Il cubito biblico. Misura di tutte le cose | Laura Aiello

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Il cubito biblico Misura di tutte le cose


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


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Il cubito biblico Misura di tutte le cose


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Pochi ma doverosi ringraziamenti sono rivolti: al prof. Angelo Molfetta e al prof. Salvatore Vitiello che nel periodo di studio romano mi hanno sapientemente posto le giuste domande indirizzandomi nel corretto ambito di riflessione; al prof. Mons. Renato De Zan le cui lezioni su “Il luogo di culto nella bibbia” mi hanno appassionata e indicato la strada e alla prof.ssa Cecilia Luschi con cui condivido ormai da anni l’amore per questi studi.

in copertina Disegno a tratto dell’autore

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2018 ISBN 978-88-3338-053-7

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Presentazione Eduardo LĂłpez-Tello GarcĂ­a

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Introduzione

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Il cubito nei testi sacri

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Prima dell'anno zero

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Et Verbum caro factum est

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Il cubito: misura e geometria Cubito e metrologia: analisi quantitative

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Cubito e metrologia: analisi qualitative

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Il cubito: misura di tutte le cose

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Conclusioni

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Bibliografia

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Fonti

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presentazione Eduardo López-Tello García, osb

Decano della Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo

L’architettura è un’ermeneutica della realtà, un varco al mistero e una proposta di senso della nostra esistenza. È un linguaggio che crea in noi una nuova vita riconciliata con il nostro essere, una vita ‘abitabile’ nella quale visibile e invisibile s’intrecciano e generano infinite possibilità di accordo e armonia. L’‘io’ e il ‘noi’ condividono lo spazio architettonico interiore e da esso contemplano l’esteriore; il ‘voi’ è accolto nell’esistenza intima di coloro che si trovano nella dimora visibile. Avviene così una comunione esistenziale grazie allo spazio delimitato dalla costruzione e simultaneamente aperto nei vani transitabili. Questa dinamica di scambio fra individuo e comunità può – e deve – allargarsi verso nuovi sensi segnati dall’irruzione dell’Uno divino nel molteplice umano e lo fa in due sensi. Da una parte, l’ingresso di Dio nel tempo avviene in senso ascendente quando il linguaggio dell’architettura delimita un témenos, uno spazio sacro teofanico consacrato al trascendente. D’altra parte, in senso cristiano discendente – contrario all’anteriore –, quando una dimora terrena diviene tenda dell’incontro fra Dio e l’uomo, sede del Dio incarnato che fa il suo ingresso nell’immanenza quotidiana. Si tratta in questo caso dello eskénosen en hemin, l’habitavit in nobis di Gv 1, 14, vale a dire il Dio che abita in mezzo a noi, con noi, in noi, ‘da noi’, in casa nostra. In questo ultimo caso Dio è il principio generatore della nostra realtà ‘abitabile’. Il linguaggio architettonico esprime questa doppia realtà – sacralità del luogo, dimora di Dio incarnato – anche mediante l’utilizzo del cubito biblico, “misura di tutte le cose” come afferma la Dott.ssa Aiello. Lo scopo di questo studio è spiegare come il disegno di Dio, la sua Parola salvifica e santificante ‘parla’ in termini visibili mediante le proporzioni che danno senso all’uomo a partire da Dio. Il messaggio biblico sottostante alla presenza di Dio in un ambito architettonico sarà espresso dai Padri in chiave platonica. Le Idee eterne (il Lógos di Dio in termini cristiani) saranno in grado di esprimersi negli enti concreti. Questo esprimersi del Logos segna il salto dalla lingua parlata e proclamata nella Scrittura alla sua espressione visiva. Per questo motivo le diverse proporzioni del cubito fanno vedere, ma anche ‘dicono’, la Parola eterna Dio-Lógos in forma geometrica, corporea, circoscritta. Dio si avvicina e parla all’uo-


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mo e l’uomo a Dio nelle ‘proporzioni’ del cubito che nei loro rapporti matematici sono ‘anche musicali’ secondo la Dott.ssa Aiello. Nel cubito armonico l’architettura riesce a articolare in unità inscindibile il visibile e l’udibile. L’Infinito, Parola udibile, si fa visibile (Is 6,4), per cui vivibile, abitabile, grazie alla sua discesa ‘proporzionale’ e armonica verso l’uomo. Secondo la Dott.ssa Aiello, la misura, il cubito, è espressione aniconica dell’armonia divina nonché proporzione matematica. Effettivamente essa è una misura che regola e costituisce il visibile pur non essendo in se stessa raffigurata. Soltanto misurando si può costruire e si rende raffigurabile l’invisibile. Finalmente, possiamo dire che l’architetto è chiamato a tradurre la trascendenza divina aniconica anche in termini misurabili generando così una “iconografia” architettonica di Dio. Compiuta questa operazione costruttiva, l’uomo può dimorare nella visibilità di un Dio-Padre aniconico e nell’uomo-Cristo, sua icona abitabile. Tutto ciò avviene grazie al cubito, misura che porta l’uomo verso il trascendente, strada aperta da Dio verso l’uomo.


introduzione

Il tema proposto nasce e si sviluppa da un percorso personale di studio già avviato all’interno del dibattito sulla ricerca del progetto architettonico delle grandi strutture di epoca Classica e Medievale. In particolare l’interrogativo a cui cerchiamo di dare risposta si struttura a partire da un sillogismo: • Premessa maggiore: Tutte le grandi opere sono espressione di un progetto. • Premessa minore: I progetti, in quanto tali, hanno dei principi generatori legati alla mente di chi li ha voluti (progettista e/o committente). • Conclusione: Le grandi opere hanno dei principi generatori. L’interrogativo che ne deriva è come sia possibile rintracciare tale logica. Il campo di interesse orbita prevalentemente attorno ai monumenti storici, di cui non ci giunge che il ‘manufatto’ sprovvisto di qualsivoglia documento che ne spieghi il progetto. In tale contesto l’attenzione ricadrà in particolar modo sullo studio degli spazi sacri. La mancanza di documenti e l’inesistenza di ‘disegni di cantiere’ spesso è il motivo per cui, pur subendo il fascino di queste opere ci si limita ad analizzarne le singole parti, senza riuscire a vedere oltre il mero dato sensibile. Fra i saggi moderni è possibile ritrovare una documentazione più che nutrita di analisi e studi che offrono preziose osservazioni sui rapporti proporzionali, sulla codifica di presunte unità di misura antiche, sui rapporti musicali e non ultimi sui riferimenti astronomici. In buona sostanza: si tratta di una serie di approfondimenti, tutti di interesse scientifico, in cui però si rischia sovente di perdere il quadro generale di riferimento. La questione principale, nella maggior parte dei casi, risulta fissare il limite interpretativo in cui far rientrare le osservazioni dedotte. Sappiamo che l’opera architettonica è il riassunto di una serie di influenze, anche non volute e indotte senza averne coscienza profonda, derivate dal modo di pensare della società e della


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cultura che l’ha prodotta. D’altro canto la vera arte sacra deve essere di natura non sentimentale o psicologica, ma ontologica e cosmologica. Entro questi limiti teoretici ci si muove per studiare gli spazi sacri1 quali prodotto intellettuale dell’uomo ed espressione culturale della società a cui appartengono, indagando quindi l’ambito cultuale in cui vengono sviluppati con i relativi riferimenti in ambito filosofico, teologico, di costume e sociale. Nello specifico il tipo di ricerca proposta sfrutta un’impostazione di ambito olistico, riconoscendo all’edificio architettonico la dignità di organismo2 e in quanto tale la tendenza, “a formare interi che sono più grandi della somma delle parti attraverso l’evoluzione creativa”3. Per lo studio degli spazi sacri abbiamo così due tipi di conoscenza da affrontare: una conoscenza intellettiva teologica e filosofica, e una conoscenza sensibile. Un dualismo che trova la sua sintesi nel manufatto che è compromesso fra necessità naturale: la statica; e necessità intellettuale: l’apparato teoretico a cui fanno riferimento e verso cui tendono. Nella prima parte del presente studio ci si propone di effettuare una lettura sinottica dei testi sacri alla luce delle interpretazioni patristiche che offrono nella descrizione dei luoghi sacri o simbolici, riferimenti sia di tipo metrico, sia di tipo geometrico. Alla luce delle interpretazioni esegetiche e teologiche dei testi citati, ci si interrogherà sulla natura del cubito biblico e la valenza che bisogna dare alle sue diverse aggettivazioni: geometrica, mensoria e simbolica. Ciò detto, il presente lavoro non ha la pretesa di dare una risposta alla domanda introdotta ma aspira a rintracciare la giusta via che permetta al fine, di ricomprendere quali grandi intuizioni abbiano consentito la realizzazione di mute testimonianze che ancora oggi ci attraggono e ci indicano l’esistenza di un trascendentale immutabile: la bellezza4.

Hany J., 1996, p.11-13. “Primimente abbiamo considerato che l’edificio è un certo corpo fatto, siccome tutti gli altri corpi, di disegno e di materia: l’uno si produce dall’ingegno, l’altro dalla natura; onde all’uno si provvede con applicazione di mente e di pensiero, all’altra con apparecchiamento e sceglimento. Abbiamo dipoi ancora considerato, che né l’uno, né l’altra da per se non è bastante, senza la mano d’un esercitato artefice, che sappia far componimento della materia con debito disegno” (Alberti, 1786, p. XXIV [1450]). 3 Cfr. Olismo di Smuts J. 2000. Il temine viene coniato da Smuts nel 1927 nel testo Holism and evolution. 4 “pulchra dicuntur quae visa placent” (Tommaso, 1951, I,5,4 ad 1 [1265-1263]). 1 2


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Il cubito nei testi sacri

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prima dell'anno zero

Come gli studi di settore ci indicano1: se i testi vetero testamentari appartengono al periodo postesilico (VII e il VI secolo a.C.); è altrettanto vero che essi riflettono direttamente, dal punto di vista storico, la teologia sacerdotale del Tempio restaurato di Zorobabele2. Il nostro compito è quello di studiare il pensiero teologico, come la scrittura ce lo presenta, ovvero una dottrina ispirata per farci conoscere il disegno di Dio quale venne rivelato e attuato al tempo dei patriarchi. In tale lavoro, tuttavia, la chiave di lettura utilizzata non è quella classica dello studioso di teologia, ma proveremo ad affrontare il percorso secondo l’ottica pragmatica di uno studioso del disegno dell’architettura e più precisamente dell’architettura classica e medievale, più avvezzo a rintracciare il progetto partendo dal manufatto storico. Una breve annotazione, nell’economia del presente lavoro, va eseguita in ragione del fatto che per il periodo storico indicato siamo in presenza di manufatti edilizi più o meno complessi ma perlopiù privi di testimonianze relative al progetto; al contrario per quanto riguarda la narrazione biblica si ha una descrizione, a volte minuziosa, di un progetto senza più il manufatto. Per garantire comunque un corretto approccio di tipo teologico ci affideremo nella trattazione dei temi studiati ai più noti testi di esegesi che possano guidarci in una corretta interpretazione, fissando gli argini interpretativi di riferimento dettati dai Padri della Chiesa. L’Arca di Noè Il primo progetto di cui ci giunge ampia trattazione riguarda la costruzione dell’Arca di Noè. 14 Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. 15 Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. 16 Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore (Gen 6,14-16)3.

Cfr. Yves Congar, 1994, p. 18. Zorobabele figlio di Sealtièl, governatore della Giudea e di Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote, inizia la ricostruzione del tempio dopo l'esilio babilonese nel 536 a.C. La costruzione terminerà nel 520 a.C. 3 Tutte le citazioni bibliche, se non diversamente specificato fanno riferimento all’edizione Cei della Bibbia consultabile online sul sito <www.vatican.va>. 1 2


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fig. 1 Basilica Cattedrale di S. Maria Nuova, Monreale. Mosaico della navata centrale raffigurante l’arca di Noè, anonimo siculo-bizantino, secolo XII.

Origene di Alessandria4, agli esordi del III secolo, cita il frammento biblico in questi termini:

pagina a fronte fig. 2 ricostruzione proporzionale dell'Arca di Noè (Gen 6-7)

E il Signore disse a Noè: Il tempo di ogni uomo è venuto davanti a me, poiché la terra è stata riempita di iniquità da parte loro; ed ecco, io distruggerò loro e la terra. Fatti dunque un’arca di legni quadrati, nell’arca farai dei nidi, e la spalmerai di bitume di dentro e di fuori. E farai l’arca così: combinando la sua lunghezza di trecento cubiti con la sua larghezza di cinquanta cubiti e la sua altezza di trenta cubiti, farai l’arca, e in alto la completerai per un cubito. Farai poi all’arca una porta laterale; la parte inferiore [la farai] a due scompartimenti, la parte superiore a tre (Origene, 1976 [III d.C.]).

Sebbene nell’immaginario collettivo l’Arca di Noè assuma l’immagine di un’imponente nave parallelepipeda, capace di galleggiare sulle acque del diluvio universale, Origene, poche righe dopo, offre una descrizione più facilmente paragonabile ad un colosso ad impianto piramidale culminante fino allo spazio di un cubito. L’argomentazione logica è legata al più agevole deflusso delle acque piovane e alla maggior ‘stabilità quadrata’. A tale forma associa poi una distribuzione gerarchica nella collocazione degli anima“[…] la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi”: Benedetto XVI, udienza generale del 25 aprile 2007, <http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20070425. html> (10/18).

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li e delle funzioni, dedicando la porzione più alta all’alloggio degli uomini, “poiché essi, per l’onore e la ragione, sono al di sopra di tutte le cose”5. Si tratta in effetti di un patto tra Dio e l’uomo finalizzato alla salvezza dell’uomo stesso e suggellato con la costruzione dell’Arca: “Noè eseguì tutto; come Dio gli aveva comandato, così egli fece” (Gen 6, 22). Noè è chiamato a realizzare il progetto di Dio dell’Arca. Va da sé che l’alleanza che Dio istaura con l’uomo, in questo caso, prevede un percorso di costruzione spirituale che l’uomo deve compiere sotto stretto dettame di Dio e così farà Noè. Costruisce l’Arca, non un’arca! ma esattamente quella che Dio ha progettato arrivando a definirne misure e composizione. Nella versione biblica riportata da Origene si parla poi di legni quadrati6, che puntualizza: “Quadrato è quel che non vacilla da nessuna parte, ma ovunque lo rivolti, sta saldo di una stabilità sicura e forte”. Il padre apostolico riporta quindi l’avviso per cui tali legni sono nuovamente legni spirituali, per cui nella Chiesa essi sono i dottori, i maestri, i custodi zelanti della fede “i quali, all’interno, confortano il popolo con la parola dell’ammonimento e la grazia della dottrina, e insieme, con la potenza della parola e la grazia dello spirito resistono a quanti attaccano dal di fuori […] che sollevano i flutti dei problemi e le tempeste delle dispute”. Dalla ricostruzione geometrica del progetto dell’arca, la prima osservazione ricade sui rapporti proporzionali. Nella seguente trattazione i rapporti 1:1,2,3,4,5... saranno definiti semplici o naturali per essere distinti dagli altri rapporti numerici armonici. Ciò in ragione del fatto che dimostreremo la stretta relazione che intercorre tra questi e la musica, rimandando la trattazione specifica alla fine della presente sezione. La descrizione di genesi configura una pianta in rapporto 1:6, una sezione longitudinale in rapporto 1:10 e un prospetto frontale in rapporto 3:5 (fig.2). Per la pianta e l’alzato si evidenzia un rapporto proporzionale 5 6

Cfr. Origene, 1976 [III d.C.]. Diversamente la bibbia Cei riporta “legni di cipresso”.

