Ebbe Mork, ex dirigente amministrativo della Wilhelm Hansen Fonden, Casa Musicale della seconda moglie Hanne Hansen; o di Brigitte Lyngbye Pedersen, storica danese, coautrice del libro Finn Juhl and His House ed odierna proprietaria della Casa estiva a Raageleje. Ad eccezione della dimora di Juhl, le altre ville non sono tutelate dallo Stato Danese e durante la fase di ricerca, che si è svolta in Danimarca, ho avuto la possibilità di visitarle personalmente, valutarne le trasformazioni architettoniche e conoscere gli odierni proprietari. La raccolta della documentazione è avvenuta negli archivi del centro di Copenhagen, della Biblioteca Reale Nazionale (Nyhavn) e del Museo di Arte e Design (Østerbro), e di Søborg. Christine Roselund, responsabile dell’Archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen, mi ha consentito di analizzare, fotografare e catalogare oltre trecento documenti originali, per la maggior parte disegni a china su 4 Finn Juhl, l'architetto, Facoltà di Architettura, Università degli studi di Firenze, relatore Prof. Amedeo Belluzzi, correlatore Prof. Gianluca Belli, Dicembre 2017.

lucido, ad eccezione di qualche fotografia e del capitolato descrittivo della casa dell’architetto. Se gli acquarelli sono già stati pubblicati (A. L. Sommer, 2015), i disegni tecnici inerenti alle architetture residenziali sono in gran parte inediti. Grazie alla disponibilità del personale della biblioteca del Museo di Arte e Design di Copenhagen, tra cui Sara Fruelung e Anja Lollesgaard, e ai miei colleghi madrelingua, Asmund Skeie e Sidsel Olsen, ho potuto tradurre fonti storiche indispensabili alla conoscenza completa dell’opera architettonica di Finn Juhl. Su queste basi documentarie ho sviluppato la ricerca storica con rigore e metodo, maturando curiosità per l’indagine e passione per la storia dell’architettura. I seguenti capitoli avranno come obiettivo quello di raccontare l’opera architettonica di Finn Juhl, talvolta ignorata o sottovalutata, partendo da una sintesi biografica, giungendo all’esemplificazione delle sue concezioni tramite la lettura critica di una delle architetture residenziali da lui progettate.


9



Profilo biografico

pagina accanto (4) Sedia del Capo, dal catalogo della mostra Design in Scandinavia, 1954.

Finn Juhl si è distinto nell'arte di progettare arredi, allo stesso tempo ricchi, esuberanti, dalla forma brillante e dalla gamma di colori sgargianti. Un esteta fuori dal comune1. («Berlingske», 18 Maggio 1989) Formazione Finn Juhl nasce il 30 Gennaio 1912 nel comune di Frederiksberg, la zona residenziale più esclusiva e benestante all’interno della città di Copenhagen. Figlio di un commerciante di tessuti e di una madre defunta tre giorni dopo la sua nascita, Juhl matura un rapporto controverso con il padre, il quale lo incita ad iscriversi alla Scuola di Architettura della Reale Accademia di Belle Arti2 nel 1930, dopo il diploma al Sankt Jørgens Gymnasium3. L’ambiente domestico non sembra aver influenzato l’opera di Finn Juhl, bensì maggiore ispirazione proviene dapprima dalla passione verso il mondo antico, in seguito dai maestri4 della Scuola di Architettura, Kay Fisker e Vilhelm Lauritzen. Proprio grazie agli studi presso la Scuola di Architettura

Trad. a cura dell'autore 2 La Reale Accademia delle Belle Arti di Copenaghen è considerata un'istituzione prestigiosa in Danimarca, inaugurata nel 1754 e tuttora esistente. 3 Liceo situato a Frederiksberg, fondato nel 1858. Dalla prima metà degli anni Venti la scuola è reputata una delle più elitarie della Danimarca. 4 Finn Juhl è affascinato anche dalle figure di Steen Elier Rasmussen e Wilhelm Wanscher, entrambi professori all'Accademia delle Belle Arti. 1

di Copenhagen, Juhl si avvicina alla progettazione della casa unifamiliare, reputata prioritaria rispetto ad altre materie. Agli studenti è consentito selezionare il professore con cui svolgere il corso di progettazione domestica della durata di un anno e Finn Juhl sceglie Kay Fisker, eccezionale oratore e tra i professori più qualificati della scuola, colui che, dagli anni Trenta, inizia una collaborazione con l’Istituto di Tecnologia del Massachusetts MIT, al fine di promuovere le relazioni tra architettura domestica scandinava e statunitense, prendendo modelli come Frank Lloyd Wright, Le Corbusier, Gerrit Rietveld, Gunnar Asplund, Alvar Aalto e molti altri. Inoltre, quando Juhl inizia la Scuola di Architettura nel 1930, ha luogo l’Esposizione di Stoccolma, fenomeno culturale considerato come il momento di svolta verso il funzionalismo in Scandinavia. Sebbene Kay Fisker sia tra i portavoce di questo nuovo spirito di modernità in Danimarca, l’epoca in cui Juhl si forma all’Accademia rispecchia tuttavia una fase di transizione piuttosto che una reale svolta radicale verso il funzionalismo: un periodo di eclettismi e fermento tra varie correnti artistiche. A partire dagli anni Venti, si assiste infatti gradualmente a sprazzi di modernità che coesistono con le maniere tradizionaliste e

classiciste5.Il giovane Juhl assorbe varie tendenze, tra cui quella neoclassicista del primo periodo di Kay Fisker. Se da un lato Fisker incarna la parte teorica ed accademica nella formazione di Finn Juhl, Vilhelm Lauritzen rappresenta il suo mentore per quanto riguarda l’insegnamento del mestiere di architetto. Dal 1934 al 1945, Finn Juhl lavora nel suo studio, prima come tirocinante durante i mesi estivi, poi come architetto a tempo pieno, non riuscendo infine a portare a termine i propri studi all’Accademia per l’aumento del numero delle commissioni. Sono anni intensi per lo studio di Lauritzen: nel 1934 l’incarico di progettare la Casa Radiofonica, Radiohuset; due anni dopo il progetto per l’aeroporto di Kastrup, in seguito alla vittoria del primo premio del concorso internazionale. Entrambi i progetti rappresentano delle opere innovative senza precedenti nell’architettura danese: moderne sia per la funzione che rivestono che per la soluzione progettuale adottata. Ad esempio, la Radiohuset a Frederiksberg prevede una geometria chiara e funziona-

le; presenta tetto piano, in parte utilizzato come giardino pensile, finestre a nastro sui prospetti, ed ha una suddivisione interna in relazione alla destinazione d’uso delle stanze. Similmente, il nuovo terminal6 dell’aeroporto di Kastrup si slega dalle decorazioni del passato, dai romanticismi nazionali e dall'architettura vernacolare, mostrando spirito di modernità, linee semplici e razionali, materiali innovativi e tradizionali, come vetro, legno, cemento e granito. Inoltre, gli ambienti interni di entrambi i progetti sono minuziosamente studiati, a partire dalle maniglie delle porte fino agli appendiabiti. Durante il periodo presso Lauritzen, Juhl apprende un metodo di progettazione meticoloso e la tendenza a produrre molteplici elaborati in scala 1:1 o 1:5 che raffigurano mobili e particolari di un’architettura, oltre a riprendere dal maestro alcuni caratteri progettuali in cui è evidente la cura per i dettagli e l’attenzione meticolosa verso la progettazione degli interni e l’illuminazione7.

L’edificio è stato spostato a 3.8 km dalla posizione originaria nel settembre 1999 e lo studio VLA fornisce tuttora servizio per la ristrutturazione e manutenzione dell'edificio. 7 L’impianto di illuminazione per la Radiohuset è concepito in particolare modo da Finn Juhl e le lampade scelte per questo progetto verranno riproposte in seguito. 6

Oltre alle tendenze neo-romantiche e gli stili legati al fenomeno dell'art nouveau francese, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, la corrente artistica preponderante in Danimarca è il neoclassicismo, che prende campo dal 1910 e si prolunga per circa due decadi. Kay Fisker abbraccia questa corrente soprattutto nel primo periodo, anche se è possibile osservare tale influenza anche in alcune opere del periodo maturo dell'architetto. Cfr. Ray S., 1965; Faber T., 1968; J. K. Olivarez, 2004. 5

11



pagina accanto (5) La sedia FJ44. Da Hansen P. P., 2014.

Esordi Nel 1933, a Juhl viene messa a disposizione una somma di denaro dovuta all’eredità della madre. Appena ventunenne, egli è indipendente economicamente e può vivere in un modesto appartamento in affitto, di cui egli stesso progetta gli arredi, realizzati dall’ebanista Niels Vodder, con il quale instaura un legame lavorativo duraturo. Assieme combinano sapere creativo ed eccellente manodopera e Juhl, affiancato da Vodder, nel 1937 debutta come furniture designer alla mostra annuale della Gilda degli Ebanisti di Copenhagen, Snedkerlaugets møbeludstilling8 al Museo di Arte Decorativa della città. In tutta la sua vita, l’architetto partecipa a ventiquattro esposizioni annuali: per ventidue volte in collaborazione con Niels Vodder9; e per due con l’ebanista Ludvig Pontoppidan. Difatti, nonostante gli studi presso la Scuola di Architettura, Juhl è conosciuto in Danimarca soprattutto per i suoi arredi esposti alla Gilda degli Ebanisti, luogo in cui i suoi mobili, tra cui la Sedia Cavalletta, del 1938, la seduta Pelikanen, Sedia Pellicano dell’anno 1939, o Poeten 10, Divano del Poeta, del 1941, destano stupore nei visitatori sin dalle prime esposizioni. (…) most people will surely think that the entire room is quite strange, yet it has great value in its ability to arouse La prima mostra della Gilda risale all'anno 1927 e le esposizioni si protraggono sino al 1966, nonostante l'occupazione tedesca durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. La Gilda si propone di lottare contro l'industria crescente e la produzione in serie, promuovendo un tipo di design prodotto artigianalmente e, per l'occasione, rivenduto a prezzi ribassati. Inizialmente le esposizioni si tengono all'Istituto di Tecnologia, in seguito, a partire dal 1937, nella sala teatrale cinematografica Palladium, oggigiorno Federazione dell'Industria Danese. La mostra del 1938 si tiene eccezionalmente nella sala espositiva del Palazzo di Charlottenburg. Dal 1938 al 1966, le mostre si svolgono al Museo di Arte Decorativa. 9 I due partecipano alle esposizioni assieme fino al 1959. 10 Il nome Poeten si dice che derivi dal cortometraggio di Erik Bailing basato sul fumetto di Jørgen Mogensen The Poet and Lilemor. Questo è ispirato infatti all'arte scultorea del tempo ed ai gessi di Jean Arp, tanto quanto il divano di Finn Juhl. Vedi Hansen P. P., 2014, p. 24. 8

discussion and upset conservative perceptions (…) the strange furniture is produced by Niels Vodder11. (Jalk G., 1987) Gli arredi di Finn Juhl sono considerati troppo astratti dai critici della Gilda ma, in ogni caso, il lavoro dell’architetto è inconfondibile, provocante, “aesthetic in the worst meaning of that word.” (Jalk G., 1987) Con queste parole Juhl spiega come nasce la predisposizione per il design e l’incontro con Niels Vodder: I wanted to design some tables for myself, when I studied at the Royal Danish Academy of Fine Arts. I asked cabinetmaker Niels Vodder to make them (…) I naturally chose to also work with him when I started entering the ‘Copenhagen Cabinetmakers’ Guild’s Autumn Exhibition. It was before World War II and during a period where all of us - or almost all of us - created rather exaggerated over - upholstered furniture á la Mickey Mouse. There were examples like “The Tired Man” or “The Blue Hussar” but eventually I had enough and thought it would be more fun to expose the wood rather than hide it under upholstery. (Rømer M., 1981, p. 6) È plausibile che nell’intervista l’architetto si riferisca alla scuola capeggiata da Kaare Klint ed agli arredi esposti dai suoi seguaci alla Gilda degli Ebanisti, in cui il dato funzionale appare ancora celato dalla morfologia tradizionale, a differenza di altri modelli razionalisti europei dell’epoca. Juhl si allontana da questa corrente stilistica, sperimentando forme innovative e formula una personale tendenza.

Si riferisce alla Pelikanen, in seguito paragonata anche ad un “tricheco stanco”. Da Jalk G., 1987, Dansk Møbelkunst gennem 40 år Københavns Snedkerlauget Møbeludstillinger, 1927-1966, Vol. 2, Tekilogisk Instituts Forlag, Copenhagen.

11

Il 15 Luglio 1937 Finn Juhl sposa Inge-Marie Skaarups, dentista con uno spiccato interesse per l’arte. Con i fondi accumulati, in parte dovuti all’eredità del padre, deceduto nel 1941, in parte al salario percepito da Lauritzen, Juhl può coronare il proprio sogno: progettare e costruire una villa unifamiliare per uso personale. Nell’Aprile 1941 Finn Juhl comincia la progettazione della sua casa in via Kratvænget 15, a Charlottenlund. L’abitazione è destinata ad ospitare la famiglia di Finn Juhl, composta dalla moglie, dal figlio adottivo Klaus12 e dal cane di nome Bonnie. Se relazionato ai modelli presenti nel contesto in cui Juhl vive, il progetto della casa è innovativo e costituisce uno dei primi esempi di pianta liberamente articolata in Danimarca. La costruzione termina nel 194213, anno in cui Juhl viene riconosciuto dall’Associazione Accademica degli Architetti14, nonostante non abbia terminato gli studi di architettura. Nel 1943, grazie al progetto della residenza, Finn Juhl riceve il premio C. F. Hansen15 per giovani architetti. Il successo della casa ed il raggiungimento dell’indipendenza economica maturano in Juhl l’idea di fondare uno studio di architettura, e di lasciare l’ufficio di Vilhelm Lauritzen, non appena la sala concerti della Radiohuset fosse terminata.

Pare che Juhl ed Inge-Marie adottino un figlio di nome Klaus, il quale vive nella loro casa fino a diciotto anni. Due fotografie del libro Finn Juhl and his house ritraggono il giovane. La monografia su Finn Juhl, a cura di E. Hiort, e le numerose fonti consultate tuttavia non citano l'adozione di un figlio. 13 Si hanno incertezze sull'anno esatto di conclusione dei lavori. Si ipotizza che la casa possa essere conclusa nel 1942 o nel 1943. Fotografie risalenti all'anno 1944 mostrano la dimora terminata, dunque i lavori di costruzione sono finiti sicuramente prima del 1944. 14 Associazione Accademica degli Architetti, oggigiorno con il nome di Associazione Danese degli Architetti, è un'istituzione attiva dal 1879 che si occupa di oltre 7000 membri MAA, Member of the Danish Association of Architects. 15 Il Premio C. F. Hansen è l'onore architettonico più alto dato agli architetti danesi dall'Accademia Reale delle Belle Arti. 12


Ascesa professionale Dalla metà degli anni Quaranta al termine degli anni Cinquanta, la carriera di Juhl è in ascesa, e per quanto riguarda gli arredi, si assiste alla creazione di molti modelli iconici. Dal 1944 al 1946, l’architetto disegna le sedute FJ4416, FJ4517, FJ4618, che rientrano tra i suoi capolavori. Si può sostenere che, dopo la progettazione della Sedia del Capo, Juhl ottenga una fama tale da far sì che, negli anni Cinquanta, molte aziende lo contattino per dare luogo a collaborazioni. Sempre nel 1945, Finn Juhl apre il proprio ufficio di architettura a Nyhavn 33, nel centro di Copenhagen. Lo studio non è spazioso, solo 40 mq di superficie, bensì accogliente e capace di ospitare circa dieci impiegati. Può darsi che la sede corrisponda all’appartamento dove l’architetto vive prima di trasferirsi a Kratvænget 15, in quanto quello spazio potrebbe essere stato convertito successivamente in atelier. Inoltre, dall’anno 1945 al 1950, Finn Juhl è Senior teacher alla Scuola di Interni di Frederiksberg. Nel 1946, ottiene la prima grande commissione come progettista di interni: il disegno del negozio Bing & Grøndahl19 in Amagertorv a Copenhagen. Sebbene non si tratti di un compito semplice20, Juhl affronta i vincoli proLa sedia FJ44 è un pezzo molto raro e difficile da riprodurre artigianalmente. Si tratta di uno dei primi mobili progettati da Finn Juhl. 17 La FJ45 è un vero capolavoro all'interno della collezione di arredi di Finn Juhl. Si tratta di uno dei primi esempi in cui il telaio ligneo è spoglio, libero dalla massiccia imbottitura, diversamente dai modelli di seduta più tradizionali. 18 Così come FJ44 e FJ45, si tratta di uno dei pezzi iconici di Finn Juhl, che viene esposto per la prima volta alla mostra annuale della Gilda degli Ebanisti di Copenhagen nel 1946. 19 Bing & Grøndhal, fondata nel 1853, è una delle aziende produttrici di porcellane più famose ed antiche in Danimarca. Il progetto di interni di Juhl è andato distrutto in quanto oggigiorno il negozio è di proprietà della ditta Royal Copenhagen che ne ha cambiato l'assetto. Vedi Juhl F., 1947, A/S Bing & Grøndhal, butiksinventar, «Arkitektens Månedshefte»,, 8, pp. 79-84. 20 La facciata esistente presenta aperture di dimensioni differenti e Finn Juhl riesce ad uniformare il disegno tramite la progettazione di una sovrastruttura in pietra grigia ed alluminio che va a coprire la conformazione esistente. Egli maschera inoltre le colonne ed i plinti esistenti con marmo nero che rende il prospetto uniforme. 16

gettuali in maniera eccellente. La rivista «Domus» pubblica un articolo nel 1950 in cui si commenta: Questo negozio, di uno dei migliori architetti danesi, è un vero e grande insegnamento perché è semplice ed ordinato e tuttavia non freddo, ma altamente elegante e pieno di attrattiva; è un’opera viva, il suo funzionalismo non è un limitarsi alla funzione, ma rappresenta invenzioni geniali di elementi nuovi per funzionare meglio.21 ( 1950, p. 44) La peculiarità risiede nel fatto che non vi siano vetrine, e che i prodotti siano collocati su scaffali, ripiani e mensole, come se fosse un’esposizione temporanea. L’arredamento è pensato come un allestimento da modificare quando si voglia. Il negozio, dotato di due livelli, consta di cinque stanze collegate tra loro da portali. Finn Juhl concepisce ciascuna stanza in modo differente, anziché trattare lo spazio come un unico ambiente uniforme; dunque sperimenta un sistema di colori, pannelli e materiali affinché il cliente venga guidato attraverso il percorso espositivo. Ciascun arredo è un pezzo unico e presenta altezza, forma e colore personalizzato. Tutti gli arredi sono progettati appositamente per il negozio, ad eccezione di alcune lampade, che riprende invece dal periodo di formazione presso Vilhelm Lauritzen. L’anno successivo, nel 1947, Juhl è premiato con la Medaglia Eckersberg22 da parte del Consiglio dell’Accademia.

Nel 1948, progetta il negozio di fiori di Svend Schaumann23 a Kogens Nytorv, e viene inoltre contattato dall’azienda produttrice di arredi Baker Furniture, per iniziare una collaborazione. Durante quell’anno, l’architetto ha l’occasione di incontrare non solo il capo dell’azienda statunitense24, ma anche altri due noti personaggi: Abel Sorensen ed Edgar Kaufmann Jr, i quali lo aiutano a debuttare sul panorama americano ed internazionale. Al tempo Kaufmann Jr. è il curatore dell’Industrial Design Department del museo di arte moderna MoMa di New York e, prima che parta per il viaggio in Scandinavia, il collega Abel Sorensen gli consiglia di incontrare Finn Juhl, in quanto lo ritiene una figura creativa di spicco, che cavalca una nuova tendenza nel campo del furniture design. Nel 1948, Kaufmann Jr. e Juhl si incontrano alla mostra della Den Permanente, iniziativa nata nel 1929 con la capacità di indirizzare gli acquisti dei consumatori in linea con il gusto e i valori della cultura del tempo, dove gli arredi dell’architetto sono esposti occasionalmente. Si potrebbe affermare che la fama a livello mondiale dell’architetto inizi nell’anno 1948, quando Edgar Kaufmann Jr. scrive l’articolo Finn Juhl of Copenhagen, sulla rivista internazionale «Interiors». Only occasionally does a master chair designer come on the scene — one in thorough command of comfort, construction, and style. In Copenhagen is such a one, Finn Juhl. (Kaufmann E. Jr., 1948, p. 96)

Non si hanno informazioni al riguardo. La monografia di Hiort non fornisce dettagli sul progetto, nè si riscontrano articoli ad esso inerenti. Così come la maggior parte dei progetti di interni di Finn Juhl, l'arredo del negozio non è stato conservato. 24 Edgar Kaufmann Jr. è colui che introduce Finn Juhl a Hollis S. Baker, capo dell'azienda Baker Furniture nel 1948. Nel 1950, Baker visita lo studio di Finn Juhl a Nyhavn e da quel momento inizia la collaborazione per la produzione industriale di arredi progettati da Finn Juhl.

Nell’articolo, Kaufmann Jr. sostiene che il design di Finn Juhl incarna il connubio tra tradizione e modernità, tipico delle arti applicate danesi, e che le opere in collaborazione con l’ebanista Niels Vodder lo affascinano particolarmente. Nel 1949, Viggo Sten Møller, Direttore della Società Danese di Arti Applicate e Disegno Industriale, invia altre immagini di Finn Juhl e dei suoi arredi alla casa editrice di Interiors, in seguito alla mostra della Gilda degli Ebanisti del 1949. In quell’anno, Finn Juhl disegna la maestosa Høvding stol, ovvero Sedia del Capo, il cui nome deriva dalla fotografia del Re Federico IX seduto su questa poltrona alla mostra della Gilda degli Ebanisti dello stesso anno. Le fotografie vengono pubblicate in Interiors del Febbraio 1950 (Allen D., «Interiors», 1950), e velocemente si propagano in tutto il mondo. La rivista si interroga sulla distinzione tra la produzione industriale americana e la manodopera specializzata danese; sondando se la costruzione in serie dei mobili di Finn Juhl possa essere una mossa di mercato strategica o fallimentare. Nell’anno 1950, sia il direttore della ditta Baker Furniture, Inc di Grand Rapids che quello dell’azienda Bovirke, Poul Lund, stipulano una collaborazione con l’architetto per la produzione industriale dei suoi arredi. Lo stesso anno, l’Accademia del Consiglio Danese, seleziona Juhl come rappresentate della Danimarca per partecipare ad un concorso internazionale su invito che prevede la progettazione degli interni della Camera del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria dell'ONU25 di New York (6), e concorrono an-

23

L'articolo valorizza molto il particolare dell'ascensore che sta a filo con la parete ed ha un aspetto semplice ed elegante. Cfr. 1950, Finn Juhl architetto: un negozio esemplare. Arredamento di Finn Juhl per “Bing & Grøndhal”, «Domus», No. 250, pp. 44-47. 22 La Medaglia Eckersberg (originariamente Akademiets Aarsmedaille o medaglia annuale dell'Accademia) è un premio annuale concesso dall'Accademia Reale delle Belle Arti. 21

25 Finn Juhl è incaricato di progettare l'aula centrale, delle tre identiche presenti all'interno dell'edificio delle Nazioni Unite. L'ambiente ha dimensioni pari a 43x23 metri e presenta un soffitto di circa 8 metri. Al ritorno da New York, Juhl visita l'Italia e durante il viaggio a Positano produce i primi schizzi della Camera, che risalgono al 12 luglio 1950. La conformazione finale deve molto a queste prime bozze. Vedi Hiort E., 1990, pp. 70-77.


che gli architetti scandinavi Sven Markelius e Arnstein Arneberg, esponenti di Svezia e Norvegia. L’intervento di Finn Juhl costituisce il suo debutto da architetto in America. I caratteri peculiari dell’ambiente sono le pareti dagli angoli arrotondati in pino dell’Oregon, la disposizione delle sedute a ferro di cavallo, come segno di uguaglianza tra i membri della sala del Consiglio, il controsoffitto ligneo ed i contenitori dell’impianto elettrico e di ventilazione a vista, dalle tonalità cromatiche sgargianti. Nel 1952, in un articolo di «Domus» si descrive il progetto dell’architetto danese così: Finn Juhl è un danese. Si dice che non fosse molto soddisfatto di lavorare in uno spazio non suo, ma ha una concezione di quello che deve essere questa sala, e ha preso così e messo assieme delegati e stampa, ha dato una lieve curvatura alle pareti rivestendole di un frassino (o pino?) luminosissimo e solare, creando un’atmosfera che trova la sua espressione nel soffitto che definendo ancora lo stesso spazio in pianta suggerisce appena una superficie due volte parabolica colle bianche linee delle sue staccionate che cadono dal cielo. Il pubblico è fuori, in una piccola scatola, più piccola, col soffitto ribassato, ad osservare quello che avviene nell’ampia arena col grande fondale del fiume circoscritto dalle pareti che si curvano appena anche da questo lato a suggerire la chiusura di questo spazio. Tutti i particolari sono qui preziosi, e per la finezza dell’idea che li ha suggeriti, e per la perfezione dell’esecuzione fatta dai migliori artigiani di una nazione di grandi tradizioni. La stessa idea del soffitto è piena di finezza; si suggerisce una nuova linea senza nascondere nulla: le cassette, i parallelepipedi del condizionamento d’aria e dell’illuminazione sono usati in una composizione

astratta piena di colore e di vivacità. (1952, p. 13) L’illuminazione è studiata anch’essa da Finn Juhl, e consta di due gusci speculari in ottone lucido, appesi alle pareti laterali della sala, che ricordano le lampade della Casa Radiofonica degli anni Trenta. Dal 1950 al 1955, Kaufmann Jr., definito “guru and motivator in the U.S.” (Juhl F., 1949, p. 131), cura la mostra Good Design, al Merchandise Mart di Chicago: l’allestimento è a cura di Finn Juhl, ed anche il MoMa di New York decide di allestirla lo stesso anno. L’esposizione prevede, così come lo store di Bing & Grøndhal del 1946, un percorso guidato attraverso colori, materiali e differenti altezze del soffitto. Il fine della mostra è quello di esporre oggetti utilitaristici ben realizzati da introdurre nella produzione in serie americana, che talvolta presenta ancora imitazioni di oggetti del passato, eccessivamente ridondanti26. Oltre ad essere la prima mostra progettata dall’architetto in America, l’evento è di cruciale importanza dal punto di vista sociale, in quanto si tenta di educare la popolazione americana al design “buono”, ovvero ad un tipo di progettazione che sia economica, funzionale, moderna, ed al tempo stesso collabori con le industrie utilizzando materie prime di alta qualità. Dato il numero crescente di commissioni degli anni Cinquanta, Juhl propone di collaborare nello studio di Nyhavn alla sua studentessa della Scuola di Interni, Marianne Riis-Carstensen27, la quale lavora assieme a lui dal 1950 circa fino all’anno 1959. Marianne racconta che i molti successi degli anni Cinquanta, tra cui il progetto delle NaBen diciotto pezzi di arredo progettati da Finn Juhl vengono esposti durante la mostra Good Design. Si dice che la ragione principale per cui Marianne Riis-Carstensen, e forse anche altri allievi della Scuola di Interni di Fredriksberg, inizi a lavorare assieme a Finn Juhl è la sua abilità nella tecnica dell'acquarello, utile a produrre elaborati da esibire alla ditta Baker Furniture, Inc. con cui egli collabora all'epoca.

