Trace. Etica ed estetica del distretto tessile pratese | Maria Rita Agliolo Gallitto

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maria rita agliolo gallitto

Trace Etica ed estetica del distretto tessile pratese



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. La motivazione è la seguente: per il rigore metodologico con cui ha affrontato la ricerca relativo ad un tema significativo nel panorama contemporaneo, adottando approcci originali. Commissione: Proff. E. Cianfanelli, E. Benelli, L. Giraldi, D. Giorgi, L. Di Pasquale, A. Mecacci, R. Stasi, G. Lotti.

Ringraziamenti Desidero ringraziare la mia relatrice, la prof.ssa Elisabetta Cianfanelli, per avermi motivato e sostenuto nella stesura della seguente tesi, per aver creduto nella profonda attualità dell'argomento trattato e nelle mie capacità ad affrontarlo. Ringrazio anche i prof. correlatori Renato Stasi ed Andrea Mecacci, per avermi fornito consigli ed indicazioni, vere fonti di guida ed ispirazione per lo sviluppo delle problematiche legate all'etica e all'estetica nel settore della moda, dal punto di vista sociale e della sostenibilità. Dedico questo progetto alla mia famiglia che mi ha sempre incoraggiato a fare del mio meglio, scavando nella profondità delle cose, con dedizione e curiosità.

in copertina Fotografia di tessuti prodotti dalle aziende del distretto tessile pratese, prese ad esame in questo elaborato di tesi.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Simone Spellucci

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-136-7

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


maria rita agliolo gallitto

Trace Etica ed estetica del distretto tessile pratese



Presentazione

Pagina precedente Fig. 1: Foto di tessuti delle aziende del distretto pratese, prese in esame nel seguente elaborato di tesi. Pagina seguente Fig. 2: Vogue Paris, febbraio 1971, Parigi, (photo: Guy Bourdin)

Oggi che stiamo diventando più sensibili al disastro ambientale e alle ferite inferte alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, l’impresa di moda italiana tradizionale, e ancor di più, il distretto tessile pratese, che vanta un'antica tradizione di riciclo, recupero e riuso, dovuta al cenciaiolo, devono far da traino all’intero mondo del fashion, che vuole puntare alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, ovvero al rispetto delle risorse naturali, alla gestione accurata dei fondi economici dell’azienda, e al rispetto per la dignità e i valori umani. L’elaborato di tesi affronta in una prima parte descrittiva i valori dell’imprenditoria italiana, come l’etica e l’estetica, toccando anche le moderne questioni del dibattito attuale sull’estetica del quotidiano; approfondisce i temi legati alla sostenibilità ambientale e descrive le tematiche di trasparenza e tracciabilità che sono ormai i driver del mercato di oggi. Inoltre, racconta la storia del distretto tessile di Prato, che ha sempre fatto della sostenibilità ambientale e sociale, veri e propri punti di forza. Una seconda parte progettuale concerne l’ampliamento della Piattaforma digitale TRACE, finalizzata a rendere trasparente e tracciabile il processo di produzione delle aziende tessili di Prato. La piattaforma, rivolta principalmente al consumatore, lo renderà consapevole del proprio acquisto, in quanto illustrerà il processo produttivo e creativo che ha portato al risultato finale, mettendo in luce la sostenibilità sociale delle aziende pratesi, e la sostenibilità e l’estetica dei loro prodotti tessili, “ben fatti”, ovvero realizzati nel rispetto dell’ambiente e del lavoratore. Sono presi a modello alcuni case history di famose aziende di moda come Dior, e case history di lanifici e aziende tessili di Prato, come Lanificio dell’Olivo, Textmoda Tessuti e Lanificio Cangioli 1859. Le sezioni della piattaforma sviluppate, dimostrano che una stampa, un pattern o un’intera collezione non sono fine a sé stessi, solo belli da vedere, ma nascondono contenuti e messaggi che possono cambiare il nostro modo di agire e di pensare. Per i valori e i contenuti di riflessione di cui sono portatori, e per il loro essere ‘riflesso’ di un modo di lavorare etico e sostenibile, i prodotti tessili delle aziende italiane, e pratesi, sono ‘estetici’, e in grado di scuotere il consumatore finale, convertendolo ad uno stile di vita migliore e ‘salutare’ per il nostro pianeta e le popolazioni future. Elisabetta Cianfanelli Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Etica ed estetica: i valori dell'imprenditoria italiana



I tratti distintivi della qualità italiana

Pagina precedente Fig. 3: Immagine per Fendi (photo:Hey Reilly)

L’importanza del Made in Italy è nota in tutto il mondo. I prodotti progettati e realizzati in Italia sono prestigiosi e apprezzati specialmente all’estero: quello che fa la differenza tra un prodotto qualunque e un prodotto italiano sono la qualità, lo stile, la cura del dettaglio. Il prodotto di design e di moda italiano è apprezzato per la sua estetica esteriore e per i valori immateriali che si riflettono su di essa e che riguardano la cultura, la qualità della vita e il know-how degli italiani e delle aziende italiane. Secondo Alessandro Barbieri, Presidente della Consulta di Promozione, Incentivazione e Servizi di Marketing di AssoComunicazione i sei tratti distintivi della qualità italiana sono: l’estetica, la qualità artigianale, la cultura, la qualità sociale e relazionale, la varietà-molteplicità, la qualità complessiva della vita1. • L’estetica: viene sempre indicata al primo posto come tratto qualificante dei prodotti italiani di successo. Gli abiti, le scarpe, gli oggetti d’arredo, le auto italiane piacciono perché hanno uno stile e un design che li rende unici e riconoscibili. È una caratteristica che riguarda gli oggetti d’uso quotidiano, ma anche tutto ciò che viene progettato e prodotto in Italia e che viene PromotionMagazine.made_in_Italy_come_

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messo in relazione con il tratto che più di ogni altro caratterizza gli italiani agli occhi degli stranieri: il buon gusto, lo stile, la naturale eleganza. L’estetica viene indicata come un valore che pervade la vita quotidiana degli italiani: non solo la bellezza del paesaggio e la ricchezza del patrimonio artistico, ma anche l’eleganza nel vestire, il gusto nell’arredare casa, la cura nell’allestimento delle vetrine. • La qualità artigianale: è la seconda caratteristica, si riconosce agli italiani la passione di “fare bene il proprio lavoro”, la cura per i dettagli, la trasmissione dei saperi produttivi di generazione in generazione. È la qualità che sta alla base delle produzioni alimentari qualificate, ma viene riconosciuta anche alle altre produzioni a cui viene associato il nostro ‘Made in…’ (l’arredo, la moda, gli accessori) e alle produzioni più avanzate dal punto di vista tecnologico (es. Ferrari). L’artigianalità italiana non è abilità ripetitiva e conservazione, anzi viene sempre associata ad un livello elevato di creatività e immaginazione. Bisogna trasferire questi valori da una produzione di nicchia a quella di massa, e la nuova Fiat 500 è, agli occhi degli stranieri, un segnale di successo in questa direzione. • La cultura: intesa non solo come

competenza “tecnico-funzionale (sapere come si fanno le cose), ma più in generale come rapporto vivo con la propria storia e le proprie “radici”. Ai produttori italiani viene riconosciuto il senso consapevole di appartenenza a una regione, a una città, a un territorio e questo legame rappresenta un elemento forte di distintività e di identità che si trasferisce nella qualità dei prodotti italiani e anche nel modo di proporli in termini di stile comunicativo. • La qualità sociale e relazionale: al carattere degli italiani viene associato un forte senso della famiglia, della socialità primaria, della comunità. Ciò è percepito come un elemento di forza anche dal punto di vista economico e produttivo (l’azienda-famiglia, i distretti) e come una componente distintiva della qualità dell’esperienza turistica del nostro Paese per quanto può offrire in termini di calore, vivacità comunicativa, informalità e convivialità. • La varietà-molteplicità: a differenza di altri grandi Paesi europei che sono più facilmente identificabili con uno stile, una cultura, una città, l’Italia è un Paese a cui viene associata un’estrema ricchezza per quanto riguarda sia l’aspetto naturale-paesaggistico, sia quello culturale e produttivo. Molteplici sono le città, le

culture, gli stili, le tradizioni culinarie. E questa varietà si traduce in una potenziale ricchezza sia sul piano dell’esperienza turistica che l’Italia offre ai visitatori, sia su quello delle continue opportunità di scoperta dei prodotti e dei marchi italiani. • La qualità complessiva della vita: il valore che nella percezione degli stranieri riassume tutte le altre componenti della qualità italiana è rappresentato dalla qualità del vivere che viene associata al nostro Paese. Nella percezione di chi ci osserva dall’esterno, gli italiani ‘sanno vivere’ e a questo contribuiscono i ritmi di vita più rilassati, la capacità di godere dei piccoli piaceri quotidiani, il senso di leggerezza e di autenticità che si respira nei borghi della provincia e nelle piazze delle grandi città. L’Italian way of life rappresenta per gli stranieri un modello ideale di riferimento e costituisce un importante punto di forza anche per i prodotti e i brand italiani che su un piano pratico vengono percepiti come gli ‘ingredienti’ di una migliore qualità della vita, mentre su quello simbolico sono capaci di evocare il ‘dolce vivere italiano’. La forza del modello produttivo italiano risiede nella capacità di realizzare

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Fig. 4: Immagine per il Calendiario Pirelli 2018, (photo: Tim Walker). Pagina seguente Fig. 5: Pattern iconico di William Morris per il movimento Arts and Crafts.

punti di equilibrio inediti e difficilmente imitabili tra polarità apparentemente ardue da conciliare: tradizione e modernità, artigianalità e tecnologia, estetica e funzionalità. E c’è una forte corrispondenza tra i valori che l’Italia e il prodotto italiano oggi interpretano e i bisogni ‘immateriali’ di estetica, cultura, socialità, identità, emozionalità, che stanno emergendo come prioritari presso fasce di consumatori europei ed extraeuropei sempre più vaste. Impresa di moda responsabile Per moda responsabile si intende quella serie di azioni che tengono conto di un insieme ampio di stakeholder, ovvero soggetti direttamente o indirettamente coinvolti in un progetto o nell’attività di un’azienda, non unicamente riferiti all’ambiente e alla società, ma anche ad altri contesti come l’arte, la cultura, i media e l’etica. Peter Drucker (1954) per primo elabora la definizione "social responsabilities of business" includendo la re-

sponsabilità sociale tra gli obiettivi prioritari di un’azienda. La CSR (Corporate Social Responsability) riguarda l’impegno dell’’impresa ad arricchire le proprie scelte di gestione con considerazioni di natura ambientale, etica e sociale. La CSR si articola in due dimensioni: la CSR interna, che riguarda le risorse umane, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’organizzazione aziendale, la gestione delle risorse naturali e l’impatto sull’ambiente, e la CSR esterna, che investe le comunità locali, i partner economici, i fornitori, i clienti, i consumatori, comprendendo anche il rispetto dei diritti umani lungo l’intera filiera produttiva. Aumenta l’attenzione alle CSR per una serie di motivi, quali la consapevolezza della scarsità di risorse del pianeta, la trasformazione del consumatore, la delocalizzazione e globalizzazione della supplychain, gli scandali sul lavoro minorile, la veloce diffusione di info con internet. Il risultato di tutti questi

fattori è una crescente importanza dei concetti di trasparenza e tracciabilità. Il legame tra etica ed estetica (approccio valoriale/qualità e innovazione del prodotto) dell’impresa responsabile dovrà essere presente lungo tutta la filiera e manifestarsi attraverso la tracciabilità e la narrazione emozionale del prodotto al consumatore finale. I vantaggi delle aziende di moda italiane sulla strada del ‘lusso responsabile’ A causa della concorrenza asiatica, il Made in Italy potrà continuare a meravigliare se punterà ancora su artigianalità, qualità e controllo di filiera. Il recupero della focalizzazione sul prodotto e sui processi di design e industrializzazione, pensando al contemperamento di interessi di tutti gli stakeholder può essere definito ‘lusso responsabile’. Se la dimensione etica e la connessa responsabilità sociale e ambientale possono costituire un nuovo modello d’impresa per la gestione dei molteplici interessi economici e non econo-

mici, tale prospettiva è molto significativa per le imprese di moda, soprattutto italiane, per le quali ha sempre avuto molta rilevanza il rapporto tra ‘persone’ e ‘qualità del prodotto’. L’Italia, grazie ai distretti industriali del sistema moda, è rimasto l’unico paese occidentale ad avere preservato un’industria dai connotati ancora artigianali i cui albori risalgono alla ‘bottega artigianale fiorentina’. Il mondo sano delle imprese italiane può ripartire dalla ‘passione’ che gli imprenditori del Made in Italy hanno da sempre per la qualità dei loro prodotti. Le aziende italiane hanno oggi l’opportunità di restituire la giusta importanza al territorio, a quel genius loci che, oltre a incorporare un know-how esclusivo rappresenta anche un valore aggiunto d’immagine. La trasmissione del know-how alle nuove generazioni, una sorta di ‘passaggio di testimone’ ha un intrinseco senso sociale, etico ed economico.


Lavoro e schiavo liberato: Ruskin e Morris

È ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo. (Michail Bakunin) Valgano per William Morris le parole di Michail Bakunin. Tornano ad essere centrali l’etica e la morale nella conduzione di un’azienda e possiamo dire che stiamo assistendo ad un ritorno al passato, al tardo Ottocento, quando nasceva il movimento internazionale

di progettazione Arts and Crafts, nato in Gran Bretagna alla fine del XIX secolo e continuatosi a sviluppare e a diffondersi fino al 1930 anche in Europa e nel Nord America. Fu costituito dal pittore e scrittore William Morris (1834-1896) e dall’architetto Charles Voysey (18571941) a partire dal 1860, ispirati dagli scritti di John Ruskin (1819-1900) e Augustus Pugin (1812-1852). Nasceva come reazione contro lo stato di impoverimento delle arti decorative del tempo e le condizioni in cui venivano realizzati i prodotti. Si

sosteneva la tradizione artigianale medioevale. Il movimento proponeva una riforma economica e sociale e si contrapponeva al nascente metodo di produzione industriale. Il principale artefice dell’Arts and Crafts è William Morris, le cui idee sono state influenzate dai preraffaelliti, di cui era stato parte, e dalla sua lettura di Ruskin. Nel 1861 Morris e alcuni dei suoi amici fondarono la società Morris, Marshall, Faulkner & Co., che progettava e realizzava oggetti decorativi per la casa, tra cui carta da parati, tessuti, mobili e vetrate. La bellezza era pensata essenzialmente come una questione di emancipazione sociale. Era necessario riscattare la macchinizzazione dell’operaio della rivoluzione industriale in un’estetica che recuperava scenari ancestrali. Morris sviluppò temi quali: la volontà di creare un mondo dove il lavoro sia gioia e creazione artistica; la rivalutazione dell’ambiente naturale, l’altra grande vittima, insieme all’uomo, del degrado e dello sfruttamento capitalistico. Un suo ammiratore, Oscar Wilde, raccontava una confidenza fattagli dallo stesso Morris: “Ho tentato di rendere ogni mio lavoratore un artista, e quando dico un artista intendo dire un uomo” 2. Ruskin, le cui idee influenzavano Morris, legava la questione estetico-archi2

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tettonica a quella sociale, toccando la questione della possibilità di un miglioramento delle condizioni qualitative del lavoro dell’operaio. Nell’ornamento rivoluzionario l’operaio non è più uno schiavo, ma un soggetto che vede riconosciuto il ‘valore del singolo’ e che coltiva i propri fallimenti, non come limiti, ma come esortazione. Ruskin scorge nell’‘operaio liberato’, nell’artigiano, la figura che muta l’essere umano da mezzo a fine: alla macchina si oppone la persona. "Gli esseri umani non sono stati creati per lavorare con l’accuratezza di strumenti, per essere perfetti e precisi in ogni cosa". L’‘operaio liberato’ è l’artigiano cristiano che comprende come "l’imperfezione è insita in tutto ciò che sappiamo della vita; bandire l’imperfezione significa distruggere l’espressività, reprimere lo sforzo, paralizzare la vita"3. Nella costruzione ha senso solo l’imperfezione dell’umano nel pieno della sua autonomia. Non la perfezione meccanicistica, ma la novità continua che si alimenta dai suoi stessi fallimenti. Già Hegel aveva individuato nel lavoro uno dei predicati costitutivi dell’esAndrea Mecacci, “Estetica e design”, Il Mulino, Bologna, 2012.