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semplice, che equivale a dire che la misura più piccola è modulo della misura più grande poiché la seconda contiene la prima un numero finito di volte. Aprendo una piccola digressione sul significato musicale dei rapporti numerici, osserviamo che per l’alzato si evidenzia invece un rapporto proporzionale armonico che in termini musicali prende il nome di ‘sesta maggiore’ ed in termini matematici rappresenta un rapporto irrazionale molto vicino al rapporto aureo comunemente indicato con φ. Numerologicamente parlando Origene chiarisce: “Trecento è tre volte il numero cento, e il numero cento appare sotto ogni riguardo pieno e perfetto” portando come riferimento Luca (15, 4-5) e Matteo (18, 12-13). E poiché il ‘cento’ è centesimo per grazia ricevuta (la pecora “che per ignoranza era caduta dai cento” sarà salvata dal buon pastore, allegoria del Signore Dio) “non sussiste da se stesso ma procede dalla Trinità” e per questo viene stabilito triplicato7. Cinquanta è il numero sacro alla remissione e al perdono, infatti al cinquantesimo anno avveniva la remissione (Cfr. Lv 35) e quindi è la misura in cui Dio “libera dalla perdizione il genere umano”. Trenta è invece un numero che racchiude un mistero simile al trecento che è dato dal tre volte dieci. Tutta la costruzione sarà poi riportata all’Uno “poiché Uno è Dio Padre, dal quale tutte le cose furono create, e uno il Signore, e una è la fede della Chiesa, uno il battesimo, uno il corpo e uno lo spirito, e tutte le cose concorrono al fine unico della perfezione di Dio”. La scienza geometrica Riportiamo un frammento di Omelia II che offre alcuni interessanti spunti di riflessione sull’uso del cubito in senso metrico. La trattazione era mirata alla confutazione di tutte quelle teorie che si opponevano all’effettiva possibilità che l’arca di Noè potesse contenere tutte le specie animali in coppie da due o da sette, più tutte le scorte per poter sopravvivere all’interno dell’arca: Dicevano dunque gli antichi che Mosè, il quale, secondo la testimonianza della Scrittura, era stato allevato in tutta la sapienza egiziana (At 7,22), mise a questo punto il numero dei cubiti secondo la scienza geometrica, nella quale gli egiziani sono particolarmente abili. Per i geometri, infatti, secondo il valore che nel loro linguaggio si chiama potenza, da un solido e quadrato l’uno corrisponde a sei cubiti, se è considerato in modo generale, e a trecento se inteso minutamente. E se si tiene conto di tale valore, nella misura di quest’arca si troveranno spazi così grandi in lunghezza, da poter contenere i germi di rigenerazione di tutto il mondo, e le semenze di tutti gli esseri animati (Origene, 1976 [III d.C.]). 7

Cfr. Origene, 1976 [III d.C.].


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La lettura non permette una comprensione immediata del testo, che per alcuni tratti risulta oscura. Tuttavia una prima analisi permette di comprendere che secondo Origene le dimensioni dell’arca sono da intendere, “secondo la scienza geometrica”, proporzionalmente, fino a sei volte più grandi “secondo il valore che nel loro linguaggio si chiama potenza”. Ciò dipenderebbe dall’equivalenza secondo cui l’‘uno’ corrisponde a sei cubiti “se considerato in modo generale”8. Sebbene questa affermazione necessiti di approfondimenti ci risulta subito più comprensibile la seconda affermazione per cui se consideriamo l’‘uno’ in maniera minuta corrisponde a trecento. Siamo infatti informati dagli studi di settore9 che esiste una equivalenza ben precisa per cui il cubito reale cubo egiziano (meh suten) corrisponde al volume di 300 hin10. L’impressione che ne deriva dalla trattazione di Origene è che in ogni caso la codificazione di tale unità di misura, in rapporto alla trattazione biblica, evidenzia un intento mistagogico che prevale sull’effettiva necessità di quantificarne la lunghezza. L’Arca dell’Alleanza Il secolo XIII a.C. viene comunemente identificato come il periodo della nascita del tempio mobile o mosaico11. È il periodo dell’ultimo esodo, in cui Dio appare a Mosè nel deserto e sulla cima del monte rivela il suo piano di salvezza e chiede al popolo di Israele di realizzare il suo progetto: 8 Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. 9 Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi (Es 25, 8-9).

Mosè stesso utilizzerà due termini molto espressivi per parlare della rivelazione12: alleanza e legge. Ancora una volta Dio stabilisce un patto di salvezza con l’uomo che si attua attraverso l’osservanza da parte dell’uomo dei suoi dettami, ma questa volta non offre un mezzo fisico per una salvezza corporale. L’offerta è ancora più alta; non offre semplicemente una ‘terra promessa’ in cui vivere lontani dalle oppressioni della schiavitù egiziana, piuttosto promette la sua presenza fra gli uomini in un periodo di tempo continuato che aveva una forte assonanza con la garanzia di una protezione divina da ogni male. 8 È possibile che l’equivalenza sia da leggere secondo il rapporto 1 canna=6 cubiti, da cui “secondo la scienza geometrica” il progetto sarebbe stato descritto in canne. Tale ipotesi ritroverà conferma nella descrizione del tempio futuro. 9 Cfr. Segrè, 1918, pp. 18-19. 10 Il testo prosegue: “e (corrisponde a) 2/3 di cubito reale cubico formato da Khar, che a sua volta si divide in 5 quadrupli hekt, 20 hekt e 200 hin, cosicché dal cubito reale di mm. 524,9 si ricava direttamente un cubito cubico di litri 145,56”. 11 Il periodo storico è legato alla ricostruzione storica della vita di Mosè. 12 Evidenziamo che si tratta ancora di una rivelazione mediata.

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pagina a fronte fig. 3 Ricostruzione geometrico proporzionale dell'impianto del Tempio mosaico (Es27).

L’intera storia dei libri dei Giudici e dei Re, ripresa e rispiegata nelle Cronache, mostra appunto che la terra come tale, presa in se stessa, resta ancora un bene indeterminato, che diventa vero bene, vero dono della promessa compiuta solo se vi regna Dio13.

Per far si che tale promessa abbia compimento “manifesta la sua volontà nelle dieci sante parole (Es 20) e stabilisce con Mosè l’alleanza (Es 24), che si concretizza in una forma minuziosamente regolata di culto”14. In una visione cristologica della nuova alleanza, appare molto espressiva l’immagine di Dio che guida il suo popolo verso la salvezza attraverso la mediazione di Mosè prima e promette di attuare la sua presenza e consolidarla con la costruzione della ‘Dimora’15. Analogamente possiamo leggere, nel Nuovo Testamento questa mediazione quando sorgerà la Chiesa, nel passaggio dall’età apostolica all’età postapostolica. Inoltre, quando la nube copre la tenda del convegno (Es 40, 34-35) osserviamo che nemmeno Mosè poté entrare, sancendo il passaggio dalla mediazione di Mosè all’istituzione del Tempio16. Riguardo l’effettiva presenza di Dio nella Dimora non è corretto parlare di un luogo capace di contenere tutta la gloria di Dio ma si tratta piuttosto di un luogo di trascendenza in cui Dio si rivela all’uomo. L’unione tra il tempio le la presenza di Dio è un’unione ancora “di tipo Nestoriano, cioè una presenza senza unione ontologica”17. L’idea di ‘abitazione’ si lega quindi ad un luogo preciso e si differenzia dall’idea di ‘presenza’ come può essere oggi inteso nella definizione di Chiesa in cui Dio si manifesta nella sua pienezza. Come anticipato il testo sacro riflette la teologia sacerdotale del Tempio restaurato di Zorobabele18, in tale ottica comprendiamo come la descrizione della tenda rispecchi le stesse gerarchie spaziali che troveremo nel tempio di Davide e di Salomone. Dall’esterno l’accesso al Santo dei Santi è mediato da tre livelli successivi di cortine. Il primo livello prende il nome di Recinto della Dimora, copre un’area di 50 cubiti per 100 cubiti, si struttura su colonne con basi di rame, uncini d’argento e teli di bisso ritorto (fig.3). La descrizione riporta ogni 5 cubiti di stoffa l’installazione di una colonna: 20 sul lato settentrionale, 20 sul lato meridionale, 10 sul lato occidentale e altrettante su quello orientale con l’accortezza di differenziare l’accesso, con l’utilizzo di una “cortina di venti cubiti, lavoro di ricamatore” (Es 27, 16). Ratzinger J., 2001, p. 13. Cfr. Ratzinger, 2001., p. 13. I passi in cui si esprime la tradizione sacerdotale, essendo relativamente tardivi, fanno riverberare sulla tenda del deserto una teologia levitica del Tempio. Cfr: Yves Congar, 1994, p. 27. 16 Cfr. Yves Congar, 1994, p. 21. 17 Cfr. Yves Congar, 1994, p. 30; Newman, 1943, pp.32 s. 18 Cfr. Yves Congar, 1994, p.18. 13 14 15


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fig. 4 Ricostruzione geometrica e sviluppo dei teli della Dimora del Tempio mosaico.


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Proporzionalmente si parla di un rapporto semplice 1:2 in cui la perfezione del numero 100 e il significato del numero 50 si ripropongono secondo quanto già enunciato da Origene per l’arca di Noè. Cinque invece sembra essere la scansione generale per cui anche l’altezza del recinto è in rapporto diretto semplice con le altre due dimensioni planimetriche (1:10 e 1:20). Il numero 5 assume una valenza mistica soprattutto in senso Cristologico; Sant’Agostino afferma che esso “aliquid insinuant sacramenti”19, già nell’Antico Testamento significando il Pentateuco, la ‘Legge’. Penetrando all’interno del ‘Recinto’ vi si trova la ‘Dimora’ preceduta dall’altare degli olocausti e dalla vasca delle abluzioni. L’altare degli olocausti si compone secondo un impianto quadrato di 5 x 5 e alto 3. Proporzionalmente la pianta si compone secondo il rapporto semplice 1:1 mentre i due prospetti secondo il rapporto armonico 3:5, come avevamo già osservato nella trattazione dell’Arca di Noè. Si ripropone dunque la scansione modulare in base 5 già utilizzata per il recinto della dimora e riguardo l’altezza il 3 che nella tradizione giudaica, numerologicamente è legato alla resurrezione: 1Re (17, 21) Si distese tre volte sul bambino ed invocò il Signore: “Signore mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo”.

Tre è numero sacro per eccellenza in diversi ambiti culturali per aver definito l’universo diviso in tre parti. Il tre domina la liturgia. Per Sant’Agostino il tre riguarda l’anima a causa del triplice modo di amare Dio: con il cuore, con lo spirito e con la mente20. La ‘Dimora’21 rappresenta la seconda cortina, misura cubiti 20 x 60 ed è alta cubiti 20. Proporzionalmente i rapporti risultano ancora essere semplici: in pianta e sezione 1:3 e in prospetto 1:1. Volumetricamente è come se fossero tre cubi accostati. Ricompare la simbologia del numero tre. La stessa dimora è coperta da 10 teli lunghi 28 cubiti nella parte che guarda l’interno e di 11 teli di pelo di capra, lunghi 30 nella parte esterna che protegge dalle intemperie (figg. 4-5). Dieci teloni poiché dieci sono i comandamenti della legge […] il telone deve avere ventotto cubiti di larghezza. Ora questo numero, poiché è un multiplo di sette, ha un senso allegorico quando dice che la larghezza del telone dev’essere di quattro cubiti. Infatti quattro per sette fa ventotAugustinus, Esposizione discorso al Popolo, commento a Salmo 143, <https://www.augustinus.it/italiano/esposizioni_salmi/index2.htm> (10/18). Cfr. Dt 6, 5; Mt 22, 37; Testa, 1981, p. 7. 21 Il termine mishkan = dimora è stato tradotto nella versione latina della Vulgata di S. Girolamo con il termine tabernaculum (= tenda), da cui deriva il termine italiano più corrente di tabernacolo. 19 20

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to. Questo numero inoltre è anche perfetto, poiché come il sei risulta composto dei suoi divisori22.

Osserviamo inoltre che il 28, oltre ad essere la costante delle fasi lunari, è un numero particolare per essere la somma dei primi sette numeri naturali (1+2+3+4+5+6+7), una caratteristica che diviene estremamente interessante per i pitagorici, risulta infatti essere un numero perfetto poiché la somma dei suoi divisori (escluso il numero stesso) è uguale al numero. I divisori del 28 sono: 1, 2, 4, 7, 14 da cui 28= 1+2+4+7+14. (Es 26, 7) E farai dei teli di pelo per coprire la tenda; farai undici teli. Questi teli sono tessuti di pelo, cioè di pelo di capra e si dice che sono undici. Nei peccati evidentemente v’è una trasgressione. La trasgressione è simboleggiata proprio dal numero undici poiché travalica il numero dieci, cioè la legge (Gal 3, 19). Ecco perché undici moltiplicato per sette fa settantasette: con questo numero il Signore volle indicare la remissione di tutti i peccati, dicendo: [Dovrai perdonare] non solo sette volte, ma settanta volte sette (Mt 18, 22); altrettante generazioni si trovano in Luca quando, parlando del battesimo del Signore risale il corso dei tempi e arriva, passando per Adamo, fino a Dio (Cfr. Lc 3, 23-38). Per lo stesso motivo questi teloni sono simboli dei peccati, perché vengano manifestati nella confessione e vengano cancellati mediante la grazia del perdono conferita alla Chiesa, cioè siano coperti; per conseguenza è detto: Beati coloro ai quali sono rimesse le colpe e i peccati dei quali sono coperti (Sal 31, 1). La Scrittura poi comanda di coprire quei teloni con pelli di montone tinti di rosso robbio. Orbene, alla mente di chi non si presenta che il montone tinto di rosso robbio è Cristo coperto di sangue a causa della sua passione? Da queste pelli sono simboleggiati anche i santi martiri, mediante le preghiere dei quali Dio perdona i peccati del suo popolo. Infine su queste pelli se ne stendono ancora altre di colore di giacinto che mediante il colore verde — immagine, per così dire, di un vigore eterno — simboleggiano la vita eterna23. 108.

pagina a fronte fig. 5 Ricostruzione geometrica in pianta, prospetto e sezione della Dimora del Tempio mosaico con l'inserimento dei principali arredi.

La terza cortina è rappresentata dal velo retto da quattro colonne il quale delimita il Santo dei Santi e contiene l’Arca e il Propiziatorio. L’Arca e i suoi cherubini24 alati erano considerati il trono di Dio (1Sam 4, 4). Pertanto l’Arca aveva un duplice fine: 1. custodire il decalogo e quindi essere un costante ricordo dell’Alleanza del Sinai; 2. essere il trono di Dio quando manifestava se stesso al suo popolo e lo confortava con la sua continua presenza. Le misure dell’‘Arca’ dovevano essere (1+1/2) x (2+1/2) x (1+1/2), ovvero proporzionalmente 3:5 la base e il prospetto, e 1:1 il prospetto laterale. Anche il ‘propiziatorio’ come Augustinus, Questioni sull’Ettateuco, Libro II: Questioni sull’Esodo, 107, <http://www.augustinus.it/italiano/ questioni_ettateuco/index2.htm> (10/18). Augustinus, Questioni sull’Ettateuco, Libro II: Questioni sull’Esodo, 108, <https://www.augustinus.it/italiano/ questioni_ettateuco/quest_ettateuco_2.htm> (10/18). 24 Osserviamo che Kerub vuol dire sfinge, e confermerebbe quanto detto da Origene (1976 [III d.C.]) riguardo il climax culturale da valutare in relazione a Mosè, ovvero l’ambiente egiziano. 22 23


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Arca della testimonianza

Tavola dei pani e della presentazione

Altare dei profumi

fig. 6 Ricostruzione geometrica nelle tre viste prospettiche dei principali arredi della Dimora del Tempio mosaico.

per la base ed il prospetto misura 1+1/2 ed è quindi in un rapporto 3:5. Come per l’arca di Noè e come per l’altare degli olocausti si ripropone un rapporto armonico di sesta maggiore. Quando non viene utilizzato il rapporto proporzionale semplice (1: 1,2,3…) il rapporto armonico 3:5 parrebbe quindi essere privilegiato nella scelta della composizione proporzionale dei ‘progetti divini’ (sembra quindi avere un rapporto molto stretto con il trascendente). Sempre rapporti armonici sembrano relazionare le dimensioni degli arredi della dimora. All’interno della Dimora si colloca l’altare dei pani, il candelabro e l’altare dei profumi. L’altare dei pani (1x2x1,5) ha una pianta in rapporto semplice 1:2, il prospetto frontale 3:4 ed il prospetto laterale 2:3. Il candelabro è prevalentemente riconducibile al numero 7 per il numero dei bracci mentre l’altare dei profumi (1x1x1.5) riporta una pianta in rapporto semplice 1:1, e i due prospetti tipo in rapporto armonico 2:3 (fig. 6). Il Tempio di Salomone Dopo l’esodo seguirà il periodo dei Giudici e della sedentarizzazione. L’Arca sarà conservata prima a Bethel (Gdc 20, 27), la ritroveremo poi a Silo25, dove gli israeliti andranno a prenderla come palladio in ricordo della vittoria nel passaggio del Giordano e della presa di Gerico (1Cr 13, 3). Non esiste ancora l’idea di un santuario unico e si offrono sacrifici in posti differenti26,