26

27

zioni Unite, sono festeggiati in studio con smørrebrod, preferibilmente con salmone affumicato, provenienti dalla gastronomia Mathilde Christensen di Copenhagen. Si vive un clima di prosperità e felicità nello studio dell’architetto. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, Juhl è contattato anche da committenti privati28 che intendono farsi progettare ed arredare una residenza, come nel caso del Sig. Aubertin, con la Villa Aubertin a Nakskov, di Anthon Petersen, per la residenza estiva ad Asserbo, e del Conte L. N. Moltke-Huitfeld, per i due progetti non realizzati a Klelund. Oltre alla costruzione della Villa Aubertin, nel 1952, si ha per Juhl l’inizio della collaborazione con l’azienda Bovirke29, all’epoca una delle aziende manifatturiere più importanti della Danimarca, la ristrutturazione degli ambienti interni del primo piano nel negozio di Georg Jensen30 sulla Quinta Strada di New York; e le esposizioni di Zurigo e Trondheim. Se nel 1948 lo Stato danese sceglie Kaare Klint per la mostra Danish Art Treasures al Victoria & Albert Museum di Londra, nel 1952 è la volta di Finn Juhl, rappresentante della controtendenza, incaricato dell’allestimento della mostra del Kunstgewerbemuseum di Zurigo. Mentre l’esposizione di Kaare Klint suscita critiche per la mancanza di equilibrio nella selezione di opere, caratterizzate soltanto da un desiOltre alle case analizzate in questa tesi, Finn Juhl progetta: l'atelier per lo scultore Erik Thommesen e la tessitrice Anna Thommesen nel 1957, ed una dimora per un commerciante di pesce a Esbjerg nel 1949. 29 Ciò che caratterizza maggiormente la collezione per Bovirke sono i colori sgargianti e la linea semplice e razionale. 30 Nel 1952, Finn Juhl viene incaricato di rimodernare l'ambiente interno della boutique George Jensen sulla 5th Avenue a New York. All'epoca i proprietari sono i danesi Frederik Lunning ed il figlio Just Lunning, i quali danno la possibilità a Juhl di esporre i propri arredi per la prima volta in un retail americano. Soddisfatti dell'opera dell'architetto, ricontattano Juhl nel 1957 per progettare il rifacimento dello store a New Bond Street a Londra, in collaborazione con l'architetto inglese Trevor Danatt. Vedi Hansen P.P., 2014, p.54. 28

gn tradizionalista e poco innovativo31; la mostra a cura di Finn Juhl riceve consensi. La figura di Juhl si afferma gradualmente anche sul panorama scandinavo, al punto che nel 1952, lo storico d’arte T. Krohn-Hansen, direttore del Museo di Arti Applicate Nordenfjeldske, a Trondheim, contatta l’architetto per progettare una stanza all’interno del museo. Il progetto di Finn Juhl, detto Interior 5232, ha il compito di simbolizzare l’arredamento en vogue di metà Novecento, ed è collocato vicino alle stanze progettate da autori del passato come William Morris ed Henry van de Velde. Il progetto denuncia le tendenze del XX secolo favorite dall’architetto33, (M. Fabiola Abbà, M. Gernia, 1988), in quanto l’arredamento è costituito non solo da mobili progettati da Finn Juhl, come la FJ45, o il “Divano a Muro”, Væghængte sofa34, ma anche da una sedia progettata da Charles Eames35, due sgabelli di Alvar Aalto, la Al tempo si assiste allo scontro ideologico tra due generazioni di designers: la cerchia dei seguaci di Kaare Klint, ovvero la prima generazione di funzionalisti danesi; ed il nuovo gruppo di designer; che coinvolge personalità come Hans J. Wegner, Finn Juhl, Arne Jacobsen e Poul Kjærholm, che divengono icone nazionali e che, nonostante gli esordi alla Gilda degli Ebanisti di Copenhagen, si dimostrano propositivi a collaborazioni con industrie ed alla produzione in serie. Già nell'anno 1942, si manifesta tale antagonismo quando l'architetto Mogens Koch organizza la mostra ufficiale della Società dell'Artigianato danese a Stoccolma, che risulta essere manifestazione eccellente del filone capeggiato da Kaare Klint. M. Koch è molto autocratico nella selezione dei pezzi da esibire, ed il risultato finale è un'esposizione carente di alternative progettuali a controbilanciare lo stile klintiano. Ciò genera forte criticismo da parte di grandi imprese dell'arte decorativa, tra cui la famosa azienda di porcellane Royal Copenhagen, quasi completamente assente dall'esposizione. Allo stesso modo, nel 1949, F. Juhl critica K. Klint in merito all'esclusività dell'esposizione del 1948 al Victoria & Albert Museum, sostenendo che l'arredamento danese avrebbe dovuto lavorare in relazione all'industria e che si sarebbe dovuto iniziare a progettare modelli di arredi per la produzione di massa. 32 Vedi Juhl F., 1952, pp.13-16. 33 Nell'allestimento sono presenti inoltre argenti del progettista danese Kay Bojesen, oggetti di Tias Eckhoff e di Axel Salto. 34 Si tratta di un divano progettato da Finn Juhl nel 1950, proposto anche nel progetto della Villa Aubertin del 1952, e caratterizzato da un sottile telaio in acciaio che sostiene un'imbottitura realizzata artigianalmente. 35 Sembra che il lavoro di Charles Eames, e la sedia dell'architetto che Juhl espone a Interior 52, siano di ispirazione per la progettazione degli arredi per l'azienda Bovirke. 31

15


scultura in legno, To mennesker, di Erik Thommesen36, un tavolino del danese Peder Moos37, un tappeto della tessitrice svedese Barbro Nilsson38 e tende, illuminazione ed altri dettagli a cura di Paula Trock39. L’ambiente è perlopiù rivestito in legno; si utilizza pino dell’Oregon per il rivestimento delle pareti, e pino Calmar per il pavimento ed il soffitto. Interior 52 è importante perché, attraverso la progettazione, l’architetto riflette il proprio orientamento in campo artistico, concependo la stanza come un Gesamtkunstwerk, in cui non solo i materiali e gli elementi architettonici sono rilevanti, bensì anche i dettagli, gli oggetti e gli arredi. Nel 1953, Finn Juhl inizia la collaborazione per la produzione in serie di arredi con l’industria anglo-danese France & Søn. Dato che la preoccupazione principale è la qualità del prodotto, C. W. F. France decide di contattare Juhl, in quanto è a conoscenza delle materie prime che egli utilizza. Il materiale preferito di Juhl è il teak, che inizialmente crea problemi a France nella produzione degli arredi. Poi l’azienda brevetta un metodo di produzione veloce ed efficace, che garantisce la stessa qualità della produzione artigianale. Il caso di Juhl suscita alcuni dibattiti all’interno della Società delle Arti Applicate Danesi e nel 1952 Svend Erik Møller scrive nella recensione della mostra Furniture of the Times: It is terribly depressing to see these watered down ‘Finn Juhl’s that have popped up recently. He is so personal and distinctive an artist that under no circumstances can one imitate his idiom. (Hiort, E., 1990, p.42)

Erik Thomassen (1916-2008) è uno degli scultori preferiti di Finn Juhl, tanto che nella sua casa sono presenti alcune delle sue opere. 37 Moos P., Schytte J., 1988, Peder Moos, Teknologisk Institut, Copenhagen. 38 Møller S. V., En bok om Barbro Nilsson, Stoccolma, 1977. 39 Salicath B., Karlsen A., 1959, Modern Danish textiles, Copenhagen. 36

La produzione in serie di un mobile, dapprima esposto alla Gilda degli Ebanisti e concepito come pezzo unico, è vista come una forma di plagio, una copia non autorizzata di un’opera d’arte. Ciò nonostante, il successo di Juhl non si arresta e nel 1954 l’architetto ha il compito di progettare un modello di casa unifamiliare alla mostra Home of the Future per il quattrocentesimo anniversario della Gilda, che eccezionalmente si svolge al Forum. Il tema dell’esposizione è la “Casa del Futuro”, in quanto all’epoca si assiste alla sperimentazione di soluzioni progettuali per la tipologia residenziale unifamiliare. Il progetto di Finn Juhl è fondamentale, poiché illustra motivi ricorrenti nella sua maniera progettuale. L’architetto propone una pianta dallo schema funzionale, divisa in due zone da un atrio centrale, che funge da terrazza esterna. La pianta liberamente articolata permette all’architetto di schermare alcuni ambienti per conferire riservatezza. La veranda con funzione di atrio e le numerose pareti vetrate generano un senso di continuità tra ambiente interno ed esterno, tema spesso trattato nelle architetture residenziali di Finn Juhl. Nel 1954, quando ancora è insegnante alla Scuola di Interni di Frederiksberg, Finn Juhl scrive il libro Hjemmets Indretning, “Progettazione della Casa”, volume che contiene le idee collezionate nel corso degli anni, in merito alla progettazione e all’arredamento di residenze unifamiliari, tipologia abitativa che egli preferisce40. La formulazione di questo libro deriva, letteralmente, da una collezione personale di articoli e pubblicazioni mensili, dunque mi scuso se può ri40 Nonostante ciò, nel 1939 Juhl partecipa anche ad un concorso su invito per la progettazione di una casa per anziani a Gentofte, assieme al collega architetto Ole Hagen. Poi, nel 1944 Juhl partecipa ad un concorso di public housing che consiste nella progettazione di appartamente a Randers. Vedi Hiort E., 1990; Juhl F., 1954.

sultare poco fluente ai lettori, in quanto l’organizzazione e l’espressione dei contenuti potrebbero essere confusionari. In ogni caso, (grazie a questa lettura) mi auguro che il lettore maturi un po' di curiosità sull’argomento, perciò allego una breve lista di periodici, libri ed esposizioni che possono essere utili ad approfondirlo. Coloro che in prima persona hanno vissuto i fenomeni (mostre), non avranno bisogno del mio aiuto. (Juhl F., 1954) La lista di cui Juhl parla è suddivisa in tre parti: Udstillinger, “Esposizioni”, tra cui sono presenti la Den Permanente e la Gilda degli Ebanisti; Bøger, “Libri”, che comprende i testi dei contemporanei Svend Erik Møller e Mogens Koch; e Tidsskrifter, “Giornali”, in cui l’architetto menziona «Arkitekten», «Interiors», «Domus», «Werk» e «Rum og Form». Il libro, oltre a fornire l’interpretazione di Finn Juhl sul tema dell’abitazione, consta di capitoli sulle tendenze architettoniche del tempo, intitolati Nye tendenser i hjemmets indretning, ovvero “Nuove tendenze per l’arredamento domestico”. I modelli studiati da Finn Juhl sono sia nazionali, come Kay Fisker ed Arne Jacobsen, che internazionali, quali F. L. Wright, Alvar Aalto, Le Corbusier. L’opinione di Juhl in merito alla progettazione architettonica, è espressa inoltre in un articolo del 1949. There are two ways to go: either to continue - consciously or unconsciously misunderstanding the idea of the past and go on copying and daydreaming, or to understand the greatness and the idea of the past and create something that is just as appropriate for our time’s conditions, as the theater in Epidaurus was in its own time. (Juhl F., 1949, p. 131) L’architetto invita i progettisti ad ammirare i grandi maestri del passato e le

loro opere maestose “coscientemente”, ossia tenendo conto della diversità delle condizioni presenti e dei cambiamenti socio-culturali della metà del XX secolo. Nell’anno 1954, Juhl viene incaricato di organizzare la mostra per il cinquantesimo anniversario della azienda Georg Jensen41, al Museo di Arti Decorative di Copenhagen, allestita poi anche a Londra e negli Stati Uniti di America, con il titolo di 50 Years of Danish Silver42. Trascorsi cinquanta anni dalla fondazione del modesto laboratorio a Bredgade 36, si intende celebrare l’anniversario ed il periodo di prosperità dell’azienda43, assegnando a Juhl il compito di allestire un’esposizione su larga scala. Le aule del Museo di Arti decorative hanno pavimentazione in piastrelle di marmo e pareti intonacate grigie che rendono l’ambiente interno poco luminoso e non consentono agli argenti di brillare; dunque Juhl escogita un sistema di progettazione per cui le pareti vengono coperte da lunghe pezze di tessuto ed i soffitti sono decorati con leggera stoffa pendente che, assieme ai tappeti di stuoia, guidano il visitatore stanza dopo stanza. Gli oggetti sono esposti su piani impiallacciati di palissandro o dipinti di colore nero opaco, separati dai pavimenti grigi tramite dei pannelli di colori distinti. Soltanto i gioielli o gli oggetti di piccole dimensioni sono disposti dentro a vetrine. Le stanze si distinguono per raffinatez41 L'azienda George Jensen A/S prende nome dall'omonimo fondatore Georg Arthur Jensen, argentiere danese, dapprima studente all'Accademia Reale di Belle Arti di Copenhagen. All'epoca del cinquantesimo anniversario dell'azienda George Jensen A/S, il direttore è Anders Hostrup-Pedersen (1902-1980), il quale lavora nella compagnia dal 1931 fino al 1970. Egli, oltre ad essere amico e sostenitore di Finn Juhl, è anche il committente della Casa estiva a Raageleje. 42 La mostra è esposta anche al Corcoran Museum a Washington D.C., allo Speed Museum a Louisville, Kentucky, al Dallas Museum of Fine Arts nel Texas nel 1955; al Virginia Museum of Fine Arts a Richmond nel 1956, al City Art Museum a Saint Louis, Missouri, nel 1957. 43 In seguito all'occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, l'azienda Georg Jensen torna a vivere un periodo di prosperità economica. Già nel 1920, dopo la Prima Guerra Mondiale, viene allestita una mostra alla fondazione al Palazzo di Charlottenborg.


(6) Juhl F., Camera del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria dell'ONU, New York, 1952. Da Hiort E., 1990.

17


za ed eleganza, e l’esposizione riscuote tanto successo da far sì che Juhl sia incaricato di progettare l’adattamento della mostra, all’interno dei musei in cui si terrà successivamente. In seguito al progetto del negozio di New York ed all’esposizione per il cinquantesimo anniversario dalla fondazione, Finn Juhl è eletto architetto ufficiale della Georg Jensen. Sempre nel 1954, Finn Juhl ottiene il Premio Onorario per la progettazione dello stand danese alla X Triennale di Milano e due medaglie d’oro per il design degli arredi. La sua partecipazione alla Decima Triennale di Milano è importante in quanto l’istituzione vanta fama internazionale, ed in particolare modo nel dopoguerra è rinomata per la selezione accurata delle opere e la promozione di tendenze artistiche. L’allestimento si distingue per eleganza, sobrietà, e per gli oggetti industriali esposti; l’opera di Finn Juhl è esibita, accanto a quella di grandi maestri del design come Gio Ponti, Magnus Stephensen, ed altri. In merito, sulla rivista «Domus» si scrive44: Lo spirito danese è raffinato e riconoscibilissimo: forme plasmate con cura, forme che da un’origine quasi campagnola, di attrezzo contadino, sono portate ad una grande eleganza, approfondendo la naturale intensità formale degli utensili modellati da un lungo uso. (…) Esempio ne è l’ultima poltrona di Finn Juhl, con i braccioli piatti e a corde molli, semplice ma modellata in tutte le sue parti; e così l’altra sua poltrona imbottita, in cui lo schienale e il sedile sono tirati e modellati a meraviglia, essi stessi appoggiati su un trespolo semplice e solido di legno arrotondato, tipico danese.

La Danimarca alla Triennale, «Domus», No. 250, 1955, pp. 30-33.

44

Dal 1954 al 1957, ha luogo Design in Scandinavia45, una delle mostre promotrici del design scandinavo più note al mondo, allestita in più di venti città, negli Stati Uniti d’America ed in Canada, con circa 650.000 visitatori. Si può affermare che il periodo di Design in Scandinavia coincida con gli “anni d’oro”, il culmine del design scandinavo. La mostra è progettata dall’architetto Erik Herløw, e gli arredi di Finn Juhl sono in esposizione. Nel 1955, Juhl si occupa del progetto dell’ufficio per il direttore dell’azienda France & Daverkosen, ad Ørholm, e di quello per il teatro Villabyernes Bio a Vangede46, che ottiene il riconoscimento d’onore dal Comune di Gentofte. Il teatro costituisce uno dei pochi esemplari di architettura pubblica realizzati da Finn Juhl, in quanto generalmente l’architetto si occupa di rifacimenti o progettazione di interni. L’edificio è composto da un grande parallelepipedo senza finestre, in mattoni gialli lucenti, che ospita la grande sala teatrale, e da un foyer rettangolare più basso, collocato ad un livello poco inferiore. All’ingresso nella sala teatrale si ha l’impressione che l’ambiente abbia dimensioni maggiori di quelle reali e tale effetto è ottenuto grazie alle proporzioni dei due volumi ed alla pendenza del pavimento. Il pavimento è curvato in maniera da avere sedute disposte in pendenza dall’ingresso fino alla mezzeria, ed in lieve salita, dal centro della sala fino al palcoscenico. La quinta del palcoscenico presenta una grande tenda gialla, mentre le pareti laterali della sala sono dotate di pannelli di varie dimensioni, che in parte svol-

gono funzione decorativa, in parte servono l’impianto acustico ed elettrico. I pannelli sono di colore bianco, azzurro, acquamarina ed arancione oppure illustrano fotografie astratte in bianco e nero di Keld Helmer-Petesen, pioniere del Modernismo Danese in fotografia. Il progetto, sebbene sia realizzato con materiali economici, si distingue per l’effetto spaziale creato e l’armonia dei colori. Nel 1955, Juhl progetta inoltre un modello di appartamento per l’esposizione H5547, che si svolge ad Helsingborg, in Svezia, ed a cui partecipa anche Arne Jacobsen. La rivista «Interiors»48 dell’anno 1955 definisce Finn Juhl, Hans Knoll, Paul McCobb, T. H. Robsjohn-Gibblings e Edward Wormley come “five of the world’s most famous designers.” (1955, p. 76)

45 Leslie Cheek, Jr. è il curatore americano di Design in Scandinavia, che ha luogo negli Stati Uniti ed in Canada, al fine di esibire oggetti di design scandinavo, tra il 1954 e il 1957. Dal catalogo della mostra: Remlov A., 1954. 46 Il teatro viene inaugurato il 29 Febbraio del 1956; oggigiorno l'edificio è distrutto. A partire dagli anni Settanta, in seguito al boom televisivo, molti teatri vengono dismessi, e tra questi anche Villabyernes Bio.

47 La mostra si svolge dal 10 giugno al 28 agosto 1955. Oltre a Finn Juhl, vi partecipano altri designer scandinavi rinomati. 48 Si riferisce al fatto che ai cinque progettisti viene chiesto di decorare l'Hotel Savoy Plaza di Beirut in Libano. L'importanza dell'articolo risiede nel fatto che il nome di Juhl sia su tutti i giornali dell'epoca e che egli sia considerato alla pari di noti architetti americani a lui contemporanei. Vedi «Interiors», Gennaio 1955, pp. 76-79.

Maturità Nel 1956, Juhl è incaricato di allestire la mostra itinerante Neue Form aus Dänemark, che si sposta in otto città tedesche ed a Vienna, durante quell’anno ed il successivo. Contemporaneamente, inizia la collaborazione con la compagnia aerea SAS, Scandinavian Airlines System, per la progettazione, dapprima di biglietterie sparse in Europa e Asia, in seguito per l’arredamento degli aeroplani DC-8. Il successo in America lo ha reso una celebrità a livello mondiale; perciò Juhl viene scelto come progettista della SAS, in quanto si vuole dare una nuova immagine pubblica alla società, che al tempo vive un periodo di prosperità economica. Al principio la commissione prevede la progettazione di trentatré biglietterie,

di cui alcune solamente da rimodernare, e la maggior parte da disegnare ex novo. L’incarico è arduo, richiede capacità progettuali ad hoc ed inoltre Juhl non ha nessun riferimento in materia, dato che le biglietterie solitamente sono spoglie, fredde e carenti di arredi, ad eccezione di posters con mappe del mondo appesi alle pareti o pratici banconi49. Nonostante la difficoltà e la mole dell’incarico, Juhl è desideroso di affrontare la progettazione di questi luoghi pubblici spesso sottovalutati dal punto di vista architettonico, in quanto intende rivalutarli, renderli accoglienti e gradevoli, dotandoli di arredi di qualità ed opere d’arte. Si vuole dare la sensazione di trovarsi all’interno di un salotto elegante, ma arredato con semplicità. Nel 1958, la prima biglietteria SAS arredata da Finn Juhl viene inaugurata a Göteborg. Talvolta si riscontrano incongruenze tra il progetto originale e la realizzazione, in quanto, essendo le sedi in città lontane l’una dall’altra, Juhl non ha possibilità di revisionare costantemente il lavoro50. L’architetto propone di inserire opere d’arte nelle biglietterie, e la compagnia aerea inizialmente accetta il suggerimento, a patto che si tratti di pezzi di alta qualità e realizzati da un artista conosciuto, ma in seguito non prende provvedimenti, in quanto si tratta di un investimento economico notevole51. Intorno agli anni Sessanta, SAS decide di interrompere la realizzazione delle biglietterie, forse a causa di problemi finanziari; ciò nonostante, Finn Juhl riesce a lasciare in alcuni casi un’impron-

Soltanto la biglietteria sugli Champes Elysée della compagnia aerea KLM, Royal Dutch Airlines, presenta un arredamento studiato. 50 La sede di Vienna è quella realizzata in maniera peggiore, in quanto non rispetta il progetto originale dell'architetto. Spesso Juhl è affiancato dall'architetto Bo Clock-Clausen, il quale, specialmente per il progetto SAS, è di aiuto nella revisione del lavoro. 51 Per la biglietteria di Parigi, Juhl propone sculture di Giacometti che al tempo vive nella città. La biglietteria viene dotata di una scala a chiocciola nel foyer che, in misura minore, ricorda quella di Arne Jacobsen per la hall del grattacielo del SAS Hotel di Copenhagen. 49


ta della sua maniera progettuale52. Sempre nel 1956, Juhl è incaricato dalla SAS di progettare gli interni del DC853, (7) un nuovo modello di aeroplano. La commissione avviene nel Dicembre del 1956, quando egli è in viaggio verso gli Stati Uniti d’America assieme al direttore svedese della SAS, Rune Monö, ed il collega ed architetto norvegese, Jacob Kielland-Brandt. In quell’occasione, Juhl ha la possibilità di vedere un mock-up di DC-8 e gli vengono illustrate le mansioni e le scadenze. Dapprima, Juhl vuole riprogettare i sedili dell’aeromobile, perché li reputa convenzionali e poco eleganti, ma in seguito si accorge che si tratta di un lavoro troppo complicato, che necessita di abilità specifiche, in quanto ciascuna seduta è dotata di luce, scompartimento per maschera ad ossigeno e salvagente, bocchetta per l’aria condizionata, ripiano pieghevole, portacenere, e tutto ciò deve essere disposto conformemente a particolari misure di sicurezza. Dopodiché, l’architetto incentra il lavoro sulla progettazione di spazi comuni come corridoio, bagni, ambiente del personale, e sulla scelta di colori, tessuti ed illuminazione. Il risultato è un ambiente di aspetto gradevole, caratterizzato da colori accesi e contrastanti, che variano a seconda delle zone dell’aeroplano54. Sempre nel 1956, Juhl progetta inoltre l’arredamento del negozio dell’azienda Georg Jensen a Toronto, in Canada. L’anno seguente, nel 1957, l’architetto decide di spostare la sede professionale a Sølvgade 38, nel quartiere est L'ultimo lavoro di Finn Juhl risale al 1961. Non tutte le commissioni inizialmente previste sono state realizzate e quelle terminate non sono ammirabili oggigiorno, in quanto sono prive degli arredi originali. 53 Il nome DC deriva dal luogo in cui l'aeromobile viene prodotto, ovvero Douglas in Cleveland, mentre 8 sta per 1958, anno in cui la realizzazione deve essere terminata. 54 Le tonalità cromatiche della tappezzeria variano a seconda della prima o seconda classe, o degli ambienti attial personale dell'aereo. La prima classe prevede gruppi di quattro sedute, disposte intorno ad un tavolino, che ricordano il “Divano a Museo” di Villa Aubertin per il profilo metallico curvilineo e l'attacco alle pareti.

di Copenhagen, Østerbro, in quanto si necessita di maggiore spazio: le commissioni sono in aumento55, così come il personale dell’ufficio. L’ambiente di Sølvgade è spazioso e funzionale, ed è dotato di spazi ricreativi, come salotto, cucina e sala da pranzo, oltre che di grandi piani di lavoro, disposti in fila uno dietro l’altro. Lo spazio presenta pavimento in parquet, pareti in cemento a vista, copertura leggermente inclinata con lucernari, che garantiscono l’ingresso di luce naturale, ed è arredato con i mobili di Juhl ed opere d’arte di artisti contemporanei, come Erik Thommesen e Vilhelm Lundstrøm. Nel 1957, Juhl termina la collaborazione con l’ebanista Niels Vodder, ed i due si presentano assieme per l’ultima volta alla mostra annuale della Gilda degli Ebanisti. Durante quell’anno, inoltre Juhl nuovamente partecipa alla Triennale di Milano e svolge una commissione per George Jensen A/S, che lo incarica di rimodernare, assieme all’architetto inglese Trevor Danatt, lo store dell’azienda su New Bond Street a Londra. I temi trattati all’Undicesima Triennale di Milano sono “le relazioni fra le arti, l’architettura moderna, le produzioni d’arte e l’industrial design”; e Finn Juhl è premiato con due medaglie d’oro per la progettazione dei suoi arredi. Per l’occasione, il parco della Triennale presenta padiglioni collegati tra loro da passaggi coperti. Lo stand della Danimarca nella sezione intitolata Mostra Internazionale dell’Abitazione, International Housing Exhibition, è progettato da Finn Juhl.

52

La mostra si propone di illustrare alloggi caratteristici di vari Paesi e nazioni, intesi non nelle loro tipiche distribuzioni architettoniche, ma come complessi di mobili. (M. Fabiola Abbà, M. Gernia,

1988, pp. 333-334) A partire dagli anni Sessanta, si assiste ad un graduale declino del fenomeno definito The Golden Age of Danish design, e così anche della fortuna dell’architetto. I critici sono scioccati dagli arredi nuovi e provocatori, che in quegli anni compaiono alle esposizioni della Gilda, come i mobili dei designer Peter Karpft e Gunnar Aagaard Andersen, che scandalizzano i visitatori con un’estetica ormai lontana dai dettami di Kaare Klint e dalle tendenze degli anni Cinquanta. (…) with respect to Danish furniture design, no longer proffered anything new, but simply continuing within the already established framework. (…) However, we have a great interest in studying new materials and new production methods, and out of this will come a new international outlook56. (Juhl, F., 1963) Già durante la collaborazione con SAS, alcuni dei lavori dell’architetto non vengono portati a termine, ed in seguito arredi che Juhl disegna, per le aziende Bovirke, France & Søn e Fritz Hansen, non vanno in produzione. Nell’anno 1959, oltretutto Marianne Riis-Carstensen si dimette dall’ufficio dell’architetto e la stessa sostiene che, a partire dal 1954, quando viene scelto Ole Wanscher, anziché Finn Juhl, come successore di Kaare Klint alla Scuola di Architettura di Copenhagen, inizi lentamente il declino della carriera dell’architetto. In merito alle delusioni che Finn Juhl vive al volgere degli anni Sessanta, Marianne racconta57:

He was unhappy and wept, “Now I L'intera intervista di Juhl è contenuta in Cfr. Plumb B., Dane Decries Backward Furniture, «New York Times», 24 ottobre 1963. 57 Marianne si riferisce anche al suo stesso licenziamento avvenuto ufficialmente nel 1959. 56

Si dice che l'apertura di una nuova e più grande sede sia dovuta proprio alla commissione per la compagnia aerea SAS. 55

won’t have your beautiful drawings”. (…) It did not improve the situation that this coincided with the difficult time when Finn Juhl had given notice in his job at the School of Interior Design in hope of taking over the chair at the Furniture School of the Royal Academy of Fine Arts after the famous Kaare Klint, who had passed away in 1954. The chair went instead to Ole Wanscher, and Finn Juhl once more felt confirmed in his view that he was essentially perceived as “unDanish” in many people’s eyes, and he was not seen as someone who could embody the core qualities of Danish furniture design. (Sommer A. L., 2015, p. 14) Ciò nonostante, nell’anno 1960, Finn Juhl è incaricato di arredare la residenza a Washington D.C. dell’ambasciatore danese negli Stati Uniti, progettata dal maestro Vilhelm Lauritzen58. Il disegno degli interni si contraddistingue per l’eleganza e la sfarzosità degli arredi. La realizzazione tuttavia non risulta del tutto fedele all’arredamento voluto da Juhl, costretto a rinunciare ad alcune scelte a causa di carenza di fondi da parte dello Stato. Sempre nel 1960, Juhl progetta il trofeo per il Premio Internazionale Kaufmann, ed è incaricato di allestire la più grande mostra sull’arte danese della storia, che si intitola The Arts of Denmark, e viene allestita dapprima al MoMa di New York, in seguito a Washington D.C. e San Francisco. Il Kaufmann International Design Award è un premio che viene assegnato a coloro che, attraverso il loro lavoro o insegnamento, hanno dato un contributo significa-

58 Sia l'edificio dell'Ambasciata Danese che quello adiacente della residenza sono progettati dall'architetto Vilhelm Lauritzen, maestro di Finn Juhl negli anni Trenta. Gli edifici sono situati a Dumbarton Oaks Park e si relazionano con il paesaggio collinare circostante. Vedi 1962, Bauten für Verwaltung und Geschäft, «Das Werk», Vol. 49, p. 267.

