4 minute read
Storia utile, storia inutile Useful History, Useless History Isabella Patti
Storia utile, storia inutile
Useful History, Useless History
Isabella Patti Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze
Il rapporto tra storia e progettazione è stato un nodo centrale della riflessione critica sul design che recentemente ha confutato quello che è sempre stato l’interrogativo centrale – a cosa serve la storia nel progetto? – non trovando la risposta alla domanda, ma ponendo in termini differenti la questione. Cercare di argomentare l’utilità della storia nell’attività progettuale ha alimentato inizialmente due posizioni antitetiche: la storia considerata avulsa dall’attività progettuale in relazione all’ortodossa metodicità della prima opposta alla libertà artistico/creativa della seconda; l’attività progettuale intesa dipendente dall’evoluzione storica in quanto inserita nel flusso rigoroso e continuo di causa-effetto degli accadimenti. Le riflessioni più recenti evidenziano, però, che le due considerazioni hanno affrontato il problema mal ponendo la questione stessa: chiedersi come usare la storia in relazione al progetto ha spinto a considerare la storia come strumento ‘utile a’ piuttosto che come rapporto complesso e dinamico tra la natura e la compiutezza dei fatti, la loro interpretazione e l’immagine del futuro. Per porre la questione in altri termini, bisogna precisare, innanzitutto, l’uso ambiguo del termine ‘storia’ che è ben differente da quello di ‘storiografia’ – essendo la prima collegata alla realtà dei fatti, la seconda alla loro interpretazione – e focalizzare il tipo di rapporto tra storia e progettazione: parliamo di storia/progetto o di storiografia/progetto? Poi serve affrontare apertamente la questione sotto l’aspetto espressivo: il design è un linguaggio fatto di ‘codici’ costanti e dei loro significati (la struttura), di ‘combinazioni’ uniche che i codici generano legandosi tra loro in oggetti specifici (la sostanza) e di ‘messaggi’, cioè di eventi che collegano le combinazioni di codici tra di loro (l’interpretazione). Per conoscere la realtà non si può trascendere di vedere i fatti come eventi specifici risultanti da elementi costanti; per comprenderla, invece, è necessario interrogare i fatti, orientare l’analisi su specifiche chiavi di interpretazione. Ecco che la storia del design ‘non’ serve a offrire un repertorio di suggerimenti e non è una ripetizione minante l’inventiva dei progettisti, ma è fatta di quei codici costanti del sistema assiologico proprio del linguaggio progettuale. La storiografia del design ‘offre’ l’interpretazione delle combinazioni di codici attraverso chiavi di lettura che interrogano i fatti nell’ottica di comprenderne l’essenza attraverso l’analisi dei formanti che li hanno generati. Entrambe le comprensioni sono imprescindibili per programmare i futuri, e possibili, sviluppi della società. The relationship between history and design has been a central issue in the critical reflection on design that recently challenged what has always been the central question – what is the purpose of history in design? – not finding the answer to the question, but asking the question differently. Attempting to debate the usefulness of history in design activities initially fostered two antithetical positions: history considered as being detached from design work in relation to the orthodox methodicality of the former as opposed to the artistic/creative freedom of the latter; design work understood as relying on historical evolution as part of the rigorous and continuous flow of the cause and effect of events. The most recent reflections show, however, that the two considerations approached the problem badly by posing the same question: asking how history can be used in relation to design has led us to consider history as a tool that is “useful for” rather than as a complex and dynamic relationship between nature and the completeness of the facts, their interpretation and the image of the future. In order to ask the question another way, we first need to clarify the ambiguous use of the term history which is very different from historiography – the former relating to the reality of the facts, the latter to their interpretation – and to focus on the type of relationship between history and designing: are we talking about history/design or historiography/design? Then we need to openly address the question from an expressive point of view: design is a language made up of constant codes and their meanings (the structure), unique combinations generated by the codes through a process of binding together in specific objects (the substance) and messages, namely events that connect the code combinations to each other (the interpretation). In order to know the reality, we must see facts as specific events resulting from constant elements; whereas, to understand it we must question the facts and guide the analysis on specific interpretation keys. This is why it is not up to the history of design to offer a repertoire of suggestions and it is not a repetition undermining the inventiveness of designers, instead it is made up of those constant codes of the axiological system belonging to the design language. The historiography of design offers an interpretation of combinations of codes through interpretation keys that question the facts with a view to understanding their essence by analysing the formants that generated them. Both understandings are essential for planning future – and possible – developments in society. 35