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Fig. 6, 7: Frau, the Made in Italy handcraft, Photo Vogue.

senza dell’uomo. Trasformando la natura, l’uomo si riconosce come tale proprio negli oggetti che produce. Il mondo oggettivo si configura come una proiezione del soggetto e inoltre il lavoro, definendo i nessi tra bisogno, mezzo e appagamento, si struttura sempre come dimensione sociale. Negli oggetti, il soggetto vede oggettivata la sua soggettività. L’operare dell’uomo con la macchina è dialettico: egli non solo trasforma i materiali, ma ne è trasformato. Ripensare l’arte all’interno dei nuovi scenari industriali presupponeva una ridefinizione stessa del concetto di soggetto sociale. In Morris, l’eredità di Ruskin incontra Marx, configurando l’idea di integrazione dell’individuo, non più alienato con la società. Questa integrazione si rende tangibile tramite il lavoro. Il lavoro manifatturiero ‘meccanico, pesante’ deve diventare umano, serio, piacevole. All’industria risponde l’artigianato, il ‘lavoro immaginativo’, il lavoro nel quale l’uomo riscopre una componente essenziale del suo fare: il piacere. Ed è questa riqualificazione dell’arte applicata, che delinea per Morris una reale emancipazione sociale: avere diritto al bello vuol dire avere diritto ad una società migliore, più giusta. La dimensione della creatività viene valutata come componente fondamentale nel dar corpo e significato all’atto del faticare: dare sfogo alle proprie capacità creative potrà dunque, donare quel piacere che sarà una soddisfazione quotidiana nella società socialista. In una società di questo tipo non si assisterà più al fenomeno dello spreco, da Morris certamente detesta-

to: ovvero la produzione di sordidi surrogati per la povera gente che non può permettersi merce di buona qualità e la produzione di oggetti pacchiani di lusso per i ricchi. Un’autentica bellezza condivisa si dà in primo luogo nel quotidiano, negli oggetti d’uso, nei manufatti che definiscono una cultura. La logica capitalista non ha prodotto una cultura dell’oggetto, non ha espresso un piacere creativo capace di coltivare la bellezza come fine sociale e morale. La divisione del lavoro e la concorrenza commerciale non solo hanno defraudato l’artigianato delle sue componenti umane, ma hanno dato il via alla morte dell’arte, "la degradazione dell’artigianato in altre parole significa estinzione dell’arte". Il capitalismo ha danneggiato l’arte intellettuale isolandola dalla vita e dalla tradizione e ha degradato l’artigianato sottraendogli il piacere creativo. Per Morris l’arte del progetto ha il fine di "dare alle persone il piacere delle cose che devono usare e delle cose che devono fare". L’artigianato non è solo produzione di oggetti, ma di valori culturali, è un’‘industria storica’ nella quale è possibile osservare un’intera civiltà. La spiritualità nel sistema moda La moda è una miscela unica di creatività e business. Quando viene trovato l’equilibrio, i risultati possono essere notevoli. L’industria della moda richiede molto, emotivamente, creativamente, mentalmente e fisicamente. È necessario riconoscere che i lavoratori sono esseri umani, e che possono dare di più in condizioni di lavoro serene. Il tema della salute mentale nella mo-


Pagina seguente Fig. 8: Emma Watson e Jordan Robson, Londra, UK, Vanity Fair, Marzo 2017, (photo: Tim Walker) Fig. 9: Victor & Rolf, Surface, 2010, (photo: Grégoire Alexandre)

da è molto dibattuto negli ultimi tempi. I ritmi sempre più rapidi del fast fashion hanno sollecitato azioni di sostenibilità ambientale, e non solo, anche di sostenibilità sociale e mentale. Il 6 dicembre 2018 presso la Science Gallery al Kings College di Londra, si è tenuto il convegno Voices of Fashion on Mental Health, presentato da iCA-

AD, il principale ufficio aziendale europeo sulla salute comportamentale, mentale ed emotiva (salute BME). Si è trattato del primo evento che ha aperto il dibattito sulla salute mentale nel sistema moda. Ha ospitato esperti di moda e di psicologia che hanno discusso delle condizioni di lavoro spesso stressanti presenti nelle

aziende di moda, che devono tenersi al passo con i ritmi imposti dal mercato del fast fashion. Sul medesimo argomento riguardante lo stato mentale e spirituale di chi lavora nel fashion system è stato pubblicato un libro Fashion Business Spirituality, scritto da Farah Liz Pallaro e pubblicato per la prima volta nel maggio 2018. La scrittrice ha lavorato per anni come stilista d’abbigliamento e accessori per grandi marchi della moda,ed è docente e consulente di moda. Dopo aver vissuto 11 anni a Milano, Farah ha lavorato anche a Firenze, come insegnate alla scuola Polimoda. “Firenze non è una città della moda”, afferma con sicurezza, “ma ha un sistema di moda concreto perché il prodotto è al centro di tutto”. Citando le fabbriche Dior e Prada a Scandicci, elogia l’artigianato di Firenze basato sulla storia dei prodotti e come la città è cresciuta così tanto in termini di moda, diventando uno dei migliori fornitori in Europa di accessori. Farah sottolinea nel suo libro che è necessario e fondamentale ripartire dal fattore umano e per farlo bisogna iniziare a connettersi con se stessi e https://morgatta.wordpress.com/tag/ farah-liz-pallaro/

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prendere realmente consapevolezza di sé4. Il libro di Farah è incentrato sull’aspetto umano dell’industria, sulla spiritualità e sullo sviluppo personale che ne derivano. Tali concetti sono radicati nella storia delle imprese di moda italiane e nel valore dell’artigianato fiorentino ed è necessario riportarli alla luce come punti di forza ed elementi di vantaggio delle aziende d’Italia nei confronti della concorrenza straniera.

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Pagina precedente Fig. 10: Pala di Brera o Pala Montefeltro di Piero Della Francesca, 1472, Pinacoteca di Brera, Milano. Fig. 11: Lampada“Brera T” di Achille Castiglioni, per Flos, 1962.

Sostenere il modo italiano di fare impresa, coniugando la passione per l’eccellenza del presente con le arti e mestieri rinascimentali del passato è l’obiettivo dell’Associazione The Renaissace Link. Il progetto neorinascimentale The Renaissance Link mira al rilancio delle imprese italiane e del Made in Italy nel mondo. I principali ispiratori del progetto sono Giovanni Lanzone e Francesco Morace. The Renaissance Link mette al centro quei valori distintivi della qualità italiana che possono diventare universali: creatività e innovazione, bellezza e sostenibilità, ricchezza delle differenze, radicamento nel territorio. Lavorare su questi valori non significa guardare al passato o semplicemente difendere il Made in Italy, ma elaborare in modo evolutivo la ricerca di un nuovo paradigma socio-economico, dando spazio al valore della felicità quotidiana, conciliando etica ed estetica, sostenibilità e talento alla ricerca di un modello di eccellenza che si fonda sulla passione del fare, sulla qualità delle relazioni, proponendo legami che liberino bellezza e qualità della vita. Si considerano diversi fattori nel nostro saper fare attraverso i secoli: la relazione con il territorio e la bellezza (distretti, città, paesaggio), l’attitudine umanistica e politecnica (dall’eccellenza del fare artigiano alle strate-

Il rinascimento italiano origine del design e del Made in Italy

gie del design), il tocco famigliare del nostro modo di fare imprese e la capacità dei nostri imprenditori di agire sempre in prima persona (passione, comunità e identità)5. Le migliori virtù delle nostre imprese e dei nostri territori devono essere, oggi, recuperate e riattivate per trovare una via d’uscita alla crisi globale che ci sovrasta e che prima di essere una crisi contabile è una crisi di motivazioni e di significati. L’idea di fondo dell’associazione è quella di cercare nel Rinascimento i “semi” del modo di vivere in Italia e il suo modello produttivo che ne è scaturito. Un modello che non potrebbe esistere senza il disordine, la magnificenza, la creatività e la passione per il rischio di quell’età. Molte delle caratteristiche attuali del nostro modo di fare le cose (il Made in Italy) hanno origine nel potente laboratorio d’impresa del Rinascimento. Firenze rappresenta il punto assiale di questa storia. Senza il Rinascimento che rinnova e rivive la classicità noi non saremmo quel che siamo. È con il design italiano, negli anni ’50, che il bello, legato tradizionalmente al votivo e al monumentale o prerogativa assoluta del lusso, entra nella vita quotidiana delle classi medie, comincia ad abitare il quotidiano. Sono 5 https://www.slideshare.net/Tetopetrucci/ the-renaissance-link

Ponti, Mollino, Sottsass e i fratelli Castiglioni assieme ad un gruppo di giovani imprenditori che attuano questo cambiamento di linguaggio, di gusto e di modelli produttivi, che diventerà a poco a poco una vera rivoluzione. Con il loro lavoro e con il sostegno dell’industria della moda, si crea la prima radice non convenzionale della creatività, la creatività utile contrapposta all’arte come paradigma della creatività ‘astratta’. È in questa stagione a noi più vicina che i grandi temi del Rinascimento entrano nella modernità industriale. A Milano (tra Milano, Torino, Ivrea, Pisa e la Brianza) nel secondo dopoguerra i temi di rinnovamento del progetto estetico diventano un complesso sistema industriale e culturale. Il modello italiano è più consistente e più radicale: entra in forma estesa nei modi della produzione, li trasforma,

cambia i costumi e in parte la cultura di un paese intero, si diffonde nel mondo come un modello e uno stile di vita. I nostri architetti e i nostri artigiani mescolano i forti contenuti di visione e di progetto, ereditati dalla classicità e dal Rinascimento, e le forme del progetto industriale. Il design incorpora la memoria permanente del Classicismo e del Rinascimento, come dimostra l’evidente relazione tra la lampada di Achille Castiglioni (Brera T, Flos, 1962) e l’uovo come simbolo di pienezza e fertilità che sovrasta uno dei più importanti capolavori del Rinascimento, la Pala di Brera di Piero della Francesca. Ci sono molti libri americani che lavorano su questa relazione tra impresa e creatività e usano il modello rinascimentale o la bottega artigiana o d’arte come modelli di riferimento. “Quando si produce una intersezione di campi, discipline o culture, si possono combinare i concetti esistenti in un largo numero di straordinarie nuove idee. Il nome che ho dato a questo fenomeno, l’‘effetto Medici’, – dice Franz Johansson, scrittore, imprenditore e oratore pubblico svedese-americano – viene proprio da quella incredibile esplosione di creatività che accade nel quindicesimo secolo in Italia”.

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Fig. 12: Lampada Arco, ‘Flos’, Achille Castiglioni, Milano, 1962.

Per secoli l’Italia ha rappresentato un esempio vivente di queste virtù: la capacità di sviluppare creatività ai bordi dell’oscurità; il progresso in mezzo a infiniti ostacoli; la passione per la bellezza e la flessibilità ingegnosa nel modo di vivere e produrre, in due parole eleganza e ingegnosità. Sono queste virtù quelle a cui dobbiamo appigliarci oggi nella convinzione che noi meglio di altri sappiamo interpretare il talento dell’impresa. Non solo perché lo abbiamo fatto nel periodo rinascimentale, ma anche perché lo abbiamo fatto nel secondo dopoguerra: nella grande stagione della moda e del design che ha – di nuovo - contribuito a formare il gusto e lo stile di una larga parte dell'umanità. Oltre al prodotto, la relazione stretta e strategica che il design instaura con l’industria, costruisce un modo

particolare di fare industria, produce un vero e proprio movimento sociale che ha la capacità di costruire molte forme istituzionali dal basso: l’Adi, il Compasso d’Oro, le Riviste, le grandi Mostre della Triennale. Tutti questi eventi e tutte queste realtà hanno assunto il carattere di sistema e di modello sociale e produttivo. Il nuovo modello del design è stato contagioso e rappresenta una piattaforma praticabile per molti (la moda e i mezzi di trasporto in primo luogo) e in seguito il cibo e molti altri settori (la cosmetica, gli occhiali…). In tutti questi settori possiamo trovare le stesse ‘soft qualities’ tipiche della cultura del progetto: l’idea del design management come fattore chiave dell’impresa, l’azienda come nuovo tipo di medium capace di strategie multiple guidate dalla passione, un forte rapporto

con la tradizione e il territorio, un’impresa che fa rete con distributori e fornitori, il tocco famigliare o, comunque, un modello cooperativo al lavoro. Il capitalismo di derivazione anglosassone sconta una profonda deriva e sviluppa un errore di fondo, una distanza profonda dai modelli europei. È quel che aveva avvertito la critica sociale, cattolica, e socialista, senza riuscire ad averne ragione. Il capitalismo, lasciato a sé stesso, ha portato alle sue estreme conseguenze l’intenzione di raggiungere un sogno prometeico, la ricerca dell’assoluto benessere (il progresso infinito), con modelli ermeneutici sbagliati e inadeguati: l’indifferenza alla persona e alla qualità. The Renaissance Link nasce per sovrastare la crisi globale e per nutrire le aziende italiane di nuova linfa e con vecchi/nuovi valori. Si vuole mettere a fuoco i valori distintivi della qualità italiana, quei valori che proprio il Rinascimento ha dimostrato quanto possano essere universali: la creatività, l’innovazione, la bellezza e la sostenibilità, la ricchezza nella differenza e il legame con il territorio. Dialogare con questi valori non significa guardare indietro o difendere il Made in Italy, ma ragionare su un nuovo paradigma economico e sociale che metta a fuoco la concreta possibilità di una felicità quotidiana per tutti.

Il Rinascimento Italiano può essere, in questa fase difficile ma importante, una credibile risorsa per l’imprenditoria e la creatività; i suoi valori sono ancora vivi e ancora capaci di insegnare incrociando la qualità del prodotto e la qualità della vita. I punti del Manifesto del The Renaissance Link sono: 1. Riunificare esperienza etica e valore economico attraverso l’estetica. Sperimentare la cura e il gusto nella ridefinizione dell’esperienza, che nasce dall’incontro tra la cultura e la capacità di creazione, tra la sensibilità e la bellezza. 2. Rimettere al centro la cultura del fare, conciliando innovazione tecnologica e tradizione artigianale. Prendere a modello del Rinascimento la sua capacità di integrazione dei saperi, di sviluppo e irradiazione. 3. Puntare sull’alleanza tra progetto imprenditoriale, qualità territoriale e talento artistico. Ridefinire l’impresa come elemento strutturale per costruire un nuovo modello sociale, un territorio vivo, una visione politica. 4. Considerare la città come un laboratorio aperto di incontri ed esperienze culturali, formative, interdisciplinari, in cui le imprese illuminate tornino a giocare un ruolo decisivo nell’organizzazione sociale e nell’espressione del talento.


Arte, design ed estetica

L’estetico entra nel quotidiano attraverso processi di artificazione. Negli anni ’50, dunque, attraverso il design il bello abita il quotidiano. Il design è molte volte influenzato dall’arte. Ciò accade quando l’arte contribuisce a rendere straordinario l’ordinario. Secondo Ellen Dissanayake l’arte è una predisposizione comportamentale. I comportamenti artistici sono innati e intrinseci nell’essere umano e hanno il loro fondamento nel ‘making special’, ‘rendere speciale’ qualcosa, qualcuno o le azioni stesse6. E con la parola artificazione si intende proprio questo, il rendere straordinario qualcosa di ordinario, ciò che talvolta accade agli oggetti di design, ad un abito appariscente, così diverso e speciale da attrarre l’attenzione degli astanti, a quel qualcosa di quotidiano che è influenzato dall’arte. In particolare, il designer deve prendersi cura di chi utilizzerà il suo progetto. Che sia un oggetto o un abito, e deve renderne speciale l’utilizzo, deve artificarne l’uso. Ciò che ne scaturisce quasi sempre è nuova conoscenza, una risposta cognitiva, un’esortazione alla riflessione. L’estetica non può rimanere circoscritta alla sfera dell’arte, perché l’arte medesima va oltre sé stessa, espandendosi nella vita quotidiana attraverso vari Elisabetta Di Stefano, “Che cos’è l’estetica quotidiana”, Carocci, Roma, 2018.

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fenomeni di artificazione. Anche l’estetica, quindi, è riscontrabile nel quotidiano, anzi può fornire strumenti validi per interpretare il reale estetizzato. L’estetico è legato alla gratificazione, che invece non è presente nell’arte poiché anche performance disgustose sono talvolta considerate artistiche. La gratificazione consente di individuare la specificità dell’estetico, ma anche la specificità dell’esperienza estetica che si compie nel quotidiano con il design. Diversi dignificati dellēÈÈÈestetico nel quotidiano Il Making special di Dissanayake ci può fare scoprire il potenziale estetico delle piccole cose a cui teniamo e di cui ci prendiamo cura. La cura appare come una categoria utile per una descrizione dell’estetico in modalità quotidiana se considerata come la capacità di cogliere le linee di tendenza che innervano un particolare contesto dotato di specifica determinazione temporale. Secondo Haapala l’esteticità equivale alla familiarità. Ci sarebbe esteticità laddove le cose appaiono esattamente dove dovrebbero essere, dove si è abituati a vederle. Un oggetto è estetico e familiare, quando resta la sua funzionalità e strumentalità, piuttosto che la sua contemplatività. Aesthetics of the Lacking si riferisce ad un’assenza, alla mancanza di stra-

ordinarietà o di elementi di disturbo, che favorisce la sensazione del ‘sentirsi a casa’, dell’ ‘appartenere ad un luogo’ e dell’ ‘avere tutto sotto controllo’. Linvingstone individua due tipologie di esperienza del quotidiano: la prima di carattere strumentale, in cui prevale una razionalità mezzi-fini e la seconda di carattere non strumentale con una valorialità intrinseca. Ritiene possibile considerare estetiche quelle esperienze con un valore intrinseco senza negare il loro possibile carattere strumentale. Estetiche sono le esperienze con un valore intrinseco predominante rispetto al valore strumentale. A definire l’estetico come valore è la sua diffusione sulla superficie dell’apparenza. Tale valore non è né determinato né tanto meno dipendente da un sostrato pre-esistente. Così, non solo un abito vede accrescere il proprio valore estetico diventando tanto più di moda, quanto più perde le proprie connotazioni culturali originarie, ma persino qualcosa che è di per sé disgustoso può assumere valore estetico, come accade nell’arte. Ecco perché il valore estetico può migrare da un ambito all’altro. La forza dell’estetico sta nel rendere percepibile qualcosa di assente e immateriale. Saito affronta la questione delle qualità estetiche quotidiane dal punto di vista

della transienza, principio cardine secondo il quale, nel quadro di una realtà esperienziale in continuo divenire qual è quella quotidiana, nulla rimarrebbe immutato7. Un esempio è dato dal consumismo sfrenato: quando un prodotto non è più ‘di moda’, viene rapidamente sostituito con un prodotto più recente. Saito parla anche di “espressione estetica di virtù morali”: a giudizi moralmente estetici corrispondono qualità espressive (estetiche) morali. Ne è un esempio l’appropriatezza della persona in un luogo con un determinato abbigliamento, secondo il senso comune. La cosiddetta estetica del quotidiano concernerebbe l’abbigliamento dettato da opinioni costituite e condivise socialmente. L’estetica del non-quotidiano concernerebbe l’abbigliamento straordinario, che non si indosserebbe normalmente, o all’estremo opposto fuori luogo, in situazioni di disagio. Cosi l’estetico può prendere rilievo attraverso modalità non solo non artistiche o non-naturali, ma anche non quotidiane, poiché connesse a fattori di extraordinarietà positiva o negativa.