19


tivo nel campo dell’industrial design; e non appena viene istituito, Edgar Kaufmann Jr. ha in mente la figura a cui affidare la progettazione del trofeo59. Finn Juhl trae ispirazione dall’antico simbolo cinese Yüan-Kuei, che in passato gli antichi imperatori assegnano in segno di onore e di merito. L’oggetto è inserito in una scatola di legno di cipresso giapponese hinoki, ed è accompagnato da una targhetta in argento, con inciso il titolo. Il trofeo si ispira alla cultura antica di un altro continente per il valore internazionale e l’espressione di unione tra vecchio e nuovo che contraddistinguono il Premio Internazionale Kaufmann. Se in origine il simbolo del Yüan-Kuei è di pietra giada, Finn Juhl decide di farlo produrre in cristallo dalla ditta svedese Orrefors Glassworks. Il legno60 utilizzato per la custodia è quello dell’hinoki, albero considerato sacro in Giappone e che tradizionalmente viene impiegato per palazzi e templi prestigiosi. L’interno della scatola è in parte dipinto di colore blu scuro, in parte presenta intarsi in palissandro. La custodia è prodotta artigianalmente dall’ebanista J. Pontoppidan, con il quale Juhl inizia a collaborare proprio in quegli anni; mentre la targhetta in argento è realizzata dall’azienda Georg Jensen. Nel 1960 i vincitori del premio, Charles e Ray Eames, apprezzano l’opera e scrivono un telegramma di ringraziamento a Finn Juhl. The Arts of Denmark, Viking to Modern, al MoMa di New York, nell’anno 1960, rappresenta una delle mostre più celebri, ed al contempo dibattute del XX secolo, riguardanti le arti applicate danesi; ed abbraccia un arco tempora59 Al vincitore del Premio Kaufmann, oltre a 20.000 $, è offerto un trofeo. 60 La compagnia SAS aiuta Finn Juhl a reperire il materiale. Il legno hinoki ricorda nell'aspetto quello del pino dell'Oregon. Il progetto del trofeo Kaufmann è indicativo in quanto mostra l'interesse dell'architetto verso l'esotico e le culture orientali, peculiarità che è possibile riscontrare anche nella sua maniera progettuale.

le che va dall’Età della Pietra al Movimento Moderno. Finn Juhl è incaricato ufficialmente dal Re Federico IX e dal Presidente americano, Dwight David Eisenhower, di allestire l’esposizione, per cui viene previsto un sistema di tende, in stoffa leggera e colorata, che donano uniformità al percorso espositivo, all’interno di sale sobrie e ben illuminate. La mostra è discussa dai critici del tempo per le opere selezionate, che appaiono, sebbene appartenenti a momenti storici differenti, connotate da una certa omogeneità. Nel 1961, Finn Juhl divorzia da Inge-Marie Skaarups ed ha luogo il matrimonio civile con Hanne Wilhelm Hansen, appassionata di musica come lui61, in quanto dirigente della nota compagnia musicale Wilhelm Hansen Fonden62. Nel 1961, Juhl partecipa alla mostra della Gilda degli Ebanisti63 assieme all’ebanista L. Pontoppidan, ed espone il set di arredi da camera da letto, che progetta per la seconda moglie Hanne Hansen. La composizione consiste in due sedie, una cassettiera ed un letto, che per l’occasione sono collocati accanto ad un dipinto di Vilhelm Lundstrøm ed una statua di Erik Thommesen. I mobili, che in seguito Juhl adotta nella camera da letto della sua dimora, ampliata nel 1957, presentano colori pastello, che riprendono le tonalità cromatiche utilizzate nel dipinto di Lundstrøm. Svend Erik Møller64, che Sia Finn Juhl che il padre Johannes suonano il pianoforte e sono appassionati di musica. Nella sua dimora, l'architetto ipotizza uno spazio destinato ad un pianoforte; ciò è riscontrabile in molti disegni originali del progetto. 62 Wilhelm Hansen Fonden nasce come un'azienda di famiglia nel 1857. Dal 1948, le figlie Hanne e Lone Wilhelm Hansen prendono in gestione l'azienda di famiglia e fanno sì che ottenga una posizione di leader nel mondo della musica internazionale. Hanne Wilhelm Hansen muore nel maggio del 2003. Pochi giorni prima della sua morte, istituisce il Premio Finn Juhl in onore dell'opera del marito. Ad Hanne si deve la divulgazione della fortuna di Finn Juhl, dopo la morte dell'architetto. Ella è responsabile delle collaborazioni con azienda come One Collection che oggigiorno riproducono gli arredi progettati dall'architetto. 63 Durante l'esposizione dell'anno 1961, Juhl ha l'opportunità di parlare informalmente con la Regina e di illustrarle gli arredi progettati. 64 Intervista contenuta in Grete J., 1987, Dansk Møb61

solitamente è un ammiratore dei lavori di Finn Juhl, stavolta commenta che le sedie appaiono “feminine and downright uncomfortable.” Quello stesso anno, Juhl inizia inoltre la progettazione per la residenza estiva di Anders Hostrup-Pedersen, ambasciatore delegato della George Jensen. Nel 1963, Finn Juhl disegna l’ampliamento per il negozio Bing & Grøndhal, e l’anno successivo, nel 1964, ottiene il Premio A.I.D. per il design, a Chicago65. Gli unici progetti architettonici realizzati nel periodo di maturità dell’architetto sono gli interni del ristorante dell’Hotel Richmond66 di Copenhagen, nel 1965; ed il rifacimento dello store Wilhelm Hansen Musikforlag, a Gothersgade, nel 1966. Originariamente, il ristorante dell’Hotel Richmond è formato da una stanza di piccole dimensioni67, accessibile solo dalla lobby dell’albergo. Finn Juhl organizza lo spazio in due zone, distinte grazie alla creazione di un soffitto a cassettoni, in listelli di legno, che fa sì che le due aree della sala abbiano altezze distinte. L’area più bassa della sala presenta delle schermature leggere che permettono di separarla dal resto della stanza, in occasione di piccole cerimonie. Le lampade, della collezione Lyfa, sono in ottone lucido, mentre la maggior parte dei dettagli e degli arredi è in pino dell’Oregon, così come le sedie, con braccioli particolarmente corti, realizzate da L. Pontoppidan. Ciascun tavolo è corredato da sedute dall'imbottitura in lana grigia, cuscini in morbida seta blu thailandese, e presenta rifiniture in legno nero laccato. elkunst gennem 40 år, Københavns Snedkerlauget Møbeludstillinger, 1927-1966, Vol. 2, Teknilogisk Instituts Forlag, Copenaghen. 65 Nel 1956, l'architetto inoltre tiene occasionalmente delle letture all'Istituto di Design di Chicago. 66 Juhl F., 1965-66, pp. 114-8. 67 Inizialmente la sala è 13x14 metri ed ha un soffitto alto 4,5 metri. Finn Juhl riduce l'altezza del soffitto in una parte della sala a 3,5 metri, nell'altra fino a 2,5 metri. L'architetto non può modificare la struttura portante perciò i pilastri che scandiscono lo spazio interno restano invariati.

Il negozio di musica della Casa musicale Wilhelm Hansen, al numero 9 di Gothersgade, nel centro di Copenhagen, è progettato nel 1916 dall’architetto Gotfred Tvede68. La sala del negozio è di grandi dimensioni69 e dotata di due gallerie, disposte una su di un lato, una sull’altro, raggiungibili tramite quattro imponenti scale a chiocciola. Le pareti delle gallerie sono costituite da mensole e ripiani, mentre al livello inferiore sono presenti librerie a muro. Il progetto di ristrutturazione di Finn Juhl è conservativo: l’architetto decide di non modificare l’aspetto originale della sala, se non dimezzando il numero delle scale a chiocciola; e di dotarla di nuovi banconi, con tonalità cromatiche gialle e blu, piano di appoggio in formica e supporto sottile metallico. Sempre nell’anno 1966, l’architetto sposta la sede professionale a casa propria, dove lavora con un solo impiegato. Dalla fine degli anni Sessanta all’anno della sua morte, Finn Juhl si occupa esclusivamente di allestimenti di mostre retrospettive sul Danish Design o sulle sue opere. Oltre ad esposizioni minori che organizza per la Società delle Arti Applicate Danesi, durante gli anni Sessanta, Juhl allestisce la mostra Two Centuries of Danish Design, nel 196870. Esattamente venti anni dopo la mostra di Kaare Klint al Victoria & Albert Museum, Finn Juhl progetta l’esposizione Two Centuries of Danish Design, che ha luogo a Londra dal 18 Aprile al 3 Giugno del 1968. Differentemente dall’esposizione del suo predeces68 Gotfred Tvede (1863-1947) è un architetto danese che realizza opere prevalentemente in stile neo-barocco. Egli è il medesimo architetto che progetta il palazzo del complesso museale di Ordrupgaard che oggi gestisce le visite al pubblico nella Casa di Finn Juhl. 69 La sala è di 12x20 metri e presenta altezza pari a 5 metri. 70 Lo stesso anno, Juhl allestisce la mostra A Century of Danish Design al Museo di Kelvingrove a Glasgow, e alla Galleria d'Arte di Whitwort, a Manchester. La mostra Two Century of Danish Design è parte di una serie di iniziative per la diffusione del design danese che hanno luogo in Inghilterra, Scozia e Danimarca, in quegli anni. Dal catalogo, Hiort E., 1968, Two Centuries of Danish Design, a cura di The Victoria & Albert Museum, Londra, 1968.


(7) Progetto degli interni del modello di aereoplano DC-8 di SAS, 1956. Da A. L. Sommer, 2015.

21


sore, Juhl decide di incentrare la mostra su prodotti di design contemporanei. Anche in questo caso non viene a mancare la critica da parte della stampa, non di quella britannica, che elogia l’esposizione, bensì di quella danese. Si giudica l’esposizione retrospettiva e malinconica, tanto è vero che Sved Erik Møller scrive sulla rivista «Politiken»:

Nel 1984, Juhl viene inoltre eletto Cavaliere dell’Ordine di Dannebrog. Il 17 Maggio 1989, Finn Juhl muore all’età di settantasette anni.76 Un anno più tardi in Giappone, viene allestita la mostra commemorativa in onore dell’architetto Finn Juhl’s memorial Exhibition77 corredata da un catalogo. Makoto Shimazaki, collega di Finn Juhl e professore all’Università d’Arte di Musashino, si esprime così, in merito alla morte dell’architetto:

Ad essere criticato è anche stavolta il contenuto dell’esposizione, giacché l’allestimento, a cura di Juhl, è applaudito dallo stesso S. E. Møller. Analogamente alla mostra del MoMa di New York nel 1960, le istituzioni culturali richiedono anche la presentazione di modelli di arte applicata danese di antica origine71. Juhl decide di collocare gli oggetti antichi all’interno del foyer, così che risultino di introduzione agli articoli di epoca contemporanea. Dapprima l’architetto pensa di progettare apposite strutture espositive, ma in seguito alla visita del sito, si accorge che il budget è da spendere nell’ammodernamento dell’ambiente interno, caratterizzato da sale spoglie, alte 5 metri, e senza illuminazione naturale. Egli decide di progettare delle “stanze all’interno della stanza”72, grazie all’utilizzo del sistema di vetrine prodotte da Poul Cadovius73. Abstracta è un sistema molto versatile che permette a Juhl di creare ambienti distinti all’interno della grande sala, facendo in mo-

do che non vi sia una sensazione di dispersione, bensì, grazie anche all’utilizzo di lunghe tende bianche, il visitatore sia guidato nel percorso espositivo. Il risultato è di grande successo, tanto che lo stesso anno la mostra viene esposta anche a Glasgow e Manchester, con il titolo A Century of Danish Design, in quanto vengono omesse le opere del periodo più antico. Nel 1969, la Società Danese di Arti Applicate74 affida a Juhl l’incarico di allestire la sezione di design alla mostra Salle d’Exposition des Métiers d’Art, a Bruxelles. Questa è l’ultima grande esposizione di Finn Juhl per la Società Danese di Arti Applicate75. Un anno dopo, nel 1970, avviene una mostra retrospettiva sull’opera di Juhl, al Palazzo di Charlottenborg, durante l’edizione autunnale. Nell’anno 1971, smette di esercitare la professione di architetto e riceve l’offerta statale per la pensione. Dal Settembre all’Ottobre del 1973, il lavoro di Juhl è esposto alla Decima Mostra Selettiva del Mobile di Cantù, assieme alle opere di Grandi Designers come Alvar Aalto, Albini, Caccia Dominioni, De Carlo, Gardella, Magistretti, Gio Ponti, e Zanuso. Sebbene le commissioni siano ormai terminate, l’architetto vive un periodo di celebrazione della sua attività passata. Nel 1978, The Royal Society of Arts di Londra conferisce a Finn Juhl il titolo di Honorary Royal Designer for Industry, onore che fino ad allora è stato assegnato a pochi altri designers danesi; e qualche anno dopo, nel 1982, il Museo di Arti Decorative di Copenhagen decide di festeggiare i settanta anni dell’architetto, con una mostra retrospettiva sul suo lavoro.

71 Stavolta la sezione antica presenta oggetti datati dalla metà del XVIII secolo, anziché dall'Età della Pietra. 72 “room whitin a room”, trad. a cura dell'autore. Da Hiort E., 1990, p. 121. 73 Poul Cadovius è all'epoca il proprietario della ditta France & Søn, che prende il nome di CadoCollection.

Oltre alla Società Danese di Arti Applicate contribuiscono alla mostra anche la Federazione dell'Industria Danese, l'Associazione dei Manifatturieri Danesi ed altre organizzazioni. Il direttore è Bent Salicath, autore inoltre di diversi articoli su Juhl. 75 Prima di allora Juhl ha organizzato oltre sessanta mostre per la Società Danese di Arti Applicate, in ambito internazionale.

76 Si dice che già dagli anni Sessanta non goda di ottima salute. 77 Noritsugu Oda è uno degli organizzatori del memoriale su Finn Juhl, assieme alla seconda moglie Hanne Wilhelm Hansen. Tra i commenti dell'esposizione raccolti nel catalogo si ha anche quello di Edgar Kaufmann Jr. e del giornalista Henrik Sten Møller. Edgar Kaufmann Jr. muore nel luglio dello stesso anno.

An atmospheric funeral in London for everything that took Denmark to the top of the international world of design (…) (Hiort E., 1990)

74

During the 1970s I had several opportunities to visit him. At that time he appeared to have aged considerably, and his interests seemed to have shifted from design itself to education about interior design. The deaths of Finn Juhl in May 1989 and the Finnish designer, Kaj Franck in September 1989 mark a turning point in the New Design era. Many of us in the field of design hope that a reassessment of their achievements will lead to a new Scandinavian design renaissance. (Shimazaki M., 1990) Il collega e mecenate Edgar Kaufmann Jr., compara la figura di Finn Juhl all’architetto settecentesco E.L. Boullèe, che in un secolo di classicismi si distingue per la sua originale creatività e sostiene che operare in modo rivoluzionario significa produrre capolavori, capaci di promuovere un cambiamento nella società e nell’architettura. We are not living in the 18th century, nor in a museum gallery. What we need are masterpieces of design, forms that accept, embody, and heighten the ways we want to be, the way we know to do. What is once designed thus serves and

helps us in a thousand replicas and in more then thousand variations: here the processes are purely servants to design, not design the servant of the processes. And here I find Finn Juhl. His forms are as masterful, now as when they were now. They are capable of a plentitude of embodiments still unexplored. Juhl is no performer, he is creater. We need more of him. (E. Kaufmann Jr., 1990) In un articolo di «Domus» del 1950, G. B. De Scarpis scrive: L’aspetto più saliente dell’arte danese è l’assenza di ogni formalità, lo spirito domestico che anima ed ispira ogni sua forma, si chiami essa architettura, pittura, scultura, arte applicata. (…) Presentando Finn Juhl, architetto, arredatore, ideatore di mobili e ceramiche, avviciniamo il pubblico italiano ad uno dei rappresentanti più significativi della giovane scuola danese, e ad un artista che assomma a queste prerogative nordiche una sensibilità, una immaginazione, un eclettismo umanistico sorprendenti. (…) Si può dire che tutta la Danimarca è un laboratorio: capacità e virtù riunite, operano ovunque, in ogni settore, al servizio del benessere civile. Finn Juhl dirige un reparto. (De Scarpis G., 1950, p. 19)


(8) Juhl F., Ristorante dell'Hotel Richmond, Copenhagen, 1966. Da Hansen P. P., 2014.

23



pagina precedente (9) Juhl F., Capitolato d'appalto di casa Juhl ad Ordrup, dattiloscritto, 8 novembre 1941, archivio del Museo del Design di Copenhagen.

Parlando di Finn Juhl in quanto architetto sorge spontanea l’associazione alle opere a carattere residenziale, giacché la questione è motivo di interesse da parte dello Stato danese e dei progettisti, sin dal primo dopoguerra 1, e poiché “in realtà qualunque discorso sulla Danimarca comincia e finisce con uno stesso argomento: la casa.” (Gentili E., 1962, p. 2) Sebbene venga realizzato soltanto un numero esiguo di residenze2, il nucleo principale dell’attività architettonica di Juhl consiste nell’abitazione unifamiliare3, su cui l’architetto scrive Hjemmets Indretning4 nel 1954. Nel manuale, egli non offre un’unica soluzione al problema, bensì esprime alcuni suggerimenti sulla composizione di case unifamiliari5, porgendo al lettore alcu1 Negli anni Venti, in Danimarca si ha il fenomeno del cosiddetto neoclassicismo sociale; i caratteri dell’architettura antica si reputano conciliabili con la costruzione di nuovi blocchi residenziali, all’interno della città in espansione, per il loro rigore e regolarità. Si aspira all’equità sociale abitativa; ed uno dei maggiori esponenti di questo movimento è Kay Fisker, in seguito professore di Juhl all’Accademia Reale. 2 Si può affermare che l’architetto abbia disegnato più residenze di quelle prese in esame. Christian Bundegaard, nel testo Finn Juhl. Life, Work, World (2019), include nell’indice delle opere anche una residenza unifamiliare ad Ordrup, commissionata da Anders Hostrup-Pedersen e risalente al 1954, una villa a Blistrup del 1957, progettata per l’artista Erik Thommesen, ed una casa a Ørholm, costruita tra il 1966 e il 1967 per A Roed. Tuttavia non si hanno informazioni o disegni originali sufficienti per svolgere un’analisi precisa dei progetti architettonici. 3 L’interesse per la tipologia residenziale unifamiliare potrebbe derivare anche dalla formazione dell’architetto. Alla Scuola di Architettura di Copenhagen, all’epoca in cui Juhl è studente, si privilegia il tema dell’abitazione unifamiliare, il cui studio è annuale e si focalizza sulla relazione tra l’architettura e contesto, sulla razionalità della pianta, e sul rapporto spaziale tra interno ed esterno. 4 Le traduzioni degli estratti dal testo di Juhl (1954) sono a cura dell'autore, con l'ausilio di Sidsel Olsen. 5 Nella maniera in cui Juhl affronta la “questione casa”, si potrebbero riscontrare alcune analogie con la visione di F. L. Wright di qualche decennio prima. Vedi F. L. Wright, 1955, Una autobiografia, trad. a cura di Bruno Oddera, Mondadori, Milano.

L'architettura residenziale di Finn Juhl

ni modelli ed esprimendo il proprio interesse verso l'aspetto sociale dell'abitazione. Per Juhl, la casa ha un valore fondamentale nella vita dell’individuo, tanto da poter influire sulle relazioni familiari. Per questa ragione, egli considera che il compito del progettista sia molto complesso6, soprattutto per quanto riguarda la progettazione di complessi abitativi finanziati dallo Stato, tema che, tuttavia, non interessa questa pubblicazione. L’essenza di questa ricerca è la catalogazione e l’analisi critica dell’architettura residenziale unifamiliare di Juhl. L’architetto, noto soprattutto per i mobili, progetta una serie di ville, sparse per il territorio della Danimarca, di cui quattro realizzate e visitate da me. Il primo progetto è quello della sua abitazione ad Ordrup (9), costruita all’inizio degli anni Quaranta, mentre nel decennio successivo si hanno i progetti di Villa Aubertin, a Nakskov, nell’isola di Lolland; della casa estiva ad Asserbo, per Johanne Elise e Anton-Petersen; e delle due residenze, non realizzate, nella piantagione di Klelund, nella penisola dello Jutland, per il Conte Moltke Huitfeld. Risalente agli anni Sessanta, è invece il progetto della casa estiva a Raageleje, per Anders Hostrup-Pedersen, ambasciatore delegato della Georg Jensen, ditta per la quale Finn Juhl viene nominato architetto ufficiale ed organizza una mostra.

6 Gli schemi che Juhl individua per utilizzare in maniera più efficace lo spazio, soprattutto in caso di abitazioni di piccole dimensioni, includono anche la collocazione degli arredi. Vedi Juhl F., 1954.

Per portare avanti l’indagine, è stato fondamentale analizzare il corpus grafico di Juhl, appartenente all’archivio del Museo del Design di Copenhagen. Lo studio dei disegni è stato agevolato dal Konserveringsrapport-Finn Juhl-samlingen på Designmuseum Danmark7 e Registrånt over arkitekt Finn Juhl’s Tegninger8, conservati nella biblioteca del Museo del Design di Copenhagen. Il primo è una catalogazione dei documenti acquisiti dal museo, a partire dal 2009 al 2011, che suddivide gli elaborati in sei categorie distinte. Il secondo è un catalogo dei disegni di Finn Juhl, a cura di Esbjørn Hiort9. La ricerca è stata focalizzata sui documenti inediti, trascurando gli acquerelli già noti10. La catalogazione è stata riassunta e riportata in forma di didascalia accanto o sotto a ciascuna figura. Le schede relative ad ogni singolo foglio elencano: il numero di tavola, l’intitolazione originale, nel caso esista; il soggetto, l’autore materiale dell’elaborato; la datazione dell’elaborato, posta tra parentesi quadre qualora non sia desumibile da informazioni presenti sul documen7 Lotte Gelbjerg-Hansen Klyver, 2011, Konserveringsrapport-Finn Juhl-samlingen på Designmuseum Danmark, a cura di Designmuseum Danmark, Copenhagen. 8 Hiort E., 1990, Registrant over Arkitekt Finn Juhl’s Tegninger, Kratvænget 15, Charlottenlund. 9 A cura dello stesso autore vedi inoltre Hiort E., 1990, Finn Juhl. Furniture. Architecture. Applied art, Copenhagen, The Danish Architectural Press; Hiort E., 1968, Two centuries of Danish Design, a cura di Victoria & Albert Museum, Londra, 18 Aprile- 3 Giugno 1968; Hiort E., 1956, Modern Danish Furniture, trad. ing. Wendt M. E., Gjellerups Forlag, Copenhagen; Hiort E., 1958, Contemporary Danish Architecture, Arkitekrens Forlag, Copenhagen; Hiort E., 1952, Housing in Denmark, Jul. Gjellerups Forlag, Copenhagen. 10 Vedi Anne-Louise Sommer, 2015, Finn Juhls Akvareller, Copenhagen.

to stesso; la scala metrica, se riportata; la tecnica e il numero di inventario dell’archivio. Le informazioni dubbie o mancanti sono segnalate da un punto interrogativo tra parentesi tonde (?). Il capitolo seguente concentrerà il racconto sul progetto di Casa Juhl, prima architettura domestica dell’architetto, la più nota e quella che maggiormente incarna i principi descritti nel manuale. Per offrire una visione complessiva della maniera di progettare di Juhl, oltre a descrivere la sua dimora, nei capitoli successivi, si farà riferimento anche ai progetti residenziali sopra elencati, paragonando le opere di Juhl con quelle di altri architetti ed artisti, che possono averlo ispirato ed influenzato durante il processo creativo. Il capitolo seguente si incentrerà invece sull'analisi critica e la lettura dei documenti d'archivio relativi alla casa estiva ad Asserbo, un'architettura poco nota di Finn Juhl, risalente agli anni Cinquanta. Per comprendere i progetti illustrati, è importante inoltre sottolineare che Juhl non concepisce l'opera architettonica come qualcosa di compiuto e immutabile. Al contrario, le sue architetture domestiche possono essere trasformate nel tempo a seconda delle diverse esigenze, intervenendo sia sulla volumetria che sugli arredi, i quali modificano l'uso e la percezione degli spazi.

25



Casa Juhl ad Ordrup

pagina accanto (10) Finn Juhl, casa Juhl, Ordrup, pianta in scala 1:100, 1970, acquarello su cartoncino (M. Riis-Carstensen?), 53x59,7, inventario A66.

Casa Juhl, ad Ordrup è la prima villa che l’architetto realizza, all’età di trentuno anni. L’edificio, residenza e studio dell’architetto, occupa il lotto numero 15 su Kratvænget a Charlottenlund, località residenziale a nord di Copenhagen, distante 11 km dal centro e caratterizzata dalla presenza di ville di pregio architettonico, come la casa di A. Jacobsen o di E. Møller, ed ampi spazi verdi privati1. L’abitazione ha impianto architettonico ad “L” ed è posizionata in un terreno di 1.925 mq2. Al fine di ricostruire la storia di questa architettura si fa riferimento a molteplici fonti, alla monografia su Finn Juhl di Esbjørn Hiort (1990) e ai disegni originali conservati nell’archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen3. I documenti relativi alla casa, consultati nell’archivio del Museo di Arte e Design, sono: 81 disegni, 2 fotografie e 10 pagine di capitolato d’appalto (9). Le informazioni sono datate a partire dall’anno 1941, esordio della carrie1 Anche Arne Jacobsen, Jørn Utzon ed altri architetti noti dell’epoca costruiscono ville a nord di Copenhagen. L’area a nord di Copenhagen viene considerata una zona residenziale borghese sia all’epoca di costruzione della villa che oggigiorno. Lo conferma la presenza di due capitoli, nella rivista danese «Arkitekten», su ville unifamiliari situate in questa zona. Vedi ad esempio No. 46, 1944, pp. 101128. 2 Oggigiorno l’accesso all’abitazione è consentito da Vilvordevej, anziché da Kratvænget, giacché la casa è parte del Complesso Museale di Ordupgaard. 3 Museo di Arte e Design di Copenhagen (DesignMuseum Danmark), vedi www.designmuseum.dk

ra di Juhl come architetto indipendente, al 1970, nella fase matura della sua carriera. Il primo documento rinvenuto è del 20 Aprile 1941, tuttavia è plausibile che già precedentemente Finn Juhl avesse in mente di progettare la propria abitazione e che avesse già riportato le sue idee, in elaborati oggi andati perduti4. Il capitolato d’appalto, finalizzato ad una gara, risale al primo Novembre 1941, dunque è possibile che Juhl inizi la costruzione nell’inverno del 1941 e che la termini negli anni 1942435. (10) Al fine di conoscere la casa di Finn Juhl, non è possibile prescindere dal rimando ad avvenimenti familiari, personali o ad eventi storici che potrebbero aver influenzato il processo progettuale. Gli anni che precedono e seguono l’inizio della progettazione sono infatti cruciali nella vita di Juhl, sia dal punto di vista Le fonti in merito all’anno di inizio della progettazione e costruzione della residenza sono discordanti. La rivista «Politiken» del 1989, anno della morte dell’architetto, sostiene che Juhl inizi la costruzione della casa nel 1940. Tuttavia ciò pare inverosimile in quanto il capitolato d’appalto è datato 1941. Dødsfald, Arkitekt Finn Juhl, «Politiken» 18 Maggio 1989. 5 Le fonti sono incerte al riguardo. Avvalendosi di quanto riportato nei documenti originali, l’acquarello del 1970 indica 1941-1942 come anni di costruzione. Tuttavia è presente un diagramma degli impianti idrici risalente all’estate del 1942. Hiort E., 1990; Hansen P.P., 2014; Bundegaard C., 2018; Holstein A., The Family Juhl, «Dwell» Novembre-Dicembre 2003, pp. 90, riportano l’anno 1942. Hanne Wilhelm Hansen sostiene in un’intervista:“Before Finn died on May 17th last year, he asked me to continue my life in our home- the house he built in 1943”in 1990, Finn Juhl: Finn Juhl Memorial Exhibition, pp. 11. La rivista tedesca «Das Werk», No. 35, del 1948, indica il 1944 come anno di conclusione dei lavori di costruzione. 4

professionale che per quanto riguarda la sua vita privata. Il matrimonio nel 1937 e la probabile adozione del figlio potrebbero essere stati decisivi nella scelta di costruire un’abitazione atta a soddisfare le necessità della futura famiglia. Nel suo libro Hjemmets indretning, Juhl scrive: La casa è la cornice della vita familiare e della realtà umana. Al termine casa, associamo il concetto di coesione e relazioni umane, assai più importanti della cornice. Sappiamo di non poter creare la felicità e la soddisfazione dell’essere umano tramite il design, la cornice (la casa), le attrezzature bellissime al suo interno. D’altra parte, una casa mal progettata è di ostacolo alla vita della famiglia e può causare insoddisfazione che infine influisce negativamente sulla vita familiare. (…) La composizione della famiglia è perciò un fattore importante, così come lo sono il lavoro che svolgono i membri della famiglia e i loro ruoli nella società. (Juhl F., 1954, p. 33) Nel 1940 Juhl ha per la prima volta6 l’idea di costruire una casa per sé stesHenrik Sten Møller (1937), giornalista specializzato in architettura e design danese, sostiene: “In 1940, while toying with the idea of building a house for himself, FJ continued with upholstered furniture and exhibited at the Copenhagen Cabinetmakers’ Guild Exhibition.”Dal catalogo della mostra ”Finn Juhl’s furniture in Japan”, 1990, p. 18.

6

so. Dopo aver vissuto, dal 1902 al 1933, nella dimora del padre7 a Frederiksberg e, dal 1933 al 1942, in un appartamento in affitto8, egli decide di abbandonare il centro di Copenhagen per dirigersi a nord, in una zona tranquilla, a venti minuti dalla città. Già nel modesto appartamento in affitto, Juhl arreda gli ambienti interni con mobili da lui stesso progettati. I suoi primi lavori di arredamento e architettura egli li realizza infatti per uso personale, atteggiamento assai diffuso tra gli artisti danesi, già a partire dal XVIII secolo9. Parallelamente, dopo aver studiato sotto la guida del maestro Fisker ed aver lavorato per undici anni nell’ufficio di Lauritzen, Juhl decide di allontanarsi dai suoi mentori per fondare il proprio studio di architettura. Lo studio, presumibilmente coincidente con l’appartamento abitato in 7 Finn Juhl dichiara di non avere avuto buoni rapporti con il padre Johannes (1872-1941). Cfr Hiort E., 1990, pp. 3-4. 8 Sino a quel momento, Juhl vive in un fondo in affitto nel centro di Copenhagen. Egli ha la possibilità di vivere lontano dalla casa paterna, all’età di ventuno anni, grazie all’accettazione dell’eredità della madre. Si ipotizza che l’appartamento in cui vive corrisponda allo studio professionale di Nyhavn 33. Un arredo, da Juhl stesso progettato, si chiama “Nyhavn Spisebord, 1953”, ossia “Tavolo da pranzo, Nyhavn, 1953”. Ciò induce a pensare che lo studio a Nyhavn disponesse di una sala da pranzo e che Juhl possa aver vissuto lì fino quando la residenza di Kratvænget non è terminata. 9 Dal XVIII, il pittore Nicolai Abildgaard dipingeva opere pittoriche per sé stesso, ispirate a vasi, cenotafi e sculture dell’antica Grecia. Egli esercita influenze sia su Juhl che sul primo periodo di A. Jacobsen. Vedi Hiort E., 1990, p. 3.