Silo fu capitale di Israele prima del trasferimento della stessa a Gerusalemme. Il suo sito è presso Khirbet Seilun, in Cisgiordania, 16 km a nord dell’insediamento israeliano di Beth El. Citata nella Bibbia, come un importante centro in cui veniva collocata l’arca dell’alleanza, prima che questa fosse trasferita a Gerusalemme 26 Cfr. Yves Congar, 1994, pp. 13 s. 25


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non solo, la religione israelita è ancora di tipo enoteista27, per cui i templi giudaici prendono il posto di quelli pagani riconoscendo a quel dato luogo una qualità trascendentale in cui il divino si è manifestato. Si dovrà aspettare Davide perché l’idea di una fissa dimora per l’Arca diventi oggetto di attenzione (1Cr 17, 1). La costruzione del primo Tempio di Gerusalemme viene fatta risalire dagli studiosi al 622 a.C. Storicamente Salomone, figlio di Davide, sembra compiere la profezia di Natan secondo la quale non doveva essere Davide a costruire una ‘casa dove dimorare’ (nel senso di tempio) al Signore ma viceversa il Signore stesso avrebbe creato una ‘casa’ a Davide (nel senso di discendenza). Quando i tuoi giorni saranno finiti e te ne andrai con i tuoi padri, susciterò un discendente dopo di te, uno dei tuoi figli, e gli renderò saldo il regno. 12 Costui mi costruirà una casa e io gli assicurerò il trono per sempre (1Cr 17, 11-12). 11

Ancora una volta le sacre scritture riportano una descrizione accurata della costruzione28, offrendo come canone il cubito (1Re; 2Cr). Il tempio costruito dal re Salomone per il Signore, era lungo sessanta cubiti, largo venti, alto trenta. 3 Davanti al tempio vi era un atrio lungo venti cubiti, in base alla larghezza del tempio, ed esteso per dieci cubiti secondo la lunghezza del tempio (1Re 6, 2-3). 2

Dall’analisi geometrica si evidenzia nuovamente la consuetudine a privilegiare rapporti proporzionali semplici. La pianta è 60 x 20 cubiti in un rapporto 1:3; il prospetto laterale 60 x 30 cubiti in un rapporto 1:2 mentre il prospetto principale abbandona nuovamente il rapporto naturale per privilegiare un rapporto armonico 2:3 da 20x30 cubiti (fig. 6). Si riconferma la regola del rapporto armonico per gli alzati. Planimetricamente lo spazio sacro, rispetto alla tenda mosaica, quadruplica la metratura raddoppiando le misure lineari. Si mantiene anche in questo caso una sorta di doppia cortina: infatti i due teli di bisso e di pelo di capra progettati per la tenda vengono sostituiti da una doppia cortina di murature. 6 Il piano più basso era largo cinque cubiti, quello di mezzo sei e il terzo sette, perché le mura esterne, intorno, erano state costruite a riseghe, in modo che le travi non poggiassero sulle mura del tempio. 7 Per la sua costruzione si usarono pietre lavorate e intere; durante i lavori nel tempio non si udì rumore di martelli, di piccone o di altro arnese di ferro (1Re 6, 6-7).

Enoteismo: s. m. [comp. del gr. εἷς ἑνός “uno” e ϑεός “dio”]. – Atteggiamento religioso di chi, nel fervore dell’adorazione di una divinità, la invoca e la celebra come unica, senza arrivare per questo a una vera e propria concezione monoteistica. <http://www.treccani.it/enciclopedia/enoteismo/> (10/18) 28 Osserviamo che Salomone chiede al re Hiram di Tiro il materiale da costruzione (2Cr 2, 13). In questo caso, nell’ottica di voler rintracciare l’ambito culturale di derivazione del cubito, l’espressione compositiva deve essere riferita all’ambito delle maestranze che provengono da Tiro. 27

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fig. 7 Ricostruzione geometrico proporzionale del tempio di Salomone (1Re, 2Cr).

Differentemente dalla tenda mosaica si aggiungono due nuovi elementi architettonici: il vestibolo e le due colonne Iachim e Boaz. Per quanto attiene al vestibolo esso risulta molto marcato, si struttura come una sorta di torre che si imposta su una pianta di cubiti 10 x 20 (1:2) e si sviluppa verticalmente secondo un prospetto laterale di 10 x 120 (1:12) e uno frontale di 20 x 120 (1:6); Sicuramente l’eccezionale altezza di 120 cubiti evoca le 12 tribù di Israele moltiplicate per 10029, prefigurazione di ciò che saranno i 12 apostoli per la chiesa cristiana. Riguardo le due colonne, queste vengono decritte, in 1 Re (7,15), alte 18 cubiti con circonferenza 12 diversamente dalla descrizione presente in 2 Cronache (3,15) dove risultano alte 35 cubiti30. Come per il tempio mosaico, al cospetto del tempio sarà collocato l’‘altare degli olocausti’ e il così detto ‘mare di bronzo’ per le abluzioni. 29 30

Crf. quanto già detto da Origene, 1976 [III d.C.]. Si osserva nel secondo caso una corrispondenza con la proporzione dell’ordine architettonico dorico.


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Il Tempio Futuro Se da una parte la costruzione del tempio di Salomone era stata vissuta da Israele come il compimento della profezia di Natan, dall’altra Geremia aveva preannunciato la distruzione della ‘casa’ di Davide (Ger 21-22) e la nascita da Davide di un germoglio autentico che avrebbe dato infine compimento alla profezia (Ger 23, 5). Nel 586 Nabucodonosor brucia il tempio e brucia l’Arca, gli ebrei fuggono in esilio a Babilonia. La mancanza del tempio viene compensata nel culto ebraico dalla sacralizzazione del tempo (il sabato) e dal sacrificio della persona (circoncisione)31. Non manca tuttavia la speranza del tempio futuro, che è legata profondamente alla visione del profeta Ezechiele. Nel Midrash Tanchuma è riportato questo dialogo tra il Signore, Hashem ed Ezechiele, Yechezkel: Yechezkel disse: “Sovrano dell’Universo! Perché mi dici di andare a parlare ad Israele della forma del Tempio? […] Ora essi sono in esilio nella terra dei loro nemici. C’è forse qualcosa che possono fare? Lasciali stare finché non ritorneranno dall’esilio, poi andrò ad informarli [della visione]”. Dio rispose: “La costruzione della Mia Casa dovrebbe forse essere ignorata perché i miei figli sono in esilio?”. Dio dichiarò: “Lo studio del progetto del Tempio equivale alla sua effettiva costruzione. Vai da loro e comanda di studiare la forma del Tempio. Come ricompensa per questo studio e per il loro impegno, io farò come se avessero davvero costruito il Tempio!”32.

Nei capitoli 40-48 del libro di Ezechiele, viene data una descrizione particolarmente dettagliata del nuovo Tempio di Gerusalemme. Si tratta di una delle descrizioni più enigmatiche di ogni tempo. La ricostruzione è controversa per la difficoltà oggettiva di riuscire a far combaciare la somma delle parti enumerate in rapporto ai totali che intervallano le descrizioni. Tutto viene enumerato e descritto utilizzando una corda di lino e una canna da 6 cubiti, di un cubito e un palmo ciascuno (Ez 40, 5). Dalla descrizione ne risulterebbe una costruzione di forma quadrata che copre un invaso di 500 cubiti per 500 cubiti33. Tuttavia quando l’angelo misura i quattro lati del tempio, esso risulta essere 500 canne da misura per 500 (Ez 42, 20), ovvero 3000 cubiti per 3000. In generale se ne enuclea la disposizio-

La sinagoga nasce come scuola e luogo giuridico, solo tardivamente (tra IV e III secolo a.C.) diverrà luogo di culto. Cfr. <http://www.ritornoallatorah.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=367:ezechielee-il-tempio&catid=53:aneddoti&Itemid=92> (10/16). 33 Secondo quanto già evidenziato nell’analisi del testo esegetico di Origene il cubito utilizzato “secondo la scienza geometrica […] Per i geometri, infatti, secondo il valore che nel loro linguaggio si chiama potenza, da un solido e quadrato l’uno corrisponde a sei cubiti, se è considerato in modo generale”. 31 32

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fig. 8 Ricostruzione geometrico proporzionale del Tempio futuro descritto da Ezechiele.

ne secondo uno schema concentrico noto col nome di triplice cinta (fig. 8). In sostanza si aggiunge un quarto livello di accessi al tempio mosaico così da avere l’aggiunta di un secondo cortile che immette all’area antistante il Tempio34. Si tratta dell’ultima descrizione di un progetto divino conservata nell’Antico Testamento. Il Tempio Restaurato II Tempio di Ciro: 515 a.C. 3 Nell’anno primo del re Ciro, il re Ciro prese questa decisione riguardo al tempio in Gerusalemme: la casa sia ricostruita come luogo in cui si facciano sacrifici; le sue fondamenta siano salde, la sua altezza sia di sessanta cubiti, la sua larghezza di sessanta cubiti (Esd 6,3).

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Cortile che nel tempio di Erode prenderà poi il nome di cortile delle donne.


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Di tale ricostruzione i testi sacri non riportano molti dettagli costruttivi, si tratta in effetti di ricostruire non più un progetto divino ma un progetto storico35. In tale ottica alcuni dettagli ci giungono dalla Mishnà e dalla testimonianza dello storico ebreo Giuseppe Flavio (Gerusalemme, 37 circa – Roma, 100 circa) il quale riportando le parole del re Ciro scrive: A giudei abitanti ne’ miei paesi ho permesso, se vogliono, che rinvenuti alle patrie loro terre rimettano la città nel suo stato, e rifacciano il tempio di Dio in Gerusalemme, in quel luogo medesimo, ov’era prima. Con esso loro ho spedito il mio tesoriere Mitridate e Zorobabele principe de’ Giudei, perché gettino i fondamenti del tempio, e all’altezza il conducano di sessanta cubiti, e in largo altrettanto (Flavio, 1846, Vol.I, p.695 [94]).

Osserviamo che il tempio del 515 a.C. non è più custode dell’Arca dell’Alleanza, ne tanto meno può essere ricordato come il Tempio di Davide. Tale appartenenza fu infatti tanto cara agli Ebrei per la profezia biblica in cui si annunziava: Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno.13 Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno.14 Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio (2 Sam 7, 12-14). 12

Il tempio di Salomone era dunque per gli ebrei la garanzia che la profezia aveva trovato il suo compimento ma la sua distruzione doveva essere ancora compresa. Repressioni di Antioco IV (215 a.C. - 164 a.C.) Con la salita al potere di Antioco IV epifane inizia il periodo della grande repressione religiosa. Il sovrano dell’impero seleucide intraprese il progetto di ellenizzare la città di Gerusalemme, profanando il tempio ebraico con l’aggiunta ti altari pagani, proibì la circoncisione, di festeggiare il sabato e di fare sacrifici. Gli ebrei ritirano il culto all’interno delle abitazioni. I sacerdoti di Gerusalemme si ritirano a Qumram sostituendo il sacrificio cruento con il sacrificio delle labbra. Sarà Giuda Maccabeo a combattere Antioco e a riconsacrare il tempio. Il Tempio di Erode Verso il 19 a.C. Erode il Grande mise mano ad un rinnovamento e a un ampliamento importante del Secondo Tempio. Il monumento risultante viene talvolta chiamato Tempio di Erode36. I lavori, comprensivi di tutte le diverse parti, terminarono nel 64 d.C., solamente sei anni prima della sua definitiva distruzione. Per la ricostruzione storica confronta: Bahat, 2011, p.34. Sebbene quello di Erode fosse in realtà il terzo tempio, esso è considerato tradizionalmente come facente parte dell’epoca del secondo Tempio, considerandolo moralmente tutt’uno col Tempio dei reduci dall’esilio babilonese.

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fig. 9 Ricostruzione di Gerusalemme al Tempo di Erode, tratta da Bahat, 2012.


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Di tale Tempio Giuseppe Flavio riporta: Levati addunque gli antichi fondamenti e rimessine altri, innalzò sopra quegli il Tempio, cento cubiti lungo, e alto venti di più, i quali per lo calare che fecero abbasso col tempo le fondamenta, perdettersi; ma i nostri sotto l’imperatore Nerone determinarono di rialzarli. Costruito addunque fu il Tempio di pietre bianche e forti, grandi ciascuna venticinque cubiti per lo lungo, per l’alto otto, e incirca dodici per lo largo (Flavio, 1846, Vol. II, p.257 [94]).

Distruzione del Tempio Nel 70 d.C., sotto il comando di Tito, il tempio fu raso al suolo per la seconda volta e da allora mai più ricostruito. Ad oggi ne rimane solo il Muro Occidentale, comunemente conosciuto come il ‘Muro del Pianto’37. Con la distruzione del tempio si pose per tutta la comunità ebraica il problema della mancanza di un luogo sacro in cui fare sacrifici al Signore. In tale contesto recuperarono il filone teologico secondo cui Dio non aveva dato nessuna norma sull’olocausto e sul sacrificio38. 22 In verità io non parlai ne diedi comandi sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d’Egitto. 23 Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché

siate felici (Ger 7, 22-23).

Tale filone lo ritroveremo in san Paolo nel Nuovo Testamento. 1 Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1).

Prime considerazioni Dallo studio delle proporzioni progettuali, fin anzi analizzate, le prime osservazioni riguardano la riproposizione di alcune semplici regole. Anzitutto emerge la consuetudine a preferire rapporti proporzionali di tipo naturale e più precisamente 1:1,2,3,4,5,6,7,10,12,20. Musicalmente i rapporti interi corrispondo agli intervalli di ottava, DO-DO1 cioè in musica ha doppia frequenza, mentre linearmente misura il doppio, da questo consegue la divisione all’interno dell’ottava.Per esempio: il LA centrale ha frequenza 440 Hz, il LA posto un’ottava sopra ha frequenza 880 Hz, quello un’ottava sotto ha frequenza 220 Hz. Il rapporto tra le frequenze di due note all’estremità di un’ottava è perciò di 2 a 1. Recenti studi condotti dall’archeologo Dan Bahat hanno permesso di accedere alle fondamenta dell’attuale spianata del tempio riportando alla luce una struttura muraria i cui blocchi di pietra risultano avere le eccezionali proporzioni descritte dallo storico Giuseppe Flavio. 38 Da questo momento storico la sinagoga ebraica, nata come luogo di insegnamento, si configurerà come il nuovo luogo di culto. 37

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Nella regola si osserva poi un eccezione, man mano che ci si approssima al Santo dei Santi, gli arredi sacri adottano altre proporzioni. Il rapporto naturale si frammenta per prediligere un rapporto armonico di quarta (DO-FA) e di quinta (DO-SOL) i cui rapporti di frequenza sono rispettivamente 3/4 e 2/3 cioè 1,333… e 1,5. Solo l’Arca, sia essa quella di Noè, sia essa quella di Mosè arrivano a riportare nel prospetto principale il rapporto di sesta maggiore (DO-LA), in rapporto di frequenza 3/5, cioè 1,666…, che di tutti i rapporti musicali è quello che ha come frequenza il valore più vicino numericamente al rapporto aureo φ=1,6563…, senza in vero esprimere mai un rapporto aureo, ma tendendo al rapporto armonico. Osserviamo quindi l’infinitesima approssimazione a tale rapporto ma sempre partendo dall’utilizzo di rapporti finiti, razionali. Si individua in questo sistema una certa accortezza nel ricercare un’approssimazione al divino nella finitezza della materia che ci è data.

Tavola sinottica dei rapporti armonici Corso di Disegno dell'Architettura, Prof. Edoardo Dotto


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Non è importante il rapporto aureo in sé ma la propensione ad esso nella finitezza dei rapporti armonici che diventano espressione dell’armonia divina. La sesta maggiore sembra diventare un limite geometrico di carattere asintotico a cui tendere per l’armonia architettonica senza aver possibilità di raggiungerla in pieno. Appare quindi corretto affermare la ricorrenza dei rapporti armonici in tutte le proporzioni studiate, con un’attenzione di riguardo per il rapporto di sesta maggiore, che informano tutti gli alzati dei dispositivi architettonici e degli arredi. Alla luce di questa osservazione si può desumere che l’armonica fondamentale individua Dio e ciò che è edificato dall’uomo tende ad essa quanto più l’uomo si avvicina a Dio nella dinamica liturgica. L’organizzazione della questione armonica passa necessariamente dal cubito reale, diviso in 7 palmi, che diviene guida ineludibile del percorso aniconico dell’immagine di Dio.