7 Gioia Laura Iannilli, “L’estetico e il quotidiano, Design, Everyday Aesthetics, Esperienza,” Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2019.

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L'estetico come esperienza e relazione Design quotidiano ed esperienza estetica andrebbero intesi come elementi tra loro inscindibili, poiché il design attraverso la progettazione ambisce a rendere l’estetico fruibile nel quotidiano, essendo veicolo di esperienzialità, che è sempre più gratificante poiché implica relazioni in cui ci si sente immersi nell’operatività del quotidiano. Il design e l’arte concernono due tipi di oggetti estetici categorialmente diversi: il design inerisce ad oggetti estetici strumentali, mentre l’arte ad oggetti estetici senza scopo. "Diversamente dalle opere d’arte gli oggetti d’uso non rappresentano mai un’interruzione delle nostre pratiche quotidiane, alle quali sono anzi radicalmente vincolate in un rapporto di dinamica plasmazione reciproca" (Feige). L’estetico ha un’intrinseca capacità metamorfica. Indagare l’estetico significa occuparsi sempre più di dinamiche prettamente esperienziali. L’esperienza estetica è una totale integrazione di ciò che la filosofia distingue come ‘soggetto’ e ‘oggetto’, è qualcosa in cui non esiste una distinzione tra sé e oggetto, poiché essa è estetica nella misura in cui organismo e ambiente cooperano per istituire un’esperienza ove entrambi sono così pienamente integrati che ciascuno di loro scompare. In tal senso si parla di ‘estetica relazionale’, intesa come dialogo tra due polarità: un soggetto intenzionale e un oggetto con una funzione estetica intenzionale (Folkmann). Il carattere distintivo dell’estetico è la salienza, che risalirebbe alla radice dell’appropriatezza e della condivisibilità, quindi alla fondamentale qualità intersoggettiva del giudizio estetico, che si afferma come suo principio ‘normativo’, o meglio ‘grammaticale’. La nozione di esperienzialità si incrocia con il principio regolativo dell’intersoggettività in quanto l’estetico in modalità quotidiana può essere sintetica-

mente definito come prassi relazionale significativa e con esiti positivi. Le scelte compiute ogni giorno sono guidate da criteri estetici, da preferenze di gusto, che possono essere condivisibili, quindi è evidente una dimensione intersoggettiva, che implica una concezione dell’estetico in quanto concetto intrinsecamente relazionale. Secondo Melchionne, la giustificazione dell’esteticità di qualunque pratica quotidiana viene garantita dal riscontro che si trarrebbe da essa. Egli individua il valore specifico dell’estetico quotidiano rispetto all’estetico artistico nella costanza con cui vengono condotte le pratiche quotidiane, nella routine condotta secondo l’adattamento edonico. In senso intersoggettivo-continuista ci si chiede non cosa è il benessere, ma cosa vuol dire che qualcosa diventa ben-essere. Il ben-essere potrebbe essere definito una quasi ontologia dell’essere umano, un modo di essere in senso positivo. Esso dovrebbe essere considerato il tenore di fondo dell’esperienza, un’intonazione efficace che coincide con il buon funzionamento delle relazioni estetiche quotidiane, con la loro operatività. Ciò comporta uno shift dal well-being soggettivo al weel-being intersoggettivo. Il plesso intersoggettività-continuità diventa cruciale nel momento in cui si considera l’esperienza estetica come un fondamentale tessuto di scambio e reciprocità che ha luogo tra individui, contesti, livelli di esteticità. L'estetico come interfaccia Un oggetto estetico, capace di relazionarsi con il soggetto, immergerlo in un’esperienza, è anche un’interfaccia. L’interfaccia consiste in un’articolazione visibile di simboli e funzioni che permette lo svolgimento di un’azione. È un’articolazione di salienze, una configurazione di aspetti significativi che è basata sulle apparenze e sul principio

dell’”essere a portata di mano”. L’interfaccia risulta un’articolazione che tematizza una potenziale esperienza. Interfacce sarebbero non solo superfici touchscreen, ma anche capi d’abbigliamento, stili di vita, prodotti di consumo, edifici, ambienti quotidiani, in cui ‘soggetti’ e ‘oggetti’ entrano in relazione. Si può decidere di configurare la propria apparenza e il proprio stile di vita in un determinato modo, acquistare certi prodotti, vivere certe esperienze, poiché essi vengono identificati come snodi esperienziali significativi. Il soggetto esperiente si sente nell’uso dell’oggetto perché quest’ultimo diviene, proprio grazie alla progettazione, una componente integrata del campo esperienziale, se non esperienza stessa. L'estetico nella decorazione Semper trovava l’estetico nell’adattamento morfologico in cui la techne si assimilava ai processi naturali. La forma fondamentale si esprime attraverso una modulazione dettata dai materiali e dalla funzione. Semper rinviene nella questione della decorazione il

tema decisivo dei principi estetico-formali dell’opera. Ne è prova il rimando etimologico dei termini Wand (parete) e Gewand (veste) che attribuisce all’arte tessile un ruolo fondante. Nell’arte tessile non solo si manifesta l’esigenza dell’abbellimento, della ricerca di una dimensione di ulteriorità estetica rispetto all’oggetto, ma si rende dimostrabile come il principio del rivestimento, sostanzia gli stessi elementi simbolico-decorativi dell’architettura. Semper in una conferenza a Zurigo nel 1869: "L’ornamento è il primo fondamentale passo in direzione dell’arte: nelle sue leggi c’è già l’intero codice dell’estetica formale" 8. Everyday aesthetics ed estetizzazione Oggi una nuvola estetizzante avvolge ogni cosa e non esiste alcune sfera del reale che sia immune da tale contagio estetico. Il lusso è diventato ostentazione, ostentazione di abiti firmati, piatti sofisticati, esperienza strane per stupire sui social network... 8 Andrea Mecacci, “Estetica e design”, Il Mulino, Bologna, 2012.


la mercificazione e pratiche di consumo, contrastandone contenuti e modalità attraverso la promozione di uno stile di vita sostenibile o di condizioni di vita migliori.

Bisogna recuperare il senso del decoro, inteso come rispetto dei valori autentici e delle persone. La capacità di agire con decoro, cioè in modo empatico e rispettoso verso gli altri, è associata a qualità marcatamente estetiche, come lo stile, la grazia, l’eleganza e la sensibilità. Scopo dell’Everyday Aesthetics è riscoprire il valore estetico nelle cose quotidiane e banali, generalmente disprezzate. Con Everyday Aesthetics si fa riferimento a quella subdisciplina dell’estetica filosofica relativa all’analisi di caratteri estetici rilevabili nell’esperienza quotidiana. È una giovane linea di ricerca originariamente sviluppata principalmente nel mondo accademico scandinavo e statunitense, ma attualmente dibattuta a livello internazionale. L’Everyday Aesthetics ha l’obiettivo di educare la sensibilità degli uomini all’apprezzamento delle piccole cose, semplici e familiari.

L’apertura verso la quotidianità conferisce all’estetica la possibilità di creare un mondo più bello. Questo potere non va inteso nel senso di un’estetizzazione del reale, cioè verso la produzione di una bellezza superficiale e consumistica, ma verso l’acquisizione di una consapevolezza corporea, capace di guidarci verso scelte più responsabili ed indurci ad avere cura di noi stessi, degli altri e dell’ambiente in cui viviamo. La moda plasma l’esperienza quotidiana enfatizzando strutture che l’estetica non può ignorare. Secondo Naukkarinen la moda apparterrebbe all’”estetica dell’inevitabile”, comprendendo cose a cui non si può sfuggire. L’Everyday Aesthetics è stata più un sintomo che un antidoto rispetto all’estetizzazione, come essa invece ha spesso creduto di essere, ponendosi in modo quasi terapeutico nei suoi confronti. I teorici dell’Eeveryday Aesthetics quasi demonizzano il fatto che l’estetiz-

zazione sia un processo o una serie di processi dal carattere intrinsecamente artificiale. Sembra che quando la bellezza sia onnipresente, diminuiscano le opere d’arte e venendo meno l’arte nel senso tradizionale, si diffonde ovunque un senso artistico che colora tutto, l’arte si volatilizza in etere estetico. Le belle arti si vedono ora private di esclusività a fronte di pratiche ‘edonistiche’ e consumistiche sempre più diffuse. La contemporaneità appare estetizzata da elementi legati al gusto e alla sensibilità. Una tale estetizzazione può essere descritta come una strategia economica: il grado di estetizzazione di qualcosa è direttamente proporzionale alla sua ‘vendibilità’. Oggi l’obsolescenza programmata è un dato di fatto e rimpiazza ogni merce con prodotti sempre più esteticamente stilizzati9. L’EA si misura parzialmente con tematiche quali Giovanni Matteucci, “Estetica della moda”, Mondadori Bruno, Milano, 2018

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Imprenditoria italiana ed estetica del quotidiano Avere un approccio estetico alla vita quotidiana significa vivere ogni momento cogliendo i suoi aspetti emozionali e sensibili. È questo l’elemento che caratterizza il modo di vivere italiano, agli occhi degli stranieri, e ciò che dovrebbe essere presente ad ogni imprenditore industriale, il quale dovrebbe consentire a tutti i suoi dipendenti il tempo di avere un approccio estetico alla propria vita quotidiana, di viverla godendosi la semplicità e la bellezza delle piccole cose. La sostenibilità sociale, ovvero il rispetto della dignità del lavoratore e della dignità della persona, e l’estetica sociale, cioè la considerazione della bellezza di ogni singolo momento quotidiano al lavoro e a casa, sono pilastri importanti dell’imprenditoria italiana e sono conseguenza della presenza dell’estetico nel quotidiano, della volontà di rendere speciali semplici momenti quotidiani. Nella strada verso la sostenibilità, un oggetto sostenibile è anche estetico nella misura in cui è portatore di un valore, di un comportamento rispettoso verso l’ambiente e manifesta un modo di essere e di pensare sostenibile e responsabile, riconoscente verso la bellezza che ci circonda.

Pagina precedente Fig. 13: Le Poudrier, foto pubblicitaria (1955 circa), (photo: Erwin Blumenfeld) Fig. 14: Tilda Swinton in Poetic License, per W Magazine Vol. 7, (photo: Tim Walker) Pagina seguente Fig. 15: Katie Shillingford, per AnOther Magazine Autunno/Inverno 2017, (photo: Tim Walker)

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La necessità di cambiare e pensare sostenibile

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Pagina precedente Fig. 16: Katie Shillingford, per AnOther Magazine Autunno/Inverno 2017, (photo: Tim Walker).

Le persone sono costantemente connesse, in qualsiasi parte del globo. Attività svolte in un contesto prima considerato lontano hanno eco e conseguenze immediate in tutto il mondo, Per questo motivo è cresciuto progressivamente un forte senso del ‘noi’, dell’appartenenza a un’unica grande realtà: il Pianeta Terra. E dunque è sempre più marcata l’attenzione alla sostenibilità. (Gianmario Tondato, Ceo, di Autogrill10) Nelle scienze ambientali ed economiche, per “sostenibilità” si intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. La sostenibilità tiene conto di come potremmo vivere in armonia con il mondo naturale che ci circonda, proteggendolo dai danni e dalla distruzione. Essa non riguarda solo l’ambiente, ma riguarda anche la nostra salute come società, nell’assicurare che nessun popolo o aree della Terra soffrano a causa delle decisioni prese, e si tratta anche di esaminare gli effetti a più lungo termine delle azioni che l’umanità compie e il continuo porsi domande su come potremmo migliorare la situazione del nostro pianeta. 10 Philip Kotler, Giuseppe Stigliano, “Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale”, Mondadori Electa, Firenze, 2018.

Sostenibilità e fast fashion

Riprendendo la teoria della Triple Bottom Line, elaborata da John Elkington, fondatore dell’organizzazione internazionale SustainAbility, un’azienda sostenibile è quella che concilia le cosiddette ‘3 P: Persone, Pianeta o Prodotto, Profitto’. • Persone: i lavoratori devono essere pagati in modo equo e trattati con rispetto; le comunità, siano esse locali o globali, devono vivere bene; • Pianeta/Prodotto: le nostre risorse naturali sono un bene finito che non deve essere sprecato o abusato, ma usato con cura. Il prodotto deve essere realizzato con processi produttivi che si svolgano nel rispetto dell’ambiente, sfruttando con attenzione le risorse a disposizione e riducendo al massimo l’inquinamento. Le fasi di produzione, di utilizzo e smaltimento del prodotto devono avere un impatto ambientale ridotto al minimo. • Pianeta/Prodotto: le nostre risorse naturali sono un bene finito che non deve essere sprecato o abusato, ma usato con cura. Il prodotto deve essere realizzato con processi produttivi che si svolgano nel rispetto dell’ambiente, sfruttando con attenzione le risorse a disposizione e riducendo al massimo l’inquinamento. Le fasi di produzione, di utilizzo e smaltimento del prodotto devono avere un impatto ambientale ridotto al minimo.

• Profitto: le aziende devono avere un risultato economico, in assenza del quale non esisterebbero le altre due P. Tale teoria è chiamata ‘Tripla linea di fondo’ perché prevede tre linee di fondo che misurano: la prima, il profitto a confronto con le perdite dell’azienda, la seconda, quanto socialmente responsabile è l’azienda nelle sue operazioni; la terza, quanto è responsabile nei confronti dell’ambiente. Alla base della teoria c’è l’idea che solo quando le aziende misureranno il loro impatto ambientale e sociale diventeranno socialmente e ambientalemente responsabili. Possiamo quindi distinguere la sostenibilità ambientale, che tiene conto della salute del Pianeta, la sostenibilità economica, che mira al profitto dell’azienda, la sostenibilità sociale, che si preoccupa del rispetto dei diritti umani dei lavoratori. Quest’ultima è da sempre presente nella storia delle aziende italiane, dunque è un vero punto di forza dell’imprenditoria italiana nei confronti della concorrenza straniera. Sostenibilità sociale Il tema della sostenibilità sociale della moda ha una lunga tradizione, ma è oggi molto complesso. Tutto è cominciato con gli scandali del lavoro minorile nei Paesi emergenti che hanno coinvolto i grandi marchi dell’abbiglia-

mento e della moda. La sensibilità dei consumatori su questi temi è collegata in larga parte con il fenomeno della delocalizzazione produttiva e della globalizzazione. Il trasferimento di larghe quote di produzione nei Paesi emergenti che si è verificato negli ultimi decenni del ‘900 ha fortemente ridotto la visibilità da parte dei consumatori sul come i prodotti vengono fabbricati. In paesi quali le Filippine, Indonesia, Sri Lanka, le imprese non riconoscono una retribuzione minima vitale e molte di esse non rispettano nemmeno le paghe minime legali. L’attenzione a una produzione tessile rispettosa dei diritti dei lavoratori è cresciuta notevolmente negli ultimi 15-20 anni, incontrando le ragioni dei movimenti critici nei confronti di una globalizzazione che vede le imprese multinazionali esternalizzare e delocalizzare l’organizzazione produttiva verso paesi che presentano pochi vincoli ambientali e minori costi di produzione. L’industria della ‘moda veloce’ è poco etica: dietro una t-shirt a basso costo ci sono operai sottopagati (per la maggior parte donne) che lavorano in condizioni di scarsa sicurezza e salute in paesi in via di sviluppo come Cina, India, Messico o in Sud America. Tutto ciò significa che dove non c’è etica non c’è sostenibilità sociale, ovvero