27


precedenza, è situato al numero 33 di Nyhavn: non è uno spazio molto grande, soli quaranta metri quadri di superficie, ma confortevole ed in grado di ospitare fino a dieci impiegati al suo interno. Molti disegni originali contengono una didascalia con l’indirizzo della sede professionale, la quale varia a seconda delle fasi della sua esistenza. Si potrebbe affermare dunque che nella vita di Juhl il desiderio di indipendenza abitativa coincida anche con l’esigenza di ottenere indipendenza professionale. La prima metà degli anni Quaranta non è un momento favorevole per iniziare i lavori di costruzione, data la condizione politica della Danimarca. Dal 1940 al 1945, il Paese subisce l’occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale perciò è plausibile che tale fattore abbia inciso nella realizzazione finale dell’abitazione. Inoltre, è errato pensare che la casa abbia sempre avuto la medesima configurazione. Dall’analisi dei documenti che vanno dal 1941 al 1970, risulta che Juhl ha progettato modifiche e ampliamenti, solo in parte realizzati, della propria abitazione. I mobili, i colori e le dimensioni sono variati nel tempo rispetto a quelli dell’anno in cui viene costruita: si tratta di un’opera in continua evoluzione. Tale modo di progettare, che potremmo chiamare “Darwiniano”, prevede che Juhl ripensi l’arredamento interno ogniqualvolta disegni nuovi mobili. Egli rimpiazza ciò che non è più utile con elementi nuovi: sostituisce senza sovrapporre. Solo i mobili più iconici restano permanenti. Egli stesso afferma: stanze più belle architettonicamente, perché divenute meno affollate.10 (Juhl. F., 1954, pp.23-24) Al fine di comprendere la figura di Juhl in quanto architetto, è fondamenta10

Trad. a cura dell’autore.

le apprendere la relazione di complementarietà che vi è tra la sua architettura e l’interior design e come questi elementi influiscano sulla fase progettuale. In una citazione ricorrente, egli infatti sostiene: Una sedia non è solo un prodotto industriale in una stanza, ma essa è lo spazio che genera nella stanza stessa. (Juhl F., 1950, p. 26) Egli concepisce l’arredamento come un fattore che determina l’effetto globale spaziale dell’architettura e ritiene che questo, assieme alle arti applicate e alle arti figurative, rappresenti un’entità strettamente legata con l’architettura. Ciò che conta è l’insieme, il tutto, “helhed” (Juhl F., 1950, p. 24). Per tale ragione, facendo riferimento alla storia della casa ad Ordrup, non è possibile prescindere dagli arredi. Si tratta di una vera e propria opera d’arte totale, un Gesamtkunstwerk in cui Juhl non solo disegna dettagliatamente l’architettura, ma progetta anche i mobili, le opere d’arte e ogni accessorio da disporre all’interno. La casa ha una forma ad “L”, articolata in due blocchi diseguali. Il minore contiene l’ampio soggiorno con camino, lo studio, il bagno per gli ospiti; il maggiore: la sala da pranzo, la cucina, la stanza della governante, le due camere da letto11 ed il bagno12. Entrambi i corpi di fab11 Nonostante i disegni originali non presentino didascalie al riguardo, si può ipotizzare che la camera da letto minore sia destinata al figlio adottivo Klaus. Egli avrebbe potuto occupare tale camera in quanto vi è un letto singolo e si trova di fianco alla camera da letto maggiore, mentre l’altra camera che presenta un letto singolo è espressamente indicata come stanza della governante. Tuttavia, la camera da letto, presumibilmente occupata da Klaus, è illustrata in un altro elaborato (12) senza letto, disegno che si presume risalga al 1949 o ad anni successivi, dato che presenta il disegno in pianta di una Sedia del Capo, progettata nel 1949. Ciò potrebbe indicare che Klaus se ne sia andato di casa intorno al 1949 o che Juhl gli stia cercando una nuova sistemazione all’interno della dimora. Seguendo questa ipotesi, i vari progetti di ampliamento potrebbero essere relazionati al figlio Klaus, anche se in nessuno degli elaborati di ampliamento è presente un letto. 12 Si fa riferimento alla conformazione attuale della dimora e a quella che ci è pervenuta a partire dal 1968, anno in cui Juhl amplia la camera da letto.

brica hanno copertura a due falde, differenziate per il blocco minore, uguali per il maggiore, e sono collegati da un fabbricato più basso, a tetto piano, dove si trova una stanza che si estende verso la veranda ed il giardino antistante, indicata nei disegni con l’appellativo Havestue13 (11). L’ingresso alla veranda ed il grande salotto presentano un’uscita verso il giardino, situato allo stesso livello dello spazio interno e racchiuso dalle due ali principali. Nel 1961, a quarantanove anni, Juhl divorzia da Inge-Marie. La nuova compagna, Hanne Wilhelm Hansen, si trasferisce con lui ad Ordrup all’età di trentasette anni ed il figlio adottivo Klaus, giunto alla maggiore età, secondo la tesi riportata dalla Birgit Lyngbye Pedersen14, avrebbe lasciato la casa del padre15. Il nuovo assetto familiare potrebbe aver influenzato la vicenda progettuale dell’abitazione, in quanto, dal 1961, si prevedono ulteriori varianti al progetto originario16. Nel 1968 l’ala più grande della casa viene ampliata (13). Tale ampliamento prevede che la stanza da letto venga ingrandita verso il cortile così da essere dotata anche di un piccolo salotto e da eliminare l’uscita verso il giardino, presente invece nello schema iniziale del 1941. Questa variante è l’uniIn danese, Havestue significa letteralmente veranda. Tuttavia, trattandosi di un ambiente coperto, completamente integrato con il resto degli ambienti interni, farò riferimento ad esso con l’appellativo “ingresso alla veranda” o “foyer. 14 Birgit Lyngbye Pedersen è una storica del design, specializzata nello studio del design di Finn Juhl. Ella testimonia alcuni eventi significativi della vita privata di Juhl in quanto conosce la nipote di Hanne Hansen e persone che hanno conosciuto personalmente l’architetto. 15 Si può ipotizzare che l’abbandono della dimora del padre sia un evento all’incirca contemporaneo al divorzio con la prima moglie. Klaus infatti, secondo quanto detto da Birgit Lyngbye Pedersen, vive nella dimora per diciotto anni e, supponendo che sia stato adottato poco dopo il matrimonio tra Inge Marie e Juhl, egli avrebbe lasciato la dimora intorno alla fine degli anni Cinquanta. 16 Juhl è solito progettare varianti al progetto originario dell’abitazione. Già da uno dei primi disegni del 1941, si nota la volontà di ampliare l’ala sud della casa con l’aggiunta di due corpi ad essa collegati. La variante è del tutto sommaria ma rivela la volontà dell’architetto di ingrandire e apportare modifiche alla casa. In sintesi, si potrebbe affermare che, dal 1952, le modifiche vanno aumentando e diventano sempre più rilevanti. 13

ca, tra le molte progettate, ad essere infine realizzata. Come testimoniano i disegni originali, Juhl è solito studiare delle varianti e già da un elaborato del 1941, si nota la volontà di accorpare un volume all’ala minore. L’idea tuttavia viene abbandonata già lo stesso anno, in quanto un disegno di poco posteriore non la rappresenta. Anche il garage disegnato nel 1941, ha conformazione diversa dalla versione realizzata l’anno successivo. Allo stesso modo, l’ipotesi di ampliamento prevista per la tettoia d’ingresso, progettata nel 1954, non viene conclusa (14). Nel 1954, Juhl disegna inoltre l’ampliamento del soggiorno, senza portarlo a termine. L’ala minore è in particolare modo oggetto di varianti. (10; 16) Nel 1958, egli prevede un’ipotesi di ampliamento dell’ala minore diversa da quella del 1941. Si tratta di un corpo collegato alla preesistenza, ma avente orientamento differente. Il progetto non viene terminato e nel 1966, Juhl ne propone una versione alternativa, ma nemmeno questa viene costruita. L’ultimo elaborato in ordine cronologico è del 1970 e mostra, assieme all’ampliamento del 1966, una serie di setti murari che, oltre a chiudere il fronte dell’abitazione su Kratvænget, collegano il nuovo volume al muro di cinta e ai fabbricati preesistenti. Questi setti non vengono costruiti, così come l’ampliamento che pare abbia funzione di studio17. L’involucro, secondo Henrik Sten Møller, ricorda un modesto rifugio, una tenda gigante di tela che Juhl modella al fine di creare delle superfici inclinate che permettono alla luce solare di entrare all’interno. Lo stesso Møller, in merito alla casa e alla figura di Juhl, scrive: Finn Juhl was the out-and-out dandy. You can feel it in his own house, designed by himself in 1941. Dal 1966, Juhl sposta la sede professionale da Sølvgade 38 a casa propria ed ha un solo impiegato.

17


(11) Finn Juhl, casa Juhl, Ordrup, pianta in scala 1:100, 1941, china e matita su carta da lucido, 42x30, inventario B63.

29


The location is marvelous, almost scenic towards Ordrupgaard in Kratvænget vej 15. (Møller H. S., 1990, p. 18) La progettazione del giardino è a cura del paesaggista Troels Erstad18. Tuttavia è probabile che lo spazio circostante la dimora sia stato alterato nel tempo dato che attualmente la casa è circondata da edifici costruiti in seguito, come ad esempio il museo di Ordrupgaard19. Al principio, il giardino presenta una serie di alberi da frutto, disposti su terreno in lieve discesa, che a nordest vanno a confondersi con la vegetazione del parco di Ordrup. Dinnanzi alla camera da letto, delle aiuole, dalla forma curvilinea e contornate da pietre rustiche, ospitano rose selvatiche, erbacee perenni e sabbia. La casa è dotata anche di una tettoia per l’ingresso principale, alla quale Juhl vuole apportare una variante nel 1954, che non viene però realizzata. Slegati dall’abitazione vi sono un gazebo20, databile alla fine degli anni Cinquanta, nella parte occidentale del giardino ed un garage21 del 1942, a nord-ovest. Prima dei lavori di costruzione, l’area di progetto è pianeggiante, ma la terra scavata per far spazio alle fondazioni e alla cantina, viene poi collocata ai margini dell’edificio in modo da creare una lieve conca su cui tuttora giace la casa stessa. La forma concava del terreno fa sì inoltre che dal salotto della camera da letto sia possibile accedere

18 Troels Erstad (3 Luglio 1911- 7 Ottobre 1949) è un architetto del paesaggio danese. Come il padre Erik Erstad-Jørgensen, dimostra di avere approccio innovativo e sperimentale nell’ambito dell’architettura del paesaggio e nella progettazione di giardini. Nel 1949, anno della morte, diventa capo della Scuola di Paesaggio da lui stesso fondata. 19 Il muro di cinta disegnato nelle piante originali appare oggi sostituito da una siepe di recinzione. 20 Il gazebo non è rappresentato nei primi disegni risalenti al 1941 e non vi sono fotografie che testimoniano la sua presenza. 21 L’idea di costruire il garage risale al 1941 in quanto il capitolato d’appalto dichiara di non tenerne cura per quanto riguarda i lavori di costruzione anche se tuttavia esso compare in alcuni disegni dello stesso anno. La tavola contenente tutte le informazioni relative al garage e la pergola a fianco è del 1942. Oggi la pergola non è più presente.

all’esterno senza bisogno di una scala. La copertura dell’edificio ha struttura in legno ed è ricoperta in eternit di colore grigio. La struttura è in mattoni, secondo il metodo di costruzione tradizionale. Il mattone utilizzato è laccato così che l’involucro esterno dell’edificio risulti di colore bianco. La laccatura conferisce una superficie liscia opaca che necessita di costante manutenzione. Gli infissi delle vetrate hanno struttura lignea di colore bianco. La pavimentazione esterna, prospiciente l’ingresso principale e l’uscita verso il giardino, è in mattoni. La stessa, dai toni tendenti al giallo, è applicata anche in una porzione di pavimento rettangolare in prossimità del camino nel soggiorno. All’interno, Juhl sceglie un pavimento in parquet di Pino dell’Oregon per il soggiorno, il foyer, la sala da pranzo, e per le due camere da letto; mentre per i restanti ambienti, principalmente di servizio e più funzionali, predilige una pavimentazione in linoleum colorato. Finn Juhl privilegia la luce naturale. Il salotto, la stanza verso il giardino e la camera da letto matrimoniale22, ambienti che assieme costituiscono gran parte della superficie totale dell’abitazione, sono esposti a sud e dotati di ampie vetrate, con accesso al parco antistante. La progettazione parte dalla configurazione degli spazi interni senza avere l’obiettivo di costruire un prospetto basato su parametri di simmetria o meramente formali. Le facciate dell’abitazione hanno il compito di rispecchiare la funzione di ciascun ambiente interno e al contempo di dimostrare equilibrio tra il pieno della muratura e il vuoto delle aperture. Daniele Regis, nella rivista «Abitare» del 1995, scrive:

22 Nel 1968 Juhl amplia la camera da letto matrimoniale, prolungando le pareti esistenti di 4,25 metri.

Il percorso progettuale di Juhl parte dalla pianta e da questo deriva gli esterni (…) (Regis D., 1995) Ciò che conta per Juhl sono infatti gli spazi interni, ricavati dal disegno della pianta. Egli concepisce una progettazione dove le parti prevalgono sul tutto. La sua maniera, detta inside out, prevede che la definizione dell’involucro esterno segua il disegno degli ambienti che lo costituiscono: pars pro toto. I prospetti sono dunque elementi secondari, in quanto dipendenti dalla funzione e dalla disposizione dei locali interni. L’originalità e la modernità della casa di Finn Juhl consistono perciò, non tanto nello scheletro dell’edificio, quanto nella progettazione degli spazi interni e degli arredi. (14) Era difficile costruire per un giovane architetto durante la guerra e nel dopoguerra a causa della mancanza di materiali da costruzione, così ho pensato che fosse naturale lavorare con ciò che andava all’interno delle case. (Holger J., 1949, pp. 217-218) Uno dei primi disegni è la rappresentazione, in scala 1 a 20, del divano collocato nella stanza sul giardino. Anche in altri disegni successivi, egli delinea gli arredi prima ancora di avere determinato la conformazione finale dell’edificio. Si può da ciò dedurre che Juhl, già in fase concettuale, pensi ai mobili da disporre all’interno. Questi sono elementi complementari all’architettura: veicolano e vincolano la progettazione degli spazi interni, a loro volta riflessi in facciata. Tutti i mobili presenti nella casa sono opera di Juhl; molti di essi sono prodotti artigianali dell’ebanista Niels Vodder, inizialmente esposti alla mostra annuale della Gilda degli ebanisti e successivamente collocati nell’abitazione. Tuttavia, a giudi-

care da fotografie di periodi diversi23, si può affermare che l’arredamento interno è mutato nel corso degli anni e che la conformazione attuale non rispecchia quella del 1941. Determinare con esattezza gli arredi, presenti originariamente e sostituiti, aggiunti o tolti nel tempo, è assai complesso. La casa è paragonabile ad un sito archeologico, che subisce cambiamenti e nel quale si sovrappongono strati su strati. Ad esempio, un disegno del 1941 (12) testimonia che sia gli arredi che le dimensioni dell’edificio sono stati alterati. Nel progetto del 1941 non appare nessuna Høvdingestolen, “Sedia del Capo”, né le sedute FJ 45 o FJ 46, così come la scrivania con il ripiano alzabile. Vi sono invece due rari esemplari di Sedia Cavalletta, oggi scomparse perché ereditate da Inge-Marie al momento del divorzio, collocate nella stanza prospiciente il giardino e nel soggiorno, che ha conformazione assai differente da quella odierna. Questo ambiente infatti presenta due Poeten, “Divani del Poeta”, disposti intorno al camino e appoggiati su di un tappeto zebrato, un pianoforte a coda, al posto dell’odierna scrivania, un divano di diverse dimensioni e una piccola scrivania con dietro una Sedia Pellicano24, anziché le due sedie FJ 45 e FJ 44. La grande libreria a parete del soggiorno, così come il piccolo divano, di fianco alle scale che conducono alla sala da pranzo, sono sempre stati presenti: sono modelli di arredi progettati appositamente ed unicamente per la casa. Anche un prototipo di sedia senza nome, progettato e collocato nello studio adiacente all’ingresso principale, resta invariato dal 1942. Il grande pianoforte, rappresentato nella pianta del ’41, e anche in 23 Vedi al riguardo la documentazione fotografica dell’archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen; Juhl F., 1944, Eget Hus i Ordrup Krat, «Arkitekten», No. 46, pp. 121-127; Juhl F., 1947, House at Ordrup Krat., in Architects’ Year Book 2, Londra, pp. 111-114; Hiort E., 1990; D. Regis, Finn Juhl, his own Home, «Abitare», Aprile 1995, pp 180-9. 24 La seduta risale presumibilmente al 1940.


(12) Finn Juhl (?), casa Juhl, Ordrup, pianta in scala 1:100, 1949 (?), china su cartoncino, 23x27, inventario B63.

31


altri disegni25 senza data, indica la passione di Juhl per la musica e il pianoforte26. Dall’osservazione del disegno si rileva che anche la camera da letto ha configurazione differente, in quanto vi sono disposti due letti singoli separati al centro da due comodini, analogamente a quanto Juhl scrive sulla tipologia “c” della camera da letto27, di cui tratta in Hjemmets Indretning. La disposizione del soggiorno varia intorno all’anno 194728, poiché fotografie dello stesso anno illustrano che il pianoforte viene rimosso, assieme alla piccola scrivania e alla Sedia Pellicano. Al posto del pianoforte vi è invece l’odierna scrivania alla quale si addossano, dietro, la FJ 4629 e, davanti, la FJ 4530, così come appare oggigiorno. All’angolo, dove prima si trova la scrivania, compare, conformemente allo stato attuale, il lungo divano, un tavolino, una FJ 44 ed un paio di FJ 45, probabilmente le stesse esposte precedentemente alla mostra della Gilda degli Ebanisti31. La Sedia Pellicano, dalle forme organiche e sinuose, non è presente nelle immagini del soggiorno del 1947 e si potrebbe dedurre che essa appartenga al primo periodo di Juhl, Un pianoforte ricorre spesso nei disegni di Juhl. Esso è presente anche in alcuni disegni intitolati “Camera di Inges”, e ciò fa credere che anche la sua prima moglie suonasse il pianoforte o che Juhl non sappia ancora dove posizionarlo. 26 Juhl è conoscitore di musica classica e il padre Johannes sapeva anch’egli suonare il pianoforte. Vedi Dødsfald, «Politiken», 18 Maggio 1989. 27 Juhl scrive in merito alla disposizione di arredi della camera da letto in Hjemmets Indretning. La tipologia “c” prevede che vi siano due letti singoli separati dai comodini e con finestra al centro, così da usufruire della luce naturale. Vedi Juhl F., 1954, p. 52. 28 Juhl scrive un articolo in merito alla lampada PH, prodotta da Louis Poulsen. L’intervista è accompagnata da alcune fotografie che illustrano l’arredamento della sua dimora nel 1947. Vedi Juhl F., 1947, Som man reder, så ligger man…, in «LP-Nyt», No. 66. 29 La seduta è progettata da Juhl nel 1946 per essere esposta alla Gilda degli Ebanisti. Nel 1953 tuttavia egli apporta delle modifiche al fine di renderla più leggera così che possa essere riprodotta dalla Bovirke. 30 Definita “the mother of all modern chairs” da Noritsugu Oda, la sedia è progettata da Juhl nel 1945 in occasione dell’esposizione della Gilda degli Ebanisti e realizzata dall’ebanista Niels Vodder. 31 È possibile che, non essendoci stati acquirenti, dopo essere state esposte nel 1946 all’esposizione della Gilda degli Ebanisti, esse siano state spostate nella dimora di Juhl. Vedi Hansen P.P., 2014, p. 181; Juhl F., 1951, p. 30. 25

giacché non viene mai più riproposta dopo il 1944. La sedia FJ 44, detta pure Knoglestolen32, in origine esposta in una sala da pranzo progettata per la mostra del 193733, in mogano cubano e sedile di pelle, modello raro di cui restano solo dodici copie, è plausibile che compaia nell’abitazione dal 1944 ed è ammirabile tuttora. Pure la sala da pranzo subisce varie modifiche nell’arredamento. Intorno al tavolo da pranzo inizialmente sono presenti delle sedie con struttura in legno34 che, al termine degli anni Quaranta, sono sostituite dal modello Egypterstol, “Sedia Egiziana”35 che Juhl progetta per Bovirke36 ed espone, nel 1949, alla mostra della Gilda degli Ebanisti. Nel 194937 Juhl raggiunge l’apice della sua carriera e probabilmente anche quello della progettazione di interni della dimora. Si può affermare che dopo il 1949 non vi siano numerosi cambiamenti nell’arredamento. Personalmente Juhl preferisce l’arredo artigianale a quello prodotto in serie38, perciò solamente pochi pezzi prodotti industrialmente sono presenti nella sua dimora, come ad esempio il tavolino in teak, prodotto per France & Søn, o la Karmstol39 per Bovirke. Nel 1961, Juhl progetta un gruppo di arredi per la camera da letto con il suo nuovo collaboratore Ludvig Pontoppidan ed in seguito li sposta nella propria casa. Anche due sedie FJ 44, una Sedia del Capo e due FJ 48 sono inserite nella camera da letto, in seguito all’ampliamento Ossia Sedia di Osso, trad. a cura dell’autore. Prodotta da Niels Vodder per la mostra del 1937 della Gilda degli Ebanisti. Si tratta di una sedia molto difficile da riprodurre manualmente, uno dei capolavori di Juhl e del suo collaboratore. 34 Cfr Juhl F., 1944, pp. 121-127; Hansen P.P., 2014. 35 Sedia Egiziana. Il nome e l’ispirazione derivano dalla precedente visita del museo del Louvre di Parigi da parte di Juhl. Vedi Hansen I., Sørensen H.H., 2011. 36 Poul H. Lund, manager di Bovirke, contatta Juhl personalmente per proporgli di produrre in serie i suoi arredi. 37 L’inizio degli anni Cinquanta è il momento di svolta nella carriera di Juhl. La commissione della Camera delle Nazioni Unite a New York è uno dei lavori più importanti che gli siano stati affidati. 38 Collaborazioni con France & Søn, Bovirke, Baker Furniture Inc. etc. 39 “Poltrona”. 32

33

del 1968. Inoltre la panca disegnata per Bovirke, la sedia giapponese40, accanto al divano del foyer e la lampada a sospensione PH41 vengono aggiunte dopo il 1949. Il soggiorno, dopo le modifiche descritte, appare all’incirca lo stesso di adesso, ad eccezione del divano Poeten che, a giudicare da una fotografia degli anni Sessanta, viene temporaneamente sostituito da un piccolo divano a due posti, ora rimpiazzato dall’originale seduta. All’attenzione per gli arredi interni, Juhl aggiunge la passione per l’arte42, per i colori e per la luce naturale. All’interno del suo studio è appeso un quadro di Juhl stesso, risalente al 1934, dal titolo To Krukker43. L’abitazione è ricca di opere d’arte di cui è difficile stabilire esattamente l’anno di apparizione nella casa. Al fine di determinare l’assetto originale, confrontandolo con lo stato corrente, si fa riferimento soprattutto a fonti fotografiche e al legame tra le opere d’arte e gli eventi biografici delle persone che abitano la casa. In una fotografia, pubblicata nel 1947, si nota che dietro al divano adiacente al camino, anziché il celebre Ritratto di Hanne Wilhelm Hansen, raffigurante la seconda moglie di Juhl e realizzato dal pittore Lundstrøm nel 194644, vi è un altro dipinto di autore, provenienza e datazione sconosciuti. La stessa immagine illustra che, accanto al camino, vi è il quadro Opstiling45 di Vilhelm Risalente al 1957. La lampada a sospensione risale al 1962, e non è progettata da Juhl bensì dal coetaneo designer Poul Henningsen che egli ammira. 42 In merito alla sua carriera, Juhl afferma: “volevo essere uno storico d’arte. Ho frequentato il Royal Museum of Fine Arts da quando avevo 15-16 anni; era aperto un solo pomeriggio a settimana e mi era concesso di prendere in prestito libri dalla libreria Gipsoteca, libri di Frederik Poulsen che era un ellenista mentre io ero più affascinato dall’arte greca Achea. Mio padre che era un tipo pratico, non credeva che la storia dell’arte potesse darmi da vivere. Perciò facemmo un compromesso e iniziai così l’Accademia ed ebbi una ulteriore motivazione nel volere studiare storia dell’arte al contempo all’Accademia.”Traduzione a cura dell'autore, da Hiort E., 1990, p. 7. 43 “Due Vasi” Trad. a cura dell’autore. 44 Si può credere che il dipinto appartenesse a Hanne già prima di incontrare Juhl nel 1961 giacché esso è datato 1946. 45 Letteralmente “Formazione”, trad. a cura dell’autore. Risalente al 1938. 40 41

Lundstrøm, oggi appeso alla parete retrostante il lungo divano del soggiorno; dunque si ipotizza che esso sia uno dei quadri presenti nella casa sin dal principio. Tuttavia, accanto al camino, ora vi è l’opera Thona di Jean Deyrolle, che, essendo del 1952, probabilmente compare nella dimora intorno alla metà degli anni Cinquanta. Un’altra immagine della medesima pubblicazione mostra, appeso alla parete che fa da sfondo alla piccola scrivania e alla Sedia Pellicano46, un altorilievo in gesso ora situato su di una delle pareti del muro di cinta sotto alla tettoia. Il tappeto, opera non datata di Anna Thommesen, che si trova al momento nella stanza del foyer, non figura nelle prime fotografie, ma una immagine degli anni Sessanta47 ne testimonia la presenza, dunque si può credere che sia stato introdotto intorno a quel periodo. Nella camera da letto matrimoniale, si hanno cinque litografie di Sean Scully48 appese alla parete fino al 1990, prima che Hanne Wilhelm Hansen le acquisti e le rimuova. Finn Juhl, oltre ad essere appassionato d’arte, presta molta attenzione ai toni cromatici da adottare per l’abitazione. In ogni momento, si deve lavorare con la funzione. Però si deve anche lavorare con i colori, i giochi di linee e con la forma. Potresti così riuscire a creare qualcosa di bello. (Juhl F., 1954, p. 5) Per quanto riguarda la sua dimora, si spazia da contrasti ad accordi cromatici come il risalto tra i toni chiari dell’abitazione e la scura foresta circostante oppure l’analogia tra il colore marrone della parete esterna del foyer ed il terreno del giardino.

46 Per confrontare la disposizione degli arredi del 1941; si veda Juhl F., 1947, pp. 111-114. 47 Vedi Hansen P.P., 2014, p. 190. 48 Sean Scully (1945) è un pittore statunitense di origini irlandesi, specializzato nell’arte astratta. Le sue opere sono costituite da striature e toppe di colore.


dall'alto verso il basso (13) Finn Juhl, casa Juhl, Ordrup, pianta, sezione e prospetti dell'ampliamento della camera da letto maggiore in scala 1:100, 1968, matita su lucido, 44,5x61,3, 1968, inventario B63. (14) Finn Juhl, casa Juhl, Ordrup, prospetto, pianta e sezioni, trasversale e longitudinale, della veranda in scala 1:20; dettaglio della panchina della veranda in scala 1:5 e dettagli tecnologici in scala 1:1, 1941, matita su carta da lucido, 63x43, inventario B63.

33


dall'alto verso il basso (15) Finn Juhl (?), casa Juhl, Ordrup, pianta, prospetti e sezione della porzione di edificio raffigurante la nuova tettoia in scala 1:50; planimetria generale in scala 1:400, 1954, china su lucido, 62,5x44, inventario B64. (16) Finn Juhl, casa Juhl, Ordrup, pianta, prospetto e sezione del progetto di ampliamento dell'ala minore in scala 1:50, 1954, matita su carta da spolvero, 1954, inventario B63.