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et verbum caro factum est

Nell’ambito di studio proposto, uno dei primi interrogativi che pone la lettura del Nuovo Testamento riguarda la mancanza di riferimenti numerologici al cubito. Sebbene il Nuovo Testamento rappresenti il testo più importante per la comprensione dei progetti di Dio, è altrettanto vero che il testo risulta decisamente avaro di dettagli descrittivi. In verità alla mancanza di riferimenti figurati-descrittivi corrisponde una ricchezza di contenuti di cui l’Antico Testamento aveva offerto solo una prefigurazione che qui risulta finalmente Rivelata. Per meglio comprendere il principio di continuità che esiste tra Antico e Nuovo Testamento proponiamo come chiave di lettura l’evoluzione storica del concetto di sacrificio, già affrontato nel primo capitolo nella ricostruzione del Tempio Sacro giudaico. Dal cubito alla pietra Col factum storicum inizia la storia della Chiesa: “et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine”. I primi cristiani vivono come Gesù nell’ osservanza del culto del tempio (At 24, 5-14), praticano il battesimo come rito di ammissione nel loro gruppo e celebrano il banchetto eucaristico nelle loro case come una cerimonia liturgica. 1 Dopo la distruzione del tempio ebraico nel 70 d.C. i Cristiani , come gli Ebrei, ritirano il loro culto all’interno delle mura private delle proprie case. Ne risultò che nel III secolo i cristiani vennero però accusati di ateismo: in effetti non avevano né immagini, né templi, né altari. Si dovette aspettare il 313 per l’Editto di Tolleranza. Già dal 306-307 l’imperatore Costantino riconobbe ufficialmente la nuova religione facendola diventare parte integrante del corpo di diritto pubblico. Nel 321 la domenica divenne giorno festivo settimanale dei cristiani e giorno di riposo e di culto per l’intera società. 1 Dopo la cacciata degli ellenisti da Gerusalemme, ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani (Atti 11, 26).


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fig. 10 Dura Europos, Siria. Yale University Art Gallery Domus ecclesiae.

Digressione sul tema del sacrificio Affrontiamo ora alcuni passaggi fondamentali per lo studio del culto cristiano, utili alla comprensione del passaggio dall’Antico Testamento al Nuovo Testamento e su cui cercheremo di impostare, attraverso un ragionamento speculativo, la soluzione al problema della mancanza di riferimenti numerologici al cubito veterotestamentario. Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1).

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Evidentemente nella liturgia dei primi giudei-cristiani era avvenuto un profondo mutamento che aveva stravolto il concetto di tempo e di spazio. Era intervenuto nella storia dell’uomo un evento che aveva dato alla storia della terra una prospettiva nuova in cui la Chiesa rappresentava la nuova arca di salvezza. 19 Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. 20 Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù (Gv 2,19-22).

In questi pochi versi è contenuta la profonda differenza che intercorre oggi tra il Tempio giudaico e la Chiesa cristiana, non si parla più di un luogo architettonicamente determinato ma del corpo mistico di Cristo, ossia quella speciale unione che lega i cristiani a Gesù Cristo.


et verbum caro factum est

Anche lo spazio sacro cambia, rimane il concetto di spazio sacro come luogo di trascendenza, ma non è il tempio in cui si pratica il sacrificio cruento: Dio stesso si è immolato per la salvezza dell’uomo. Non è più il luogo della Legge ma della Parola che giorno dopo giorno viene proclamata. Non è nemmeno più la casa di Dio intesa come luogo chiuso in cui il solo sacerdote può accedere una volta all’anno ma diventa casa di Dio quando due o più persone si riuniscono per pregare in suo nome (Mt 18, 20). Osservava il Santo Padre Benedetto XVI, nell’Omelia per il Corpus Domini del 2012: Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (Cfr. Ap 21, 22).

In sostanza il tempio Cristiano arriva all’unione ontologica tra tempio e presenza, cosa che come abbiamo visto non accadeva nel tempio mosaico. Nel Nuovo Testamento il corpo di Cristo, σώμα, ha tre realtà collegate tra loro: • il corpo carnale nato da Maria e dallo Spirito Santo, morto, resuscitato e asceso al cielo; • il corpo eucaristico e sacramentale; • il corpo comuniale o ecclesiale di cui i fedeli sono membra; Queste tre realtà portano lo stesso nome nella misura in cui “la prima prende forma dalla seconda per esistere nella terza”2. In questi termini il tempio spirituale ha una caratteristica corporale e concreta che si identifica con la Chiesa. Stabilito che il luogo sacro è la Chiesa stessa, intesa come popolo di Dio e come corpo mistico di Cristo, non rimarrà che dare una degna sede al luogo di incontro tra Dio e l’uomo, sede che non a caso prenderà lo stesso nome della sua Chiesa (ma nel secondo caso scritto in minuscolo). Il Corpo di Cristo Crocifisso diviene dunque categoria determinante la forma, da qui in avanti tutti i successivi dibattiti sull’opportunità di dare una forma anziché un’altra all’edificio chiesa dovranno tenere conto di queste osservazioni e attraverso i secoli soppesare le diverse accezioni e il differente valore storico ed escatologico che deve contribuire a testimoniare l’edificio chiesa. … e il cubito? Partendo da tali osservazioni, riguardo alla perdita di riferimenti espliciti al cubito, siamo propensi ad affermare che non si tratti di una vera perdita anzi possiamo intravedere nel cu2

Cfr. Yves Congar, 1994, p. 218.

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bito veterotestamentario una sorta di prefigurazione dell’idea di ‘pietra angolare’. Infatti nel Nuovo Testamento la norma di costruzione è Cristo stesso, pietra angolare. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. 11 Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.12 E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13 l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno (1Cor 3, 10-13). 10

Gli esegeti veterotestamentari, trattati nel primo capitolo, riconoscono nella costruzione dell’Arca di Noè una sorta di percorso espiatorio ricco di significati simbolici in cui il cubito è il mezzo con cui Dio informa l’uomo del suo progetto di salvezza, quasi una sorta di rito liturgico. Nello stesso modo, nel Nuovo Testamento, Cristo stesso rappresenta la salvezza dell’uomo. Si è fatto uomo perché l'uomo potesse essere salvo, ed è diventato la pietra angolare. Pietro stesso sarà pietra su cui sarà fondata la Chiesa (Mt 16, 18) e la Chiesa di ‘pietre vive’ è la nuova Arca di salvezza (1 Pt 2, 4-6). Il pastore di Erma Il pastore di Erma è un testo dei padri apostolici, del II secolo d.C., scritto a Roma al tempo di papa Pio I (140-154), molto popolare dato il ritrovamento di molti frammenti tradotti in lingua copta ed etiope. L’opera si sviluppa in forma apocalittica e risulta particolarmente efficace per la comprensione delle concezioni religioso-morali della cristianità romana del secondo secolo3 e nel nostro caso molto più per il parallelismo diretto che offre fra la figura della Chiesa e la simbologia figurativa dell’edificio chiesa, nel qual caso descritto come torre a pianta quadrata. [...] Alzando un bastone splendente, mi dice: “Vedi una cosa grande?”. Le dico: “Signora, non vedo nulla”. Mi dice: “Non vedi davanti a te una torre grande che è costruita sulle acque con pietre quadrate luminose?”. 5. In un quadrato una torre era costruita dai sei giovani4 venuti con lei. Altre miriadi di uomini trasportavano pietre dal fondo e dalla superficie e le porgevano ai sei giovani. Essi le prendevano e costruivano. 6.Situavano tutte le pietre cavate dal fondo nella costruzione poiché erano squadrate e combaciavano nella giuntura con le altre pietre. Erano così ben connesse che non lasciavano apparire la congiunzione. Sembrava che l’edificio della torre fosse come costruito con una sola pietra. 7.Delle pietre portate dalla superficie, ne scartavano alcune ed altre le mettevano in opera nella costruzione. Ne spezzavano altre ancora buttandole lontano dalla torre. 8. Molte altre pietre giacevano intorno alla torre

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Cfr. Bihlmeyer K., Tuechle, 1973, pp. 216-217. Il Figlio di Dio è anche uomo altissimo in mezzo a sei angeli (Sim. IX, 12, 7).


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e non venivano utilizzate nella costruzione. Alcune erano bitorzolute, altre avevano delle crepe, altre erano mutile, altre bianche e sferiche e non si adattavano alla costruzione. 9. Vedevo che altre pietre venivano gettate lontano dalla torre. Cadevano sulla strada e non si fermavano, ma rotolavano in luoghi impraticabili. Altre, invece, cadevano nel fuoco e bruciavano; altre cadevano vicino all’acqua e non potevano rotolarvisi, sebbene lo volessero, ed entrare nell’acqua (Hermas, 2007 [II d.C.]).

Il brano riporta in maniera diretta dei parallelismi molto intuitivi e di facile accesso per la comprensione del valore della Chiesa intesa come opera di Dio. L’anziana signora, guida della visione del pastore afferma infatti:“La torre, che vedi costruire, sono io, la Chiesa”. Segue la spiegazione del valore dell’acqua come riferimento diretto al battesimo: “La nostra vita fu salva e sarà salva mediante l’acqua. La torre è stata innalzata con la parola del nome onnipotente e glorioso ed è retta dalla potenza invisibile e infinita”. Successivamente si elencano i diversi personaggi della scena quali: i costruttori e le differenti pietre descritte. Si distinguono così due categorie di figure: •• La prima categoria, quella dei costruttori rappresenta i santi angeli di Dio creati per primi, cui il Signore affidò tutta la sua creazione per accrescerla, farla progredire e governarla. Per mezzo loro sarà mandata a termine la fabbricazione della torre (Hermas, 2007 [II d.C.]).

• Riguardo la trattazione delle diverse pietre utilizzate nel cantiere e quelle scartate segue una dettagliata descrizione: Le pietre quadrate, bianche e che combaciano con le loro congiunture sono gli apostoli, i vescovi, i maestri e i diaconi, che camminando nella santità di Dio hanno governato, insegnato e servito con purezza e santità gli eletti di Dio, quelli che sono morti e quelli che sono ancora vivi. Vissero sempre in armonia tra loro, stando in pace e l’uno ascoltando l’altro. Per questo nella costruzione della torre le loro congiunture sono giuste (Hermas, 2007 [II d.C.]).

Si evidenzia quindi il diverso livello ontologico delle figure trattate annotando naturalmente la diversità tra costruttori della torre ed elementi della torre, entrambi investiti di un ruolo attivo nella costruzione nella misura in cui ogni pietra è artefice della forma che possiede (per libero arbitrio) e per tanto è, o meno, utile all’edificazione della Chiesa. Il brano riporta anche un riferimento temporale alla costruzione, in rapporto alle pietre scartate e gettate, la ‘vecchia’ spiega: Sono coloro che hanno peccato e vogliono pentirsi; non furono gettati lontano dalla torre, poiché saranno utili alla costruzione se si pentiranno. Quelli che stanno per pentirsi, se faranno penitenza, saranno forti nella fede, purché facciano penitenza, ora che la torre è in costruzione. Quando la costruzione è finita, non avranno più posto e resteranno tagliati fuori. Ottengono soltanto di rimanere vicino alla torre (Hermas, 2007 [II d.C.]).

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pagina a fronte fig. 11 La Gerusalemme Celeste del Beatus di Liébana, F222v (Edito in Champeaux, 1997).

La Gerusalemme Celeste Se il ‘cubito’ nell’Antico Testamento è stato il mezzo con cui Dio ha comunicato all’uomo il suo progetto di salvezza, con l’incarnazione, la vita, la morte e resurrezione di Gesù Cristo, il cubito trova nella ‘pietra quadrata’ il suo compimento e questa diventa nuova immagine del progetto divino. Le ‘pietre’ nella torre della visione del pastore di Erma, non sono però pietre comuni e non solo in senso simbolico ma anche in senso figurato: sono ‘pietre quadrate’, quindi rette, ma più esattamente sono ‘pietre quadrate luminose’5. Tale aggettivazione rimanda all’immagine simbolica della Gerusalemme celeste: “Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino” (Ap 21, 11). D’altronde ciò non deve stupire se consideriamo la Civitas Dei come il fine ultimo del cammino della Chiesa6. Ricordiamo che Sant’Agostino, in contrapposizione alla filosofia pagana, organizza in modo sistematico una linea di pensiero che affida al tempo e alla storia un fine ultimo e una direzione lineare e progressiva. Tutto il mondo e la sua storia sono visti in funzione di un fine ultimo, e la Chiesa, “per sua natura estranea ai regni terreni” ha come missione quella di accompagnare gli uomini fino alla Jerusalem coeleste, nel Regnum Dei7. In questa nostra vita, carissimi fratelli, noi siamo in cammino come pellegrini, lontano dalla Gerusalemme celeste che è la patria dei santi: ce lo insegna in modo chiaro l’apostolo Paolo: “Finché viviamo nel corpo, siamo pellegrini, lontano dal Signore” (Augustinus, discorso 346/b)8.

Simbolicamente, l’Apocalisse di Giovanni rappresenta l’ultima grande descrizione figurata presente nelle Sacre Scritture: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. 2 Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii allora una voce potente che usciva dal trono:“Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro […]” (Ap 21,1-3). 1

La città simbolica ha ancora una volta forma quadrata, ma ha delle proporzioni tali che se volessimo darne l’immagine dovremmo pensare a un sesto del diametro terrestre9, “ La 5 Osserviamo che il diamante, la più preziosa delle pietre per le qualità di lucentezza e durevolezza riporta una struttura cristallina di forma cubica. 6 Cfr. Yves Congar, 1934, p.239. 7 Cfr. Sini, 1994, p.313. 8 <https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_503_testo.htm> (10/18). 9 Secondo la descrizione l’angelo misurò la città con la canna restituendo una lunghezza di dodicimila stati. Utilizzando una conversione in metri secondo cui uno stadio romano misura circa 185 metri ne deriva una lunghezza complessiva pari a 2220 km. Consideriamo che il raggio terrestre è pari a 6.371 km abbiamo un rapporto proporzionale vicino a 1/6 del diametro globale del pianeta terra.


et verbum caro factum est

città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele” (Ap 21, 12). Ritornando alla simbologia della pietra preziosa essa evoca una reale trasformazione della materia che, da minerale ed opaca come era, diventa trasparente, o per meglio dire diventa luce; tale metamorfosi dall’elemento più grezzo e più materiale (la terra, le rocce) in luce, cioè nella quint’essenza dell’elemento più leggero, più spirituale (il fuoco), simboleggia il passaggio dalla creazione dei primordi a quella nuova, quella appunto della Gerusalemme Celeste10. 10

Cfr. Champeaux, 1997, pp. 94 s.

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Il cubito come parametro spazio temporale Se il cubito nel Nuovo Testamento non viene più menzionato in riferimento ad alcuna costruzione sacra contingente (fatta eccezione per Apocalisse 21,17 in cui “le mura [del regnum Dei] sono alte 144 braccia secondo la misura in uso fra gli uomini adoperata dall’angelo”11), è pur tuttavia vero che in due dei tre vangeli sinottici (Mt 6, 27; Lc 12, 25) compare una citazione del cubito che nelle diverse versioni bibliche viene interpretata: sia nell’accezione metrico-spaziale, sia nell’accezione temporale, rispettivamente a seconda che si traduca letteralmente o a senso. Secondo il testo greco, il cubito aramaico trova il suo corrispondente nella traduzione πῆχυν ἕνα: ‘un braccio’ 12. Riportiamo di seguito i passi di Luca e Matteo nella versione greca, nella Nova Vulgata, nella traduzione italiana CEI, e in quella Diodati: Matteo 6, 27

Luca 12, 25

τίς δὲ ἐξ ὑμῶν μεριμνῶν δύναται προσθεῖναι ἐπὶ τὴν ἡλικίαν αὐτοῦ πῆχυν ἕνα;

τίς δὲ ἐξ ὑμῶν μεριμνῶν δύναται ἐπὶ τὴν ἡλικίαν αὐτοῦ προσθεῖναι πῆχυν;

Quis autem vestrum cogitans potest adicere ad aetatem suam cubitum unum?

Quis autem vestrum cogitando potest adicere ad aetatem suam cubitum?

E chi di voi per quanto si dia da fare può aggiungere un’ora sola alla sua vita?

Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?

E chi di voi, con la sua sollecitudine, può aggiungere alla sua statura un sol cubito?