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il rispetto della dignità dell’uomo come essere umano ed essere sociale, individuo singolo e parte di una comunità. Non viene alimentato alcuno sviluppo personale e collettivo, anzi al contrario c’è sfruttamento e svalutazione di tutti i valori morali ed etici della società. Il panorama del fast fashion La ‘crisi di sostenibilità’ del settore Tessile&Abbigliamento è stata esacerbata da fattori quali la concorrenza asiatica, che ha ridotto drasticamente i costi e gli standard qualitativi e ha alimentato il fenomeno del fast fashion. Cheap and fast fashion significa moda ‘usa e getta’, sollecita l’espansione dei consumi e genera un circolo vizioso. È la rappresentazione, allo stato puro, del problema del governo dell’obsolescenza programmata dei prodotti che tutte le industrie dei beni di consumo devono affrontare nell’era post-moderna. Grandi quantità di risorse vengono estratte per produrre abiti che sono relativamente poco utilizzati. E queste risorse sono per lo più perse quando gli abiti vengono smaltiti: a livello globale, meno dell’1% del materiale di abbigliamento viene riciclato in nuovi vestiti; il 13% viene riciclato in qualche modo di solito in usi dal valore inferiore; Il 73% viene messo in discarica o incenerito. Le grandi catene della ‘moda veloce’, come Zara e H&M, hanno messo in discussione le tradizionali logiche produttive e le tempistiche basate sulle due collezioni stagionali (primavera/ estate, autunno/inverno), moltiplicando le consegne in negozio e riducendo il time-to-market e il lead-time. La crescente delocalizzazione produttiva ha generato una progressiva globalizzazione della supply chain. I capi del fast fashion sono sicuramente convenienti per il consumatore, perché accattivanti e a basso prezzo, ma non sono di certo altrettanto convenienti per il pianeta Terra in cui

viviamo e a volte anche per la salute umana di chi li indossa. Essi sono realizzati con materie prime che potrebbero rilasciare sostanze dannose per la pelle e inquinanti per l’ambiente, anche durante il lavaggio in lavatrice. Inoltre, non sono quasi mai capi monocolore e monofibra, quindi risultano difficili da riciclare e sono destinati ad essere rifiuti, il cui smaltimento richiede dei costi alle aziende. Il consumatore dovrebbe chiedersi il motivo di prezzi di vendita così bassi, perché significa che la produzione potrebbe essere sottopagata. A volte, le etichette riportano fibre assenti in realtà nell’indumento, fibre più pregiate che accrescono la qualità apparente del prodotto, ingannando semplicemente l’acquirente. Tutto ciò è stato dimostrato in un servizio messo in onda dal programma televisivo Presa diretta, su Rai Tre, e che ha visto la collaborazione del Buzzi Lab di Prato, laboratorio di analisi a servizio delle imprese da oltre 100 anni, interno all’Istituto Buzzi e dipendente dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Il servizio racconta che capi d’abbigliamento del fast fashion, le cui etichette segnalavano una certa percentuale di cashmere, in realtà non contenevano neanche l’1 % di fibra animale, ma fibre sintetiche simili a quelle pregiate e più accessibili per le imprese della ‘moda veloce’. Tali prodotti, difficili da riciclare, e costosi da smaltire per le aziende, finiscono in discariche abusive, altamente inquinanti per l’ambiente. Un altro servizio di Presa diretta dimostra l’esistenza di cassonetti abusivi per la raccolta di abiti usati, cassonetti che solo apparentemente sono gestiti dal comune. C’è poco controllo e monitoraggio, lasciando così ampio spazio alla criminalità organizzata. Occorre, invece, far rispettare le leggi e dare voce alla tracciabilità e trasparenza. Inoltre, i capi d’abbigliamento della ‘moda

veloce’, realizzati con tessuti sintetici e difficili da riciclare, rilasciano microplastiche nell’ambiente, in mare, dannose per il pianeta e per le specie marine che abitano negli oceani. Per di più, tali particelle di plastica intaccano e modificano il dna dei pesci, che una volta pescati e venduti finiscono sulle nostre tavole. Dunque, è necessario rendersi conto che non è bene restare indifferenti a ciò che nasconde il fast fashion. È sempre più necessario diminuire la velocità della creazione e del consumo, riflettendo di più sui propri acquisti, valutare i metodi di lavorazione, considerare la provenienza dei materiali e la loro qualità. In realtà, si dovrebbe tentare di rallentare non tanto i produttori quanto i consumatori, poiché sono questi ultimi a dettare le leggi del mercato. Tra le azioni intraprese dai vari protagonisti del settore moda, tra le più convincenti e determinanti c’è la Fashion Revolution Week. Nata in Gran Bretagna dopo la strage del 24 Aprile 2013 a Dhaka (Bangladesh), dove 1133 operai morirono per il crollo della Rana Plaza Factory Complex, la Fashion Revolution Week si svolge in 86 Paesi del mondo. "Piccoli gesti possono fare una grande differenza–spiega Marina Spadafora, coordinatrice della rassegna italiana dell’evento, in un’intervista rilasciata alla rivista Marieclaire–quindi anche il semplice chiederci: ‘Chi ha fatto i miei vestiti?’ può determinare un nuovo modo di scegliere ciò che acquistiamo e magari può incoraggiare chi crea la moda a farlo in maniera più responsabile. Vogliamo creare, soprattutto nei giovani, una maggiore consapevolezza riguardo le abitudini e l’impatto che i nostri acquisti hanno sulla società e sull’ambiente. Solo quando il consumatore finale esigerà trasparenza e comportamenti etici dalle aziende da cui acquista si potrà vedere un cambiamento profondo, dettato dalla domanda del merca-

to per prodotti sempre più sostenibili. Ognuno di noi ha il potere di cambiare le cose per il meglio, ogni momento è buono per iniziare a farlo". Facile, veloce e poco costoso: questa é la mentalità degli shopper di oggi. Ma è importante comunicare ai consumatori le conseguenze di questa nuova tendenza, imparare ad essere scrupolosi, leggere le etichette, fare attenzione ai materiali di cui sono fatti i nostri abiti, ragionare sulla loro provenienza, proprio come abbiamo imparato ad approcciarci al cibo. Le nostre madri, quando da piccoli ci compravano un cappotto, sapevano che sarebbe durato sei/sette, forse anche dieci anni. I vestiti oggi non vengono più concepiti né prodotti in questo modo. Nulla più è fatto per durare. Alle sfilate parigine del prèt-à-porter per la stagione P/E 2009, Vivienne Westwood, certo non la più ortodossa tra gli stilisti, ha invitato i consumatori a comprare meno: “Evitate di comprare cose inutili, comprate un solo capo all’anno, il resto vintage: usate diversamente ciò che avete nell’armadio”. L’esortazione anticonsumista era la conclusione di una riflessione ecologista. “Ci vogliono 30 miliardi di dollari all’anno per salvare la foresta Amazzonica. Siamo ad un punto di non ritorno, siamo nel caos più totale, non ce la faremo!".11 Si dice che la moda sia un sensibile specchio delle tendenze culturali che animano la società. Così come la minigonna, i jeans e i gadget di Fiorucci sono stati la miglior rappresentazione della svolta giovanilista e pop degli anni sessanta e settanta, si può dire che oggi le preoccupazioni della Westwoood, l’ampliarsi delle sezioni echo-ethic ai saloni come il Pitti, la nuova giovinezza delle fibre naturali, la diffusione dell’uso di cotone organico, 11

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Fig. 17: Vivienne Westwood, portrait per British Vogue, ottobre 2009, (photo: Tim Walker)

fenomeni come American Apparel che fanno dell’etica nei rapporti di lavoro un valore del brand o come Rag Bag, che produce borse dal riciclo di teloni e striscioni di plastica, la diffusione tra tutti i grandi marchi della moda di massa dell’attenzione alla responsabilità sociale dell’impresa ecc... siano tutti segnali, ormai forti e chiari, di un cambiamento epocale nei comportamenti sociali e di consumo? Da un‘circolo vizioso‘ ad un‘circolo virtuoso’ Il sistema che attualmente domina la produzione industriale è definito ‘dalla culla alla tomba’ e segue un modello lineare e a senso unico: le risorse vengono estratte, trasformate in prodotto, vendute ed eliminate in una discarica o incenerite. La progettazione cradle-to-cradle (dalla culla alla culla) si prefigge la creazione di un ciclo chiuso, che considera il rifiuto un fattore ‘nutriente’ da integrare in un ciclo senza spreco di energia e materia. È necessario passare da un ‘circolo vizioso’ a un ‘circolo virtuoso’ che nasce dalla collaborazione di tutti gli stakeholder: consumatori, istituzioni, aziende e buyer. A volte accade che il consumatore non riesce a reperire tutte le informazioni disponibili sulla storia del prodotto, sulla sua provenienza e sulle tecniche di lavorazione. Nel circolo vizioso, in mancanza di una domanda chiaramente sviluppata, le aziende del settore T&A decidono di non investire in innovazione; i buyer, a loro volta, non frequentano le fiere dedicate alla moda sostenibile e i negozi non destinano spazio a tali prodotti. Per passare al circolo virtuoso basa-

to sulla creazione di valore condiviso per gli stakeholder appare necessaria la combinazione di diversi elementi: il continuo interesse del consumatore a volersi informare in maniera corretta e completa; le partnership tra i diversi operatori (buyer, aziende, istituzioni pubbliche e mass media); l’integrazione di estetica ed etica nella filiera, ovvero una moda che sia prima di tutto ‘bella’ e poi anche ‘buona’ e in cui la sostenibilità e il basso impatto ambientale siano un valore aggiunto a giustificazione di un premium price; la cultura dell’innovazione; l’educazione del consumatore attraverso una comunicazione dinamica e coinvolgente. Serve ripensare il significato della sostenibilità: non un qualcosa di accessorio, ma una leva strategica per l’azienda, parte integrante del suo orientamento strategico di fondo. Bisogna sensibilizzare il consumatore a lavare i capi a basse temperature, a ridurre la frequenza dei lavaggi, offrendo bottoni aggiuntivi per prolungare la durata del capo e fornendo indicazioni per la manutenzione nel sito web aziendale. Nella gestione di rifiuti e scarti di produzione le aziende possono impegnarsi a riciclare prodotti finiti, tessuti e scarti per nuovi capi e accessori. È sostenibile pensare a una raccolta di prodotti buttati dai consumatori o a un servizio di riparazione e recupero. La risposta al sovraconsumo è aumentare la qualità, delocalizzare la produzione il meno possibile e soprattutto non a discapito del rispetto umanitario verso i lavoratori. È bene valorizzare l’arte e l’artigianato, produrre meno e consumare meno, riutilizzare, aggiu-

stare, dare una seconda vita, utilizzando in un altro modo. Per le aziende di moda, la sfida sarà anche quella di creare un design che sia sostenibile ma anche attraente agli occhi dei consumatori. Si parla allora di ‘estetica verde’. Essa è fondata su valori ambientali. I consumatori devono direzionare le loro preferenze estetiche verso migliori soluzioni ambientali, ed educare i propri gusti verso maggiore apprezzamento dei valori ambientali. Dovranno valutare l’esteticità dei prodotti in base al loro impatto ambientale durante la produzione, la logistica, l’uso e lo

smaltimento. L’estetica verde è un modo nuovo di allineare il valore base di un design rivolto alla sostenibilità con le valutazioni estetiche nella comprensione della cultura materiale e delle sue conseguenze. L’etica e la responsabilità dovranno sempre più conciliarsi con l’estetica e la percezione del bello che si accompagnano al concetto di ‘ben fatto’.

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Consorzio italiano Detox (CID) e Greenpeace Il Consorzio italiano Detox (CID) si occupa della gestione della sostenibilità ambientale nelle imprese della filiera del sistema moda. Nasce, primo e unico al mondo, come reazione di un gruppo di aziende manifatturiere aderenti a Confindustria Toscana Nord a una sfida lanciata da Greenpeace: eliminare le sostanze tossiche per l’uomo e inquinanti per l’ambiente dai capi d’abbigliamento. Greenpeace è un’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver nel 1971. È famosa per la sua azione diretta e non violenta per la difesa del clima, delle balene, dell’interruzione dei test nucleari e dell’ambiente in generale. Greenpeace è finanziata tramite contributi individuali da parte di donatori e fondazioni no profit, ma non accetta fondi da governi, partiti politici o grandi aziende. Il principio base di DETOX è che l’azienda si impegni pubblicamente all’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose, ciò significa che chiunque, consumatori, associazioni dei consumatori, associazioni ambientaliste, clienti, concorrenti..., possono ‘controllare’ che l’azienda rispetti l’impegno. Non c’è un ente od organizzazione che ha lo specifico compito di controllore l’impegno DETOX. L’impresa è responsabile del proprio impegno verso i suoi clienti, i consumatori finali e i suoi fornitori. Indipendentemente da DETOX, ogni azienda è pienamente responsabile delle caratteristiche dei prodotti che vende e delle proprie dichiarazioni sui prodotti stessi. Si tratta di: • Impegno unilaterale: è una libera iniziativa dell’impresa. Non è un contratto o accordo con Greenpeace o altra organizzazione. • Greenpeace ha definito un protocollo a cui l’impresa unilateralmente si

impegna e da cui si può liberamente disimpegnare nel momento in cui non lo ritenga più adeguato. • Impegno pubblico: è preso pubblicamente, il testo dell’impegno e i materiali che lo accompagnano sono resi pubblici mediante pubblicazione sul sito web dell’impresa. Il Greenpeace Detox Commitment definisce che l'impresa: s’impegna all’eliminazione delle sostanze pericolose dall’intero ciclo di vita dei prodotti che produce o vende, inclusi tutti i processi associati alla loro produzione nella propria supply chain; condivide il principio che per eliminare le sostanze pericolose è necessaria la trasparenza riguardo al loro uso in tutta la supply chain; riconosce che per rispettare gli impegni di eliminazione delle sostanze pericolose è necessario adottare un forte sistema di controllo e vigilanza; s’impegna a pubblicare sul proprio website tutta la documentazione relativa all’impegno e le informazioni che ne provano il rispetto. DETOX non è concepito per etichettare un prodotto e non c’è una certificazione a regolamentarne l’utilizzo. La

trasparenza è un cardine dell’impegno perché permette di distinguere chi si impegna seriamente dai greenwasher. Senza la trasparenza, DETOX non sarebbe un elemento distintivo delle migliori imprese operanti sul mercato. A seguito della sfida di Greenpeace Italia, è nato il programma ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals) Roadmap to Zero con lo scopo di aiutare le aziende che vi aderiscono a raggiungere gli obiettivi proposti da Greenpeace, ma entro certi range temporali specifici. Dunque, lo ZDHC è finalizzato ad agevolare, aiutare e sostenere le aziende nel loro percorso verso l’eliminazione delle sostanze chimiche nocive per l’uomo e l’ambiente. 30 brands firmatari, 103 affiliati della catena del valore e 20 associati, tutte organizzazioni attive nel settore tessile, dell’abbigliamento, della pelle e delle calzature, si sono uniti attorno a tale programma con la volontà di ridurre e via via abolire le sostanze inquinanti presenti nelle soluzioni chimiche usate durante il processo produttivo, per ottenere un prodotto finale a zero impatto ambientale.

Lo ZDHC si distingue in due programmi: MRSL ZDHC e PRSL ZDHC. Il primo, in cui la M sta per Manifacturer, si riferisce alle sostanze chimiche da ridurre ed eliminare nella produzione degli ammorbidenti, coloranti e prodotti chimici usati per il finissaggio dei tessuti. Il secondo, in cui la P sta per Product o Process, riguarda le sostanze chimiche da eliminare nelle fasi di produzione dei tessuti stessi. Fondamentalmente si intende eliminare le sostanze chimiche nocive fin dall’inizio, ovvero nelle componenti stesse delle sostanze chimiche usate nel finissaggio, in modo tale da avere inevitabilmente un prodotto finale a zero impatto ambientale, quindi lo PRSL è coseguenza del MRSL. Lo ZDHC è esaminato anche nella piattaforma Trace, https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/zero-discharge


Pagina precedente Fig. 18: Greenpeace,The Detox Catwalk 2016.

Greenwashing La parola greenwashing è composta dalle parole green (cioè il colore tradizionalmente associato all’ambiente) e whitewash (che significa insabbiare o mascherare qualcosa). Il termine fu coniato per la prima volta in America negli anni ’90, utilizzato per descrivere il comportamento di alcune aziende americane che avevano associato la propria immagine alle tematiche ambientali per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle responsabilità dell’inquinamento causato dalle proprie attività produttive. Il greenwashing è una forma di pubblicità ingannevole, utilizzata dalle aziende al solo scopo di trarne un beneficio economico, senza fare niente di concreto in tema di tutela dell’ambiente. Le gravi conseguenze del greenwashing possono ricadere: • Sul consumatore, che perde fiducia verso qualsiasi comportamento sostenibile. • Sull’ambiente, portando i consumatori a fare scelte, non consapevoli, sbagliate piuttosto che buone per l’ambiente. • Sulle imprese, può ritorcersi contro nel caso in cui i consumatori siano con-

Trasparenza e tracciabilità: i più importanti driver del mercato odierno

sapevoli dell’inganno, danneggiando così la reputazione d’impresa. I consumatori hanno diversi modi per potersi difendere dalle azioni di greenwashing. Innanzitutto è consigliabile guardare l’azienda nel suo insieme, cercando informazioni sulle sue politiche di business e sulla presunta sostenibilità ambientale. Inoltre, ci sono numerosi siti che hanno lo scopo di aiutare i consumatori a individuare le aziende che effettuano operazioni di greenwashing. Per esempio, il Greenwashing Index, che pubblica sulla piattaforma online le valutazioni su prodotti o aziende, promuovendo la condivisione di informazioni. Tracciabilità La sostenibilità di prodotto non dipende solo dalla materia prima e dalla corretta gestione del ciclo di lavorazione e produzione, ma anche dalla tracciabilità, intesa come caratteristica informativa garante della provenienza del capo d’abbigliamento o della calzatura. La tracciabilità comunica al consumatore un insieme di caratteristiche del prodotto e l’osservazione delle regole

ambientali e lavorative nelle aziende produttrici. Si concretizza solitamente nell’utilizzo di etichettature che permettono al consumatore di riconoscere il valore del bene che vogliono acquistare e il suo legame con il territorio in cui è stato prodotto. Presenta anche vantaggi per l’azienda: secondo lo standard ISO 9001:2000 per tracciabilità di filiera si intende la capacità di risalire alla storia, all’utilizzazione o all’ubicazione di un’unità attraverso identificazioni registrate lungo tutta la filiera. Tracciare un’unità significa seguirne il percorso nella filiera dal produttore al consumatore. Lo snellimento a livello logistico-produttivo e la diminuzione del rischio di contraffazione sono i due obiettivi più importanti conseguibili grazie alla tracciabilità, e incrementano il valore creato dall’azienda e percepito dal consumatore. Le etichette di tracciabilità sono molto frequenti nel fashion, e numerose sono le certificazioni proposte. Un esempio è il marchio TF (Traceability & Fashion) dell’Associazione delle Camere di Commercio Itf (Italian Textile Fa-

shion), che si occupa di valorizzare e tutelare la filiera della moda. TF è un sistema di tracciabilità volontario che dà la possibilità al consumatore finale di risalire al luogo in cui sono state compiute le principali fasi di lavorazione del prodotto da lui acquistato. Si concretizza con una etichetta in cui tali informazioni sono riportate, insieme ad un codice numerico che permetterà effettivamente al consumatore di verificare nel sito https:// www.tfashion.camcom.it/ l’affidabilità della marca. Si tratta di un sistema che traccia la filiera, infatti per funzionare è necessario che tutti i fornitori aderiscano. L’etichetta si differenzia in base al settore in cui è utilizzata, che può essere il Tessile/Abbigliamento, le Calzature, la Pelletteria o la Pellicceria. Per garantire il valore della certificazione si è messo a punto un meccanismo di controllo che verifica il rispetto delle condizioni del sistema anche nelle aziende fornitrici, e non solo in quelle richiedenti la certificazione. Inoltre