Throughout the interior, paintings and drawings have been considered an integral part of the design (Juhl F., 1947, p. 111) Tuttavia, anche per ciò che concerne i colori, le fonti49 consultate testimoniano la presenza di incongruenze tra il progetto originale e come la casa appare oggigiorno. Finn Juhl stesso racconta di rimpiangere di avere accettato il suggerimento di un pittore, il quale gli propone di ridipingere l’esterno della dimora. Per tale ragione, l’aspetto iniziale della casa potrebbe essere andato perduto. In una pubblicazione del 194750, Juhl descrive i soffitti del soggiorno intonacati di giallo crema, le pareti laterali di color grigio chiaro e le porte bianche, come si presentano oggi; mentre i soffitti della sala da pranzo sono di colore rosa, anziché arancione. Il colore giallo crema fa sì che, all’ingresso della luce solare, si generino effetti chiaroscurali e si enfatizzi la luminosità dell’ambiente. La stanza sul giardino, ambiente di passaggio dall’ala maggiore alla minore dell’abitazione, dalla zona pubblica, di rappresentanza, all’area privata, familiare, ha il soffitto rivestito in assi di legno. L’ingresso alle camere da letto attualmente presenta soffitti intonacati di color arancione; mentre gli ambienti notte, ossia la camera da letto matrimoniale e quella con letto singolo, sono caratterizzati da tonalità tendenti al blu, rispettivamente celeste polvere e blu. La parete esterna dell’ingresso principale, dagli infissi bianchi, è di colore arancione senape che contrasta con un pannello adiacente di colore blu. L’ossessione di Juhl per i colori si può dedurre anche dai documenti rin49 Le fotografie pubblicate negli anni immediatamente successivi alla realizzazione della casa sono in bianco e nero dunque ci è dato fare delle supposizioni in base quanto riportato nei testi e all'aspetto odierno dell'abitazione. 50 Le fotografie al suo interno sono in bianco e nero, di autore sconosciuto e risalgono probabilmente all’anno 1946; vedi Juhl F., 1947, pp. 111-114.

venuti all’archivio. Egli spesso specifica la cromia degli arredi e dei materiali nei suoi disegni e suole comporre palette51 di colori52. Marianne racconta che frequentemente egli la chiamava la mattina prima di giungere in ufficio, chiedendole di preparare determinate tonalità di colore ed il necessario per la realizzazione degli acquarelli, così da ottimizzare la produzione. Il colore preferito da Juhl era il “rosa Lundstrøm”, dal pittore Vilhelm Lundstrøm53, molto difficile da riprodurre, secondo i racconti di Marianne. Ella stessa testimonia inoltre che gli anni Cinquanta sono un decennio fruttuoso per l’ufficio di Juhl. Tanto è vero che egli sposta la sede professionale nel 1957 dallo studio a Nyhavn 33, sovraffollato dalla presenza di dieci impiegati, ad uno spazio a Sølvgade 38, nel quartiere di Østerbro a Copenhagen. Al contempo, Juhl è molto impegnato, viaggia spesso negli Stati Uniti d’America e spesso succede che lavori nello studio di casa. Dall’analisi dei disegni originali, si nota che, già dal 1941, egli disegna un ulteriore volume, collegato al corpo minore dell’abitazione. È dunque possibile, dati i racconti di Marianne, che Juhl necessitasse di uno spazio maggiore dove esercitare la propria professione da casa. Inoltre, intorno agli anni Sessanta, le commissioni diminuiscono ed il personale dello studio si riduce tanto che, nel 1966, Juhl sposta la sede professionale a casa propria e dispone di un solo impiegato. Dal 1974 all’anno della morte, Juhl opera nella sua residenza senza È plausibile che fosse Marianne Riis-Carstensen ad acquarellare le palette colori. Dal 1945 al 1955, Juhl insegna come Senior Teacher alla Scuola di Interior Design di Copenhagen. Marianne Riis-Carstensen (1972) testimonia l'esperienza di lavoro assieme a Juhl dagli anni Cinquanta al 1959, anno in cui si distacca per formare il proprio studio professionale. Vedi Sommer A.L., 2015. 53 Vilhelm Lundstrøm è una delle ricorrenti fonti di ispirazione di Juhl. Otto quadri dell’artista sono tuttora appesi sulle pareti della sua casa ad Ordrup. Non solo Juhl è ispirato dai soggetti dipinti nei suoi quadri, ma anche dai contrasti cromatici che Lundstrøm utilizza. In special modo, Juhl è alla ricerca di una speciale tonalità di rosa, di cui non ci è dato sapere se Marianne sia stata capace di riprodurre. Vedi Sommer A.L., 2015.

collaboratori. Non a caso, l’ultimo documento cronologicamente pervenuto è un acquarello dell’anno 1970 che raffigura nuovamente un terzo corpo collegato all’ala minore dell’abitazione. Esso ha conformazione diversa dai primi disegni del 1941: è orientato parallelamente al muro di cinta e presenta una didascalia con la scritta: Proj. Tilbygning ossia “Prog. Ampliamento”. (10) Si potrebbe dunque affermare che l’ampliamento che appare nei vari disegni abbia la funzione di ufficio. In merito alla propria casa, Juhl scrive: (…) prima di lasciare questo mondo, ho avuto la fortuna di costruire la mia propria casa e di riempirla di arredi, tappeti, tende, attrezzi, servizi, vetrate, argenti etc., disegnati da me stesso, così da poter raggiungere un vero obiettivo.54 (Juhl F., 1950, p.23) Attraverso la progettazione della propria casa, “Finn Juhl si fece interprete raffinatissimo, attento alle cure del dettaglio e alla psicologia dello spazio (…), approdò all’architettura di interni e al disegno del mobile partendo dalle necessità della sua architettura: rinnovatore radicale del furniture design danese, Juhl fu l’originale sostenitore di una vitale integrazione tra arti “libere” e arti applicate (…)” (Regis D., 1995)

51

52

35 Trad. a cura dell'autore e Sidsel Olesen.

54



Residenza Estiva ad Asserbo

pagina accanto (17) La villa estiva di Asserbo nel 1950, a fine dei lavori di costruzione. Collezione di Peter Kjærgaard-Petersen, 2017.

La residenza estiva occupa il lotto numero 7bc su Nyvej ad Asserbo1, località di villeggiatura vicino alla costa nord-ovest della Zelanda e distante 60 km dal centro di Copenhagen. L’abitazione ha impianto architettonico a “T” con una superficie di 168 mq, ed è posizionata in un terreno di 9.600mq. Al fine di ricostruire la storia di questa architettura si fa affidamento a distinte fonti, alla monografia su Finn Juhl di Esbjørn Hiort (1990), ai disegni originali conservati nell’archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen e alla testimonianza orale del nipote della originaria committente e proprietaria, Johanne Elise Anton-Petersen2. La dimora è commissionata da Johanne Elise, la cui figlia, Edith, studia assieme a Juhl alla Reale Accademia delle Belle Arti di Copenhagen3. Johanne Elise è figlia di un ricco ed importante droghiere del territorio del Thisted4, a nord dello Jutland: Købmand A. N. Kjærgaard. La famiglia da cui discende è di condizione benestante e di

La località di Asserbo si trova a 4 km dal centro abitato di Frederiksværk ed appartiene al comune di Halsnæs. 2 Johanne Elise Kjærgaard, appartenente alla famiglia Kjærgaard, sposa Hans Ludvig Anton-Petersen che ha quattro figli da un precedente matrimonio. 3 Johanne Elise ha tre figli: Edith, Arne, padre di Peter Kjærgaard-Petersen, e Sven. La figlia Edith suggerisce alla madre di farsi progettare l’abitazione da Finn Juhl, in quanto erano colleghi alla Reale Accademia delle Belle Arti di Copenhagen. Le informazioni sono state fornite dal nipote di Johanne Elise, ovvero il Sig. Peter Kjærgaard-Petersen. 4 Comune danese compreso nella regione settentrionale dello Jutland.

livello sociale elevato, al punto da ricevere l'invito a partecipare ad una festa sull’imbarcazione della Famiglia Reale, organizzata il 6 Agosto 1908, dal Re e dalla Regina della Danimarca5. (19) Il progetto di Asserbo rappresenta la casa di villeggiatura della famiglia Anton-Petersen, composta da Hans Ludvig Anton-Petersen, dalla seconda moglie Johanne Elise e dai rispettivi figli, per un totale di nove persone, corrispondente al numero dei posti letto raffigurati in pianta. I documenti grafici relativi alla casa, conservati nell’archivio del Museo di Arte e Design, sono costituiti da 4 disegni. Le tavole sono datate dall’anno 1946, in cui si ha anche il primo elaborato inerente alla Villa Aubertin, al 1950, un anno prima del successo negli Stati Uniti d’America6. Gli anni che vanno dal 1946 al 1950 sono di cambiamento sia nella storia della Danimarca che nella carriera di Finn Juhl: da un lato si assiste alla fase di ricostruzione del secondo dopoguerra, dall’altro all’ascesa professionale dell’architetto7.

1

Vedi l’invito ufficiale alla festa da parte del Re e dalla Regina di Danimarca, conservato dal nipote stesso della signora Anton-Petersen. 6 Gli anni di progettazione coincidono all’incirca con quelli della Villa Aubertin a Naskov, che vanno dall’anno 1946 al 1953. 7 Nel 1945 Finn Juhl apre il proprio studio di architettura a Nyhavn 33 e viene nominato Professore alla Scuola di Interni di Fredriksberg. Il progetto di interni per il negozio della Bing & Grøndahl risale al 1946 e quello per il fioraio Svend Schaumann al 1948. Nel 1947 viene premiato con la Eckersberg Medal e nel 1950 partecipa alla mostra Contemporary Danish Architetture di Londra.

In Danimarca, dal primo dopoguerra al termine della Seconda Guerra Mondiale, lo Stato è impegnato a bandire concorsi, allestire mostre e promuovere manifestazioni artistiche, al fine creare un gruppo di artisti, artigiani, aziende, designers ed architetti in grado di progettare prodotti utilitari di alta qualità, sia dal punto di vista estetico che tecnico e funzionale8. Conseguentemente Finn Juhl acquisisce sempre più successo e popolarità e molti dei suoi modelli iconici di arredamento risalgono a tale periodo, come la Sedia del Capo, o la Sedia Egiziana. Inoltre l’architetto è coinvolto nella questione casa del secondo dopoguerra e nel 1945 scrive un articolo sulla rivista «Arkitekten», sostenendo: La singola abitazione o appartamento non è il piccolo dettaglio, bensì il punto di partenza.(…) La mia opinione è che la casa è un prodotto così importante, dato l’investimento di fondi, sia pubblici che privati, che non si può (riferendosi ai progettisti) non dedicarvi tempo ed i giusti prodotti nella progettazione. (Juhl F., 1946, p. 233)

ma l’opera viene rinviata a causa della guerra9. L’inizio dei lavori di costruzione tuttavia risale all’anno 1950, e la copertura della dimora viene terminata nel Giugno dello stesso anno. L’anno di conclusione dei lavori è il 195010. Il primo (21) dei pochi disegni pervenuti è del 15 Agosto 1946, tuttavia è plausibile che l’architetto avesse prodotto ulteriori disegni precedentemente, in quanto la tavola è la numero undici e mostra il progetto della residenza in modo dettagliato. La prima fase di progettazione è connotata dalla presenza di un’ipotesi diversa sia dal secondo che dal terzo progetto, in seguito realizzato. Tale ipotesi, elaborata nell’Agosto del 1946, mostra un approccio più tradizionale e meno innovativo rispetto a quelli adottati per le altre architetture residenziali. (21) La posizione della residenza nel lotto è l’unico elemento invariato rispetto agli elaborati successivi. Né pianta né facciata libera sono visibili nel progetto del 1946, bensì una partizione convenzionale degli spazi interni, disposti su due livelli, facciate e co-

5

Tali fattori potrebbero avere influito nella progettazione della Residenza Estiva di Asserbo. Nel 1943 Johanne Elise Anton-Petersen compra tre lotti per un totale di 9.600 mq, per il valore di 15.000 DKK,

Secondo il racconto del nipote dell’originaria proprietaria, Peter Kjærgaard-Petersen, il giorno della sua nascita, 8 Giugno 1950, la copertura era appena stata realizzata. 10 Si ipotizza che la casa venga conclusa nel 1950 ma che, come si nota dalle immagini fornite dal Sig. Kjærgaard-Petersen, necessiti ancora di essere arredata. 9

37 Cfr. Hiort E., 1990, pp. 21-22; Juhl F., 1954.

8



pagina accanto (18) Villa Aubertin (sotto) e residenza estiva ad Asserbo (sopra). Da Hansen P. P., 2014.

pertura in linea con la tradizionale casa rurale danese. La struttura massiccia, la volumetria poco slanciata, e l’imponente copertura a falde inclinate potrebbero essere elementi che Juhl eredita dal suo primo periodo sotto la guida del maestro Kay Fisker11. E. Gentili osserva: Il movimento moderno fu accolto, nei paesi scandinavi, più tardi che altrove, intorno al 1930. (…)Le caratteristiche dell’antica casa rustica danese si configurano nel corso dei secoli in risposta alle esigenze ambientali, sia di clima che di paesaggio: i tetti fortemente inclinati, per resistere al peso della neve, alle infiltrazioni della pioggia, spesso tagliati a cuffia, a riparo dal vento, venivano coperti da una coltre di fieno e paglia che, infittita dal muschio, isolava anche dall’intenso freddo invernale. (…)Le finestre frequenti (per usufruire al massimo della scarsa luce invernale) spesso munite di doppi vetri, sottolineano l’andamento orizzontale della costruzione, insieme al disegno dell’intelaiatura di legno, che veniva verniciata in nero, in contrasto coi muri di mattoni dipinti di bianco. Intorno alle case crescono alberi antichi di generazioni, la cui costante presenza all’interno dell’abitato fa parte del paesaggio e risponde all’amore per la natura, tipico dei popoli nordici. (Gentili E., 1962, pp. 14-19) 11 Il progetto di Juhl del 1946 ricorda Villa Friis dell’architetto Kay Fisker, per alcuni elementi architettonici. Il progetto di Fisker risale al 1917 ed è collocato, similmente alla casa ad Asserbo, in un luogo di campagna scenografico, che in questo caso gode della vista sull’Oresund. La villa presenta impianto planimetrico regolare, tetto a due falde molto inclinate, camino imponente e volumetria massiccia, così come l’ipotesi del 1946 della Residenza Estiva ad Asserbo.

Inoltre è probabile che Finn Juhl sia influenzato da altri progetti residenziali ad Asserbo, anch’essi in continuità con la casa rustica tradizionale. L’architetto Mogens Black-Petersen12 progetta una residenza estiva ad Asserbo nell’anno 1941. Essa presenta alcuni caratteri in comune con l’ipotesi del 1946 di Finn Juhl, come la copertura inclinata in laterizio con struttura lignea, le aperture in facciata e la canna fumaria svettante. Allo stesso modo il progetto della casa rustica estiva dell’architetto Poul Holsøe13 ad Asserbo dimostra analogie, come il tetto a falde inclinate ed il rivestimento in doghe di legno verticali, con la prima versione del progetto di Juhl, mentre si distingue per le citazioni storiciste riconoscibili in alcuni elementi architettonici14. Tuttavia l’ipotesi iniziale della dimora viene abbandonata circa quattro anni dopo, quando si hanno gli elaborati di quello che si potrebbe definire “secondo progetto” ossia la versione più simile a quella definitiva. (20) Il terzo progetto, (22; 23) quello effettivamente realizzato, è poco successivo al secondo in quanto uno risale al 17 Marzo 1950, l’altro al 26 Marzo dello stesso anno. La versione finale risulta più semplice e regolare di quella del 17 Marzo ma non è del tutto discordante. 12 Mogens Black-Petersen (1917-99) è un architetto danese conosciuto in particolare modo per la costruzione di numerose case unifamiliari e case a schiera, intorno agli anni Quaranta e Cinquanta del XX secolo. Dal 1942 al 1947 è il capo dell’ufficio di Kay Fisker, dal quale eredita l’attenzione per i materiali tradizionali e la progettazione di tipo funzionale. 13 Poul Holsøe (1873-1966) è un architetto danese, rappresentante del Comune di Copenhagen e considerato uno degli esponenti più notevoli del neoclassicismo danese. Studente all’Accademia delle Belle Arti di Copenhagen, così come Finn Juhl, egli è anche membro del comitato di redazione della celebre rivista danese «Arkitekten». È plausibile che Juhl conosca la figura di Holsøe e che sia influenzato dal suo progetto ad Asserbo, durante la fase iniziale di progettazione della residenza per la Sig.ra Anton-Petersen. Cfr. Holsøe P., Asserbo, sommerhus for hofjægermesterinde V. Beck, Inventario nr. 15802 a-j, archivio online della Biblioteca Reale di Copenhagen, www.kunstbib.dk. 14 Si nota la presenza di elementi classicheggianti in facciata, come colonne e decorazioni, assenti invece nelle architetture progettate da Finn Juhl. La simmetria e la regolarità nella composizione della facciata sono elementi riscontrabili anche nelle architetture neoclassiche danesi dell’inizio del XX secolo.

La dimora giace su un vasto terreno incontaminato, in una posizione scenografica, ed ha impianto planimetrico semplice e concepito con cura. Al riguardo, E. Hiort sostiene: The floor plan, as always in Finn Juhl’s houses, is clear and carefully conceived. (Hiort E., 1990, p. 102) L’abitazione presenta un’ala più bassa, in cui sono disposti gli ambienti che affacciano sul fronte nord quali il foyer, il bagno, la cucina con ripostiglio, la camera dei bambini, la camera degli ospiti15, la stanza della governante, il posto auto; ed un corpo maggiore, rivolto a sud, in direzione del giardino, con il grande soggiorno, la terrazza, la camera da letto della signora Anton-Petersen, il bagno e la seconda stanza degli ospiti. A differenza del secondo progetto16, (20) la versione finale mostra il posto auto all’esterno, inquadrato dalla parete esterna della camera della governante e dal fronte meridionale dell’ala minore. L’accostamento dei due volumi genera una copertura singolare: il minore presenta un tetto quasi piano, mentre il maggiore una falda inclinata, per cui all’incrocio dei due corpi si ha una serie di finestre ad asola, disposte sul fronte settentrionale dell’ala maggiore, che illuminano la sala da giorno, alla stessa maniera del progetto per la Villa Aubertin17. Il nucleo centrale dell’abitazione è la zona giorno: un vasto ambiente, dal soffitto alto con travi a vista, che ospita il soggiorno e la sala da pranzo, e dotato di una terrazza con camino, utilizzabile sia dall’interno che dall’esterno, 15 Si ipotizza che la camera degli ospiti e della governante venissero utilizzate per ospitare i figliastri della signora Anton-Petersen. 16 Il progetto del 17 Marzo mostra invece, nella stessa posizione, un ambiente con funzione di garage. 17 Il collegamento tra la galleria e la zona notte della Villa Aubertin presenta la medesima soluzione progettuale.

che corrisponde ad un quarto dell’intera vetrata sul giardino. Grazie alla luce che entra dalle aperture in alto e dalla terrazza, il soffitto della sala giorno è illuminato uniformemente e ciò rende la stanza, rivestita con impiallacciatura di legno di betulla18, chiara e luminosa. La casa è realizzata interamente in legno, probabilmente di betulla19. Il legno è utilizzato sia per la struttura portante che per il rivestimento interno ed esterno in doghe verticali ed orizzontali. La maggior parte della pavimentazione e degli arredi interni sono anch’essi in legno; ad eccezione del pavimento della veranda, della cucina, del ripostiglio e del bagno accanto all’ingresso, che sono invece in mattone giallo. A differenza della versione iniziale del 1946, l’impianto planimetrico è moderno e funzionale, nonostante la dimora, confrontandola con le altre architetture residenziali progettate da Finn Juhl, risulti la più vicina ai canoni tradizionali della casa rustica danese, soprattutto per quanto concerne l’uso di materiali locali. Dapprima la Sig.ra Anton-Petersen non chiede a Juhl di progettare gli arredi dell’abitazione, ma in seguito è convinta dall’architetto del contrario. I letti a castello della camera dei figli, i ripiani della cucina, il divano, le lampade20, il tavolo da pranzo sono infatti pezzi autografi, che Juhl progetta apL’utilizzo di un materiale economico nel periodo del secondo dopoguerra induce a pensare che Juhl sia attento all’impiego delle risorse data la scarsità di materiali. Inoltre l’impiego del legno, sia per la struttura che per il rivestimento esterno, avvicina questa architettura al modello della casa rustica danese e ai metodi di costruzione tradizionali. 19 Non ci sono informazioni che lo precisano ma è possibile dedurlo dalle immagini dell’epoca e dalla visita alla residenza. 20 La lampada a sospensione del soggiorno è la medesima che Juhl utilizza anche in quello di Villa Aubertin e i due progetti sono all’incirca contemporanei. La lampada è uno dei primi arredi dell’abitazione in quanto è illustrata in alcune fotografie dell’epoca, ottenute da Peter Kjærgaard-Petersen. 18

39


positamente per la Residenza Estiva ad Asserbo. Alcune fotografie mostrano la dimora poco dopo la realizzazione: all’interno appare quasi del tutto spoglia e gli unici arredi ritratti sono il tavolo da pranzo, con rispettive sedute, e la lampada a sospensione del soggiorno. All’esterno essa appare circondata da alberi ad alto fusto e rivestita in doghe di legno orizzontali di colore scuro, in contrasto con gli infissi chiari21. Oggigiorno la dimora appartiene al nipote della originaria proprietaria, Peter Kjærgaard-Petersen, il quale vi soggiorna occasionalmente assieme alla seconda moglie, Natalia Fedorova22. Egli la eredita dalla madre nel 2001 e inoltre acquista, assieme alla sua prima moglie, Anne-Louise, la villa a Hillerød del Sig. Søren Georg Jensen, progettata da Peder Vilhelm Jensen-Klint23. Il terreno ha mantenuto l’originaria conformazione, ma sul confine sud del lotto si ha più vegetazione, in modo da schermare la casa dalla proprietà adiacente. Per quanto possibile, la dimora è rimasta coerente con il progetto originale. Le uniche modifiche effettuate sono di

21 Per quanto riguarda la cromia originale, Peter Kjærgaard-Petersen racconta che la scelta di dipingere l’esterno dell’abitazione di un colore scuro è data dalla necessità di camuffare il materiale utilizzato. Lo Stato all’epoca impone infatti l’impiego di materiali di riciclo, dunque Juhl decide di colorare l’involucro esterno con la pece, per nascondere l’aspetto originale. Oggigiorno l’abitazione è verniciata all’esterno del medesimo colore nero della pece. 22 Il Sig. Peter Kjærgaard-Petersen racconta che, prima che il padre, Arne, figlio di Johanne Elise, comprasse nel 1970 la parte appartenente al fratello Sven e alla sorella Edith, i figli utilizzavano l’abitazione saltuariamente. Dal 1970 al 1975, Peter vive costantemente nella dimora, in quanto è studente all’Università di Legge di Copenhagen e gli è utile come sistemazione, data la vicinanza. Dal 1975 Peter si trasferisce in un appartamento in affitto nel centro di Copenhagen e, in seguito alla morte del padre e della madre, nel 2001, egli è l’unico erede legittimo della Residenza di Asserbo. Dunque egli decide di tornare a vivere nella casa paterna a Taarnbaek assieme alla prima moglie e utilizzare occasionalmente la residenza di Asserbo, in quanto casa di villeggiatura. 23 La villa ad Hillerød è progettata dall’architetto danese Peder Vilhelm Jensen-Klint (1853-1930), autore della celebre Chiesa di Grundtvig, a nord di Copenhagen. Søren Georg Jensen è il capo della famosa ditta Georg Jensen, tuttora in produzione.

natura funzionale e manutentiva e risalgono agli anni 1995, 2002 e 2008. Nell’ala minore la stanza degli ospiti nel 2008 viene ampliata per fare spazio all’atelier della seconda moglie24; nel 2002, la camera della governante diventa il vestibolo del garage, che riprende l’assetto del secondo progetto; e, nel 1995, slegato dall’abitazione, viene costruito un ulteriore volume con funzione di garage. Nel 2002, anche il fronte settentrionale subisce una modifica, in quanto la tettoia viene allargata, in modo da potervi parcheggiare le automobili del Sig. Peter. Sia l’ampliamento dell’atelier che il nuovo volume non sono elementi architettonici di rottura con la preesistenza25, bensì coerenti con i caratteri e la maniera di progettare di Finn Juhl. Il garage è interamente in legno, rivestito con doghe ad andamento orizzontale. L’atelier della Sig.ra Natalia è anch’esso in legno e presenta delle aperture analoghe a quelle in alto nel soggiorno, che permettono perciò un’illuminazione naturale. Gli altri ambienti interni sono rimasti intatti e nella zona giorno sono tuttora presenti il divano ed il tavolo da pranzo progettati dall’architetto26.

La seconda moglie, Natalia Fedorova, è una pittrice russa proveniente da San Pietroburgo e il matrimonio avviene il 20 Febbraio 2006 e nel 2008 il Sig. Peter decide di costruirle un atelier e spazio espositivo per le opere, proprio nella dimora di Asserbo. Lo spazio è di 31mq ed il Sig. Peter sostiene di avere cercato di mantenere il più possibile i caratteri peculiari dell’architettura esistente, senza rovinarne l’originalità. 25 Le varianti sono commissionate da Peter Kjærgaard-Petersen e progettate da un architetto di Asserbo. 26 Il divano si trova ora laddove nella foto d’epoca si ha il tavolo da pranzo, mentre quest’ultimo è ruotato perpendicolarmente e spostato in direzione della camera da letto della Sig.ra Pedersen. 24


dall'alto verso il basso (19) Lettere d'invito da parte del Re e della Regina di Danimarca. Collezione di Peter KjĂŚrgaard-Petersen, 2017. (20) Finn Juhl, residenza estiva, Asserbo, planimetria in scala 1:1000; pianta, sezione, prospetti in scala 1:100; assonometria, 1950, china su lucido, 32x64, inventario B65.

41


(21) Finn Juhl, residenza estiva, Asserbo, planimetria generale in scala 1:500; prospetti, piante e sezioni in scala 1:100, 1946, china su carta da lucido, 60x42, inventario B65.


dall'alto verso il basso (22) Finn Juhl, residenza estiva, Asserbo, pianta del piano terra e prospetto sud in scala 1:50, 1950, china su lucido, 43,4x62,4, inventario B65. (23) Finn Juhl, residenza estiva, Asserbo, prospetti nord, est, ovest, e sezioni in scala 1:50, 1950, china su lucido, 42,6x61,8, inventario B65.

43



Progetto e architettura

pagina accanto (24)

Un aspetto significativo dell’attività di Finn Juhl è la restituzione grafica delle idee progettuali, a partire dalla fase concettuale sino a quella definitiva, in quanto attraverso il disegno egli controlla l’effetto architettonico. Alla luce dell’analisi dei disegni d’archivio1, inerenti alle architetture residenziali unifamiliari progettate tra il 1941 ed il 1970, è possibile fare alcune osservazioni sulle tecniche e sulle modalità di rappresentazione e progettazione. La paternità dell’opera è esclusivamente di Finn Juhl. Per quanto riguarda la raffigurazione, tuttavia si può affermare che, dal 1945, quando viene fondato lo studio di architettura a Nyhavn, l’architetto abbia dei collaboratori, autori di alcuni disegni; e ciò è testimoniato dall’aiutante Marianne Riis-Carstensen, la quale è specializzata nella tecnica ad acquarello, ed è riconoscibile dalla grafica degli elaborati. Osservando i documenti, è stato possibile individuare la grafia di Finn Juhl. Alcuni di essi sono autografi e riconoscibili in quanto mostrano le firme dell’architetto2; altri presentano la me-

desima grafia e perciò sono attribuibili a Juhl, come nel caso dei disegni risalenti al tirocinio sotto Vilhelm Laurtizen3. Alcuni disegni tecnici senza annotazioni si ipotizza invece che siano realizzati da collaboratori; mentre altri ancora è plausibile che siano disegnati da terzi ma rimaneggiati da Finn Juhl, il quale li revisiona e commenta in un secondo momento. Dalla lettura dei disegni emerge inoltre uno dei tratti salienti del modo di progettare dell’architetto: la descrizione minuziosa di materiali, modalità di posa e dimensioni degli elementi architettonici, che egli riprende dall’insegnamento di Lauritzen4. La precisione di Finn Juhl, non solo è riscontrabile nella realizzazione finale dell’opera, ma è osservabile anche durante il processo di progettazione dai numerosi disegni in scala 1:1, 1:5, o 1:20 che corredano ciascun progetto residenziale. Generalmente si tratta di elaborati tecnici prodotti dai collaboratori in cui, talvolta, Juhl inserisce in seguito le didascalie, al fine di specificare particolari, spessori, materiali ed altri dettagli.

1 L'archivio, consultato tra il 2016-2017, è quello del Museo di Arte e Design di Copenhagen. Vedi capitolo L'architettura residenziale di Finn Juhl. 2 Le firme di Finn Juhl sono conservate nell’archivio della Biblioteca Nazionale di Arte di Copenhagen, Danish National Art Library, e consultabili nell’inventario online, sotto la voce Kunstnernvn: Finn Juhl (1912-1989) arkitekt. Queste non presentano datazione ma talvolta sono ricorrenti ai bordi di alcune immagini originali riguardanti le architetture residenziali unifamiliari di Finn Juhl. Vedi www.primo.kb.dk.