E chi di voi può con la sua ansietà aggiungere alla sua statura un sol cubito

Appare qui molto significativo anche il fatto che il cubito biblico non sia trattato come un mero dato metrico spaziale ma che venga utilizzato anche come parametro temporale. A maggior riprova di quanto detto, risulta illuminante, in tale lettura, la ricerca del significato originale del termine ‘cubito’, che dall’ebraico sembrerebbe derivare dal termine ‫‘ אמה‬ammah, che letteralmente vuol dire ‘per quanto tempo’ (‫)מידת‬. Da cui si può affermare che il cubito biblico riassume in se due grandi pilastri del sensibile umano: lo spazio ed il tempo. In tale ottica il termine ebraico ‫‘ אמה‬ammah acquista un valore aggiunto da indagare non solo da un punto di vista lessicale ma anche nel portato significante del termine.

11 καὶ ἐμέτρησεν τὸ τεῖχος αὐτῆς ἑκατὸν τεσσεράκοντα τεσσάρων πηχῶν, μέτρον ἀνθρώπου, ὅ ἐστιν ἀγγέλου. (Ap 21, 17) 12 Lo stesso termine greco viene utilizzato in Giovanni 21, 8 e Apocalisse 21, 17. Di seguito tutte le forme e traslitterazioni del termine: πήχει πηχεις πήχεις πηχεος πήχεος πηχεών πηχέων πήχεων πήχεως πήχους πηχυν πήχυν πῆχυν πήχυς πηχων πηχών πηχῶν pechon Pechon Pechon Pechon pechun pēchun pechyn pêchyn pēchyn pēchyn.


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Il cubito come porta: Isaia 6,4 Riguardo il significato del termine cubito: merita una nota di attenzione il passo di Isaia 6, 4 che riportiamo in Ebraico13, in greco dalla Septuaginta14, in latino dalla Nova Vulgata e in italiano secondo la traduzione ufficiale15: :‫ַּקֹורא ְו ַהבַּי ִת יִמָּלֵא ָעשָׁן‬ ֵ ‫ ַויָּנֻעוּ אַּמֹות ַהסִּּפִים מִּקֹול ה‬:

καὶ ἐπήρθη τὸ ὑπέρθυρον ἀπὸ τῆς φωνῆς, ἧς ἐκέκραγον, καὶ ὁ οἶκος ἐπλήσθη καπνοῦ. Et commota sunt superliminaria cardinum a voce clamantis, et domus repleta est fumo. Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo.

La prima osservazione è che dall’ebraico il termine ‫( ַאּמֹות‬cubiti) viene tradotto in questo caso con il termine το υπερθυρον (architrave), da cui la derivazione nella Nova Vulgata superliminaria cardinum e infine come ‘stipiti della porta’. Dalla ricchezza di interpretazione dei termini antichi ebraici e aramaici, si aggiunge, quindi, una nuova declinazione del termine ‫ַאּמֹות‬, che lega la sua immagine a quella dell’architrave di una porta. Il primo pensiero si rivolge all’importanza del simbolismo della porta, elemento che rappresenta il passaggio verso realtà ontologiche diverse a maggior ragione nel passo in oggetto in cui gli stipiti delle porte sono quelli del tempio. Il cubito nella Qabbalah ebraica Secondo la Qabbalah ebraica è possibile, sfruttando la gematria (Hebrew: ‫ גימטריה‬gēmaṭriyā) della parola rintracciare il significato mistagogico contenuto nei testi sacri. In particolare sappiamo che la lingua aramaica, come la lingua ebraica segue una corrispondenza alfanumerica per cui ad ogni lettera dell’alfabeto possiamo associare un valore assoluto o normativo, la somma delle lettere della parola (o addirittura della frase) avrà come risultato un valore legato in senso mistico a tutte le parole chiave il cui valore numerico risulta corrispondente. Secondo tale principio le parole con lo stesso valore sono correlate fra loro spiegandosi a vicenda. Se analizziamo la parola ebraica ‫ אמה‬essa risulta avere valore 46. cubito, ‫ = אמה‬Alef 1 + Mem 40 + Hei 5 = 46 La prima osservazione riguarda il valore ridotto integrale, ovvero osservando il numero stesso, esso risulta scomponibile nelle due cifre 4 e 6 la cui somma corrisponde a 10 e quindi riporta all’Uno. 13 14 15

Cfr. <http://www.chabad.org/library/bible_cdo/aid/15937/jewish/Chapter-6.htm> (10/18). Cfr. <http://www.myriobiblos.gr/bible/ot/chapter.asp?book=43&page=6> (10/18). Cfr. <www.vatican.va> (10/18).

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Analizzando il valore assoluto, secondo il Bible Gematria Database16 al valore 46 corrispondono cinquantasei parole (vedi tabella 1) con lo stesso valore numerico tra cui di notevole rilievo: Cubito (‘ammah), Dio (Yehovah), Unto (‘al), cento (me’ah), tabernacolo (‘ohel), gloria (kabowd), bordo (gebuwl), tetto (gag), cuore (lebab), sangue (dam), bene (yatab), essere (hava’). Diremmo una serie di termini che in senso lato richiamano il mistero trinitario e che comunque hanno chiaro riferimento a Dio. Molto interessante appare richiamare alla mente il versetto di Giovanni (2, 20): “Gli dissero allora i Giudei: questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Se 46 assume un valore mistico in funzione del valore simbolico del cubito e di Dio ne risulterebbe: […] questo tempio è stato costruito [in 46 anni] “secondo il cubito, secondo Dio” e tu lo farai risorgere in tre giorni?

Per portare a termine il parallelismo sinonimico dobbiamo chiederci in gematria a cosa corrisponde il secondo termine della frase: ‘i tre giorni’. In questo caso il valore numerico da rintracciare risulta il seguente: tre, ‫ = שלושה‬Shin 300 + Lamed 30 + Vav 6+ Shin 300 + He’ 55 = 641 Secondo la tabella 2 la parola tre sarebbe da associare: alla legge (Towrah), all’insegnamento (yarah); non solo alla costruzione realizzata secondo [i dettami di] Dio si sostituirebbe un tempio di luce (ma’owr), sole (shemesh) e glorificato (doxazo); alla misura lineare del cubito si sostituirebbe la ‘litra’, una misura di capacità, e ancora potremmo leggere: […] questo tempio è stato costruito in 46 anni e tu lo farai risorgere “con la morte” (thanatos) (in tre giorni) ?

Da una speculazione sui significati mistagogici dei numeri e dei numeri associati alle parole chiave del testo analizzato, dalle osservazioni effettuate ci pare di poter rintracciare in questa frase un’ulteriore esplicazione dell’intrinseco significato dei testi sacri che rafforza il richiamo alla morte e resurrezione di Cristo per la salvezza dell’uomo. Ne deriva in ultima analisi: […] questo tempio è stato costruito [in 46 anni] “secondo il cubito, secondo Dio” e tu lo farai risorgere “con la morte” (thanatos) [in tre giorni]?

Da ultimo riportiamo come semplice osservazione un legame numerico suggerito dalla gematria della parola cubito e quella della parola pietra. 16

<http://www.biblewheel.com/gr/gr_database.asp> (10/18).


et verbum caro factum est

All the words in the biblie with sum = 46 TEXT ‫מאה‬ ‫אמה‬ ‫יאלה‬ ‫ולוד‬ ‫אליה‬ ‫האהלה‬ ‫וחלב‬ ‫גזלו‬ ‫האיל‬ ‫לוי‬ ‫בדם‬ ‫בילד‬ ‫יודוך‬ ‫אילה‬ ‫לטבה‬ ‫בחול‬ ‫כיהוה‬ ‫כבדך‬ ‫חלבו‬ ‫לבדי‬ ‫אהלי‬ ‫האם‬ ‫הגבול‬ ‫חגלה‬ ‫גזול‬ ‫ואכזיב‬ ‫וחבל‬ ‫גבולה‬

STRONG'S me’ah / hundred ‘ammah / cubit ‘elohiym / God Luwd / Lud ‘el / unto, ‘ohel / tabernacle(s) chalab / milk gazal / spoil ‘ayil / ram(s) Leviy / Levi dam / blood yeled / child yadah / praise ‘ayalah / hind(s) towb / good chowl / sand Yehovah / LORD kabowd / glory cheleb / fat bad / stave ‘ohel / tabernacle(s) ‘im / if, gebuwl / border Choglah / Hoglah gazal / spoil ‘Akziyb / Achzib chebel / sorrows gebuwl / border

FIRST OCC. Gen 6:3 Gen 6:15 Gen 9:26 Gen 10:22 Gen 16:13 Gen 18:6 Gen 18:8 Gen 21:25 Gen 22:13 Gen 29:34 Gen 37:31 Gen 42:22 Gen 49:8 Gen 49:21 Gen 50:20 Exo 2:12 Exo 8:6 Exo 33:18 Lev 3:9 Num 11:14 Num 16:26 Num 17:13 Num 22:36 Num 26:33 Deu 28:31 Jos 15:44 Jos 17:14 Jdg 1:18

TEXT ‫בלבבי‬ ‫אבגיל‬ ‫אככה‬ ‫אביגל‬ ‫חזאל‬ ‫לאחז‬ ‫להחבא‬ ‫יבדל‬ ‫ויחזיה‬ ‫אדליא‬ ‫ובלדד‬ ‫חבלו‬ ‫חבלו‬ ‫גוזל‬ ‫וגזל‬ ‫ולבבו‬ ‫היטיבי‬ ‫מגבא‬ ‫וגאלו‬ ‫בגולה‬ ‫בזזיך‬ ‫בדיל‬ ‫מגג‬ ‫להוה‬ αδαμ εμα δικαια αδικια

STRONG'S FIRST OCC. lebab / heart 1Sa 2:35 ‘Abiygayil / Abigail 1Sa 25:3 nakah / smite 2Sa 2:22 ‘Abiygayil / Abigail 2Sa 17:25 Chaza’el / Hazael 1Ki 19:15 ‘Achaz / Ahaz 2Ki 17:1 chaba’ / hide 2Ch 18:24 badal / separate Ezr 10:8 Yachzeyah / Jahaziah Ezr 10:15 ‘Adalya’ / Adalia Est 9:8 Bildad / Bildad Job 2:11 chebel / sorrows Job 18:10 yadah / praise Psa 49:18 gazal / spoil Pro 28:24 gezel / violence Ecc 5:8 lebab / heart Isa 6:10 yatab / well Isa 23:16 gebe / pit Isa 30:14 ga’al / redeem Isa 44:6 gowlah / captivity Jer 29:16 bazaz / spoil Jer 30:16 bediyl / tin Eze 27:12 gag / roof Eze 40:13 hava’ (Aramaic) / be Dan 4:25 Adam / Adam Luk 3:38 emos / my Luk 15:31 dikaios / righteous Joh 5:30 adikia / unrighteousness Joh 7:18 Record Count: 56 = 52 [Hb] + 4 [Gr]

Tabella 1 All the words in the biblie with sum = 46 fonte: <https://www.biblewheel.com/GR/GR_Database.php?SearchBy_Gematria=46> (10/18).

Come già visto i due termini risultano legati l’un l’altro in relazione alla continuità significante tra il cubito vetero testamentale e la pietra angolare. In ebraico il lemma della parola pietra corrisponde alle tre lettere ‫ אבנ‬che scomposte offrono una singolare combinazione di parole: infatti le prime due lettere creano il termine ‫ אב‬che significa padre e ha valore 3 (‫אב‬, padre = Aleph 1 + Beth 2), numero facilmente riconducibile al mistero trinitario, le ultime due lettere ‫ בנ‬significano figlio e hanno valore 52 (‫בנ‬, figlio = Beth 2 + Nun 50), lo stesso valo-

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All the words in the biblie with sum = 641 TEXT ‫תראמ‬ ‫ונשרפה‬ ‫אמרת‬ ‫תאמר‬ ‫מראת‬ ‫להורת‬ ‫ולשרקה‬ ‫ושלשה‬ ‫והכרתי‬ ‫ראמת‬ ‫באחריתך‬ ‫שלושה‬ ‫הכריתו‬ ‫הכירות‬ ‫במחלקותיהם‬

STRONG’S ma’owr / light saraph / burn ‘amar / said ‘amar / said ra’ah / see yarah / teach soreq / shalowsh / three karath / cut Ra’mowth / Ramoth ‘achariyth / end shalowsh / three karath / cut kiyowr / laver machaloqeth / course machleqah (Aramaic) / courses towrah / law ra’ah / see

‫במחלקתהון‬ ‫לתורה‬ ‫ראיתיך‬

FIRST OCC. Gen 1:14 Gen 11:3 Gen 12:19 Gen 14:23 Gen 27:1 Gen 46:28 Gen 49:11 Exo 25:32 Lev 17:10 Deu 4:43 Deu 8:16 Jos 15:14 Jdg 4:24 1Ki 7:40 2Ch 31:17 Ezr 6:18 Neh 8:7 Job 8:18

TEXT ‫והפרשים‬ ‫תארם‬ ‫הפיצותים‬

STRONG’S FIRST OCC. parash / horsemen Isa 22:7 to’ar / form Lam 4:8 puwts / scatter Eze 11:16 yarka’ (Aramaic) / ‫וירכתה‬ Dan 2:32 thigh shemesh (Aramaic) ‫שמשא‬ Dan 6:14 / sun ‫תפוצינה‬ puwts / scatter Zec 1:17 υμας su / thou Mat 3:11 ιματιοις himation / garment Mat 11:8 λυσαι luo / loose Mar 1:7 περιπατειν peripateo / walk Mar 12:38 εθεασαντο theaomai / see Luk 23:55 λιτρας litra / pound Joh 19:39 αππιου Appios / Appii Act 28:15 εκχεαι ekcheo / pour Rom 3:15 ζητειται zeteo / seek 1Co 4:2 δοξασατε doxazo / glorify 1Co 6:20 αποθανοντι apothnesko / die 2Co 5:15 θανατοις thanatos / death 2Co 11:23 Record Count: 36 = 24 [Hb] + 12 [Gr]

Tabella 2 All the words in the biblie with sum = 641 fonte: <https://www.biblewheel.com/GR/GR_Database.php?SearchBy_Gematria=641> (10/18).

re corrisponde a diverse parole fra cui: Dio, madre, acqua, sangue, cuore, bene17. In questo caso il valore ridotto integrale è 5 + 2= 7 rimandando quindi alla creazione, al Verbo e alla partizione stessa in sottomultipli del cubito reale. Infine l’intero lemma ha valore 53 (pietra, ‫ = אבנ‬Aleph 1 + Beth 2 + Nun 50), in gematria il valore assoluto 53 è lo stesso valore associato alle parole: muro, porta, sacrificio, madre18, mentre il valore ridotto integrale riporta correttamente all’8, numero della nuova creazione e quindi in stretta relazione con la pietra, nuovo fondamento della costruzione della Chiesa.