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vengono effettuati controlli a campione sui prodotti certificati immessi sul mercato. Il sistema TF è quindi una valida opzione che le imprese hanno per differenziare i loro articoli da quelli della concorrenza. La blockchain La blockchain è uno strumento per archiviare e trasmettere informazioni sicure i cui dati sono bloccati e impossibili da falsificare, dopo la convalida delle diverse parti in causa dell’ecosistema interessato. Il termine blockchain letteralmente significa ‘catena di blocchi’ ed è una struttura dati condivisa e immutabile. È definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in ‘pagine’, concatenate in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso di primitive crittografie. Sebbene la sua dimensione sia destinata a crescere nel tempo, è immutabile in quanto, di norma, il suo contenuto una volta scritto non è più né modificabile né eliminabile, a meno di non invalidare l’intera struttura. La blockchain è dunque assimilabile a un database distribuito, gestito da una rete di nodi, ognuno dei quali ne possiede una copia privata. Per garantire la coerenza tra le varie copie, l’aggiunta di un nuovo blocco è globalmente regolata da un protocollo condiviso. Una volta autorizzata l’aggiunta del nuovo blocco, ogni nodo aggiorna la propria copia privata: la natura stessa della struttura dati garantisce l’assenza di una sua manipolazione futura. La validazione interna alla blockchain elimina la presenza di un organo centralizzato che approvi le transazioni. Il fatto che ogni blocco sia collegato a quello precedente rende impossibile la modifica della catena, poiché si dovrebbero modificare tutti gli hash di tutti i blocchi antecedenti al blocco che si vorrebbe cambiare. Per questo le transazioni registrate nella blockchain

non possono essere manomesse/alterate senza lasciare un’evidente traccia. Tutti i dati sono immutabili e condivisi tra tutti i partecipanti della blockchain. È del 1991 il primo lavoro su una catena di blocchi protetta da crittografia, e lo si deve a Stuart Haber e W.Scott Stornetta. La prima distribuzione così come oggi la conosciamo è però del 2008, ed è dovuta a Satoshi Nakamoto: non è uno scienziato giapponese, ma uno pseudonimo dietro cui si nascondono uno o più informatici che hanno creato il bitcoin basandosi appunto sulla tecnologia blockchain. Nel 2009 la blockchain divenne componente indispensabile per il bitcoin, di cui è tutt’ora il libro contabile per tutte le transazioni svolte con questa criptovaluta. Nel settore moda, la blockchain è uno strumento di estrema utilità per la tracciabilità del prodotto lungo la filiera di produzione e distribuzione e per la prevenzione, o almeno la riduzione, del fenomeno della contraffazione del marchio. L’applicazione della blockchain alla catena di produzione e/o di distribuzione di un’azienda permette l’individuazione certa dei diversi attori ‘mappati’ come componenti della rete. Tracciata la filiera, si può arrivare a pezzi numerati da un codice digitale di cui si segue il percorso: la memorizzazione dei dati permette di sapere con certezza la collocazione fisica in tempo reale, lo stato di spedizione e consegna, con possibilità di un controllo capillare a scapito di furti e/o perdita di merce per qualsiasi ragione. Inoltre, la tracciabilità di un prodotto vuol dire anche riconducibilità sicura dello stesso ad una produzione interamente Made in Italy, in grado di accrescere la reputazione del prodotto e il suo valore sul mercato anche agli occhi del consumatore. Quest’ultimo a sua volta può verificare prima dell’acquisto l’originalità del prodotto e la sua ‘storia’.

Il neoconsumatore odierno La soluzione tecnologica della blockchain soddisfa le richieste del neoconsumatore che è sempre più alla ricerca di informazioni e garanzie sulla storia dei prodotti. Nel rapporto The NICE (Nordic Initiative Clean and Ethical) Consumer. Toward a Framework for Sustainable Fashion Consumption in the EU, stilato dal Danish Fashion Institute e l’organizzazione no profit BSR, si descrive come i neoconsumatori possano svolgere un ruolo significativo nella trasformazione del settore moda verso modelli di business più sostenibili. Tuttavia sono ostacolati da scarsa consapevolezza, mancanza di trasparenza e scarsità dell’offerta12. Il cambiamento di paradigma include il collaborative consumption, locuzione

introdotta da Botsman e Rogers, che inaugura una nuova era del consumo critico e partecipativo: l’era dello sharing, del consumo condiviso. Guardando al settore moda possiamo aggiungere altri termini come baratto, swap party (scambio), riuso e riciclo, che palesano una nuova idea di consumo in una logica non più individualistica, ma comunitaria. Tutti questi termini hanno in comune la sostenibilità. Nella moda parlare di consumo condiviso significa guardare all’impatto ambientale e sociale dei prodotti. Il neoconsumatore, sempre più attento all’impatto ambientale e sociale dei prodotti, è una figura in continua espansione e appartiene alla nicchia dei ‘creativi culturali’ o anche LOHAS, 12

Textile view n.124


Pagina precedente Fig. 19: Immagine per Vogue, settembre 2014, (photo: David Sims). Fig. 20: Anthropocene, per Vogue photo, (photo: David Pd Hyde)

ovvero Lifestyles of Health and Sustainability13. Egli persegue uno stile di vita basato sull’ecosostenibilità e sull’attenzione alla salute propria e del pianeta. I LOHAS scelgono con attenzione i loro acquisti e privilegiano quelli prodotti localmente o con le certificazioni. Hanno ben presente che ognuno fa la differenza e che se l’ambiente viene protetto i primi a trarne benefici sono loro stessi. Negli Stati Uniti, uno studio svolto nel 2007 dal Natural Marketing Institute identificava come LOHAS 40 milioni di abitanti. Giappone, Singapore, Taiwan sono i paesi asiatici con maggiore diffusione di LOHAS14. In Europa sono presenti soprattutto in Germania. Le caratteristiche loro comuni sono: attenzione all’ambiente, rispetto della salute e della società. Nello stesso tempo non rinunciano alla moda e alla tecnologia: ciò li distingue dai classici ‘eco’. Per le aziende non sarà più sufficiente soddisfare bisogni e desideri: saranno chiamate a rispondere del proprio operato e poste costantemente sotto esame da un pubblico sempre più consapevole, informato e fiero di poter esercitare la propria influenza sull’operato delle organizzazioni. Non basterà più compensare il proprio impatto ambientale e sociale. La responsabilità sociale d’impresa sarà sempre più legata all’adozione di comportamenti sostenibili e a una presa di posizione sui temi di grande rilevanza sociale e ambientale. I Millennials sono la generazione più ricettiva a questo nuovo modus operan13 Francesca Romana Rinaldi, Salvo Testa, “L’impresa moda responsabile. Integrare etica ed estetica nella filiera”, EGEA S.p.A, Milano, 2013 14 http:// www.esseresostenibili.it/ambiente/consumatori-lohas/

di delle aziende. La maggior parte di loro considera la sostenibilità e l’etica d’impresa driver d’acquisto importanti. Le aziende che non sono in grado di dimostrare la propria sintonia con i temi della sostenibilità rischiano di essere escluse dalle preferenze di questa importante categoria di clienti. Qualche anno fa fece scalpore la decisione dell’azienda LEGO di aumentare i personaggi femminili nei ruoli di maggiore rilievo in seguito alla lettera divenuta virale di una bambina di 7 anni: si lamentava del fatto che i personaggi femminili rappresentavano solo casalinghe o donne intente a fare shopping o a rilassarsi in spiaggia15. I consumatori hanno compreso il potere che possono esercitare e nei prossimi anni pretenderanno che le aziende dimostrino di saper anteporre al perseguimento del profitto l’attenzione per la società e l’ambiente. Nel maggio 2018, durante la sfilata della collezione resort a Roma, Alessandro Michele ha mandato sulla passerella di Gucci un abito viola con una scritta bianca a caratteri cubitali sulle spalle: “My Body, My Choice” (il corpo è mio e mia è la scelta). Sull’onda delle aggressive leggi anti-aborto negli Stati Uniti, si lancia uno slogan femminista e uno statement politico. Quel vestito viola dice: “Sono una donna Gucci e sono una donna pro-choice”. Il designer ai più familiari codici del brand ha aggiunto il sostegno alle lotte per i diritti femminili. È una conferma che nel 2019 i clienti vogliono di più dalle aziende da cui comprano che non la patina di un nome famoso e di un mono-

gramma riconoscibile. Vogliono sapere in cosa crede un designer e per quali cause si batte un marchio. Dovremmo sicuramente aspettarci che altri marchi seguiranno l’esempio di Gucci associando il proprio nome alle cause per cui vorranno battersi. Oggi si assiste ad una rivoluzione: il nuovo consumatore, o forse meglio ‘consum-attore’ o ‘consum-autore’, sta contribuendo a ripensare, ricreare e ridisegnare le regole del mercato. L’acquirente vuole essere sempre più informato sull’origine del prodotto, sulla modalità produttiva, sulla manodopera utilizzata. Egli, autore della propria stessa vita, è in grado di produrre stili, linguaggi, estetiche che diventeranno punti di riferimento per aziende e mercato16. Il neoconsumatore vicino alla spiritualità Il neoconsumatore è sempre più vicino alla sfera spirituale, rileva la rivista di tendenze View Point #43, dedicata proprio alla Spiritualità. E scriveva Oltsman van Nierkerk nella sezione sul Lifestyle di Textile View #125, rivista sorella di View Point: “Nella nostra società complessa e sotto pressione, avremo bisogno di essere più intuitivi. Cerchiamo connessioni che sono altamente personali ed emozionali. I brands hanno bisogno di imparare a parlare bene al cuore delle persone quanto alla loro testa. I valori non sono fatti, sono sentimenti”17. La moda, il design, la tecnologia possono aiutare il neoconsumatore a compiere scelte di consumo consapeFrancesco Morace, “I paradigmi del futuro. Lo scenario dei trend”, Nomos Edizioni, Busto Arsizio VA, Dicembre 2011 17 View Point n. 42

voli, che lo arricchiscano dal punto di vista spirituale. ‘Spirituale, ma non religioso’ è un termine che è diventato popolare all’inizio del XXI secolo. Un sondaggio del Pew Research del 2018 su 15 paesi dell’Europa occidentale afferma che il 38% non crede in Dio, ma crede in un potere più elevato di qualche tipo. Solo un quinto dei millennials e degli Gen Zer nel Regno Unito e negli Stati Uniti frequentano un luogo di culto, ma l’80% sente un senso di spiritualità e crede in un potere più elevato, secondo quanto ha trovato l’agenzia creativa Virtue di Vice Media nel 2018. I social media sono una piattaforma chiave per la diffusione di idee spirituali, creando online comunità attorno a contenuti spirituali. La Run Dem Crew a Londra, per esempio, che si descrive essa stessa come ‘una famiglia e comunità’, si riunisce attorno alla cor-

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Philip Kotler, Giuseppe Stigliano, “Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale”, Mondadori Electa, Firenze, 2018. 15

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sa, con un forte ethos sul miglioramento personale e sul supporto agli altri nei loro sforzi. Nutrendo la nostra spiritualità e impegnandoci in valori e filosofie più ampi come individui, diventiamo parte di qualcosa di più grande, che speriamo possa cambiare il mondo, così come noi stessi, in meglio. Dunque, i prodotti di moda e design devono avere connotati di relazionalità, devono essere estetici nel senso di dover arricchire e cambiare il consumatore, commuovendolo e comunicandogli valori spirituali. In questo modo, l’estetico non sarà fine a sé stesso, ed eviterà che il consumo di prodotti sia rapido e veloce, come se fosse privo di contenuti. Bastano pochi capi, quelli giusti Il cervello ama la novità. È la ragione per cui siamo dipendenti dai nostri

telefoni: bramiamo la raffica di nuove informazioni. Infatti, non si può negare che vogliamo nuove cose che siano in linea con ciò che siamo. Lo scrittore britannico Caitlin afferma: “Quando una donna dice ‘Non ho niente da indossare’, ciò che realmente intende è ‘Non c’è niente qui per quello che dovrei essere oggi’”. Cerchiamo di ridefinire noi stessi attraverso l’abbigliamento. Le nostre personalità e identità si evolvono e desideriamo abiti adatti alle nuove versioni di noi stessi. Presa consapevolezza di ciò, bisogna assecondare il bisogno di novità dell’essere umano, senza però apportare danni all’ambiente. È possibile valorizzando e prestando attenzione ai brand sostenibili e assumendo un comportamento responsabile, propenso al riuso, riciclo e recupero. In un articolo della piattaforma The Psi-

cology of Fashion, è ben spiegato che il consumatore dovrebbe conoscere meglio sé stesso, per capire ciò che lo rende felice e i capi d’abbigliamento che lo soddisfano maggiormente, in modo da non sentire la necessità di ricercare altro. Fondata a Londra nel 2017 dalla giornalista e psicologa della moda Anabel Maldonado, The Psychology of Fashion™ (https:// www.psykhefashion.com/) è una piattaforma che esplora il motivo per cui indossiamo ciò che indossiamo e le relazioni tra personalità, emozioni ed estetica. La piattaforma esamina anche le dinamiche del settore della moda e questioni come la sostenibilità e il benessere sul luogo di lavoro18. In psicologia apprendiamo che la moda e l’abbigliamento sono una forma di comunicazione, un modo di dire qualcosa senza la necessità di verbawww.tpof-thepsychologyoffashion.com

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lizzarla e che la moda implica un simbolo. Questo è esattamente ciò che ci differenzia dalle altre specie: la nostra capacità di simbolizzare, e lo facciamo continuamente, con i vestiti. L’atto di avere un indumento con un certo significato si verifica a causa della nostra capacità cognitiva di simbolizzare. Il nostro cervello è in grado di associare dei significati a determinati capi, e ognuno avrà un valore diverso per chi lo usa a seconda del contesto. Il consumatore deve aggrapparsi ai significati e valori simbolici che la sua mente ha associato ai propri capi per difendersi dalla continua esigenza di novità, e per riuscire a contribuire al miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta. Il nostro modo di vestire può fornire molte informazioni su sè stessi. L’importante è riuscire a trovare quel capo che sappiamo indossare alla perfezio-


Pagina precedente Fig. 21: Kate Spade, Primavera 2019, (photo: Tim Walker). Fig. 22: Anna Selezneva. per Numero Magazine, August 2014, (photo: Jacob Sutton). Fig. 23: Karen Elson in ‘Syntopia’ mask, per Vogue Italia, stylist Amanda Harlech, (photo: Tim Walker).

ne, quello in cui ci sentiamo a nostro agio ogni volta che lo indossiamo, un capo in grado di comunicare chi siamo. Allora, non sarà necessario sperimentare continuamente nuovi stili, modelli e capi d’abbigliamento proposti dal fast fashion. La fashion week milanese che si è tenuta a settembre 2019 si è svolta proprio all’insegna della sostenibilità, e della promozione di capi duraturi, di qualità, che sono fatti per restare a lungo nei nostri armadi, come accadeva in quelli delle nostre nonne. E capi duraturi potranno essere solo capi ‘ben fatti’, come sono quelli Made in Italy, e acquistati consapevolmente dai consumatori, perché in essi hanno ritrovato sé stessi. Il potenziale delle nuove tecnologie Le fashion blogger potrebbero avere un ruolo importante nel condurre il consumatore ad acquisti consapevoli. Sfruttando la loro notorietà, potrebbero mostrare oltre al capo, la composizione di cui è fatto, quella composizione di cui sono certe che sia vera, senza lasciarsi truffare dal greenwashing e truffare allo stesso modo i loro followers, e inoltre potrebbero raccontare la storia del prodotto, i valori che stanno dietro a quel tessuto e design, i motivi per cui hanno fatto quell’acquisto e se ne sono innamorate. La chiave del

cambiamento è innamorarsi dei capi ‘fatti bene’ e far innamorare. Solo in questo modo vestiti e accessori saranno durevoli e potranno guarire il pianeta, la realtà che ci circonda e migliorare noi stessi. Con ‘fatti bene’ si intende una produzione rispettosa dell’ambiente, che utilizza materie prime non inquinanti e realizzata da personale responsabile, consapevole, sereno e felice del proprio lavoro. Il consumatore ‘detta le leggi’ del mercato, se comprasse meno capi ci sarebbe una produzione più lenta, una produzione di un minor numero di prodotti, ‘fatti bene’ impiegando qualche minuto in più. Sarebbe meglio per le aziende, le quali garantirebbero ore di lavoro più sane, equilibrate, proficue e soddisfacenti ai loro lavoratori e meglio per i consumatori, che avrebbero prodotti di valore, non dannosi né per l’ambiente, né per la loro salute. Se pensiamo a come i social network, in particolare Instagram, hanno cambiato il nostro modo di pensare, di comportarci e di vivere, inducendoci ad avere il cellulare sempre sotto mano, possiamo credere facilmente che allo stesso modo, le nuove tecnologie possano cambiare di nuovo e raddrizzare le abitudini delle persone, che si fanno contagiare e si contagiano velocemente tra di loro. Nuovi modi d’agire e di pensare po-

trebbero diffondersi attraverso l’uso dei cellulari, strumenti di comunicazione con lo straordinario potere di entrare nella vita delle persone e influenzarne i comportamenti. Dobbiamo far sì che i messaggi veicolati siano quelli corretti. Infatti, non bisogna demonizzare i social network o l’incontenibile desiderio di fotografare e fotografarsi con gli amici, perché ne possono scaturire forme bellissime di creatività oppure ci si può ritrovare con un diario di immagini della propria vita che sarà bello guardare dopo tanto tempo o mostrare ai propri figli; piuttosto bisogna cercare di usare i mezzi tecnologici oggi a nostra disposizione nella giusta misura e nel modo corretto, cogliendone gli aspetti positivi: dobbiamo essere noi a governarli, e non loro a governare noi.

Allora saremo in grado di volgere a favore nostro e del mondo in cui viviamo l‘immenso potenziale delle nuove tecnologie. Il digitale è tutto, ma non tutto è digitale La tecnologia è un mezzo attraverso cui raggiungere obiettivi precisi. Trova il suo impiego ottimale quando risolve un bisogno pratico e dà significato ad un’azione. L’ambizione dovrebbe sempre essere semplificare la vita delle persone, rendendo tutta la complessità tecnologica ‘invisibile’. Solo in questo caso c’è innovazione. La tecnologia, quindi, dovrebbe essere ‘invisibile’, migliorare la vita delle persone e far sì che il beneficio sia commisurato allo sforzo richiesto.