Alcuni elaborati sono stati consultati nel portale online della Biblioteca Nazionale di Arte di Copenhagen. Vedi Dansk Svovlsyre- og Superphosphat- Fabrik inventar tegninger, 50, 77; Inventario N. 53389 az-ca, bj, www.kunstbib.dk. 4 In particolare modo quando lavora al progetto della Radiohuset, egli realizza molti particolari dell’edificio. Le lampade disegnate nel periodo sotto Lauritzen sono oltretutto presenti anche in altri progetti futuri dell’architetto, come ad esempio nel negozio di Bing & Grøndhal del 1946. 3

Un aspetto sui generis del sistema di progettazione di Finn Juhl è la rappresentazione dell’arredamento negli elaborati grafici, sia che siano di fase preliminare che definitiva. In seguito alla valutazione delle tavole ed alla conoscenza della carriera professionale, è possibile affermare che la maniera progettuale di Finn Juhl si relaziona all’interior design, al punto che questo è il punto di partenza per lo sviluppo del progetto architettonico. A partire dall’ingombro e dalla scelta degli arredi egli disegna lo spazio. Il sistema di progettazione per le opere architettoniche ha origine dal mobile, dall’arredamento. Questo meccanismo è definito inside out.

to è espresso chiaramente da Juhl nel suo manuale sulla composizione architettonica, Hjemmets indretning, del 1954. Per questa ragione, in riferimento al sistema di progettazione dell’architetto non è possibile distinguere nettamente la progettazione architettonica dal design di arredi. Riferimenti culturali in campo artistico e architettonico Sulle influenze che avrebbero potuto concorrere alla formazione di Finn Juhl, Bent Salicath sostiene:

He thought in rooms, which his many excellent interior designs shows, and when he designed a house, he thought from the inside out. (Hiort E., 1990, p. 91)

Abstract art became an influence on the realities of architecture and furniture. Furniture is a part of architecture - part of room design and is concerned not just with single solution of a function. To Finn Juhl it is imperative that furniture and room form a unity and express a common aesthetic idea. (Salicath B., 1955, p. 5)

Prima ancora di progettare lo scheletro dell’abitazione, Juhl ha in mente le stanze che occupano l’interno e la composizione degli arredi; non a caso la fama dell’architetto deriva principalmente dal ruolo di furniture designer e dai mobili che egli espone alla Gilda degli Ebanisti. Tutto si incentra sull’interno, sull’ambiente domestico, e sulla percezione dell’utente. Questo concet-

45


La correlazione tra interior design ed architettura, secondo Salicath, potrebbe derivare da stimoli esterni, correnti artistiche ed altri fenomeni. In linea con la concezione di intimismo e di Raumplan5 di Adolf Loos, Juhl reputa che gli edifici debbano essere all’esterno semplici e privi di qualsiasi decorazione, mentre all’interno lo spazio si possa articolare in maniera distinta, asimmetrica. Al rigore delle facciate esterne si contrappone uno stupefacente rivestimento interno, in quanto, utilizzando le parole di Loos, all’interno la casa è conservatrice e verso l’esterno l’edificio dovrebbe restare muto e rivelare la sua ricchezza soltanto all’interno. (Loos A., 1914) La cura degli ambienti interni può essere riscontrata anche nel concetto danese di hygge per il valore dello spazio domestico. Dopo Loos, l’idea del Raumplan come dialettica tra esterno ed interno trova, negli anni successivi, ulteriori diverse interpretazioni: da quelle immediatamente successive, date dal Movimento moderno, fino a quelle contemporanee. Lo stesso Le Courbusier6, ammirato da Finn Juhl, interpreta a suo modo tale tema, subordinando la composizione dell’esterno alla organizzazione dell’interno, secondo il principio per cui “la forma segue la funzione7”. 5 Sebbene per certi versi la visione di Loos discordi da quella di Finn Juhl, per quanto riguarda la concezione di Raumplan, “piano di volumi” o “progetto di spazio”, si possono riscontrare alcune analogie tra i due architetti. Innanzitutto, Loos, come Juhl, si concentra sullo studio della casa unifamiliare, distinguendo l’ambiente interno da quello esterno, in quanto rivestono una distinta identità. Le due identità talvolta influiscono l’una sull’altra, in quanto gli spazi interni sono generatori di quelli esterni. Dopodiché, lo spazio interno, dovendo rappresentare la complessità di azioni ed interrelazioni della vita domestica, non è uniforme, bensì ricco ed articolato, come si osserva nell’opera di Juhl. Vedi Gravagnuolo B., Rossi A., Adolf Loos, Idea Books, Milano, 1981. 6 Nella distinzione tra spazi comuni a doppia altezza ed individuali, Le Corbusier riprende l'idea di Raumplan, secondo cui ciascun ambiente ha una funzione e progettazione distinta. Le Corbusier successivamente modifica il Raumplan, formulando invece la concezione di Plan Libre. 7 Anche la maniera di progettare di Juhl prevede la subordinazione dello spazio esterno a quello interno; in quanto il disegno delle facciate non è principale, bensì secondario e dipendente dalla funzione degli ambienti.

D’altra parte, mentre Loos distingue nettamente il mestiere dell’architetto da quello dell’arredatore8, tanto che non si riscontrano mobili nei suoi elaborati planimetrici; al contrario il design è incipit della progettazione architettonica per Juhl, il quale opera un connubio tra architettura, arte ed arti applicate. Il sistema di progettazione è lo stesso sia che si tratti di un arredo che di un’architettura. Se talvolta fa disegnare le proprie idee da collaboratori, alle volte Juhl produce egli stesso gli elaborati. I disegni autografi sono spesso di dimensioni ridotte, piccoli all’incirca come una cartolina, e presentano didascalie che specificano materiali, arredi o colori. Si tratta sempre di disegni risalenti alla fase concettuale di progetto, in cui l’architetto esprime, in maniera non del tutto precisa o coerente, un’idea, intuizione riscontrabile con alcune modifiche anche in elaborati successivi. In un’intervista del 1981, l’architetto prova a spiegare la propria maniera progettuale, così: I remember how I planned my drawing as I cycled home from work, so when I came home, all I had to do was stretch out the paper and start drawing and painting. Of course I made loose sketches of what I wanted the model to look like, and when I had a feeling that I was on to something, then I started drawing. It took me huge physical and mental effort to maintain the small ray of hope or thought I had. ‘Was it right to continue? Stop and think ‘yes’ it’s still right,’ and then continue. It hap“L’architetto, a parere di Loos, deve imparare a tradurre, nel proprio linguaggio specifico, idee che trovano la loro motivazione in scelte culturali di fondo. In tal senso l’attenzione per ciò che è “altro” dall’architettura si rovescia in un inequivocabile riconoscimento della autonomia del linguaggio architettonico, nel quadro di una pluralità di tecniche di espressione del pensiero.” (Rossi A., Gravagnuolo B., 1981, p. 18) Per questo aspetto Loos si distacca dagli artisti della Secessione Viennese e dalla concezione di Gesamtkunstwerk, talvolta riscontrabile nell’opera di Finn Juhl.

8

pened that the small loose sketch I had started out with was skipped because I was working on my own, so I could stop and go on to a new idea.(…) I was at home, and I started drawing around 10am with a five cm sketch - just four vertical lines connected with ‘something’ and by two or three o’clock in the morning I had painted a complete design. But in reality I don’t know how long it took me to design (…) Perhaps I had a vague idea for some time (…)9 (Juhl F., 1981, pp. 6-27) Tutto parte da un’improvvisa illuminazione, un’epifania, che si sviluppa attraverso un lavoro intenso e convulso, comparabile al metodo del flusso di coscienza, impiegato da noti personaggi del XX secolo10 e dagli artisti surrealisti. Fin dalla gioventù, Juhl desidera diventare uno storico d’arte. Di conseguenza, l’arte è un fattore influente sul sistema di progettazione dell’architetto, il quale potrebbe trarne ispirazione anche per quanto riguarda il processo creativo. In Hjemmets indretning, Finn Juhl sostiene: Lo sviluppo dell’arte porta con sé l’attività dell’artigianato, così come i dipinti influiscono sull’architettura. Insieme essi esprimono il senso della vita ed offrono una percezione di essa.11 (Juhl F., 1954, pp. 4-5) Secondo il sillogismo dell’architetto, l’artigianato sta all’arte così come l’arte all’architettura e, questi assieme creano una composizione, un quadro, una “cornice”, che è espressione della realtà umana. Marianne Riis-Carstensen paragona il modo di lavorare di Juhl, sebbene fiTrad. a cura di Mike Rømer. Juhl si sta riferendo alla progettazione della celebre Sedia del Capo del 1949. 10 Il flusso di coscienza vede il suo sviluppo in particolare modo dopo le pubblicazioni di Sigmund Freud sulla psicoanalisi, la quale propone i primi seri studi sull’inconscio. 11 Trad. a cura dell’autore e di Sidsel Olsen. 9

nalizzato alla produzione di un arredo o di un’architettura, al processo per la realizzazione di un’opera d’arte. Il metodo, che sia quello di un artista o di un architetto, non importa; l’importante è il talento, il genio creativo. Che sia un architetto, un designer o un artista ad indicare la direzione (verso il rinnovamento), è del tutto irrilevante. Dipende infatti solo dalle capacità e dal talento. (Juhl F., 1950, p. 30) Riguardo al modus operandi dell’architetto, Marianne narra: Finn Juhl began his process with a quick sketch on a tiny piece of paper – hardly larger than a postage stamp. The miniature format created an entirely free, unrestricted situation. For how can one fix an idea in miniature format? What is most important? The core of the idea? It is not difficult to imagine that one becomes more economical in one’s thinking, ruthless prioritizing, allowing only the essence to come out. True, a piece of furniture, a house or an interior design is not a painting, but there is a close affinity when it comes to the artistic process. And in this respect, Finn Juhl took the view that good furniture always had a quite simple, core idea as its starting point. An idea that was intuitive in origin. In all its simplicity, it had an element of something raw, spontaneous – something as – yet unprocessed. (…) The distance from sketch to watercolor is not so far, however, as the watercolor encompasses the tentative and atmospheric language of the sketch.12 Si potrebbe affermare che nell’irrazionalità e nella maniera incontrollata e spasmodica in cui formula l’essenza, l’idea “grezza” dell’opera, assimilabile allo stream of consciousness, Juhl si Da Sommer A.L., 2015, p.10.

12


avvicini al metodo 'paranoico-critico'13 di Salvador Dalì. Il sistema di Dalì consiste in una tecnica che permetterebbe al pittore di conoscere i fenomeni ed i voleri dell’inconscio al fine di rappresentarli attraverso le opere d’arte. Allo stesso modo, l’artista Jean Arp14, tanto ammirato da Juhl, in una delle più famose citazioni afferma che la legge del caso, che racchiude in sé tutte le leggi e resta a noi incomprensibile come la causa prima onde origina la vita, può essere conosciuta soltanto in un completo abbandono all’inconscio. Riguardo all’inconscio come strumento per la creazione di opere, Finn Juhl sostiene: I found the inability to make furniture that corresponded to our own time slightly unimaginative. (Juhl F., 1981, p. 6) Il fare di Juhl, a giudizio degli studenti della Scuola di Interni e dei contemporanei, è eccentrico, paragonabile a quello di un dandy, di un bohémien che guida un'automobile americana. (Møller S. H., 1990, p. 21) H. S. Møller sostiene che Juhl fosse ossessionato dall’immagine, dalla forma, e dall’origine di esse, in affinità con il periodo di maturità di Jørn Utzon. D’altra parte non tutti comprendono il genio creativo di Juhl, e spesso l’architetto è giudicato frivolo e alla moda, soprattutto agli albori della sua carriera. In risposta al giudizio comune, Juhl afferma: Things never repeat themselves, people do. Well, yes, I might be fresh, but I can also demonstrate other qualities 13 Il metodo paranoico-critico di Salvador Dali, risalente al principio degli anni Trenta, è paragonabile alla tecnica del flusso di coscienza, in quanto allo stesso modo l’artista come lo scrittore raggiunge il contatto con il subconscio ai fini della creazione di un’opera d’arte. Vedi M. Vescovo, 1996, Salvator Dalí: la vita è sogno, Electa, Milano. 14 Hans Jean Arp (1887-1966) è un pittore, scultore e poeta francese. Jean Arp, a partire dall’esordio con Dada, vanta di collages, saggi e sculture in legno notevoli. Vedi Geldzahler H., 1972, Jean Arp, in The Metropolitan Museum of Art Bulletin, New Series, Vol. 30, No. 5, Aprile.

like tact, love and friendship.15 Secondo il parere del collega, attraverso questa affermazione Juhl denuncia l’interesse verso le relazioni umane e la relazione con l’arte, l’architettura ed il design. Juhl reputa che per essere un buon architetto non basti la razionalità, la conoscenza e l’istruzione, bensì serva anche irrazionalità, esperienza ed un bagaglio personale di relazioni umane16. Mi viene naturale affermare che, dopo questa revisione, la normale istruzione architettonica non fornisce un bagaglio sufficiente per il lavoro corretto in questo campo. (Juhl F., 1946, p. 246)

anche le espressioni delle correnti artistiche di inizio Novecento. L’analogia tra i mobili di Juhl e l’arte surrealista è riconosciuta anche da Frederick Sieck, il quale scrive in un articolo della rivista «Mobilia» del 1976: The upholstered sofa Finn Juhl designed in 1939 for Niels Vodder was introduced that year at the exhibition organized by the Copenhagen Guild of Cabinetmakers. It is a typical example of Juhl’s partially for living, organic sculptural effects but also an expression of developments in contemporary free art. This is clearly observed in a comparison of Finn Juhl’s idiom with the works of Arp, Moore, Laurens and other progressive artists of the period. The example shown here is a piece of Arp sculpture from 1931. (Sieck F., 1976, p. 46)

È plausibile che Juhl sia a conoscenza del metodo sperimentato da Dalì, dato l’interesse per l’irrazionale e data l’ammirazione per l’arte moderna, in particolare modo per le opere di Jean Arp17. (29; 30) L’influenza di Arp si riflette soprattutto nei pezzi di arredo iniziali, come la Sedia Cavalletta o la Sedia Pellicano, che per il loro aspetto stravagante e simbolico destano scalpore alla Gilda degli Ebanisti. In un’intervista del 1950, Juhl si schiera contro la critica del tempo che, a suo giudizio, presta troppa attenzione al corretto utilizzo dei materiali negli arredi, trascurando l’estetica e l’apporto innovativo dei designers. La qualità dei materiali e la conoscenza delle tecniche dell’artigianato, secondo Juhl, non sono sufficienti ai fini di un design degno di nota, bensì si deve attingere ad un bagaglio culturale più ampio, che include, oltre al sapere tradizionale,

Sieck confronta il divano18 presentato da Juhl nel 1939 alla Gilda, dalle forme morbide e sinuose, con il Torso del 1931 di Jean Arp. (28; 29) Se all’esterno le architetture di Juhl sono connotate da regolarità, praticità e moderazione; all’interno i rivestimenti mostrano invece ricchezza, stravaganza, ed eccentricità19. Quando nel 1948 progetta un salotto per un collezionista d’arte da esporre alla Gilda degli Ebanisti, Juhl afferma che l’allestimento ha l’obiettivo di “far vedere che gli arredi moderni devono essere circondati da opere d’arte altrettanto moderne.20” Secondo la visione di Juhl, la vita dell’Uomo moderno trova conforto nel mondo dell’arte. Questo concetto può essere osservato anche nelle parole del

Da Møller H. S., 1990, p. 21. H. S. Møller afferma al riguardo:“Weather it is created or just contemplated, it implies experience. The opposite is academia, where mere appearance is recognized and lectured on, and where the experience is pushed aside. The classic education or the ethnographic passion have no creative possibilities in themselves. Only direct personal experience can be active, and this activity will be characterized by the amount of human experiences behind it.” Vedi Møller H. S., 1990, p. 21. 17 Del quale si hanno opere anche nella Casa di Juhl.

18 Il divano esposto alla Gilda degli Ebanisti del 1939 non va in produzione, né gli viene attribuito un nome dall’architetto o dalla critica del suo tempo, come invece accade nel caso della Sedia Cavalletta, o Sedia del Capo. 19 In questa dialettica, Juhl si avvicina al concetto di intimismo di Loos. 20 “(…) is to show modern furniture surrounded by equally modern works of art.”Trad. a cura dell’autore, da Sommer A.L., 2015, p.15.

15

16

giovane Le Corbusier.21 Le opere d’arte moderne a cui Juhl si riferisce ed ispira sono ad esempio quelle di Alexander Calder22, Erik Thommesen23 e Jean Arp. Durante un convegno alla Società Danese di Arti Applicate del 1949, Juhl infatti presenta, come modelli per la progettazione di mobili, tre opere d’arte astratta contemporanea: Mobile di Alexander Calder, il Torso di Jean Arp e Marble di Barbara Hepworth24. In merito a Calder, l'architetto apprezza in particolare le opere in cui si evince una scissione degli elementi che li compongono, strategia che Juhl adotta nella progettazione di arredi come la sedia FJ45, dove è evidenziabile il carattere scultoreo25. (Hansen P. P., 2014) Riguardo all'opera di Hepworth, Juhl apprezza le peculiarità del dinamismo e dell’astrattismo riscontrabili soprattutto nelle prime opere. L'articolazione spaziale in relazione agli arredi e alla composizione Il primo sketch che Juhl realizza delle poltrone dei delegati, per la Trusteeship Council Chamber a New York, risale all’estate del 1950, durante un sog21 Da Le Corbusier, Ozenfant A., Sulla pittura moderna, trad. it. Alessi I, Fondazione Le Corbusier, Christian Marinotti Edizioni s.r.l., Milano, 2004, pp. 114-115. 22 Alexander Calder (1898-1976) è un artista statunitense famoso per le sue sculture. Lo si ricorda soprattutto per l’apporto dato in ambito artistico cinetico e per le opere Stabile e Mobile. 23 Raramente Juhl ha presentato un’opera senza che essa incorporasse una scultura in legno di Erik Thommesen. Due sculture dell’artista sono tuttora osservabili nella residenza di Juhl, e sono state precedentemente presenti anche nel suo studio a Sølvgade. 24 Barbara Hepworth (1903-1975) è una scultrice inglese di arte contemporanea. La scultura Marble, a cui Juhl fa riferimento, è caratterizzata per la matericità, l’aspetto plastico e la forma sinuosa. 25 Il carattere scultoreo si relaziona ad un tema della maniera di progettare gli arredi di Juhl: la scissione. Ciò è riscontrabile secondo la visione di Salicath in molti esempi, come ad esempio nella Sedia Egiziana, nella FJ45, FJ47 ed altre. Questa peculiarità consiste nello scindere visivamente i vari elementi che compongono l’arredo come telaio, imbottitura e schienale. Per la singolarità dello stile, Juhl verrà criticato da alcuni suoi contemporanei come Arne Karlsen e Børge Mogensen, sostenitori della corrente più tradizionale e meno innovativa. Vedi Salicath B., 1955.

47


giorno in Italia. Quello schizzo, realizzato di getto, risulta essere lo scheletro del progetto finale per la seduta. Lo stesso si potrebbe dire per i disegni preliminari del progetto ex novo a Klelund, in cui si nota, fin dai primi elaborati, la presenza di un soggiorno con camino, che costituisce uno dei caratteri peculiari della residenza. Dall’osservazione dei vari disegni conservati in archivio, emergono alcune delle caratteristiche peculiari dell’iter creativo dell’architetto: la cura dei dettagli, il ruolo degli arredi, e la continua revisione del progetto. Come sostiene Marianne, “la distanza dallo sketch, all’acquarello, (ed al disegno tecnico finale), non è poi così grande, nel processo progettuale di Finn Juhl26”. Ciò è riscontrabile ad esempio in Fig. 25 e 26 in cui, sebbene gli schizzi non risalgano ad una fase definitiva di progetto, è possibile notare indicazioni precise e minuziose. La prima definisce il particolare della gronda di copertura, in relazione alla progettazione degli infissi disegnati nel prospetto interno sottostante; la seconda riporta quote ed ingombri degli arredi in pianta, assieme al calcolo per metro lineare dei materiali da utilizzare. Protagonisti in entrambi i disegni sono ancora una volta i mobili e la loro collocazione. Gli schizzi riprodotti in Fig. 25 e Fig. 26 mostrano inoltre due progetti di ampliamento per la residenza dell’architetto. Sebbene la Casa di Juhl venga realizzata tra il 1942 ed il 1943, Fig. 26 è datata 1949 e prevede il ripensamento dell’arredamento della camera da letto maggiore; Fig. 25 risale circa al 1954 e riguarda un ipotetico ingrandimento del soggiorno. Entrambe le modifiche non vengono portate a termine, così come altre numerose varianti raffigurate nelle tavole inerenti alle residenze. Non tutti infatti sono a conoscen-

26 Trad. a cura dell’autore, da Sommer A.L., 2015, p. 10.

za di quante volte l’architetto riveda le proprie idee e, di conseguenza, anche i disegni. Hansen sostiene al riguardo: Juhl and his family replaced furniture as he designed new pieces; his best furnishings - the icons - were allowed to stay. Finn Juhl’s house can thus be seen as a result of an almost Darwinian process of natural selection, a ‘survival of the fittest‘ in furnishings, which Juhl constantly edited while he lived there. (Hansen P. P., 2014, p. 189) Ogniqualvolta progetta un nuovo oggetto, destinato a divenire un’icona del suo design, Juhl lo sostituisce ad uno più vecchio, non tanto perché voglia vanificare le opere anteriori, bensì per operare, analogamente a quanto avviene negli elaborati grafici, una scrematura, una selezione naturale, definita da Hansen ‘darwiniana’, per cui soltanto l’essenza permane. Talvolta l’architetto vuole incentrare l’attenzione su di una specifica composizione, sull’insieme, helhed, sull’unione di alcuni elementi, anziché ragionare su come questi si relazionino con gli altri spazi progettati. In Fig. 24 non si rappresenta lo spessore murario o si descrivono le caratteristiche costruttive dello spazio, bensì l’attenzione è incentrata sui mobili che lo abitano. Il disegno, appartenente alla collezione di documenti di Villa Aubertin, mostra elementi architettonici slegati dal resto degli ambienti dell’edificio, in quanto si focalizzano solo su di un aspetto, su una particolare idea, che Juhl ha in mente in quell’istante. L'elaborato offre una suggestione, l’idea degli ambienti e mostra coerentemente lo studio sulla composizione di ambienti. Fig. 24 mostra soltanto tre delle stanze della villa, trascurando la struttura dell’edificio, a favore della composizione globale, in cui giocano un ruolo fondamentale i colori e gli arredi, piuttosto che la proget-

tazione dello spazio architettonico. Si potrebbe affermare che durante la fase concettuale di progetto Juhl si concentri nella restituzione grafica, talvolta esatta, alle volte confusa, degli elementi a suo avviso fondamentali per offrire una visione di un determinato ambiente. Questa “idea grezza” viene in un secondo momento scremata, raffinata, adattata in maniera specifica ai vincoli progettuali ed alle linee guida del progetto, ed infine dettagliata con didascalie e disegni a grande scala. La tecnica di Juhl potrebbe essere rivista nella concezione dell’architetto ungherese Yona Friedman, espressa nel saggio L’ordine complicato, come costruire un’immagine (2011). Costruire un’immagine, secondo Friedman, è una contraddizione di fondo; “costruire” sta a significare mettere insieme delle cose elementari, mentre “un’immagine” rappresenta fin dal principio qualcosa di unitario, che non può essere scomposto. (Friedman Y., 2011, p. 12) A parere di Friedman, l’Uomo è ignaro della realtà, ma l’unico modo per affrontarla è tramite l’immagine. Allo stesso modo, Juhl si serve di “immagini”, per esprimere l’idea concettuale; ed utilizza “parole”, per descrivere materiali, colori e dettagli del progetto. L’architetto concepisce il suo lavoro come “opera d’arte totale”, assimilabile al concetto di Gesamtkunstwerk, esaltato dagli artisti della Secessione viennese e dall'art nouveau. R. Wagner, colui che per la prima volta formula l’idea di Gesamtkunstwerk, cita come massima espressione l’arte teatrale dell’antica Grecia, di quella cultura classica da cui Juhl è affascinato27. La relazione tra Juhl e gli artisti dell’art nouveau è espressa da F. Sieck in questi termini: With their organic forms, rhythm and tautness, many of them are clearly in27

Vedi al riguardo Møller H. S., 1990.

spired by living plants and animals. A source of motif to be found in most of the major styles from the earliest Egyptian dynasties right up to Art Nouveau - a period that has been significant in many respects for Finn Juhl’s development. For example, he has been noticeably influenced by its characteristic tendency to create a sense of unity in a room by means of a deliberate intertwining of all its architectural details, which extend - naturally - to the colouring, decoration and furnishing. Thus influenced, he played imaginatively on the interior and its arrangement as a vital part of his work.(Sieck F., 1946, p. 56) La somiglianza è data in primo luogo dall’ispirazione naturalistica28, dopodiché dall’armonia che Juhl riesce a conferire nella progettazione di una stanza, dovuta sia ai particolari architettonici, che ad altri fattori, quali l’uso del colore, la decorazione, l’arredamento, ed ulteriori elementi non strettamente legati all’architettura. Al riguardo Bent Salicath sostiene: Finn Juhl is interested in several architects of the Jugend period, not only because they formed their style with emotion, but especially because they had the conscious will to create things and rooms as unities. Thus he is a great admirer of Mackintosh and his characteristically composed interiors. Finn Juhl’s own aesthetic aims are of the same imperative power. (Salicath B., 1955, p. 13) Finn Juhl in persona dichiara di ammirare l’estetica dell’art nouveau e dagli arredi Mackintosh. (Juhl F., 1981) Un carattere che accomuna Juhl e gli artisti dello Jugend style è il desiderio di controllo estetico di ogni detta-

28 Come si può notare dalla Sedia Pellicano, Divano del Poeta, Sedia Cavalletta.


da sinistra verso destra (25); (26)

glio e ciò è osservabile nella molteplicità di disegni specifici. Sulla concezione di Gesamtkunstwek, nel 1950 Finn Juhl illustra il ruolo dell’architetto con le seguenti parole:

cina alla visione romantica hegeliana di “genio”, secondo cui soltanto le abilità tecniche ed il bagaglio di esperienze ed emozioni intellettualmente governate rendono l’opera artistica.

Il paradosso sta nel nucleo della verità, (cioè) l’architetto deve imparare ad adoperarsi per il tutto. Non con l’uniformità bensì mettendo un po’ di sé stesso dietro ad ogni singola cosa che progetta. Naturalmente gli ultimi lavori devono mostrare uno sviluppo, un’evoluzione rispetto ai primi, in modo che si possa essere in grado di mostrare la personale tendenza. La cosa principale è che in tutte le opere di progettazione si veda la voglia di esprimere sé stessi – non quello che si è costretti (a dimostrare). (Juhl F., 1950, p. 24)

Il ruolo del colore nell'architettura e nei mobili Dall’osservazione degli acquarelli emerge l’importanza del colore nell’opera di Juhl. L’architetto stesso dichiara l’ammirazione verso il giovane Le Corbusier, il quale, prima ancora di adottare lo pseudonimo, opera come pittore purista assieme ad Amédée Ozenfant. Fig. 27 rappresenta un acquarello di Finn Juhl del Maggio 1934, quando egli è studente alla Reale Accademia di Belle Arti di Copenhagen, in cui sono evidenziabili alcune analogie con la villa a Brno del 1926 di Ernst Wiesner, e con l’opera del primo periodo di Le Corbusier, soprattutto con il padiglione dell’Esprit Nouveau del 1925 per la composizione architettonica, e con gli schizzi per la progettazione delle Unitè d’Habitation a Marsiglia del 1951 per quanto riguarda l’uso del colore. Inoltre, l’ammirazione verso LC è espressa

Al contrario di quanto professato da Kaare Klint, Juhl reputa che ogni arredo, opera architettonica o opera d’arte debba rispecchiare il genio creativo dell’artista, essere unica e riflettere la mente del creatore. (Hiort E., 1956) In questa concezione, l’architetto si avvi-

chiaramente da Juhl nel 1955 in un articolo di Mobilia, in cui egli afferma: Mi sono interessato all’analisi degli arredi probabilmente per via del mio iniziale entusiasmo verso l’architettura cubista di Le Corbusier, in cui i colori ed i materiali accentuano i distinti piani ed i passaggi tra di essi. (Juhl F., 1955, p. 36) In questa dichiarazione, l’architetto rivela che la propria passione per gli arredi deriva proprio dalla stima verso LC, sebbene in un’altra intervista egli confessi di essersi approcciato all’arredamento per necessità personali, quando realizza i mobili per il suo primo appartamento in affitto. (Juhl F., 1981) Il ruolo delle tonalità cromatiche nell’opera e negli elaborati grafici dell’architetto è descritto da Sommer A.L, in Watercolors by Finn Juhl, testo in cui l’autrice raccoglie le testimonianze di Marianne Riis-Carstensen, e osserva: When one looks at Finn Juhl’s watercolors from the Cabinetmakers’ exhibitions, it is clear that they are not fo-

cused exclusively on the furniture. They present the furniture as important elements in the interior design at large, and the accompanying text, with its poetic indications of color choices, contributes to the general experience. (…) Thus, the watercolors that we associate with Finn Juhl, and which are so admired now, in fact serve an important communicative purpose. They opened up Finn Juhl’s world. And this brings us close to the nature of the watercolor, its unique potential. For it has a power of seduction that a technical drawing does not possess. It conveys a mood. (…) We are almost there. We can almost feel the smooth surface of the wood and the delicate structure of the textile. (…) Sometimes it is as if the watercolor has a life of its own, as if something extra is added, something else that comes not only from the familiar chair but which reveals a dimension of the chair that is barely visible. At once familiar and unknown. (Sommer A. L., 2015, pp. 10-11)

49


Questa quarta dimensione, talvolta invisibile, è riscontrabile anche nell’arte del Purismo e del Cubismo, a cui si ispira il giovane Charles-Edouard Jeanneret, nella formulazione del saggio Après le Cubisme, del 1917, in collaborazione con il pittore Amédée Ozenfant. Dalle parole stesse di L.C., è possibile osservare come Juhl si sia ispirato al primo periodo dell’architetto svizzero per quanto riguarda la concezione e la logica di utilizzazione del colore. Per quanto riguarda la progettazione di interni, le fonti a cui attinge Juhl sono varie e talvolta contraddittorie. Prendendo a modello Red e Black Mobiles di A. Calder, oltretutto Juhl è come se facesse riferimento a Mondrian, in quanto l’artista statunitense confessa di aver tratto ispirazione proprio da lui per la creazione delle opere29. In analogia con l’opera di Juhl, la maniera astratta e cinetica di Calder presenta i concetti di “composizione”, “relazioni spaziali”, “colori” e “volumi”. Affini allo stile di Mondrian e degli artisti del De Stijl, sono gli arredi progettati da Juhl nel 1961, ed esposti alla Gilda degli Ebanisti di Copenhagen, per l’utilizzo di colori vivaci primari, e per il carattere plastico. La figura che tuttavia influenza maggiormente l’opera di Finn Juhl per quanto riguarda le scelte cromatiche è il pittore cubista Vilhelm Lundstrøm. Oltre a disporre i dipinti di Lundstrøm all’interno delle dimore che progetta, come ad esempio nella sua casa ad Or-

A. Calder racconta di essere rimasto particolarmente colpito dai colori e dalle geometrie dello studio di Mondrian a Parigi, che visita nell’anno 1930. Affascinato dall’arte astratta di Mondrian, egli avrebbe realizzato successivamente le opere Mobiles, alle quali a sua volta si ispira l’architetto Finn Juhl. Calder è a conoscenza delle opere di Jean Arp, tanto che in una lettera privata a Gallatin, collezionista d’arte a cui Calder da suggerimenti sugli investimenti, consiglia di acquistare alcune dell’opere dello scultore surrealista. Vedi Marter J.M., 1976, Alexander Calder: Ambitious Young Sculpture of the 1930s, in Archives of American Art Journal, Vol. 16, No. 1, pp. 2-8.