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Cfr. <https://www.biblewheel.com/GR/GR_Database.php?SearchBy_Gematria=52> (10/18). Cfr. <https://www.biblewheel.com/GR/GR_Database.php?SearchBy_Gematria=53> (10/18).


il cubito biblico • laura aiello

Il cubito: misura e geometria

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cubito e metrologia: analisi quantitative

La questione del cubito è emersa in ambito degli studi architettonici, allorquando per lettura-critica dei manufatti medievali, a partire dall’anno Mille, ci si è posti l’interrogativo riguardo alle misure di progetto dei grandi dispositivi architettonici che ancora caratterizzano il territorio del mediterraneo fino alle rive irlandesi e scozzesi. Molte ipotesi sono state formulate ma è da notare che mai la questione è stata profondamente tagliata dal punto di vista religioso e mai dal punto di vista biblico ed evangelico. Ecco dunque che in questa sede si prova ad aggiungere un ragionamento derivante dallo studio dei brani biblici, patristici e filosofici che coinvolgono il cubito. Nell’accezione moderna il cubito è un canone mensorio che varia da una misura minima di 350 mm (cubito piccolo1) ad una massima di 541 mm (cubito nero2) secondo elaborati calcoli effettuati nei secoli e discusse equivalenze che passano da misure volumetriche a misure di peso, metriche e lineari. Il cubito nel suo valore assoluto è definibile come la distanza che intercorre dal gomito al dito medio della mano, naturalmente divisibile in sei palmi a dita strette (24 dita) o due spanne, ma ben si capisce che tale canone è molto soggettivo e se non codificato universalmente, da essere utile per esprimere un ordine di grandezza, non risulterebbe in questo senso funzionale al suo ruolo precipuo ovvero di unità di misura standard condivisa. A livello storico si potrebbe liquidare la questione relegando ad un regionalismo territoriale l’attribuzione del valore metrico del cubito, ma ciò in vero sembra smentito proprio dagli studi più attuali, afferenti al periodo medievale, che dalla Palestina alla Normandia, passando dall’Italia meridionale, confermano che il cubito sembra assumere un valore costante riconducibile al sistema mensorio egiziano3. Si distinguono un cubito naturale e un cubito reale, modulare al primo in ragione del palmo 7:6, un palmo in più ma più utile nelle misurazioni dell’impianto di cantiere in contrapposizione al primo, il cubito naturale, più pratico per le misurazioni locali dei dettagli architettonici. Cfr. Segrè, 1928, p. 42. Cfr. Segrè, 1928, p. 47. 3 Cfr. Bini 2015; Bini, Luschi, Bacci 2005; Luschi, Aiello 2012. 1 2


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Inoltre vi è un’ulteriore questione che emerge nelle pieghe della storia dell’architettura, come mai il cubito viene adottato in ambito medievale al posto del definito e grandemente usato piede romano, che uniforma il costruire per più di un millennio ed ha estensioni pari all’impero? Il cubito doveva dunque avere una tenace motivazione tale da rientrare in ambito medievale ed essere adottato e diffuso oltre il tempo e le sponde dell’Egitto. La sua forza, sembra non derivare dall’uniformità mensoria, per ambito geografico, ma è ben chiaro l’ambito culturale in cui emerge ed è impiegato traendo il suo vigore espressivo da una sua qualità che riteniamo ancora oggi non svelata o non messa a fuoco. L’Egitto è la terra a cui si approda quando si parla di cubito. Al museo di Torino vi sono almeno una decina di esemplari di cubito: pieghevole, dorato, costituiti in genere da legno di ebano, a sezione quadrata o esagonale e riportanti sulle varie facce del prisma varie successioni graduate per i sottomultipli4. Studi metrologici sul cubito L’utilizzo nei Testi Sacri di un’unità lineare storicamente riconosciuta, quale i cubito, richiede per rigore scientifico una trattazione che possa dare il quadro di riferimento: • storico, per quanto attiene l’evoluzione dei sistemi metrici di riferimento mediterranei; • qualitativo, per l’enumerazione dei diversi cubiti conosciuti; • metrologico, per il problema di codificazione della quantità metrica corrispondente. Ricerche bibliografiche hanno evidenziato che oltre i moderni manuali di metrologia, i maggiori testi scientifici di riferimento sembrano concentrarsi tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. In particolare, per la codificazione metrico-decimale del cubito è stato utilizzato come testo di riferimento Metrologia e Circolazione Monetaria degli antichi di Angelo Segrè del 1928. La trattazione appare particolarmente convincente per il rigore scientifico con cui tutti i dati, rilevabili dai testi classici e dai campioni conservati nei vari musei, sono messi a stretto confronto. Si riesce così a ricostruire un quadro generale coerente in cui tutti i tasselli trovano una collocazione all’interno di un ambito più ampio che riesce a tenere conto anche delle unità di volume e di peso in rapporto a quelle di lunghezza. Nella trattazione appare per noi interessante l’analisi della misura dei cubiti depositati presso il museo egizio di Torino e la dimostrazione di aver preso in analisi i testi di Erodoto, Erone 4 Tomba di Kha. Fondazione del Museo delle Antichità Egizie di Torino. Uno dei maggiori capolavori del Museo Egizio di Torino fu scoperto durante una campagna di scavo nel 1906: la tomba inviolata di Kha custodiva 506 oggetti che per la loro peculiarità potrebbero costituire un Museo a sé. Una testimonianza straordinaria che rivela moltissimi particolari sulla vita quotidiana di Kha e Merit, una coppia di sposi vissuti intorno al 1400 a.C. In questo corredo vi è un cubito dorato.


cubito e metrologia: analisi quantitative

e Didimo. Gli studi vengono limitatamente circoscritti al periodo che intercorre dalla XVIII dinastia egiziana fino a tutto il periodo classico e di Età Imperiale. Temporalmente complementare al primo, risulta invece l’opera del prof. Gustavo Uzielli (1898), docente di Mineralogia e geologia nelle Università di Modena, di Torino e di Parma, il cui nome oggi rappresenta un importante fondo leonardesco conservato presso la cittadina di Vinci. Uzielli dedicò una buona parte dei suoi studi al problema della metrologia medievale ed ai problemi di derivazione di tale misura dalla figura del Cristo5. Nel complesso l’opera, meritevole di plauso per aver cercato di mettere chiarezza nel complesso panorama della metrica medievale, colpisce per le numerose argomentazioni tese a dimostrare la permanenza di una radice religiosa nella gestione delle unità metriche. Angelo Segrè e gli studi metrologici sul periodo classico La volontà di ricostruire un quadro generale molto ampio, in cui rintracciare le origini di talune unità di misura, ci ha così necessariamente spinto indietro nel tempo fino all’epoca di massima espansione dell’Impero Romano ed alle antiche origini del cubito egiziano, era in cui dovettero trovare un accostamento le antiche unità di misura semitico egiziane in contrapposizione al sistema mensorio romano. A tal proposito lo stesso autore osserva che: Le misure semitico egiziane hanno per carattere comune di avere una base comune tratta dalla parte superiore del corpo, il cubito, cioè il braccio e per modulo il numero 3 e subordinatamente il 4 e il loro prodotto 12 […] Le misure romane[…]hanno essenzialmente per base il modulo 5 e i suoi multipli e summultipli ed in via secondaria il modulo 3 (Uzielli, 1898, p. 384).

Ovviamente quanto riportato può essere riscontrato dall’osservazione che il cubito naturale o corto (meh net’s) considerato come la misura che intercorre tra il gomito ed il dito medio è naturalmente divisibile in 6 palmi, per cui è facile che ricorra il 6 ed il 3; l’utilizzo del 4, seppur un palmo sia composto da 4 dita, credo invece debba essere subordinato all’uso del cubito reale (meh suten) di 7 palmi: 3+4. Dall’altra parte, è evidenziabile che le popolazioni occidentali, forse più avvezzi a contare con le dita, siano stati più inclini alla numerazione del cinque basando su tale numero tutto il sistema di numerazione, si pensi ai numeri romani: I-V-X-L-C-M.

5 Uzielli, G., Le misure lineari medioevali e l’effige del Cristo, Firenze 1900, (copie disperse nell’alluvione di Firenze del 1966).

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fig. 12 Museo Egiziano di Torino, il cubito di legno dorato fu donato dal re Amenofi II a Kha come ringraziamento per un progetto. L'originale è in magazzino. fig. 13 Museo Egiziano di Torino, Cobito Reale Egiziano in legno pieghevole con custodia di pelle, suddiviso in 7 palmi o 28 digiti di cm 1,8.

Il cubito egiziano Naturalmente, il cubito egiziano risulta anagraficamente più anziano. Angelo Segrè inizia con un’ampia trattazione su tale unità di misura chiarendo la coesistenza di due cubiti: quello reale (meh suten), divisibile in 7 palmi o 28 dita (e quantificato in cm 52,5) e quello corto (meh net’s) divisibile in 6 palmi o 24 dita (cm 45). Sembrerebbe che tale unità di misura si sia mantenuta pressoché inalterata fino all’età tolemaica, era in cui l’interferenza dei sistemi metrici fenici e giudaici generarono alcune varianti al sistema in uso introducendo una sorta di cubito reale divisibile in 6 palmi. Il cubito Tolemaico e Filareteo Il testo in esame inizia quindi una trattazione del cubito Filareteo e del cubito Tolemaico, identificandoli fra di loro (524.85 mm, da 6 palmi) e riconducendoli ad un influsso persiano. Erodoto infatti parla di un sistema metrico filareteo basato su un cubito pari a circa 6/5 di quello romano (circa cm 44). Queste misure coincidono poi perfettamente con il sistema metrico filareteo di Erone e di Didimo [e conclude] […] le misure tolemaiche e filaretee concordano quindi perfettamente con quelle di Erodoto, e la canna di Torino ci permette di stabilire con certezza l’identità tra il cubito filareteo dei passi di Erone e di Didimo e quello egiziano di età saitica e tolemaica.

Il piede romano attico Più ‘moderno’ è il così detto piede attico o romano. Tale unità è oggi codificata come poco al di sotto della lunghezza di 296.99 mm. Alcuni studi puntualizzano che calcolando il piede romano come eguale allo spigolo di un χεράμιον di 80 libbre di 323.45 gr, si soddisfano alcune relazioni fra le unità di misura ponderali alessandrine e romane delle quali si ricava un piede romano pari a 295.78 mm che “parrebbe accordarsi molto bene con gli antichi campioni conservati”. Il miglio romano di 5000 piedi risulterebbe così pari a m 1478,9.


cubito e metrologia: analisi quantitative

Il piede alessandrino È chiaro che nel periodo di massima espansione dell’impero romano le unità di misura furono le prime ad essere riconsiderate, tuttavia si deve evidenziare che una nuova dominazione non può totalmente stravolgere usi e costumi della terra dominata, la vera grandezza risiede infatti nel trovare il giusto accordo col nuovo paese ‘ospitante’ cercando dei punti di contatto. Nell’ambito della metrica, pare certo che sotto i romani, in Egitto, fu adoperata come unità di misura il piede Alessandrino (m 0,309). È giudizio di alcuni che tale unità fosse già in uso prima della dominazione romana e che fosse stata introdotta dai tolomei6, ma è anche riconosciuto che il sistema alessandrino fosse ben compatibile con quello di riferimento romano e da ciò ne dipese la sua fortuna. Come è facilmente dimostrabile se dividiamo il miglio romano in piedi alessandrini si ottengono 4800 unità creando un rapporto di conversione molto facile da utilizzare: 1 miglio romano = 5000 piedi romani = 4800 piedi alessandrini. Cubito nilometrico Meno fortunato fu il rinnovamento del cubito nilometrico il quale dovette creare degli equivoci di conversione. Generalmente individuato come la misura compresa tra il gomito e il dito medio, il cubito ordinario, poteva essere diviso secondo semplici leggi antropometriche in 6 palmi composti da 4 dita (24 dita, 45 cm), mantenendo col piede il rapporto di 2 cubiti=3 piedi7. Il cubito nilometrico era invece composto da 7 palmi (28 dita). Allo stato attuale delle conoscenze, la divisione in 7 palmi dell’unità di misura ha posto degli interrogativi di natura pratica, non è infatti stato chiarito se tale divisione sia da imputarsi a ragioni di indole puramente religiosa o magica, oppure a ragioni di tipo metrico8. Il confronto tra i numerosi cubiti nilometrici rinvenuti, di età romana, sembrerebbe testimoniare numerose variazioni metriche a dimostrazione della scarsa precisione nelle conversioni. “Un lettore egiziano non istruito in questioni metrologiche avrebbe certamente ritenuto nel P. Oxy. 659 [età di Diocleziano] il cubito nilometrico di 7 palmi alessandrini 540 mm circa, superiore poco più di 1 cm a quello reale”9.

Segrè, 1928, p. 54. Herodoto, 1958, II, 5-7,9,124. 8 Cfr. Segrè, 1928, p. 4. 9 Cfr. Segrè, 1928, p. 46. 6 7

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L’arura La stessa problematica di conversione venne risolta anche con le unità di superficie: l’antica arura alessandrina in uso nel sistema tolemaico, pari ad un quadrato di un Keht (di 100 pet ne’s, o più comunemente cubito corto di 45.02 cm), fu trasformata nel quadrato di uno σχοιυίον γεωμετριχòυ alessandrino di 96 πήχεις (44.384 cm), agevolando una divisione duodecimale molto più comoda per una cultura molto più legata alla geometria che all’algebra. Si può infatti osservare facilmente che un quadrato di lato 96 è divisibile a metà per 5 volte di seguito senza l’ausilio di numeri decimali, fino ad arrivare ad un sottomultiplo intero di lato 3x3 (135.06x135.06cm). Il cubito in Palestina Molto più complesso appare il problema dello studio delle unità di misura utilizzate in terra palestinese. Le stesse fonti a disposizione risultano tarde o indirette, inoltre la metrologia giudaica sembra presentare una combinazione di elementi persiani, greci, siriaci, egiziani e romani che sono difficilmente distinguibili. Dallo studio dei testi di Giuliano di Ascalona e di Erone, sembrerebbe che le misure di lunghezza siano per lo più quelle filaretee già diffuse in Egitto e in Persia (almeno dai tempi di Erodoto fino a quelli del basso impero). Secondo quanto riporta la Mischna10 il cubito ebraico, originariamente, corrispondeva alla misura compresa tra il gomito di un uomo, e la punta del suo dito medio. In particolare emergono 5 sorta di Cubiti: 1. il cubito filareteo di 24 dita filaretee (6 palmi) (52.485cm) 2. un cubito filareteo diviso in 28 dita corte o 7 palmi chiusi da identificare con il meh suten egiziano.(52.5cm) 3. un cubito di 24 dita corte da identificare col meh net’s che è quello di cui sono indicate le σπιθαμαί in Giuliano di Ascalona (45cm) 4. un cubito probabilmente di 25 dita corte egiziane eguale al quarto dell’όργυιά semplice. Questo cubito che chiameremo medio e che corrisponde a 468,3 mm è in certo modo vicino al cubito alessandrino eguale a circa 25/24 di cubito romano, e forse, in origine è calcolato i 25/24 del meh net’s (46.875cm) 5. un cubito forse eguale a 24/(27x3/4) di un cubito che è il quadrato dell’ όργυιά di 102/25 cubiti filaretei. Questo cubito quindi di 2448/2775 di cubito filareteo è presso a poco di 24x3/4 dita corte egiziane (46.2cm) (Segrè, 1928, p.80).

Il cubito assiro-babilonese Di tutte le unità di misura la più incerta parrebbe essere quella corrispondente al cubito babilonese. 10

Kelim, XVII, 9.


cubito e metrologia: analisi quantitative

Secondo quanto affermato da Lehmann-Haupt11, la lunghezza originaria della misura lineare babilonese risulta essere due canne di Giudea di mm 992,33 che corrisponderebbe alla lunghezza del pendolo che batte il secondo a Babilonia (992,25 mm), da cui deriverebbe un cubito medio di mm 461,65. Il tipo di misurazione non trova tuttavia pieno convincimento nel parere del Segrè secondo il quale il sistema lineare babilonese sembrerebbe identificarsi a grandi linee con quello filareteo12. Si tratterebbe di un cubito babilonese e un piede babilonese uguali a 5/6 del cubito e del piede filareteo. I due cubiti (reale e medio) prenderebbero una divisione in 20 e 24 dita quindi da 5 e da 6 palmi (anziché 6 e 7palmi). In realtà sappiamo da Erodoto che esistevano a Babilonia due cubiti, un cubito medio e un cubito reale la cui differenza era però non di 4 dita ma di sole 3 dita. “In ogni modo con gli elementi di cui disponiamo è impossibile per ora dare una soluzione sicura del problema”13. Il bacino di bronzo Aggiungiamo, a margine delle note metrologiche riportate, una riflessione sulla descrizione del bacino di bronzo del tempio di Salomone, interessante per l’attenzione con cui viene descritto nei testi. Esso offre un’equivalenza metrica meritevole di approfondimento: 1 Re 7: 23Fece un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo all’altro, rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di trenta cubiti.24 Intorno, sotto l’orlo, c’erano cucurbite, dieci per ogni cubito; le cucurbite erano disposte in due file ed erano state colate insieme con il bacino.25 Questo poggiava su dodici buoi; tre guardavano verso settentrione, tre verso occidente, tre verso meridione e tre verso oriente. Il bacino poggiava su di essi e le loro parti posteriori erano rivolte verso l’interno.26 Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo fatto come l’orlo di un calice era a forma di giglio. Conteneva duemila bat.

2 Cronache 4: 2Fece la vasca di metallo fuso del diametro di dieci cubiti, rotonda, alta cinque cubiti; ci voleva una corda di trenta cubiti per cingerla.3 Sotto l’orlo, per l’intera circonferenza, la circondavano animali dalle sembianze di buoi, dieci per cubito, disposti in due file e fusi insieme con la vasca.4 Questa poggiava su dodici buoi: tre guardavano verso settentrione, tre verso occidente, tre verso meridione e tre verso oriente. La vasca vi poggiava sopra e le loro parti posteriori erano rivolte verso l’interno. 5 Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo era come l’orlo di un calice a forma di giglio. Conteneva tremila bat.