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Sono dette ‘tecnologie di prossimità’ quelle che consentono di raggiungere i clienti direttamente sul loro personal media: lo smartphone. Sono wifi, RFID (Radio-Frequency Identification), NFC (Near Field Communication), Bluetooth19. Tra tutte le tecnologie oggi a disposizione, però è importante tenere conto di una delle regole del retail, ovvero ‘Be Human’, infatti oggi il digitale è tutto, ma non tutto è digitale. È un invito a recuperare la centralità degli esseri umani in tutti gli anelli della catena del valore, nella consapevolezza che al crescere della digitalizzazione aumenterà anche l’attenzione alle relazioni tra le presone. ‘Be Human’ significa prendere atto che l’evoluzione tecnologica e digitale è un potente strumento d’innovazione, ma sono le persone a determinarne le applicazioni, scegliendo ogni giorno come farne uso. La tecnologia deve essere un mezzo di arricchimento culturale e personale, un mezzo che faccia sentire le persone liPhilip Kotler, Giuseppe Stigliano, “Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale”, Mondadori Electa, Firenze, 2018.

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bere e non schiave, libere di esprimere sé stesse e il proprio potenziale. Da una intervista tenuta dal videomaker Marco Montemagno all’imprenditore Brunello Cucinelli, disponibile su Youtube, emerge che i creatori stessi dei social network, gli uomini più ricchi al mondo e che detengono nelle loro mani l’economia mondiale che è stata generata dalla rete Internet, proprio loro, padri delle moderne tecnologie, sono i primi oggi a voler migliorare dal punto di vista spirituale e a volersi impegnare affinché questa sia la nuova sfida dell’Era Digitale in cui viviamo. Coloro che ci hanno quasi reso schiavi degli smartphone, adesso sono i primi a volerci salvare, ad evitare che la “tecnologia ci rubi l’anima” come afferma l’imprenditore. Cucinelli racconta che ogni anno incontra questa squadra di ricchi geni economisti e ingegneri, e trascorre con loro del tempo a parlare di valori umani, di storie vere e di sentimenti di cui è ricco l’essere umano, tenendo spenti i propri smartphone. Il digitale permea ormai la nostra realtà quotidiana e conti-

nuerà a farlo, ma non sarà indifferente all’aspetto più emozionale, intimo e sincero dell’essere umano, perché la chiave del successo, del benessere ambientale e sociale è sempre la stessa, quella di parlare al cuore delle persone, renderle migliori e sempre più sé stesse. Ciò vale per la tecnologia così come per la moda e il design.

Fig. 24: Immagine per Samsung, Mobile Masterpieces, Global digital campaign (photo: Hey Reilly). Fig. 25: Together, Photo Vogue, (photo: Stepan Chubaev).


Il distretto di Prato esempio di sostenibilità

L’approccio green e circolare della filiera tessile, elemento che caratterizza il distretto pratese è rimasto invariato nel tempo. In questa zona si porta avanti un approccio industriale virtuoso, fatto di competenze tecniche altamente specializzate che rappresentano un potenziale enorme in termini di esportazione per il sistema italiano. Sicuramente uno degli elementi che caratterizza l’attuale approccio ai paradigmi dell’economia circolare è la versatilità, ovvero la capacità di poter lavorare tutti i tipi di fibra: da quelle sintetiche a quelle naturali. Ciò ha portato ad avere un distretto unico per la capacità di unire le diverse materie prime in base alle loro prestazioni tecniche. Non si tratta solo di moda, ma anche di una filiera specializzata nella realizzazione di fibre tecniche altamente performanti. Le aziende del distretto che aderiscono al progetto DETOX si sono impegnate a eliminare le sostanze tossiche impiegate nel trattamento dei tessuti. In generale la promozione del green in questo distretto industriale si configu-

ra come un lavoro di squadra che interessa tutti i protagonisti della filiera, ognuno nel suo ambito specifico. Negli ultimi anni sono inoltre nati a Prato alcuni consorzi composti da imprenditori del distretto tessile. Per esempio, il consorzio A.S.T.R.I, associazione tessile riciclato italiana, nasce con la volontà di valorizzare il lavoro di produrre tessuti rigenerati, che viene svolto a Prato da decenni. Vuole difendere il passato e guardare con fiducia al futuro, contribuendo alla rinascita e sviluppo del distretto pratese. Oltre 130 sono le aziende che hanno aderito, da vecchi cenciaioli a commercianti di materie prime, ma anche filature, tintorie, rifinizioni e i lanifici. Per l’associazione A.S.T.R.I tutto ciò che può essere riutilizzato nel ciclo produttivo non è rifiuto, per questo si batte per contrastare le normative che tendono a trattarli come tali. L’alto valore di una materia tessile seconda, derivata sia da pre-consumo che da post-consumo, aiuta a salvaguardare le risorse naturali del pianeta, contribuendo alla riduzione dei

consumi idrici, ai risparmi in termini di kilowatt di energia e di tonnellate di ausiliari chimici e coloranti, con notevoli risparmi sulle emissioni di anidride carbonica e solforosa. Tutto ciò, con l’utilizzo dei sottoprodotti che nascono dai processi lavorativi e dagli stracci usati, aiuta a contrastare quell’Economia lineare dannosa per l’intera collettività. L’elemento chiave dell’approccio green del distretto di Prato è la capacità di modularsi sui diversi trend che di volta in volta si fanno strada nel settore moda. La capacità di essere flessibili consente infatti di abbinare le competenze tecniche del personale con le caratteristiche di tessuti sempre nuovi e di macchinari sempre più innovativi. Il ditretto tessile pratese Prato, la seconda città della Toscana è sinonimo di industria tessile, grazie a un nucleo di aziende specializzate in prodotti di alta qualità. Scrivi Prato, leggi tessuti. Il distretto tessile della città toscana, infatti, è uno dei più prestigiosi del Vecchio Continente: da qui proviene il 3% della produzione europea.

Quello pratese costituisce uno degli esempi di distretto industriale più celebri e studiati nel mondo. È basato sull’estensione e divisione locale del lavoro fra imprese specializzate, spesso piccole e piccolissime, in gran parte manifatturiere (e artigiane) ma in parte dedite anche a funzioni di intermediazione, coordinamento e commercializzazione. Nell’industria tessile della pelle e dell’abbigliamento, in cui la produzione si articola in lunghe filiere formate da imprese indipendenti, la produzione di beni orientati alla sostenibilità richiede un’organizzazione del processo produttivo trasparente, che rafforza i legami e la fiducia tra fornitori e committenti. La prossimità geografica e la continuità dei rapporti rappresentano la principale garanzia della correttezza delle relazioni industriali e commerciali. Oggi, con l’avvento di ripetute crisi economiche e con la conseguente diminuzione di risorse e materie pri-

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me, il distretto industriale tessile può diventare un vantaggio non irrilevante soprattutto nei nuovi scenari disegnati da modelli di business che fanno leva sulla sostenibilità. Il distretto di Prato, con la sua tradizione di riciclo e recupero di scarti tessili, nata con i cenciaioli, ovvero i ‘mercanti di stracci’, è il primo a poter ripartire e far da traino al resto delle imprese di moda italiane. Fin dalla sue origini, l’industria tessile pratese si distingue per: • una marcata tendenza verso la scomposizione dei cicli manifatturieri e la suddivisione delle singole fasi, tra piccole e medie imprese, con la gestione e il coordinamento del processo produttivo affidata alla figura del ‘mercante-imprenditore’; • una spiccata proiezione internazionale, grazie soprattutto ad una fitta rete di mercanti pratesi, che promuovono la commercializzazione dei prodotti locali in Spagna, Fiandre, Inghilterra, Oriente, etc…; • una specializzazione nella produzione di stoffe di lana ordinarie, di livello qualitativo medio-basso (i ‘panni bigelli e villaneschi’). Questo posizionamento dei pratesi era dovuto soprattutto al divieto imposto dalla vicina e potente Firenze di realizzare, fuori del capoluogo toscano, i prodotti tessili di più alta qualità, i cosiddetti ‘panni fini e larghi’. La fama di Prato come ‘capitale degli stracci’ che per tantissimi anni connoterà l’immagine dell’industria tessile locale risale, quindi, al XIII/XIV secolo. Sostenibilità e lana rigenerata Il concetto di sostenibilità ambientale è legato in maniera indissolubile alla modalità operativa del distretto tessile di Prato fin dalle sue origini. Si tratta di un approccio che è ‘inscritto nel DNA’ della filiera tessile di questa zona. Quello di Prato è stato, infatti, il primo distretto che ha messo in pratica fin dalla fine dell’800 un approccio

circolare alla gestione delle risorse. Si è così sviluppata una filiera tessile altamente specializzata nel recupero delle fibre che ha rivestito un ruolo chiave nello sviluppo industriale di questo territorio. In questo distretto arrivavano, ad esempio, negli anni 60 gli scarti di magazzino delle grandi catene americane e qui si trasformavano in tessuti per l’alta moda. Oggi si continua a procedere su questa strada producendo cachemire, lana e cotone rigenerati. Si tratta di prodotti (anche per il settore tecnico) che poi sono protagonisti sulle passerelle delle grandi firme. In sostanza a Prato si promuove da sempre un approccio virtuoso alla gestione delle fibre grazie alla presenza di personale altamente specializzato e a procedure sempre all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. La produzione tessile storica di Prato, risalente al Medioevo, è quella dei tessuti lanieri. In particolare, Prato è conosciuta per i tessuti di lana ottenuti mediante l’in-

treccio di filati prodotti con il processo di lavorazione delle fibre corte di lana denominati ‘cardati’. Dal nome del processo di filatura ‘cardata’ deriva quindi il nome di filati ‘cardati’ e, conseguentemente, di tessuti ‘cardati’. Per ‘cardato’ si intende un tessuto di lana composto da filati grossi e pelosi, particolarmente caldi e con pesantezze medio alte, che lo rende ideale per la stagione invernale. Il tessuto cardato è ancora oggi protagonista della produzione perché si presta a lavorazioni creative e sempre diverse (filati fantasia, mix di colori) e la lana rigenerata desta nuovo interesse per essere una fibra con grande sostenibilità ambientale visto che riutilizza scarti tessili che, se non impiegati in questo modo, diventerebbero rifiuti. Le fibre di lana utilizzate nel processo di filatura cardata possono essere: • nuove (ottenute con la tosa della pecora ed il successivo lavaggio ed eventuale carbonizzatura); • ottenute dagli scarti della lavorazione del ciclo pettinato;

• ottenute da vari materiali di scarto della filiera sia a monte che a valle della filatura fino alla confezione; • ottenute da porzioni di tessuto ricavate da abiti usati denominati ‘stracci’. Nel distretto tessile pratese sono presenti tutte le fasi del ciclo produttivo che consentono la produzione dei tessuti cardati, dalla rigenerazione delle fibre fino alla nobilitazione e finitura dei tessuti cardati. La caratteristica della filatura cardata laniera è l’utilizzo di fibre corte e disomogenee, in mischia tra loro nelle più svariate composizioni, tali da conferire al filato una particolare fisionomia che distingue la filatura cardata dall’altra tipologia rappresentata dalla ‘filatura pettinata’. Il ciclo di filatura cardata si può così schematizzare con le seguenti tre fasi: • preparazione (crea la mischia intima di fibre tessili diverse tra loro per composizione o per colore); • cardatura (lavora la mischia, parallelizza le fibre e produce lo ‘stoppino’


ovvero un sottile semilavorato che ha scarsa resistenza); • filatura (trasforma lo stoppino in filato impartendo le torsioni che assicurano al filo la necessaria resistenza all’uso). Le tecniche del riciclo, oltre ad affascinare per i risultati della loro esecuzione, raccolgono e sintetizzano una cultura di attenzione, di sensibilità verso l’ambiente, di tradizione e professionalità degli operatori. Nel contempo, le industrie della filiera tessile, raccogliendo, selezionando e vendendo i propri scarti, possono ottenere un recupero dei costi perché, altrimenti, questi materiali dovrebbero essere smaltiti come rifiuti industriali e, conseguentemente, esse dovrebbero sostenere un costo. La filiera del materiale rigenerato è normalmente gestita da una figura imprenditoriale denominata ‘commerciante di materie prime’, e tale figura riveste un ruolo fondamentale nella filiera tessile in quanto realizza e coordina tutta la gestione dei sottoprodotti e dei materiali derivanti sia dal pre-consumo che dal post-consumo. Il primo passaggio è la cosiddetta cernita ovvero un controllo, principalmente visivo, per determinare se il materiale sia da considerare un rifiuto o un sottoprodotto. • L’operazione di cernita avviene sia su:materiale ‘pre-consumo’ che nasce come residuo delle lavorazioni dei cicli per la produzione di prodotti tessili (pettinature, filature in genere, confezioni, tessiture ecc.) • indumenti usati ‘post-consumo’ che, una volta raccolti, sono immagazzinati in appositi impianti, muniti delle autorizzazioni richieste, i quali effettuano l’operazione di cernita selezionandoli per: o ‘riuso’ ovvero commercializzazione come indumenti usati; o ‘riciclo’ come sottoprodotto tessile; o ‘smaltimento’ presso impianti di termovalorizza-

tori o discariche perché non idonei né al riuso, né al riciclo. Dopo aver determinato, tramite la cernita, che il materiale è un sottoprodotto, su di esso può essere effettuata la fase successiva ovvero la selezione o classificazione che lo suddivide per tipologia, colore, qualità di fibra, finezza e qualità di tessuto. Non sempre la classificazione è complessa; dipende infatti dalla qualità del sottoprodotto e quando si ha a che fare con un sottoprodotto omogeneo il passaggio risulta semplice ma, in generale, l’attività è onerosa e richiede personale specializzato. L’operazione di classificazione, seguendo un’antica tradizione, è totalmente manuale: un selezionatore specializzato, una volta aperta la balla contenente i vari sottoprodotti, stracci o ritagli, divide le parti per colorazione omogenea, separa i prodotti in base alla composizione fibrosa e raggruppa tutto in ‘monti’ di diverso colore ed alla fine, ciascun ‘monte’ è imballato e stoccato separatamente. Nel ciclo di rigenerazione l’attività di cernita assume quindi un’importanza fondamentale poiché solo l’accurata selezione dei materiali consente di ottenere fibra rigenerata di qualità idonea al settore tessile di destinazione. Per quanto concerne il ‘post-consumo’, la cernita è un’operazione eseguita da soggetti autorizzati al trattamento dei “rifiuti”, perché gli abiti usati, prima della cernita, sono classificati come tali e, solo dopo che essi sono stati sanificati e cerniti, possono rientrare nei flussi produttivi tessili come materie prime seconde. La figura del commerciante ha la facoltà di avviare il materiale selezionato alle fasi successive dei cicli di trasformazione oppure di rivenderlo, ‘tal quale’, ad un intermediario che può essere un altro commerciante o un altro soggetto della filiera. Il commerciante si occupa altresì della lavorazione di cascami tessili, valoriz-

zando i sottoprodotti provenienti da altre lavorazioni e rigenerando materie prime tessili da destinare alla produzione di filati per maglieria, abbigliamento, accessori, arredamento, tappezzeria o da destinare alla produzione di qualsiasi altro prodotto tessile che sia possibile produrre con quel tipo di materiale rigenerato. Il commerciante di materie prime tessili acquista partite di sottoprodotti, le seleziona opportunamente e gestisce le lavorazioni necessarie per creare lotti omogeni con caratteristiche di colore, lunghezza e finezza idonee alla produzione di manufatti tessili. In sintesi il commerciante non fa solo una mera transazione del materiale bensì coordina un ciclo produttivo che può comportare numerose fasi di lavorazione e dunque, egli stesso, può essere inteso come primo utilizzatore dei sottoprodotti. Il filatore, invece, utilizza semplicemente la fibra e, per lui, sia essa nuova o rigenerata, è solo un problema di caratteristiche di lunghezza, finezza, colore e, soprattutto, prezzo. • La produzione del tessuto cardato rigenerato si realizza con una filiera che coinvolge:commercianti di sottoprodotti tessili e stracci in lana o altre fibre; • lavorazioni che trasformano la materia prima rigenerata in materie fibrose; • produttori di filato cardato; • produttori di tessuto; • finissaggi. La lana rigenerata ha rappresentato per oltre un secolo una fenomenale opportunità di sviluppo e di affermazione del distretto tessile pratese sui mercati del mondo. Per valorizzare questo tipo di lavorazioni, la Camera di Commercio ha creato il marchio Cardato regenerated Co2 neutral, che garantisce l’azzeramento della Co2 prodotta nel processo di lavorazione della rigenerazione, dando vita ad un tessuto

dall’impronta ambientale ridotta. Prato ha anche messo in atto un sistema di depurazione delle acque per le industrie pratesi. Si tratta di Gida (Gestione Impianti Depurazione Acque), che si occupa di riciclare le acque che riutilizzeranno le industrie tessili, e non solo, di Prato. La Chinatown del distretto pratese odierno Oggi, un fenomeno rilevante nel distretto pratese, è dato dalla massiccia presenza di immigrati, tra cui spiccano i cinesi, insediati nella Chinatown di via Pistoiese e di via Bologna. I nuovi immigrati cinesi sono impegnati a dar vita ad una sorta di secondo distretto industriale nel settore della confezione e della maglieria: 1.100 aziende, per un valore che si stima superiore ai 1.000 miliardi. Sul fronte dell’integrazione sociale esiste un progetto dell’Amministrazione Regionale, e ci sono ormai rapporti frequenti da parte dei rappresentanti della comunità cinese con gli amministratori locali. L’accoglienza e l’integrazione mostrate dal territorio pratese nei confronti della comunità cinese sono elementi che testimoniano un atteggiamento positivo nei confronti della diversità, che conduce sempre ad una crescita culturale. Infatti, la presenza cinese nel distretto tessile di Prato non deve portare alla scomparsa delle caratteristiche distintive delle aziende locali e del loro knowhow accumulato nel corso della storia, piuttosto il confronto con una cultura e un popolo diversi devono condurre ad un rafforzamento e arricchimento del ‘sapere fare’ delle imprese artigiane ed industriali pratesi. Pagina precedente Fig. 26:I cenciaioli preparano gli stracci rossi per trasformarli nuovamente in fibre di lana rigenerata, Prato. Pagina seguente Fig. 27: tessuto della collezione A/I 2020 prodotto da Texmoda Tessuti, Prato.