29

drup30 e nella residenza estiva a Raageleje di Hostrup-Pedersen, Juhl è ossessionato dal pittore al punto che Marianne sostiene di avere impiegato giorni nel tentativo di riprodurre una specifica tonalità cromatica, detta appunto “Rosa Lundstrøm”. Le tonalità cromatiche che Juhl utilizza per il tappeto del soggiorno della Villa Aubertin (28) possono essere riscontrate anche nell’affresco intitolato Due Sorelle del 1923 di Vilhelm Lundstrøm. Bent Salicath ritiene che per alcuni critici, dati i colori sgargianti e le forme singolari, il design di Juhl possa risultare importuno, alla stessa maniera di un quadro o di una scultura. L’autore sostiene che le analogie tra Juhl e le esperienze che lo hanno stimolato artisticamente sono da riscontrarsi non tanto nell’opera in sé, bensì nell’approccio anticonvenzionale alla progettazione. (Salicath B., 1955) Il neo-empirismo attraverso l’opera di Juhl Nel 1947 Eric De Marè nella rivista «Architectural Review» commenta riguardo alla cultura architettonica dei paesi scandinavi: Finora non è evidente una forte reazione contro i principi del Funzionalismo; in effetti, essi non furono mai seguiti più di ora. La tendenza è piuttosto di umanizzare le teorie sul terreno estetico e di ritornare, allo stesso tempo, al primitivo razionalismo sul terreno tecnico. Il Nuovo Empirismo è il tentativo di essere più obiettivi del Funzionalismo, di introdurvi una nuova scienza, quella della psicologia. (…) gli architetti tentano di formulare una nuova poetica che vitalizzi la loro ispirazione, che permetta di sfuggire a quella sterilità cui porta automaticamente un’aderenza troppo dottrinaria

e puritana al Funzionalismo (…)31 Vi è la coscienza che gli edifici sono fatti per servire gli esseri umani assai più che per aderire alla fredda logica di una teoria. La parola spontanietet, frequente sulle labbra dei giovani architetti svedesi, rivela forse la chiave di questa tendenza. Nel 1930 avviene la cosiddetta svolta verso il funzionalismo in Scandinavia con l’Esposizione di Stoccolma di E. G. Asplund, che smuove gli animi dei progettisti, non solo svedesi ma anche provenienti dagli altri paesi scandinavi, dimostrando la possibilità di utilizzare sistemi prefabbricati, promuovendo la produzione di massa, seppure attenti alla qualità, e sperimentando forme nuove, lontane dai classicismi ricorrenti, con un evidente scarto cronologico rispetto ad altri paesi. La prima residenza progettata da Finn Juhl è la sua stessa casa che, dalla critica contemporanea danese, e non solo, viene considerata uno dei primi esempi di pianta 'aperta' in Danimarca. The floor plan of the house is an early example of an “open plan” where the rooms have a visual transition into one another and are not, as in older houses, sharply delineated by partition walls. This principle degenerated in the course of the 1950s so that partition walls gradually disappeared almost entirely, and the kitchen ended up in the living room. In Finn Juhl’s house, the principle is used in a restrained form. Each room has its clearly defined function, but no matter where one goes in the house, one has a view of the next room at all times and a glimpse of the garden as a point de vue. (Hiort E., 1990) Hiort definisce la Casa di Juhl a “pianta libera” con una speciale accezione del termine, riferendosi ad un effetto Citazioni riprese da due articoli diversi, riportati in Zevi B., 1953, Storia dell’architettura moderna, Einaudi, Torino, p.202.

31

Otto quadri di Lundstrøm sono tuttora osservabili nella dimora di Juhl. 30

visivo piuttosto che all’organizzazione dello spazio e degli elementi architettonici. Mentre verso il 1925 Le Corbusier progetta Villa La Roche e nel 1928 Mies van der Rohe Villa Tugendhat, in cui si applicano pianta e facciata libera, finestre a nastro, pilotis; dal 1941 fino al 1970, Finn Juhl opera una partizione degli ambienti interni delle architetture domestiche ben definita, separando nettamente la zona giorno dalla zona notte, interpretando l’estetica promossa dal movimento moderno europeo in maniera personale, filtrandola ed adattandola al contesto scandinavo. In Hjemmets Indretning, Juhl da un lato promuove la razionalità e la funzionalità di architetture moderne, dall’altro solleva una questione sulla fattibilità di alcune soluzioni progettuali contemporanee: La casa di Philip Johnson è un esperimento così all’avanguardia che di certo non diverrà mai normativo. Johnson segue le linee guida dettate già da Mies van der Rohe con la Villa Tugendhat a Brno, costruita negli anni Venti, che ha aperto la strada alla casa di vetro americana, all’architettura del palazzo a Park Avenue negli Stati Uniti32, ed ai grattacieli di Mies a Chicago33. Questo modello utilizza e costruisce una nuova esperienza. Le mura esterne della casa non sono più elementi portanti, con all’interno una suddivisione minore. (…) Tutti questi cambiamenti del metodo costruttivo sono mezzi per esprimere il fatto che la percezione dello spazio è un’altra, differente. Da percepire l’ambiente come una cavità, come una grotta racchiusa in un guscio. Lo scheletro ha poi fori come porte e finestre. Dopodiché si passa al volere dissolvere ulteriormente il guscio. Si è a 32 Si riferisce al Seagram Building di Mies van der Rohe, in collaborazione con Philip Johnson, del 1958 circa. 33 Fa riferimento forse agli appartamenti Lake Shore degli anni Cinquanta di Mies.


dall'alto verso il basso (27) da Hansen P. P., 2014; (28) dall'Archivio del Museo del Design di Copenhagen.

51


conoscenza dello spazio e del volume anche senza bisogno di uno scheletro definito.34(Juhl F., 1954, pp. 75-77) Attraverso queste riflessioni, egli denuncia la sua visione riguardo a ciò che verrà in seguito definito International Style, tracciando un iter architettonico a partire dalla concezione tradizionale, in cui lo scheletro della dimora è assimilabile ad un guscio, fino alla sua graduale perforazione, che nei casi più estremi raggiunge la smaterializzazione. La casa, del 1941, materializza l’eterno domestico danese, segno della possibilità di radicamento della migliore architettura moderna nella storia e nella cultura locale. (Regis D., 1995, p. 180) Secondo la visione di Regis, l’attenuazione dell’espressione dei canoni estetici del movimento moderno nell’opera di Juhl potrebbe essere relazionata alla formazione, all’insegnamento del maestro Fisker. Finn Juhl assorbì l’eredità di quella particolare forma di funzionalismo danese che l’anziano maestro arrivò a definire, negli anni Cinquanta, “tradizione funzionale”. Della suddetta tradizione, che perpetua il valore di un approccio nazionale all’architettura e di una “nuova” tradizione, Finn Juhl ne è interprete. (Regis D., 1995). Egli afferma che: La cosa essenziale sono le abitudini, lo stile di vita, in quanto questi sono fattori che condizionano la validità e l’accuratezza di una soluzione progettuale architettonica, ed al tempo stesso permettono (al progettista) di confrontarvisi, creando un’interazione (con l’architettura). (…) Siamo dunque ora di fronte ad una verità, cioè che tutti gli architetti debbano essere a conoscen-

za del fatto che l’architettura è regionale, che è determinata da fattori climatici, e che, nonostante l’internazionalismo estetico, vi sono poi condizioni pratiche (da rispettare). (…)Quasi tutte le persone sono costrette a vivere in maniera sfavorevole o non confortevole, a causa della mancanza di fondi o di aiuto (da parte dei progettisti). Per fortuna, certe limitazioni sono accolte dalla visione di una persona più flessibile, ragionevole e diplomatica.35 (Juhl F., 1954, pp. 75-78) Con queste parole, Juhl dichiara la vicinanza al regionalismo, ed al neo-empirismo descritto da De Marè, in analogia con la visione di altri architetti, che mostrano sensibilità verso i temi di architettura e luogo, come E. G. Asplund, con l’esemplare Cappella nel Bosco ad Eskede, Alvar Aalto con la Villa Mairea, o Sverre Fehn con il Padiglione dei Paesi nordici a Venezia. A partire dagli scritti di Ruskin e Viollet-le-Duc, si nota un ideale di autenticità indigena, radicata in vernacoli locali, o in esempi pre-rinascimentali, si osserva un interesse al carattere, al clima e alla cultura di luoghi specifici, ai miti nazionali ed alle continuità territoriali, in reazione allo sradicamento, all’omogeneità ed all’imposizione di formule cosmopolite. La ricerca delle radici della cultura di particolari aree geografiche, al volgere del Novecento, costituisce le fondamenta su cui si costruiscono le impressioni ed i principi di alcuni pionieri del movimento moderno. Si può dunque comprendere la maniera in cui le architetture di Juhl siano strettamente relazionate con il paesaggio, con il sito; la ragione per cui esse presentino copertura inclinata36; come esse siano prevalentemente costruite con materiali locali, quali il legno ed il mattone; e come si riveli la loTrad. a cura dell’autore e di Sidsel Olsen. L’unica dimora progettata da Juhl che presenta copertura piana è la sua ultima opera residenziale ossia la Casa estiva a Raageleje.

35

36

Trad. a cura dell’autore e di Sidsel Olsen.

34

ro essenza all’interno, luogo caldo e riparato dalle intemperie del rigido clima danese. Se in Juhl la copertura è ancora legata al sistema costruttivo tradizionale, Aalto, Utzon e Jacobsen, con Villa Mairea, la Casa a Hellebæk ed a Charlottenlund, presentano tetto piano e giardino pensile, allo stesso modo di Villa Savoye, Villa Tugendhat o della Glass House, modelli di riferimento del movimento moderno o del cosiddetto International Style. Nell’esposizione di F. L. Wright del concetto di “macchina”, intesa come “meccanizzazione”, nel testo Testamento del 1957, possono essere riscontrate analogie con la maniera in cui Juhl adatta i principi del movimento moderno e la teoria di “macchina per abitare” al contesto scandinavo. All’avvento della “macchina” Wright e Juhl associano una “penetrazione interiore”, talvolta descritta come architettura organica o neo empirismo. Al contempo, le case di Juhl sono scevre da classicismi, eclettismi o decorazioni superflue; sono funzionali e al contempo lontane dall’imitazione del modello della fattoria, diversamente da Villa Friis37, del 1917, del maestro Kay Fisker, che risale a una fase storica precedente. L'articolazione spaziale in relazione agli arredi e alla composizione Nelle architetture a carattere residenziale38, Finn Juhl non adotta mai lo schema della pianta libera, bensì tuttalpiù, come sostenuto da Hiort, si osserva un collegamento visivo tra le va37 Nella Villa Friis, costruita intorno al 1917 e 1918 per JW Friis, inizialmente come casa estiva ed in seguito come residenza per tutto l’anno, Kay Fisker mescola caratteri architettonici neoclassici, inglesi tradizionali, con il sistema costruttivo ed i materiali del passato nordici. 38 Per quanto riguarda gli allestimenti degli anni Cinquanta e Sessanta, come ad esempio “La Casa del Futuro”, del 1954, o Two Centuries of Danish Design, del 1968; oppure già per la progettazione di interni del negozio Bing & Grøndhal, del 1946, al contrario Juhl sperimenta soluzioni planimetriche più moderne, dove lo spazio espositivo è concepito come un unico ambiente, separato soltanto da tessuti o pannelli provvisori.

rie stanze. Sebbene Juhl dichiari di ammirare Le Corbusier, le architetture residenziali dell’architetto danese non sono assimilabili né alla composizione purista39 del primo periodo dell’architetto francese, né alle sue costruzioni brutaliste degli anni Cinquanta. Seppur in maniera meno radicale della Glass House, di Villa Tugendhat, o della Villa Savoye, anche Villa Mairea di Aalto, del 1937 o la residenza di Jørn Utzon a Hellebæk, del 195240, presentano pianta libera; differentemente dalle dimore progettate da Juhl, tra gli anni Quaranta e Sessanta del XX secolo. Analogamente, le prime opere residenziali di due grandi rappresentanti del Movimento Moderno in Danimarca, quali Arne Jacobsen, con le sue prime abitazioni unifamiliari a Hellerup41 e Gentofte42 ed il progetto della sua stessa casa a Charlottenlund43 del 1929; ed Erik Møller, con la sua casa a Vangede44 risalente al 1943, mostrano caratteri architettonici ancorati al siGli unici esempi di architettura residenziale confrontabili con la composizione purista di Le Corbusier sono il progetto ex novo a Klelund, per i due muri ortogonali che si protendono all’esterno dell’abitazione, conferendo al progetto un carattere geometrico; ed il progetto della Casa estiva a Tibirke. Il secondo risale al Dicembre del 1968 e se ne hanno pochissime informazioni. Non è noto infatti se il progetto sia mai stato realizzato. 40 Si tratta di due esemplari di casa singola in Scandinavia, risalenti allo stesso periodo in cui opera Juhl. 41 La casa unifamiliare di Hellerup, progettata sulla strada di Lundely, poco distante dalla Casa di Juhl, risale al 1928 ed è uno dei primi progetti a carattere residenziale di Arne Jacobsen. Vedi Jacobsen A., 1953, Eenfamilienhus i Hellerup, in «Arkitekten», No. 55, pp. 115-116. 42 Casa Wandel a Gentofte è la prima opera residenziale di Arne Jacobsen e risale al 1927, due anni prima della costruzione della sua stessa dimora, e rappresenta il cambiamento di stile dell’architetto. La casa riceve il premio per la progettazione da parte del Comune di Gentofte. Vedi De Corral F. S., 1989, Arne Jacobsen, Editorial Gustavo Gili, Barcellona, pp. 26, 27. 43 Questa opera incarna la “svolta” verso il funzionalismo di Arne Jacobsen. Ciò nonostante essa non presenta pianta libera, bensì una suddivisione, tra zona notte e giorno, simile a quella riscontrabile nell’opera di Juhl. Risalente al 1929, la progettazione dell’abitazione dell’architetto risente dell’influenza di Le Corbusier e di Kay Fisker, in quanto Jacobsen denuncia di essere colpito dalle architetture del primo e dalla maniera progettuale dell’altro, durante la collaborazione per il Padiglione dell’Esposizione Universale del 1925 a Parigi. Vedi De Corral F. S., 1989, p. 29. 44 Sebbene risalga al 1943 circa, la dimora presenta caratteri architettonici ancora più tradizionali di quelli riscontrabili nella Casa di Juhl, sia per quanto riguarda l’involucro esterno, che per la progettazione degli interni. Vedi Møller E., 1953, Eget Hus i Vangede, in «Arkitekten», No. 55, pp. 107-112. 39


stema costruttivo e progettuale tradizionale, in cui sono assenti pianta o facciata libera. La concezione delle stanze dell’abitazione, espressa in Hjemmets Indretning, permette di comprendere la ragione per cui l’architetto non adotti lo schema a pianta libera. Nella progettazione delle residenze, Juhl opera una distinzione fra gli ambienti della sfera pubblica e della sfera privata, separati, oltreché per funzione, anche da partizioni interne. Un tratto distintivo delle architetture di Juhl è la rilevanza dell’area giorno all’interno della dimora. Questo carattere è riscontrabile in particolare modo nella Villa Aubertin, dove il soggiorno occupa un intero corpo rettangolare annesso, che costituisce parte notevole della superficie totale dell’abitazione, e si distingue così dagli altri ambienti. (31; 32) Generalmente la zona giorno, a differenza ad esempio di Villa Savoye o di Villa Tugendhat, è suddivisa con partizioni interne, in modo che il soggiorno e la sala da pranzo abbiamo un’identità distinta, spesso enfatizzata dalla presenza di un lieve dislivello, come si osserva nella sua stessa dimora, in Villa Aubertin (32), nella Casa estiva a Raageleje o nel progetto ex novo a Klelund. Al contrario, la zona giorno della Casa di Utzon a Hellebæk e della Villa Mairea, consiste in grandi sale polifunzionali, che ospitano tavolo da pranzo, divano e talvolta piano cottura. Solitamente Juhl distingue la cucina dalla sala da pranzo, per ragioni tecniche e grazie all'abbondanza di spazio, ad eccezione della residenza a Raageleje per il Hostrup-Pedersen, in cui gli ambienti sono separati soltanto da un bancone, e si ha diretto collegamento visivo. Questa soluzione è considerata preferibile soltanto laddove si intenda economizzare lo spazio, in quanto Juhl sostiene che il divano sia il fulcro dell’incontro della famiglia e si debba distinguere perciò dal tavolo da pranzo, che

riveste un ruolo diverso45. In Hjemmets Indretning, Juhl, oltre ad enunciare l’importanza della cucina, in relazione alle condizioni sociali della donna nel XX secolo46, si riferisce ad alcuni esempi in cui la distinzione tra cucina e sala da pranzo è più o meno presente. Egli ritiene che nel caso di piccole abitazioni sia quasi inevitabile che la cucina si unisca all’area giorno, sebbene ciò non sia l’obiettivo, bensì una conseguenza della mancanza di spazio. Si fa riferimento a residenze in cui la partizione è adottata, nonostante le esigue dimensioni, e ad altre in cui non è impiegata ma si hanno esiti positivi, come nel caso degli appartamenti Bellavista a Strandvejen degli anni Trenta di Arne Jacobsen e della dimora di Utzon a Hellebæk. Per quanto riguarda quest’ultima, Juhl sostiene che il beneficio è dato dal fatto che la madre di famiglia, mentre svolge le attività domestiche, ha l’opportunità di osservare i figli giocare nel soggiorno. In Hjemmets Indretning, si prendono in considerazione inoltre esempi di abitazioni con spazio limitato, dove soggiorno e sala da pranzo consistono in un unico ambiente, e si studiano quattro tipi distinti di composizione, basati sulla collocazione di due capisaldi della zona giorno: tavolo da pranzo e divano. L’importanza del divano è riscontrabile in Villa Aubertin, dove esso costituisce uno dei primi soggetti degli elaborati; nella Casa di Raageleje, in cui occupa la lunghezza di un’intera parete del soggiorno; oppure nella propria dimora, in cui ce ne sono ben tre. Ad eccezione della sua stessa casa, in cui nel 1967 viene attuato l’ampliamento della camera da letto maggiore, dotandola di un soggiorno; gli ambienti più scenoJuhl distingue i tempi moderni da quelli passati, dimostrando come oggigiorno non sia più conveniente che il nucleo di arredi intorno al divano faccia parte del gruppo di mobili intorno al tavolo da pranzo. Vedi Juhl F., 1954. 46 L’architetto pensa che la cucina debba dotarsi di attrezzature moderne, al fine di essere funzionale allo svolgimento delle mansioni domestiche.

dall'alto verso il basso (29) Da Hansen P. H., 2014; (30) da «The Metropolitan Museum Art Bulletin», 1972

45

53


grafici e significativi delle sue architetture domestiche coincidono con la zona giorno. Per quanto riguarda la zona notte, Juhl impiega una progettazione di tipo modulare. Sia per Villa Aubertin, nel caso delle tre stanze dei figli, sia per la Casa estiva a Raageleje, che per il progetto di rifacimento non realizzato a Klelund, Juhl disegna camere da letto identiche, spesso aventi anche medesimo arredamento, come nel caso della villa di Hostrup-Pedersen, che si ripetono in fila. Talvolta le camere da letto47, la cucina, l’archivio ed altri ambienti minori sono collocati nella zona meno luminosa dell’edificio, orientate verso nord, oppure arretrate rispetto al soggiorno. Per l’arredamento della zona giorno, Juhl predilige un divano molto lungo, come nella Villa Aubertin, a Raageleje, ed Asserbo; un tavolino eventualmente allungabile, come avviene nella propria dimora ad Ordrup; un tavolo da pranzo in teak o formica, entrambi materiali assai utilizzati nelle sue opere; e sedie tutt’intorno semplici, poco ingombranti in caso di spazi limitati, in modo da poter essere facilmente spostate, variando l’assetto della stanza. L’architetto ritiene che si debba adottare un’illuminazione distinta per la zona del tavolo da pranzo e per il nucleo del divano, in quanto quest’ultimo richiede una luce più soffusa, essendo luogo del dialogo e del riposo. In merito alla progettazione della camera da letto, Juhl afferma che gli architetti generalmente preferiscono disporvi letti singoli, in quanto così si ottengono spazi di dimensioni e qualità maggiori. Per questa ragione, ad eccezione della dimora dell’architetto, si riscontrano sempre letti singoli all’interno delle residenze unifamiliari, sebbeLa camera da letto maggiore della Casa di Juhl è un’eccezione. Essa, ampliata inoltre successivamente, è concepita, fin dai primi disegni dell’abitazione, come un ambiente polifunzionale, nel quale è possibile dormire, leggere, riscaldarsi di fronte al camino, sostare, come se si fosse una stanza degli hobby.

47

ne esse siano atte ad ospitare due coniugi. I due letti offrono, secondo la visione dell’architetto, la possibilità di essere accoppiati, formando un divano, utilizzabile anche durante il giorno. Riguardo all’utilizzo della stanza da letto, si potrebbe allineare la visione di Juhl con quella dell’architettura orientale48, che prevede flessibilità e commistione di più funzioni all’interno di una stanza. Per questa ragione, è comprensibile come, in alcuni disegni sommari autografi, l’architetto abbia talvolta disegnato un pianoforte nella camera da letto della propria abitazione. In Juhl, la flessibilità è data sempre dall’arredo, mai dalla composizione spaziale, in quanto ciascuna stanza è nettamente separata dall’altra, in base alla relativa funzione. La chiara distribuzione degli ambienti all’interno delle dimore dell’architetto fa sì che generalmente esse risultino composte da due corpi49, due ali, che ospitano soggiorno, sala da pranzo e foyer da un lato; bagno, camere da letto e studio dall’altro. Esemplare di questa partizione è la Casa di Juhl, in cui l’ala minore contiene esclusivamente gli ambienti di rappresentanza, come soggiorno, veranda, libreria e foyer; mentre l’ala maggiore è riservata alle stanze per la sfera privata, la vita intima familiare, come le camere da letto e la cucina, che per l’architetto è uno spazio molto speciale, regno della figura femminile. Questa maniera è riscontrabile anche nella composizioL’interesse di Juhl verso l’architettura giapponese può essere dovuto sia alla conoscenza di Kenzo Tange, segnalata dalla seconda moglie Hanne Wilhelm Hansen, sia dal fatto che in Scandinavia, intorno agli anni Venti e Trenta del Novecento, si guardi a modelli di case unifamiliari internazionali, anche provenienti dal Giappone. Vedi Tobias F., 2004, pp. 9-11. 49 La Casa di Juhl ed il progetto ex novo a Klelund, con la loro conformazione ad “L”; oppure la Villa Aubertin e la casa estiva ad Asserbo, aventi planimetria a “T”, illustrano questa maniera progettuale. Sebbene la Casa a Raageleje non presenti due ali distinte, essa è suddivisa allo stesso modo in due zone, una ospitante il grande soggiorno, l’altra gli ambienti di servizio e le camere da letto. La residenza estiva ed il progetto di rifacimento a Klelund sono gli unici esempi, in cui non si riscontra l’assemblaggio di corpi distinti, bensì una volumetria unica. 48

ne planimetrica ad “L” di Villa Mairea di Alvar Aalto. La composizione di volumi ha ragioni puramente funzionali in Juhl, poiché egli progetta partendo dal disegno di un ambiente, e poi assembla le varie stanze, in modo che la pianta sia la matrice generatrice delle facciate, subordinate alla funzione degli spazi interni. Il riflesso della funzione planimetrica nei prospetti è il nesso che accomuna l’architettura di Juhl con quella dei maestri del razionalismo europeo. Ciascuna residenza progettata da Juhl è dotata di un focolare domestico50, intorno a cui si snoda la composizione dei mobili della sala. Questo elemento è così fondamentale per Juhl che, analizzando i primi disegni del progetto ex novo a Klelund, si può osservare che il camino rappresenta l’incipit della progettazione. Per quanto concerne l’importanza del focolare, tuttavia Juhl potrebbe essere verosimilmente influenzato da Alvar Aalto, che reputa suo maestro. Villa Mairea, che risale al 1940, presenta un grande camino monumentale all’angolo del soggiorno simile a quello della Casa estiva a Raageleje. La villa Gullichsen richiama a sua volta per certi aspetti la Casa sulla Cascata di F. L. Wright, il quale, allo stesso modo di Aalto e di Juhl, concepisce il camino come fulcro della residenza, luogo in cui sostare a fianco, riscaldarsi, leggere, scrivere o rilassarsi. La centralità del focolare domestico è riscontrabile inoltre nelle case di noti progettisti danesi, come nel soggiorno della casa di Utzon; oppure nell’abitazione privata di Erik Møller, in cui il camino tuttavia sta in prossimità del tavolo da pranzo e lontano dal nucleo del 50 Il tema del focolare domestico è presente in architettura da Vitruvio, a Gottfried Semper, fino ai tempi moderni con F. L. Wright, Alvar Aalto, Carlo Scarpa. Si presume che Juhl abbia assimilato questo concetto sia dalla tradizione danese locale, che presta molta attenzione all’ambiente interno ed al focolare, concepito inoltre come fonte di calore contro il rigido clima scandinavo, sia da Alvar Aalto, in quanto egli dichiara di provare ammirazione verso l’architetto finlandese.

divano, come invece predilige Juhl. Frequente nella maniera di Juhl è la progettazione di corpi aggiuntivi a sé stanti con funzione di garage o dépendance, che presentano caratteri architettonici simili a quelli dell’edificio residenziale, sebbene siano di dimensioni minori. Ne è un esempio la Casa di Juhl, in cui la progettazione della dépendance, mai realizzata, si protrae per più di venti anni; oppure Villa Aubertin, in cui il volume aggiunto consiste in un’addizione, con funzione di stanza degli hobby, che mostra in copertura la stessa soluzione progettuale utilizzata all’incrocio dei due volumi dell’abitazione. A differenza delle addizioni di Juhl, il corpo della sauna di Casa Gullichsen è connotato da caratteri architettonici volutamente distinti rispetto a quelli dell’abitazione: con la residenza, condivide soltanto la presenza di materiali tradizionali come il legno oppure l’evocazione allo stereotipo del rifugio, della capanna nel bosco. I materiali e la relazione tra architettura e natura Nel 1940, si assiste all’occupazione tedesca in Danimarca: le frontiere vengono chiuse, le importazioni ristrette ed i prezzi delle materie prime aumentano. (Bersano G., 2006) La tendenza in architettura e nelle arti applicate è quella di utilizzare materiali locali e prestare attenzione al loro impiego, promuovendo un “buon design”, che esalti la funzione e l’utilità. Mentre nel resto del mondo si sperimentano materiali innovativi, i progettisti scandinavi si specializzano nell’impiego del legno, al punto che gli artigiani con cui collaborano diventano abili nel modellarlo più di quanto si riesca a plasmare la plastica51. La prima opera residenziale di Juhl risa51 Lo stesso Alvar Aalto brevetta un sistema di costruzione in legno che permette l'utilizzo del materiale alla stessa maniera di tubolari in acciaio. Vedi Weston R., 1995, Alvar Aalto, Phaidon Press, Londra.


dall'alto verso il basso (31) da ÂŤDas WerkÂť 1953; (32) pianta della Villa Aubertin, dall'Archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen.