Cfr. Segrè, 1928., p. 114. Ne sarebbe prova “la divisione della parasanga persiana in 30 stadi, divisione che troviamo costantemente in Erodoto e che,[…] si è conservata in Palestina, dove il miglio è stato introdotto dividendo per 4 la parasanga”. Cfr. Segrè, 1928, p. 115. 13 Cfr. Segrè, 1928, p. 119. 11 12

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La prima osservazione che vogliamo fare riguarda il rapporto tra il diametro di 10 cubiti e la circonferenza da 30 cubiti. Tale rapporto appare subito errato nella misura in cui sappiamo che geometricamente la circonferenza è sempre in rapporto al diametro del valore π=3.14159… Tuttavia i testi puntualizzano la presenza di un bordo da un palmo per cui risulta corretto considerare un diametro effettivo da 10 cubiti meno 2 palmi (uno per lato). Geometricamente tale correzione permette di ipotizzare l’utilizzo di 10 cubiti da 5 palmi o da 4 palmi infatti se: C/d=π=3,14159… allora: utilizzando il cubito da 5 palmi 30x5/(10x5 -2)= 150/48= 3,125 utilizzando il cubito da 4 palmi 30x4/(10x4 -2)= 120/38=3,157 si osserva infatti: 3,125 < π < 3,157 Se escludiamo l’uso di un cubito da 4 palmi, assai inusuale nelle unità metriche codificate possiamo procedere nella speculazione logica utilizzando il cubito da 5 palmi che si presterebbe ad una semplificazione matematica tale da individuare il rapporto tra diametro e circonferenza come 150/48, ossia 25/8. Secondo quanto riportato dal Segrè sappiamo che 1 bath equivale a 34,93 litri per cui possiamo provare a determinare il valore del cubito utilizzato. Dalle descrizioni non è chiaro se il bacino abbia forma semisferica o cilindrica per cui affrontiamo le due possibili strade parallelamente, inoltre la capienza viene ragguagliata la prima volta a 2000 bath e la seconda a 3000 bath per cui dovremmo effettuare i calcoli sulle due differenti diciture: Essendo il raggio=5cubiti−1/5cubiti=4,8cubiti Bacino Semisferico Vbacino=(4/3 πr3)/2 Vbacino= [4/3 π(4,8)3]/2= 231,50cubiti3 Bacino Cilindrico Vbacino=π r2h Vbacino= π (4,8)2 · 5= 361,73cubiti3


cubito e metrologia: analisi quantitative

Se 1 bath=34,93 l=34,93 dm3 Considerando il bacino da 2000 bath semisferico 2000 bath=231,50cubiti3 allora: 2000 · 34,93 l=231,50cubiti3 69860 l=231,50cubiti3 1cubito3=69860 l : 231,50cubiti 3 1cubito3=301,77 l/cubiti3 1cubito=3√301,77=6,71 l=6,71 dm Considerando il bacino da 2000 bath cilindrico 2000 bath=361,73cubiti3 allora: 2000 · 34,93 l=361,73cubiti3 69860 l=361,73cubiti3 1cubito3=69860 l : 361,73cubiti3 1cubito3=193,13 l/cubiti3 1cubito=3√193,13 =5,78 l=5,78 dm Considerando il bacino da 3000 bath semisferico 3000 bath=231,50cubiti3 allora: 3000 · 34,93 l = 231,50cubiti3 104790 l = 231,50cubiti3 1cubito3=104790 l : 231,50cubiti3 1cubito3 =452,65 l/cubiti3 1cubito=3√452,65=7,68 l=7,68 dm Considerando il bacino da 3000 bath cilindrico 3000 bath=361,73 cubiti 3 allora: 3000 · 34,93 l=361,73cubiti3 104790 l = 361,73cubiti3 1cubito3=104790 l : 361,73cubiti3 1cubito3=289,69 l/cubiti 3 1cubito=3√289,69=6,62 l=6,62 dm

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Sebbene, nelle quattro soluzioni indagate, non si riesca ad effettuare un confronto diretto con nessuno dei cubiti trattati possiamo tuttavia estrapolare almeno l’osservazione che fra l’equivalenza di 2000 bath (1Re 7,26) e 3000 bath (2Cr 4,5), la più probabile appare la prima che più si avvicina alle misure codificate dallo studio dei cubiti egizi. Infatti anche nell’ipotesi di minor valore del cubito adottato (bacino da 2000 bath di forma cilindrica) il cubito non vale mai meno di 5,78 dm (53 mm più grande del meh suten egiziano). Gustavo Uzielli e gli studi metrologici sul periodo medievale Se lo studio del mondo classico sembra particolarmente complesso, non ci si può illudere che il ‘buio Medioevo’ ci abbia risparmiato ulteriori complicazioni. La caduta dell’Impero Romano ed il panorama culturale generato dalle invasioni barbariche portò un’enorme confusione fra le unità di misura in uso nei vari centri. Tuttavia pochi documenti ci permettono ancora di non perdere totalmente il riferimento storico all’uso del cubito biblico. Come preannunciato, riproponiamo qui di seguito una parte degli studi di Uzielli secondo cui: • La legge giudaica stabiliva che i campioni dei pesi e delle misure fossero conservati nel Santuario (d’onde scomparvero con la distruzione del tempio), e che ogni famiglia ne dovesse avere presso di se copie. • Costantino imperatore ordinò che il cubito, campione dell’idrometro con cui si misuravano gli stati d’acqua del Nilo, fosse trasportato dal tempio pagano di Serapide nella chiesa Cristiana. • Giustiniano s’inspirò certamente alla tradizione biblica quando ordinò che il clero fosse incaricato della conservazione dei campioni dei pesi e delle misure e questa legge si mantenne in Italia fino al tempo della costruzione delle Repubbliche14.

Una grande innovazione fu introdotta nel secolo VIII dal primo re longobardo: Liutprando a cui si deve il tentativo di rimediare all’enorme confusione nata nelle misure dopo le invasioni barbariche. Fu infatti decretato di adottare un nuovo campione commercialmente valido e di imporlo in tutto il regno. A tale mansione furono incaricati degli ecclesiastici i quali in riferimento al cubitus Biblico, prescelsero l’ulna o cubitus romano, misura già utilizzata a Roma per il commercio delle stoffe. Uzielli quantifica tale unità in 0,4432 metri, dovendo quindi dedurre più precisamente il riferimento al cubito medio, o cubito di Mosè quantizzato da Angelo Segrè in m 0,45. In tale sede non riusciamo a chiarire se lo scarto di 6,8 mm sia da attribuire ad una scelta pratica effettuata dagli ecclesiastici incaricati dal re Liutprando, i quali decisero di uti14

Cfr. Uzielli, 1898, p. 385.


cubito e metrologia: analisi quantitative

lizzare la misura in uso più simile all’unità biblica, o si tratti di un problema di codificazione nel sistema metrico decimale della stessa unità di misura. Sta di fatto che l’iniziativa finì per creare più confusione di quanta già ve ne fosse, si registrano infatti in Italia misure, derivate dalla riforma del re Liutprando, oscillanti da 0,390 e 0,514 metri. Non di meno creò confusione il fatto che l’unità al tempo più in uso doveva essere il piede romano, per cui la nuova misura prese il nome di ‘piede di Liutprando’ invece che braccio o cubito, generando la curiosa credenza che tale re, data la considerevole misura del piede, dovesse essere di proporzioni gigantesche. Nell’ambito della trattazione viene ritagliato e approfondito un settore abbastanza consistente sulle relazioni dei viaggi in Terrasanta e sui ‘portolani scritti’, (così chiamati per essere distinti dalle carte geografiche omonime: ‘portolani’). Tali fonti si caratterizzano per mantenere un costante riferimento alle misure: tanto dei luoghi, quanto della persona del Cristo, spingendo lo studioso nella catalogazione di tale dato, riscontrato anche all’interno del codice Riccardiano in cui sono addirittura riportati disegni summultipli della misura totale del Cristo. Conclusioni sull’accezione metrologica Dagli studi condotti si prospetta un ampio panorama di casistiche in cui il cubito assume valori e declinazioni con sfumature sempre differenti. Talvolta diviso in sette palmi, altre in sei, spesso frazionato secondo altre sommatorie che hanno come minimo comune divisore il ‘digito’. Tuttavia il dato che ne emerge è che il cubito egiziano, seppur stravolto e riadattato in più riprese a causa delle sopraggiunte nuove esigenze, mantenne sempre il ruolo di filo conduttore, al pari di ciò che avvenne nelle aree latine con il piede romano. Inoltre, dato per noi fondamentale e su cui teniamo a focalizzare l’attenzione è la teoria (su cui gli studiosi concordano) che il meh suten fu la principale unità di misura per la costruzione degli edifici sin dalle prime dinastie15. Se tale misura venne nei secoli riadattata o a volte tradita, possiamo però ritrovare, nelle proprietà geometriche del cubito cubo, diviso secondo i suoi sottomultipli, l’applicazione delle proprietà di equivalenza legate agli studi geometrici proporzionali.

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Cfr. Segrè, 1928, p. 3; Flinders,1900, pp. 13-14.

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cubito e metrologia: analisi qualitative

Il cubito geometrico Da un punto di vista meramente aritmetico, definire il cubito secondo un’unità metrica lineare rappresenta un problema squisitamente pratico spaziale, ovvero legato alle dimensioni tangibili di tale misura. Il vero problema in ambito architettonico non appare però tanto quantificare la lunghezza di tale misura, a meno di voler utilizzare tale dato per effettuare dei ragionamenti speculativi sulle committenze o su altri problemi filologici. Si tratta piuttosto, una volta individuato il modulo base, di rintracciare la regola geometrica che ha organizzato il cantiere costruttivo. Dal punto di vista pratico non era infatti proponibile gestire la costruzione secondo la moderna concezione di calcolo strutturale eseguito in termini numerici, soprattutto considerando il sistema classico di numerazione, secondo termini alfabetici. Bisogna necessariamente focalizzare l’attenzione su un tipo di progettazione che sfrutti piuttosto il calcolo posizionale e le qualità geometriche del modulo costruttivo. L’aspetto numerico del cubito quindi pare non essere pregnante rispetto al suo modo di utilizzo e alla sua eloquenza formale. Indagare l’‘accezione geometrica del cubito’ pare dunque un passaggio imprescindibile. Il cubito cubico, ci informa il Segrè, è legato alle misure di volume (1cubito3=1/300 hin), e alle misure di peso (2/3 cubito3=1 Khar), ovvero si trova ad essere relazionato alle altre unità lineari mediante lo spigolo di un volume unitario che ha forma cubica o come accade per il piede alessandrino in ragione della radice di tre1. Il cubo geometricamente è composto da 6 facce, 8 vertici e 12 spigoli, oltre ad essere uguale a se stesso nelle 3 dimensioni di larghezza, altezza e profondità. Le qualità geometriche del cubo sono assolutamente efficaci, in ordine di composizione, nella costruzione aggregata. Risulta semplice il moltiplicarlo e dividerlo secondo i suoi assi: quaternario, binario e ternario. Inoltre tutti i cubi con gli spigoli della stessa lunghezza sono congruenti.

1 Il piede alessandrino usato in Egitto corrisponde alla radice cubica di 60 hin o kerker ed è quasi uguale allo spigolo di 1/5 di meh suten cubico. Cfr. Segrè, 1928, p.21.


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Queste proprietà del cubo sono ben note almeno dal secolo V a.C., Platone descrive il cubo secondo queste caratteristiche annoverandolo fra i solidi perfetti, a noi noti come solidi platonici. Raggio della sfera

Superficie

NOME

Inscritta

Circonscritta

Tangente gli spigoli

CUBO

1/2 d

√3/2 d

√2/2 d

6d2

Volume

d3

Ora le relazioni sopra espresse in termini algebrici in realtà sono facilmente rappresentabili in linguaggio geometrico. Uno dei principali aspetti legati all’uso del cubito riguarda le proprietà geometriche che tale unità di misura porta intrinsecamente nella sua struttura. Da quanto abbiamo potuto fin qui indagare, il cubito non sembra rappresentare un’unità di misura semplicemente lineare ma anzi racchiude una concetto di misurazione diverso da quello che modernamente affidiamo al metro. Cominciamo dal principio base secondo cui un cubito è un cubo di valore unitario. In ambito cantieristico ciò significa che il costruttore inizierà a costruire partendo da un punto che non avrà mai valore zero ma sempre valore uno a partire dalla posa della prima pietra2. Se l’unità di partenza non è più una misura lineare ma un’unità complessa fatta di lunghezza, superficie, volume e peso la costruzione sarà vincolata da tali proprietà. Da ciò ne deriva che il cubito cubico, non è altro che un cubo di lato unitario per cui valgono tali relazioni e in virtù di queste proprietà geometriche esso diviene di per sé un abaco a prescindere dalla quantità metrica dello spigolo del cubo. L’unico riferimento che viene dato è che il cubito è pari alla quantità che intercorre, come già detto, dal gomito al dito medio di un uomo. Se è vero che la sua quantificazione metrica diviene una accezione di secondo piano, rimane però il problema che comunque in architettura è necessario stabilire una quantità unitaria che sia definita e condivisa al fine di poter procedere da un progetto ad un manufatto. Si tratta quindi di un problema di condivisione del canone mensorio che deve intercorrere fra il progettista e le manovalanze, fra questo gruppo di persone ed il committente. 2 Si deve osservare che il concetto di zero è una conquista metafisica della speculazione filosofica occidentale ma è totalmente estraneo al mondo culturale antico (Gen 1,1-2).


cubito e metrologia: analisi qualitative

La questione si acuisce nei grandi imperi classici e medievali in cui le manovalanze spesso viaggiavano al servizio dell’imperatore per organizzare gli avamposti e i presidi dovendo necessariamente sfruttare un’organizzazione condivisa a larga scala di modo da coordinare il computo dei materiali e la messa in opera anche in territori stranieri. Ecco che avere una misura comune diventa fondamentale per comunicare anche a larga scala. Costruire secondo la giusta misura Nelle Sacre Scritture si parla di progetti espressi in cubiti, in cui è difficile ritrovare un’equivalenza precisa ma si puntualizza che tali misure dovranno essere giuste. 35 Non commetterete ingiustizie nei giudizi, nelle misure di lunghezza, nei pesi o nelle misure di capacità. 36 Avrete bilance giuste, pesi giusti, efa giusto, hin giusto. Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatti uscire dal paese d’Egitto. (Lev 19, 35-36).

Una breve annotazione nell’economia del presente lavoro va eseguita in ragione del fatto che fino al periodo medievale siamo in presenza di manufatti edilizi più o meno complessi ma privi di testimonianze relative al progetto; al contrario per quanto riguarda la narrazione biblica si ha una descrizione a volte minuziosa di un progetto, senza più il manufatto. Si concatena così un percorso convergente, di direzione opposta, che si pone l’obiettivo di legare progetto e manufatto secondo una logica pratica e teoretica coerente, in una sorta di dialettica fra pratica e teoria, ed in questo caso la parte teorica si trasferisce nella sfera ontologia della natura delle idee. Il cubito potrebbe in effetti essere un’idea perfetta in sé, il motivo per cui ciò è possibile sta nel fatto che Dio fornisce all’uomo varie volte un progetto, che contempla nella sua traduzione reale la mediazione necessaria anche se non sufficiente del cubito. In Genesi 6 Noè è chiamato a realizzare il progetto di Dio dell’Arca. La lettura del passo di Genesi sembra facile ed a prima vista non pone alcun problema nella comprensione, ma se riflettiamo bene sul progetto dell’Arca, essa inizia ad allontanarsi dalla configurazione più comune di nave e apre un grande enigma. Origene, nell’Omelia a Genesi II, come abbiamo visto, e Sant’Agostino3 con lui, definiscono l’Arca secondo uno schema geometrico piramidale, e ribattono le argomentazioni degli gnostici e dei manicheisti discutendo proprio sul valore del cubito. [...] mise a questo punto il numero dei cubiti secondo la scienza geometrica [...]. Per i geometri infatti secondo il valore che nel loro linguaggio si chiama potenza, da un solido e quadrato l’uno corrisponde a sei cubiti, se è considerato in modo generale, e a trecento se inteso minutamente (Origene, 1976 [III d.C.]). 3 Augustinus, Questioni sull’Ettateuco, Libro II: Questioni sull’Esodo <http://www.augustinus.it/italiano/questioni_ ettateuco/index2.htm> (10/18).