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TRACE

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TRACE piattaforma di tracciabilità e trasparenza

Pagina precedente Fig. 28: Telo collezione A/I 2021 del Lanificio dell’Olivo, Campi Bisenzio.

La piattaforma TRACE mette in trasparenza la sostenibilità del prodotto e la sostenibilità sociale delle aziende, valore di competitività con le aziende estere. TRACE è una piattaforma di tracciabilità che comunica con il consumatore, e lo educa ad acquisti responsabili. Illustra cosa c’è dietro al prodotto (sostenibilità sociale, ambientale, e i concept di progetto, le ispirazioni). Così il cliente sarà più fedele al brand, che considererà sincero e trasparente, e responsabile nell’acquisto, perché consapevole della storia dei prodotti in commercio. Tale trasparenza dovrebbe condurre il consumatore ad un salto di qualità. Egli diventerà più responsabile, capace di fare acquisti duraturi, che abbiano un valore per lui, e non sarà più preda facile delle proposte veloci e frivole del fast fashion. Il consumatore dovrebbe innamorarsi del valore, qualità, artigianalità di cui è portatore il prodotto dell’azienda, caratteristiche tipiche delle imprese italiane, che ne fanno veri e propri punti di forza da sempre. Il consumatore do-

vrebbe trascurare le tendenze di sola apparenza, ‘instagrammabili’, lanciate dal fast fashion, che sembra aver creato i contenuti per fotografie che sono specchio di realtà finte. La moda veloce vuole proporre le tendenze del momento, ma talvolta rende gli adolescenti di oggi, generazioni dipendenti e devote alla loro immagine, quasi perfetta, ma vuota, come invece non è. Così, come la moda ha forse creato gente d’immagine, allo stesso modo può rendere i consumatori persone più consapevoli, responsabili, raccontando loro tramite parole, immagini, filmati e qualsiasi altro linguaggio della comunicazione, che vengono ancora realizzati prodotti belli, di qualità, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Ne sono un esempio assoluto le imprese di moda italiane che da sempre garantiscono qualità, artigianalità, know-how esclusivo e trasmesso alle generazioni future. In seguito alle forme di schiavismo generate dal fast fashion, quelle che hanno avuto luogo nelle dure e disumane condizioni di lavoro degli operai

delle aziende nei paesi a basso costo di produzione e manodopera, e le forme di schiavismo espresse nei comportamenti di acquisto superfluo ed esagerato da parte di consumatori che non devono soddisfare alcun bisogno materiale, ma vogliono solo mantenersi al passo con i trend della moda, in seguito a tutto ciò, oggi più che mai, si può e si deve dare massimo risalto alle storie, ai valori e al know-how unico delle aziende italiane. Si può fare attraverso la trasparenza e la tracciabilità che ci garantiscono gli odierni strumenti tecnologici dell’Era Digitale. La piattaforma TRACE vuole essere uno di questi. L’obiettivo è quello di dare visibilità e credibilità ad aziende che producono nel rispetto dell’ambiente e dei diritti del lavoratore, ed educare il consumatore ad acquisti responsabili, ad acquisti di prodotti di cui egli sappia l’origine, la modalità di produzione, a cui egli riconosca i valori che il brand vuole comunicare, e a cui attribuisca un proprio e profondo significato personale, così da non avere alcuna intenzione di sostituire i prodotti com-

prati, con altri simili, contribuendo solo all’inquinamento del pianeta con la creazione continua di rifiuti. Se gli acquisti fatti avranno un senso per il consumatore, non saranno scartati tanto facilmente e saranno più duraturi, garantendo la salvaguardia dell’ambiente. Si tratta di oggetti, abiti, accessori ‘auratici’, che siano intrisi di sensorialità, relazionalità, capaci di trasmettere un’emozione, quindi anche ‘estetici’, perché in grado di arricchire e far sentire speciale chi li utilizza. Il consumatore non si troverà sommerso di prodotti simili e superflui, ma possiederà prodotti che davvero hanno un valore per lui, prodotti che parlano di lui, carichi di ‘estetica relazionale’, e di sostenibilità sociale e ambientale. Un prodotto è detto ‘estetico’, se porta con sé un carico di significati, emozioni, sensazioni che gli sono conferite da chi lo ha realizzato e sono trasmesse al consumatore. Quest’ultimo, resosi conto del grado di ‘artificazione’ del

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prodotto, lo rispetterà, lo curerà e non lo dimenticherà tanto facilmente allo scorrere delle nuove mode. Affinché i consumatori apprezzino davvero i prodotti in tal senso ‘estetici’, "È necessario passare dal know-how al know-why per far innamorare i nuovi ricchi con i prodotti e le storie del Made in Italy", afferma Giovanni Bonotto, direttore di Bonotto Spa, azienda tessile di Molvena, il cui concetto fondante è quello di Fabbrica Lenta in contrasto con la standardizzazione industriale e la produzione in serie a basso costo. Ciò significa che oggi la soluzione principale che può indurre alla conversione dei consumatori ad un modello di consumo più consapevole e sostenibile è innanzi tutto l’informazione veicolata attraverso le moderne tecnologie, e

soprattutto la comunicazione che parla al cuore delle persone, aiutandole a riconnettersi con sé stesse e con il mondo circostante. Le aziende devono adottare strumenti che rendano trasparenti i loro processi di produzione, per potere risultare credibili agli occhi della gente e conquistare la fiducia dei clienti, e devono comunicare la qualità dei loro prodotti, prodotti che non sono fatti per essere presto sostituiti da altri, ma che nascono per diventare parte della vita di chi li acquista, in quanto sono carichi di significato e valore: essi portano con sé i valori dell’azienda, il rispetto per l’ambiente, il rispetto per il lavoratore che li ha realizzati, la cura, e il tempo che egli vi ha dedicato, e l’orgoglio di essere un prodotto Made in Italy, capace ancora di raccontare e tra-

mandare la storia di un ‘modo di fare italiano’, un ‘modo di fare’ artigianale, fatto di competenza e passione. La piattaforma TRACE si propone proprio questo obiettivo, quello di mettere in trasparenza non solo la sostenibilità dei processi di produzione delle aziende tessili di Prato, ma anche la sostenibilità sociale del loro modello di gestione aziendale e la sostenibilità dei prodotti in quanto ‘estetici’, portatori di valori e messaggi etici. Il consumatore finale non li considererà più prodotti ‘usa e getta’, ma apprezzandone il valore, li accoglierà nella propria vita, e li farà parte di sé. Funzionamento della piattaforma La piattaforma digitale TRACE raccoglie e suddivide in tre sezioni tessuti

prodotti dalle aziende tessili del distretto pratese. Le classi di suddivisione delle tipologie tessili sono: • Green textile dedicata ai tessuti ecosostenibili; • Smart textile per i tessuti tecnologici; • Classic textile per i tessuti classici di alta gamma. La piattaforma consente di verificare l’autenticità dei tessuti che durante il percorso di realizzazione sono tracciati in ogni fase del processo attraverso la tecnologia RFID/NFC. Il consumatore avvicinando il proprio smartphone all’etichetta associata al prodotto, potrà conoscerne la storia. Tale etichetta è realizzata con il biopolimero MINERV-PHA, prodotto dall’azienda italiana BIO-ON che ottiene bioplastiche biodegradabili a partire da scarti agricoli. Inoltre, la tecnologia della Blockchain, a supporto della piattaforma TRACE come strumento di tracciabilità e trasparenza, garantisce l’autenticità e l’affidabilità dei prodotti tessili delle aziende pratesi. Vi sono poi altre due sezioni accessibili al consumatore che voglia sapere di più del distretto tessile di Prato e dei tessuti presenti nella piattaforma. Una sezione racconta la storia del distretto pratese, che possiede una tradizione secolare riguardante la produzione di fibre rigenerate. Un’altra sezione si propone di descrivere e illustrare il processo creativo che porta alla nascita del prodotto tessile, in modo da far emergere i valori che il tessuto può comunicare. L’obiettivo è quello di far conoscere al consumatore le pratiche artigianali, le ispirazioni e il know-how del ‘fare italiano’ che rendono unici i prodotti Made in Italy. TRACE vuole rendere trasparente le fasi di produzione del tessuto, registrate attraverso il tag RFID e la blockchain, (sezioni sviluppate dalle colleghe designer Mariagrazia Soreca e Matilde De Gennaro) e anche il comportamento etico e sostenibile dell’a-


zienda produttrice, raccontando i valori in cui il brand crede e che si riflettono nel proprio prodotto (sezione della piattaforma, affrontata nel seguente elaborato di tesi). Il prodotto finale, infatti, è specchio di un comportamento sostenibile sia nei confronti dell’ambiente che dei lavoratori, in quanto è un prodotto di qualità, ‘ben fatto’ nel rispetto della natura e dell’uomo, ed ‘estetico’, nella misura in cui riesce a veicolare dei messaggi al consumatore, rivelandosi un prodotto duraturo e non ‘usa e getta’, espressione del savoir faire italiano. Parola chiave che comunica l’eticità del Made in Italy è ‘qualità’, poiché racchiude le capacità delle maestranze italiane e la soddisfazione di ogni lavoratore che può esprimere sé stesso, come lo ‘schiavo liberato’ di Ruskin e Morris, che trova nel lavoro la propria realizzazione personale. Al fine di dimostrare l’estetica del prodotto tessile italiano, sono trattate delle sezioni che raccontano i ragionamenti progettuali che stanno alla base della nascita del

prodotto. Sono presi ad esame come case-history, un’azienda di alta moda, ovvero Dior, e tre aziende del distretto tessile pratese, ovvero Lanificio dell’Olivo, produttore di filati, Texmoda Tessuti e Lanificio Cangioli 1859, produttori di tessuti. Il caso Dior è interessante perché l’azienda non è italiana, ma fa uso delle maestranze del Made in Italy, in particolare fiorentine, in quanto le borse Dior sono progettate a Parigi, e realizzate nelle aziende di pelletteria della Toscana. La sezione dedicata all'azienda francese prende ad esame la collezione P/E 2020 Il giardino, lasciandone emergere i significati più nascosti e i messaggi da veicolare al cliente finale (link: https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/case-history-dior). Attraverso gli esempi aziendali analizzati nella piattaforma si dimostra come l’estetica del prodotto moda nasce dalla qualità del tessuto e ancor prima, dalla qualità del filato, dietro cui si nascondono significati e contenuti

sociali su cui il consumatore può essere informato, affinché apprezzi ancor di più il prodotto finale acquistato. Viene narrata l’esteticità del prodotto Made in Prato, che non è solitamente raccontata nei canali di comunicazione gestiti dalle aziende, e che va resa nota al consumatore. Infine, un ulteriore sezione della piattaforma TRACE, denominata Etica ed estetica, illustra attraverso un’infografica i concetti fondamentali che hanno guidato lo sviluppo della tesi e del sito web stesso, al fine di rendere ancora più comprensibile il comportamento etico e sostenibile delle aziende del Made in Italy. (Link: https:// tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/e). La mappa concettuale parte da un’analisi della realtà di oggi che vede protagonista il Fast Fashion, purtroppo causa di vari problemi quali lo sfruttamento dei lavoratori nei paesi a basso costo di manodopera, la sovraproduzione, l’eccessivo consumismo e l’inquinamento ambientale che scaturisce da uno stile di vita basato sullo spreco. Ne consegue la necessità di un cambiamento nel sistema produttivo delle aziende di moda. Bisogna produrre nel rispetto dell’ambiente e della dignità dell’uomo, garantire una produzione controllata e indurre i consumatori ad acquisti consapevoli, per educarli ad uno stile di vita più responsabile e sostenibile. La strada da imboccare per avviare tale cambiamento è sicuramente quella della sostenibilità, ambientale, sociale ed economica, che si traduce e rende visibile nell’etica e nell’estetica della produzione di un’azienda. Infatti, un’azienda sostenibile dal punto di vista sociale è etica, cioè dà importanza alla sicurezza e salute del lavoratore, lo rispetta e lo sostiene nel suo operare quotidiano, e si preoccupa di veicolare dei messaggi e dei contenuti alla società contemporanea, per rendere migliore il mondo in cui viviamo.

Poi, un prodotto sostenibile è anche estetico perché ha alla base i valori del rispetto dell’ambiente e del lavoratore. Inoltre, ha in sé quel valore aggiunto dato dalla passione e dal savoir faire del lavoratore, che sentendosi stimato e apprezzato per il proprio lavoro, è libero di esprimere il proprio potenziale, come lo ‘schiavo liberato’ di Ruskin e Morris, che schiavo non è. Infine, il prodotto estetico è veicolo dei valori in cui crede l’azienda e che si vogliono trasmettere ai consumatori. In quanto, portatore di un messaggio, è il frutto di un ‘processo di artificazione’, che lo rende straordinario, fuori dall’ordinario. Le caratteristiche di etica ed estetica sono da sempre riscontrabili nei sistemi produttivi del Made in Italy e del distretto pratese, fondati l’uno sull’artigianalità, sul saper fare italiano, sulla trasmissione di un’ ‘arte di vivere italiana’, e l’altro sulla tradizione tessile del cenciaiolo e su un sistema produttivo di fiducia e trasparenza che vede la collaborazione di più attori dello stesso territorio. La parola chiave che accomuna il Made in Italy e il distretto tessile di Prato e che riassume i concetti finora enunciati di etica ed estetica, e sostenibilità sociale, ambientale ed economica, è qualità. Infatti, un prodotto di qualità è realizzato nel rispetto del lavoratore e dell’ambiente, ed è capace di instaurare una relazione con la persona, di veicolarle un messaggio e lasciarle il segno. Link alla piattaforma digitale TRACE https://tracetessutiitaliani.wixsite. com/tracetessutiitaliani

Pagina precedente Fig. 29: Valentino Haute Couture Primavera/Estate 2018. Vogue Italia, (photo: Julia Hetta) Fig. 30: Julie Hoomans, per Harper’s Bazaar UK, Aprile 2019, (photo: Agata Pospieszynska)

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Le seguenti pagine illustrano alcuni estratti dalla piattaforma digitale TRACE. In particolare è riportata parte della sezione Classic textile, accessibile da https://tracetessutiitaliani.wixsite. com/tracetessutiitaliani/classic-tex-

tile, dedicata ai tessuti di alta gamma tradizionalmente impiegati nell'industria della moda. Sotto all'immagine di ogni tipologia di tessuto è specificato il nome dell'azienda italiana, e il più delle volte toscana, che lo produce.

Alla fine è presente una finestra che approfondice tessuti importanti nella storia del distretto tessile di Prato, e non solo, come il panno casentino e il panno pratese.


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Case-history del distretto pratese La sezione del sito web, intitolata Prato Textile presenta il distretto pratese, come uno degli esempi di distretto industriale più celebri e studiati al mondo. Le tre parole-chiave attorno alle quali si sviluppa l’analisi svolta del distretto tessile di Prato sono: etica, sostenibilità ed estetica. L’etica è il rispetto del lavoratore, valore fondamentale per le aziende pratesi che prestano molta attenzione alla salute, sicurezza e formazione professionale dei propri impiegati, affinché possano dare del loro meglio nel far crescere i profitti della ditta. La sostenibiltà è inscritta nel DNA del distretto industriale di Prato, grazie alla figura del ‘cenciaiolo’ o ‘commerciante di stracci’, colui che ha dato inizio alla tradizione pratese del riciclo di scarti e abiti usati da cui trarre fibre rigenerate per una nuova produzione tessile. Tale pratica è diventata nel tempo una tradizione tipica del territorio, da mantenere e portare avanti. Le aziende del distretto tessile pratese sono tutte avviate lungo questa

direzione, verso il riciclo di scarti tessili e abiti usati per produrre nel rispetto dell’ambiente. La piattaforma digitale TRACE coinvolge l’azienda produttrice di filati Lanificio dell’Olivo e le aziende produttrici di tessuti Texmoda Tessuti e Lanificio Cangioli 1859. Tali imprese industriali, come l’intero distretto tessile pratese, sono impegnate sul fronte della sostenibilità, intesa come sostenibilità economica, ambientale e sociale. In particolare, hanno firmato l’accordo DETOX, promosso dall’associazione Greenpeace Italia, che mira ad eliminare le sostanze pericolose per l’uomo e l’ambiente dalla catena produttiva. Inoltre, Lanificio Dell’Olivo e Texmoda Tessuti sono presenti nella classifica Higg Index, in cui viene associato ad ogni impresa il corrispondente indice di sostenibilità di filiera. I prodotti finali di tali aziende sono certificati, con la garanzia di una produzione nel rispetto dell’ambiente. Il Lanificio dell’Olivo produce filati certificati GOTS, OCS e GRS, ovvero prodotti con cotone biologico, cotone riciclato e poliestere riciclato.