55


le al 1941, dunque l’architetto è costretto a confrontarsi con le condizioni politiche del Paese. La Guerra, dato il senso di insicurezza e date le molteplici restrizioni, accentua ancor di più la cura per l’ambiente domestico, per gli spazi chiusi, che evocano negli individui senso di protezione, intimità e riparo. In particolare modo durante gli anni della Guerra, in Scandinavia, i temi della sostenibilità e dell’adozione di materiali locali in architettura sono molto dibattuti. Se alcuni, come ad esempio l’architetto Arne Jacobsen52, sono costretti a lasciare il Paese, in cerca di luoghi dove potere esprimere liberamente le proprie scelte compositive; altri, al contrario, fanno della carenza di risorse uno stimolo progettuale. Architects today are in part responsible for how the world will look in the future. They have to take into consideration nature and economize with the resources of the world so that things of value are not unnecessarily wasted. The architect should view his or her work globally, not just locally or nationally. (Knutsen K., 1961) Riguardo ai materiali da utilizzare nell’architettura residenziale, Juhl prende ad esempio le costruzioni navali. All’esterno egli privilegia materiali poco pregiati, semplici e durevoli, come mattone, eternit, per il rivestimento della copertura e degli infissi, legno, o klinker. Ad eccezione dell’ultima residenza realizzata a Raageleje, in cemento cellulare; le dimore di Juhl presentano sistemi costruttivi tradizionali, che prevedono l’utilizzo di materiali quali il mattone o il legno. Alla stessa maniera del primo periodo di Arne Jacobsen, nell’opera architettonica di Juhl si riscontra una semplicità e praticità all’esterno che non corrispon-

Jacobsen è di origini ebraiche, per cui sfugge alle persecuzioni razziali. 52

de all’accuratezza ed alla “teatralità” dell’interno53. (De Corral F. S., 1989) Il rapporto tra esterno ed interno nelle architetture residenziali di Juhl ha carattere introverso. Sebbene l’architetto riveli l’interesse verso il mondo orientale, in particolare modo giapponese54, non si riscontrano architetture in cui lo scheletro dell’abitazione è del tutto smaterializzato, o in cui si ha una compenetrazione dello spazio esterno all’interno. La maniera di rapportarsi alla natura in quanto sfondo costante dell’arte e dell’architettura è tuttavia un elemento comune sia a Juhl che all’architettura giapponese. (Maraini F., 1957, p. 322) L’empatia tra uomo e natura, che traspare dai dipinti o dalle architetture di molti artisti giapponesi, trova pieno compimento nella villa imperiale di Katsura a Kyoto del 1615 circa, edificio a cui Juhl fa riferimento nel suo testo Hjemmets Indretning. La pratica di rendere la natura presente nella casa, nel palazzo, nelle residenze, nelle sale ricevimento dei templi e non solo aprendo gli shoji55, ma anche rappresentandola pittoricamente sulle pareti, sulle porte scorrevoli, sui paraventi è una caratteristica tipica delle costruzioni giapponesi del passato, che non si manifesta invece nell’opera di Juhl, in quanto all’interno delle sue architetture residenziali si hanno quadri d’arte astratta, sculture lignee in stile tribale africano56, e colori accesi, in linea con il purismo lecorbuseriano e con De Stijl, piuttosto che elementi naturali o le loro rappresen53 All’interno, Juhl utilizza anche materiali pregiati come il legno di pino dell’Oregon ed il teak. In generale la progettazione degli interni e degli arredi delle abitazioni di Juhl presentano caratteri più eclettici rispetto a quella dell’involucro esterno. 54 L’ammirazione per il Giappone è osservabile piuttosto nelle arti applicate, come nella progettazione di letti bassi, oppure nell’impiego di molti tappeti a terra. Il set di arredi nominato serie Giapponese, prodotto dall’azienda France & Søn, è anch’esso di ispirazione orientale. 55 Si tratta di partizioni tipiche giapponesi, sorta di porte scorrevoli, originariamente con telaio ligneo e riempimento in un materiale cartaceo traslucido. Vedi Chiorino F., 2005, Case in Giappone, Electa, Milano. 56 Come le sculture lignee di Erik Thommesen.

tazioni. Diversamente dal progetto della Farnsworth House di Mies van der Rohe o della Glass House di Philip Johnson del 1949, le dimore di Finn Juhl non si aprono su tutti i lati verso l’ambiente naturale. Se da un lato egli vuole beneficiare di fattori in relazione al luogo, utilizzando ampie superfici vetrate o collocando ambienti a sud in modo da poter ricevere illuminazione e riscaldamento solare; dall’altro Juhl non opera mai una reale unione con la natura, in quanto dalle stanze delle sue residenze è possibile osservare il paesaggio, senza che questo intervenga all’interno. Il giardino costituisce un progetto a sè, talvolta ideato da figure specializzate, come nel caso del paesaggista Troels Erstad per la dimora ad Ordrup, o di C. Th. Sørensen per la Villa Aubertin. Allo stesso modo di Villa Mairea di Aalto o delle abitazioni personali di Jørn Utzon ed Arne Jacobsen, che si trovano nelle vicinanze della dimora di Juhl ad Ordrup57, le residenze progettate dall’architetto dialogano con il paesaggio circostante in maniera tale che l’involucro non si dissolva del tutto, come invece accade nella Glass House di Johnson. La struttura muraria è ben definita e costituita da materiali locali quali legno o mattone; l’utilizzo del vetro si limita alle superfici rivolte a sud o laddove si intende godere di visuale sul giardino esterno. Come mediazione tra interno ed esterno, Juhl utilizza l’elemento della tettoia o della veranda, che ha inoltre la funzione di schermare e proteggere dal forte vento danese. L’impiego della tettoia è riscontrabile anche nella dimora di Utzon, in prossimità dell’ingresso, ed in Villa Mairea, tutt’intorno alla piscina, o di fronte all’atrio, dove questa presenta listelli in legno ed La casa personale di Jørn Utzon si trova a Hellebæk, e quella di Arne Jacobsen a Klampenborg, entrambe località vicine ad Ordrup.

57

una singolare forma sinuosa ed organica. Oltre a questo elemento, altro legante tra esterno ed interno è la pavimentazione. In prossimità delle verande, o laddove si vuole evidenziale l’unione tra paesaggio ed architettura, Juhl utilizza una pavimentazione analoga all’esterno e all'interno. Ciò è riscontrabile ad esempio nel soggiorno di Villa Aubertin, dove una striscia di pavimentazione in clinker si differenzia dal resto del pavimento interno, e prosegue dalla sala da pranzo fino al giardino antistante. Juhl sfrutta sempre il pendio del suolo ai fini della progettazione architettonica, come si osserva, seppure in maniera distinta, anche in Villa Mairea di Aalto, nelle residenze unifamiliari di F. L. Wright nel Wisconsin, o in Villa Tugendhat. Mentre la Casa sulla Cascata di Wright fa della pendenza del sito il fattore da cui deriva l’impostazione dell’abitazione, in Juhl la natura del terreno è utilizzata perlopiù per ragioni funzionali, come si osserva anche in Villa Tugendhat di Mies van der Rohe; utilizzando il dislivello naturale si intende dotare di visuale panoramica il soggiorno o prevedere un ambiente interrato, con funzione di cantina. Mentre nelle abitazioni disegnate da Juhl, nella Casa di Møller a Vangede o nel progetto residenziale unifamiliare a Hellerup realizzato da Jacobsen, il giardino ed il paesaggio circostante sono ordinati e connotati da una certa regolarità; in Wright, Aalto o Utzon l’elemento naturale è selvaggio, spontaneo. Se Villa Aubertin presenta un disegno regolare del paesaggio, scandito da terrazzamenti, alla stessa maniera dell’ampio giardino antistante alle dimore di Møller e di Jacobsen; Wright arrocca la Casa sulla Cascata su di un terreno scosceso, che non sembra quasi presentare intervento dell’Uomo. Ad eccezione della Casa estiva a Raageleje, dove questo elemento è meno accentuato, in tutte le residen-


ze progettate da Juhl, la canna fumaria rappresenta un elemento svettante, in contrapposizione con l’orizzontalità dei volumi abitativi, caratterizzati da un solo piano fuori terra, e dotati di un livello interrato. Il verticalismo della canna fumaria, contrapposto all’andamento orizzontale delle abitazioni, che presentano un solo piano fuori terra, è osservabile anche nella villa di E. Møller, nella casa unifamiliare progettata da A. Jacobsen ad Hellerup58, o nella dimora degli architetti danesi Karen e Mogens Black Petersen a Jægerbsorg, tutte architetture realizzate intorno agli anni Trenta e Quaranta in Danimarca. L’orizzontalità dell’abitazione potrebbe derivare dalla tradizione costruttiva danese in quanto la casa rustica tradizionale si sviluppa generalmente in armonia col paesaggio piano, o solo leggermente ondulato, e presenta numerose finestre (per usufruire al massimo della scarsa luce invernale), che sottolineano l’andamento piano della costruzione.(Gentili E., 1962) Certi aspetti tuttavia sono riscontrabili anche nella tipologia della Prairie House dei primi decenni del Novecento, e nella casa usoniana a Taliesin West del 1938 di F. L. Wright. Sia per quanto riguarda lo sviluppo orizzontale dell’abitazione, sia per l’aspetto modesto dell’involucro, che per la cura dei materiali, o per l’attenzione al focolare domestico, Wright potrebbe avere influenzato l’architettura di Juhl, che a partire dal 1948, anno dell’incontro con E. Kaufmann Jr., sviluppa contatti importanti sul panorama americano59. Diversamente da Le Corbusier, le ar58 Alla stessa maniera di Juhl, Jacobsen colloca il camino all’interno del soggiorno. L’abitazione, così come nelle residenze di Juhl, presenta una partizione interna definita, e non costituisce un esempio di pianta libera radicale, come Ville Savoye, Villa Tugendhat o la Glass House. 59 Dal periodo che va all’incirca dal 1932 alla Seconda Guerra mondiale, F. L. Wright teorizza il concetto della casa usoniana, che per certi versi potrebbe aver ispirato il giovane Juhl, il quale è ammiratore dell’architetto statunitense.

chitetture di Juhl denunciano un radicamento al suolo, in contrapposizione con i pilotis di Villa Savoye o delle residenze rialzate da terra delle Unità di Abitazione. Questo attaccamento al suolo è riscontrabile anche in Møller, Jacobsen, Aalto ed Utzon o in maniera distinta in Wright, con l’elemento del basamento. La progettazione di una sorta di piedistallo su cui giace l’abitazione è riscontrabile anche nella dimora di Utzon a Hellebæk, che poggia sullo zoccolo in mattoni come la casa della prateria, Willits house del 1901 di F. L. Wright. In relazione al rapporto tra abitazione e natura in Danimarca, E. Gentili sintetizza così: (…) per giungere a comprendere la casa è necessario esaminare come essa si articoli nella città e come quest’ultima si inserisca e si integri nell’ambiente naturale. Perché il rapporto tra la città e la regione non si pone in Danimarca come una frattura e nemmeno, al modo anglosassone, come ricerca di una impossibile integrazione condotta dai singoli, uno per uno occupati a costruire davanti o dietro la “sweet home” un cimiteriale fazzoletto di prato. È invece proprio il raggiunto equilibrio del ritmo dell’esistenza in seno alla società a cancellare la contrapposizione, a far sì che i quartieri a case unifamiliari immerse nel verde implichino il mantenimento dei valori positivi del vicinato.(Gentili E., 1962, pp. 2-9) Good Design Nel 1946, nell’articolo Bolig og Massebyggeriet, "Casa e Produzione di Massa”, Juhl teorizza sinteticamente il suo metodo di progettazione per la casa unifamiliare in sette punti. Sebbene i sette dettami teorici di Juhl, siano lontani dai cinque punti dell’architettura del maestro Le Corbusier degli anni Trenta, è talvolta possibile riscontrare l’èmphasis sulla razionalità.

L’interpretazione di Juhl del principio “la forma segue la funzione” ha origine nel disegno degli arredi che, seppure stravaganti, osservano specifiche misure funzionali, rispetto a cui la progettazione degli ambienti interni è subordinata, e di conseguenza lo sono le facciate e l’involucro esterno. Il risultato è un perfetto connubio tra funzione ed estetica che, a parere di Makoto Shimazaki, incarna il rinascimento del Danish design. The death of Finn Juhl in May 1989 marks a turning point in the New Design era. Many of us in the field of design hope that a reassessment of their achievements will lead to a new Scandinavian design renaissance. (Shimazaki M., 1990, p. 28) Inoltre, mostrando attitudine evoluzionistica, Juhl ripercorre esempi del passato, al fine di tracciare una propria visione sulla progettazione residenziale unifamiliare. Egli non rinnega Kaare Klint, bensì lo reputa il pioniere del funzionalismo nelle arti applicate, in quanto è colui che per primo in Danimarca si dedica alla progettazione di mobili che possano essere utili nella vita dell’Uomo moderno. Juhl afferma: Nel corso delle generazioni, è avvenuto uno sviluppo nello stile di vita delle persone, tale che gli strumenti passati dei contadini non possano essere più impiegati, allo stesso modo in cui i mobili della tradizione non possano essere più utilizzabili. A partire dalla forte industrializzazione del secolo scorso, si è assistito ad una crescita demografica. Tale moltitudine di persone ha necessitato la progettazione di residenze di piccole dimensioni. Il cambiamento delle condizioni lavorative, lo spostarsi da un luogo ad un altro, ha reso le famiglie nomadi. (…) Tutto si è dovuto adeguare a questa attitudine di precarietà e transitorietà. Ciò ha con-

dotto all’esigenza di progettare un tipo di design e di residenze differenti dal modello passato della fattoria. (Juhl F., 1954) A proposito del fenomeno di insicurezza e transitorietà, che investe la società dei primi del Novecento, Juhl ritiene che l’architettura giapponese, per la flessibilità, semplicità ed economicità nello spazio, possa rispondere al meglio alle esigenze dell’Uomo moderno. La maniera progettuale di Finn Juhl vanta evidentemente molteplici e distinte fonti di ispirazione. A partire dalla cultura orientale, all’arte antica e moderna, alla corrente dell’art nouveau, sino ai principi funzionali di K. Klint, le influenze che interferiscono sull’opera di Juhl sono composite e concorrenti ciascuna in aspetti determinati. Al fine di apprezzare la cultura composita dell’architetto, occorre analizzare specificatamente i caratteri che distinguono le sue creazioni, che possono essere considerate opere capaci di trascendere il tempo nel quale sono state concepite. (…) good design transcends current fads even as it does the passage of time.(Nashitani S., 1990, p. 29)

57



(33) Soggiorno di casa Juhl, Ordrup. Da www. ordrupgaard.dk nella pagina accanto (34) palette di colori e materiali per il progetto della Camera del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria dell’ONU, New York, 1952. Da Hansen P. P., 2014. nella pagina successiva (35) Finn Juhl sotto la veranda della propria casa ad Ordrup. Da Hansen P. P., 2014.

59


Bibliografia Scritti di Finn Juhl 1931, Acceptera, «Epoke»,8, Novembre, pp. 6-10. 1944, Eget Hus i Ordrup Krat, «Arkitekten», 46, pp. 121-127. 1946, Boligen og Massebyggeriet, «Arkitekten», 45, pp. 246-7. 1947, House at Ordrup Krat, in Architects’ Year Book, Vol. 2, Londra, pp. 111-114. 1947, A/S Bing &Grøndhal, butiksinventar, «Arkitektens Månedshefte», 8, pp. 79-84. 1947, Som man reder, så ligger man…, «LP-Nyt», 66, 28 Febbraio, pp. 535-540. 1948, Dankse møbler af i dag, «Bygge og Bo», 3, pp. 19-21. 1949, Danish Furniture Design, in Architects’ Year Book, Vol. 3, Londra, pp. 131140. 1950, Tre danske brugskunstnere om sitt fag, in Nordenfjeldske Kunstindustrimuseum Årbok, Trondheim, pp. 17-26. 1951, Good design ’51 as seen by its director and by its designer, «Interiors», Vol. CX, 8, Marzo, pp. 100-103. 1952, Interiør - 52, in Yearbook of the Nordenfjeldske Museum of Applied Art, Trondheim, pp. 93-110. 1952, Mellem Flere Stole, in Kunsthåndværkets Forårsudstilling 1952, Copenhagen, pp. 5-11. 1953, Interiør - 52, in Danks Kunsthaandværk, 5, pp. 76-78.

Finn Juhl e la cultura architettonica scandinava Paulsson G., 1919, Vackrare Vardagsvara, Stoccolma. Aalto A., 1930, La residenza come problema, «Domus», 8-10, pp. 176-189. Klint K., 1930, Undervisningen i møbeltegning ved Kunstakademiet, «Arkitekten», 13, p. 200. Henningsen P., 1930, Stockholms Udstillingen, «Nyt Tidsskrift for Kunstindustri», Giugno, pp. 81-92. Mørck A. E., 1930, Stockholmsudstilingen Bolig og møbler, in «Nyt Tidsskrift for Kunstindustri», Agosto pp. 17-27. Fritz S., 1938, Møbelhåndværk kunsthåndværk, «Arkitekten Ugehæfte», pp- 185-187. 1947, Una Casa in Danimarca dell’Architetto FINN JUHL, «Strutture», Aprile, pp. 26, 27. 1948, Kaufmann E. Jr., Finn Juhl of Copenhagen, «Interiors», USA, CVIII, 4 Novembre, pp. 96-99. 1948, Radiogebäude Kopenhagen: 1941/45, Vilhelm Lauritzen, «Das Werk», 35. Fisker K., 1948, Die Moral des Funktionalismus, «Das Werk», 35, pp. 131-134. Rasmussen S.E., 1948, Modern Danish design, «Journal of the Royal Society of Arts», Vol.96, 4761, 30 Gennaio, pp. 138145.

1953, Enfamilehus ved Nakskov fjord, in «Arkitekten Månedhefte», 55, pp. 62-65.

Fisker K., 1948, The history of domestic architecture in Denmark, in «The Architectural Review», 104, pp. 219-226.

1954, Hjemmets Indretning, Copenhagen.

De Scarpis G. B., 1950, Finn Juhl, architetto danese, «Domus», 252, pp. 19-24.

1955, 45-stolen, «Mobilia», pp. 36, 37.

1950, Finn Juhl architetto: un negozio esemplare, Arredamento di finn Juhl per “Bing & Grøndhal”, Copenhagen, «Domus», 250, pp. 44-47.

1959, Kunsthåndværkeren Kay Bojesen, in Dansk Kunsthaandværk, 3, pp. 62-65. 1961, Om Kaufmann-prisens symbol, in Dansk Kunsthaandværk, 7-8, p 159. 1965-66, Restauranten i Hotel Richmond, in Dansk Kunsthaandværk, Copenhagen, pp. 144-8.

1951, Suggerimento per due ambienti e due mobili, «Domus», 257, p. 56. Pica A., 1951, Nona Triennale di Milano 1951, catalogo della mostra.

Hiort E., 1952, Housing in Denmark, Copenhagen.

Frateili E., 1959, , «Zodiac», Vol. 5-6, pp. 106-110.

1952, Gli interni del palazzo dell’ONU, «Domus», 276- 277, pp. 13-18.

Rasmussen S. E., 1959, Experiencing Architecture, Cambridge.

Møller E., 1953, Eget Hus i Vangede, «Arkitekten», 55, pp. 107-112.

Tintori S., 1960, Kay Fisker architetto danese, «Casabella», Maggio, p. 5

1953, Wohnhaus in Nakskov, Dänemark: Finn Juhl, «Das Werk», Vol. 40, 5, Maggio, pp. 141-144.

Raoul R., 1960, The Danish Tradition in Design, «The Metropolitan Museum of Art Bulletin», 19, 4, Dicembre, pp. 119-123.

Jacobsen A., 1953, Eenfamilienhus i Hellerup, «Arkitekten», 55, pp. 115-116.

Enevoldsen C., 1962, Guide to Modern Architecture in Copenhagen, «Architectural Design», pp. 352-3.

1954, Arkitekten Finn Juhl skal løse stor SAS-opgave, «Berlinske Tidende», 12 Luglio. Kaufmann E., 1954, Scandinavian design in the USA, «Interiors», Maggio, pp. 108185. Remlov A., 1954, Design in Scandinavia; an exhibition of objects for the home from Denmark, Finland, Norway Sweden, catalogo della mostra, Oslo. Labò M., 1955, La Decima Triennale di Milano, «Emporium», Vol. CXXI, 721, Gennaio, pp. 2-10. 1955, La Danimarca alla Triennale, X Triennale, «Domus», 296.

1962, Bauten für Verwaltung und Geschäft, «Das Werk», Vol. 49, p. 267. Gentili E., 1962, Abitare in Danimarca, «ABITARE», numero speciale, pp. 2-9. Gentili E., 1962, La Danimarca ieri e oggi, «ABITARE», numero speciale, pp. 14-19. Gentili E., 1962, Abitare in Danimarca, «ABITARE», numero speciale, pp. 10-13. Plumb B., 1963, Dane Decries ‘Backward Furniture’, «New York Times», 24 Ottobre. Zahle E., 1963, Scandinavian Domestic Design, Londra.

1955, Interiors by Five in One Hotel, «Interiors», Gennaio, pp. 76-79.

Ray S., 1965, L’architettura moderna nei paesi scandinavi, a cura di Benevolo L., Rocca San Casciano.

Dean C., Asti S., Favre S., 1955, The Tenth Triennale Exhibition, «Walker Art Center», 32, pp. 3-29.

Hartung M., 1965, Finn Juhl at The Mobilia Club, «Mobilia Special Edition», 117, Aprile.

Salicath B., 1955, Finn Juhl and Danish Furniture, in Architects’ Yearbook, 6, pp. 137-156. Edizione speciale, Londra.

Faber T., 1968, Nuova architettura danese, Milano.

1955, La Danimarca alla Triennale, «Domus», 250, pp. 30-33.

Hiort E., 1968, Two centuries of Danish Design, catalogo della mostra, Londra.

1956, Mobili di Finn Juhl, «Domus», 315, p. 44.

AA.VV., 1974, I Grandi Designers; Alvar Aalto, Franco Albini, Luigi Caccia Dominioni, Carlo de Carli, Finn Juhl, Ignazio Gardella, Vico Magistretti, Gio Ponti, Pierluigi Spadolini, Marco Zanuso, catalogo della Decima Mostra Selettiva del Mobile di Cantù.

Pica A., 1957, Undicesima Triennale, catalogo della mostra.

Møller, H. S., Rønner, S. (1975), Dansk Design/ Danish design, Copenhagen.

Hiort E., 1958, Contemporary Danish Architecture, Copenhagen.

Sieck F., 1976, Finn Juhl, «Mobilia», 251/252, Giugno/Luglio, pp. 46-56.

1955, Design in Scandinavia, «Domus», 310. Hiort E., 1956, Modern Danish Furniture, Copenhagen.


Fisker K., Knud M., 1977, Danske arkitekturstromninger 1850-1950: en arkitekturhistorisk undersogelse, Copenhagen. Poretti S., 1979, Edilizia e Architettura in Svezia e Danimarca: 1945-1960, Roma.

sign in the Modern Era (1920-1970), «The Garden History Society», 23, 2, Inverno, pp. 222-241. D. Regis, 1995, Finn Juhl, his own Home, «ABITARE», 339, Aprile, pp.180-89. Oda N., 1996, Danish Chairs, Tokyo.

Rømer M., 1981, Rundt om Finn Juhl, in «Rum og Form», 4, pp. 6-27.

Fiell C., 2002, Scandinavian design, Colonia.

Gelfer-Jørgensen M., 1982, Dansk Kunsthandvaerk, 180 til vor tid, Copenhagen.

Englund M., Schmidt C., 2003, Scandinavian Modern, Londra.

McFadden R.D., 1982, Scandinavian modern design, 1880-1980, New York.

Faber T., Claus M. S., Thau C., 2004, Danish Architecture 250 years, a cura della Reale Accademia delle Belle Arti di Copenhagen.

Selkurt C., 1987, New Classicism: Design of the 1920s in Denmark, «The Journal of Decorative and Propaganda Arts», a cura di Wolfsonian Florida International University, 4, pp. 16-29.

Tobias F., 2004, Scandinavian Modern Houses, The Spirit of Nordic Light, Vol.1, Copenhagen.

Jalk, G., Rose, A. (1987), Danks Møbelkunst gennem 40 år. Københavns Snedkerlauget Møbeludstillinger, 1927-1966, 2, Copenhagen.

Hansen H. P., 2004, The Construction of a Brand: The Case of Danish Design, 19301970, EBHA-Conference, Barcellona, Settembre 2004.

De Corral F. S., 1989, Arne Jacobsen, Barcellona.

Hansen P.P., 2006, Network Narratives, and New Markets: The Rise and Decline of Danish Modern Design, 1930-1970, «The Business History Review», 80, 3.

Hiort E., 1989, Finn Juhl 1912-1989, obituary, «Arkitekten», 14, p. 356. 1989, Dødsfald, Arkitekt Finn Juhl, «Politiken», 18 Maggio. 1989, Finn Juhl, «Royal Society of Arts Journal». 137, 5397, 1 Agosto, p. 592. Abbà F.A., Gernia M., 1989, L’influenza del design del mobile danese attraverso l’opera di Finn Juhl in Italia, negli anni ’50’60, tesi di laurea, Prof. Arch. A. Dell’Acqua Bellavitis, Politecnico di Milano. Hiort E., 1990, Finn Juhl. Furniture. Architecture. Applied art, Copenhagen. Hiort E., 1990, Registrant over Arkitekt Finn Juhl’s Tegninger, Kratvænget 15, Charlottenlund, Copenhagen. Abe S., Tetsuo I, Satoshi I., Noritsugu O., Haijme K., Reiko S., 1990, Finn Juhl Memorial Exhibition, catalogo della mostra, Osaka. Donnelly M. C., 1992, Architecture in the Scandinavian Countries, Cambridge. Woudstra J., 1995, Danish Landscape De-

Sheridan M., 2014, The Modern House in Denmark, New York. Hansen P.P., 2014, Finn Juhl and his house, Ostfildern. Taft L.M., 2014, Making Danish Modern, 1945-1960, tesi di laurea, Università di Chicago di Storia dell’Arte. Obniski, M., 2015, Finn Juhl and His House, «Oxford University Press Journals Current», 28, pp. 446-448. Sommer A.L., 2015, Watercolors by Finn Juhl, a cura di Designmuseum Denmark, Copenhagen. Bundegaard C., 2019, Finn Juhl. Life, Work, World, Londra.

Bersano G., 2006, Il progetto scandinavo tra mercato e tradizione, «DDN», 136, p. 108-115. Karlsen A., 2007, Danish Furniture Design in the 20th Century, Vol.1, Copenhagen. Høgsbro S.C., Wischmann A., 2009, Nortopia Nordic Modern Architecture and Postwar Germany, Berlino. 2011, Klyver L. G., Konserveringsrapport-Finn Juhl-samlingen på Designmuseum Danmark, a cura di Designmuseum Danmark, Copenhagen. Hansen I., Sørensen H.H., 2011, Finn Juhl by Onecollection, catalogo di Onecollection, Copenhagen. Fallan K., 2012, Scandinavian design: alternative histories, Londra. Settle Z., 2013, U.N. Trusteeship Council Chamber: Salto & Sigsgaard restore Finn Juhl’s midcentury modern masterpiece, «Contract, Detail», 54, 5, Giugno, pp. 102-104.

61



Indice

Presentazione Gianluca Belli

5

Introduzione a Finn Juhl

7

Profilo biografico Formazione Esordi Ascesa professionale MaturitĂ

11 11 13 15 18

L'architettura residenziale di Finn Juhl

25

Casa Juhl ad Ordrup

27

Residenza estiva ad Asserbo

37

Progetto e architettura Riferimenti culturali in campo artistico e architettonico L'articolazione spaziale in relazione agli arredi e alla composizione Il ruolo del colore nell'architettura e nei mobili Il neo-empirismo attraverso l'opera di Juhl I materiali e la relazione tra architettura e natura Good Design

45 45

Bibliografia

60

47 49 50 54 57


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Settembre 2020



Attraverso l’analisi e la catalogazione di più di trecento disegni originali, molti di questi mai pubblicati precedentemente, conservati all’Archivio del Museo di Arte e Design di Copenhagen, questo studio rappresenta la prima monografia in lingua italiana sull’architetto e designer danese Finn Juhl. Mentre molti di noi conoscono figure come Alvar Aalto, Erik Gunnar Asplund, Arne Jacobsen, e Jørn Utzon, alcuni designer danesi sono tuttavia poco noti al pubblico italiano. Non esiste al momento una monografia in italiano su Finn Juhl, sebbene egli sia da considerare uno dei più grandi rappresentati del Movimento Moderno in Danimarca. Oltre ad essere un noto designer nel suo Paese, Finn Juhl è inoltre un considerevole architetto ed uno dei promotori delle arti applicate danesi in tutto il mondo. Grazie alla sua amicizia con Edgar Kaufmann Jr., e alle esposizioni degli anni Cinquanta, Juhl acquisisce notorietà tanto in Europa quanto negli Stati Uniti d’America, ad eccezione che in Italia, dove la conoscenza è relazionata soprattutto alla sua partecipazione alla Nona, Decima ed Undicesima Triennale di Milano, durante i cosiddetti ‘Golden years of Scandinavian Design’. Il fine di questa ricerca è in primo luogo quello di descrivere l’opera architettonica di Finn Juhl, per renderla apprezzabile anche dal pubblico italiano; secondariamente di offrirne una critica, commentando il suo stile e la maniera progettuale, facendo riferimento al mondo delle arti e degli arredi, confrontando la figura di Juhl con i suoi contemporanei o altri personaggi che possono averlo ispirato. Rebecca Carrai (1992) è dottoranda presso l’Università del KU Leuven in Belgio, beneficiaria della borsa di dottorato FWO dal 2019, e Visiting PhD Student all’Architectural Association di Londra. Prima di lavorare al progetto di dottorato The IKEA House, si è laureata con lode e dignità di pubblicazione presso la Facoltà di Architettura di Firenze con la tesi in storia dell’architettura Finn Juhl, l’architetto. Il progetto offre la prima panoramica completa in lingua italiana delle opere architettoniche dell’architetto e designer danese e illustra le visioni di Juhl sullo spazio domestico. Vincitrice della borsa di studio Erasmus plus, Rebecca ha lavorato nel 2016 per lo studio danese BIG a Copenaghen. Dal 2017, ha proseguito la sua formazione professionale all’interno del dipartimento di ricerca ed editoria dello studio Archea Associati di Firenze, lavorando all’interno della redazione della rivista “Area”. Attraverso le sue precedenti esperienze accademiche e formative, ha progressivamente sviluppato un vivo interesse per il tema della domesticità e la sua evoluzione, concependo il fenomeno non solo come una questione architettonica ma anche sociale e culturale, in continuo mutamento e adattamento alle circostanze contemporanee.

ISBN 978-88-3338-115-2


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.