Texmoda tessuti utilizza materie prime e filati certificati e produce tessuti con la certificazione GRS. Infine, anche il Lanificio Cangioli realizza tessuti certificati GRS, GOTS, BCI. La sostenibilità ambientale è al centro del sistema produttivo delle aziende tessili pratesi, così come anche la sostenibilità sociale, che prevede il rispetto dei diritti e della dignità del lavoratore. In tutte e tre le aziende prese ad esame si investe nella sicurezza, nella salute e nella formazione professionale dei dipendenti. La sostenibilità ambientale e sociale delle aziende del distretto pratese si riflette nella qualità e nell’estetica del loro prodotto finale. Così, la piattaforma digitale illustra alcuni prodotti delle collezioni delle aziende prese come caso-studio+ e ne spiega il ragionamento progettuale che vi sta alla base e che ne ha guidato la realizzazione. Il Lanificio dell’Olivo, azienda produttrice di filati, situata a Campi Bisenzio (FI), viene fondato da Rodolfo Querci nel 1947. Ha radici profonde e forti

come l’olivo, tenace e fiero dei propri frutti. Inizia la progettazione dei propri filati, in particolare filati per maglieria, dall’analisi della società contemporanea. Viene affrontato un accurato studio sulle tendenze e i trend che si possono osservare quotidianamente nella realtà di oggi e si riflette sui temi raccontati nelle riviste di settore che descrivono le abitudini e gli stili di vita della gente. Così, si estrapolano i colori e le sensazioni tattili e visive che non dovranno mancare nelle collezioni finali. Si ottengono, dunque, filati per prodotti che dovranno integrarsi nella società odierna. Nella sezione dedicata al Lanificio dell’Olivo sono analizzati due temi da cui ha preso ispirazione la progettazione di alcuni filati della collezione A/I 2021. Il primo tema è chiamato ‘Reale/ Virtuale’. Passando sempre più tempo a interagire con gli schermi diventa sempre più difficile scindere ciò che è reale da ciò che è virtuale. Sulla scia degli ingame (giochi virtuali), si fanno strada le modelle virtuali, Fashion-avatar creati appositamente per veicolare messaggi di moda Fig. 31: Filato prodotto dal Lanificio dell'Olivo, Campi Bisenzio, Firenze. Pagina seguente Fig. 32: Telo collezione A/I 2020, Texmoda Tessuti, Prato. Fig. 33: Tessuto prodotto da Texmoda Tessuti, Prato.


reale nel mondo virtuale. Sono perfette nella loro ‘umanizzata’ imperfezione e consentono di trasmettere qualsiasi contenuto di moda che il brand desidera comunicare. L’abbigliamento si colora di toni accesi, fluo, brillanti e riflettenti, capaci di ‘bucare lo schermo’. Gli abiti devono apparire allo stesso modo, tanto nella vita reale quanto sullo schermo, anzi devono essere più attraenti sulle piattaforme digitali, dove i consumatori trascorrono ormai la maggior parte del loro tempo. Dunque la vita reale si contamina di colori appariscenti, come apparirebbero sullo schermo, e il mondo virtuale si fa sempre più perfetto e umanizzato da sembrare quasi vero. Da tali riflessioni sulla società contemporanea scaturiscono teli e filati dai colori accesi e luminosi. Risultano molto vistosi anche tessuti metallici e lussuosi, per un ‘lusso sportivo’, adatto a qualsiasi momento della giornata. Il secondo tema ispiratore analizzato è denominato ‘Il nuovo passato/Outdoor’. Il passato viene reinterpretato, non replicato, e riproposto in chiave soste-

nibile. I materiali sono progettati per durare, in più i filati diventano più belli attraverso l’usura del tempo. Il passato acquista valore. Il tesoro dell’archivio aziendale viene studiato e ricreato attraverso materiali tecnologici e riciclati, al fine di ottenere un prodotto finale realizzato nel rispetto dell’ambiente, e nello stesso tempo performante, confortevole e accattivante. Il classico si tramuta in sportivo, tecnico e protettivo. L’obiettivo è creare una moda confortevole, in grado di durare nel tempo, e capace di far stare bene l’uomo, in simbiosi con la natura, come se tutto l’ecosistema fosse una cosa sola. Viene favorito il rapporto dell’uomo con la natura, e l’abbigliamento non li separa, ma li unisce, garantendo performance sempre impeccabili. Da questo tema d’ispirazione nascono filati che rendono il tessuto ‘grezzo’, dall’effetto naturale, rustico e artigianale, e filati che reinterpretano pattern classici e tradizionali, adatti a tessuti confortevoli, e fatti per durare. La sezione dedicata al Lanificio dell’O-

livo presenta anche un approfondimento sulla sostenibilità aziendale, data dal comportamento sostenibile adottato nell’intera supplychain. In particolare, è illustrato il processo di produzione del filato Biotape, che coinvolge altre aziende collaboratrici del Lanificio, tutte certificate GOTS. Il prodotto finale può essere certificato se solo tutte le aziende coinvolte sono a loro volta certificate come sostenibili. Link: https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/biotape Texmoda Tessuti, produce tessuti da oltre 40 anni. È presente in tutti i mercati mondiali e collabora con importanti marchi nazionali e internazionali. L’identità aziendale che si cerca di non perdere ad ogni collezione è caratterizzata da pattern e disegni classici, geometrici e tradizionali. Il tema d’ispirazione affrontato per la produzione tessile di Texmoda Tessuti è il cardato rigenerato. Esso è il prodotto tradizionale e principale dell’industria pratese sin dalla metà dell’800. Il processo di rigenerazione inizia con la raccolta degli stracci, vecchi abiti

(materiale di post consumo) e scarti industriali (materiale di pre-consumo), che dopo essere selezionati per colore e per tipologia vengono privati di tutti i complementi, come bottoni e cerniere lampo, fodere ed etichette. Così la materia prima è pronta per avviare il ciclo produttivo che porterà il tessuto a nuova vita. Texmoda Tessuti fa uso di questo antico processo di produzione tessile per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente, adottando un comportamento sostenibile, volto al risparmio e ricollocazione di rifiuti o scarti. Dalla combinazione di filati riciclati cardati e filati fantasia di moda nascono collezioni a km 0 che alimentano l’economia circolare del distretto pratese. I tessuti Texmoda assecondano le tendenze dettate dal mercato, senza disperdere l’identità aziendale legata al territorio toscano. Gli articoli della collezione, infatti, risultano fashion, mantenendo un aspetto classico e artigianale. Caratteristica del distretto tessile pratese

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è l’artigianalità della produzione, che prevede un lavoro di cernita di abiti usati e tessuti da riciclare, svolto dalle persone, ancora manualmente. Texmoda si propone la realizzazione di articoli di qualità che combinano artigianalità e immediata industrializzazione del tessuto. I prodotti tessili illustrati fanno parte della collezione A/I 2020 e sono certificati RGS, realizzati con fibre rigenerate. Presentano una palette di colori caldi, vicini alla terra e alla natura. Risultano dall’aspetto artigianale al tatto e alla vista, e mantengono una nota di classicità e tradizionalità. Ultima azienda pratese analizzata è Lanificio Cangioli 1859, nata come una piccola attività artigianale di impannazione nel 1839. Circa vent’anni dopo viene avviata una vera e propria attività di produzione di tessuti. Nei primi anni ’90 Vincenzo e Sabina Cangioli, la quinta generazione dell’azienda, sviluppano una nuova strategia produttiva fortemente improntata su innovazione, flessibilità e alti standard qualitativi. Oggi il Lanificio Cangioli è un Gruppo

internazionale che vanta una solida struttura industriale verticalizzata. Mentre il Lanificio dell’Olivo, produttore di filati, muove i primi passi della progettazione da un’analisi dei bisogni sociali e della realtà contemporanea, e Texmoda Tessuti orienta la realizzazione dei propri prodotti sulla scia della classicità e della tradizione, facendo del cardato rigenerato di Prato un elemento fondamentale della propria identità aziendale, il Lanificio Cangioli 1859 cerca di veicolare dei messaggi ai consumatori attraverso le proprie collezioni, caratterizzate da prodotti tessili di qualità, flessibili e sostenibili. Per esempio, il tema d’ispirazione da cui ha preso vita la collezione invernale 2020 e usato dal Gruppo Cangioli per lanciare un messaggio ai consumatori è denominato ‘I dinosauri’. Si vuole porre l’attenzione sul fatto che stiamo attraversando il più allarmante evento di estinzione dopo la scomparsa dei dinosuari: questa volta, però, il colpevole non è nè un asteroide nè una serie di eruzioni vulcaniche, ma l’uomo. Se non vogliamo fare la fine

dei dinosauri, dobbiamo cambiare direzione. Bisogna porre fine all’inquinamento, fine all’uso della plastica, che l’età dei dinosauri non aveva. È questo il messaggio che il Lanificio Cangioli vuole trasmettere ai propri clienti. Ogni tessuto della collezione è prova di un passo verso il cambiamento. Sono utilizzate materie prime riciclate, come il poliestere ricavato da bottiglie di plastica, il materiale oggi purtroppo più diffuso e dannoso per l’ambiente. Il gruppo Cangioli dimostra impegno e determinazione nel tentativo di salvare il nostro pianeta, con una produzione tessile sostenibile, che prevede l’utilizzo di materie prime riciclate e l’eliminazione di sostanze chimiche inquinanti nei finissaggi. Sono ancora incerte per gli scienziati le cause dell’estinzione dei dinosauri, ma l’impatto ambientale che ne è derivato avrebbe provocato profondi mutamenti del clima e avrebbe reso il pianeta invivibile. È questa la fine che ci aspetta, se non reagiamo al cambiamento climatico in atto sulla Terra e non ci convertiamo ad uno stile di vita sostenibile. Deforesta-

zione, perdita dell’habitat, commercio e contrabbando di specie rare, pratiche agricole non sostenibili, utilizzo indiscriminato di pesticidi, caccia e consumo dissennato delle risorse sono solo alcuni dei modi in cui l’uomo contribuisce direttamente alla riduzione di animali e piante selvatici. Nessun organismo può vivere da solo, e la perdita di piante e animali mette in discussione la nostra stessa sopravvivenza. La collezione A/I 2020 del Lanificio Cangioli vuole dare testimonianza di un’azione verso il cambiamento, verso uno stile di vita più sostenibile e rispettoso del Pianeta Terra. Sono illustrati tessuti sostenibili, certificati e realizzati con materie prime riciclate. Inoltre, manifestano colori e sensazioni tattili e visive in linea con le tendenze emerse dall’analisi del mercato e dei competitors dell’azienda.

Link alle pagine della piattaforma TRACE dedicate alle aziende prese ad esempio. https://tracetessutiitaliani.wixsite. com/tracetessutiitaliani/lanificio-dell-olivo https://tracetessutiitaliani.wixsite. com/tracetessutiitaliani/texmoda https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/cangioli-1859

Fig. 34: Tessuto della collezione A/I 2020, Lanificio Cangioli, Prato. Fig. 35: Tessuto prodotto da Lanificio Cangioli, Prato.


Di seguito è riportato un estratto dalla piattaforma Trace, che introduce il distretto tessile di Prato. Link: https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/content-textile-of-prato

L'attenzione è focalizzata sugli aspetti della sostenibilità, etica ed estetica che contraddistinguono il modus operandi delle aziende italiane. Infine, tale sezione conduce alle pagine dedicate alle tre aziende pra-

tesi, prese ad esempio ed analizzate nell'elaborato di tesi, ovvero Lanificio dell'Olivo (Campi Bisenzio, FI,), Texmoda tessuti e Lanificio Cangioli 1859 (Prato).

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Le sezioni di seguito illustrate, estrapolate dalla piattaforma, analizzano i temi concettuali da cui ha inizio la progettazione del prodotto tessile da parte dell'ufficio stile dell'azienda.

Poi, seguono le foto dei teli delle collezioni ispirate ai temi concettuali affrontati. Ogni fotografia del telo è accompagnata da uno schema grafico con i colori presenti nel tessuto e la di-

citura specifica dei colori Pantone. Inoltre, per il Lanificio dell'Olivo, è specificata la composizione del filato, invece per le aziende tessili Texmoda Tessuti e Lanificio Cangioli, sono indicate le tipo-

logie di fibre impiegate nel tessuto. Link: https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/virtual-real


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Di seguito è riportata una parte della sezione dedicata al Lanificio dell'Olivo nella piattaforma Trace. È analizzato il processo produttivo di un filato dell'azienda, presa come esempio aziendale produttore di filati in questo elaborato di tesi.

Il filato in questione è chiamato Biotape ed è sostenibile, perché tutte le aziende collaboratrici nell'intera suppy chain sono sostenibili e certificate GOTS.

Link: https://tracetessutiitaliani.wixsite.com/tracetessutiitaliani/biotape


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Postfazione

Pagina precedente Fig. 36: Telo in filato Biotape, prodotto dal Lanificio dell'Olivo. Esempio di sostenibilità nell'intera supply chain dell'azienda, ed analizzato nella piattaforma. Pagina seguente Fig. 37: Capucci, Primavera/Estate 2020, Milano. Fig. 38: Le Choc Des Pigments, per Vogue Paris, November 2016, (photo: Ben Hassett).

Nell’Era Digitale in cui viviamo, dove predomina uno stile di vita frenetico, non ci rendiamo conto delle conseguenze che ne scaturiscono, come lo sfruttamento estremo di risorse ambientali e anche umane che vede condizioni di lavoro dure nei Paesi a basso costo di manodopera, dove si producono i capi del Fast Fashion. Oggi, però il neoconsumatore sta diventando sempre più attento ai propri acquisti e propenso a raccogliere informazioni sulla storia dei prodotti. Inoltre, richiede trasparenza e tracciabilità alle aziende, e tende alla spiritualità, all’esigenza di allacciare legami forti e duraturi con i suoi simili, come dimostrano le comunità nate nei socialnetwork. In fondo, in un mondo così altamente industrializzato e tecnologico, restiamo umani, tendiamo alle sensazioni vere, alle emozioni profonde e durature, che solo verità e autenticità sanno trasmettere. Immune dai ritmi veloci del Fast Fashion e integro nel suo modo di operare sincero e artigianale è il modello produttivo delle imprese italiane. Il prodotto Made in Italy è sempre stato il frutto di un modo di fare italiano, intriso di valori quali la passione per l’artigianato, la qualità, la cura del dettaglio, il rispetto per il lavoratore e l’attenzione per l’ambiente. Il prodotto Made in Italy ha sempre personificato la bellezza dell’”arte di vivere” italiana e per questo, non ha mai visto tramontare il proprio fascino agli occhi degli stranieri. Le tre aziende del distretto tessile pratese, trattate come case history, nella piattaforma digitale TRACE, testimoniano l’impegno delle aziende di Prato a rendere più sostenibile il mondo della moda, dalla progettazione del filato fino alla realizzazione del tessuto per il capo finito. Dall’analisi svolta emerge un sistema produttivo basato sull’etica e sul rispetto del lavoratore, con l’obiettivo di realizzare prodotti estetici, cioè prodotti di qualità, specchio di un modo di lavorare "sano", duraturi e in grado di comunicare valori e messaggi ai loro destinatari. La promozione di prodotti ‘estetici’, capaci di relazionarsi con il consumatore finale, può essere la soluzione ai disastri ambientali e sociali, dovuti al consumismo sfrenato e alla sovraproduzione degli ultimi tempi. La moda è fatta, sì, di novità che si susseguono l’una dopo l’altra, ma anche e soprattutto di qualità, sostenibilità, savoir faire e valori da acquisire e fare propri, nella vita di ogni giorno. Renato Stasi Andrea Mecacci Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Indice

Presentazione Elisabetta Cianfanelli

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Etica ed estetica: valori dell'imprenditoria italiana

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I tratti distintivi della qualità italiana Il lavoro e schiavo liberato: Ruskin e Morris Rinascimento italiano, origine del design e del Made n Italy Arte, design ed estetica

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La necessità di cambiare e pensare sostenibile Sostenibilità e fast fashion Trasparenza e tracciabilità: i più importanti driver del mercato odierno Il distretto di Prato, esempio di sostenibilità

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TRACE TRACE, piattaforma di traccibilità e trasparenza

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Postfazione Renato Stasi ed Andrea Mecacci

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Bibliografia e sitografia

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Mese 2021



Il prodotto Made in Italy ha sempre personificato la bellezza dell’ ‘arte di vivere’ italiana. Esso è il frutto di un modo di fare italiano, intriso di valori quali la passione per l’artigianato, la qualità, la cura del dettaglio e il rispetto per il lavoratore. Oggi che stiamo aprendo gli occhi al disastro ambientale, l’impresa di moda italiana e ancor di più il distretto tessile pratese, che con la sua tradizione del cenciaiolo aveva già messo in atto vere azioni di riciclo, devono fare da traino all’intero mondo del fashion. Bisogna puntare alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, ovvero alla salvaguardia dell’ambiente, alla gestione accurata dei fondi economici dell’azienda, e al rispetto per la dignità e i valori umani. La sostenibilità sociale equivale alla cosiddetta estetica sociale, ovvero al comportamento etico dell’azienda che, traducendosi in qualità, si riflette nel prodotto finale. Quest’ultimo è ‘estetico’ nella misura in cui incarna i valori del rispetto per i dipendenti e per il nostro pianeta. La soluzione al consumo rapido e veloce degli oggetti usa-getta, al quale si devono gli alti livelli produttivi delle aziende e l’inquinamento globale, consiste proprio in prodotti ‘estetici’, capaci di trasmettere valore, instaurare una relazione con le persone e lasciarvi un segno.

Maria Rita Agliolo Gallitto (1994), siciliana, proveniente da Castel di Tusa, in provincia di Messina. Da sempre appassionata di moda e design, dopo aver conseguito la maturità classica, studia Disegno Industriale, presso la facoltà di Architettura di Palermo, laureandosi nel 2017 con una tesi sull’accessorio di moda, accessorio tessile e non, veicolo di comunicazione per l’Albergo-museo Atelier sul mare di Castel di Tusa. Nel 2019, si specializza in Fashion System Design presso il Design Campus di Calenzano, del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, discutendo la tesi presentata in questa pubblicazione. A gennaio del 2020, intraprende un Master in Textile design-creazione di tessuti d’arte, presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e la Fondazione Arte della Seta Lisio, per acquisire competenze specifiche del settore tessile, al fine di raggiungere il suo obiettivo, quello di trasmettere valore attraverso il tessuto, nella moda e nel design.

ISBN 978-88-3338-136-7


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