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Secondo il principio della giusta misura il cubito dell’arca di Noè è secondo Origene sei volte più grande del cubito che tutti gli altri intendono. Una misura di questa ampiezza, dimensionerebbe l’Arca in maniera più confacente alla funzione affidata. 300 cubiti per 50, alta 30, che, utilizzando per comodità un cubito medio stimato circa 45 cm, vorrebbe dire m 810 x m 135 alta m 81 e per uno scafo ligneo è una dimensione ancora oggi impensabile per l’uomo4. La compartimentazione interna dell’Arca poi induce a pensare che questa, date le dimensioni e la distribuzione dei ponti/piani, non sia affatto un parallelepipedo come comunemente si crede. Anche in questo caso il manufatto ci viene descritto e commentato da Origene e da Sant’Agostino che all’unisono la descrivono secondo un andamento piramidale a gradoni in un ordine di 5 livelli interni la cui sommità è un quadrato di un cubito per un cubito ovvero, ipotizzando un cubito medio da cm 45, di m 2,70 x 2,70 ovvero mq 7,29. Si deve dunque riconoscere una qualità divina del cubito poiché espresso concettualmente direttamente da Dio e tale misura, sei volte più grande di quella derivante dal cubito medio, assume una qualità teologica dal momento che regola progetti sovraumani e ricalca la dimensione del tempo della creazione: 6 giorni di costruzione del creato, 6 volte la misura supera quella umana. Il cubito è sei volte più grande di quello corrente ebbene: Sei è un numero perfetto di per sé, e non perché Dio ha creato il mondo in sei giorni; piuttosto è vero il contrario. Dio ha creato il mondo in sei giorni perché questo numero è perfetto, e rimarrebbe perfetto anche se l’opera dei sei giorni non fosse esistita5.

Il cubito è di per sè derivante da un sistema di relazioni assolutamente leggibili in senso cristologico: Assi di simmetria

3

Dio

Facce

6

la creazione

Vertici

8

il Cristo

Spigoli

12

gli apostoli

Il cubito inserito in questa logica diviene dunque funzionale ad una lettura del testo biblico da un punto di vista cristologico oltre ad avere in sé una accezione cosmica innegabile. 4 La Nimiz è una portaerei di 330 metri, con una larghezza massima di 78 metri ed un’area di 18,210 m2, ospita 5000 uomini e 80 veivoli. 5 Augustinus, 1991, XI, 3 [413-426].


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Applicazioni pratiche in ambito cantieristico Uno dei temi chiave nella trattazione dello studio delle strutture architettoniche si è sempre legato al problema della commensurabilità dell’unità di misura. I numeri naturali hanno sempre accompagnato fin dalle origini le principali costruzioni di ogni tempo. Gli stessi progetti contenuti nelle sacre scritture sono sempre descritti secondo quantità note, finite e addirittura, come abbiamo avuto modo di vedere, privilegiano anche i rapporti naturali interi 1:1-2-3-4… Ma se di numeri razionali si parla, il primo pensiero non può non guardare indietro fino alle grandi conquiste della scuola pitagorica che ebbe il merito di codificare in modo sistematico una serie di conoscenze geometriche, per altro caricate di un grande valore simbolico. Da un punto di vista squisitamente pratico la codificazione delle terne pitagoriche rappresenta ancora oggi un potente mezzo di controllo cantieristico. Basta infatti una semplice rullina (o corda) da 12 unità6 per controllare secondo la nota terna 3-4-5 l’ortogonalità degli elementi della fabbrica. Tale fu l’attenzione per la necessità di manipolare quantità intere che nel III secolo il matematico greco, Diofanto di Alessandria7 arrivò a studiare equazioni in una o più incognite con coefficienti interi di cui si ricercano le soluzioni intere. Dobbiamo qui però proporre una distinzione fra quello che viene considerato un ‘atteggiamento aritmetico’ da un ‘atteggiamento geometrico’. È facile trovare vasta approvazione nell’osservazione che un cantiere medievale o anche classico non potesse gestire complicati calcoli ingegneristici con l’ausilio dei soli numeri naturali, se ne deduce la necessità di riconoscere l’opportunità di un approccio ti tipo geometrico per il calcolo dello scarico delle forze o per la realizzazione di complesse coperture voltate. Tuttavia vogliamo evidenziare in questa sede la possibilità di distinguere due tipi di approcci geometrici: uno ‘geometrico razionale’ e uno ‘geometrico irrazionale’. Nel calcolo dell’ipotenusa di un triangolo rettangolo l’individuazione delle terne pitagoriche individua un problema geometrico razionale, tutti gli altri triangoli rettangoli individuano un problema geometrico irrazionale secondo cui l’ipotenusa esiste come entità geometrica ma non può essere espressa numericamente da numeri interi. In ambito cantieristico esiste però un grado di libertà maggiore che non sempre viene considerato: l’‘approssimazione metrica’, o vero quel grado di approssimazione infinitamente piccolo che permette di essere trascurato in fase costruttiva, all’interno del quale rientrano: 6 7

Vedi la corda a 12 nodi dei monaci costruttori. Fu uno dei primi matematici a introdurre il simbolismo nell’algebra.

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Rappresentazione in palmi della radice quadrata e della radice cubica di un cubo di lato 7 palmi. Tale rappr. permette di apprezzare visivamente l'arrotondamento infinitesimale che può essere applicato in fase cantieristica per la semplificazione dei calcoli posizionali.

pagina a fronte Rappresentazione in palmi del rapporto che intercorre tra diametro e circonferenza. Tale rappresentazione permette di apprezzare visivamente l'arrotondamento infinitesimale che può essere applicato in fase cantieristica per la semplificazione dei calcoli posizionali. Ne risulta un rapporto geometrico di 22/7 che arrotondato al centesimo risulta essere 3,14

il trattamento delle superfici, le fughe, le imperfezioni derivate dai lavori eseguiti unicamente a mano e senza moderne apparecchiature di taglio8. Ed è esattamente in tale ambito che si collocano alcune delle proprietà più sorprendenti del cubito reale da 7 palmi, e di conseguenza del cubito biblico descritto da Ezechiele nel tempio futuro. Al riconoscimento di tali proprietà segue implicitamente la persuasione che il cubito debba contenere al suo interno dei rapporti tali che il suo utilizzo, attraverso l’uso dei multipli e dei sottomultipli, sia in qualche modo garanzia di una proporzionalità intrinseca. Riportiamo di seguito alcune delle proprietà geometriche riguardanti il cubito da 7 palmi. Commensurabilità della √2 Dato un quadrato di lato 7 la sua diagonale sarà approssimabile a 10, infatti: 7√2=9.8994 in termini metrici, data come unità un palmo medio di 7,5 cm, 10 palmi corrisponderanno a 75 cm; la diagonale geometrica sarà equivalente a: 7,5 cm · 7 · √2=cm 74,246… ne segue che: cm74,246…< cm 75 da cui l’approssimazione proposta avrà un esubero di c.a 8mm, ovvero meno di un centimetro o mezzo dito.

8 Lo stesso grado di libertà esiste nella redazione dei disegni tecnici e viene computato secondo la così detta teoria dell’errore.


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Commensurabilità della √3 Dato un cubo di lato 7 la sua diagonale sarà approssimabile a 12, infatti: 7√3=12,12435565 in termini metrici data come unità un palmo medio di 7,5 cm, 12 palmi corrisponderanno a 90 cm; la diagonale geometrica sarà equivalente a: 7,5 cm · 7 · √3=cm 90,932… ne segue che: cm90,932…> cm 90 da cui l’approssimazione proposta avrà un ammanco di c.a 9 mm su 90 cm, ovvero di c.a mezzo dito (1.875/2=0.9375) Rapporto commensurabile tra perimetro e diametro Data una circonferenza di diametro 1 sappiamo che la circonferenza sarà corrispondente a π = 3,14… In una costruzione in base 7 possiamo però affermare che la circonferenza sarà approssimabile a 3 (x7) + 1/7, con uno scarto in eccesso dell’ordine di millesimi, infatti 3,141592654…< 3,142857143… Utilizzando come unità di misura un cubito reale da 52,5 cm, dato un cerchio di diametro 1 cubito, la sua circonferenza sarà uguale a tre cubiti e un palmo, l’errore che ne deriverebbe sarebbe equivalente a un millimetro e mezzo che nell’ambito cantieristico equivale a zero. Riguardo l’uso pratico che tale equivalenza può apportare in cantiere riportiamo ad esempio che lo svolgimento di tre circonferenze equivalgono alla segnatura di 11 cubiti naturali (da 6 palmi). 3giri x 22 palmi / 6 numero di palmi in un cubito naturale = 11 cubiti naturali

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fig. 15 L’Aritmetica di Boezio, dal manoscritto medievale in Boethiu, A.M.T.S., Die sieben freien Künste. Arithmetik und Boethius

pagina a fronte fig. 16 Studi stereotomici sul taglio della pietra sfruttando le proprietà del cubito medio, del cubito reale, e del palmo. L’immagine dimostra uno schema grafico pratico che permette di effettuare tagli modulari al palmo per la realizzazione dei conci di un arco in pietra

Il cubo secondo Leon Battista Alberti Al capo VI del libro nono, Leon Battista Alberti intraprende una interessante disquisizione “della corrispondenza de’ numeri, del misurare le piante, e della regola del terminare che non è naturale, ne delle armonie ne dei corpi”9. Inizia effettuando una distinzione fra le piante nelle quali “i diametri si adattano a due a due”. Si distinguono: le piante piccole, le piante mediocri e le piante grandi. In particolare fra le piante piccole se ne contano tre di cui “la minore di tutte è la quadrata”, seguono poi la sesquialtera e la sesquiterza. L’analisi di tali figure evidenzia secondo i moderni canoni geometrici una chiara corrispondenza con il quadrato e con altri due quadrilateri retti i cui rapporti corrispondono per la sesquilatera al rettangolo 3:2 e per la sesquiterza al rettangolo 4:3. Delle piante mediocri le tre figure base sono: la dupla, la sesquialtera duplicata e la sesquiterza duplicata i cui rapporti sono rispettivamente 1:2, 4:9 e 9:16. Seguono infine le piante grandi fra cui trovano menzione le piante triple e le quadruple (più altre come mostrato in figura), date dalla commistione delle piante dette piccole. Riportiamo brevemente quanto già osservato riguardo i progetti descritti nelle sacre scritture: 1. la consuetudine a preferire rapporti proporzionali di tipo naturale (1:1,2,3,4…); 2. man mano che ci si approssima al Santo dei Santi, gli arredi sacri prendono altre proporzioni, il rapporto naturale si frammenta per prediligere un rapporto armonico di quarta (DO-FA) e di quinta (DO-SOL) i cui rapporti di frequenza sono rispettivamente 4/3 (sarebbe a dire la sesquiterza albertiana) e 3/2 (sarebbe a dire la sesquialtera albertiana) cioè in rapporti di frequenza musicale 1,333… e 1,5. 3. Solo l’Arca, sia essa quella di Noè, sia essa quella di Mosè arrivano a sfruttare il rapporto di sesta maggiore (DO-LA), in rapporto di frequenza 5/3 che non viene annoverato tra le piante convenzionali riportate dall’Alberti mantenendo però sempre la caratteristica di essere il rapporto armonico più vicino al rapporto aureo. Sembrerebbe riconfermarsi la teoria per cui la sesta maggiore sembra diventare un’eccezione, un limite geometrico di carattere asintotico a cui tendere per l’armonia architettonica senza aver possibilità di raggiungerla in pieno come la figura del Cristo è asintotica per l’uomo che tende ad esso consapevolmente, sapendo di non poterlo pienamente imitare. Completata la suddivisione delle piante secondo il rapporto dei lati, inizia la descrizione del cubo “Il primo dei cubi, la radice del quale è 1, è consagrato alla divinità, poiché essendo prodotto da 1, è anche da ogni parte per ogni verso 1”10. 9

Alberti, 1786, p. 452 [1450]. Alberti, 1786, p. 455 [1450].

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Secondo le definizioni: la radice è ciò che oggi chiamiamo il lato del quadrato o lo spigolo del cubo, la potenza è la superficie di una faccia, mentre il diametro è la diagonale del quadrato di base (la nostra l√2). In particolare dice: Quanto questa sia per numero non si sa, ma si sa bene che essa è la radice di una pianta che in superficie è otto. Evvi oltre a questo il diametro del cubo, il quale noi sappiamo certamente è radice della pianta che in superficie è 12 (Alberti, 1786, p. 455 [1450]).

Tale affermazione in ultima battuta non riporta solo al concetto di geometria razionalizzata da cui avevamo ricercato le due diagonali del cubo, ma riconduce la stessa geometria razionalizzata a geometria razionale secondo un rapporto di aree intere geometricamente determinate. Di questi numeri che noi abbiamo indicati, si servono anche gli architetti non confusamente ne a caso, ma in modo che corrispondano e consentano da ogni banda all'armonia. Così per esempio se alcuno volesse alzare le mura di una stanza che fosse il doppio più lunga che larga, servasi in questa non di quelle corrispondenze colle quali si fa tripla, ma solamente di quelle della quale si compone essa dupla (Alberti, 1786, p. 455 [1450]).

Studi stereotomici sul taglio della pietra Nell’ambito degli studi cantieristici effettuati sulle strutture medievali di epoca crociata in Terrasanta è stato possibile effettuare degli studi puntuali sull’applicazione pratica di alcuni principi stereotomici elementari legati all’uso del cubito come unità mensoria11. Anzitutto ricordiamo la complementarità dei due cubiti da 7 e da 6 palmi utilizzati rispettivamente per l’impianto cantieristico e per la modulazione degli elementi più piccoli, quelli che devono essere più facilmente maneggiati. Si evidenziano operazioni pratiche che attraverso piccoli accorgimenti permettono di semplificare la misurazione di tagli complessi.

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Cfr. Aiello, Luschi, 2012, pp. 28-29; Bohas, 2017, pp. 120-127.

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fig. 17 Riproduzione delle proporzione delle piante degli edifici descritti da Alberti nel Libro IX, capo VI. In baso a sinistra è graficizzata una nota equivalenza che lega l’area di un quadrato in relazione alla radice di 2 e di 3. Da un'unità di misura irrazionale è possibile ottenere una superficie computabile in numeri naturali.

Nel caso proposto, dato un cubo di pietra divisibile in 6 sottomultipli, lo sguancio della pietra: geometricamente dovrebbe essere calcolato mediante la costruzione dell’arco di curvatura; in pratica è possibile ottenere lo stesso risultato (a meno di approssimazioni controllate) attraverso l’utilizzo di scansioni derivate dal palmo e dal digito (fig. 16). In particolare la diversa pezzatura delle pietre è da imputare alla qualità del blocco di pietra originale che viene normalizzato in base alle necessità. Anche il concio di imposta sfrutta uno schema modulare al palmo ma debitamente studiato per offrire un appoggio di spiccato a 90°.


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conclusioni

Il cubito della Santa Sindone Sulla traccia degli studi fin qui elencati, vogliamo porre in conclusione l’attenzione sulla possibilità di ricavare, grazie a moderni metodi di rilevamento indiretto fotogrammetrici, alcuni dati riguardo alle misure del Cristo impresse nel telo della Sacra Sindone conservato a Torino. Sappiamo che fin dai secoli passati si è tentato di misurare, attraverso la Sindone, la statura di Gesù. Pare che i Savoia usassero donare agli ospiti dei nastri la cui lunghezza corrispondesse all’altezza dell’Uomo della Sindone, misurata in 183 cm12. Oggi l’altezza viene stimata con buona prudenza tra i 178 e i 185 cm (fig. 17). Da un’analisi preliminare del telo la prima osservazione che possiamo effettuare è che il telo stesso, lungo 441 cm x 111 cm, è misurabile in cubiti e per l’esattezza: secondo il cubito reale egizio risulta essere lungo 8 cubiti e due palmi e largo 2 cubiti e un palmo; secondo il cubito naturale 9 cubiti più 4 palmi e lago 2 cubiti e mezzo. Già questo tipo di informazione è indicativa della possibilità che tale unità di misura fosse quella in uso al tempo della realizzazione del telo stesso della Sindone, offrendo una dato quantitativo sulla codifica di una possibile unità di misura. Volgendo l’attenzione all’immagine impressa sul telo, ciò che appare interessante, è che la misurazione del ‘braccio’ della sindone risulta pari ad una lunghezza facilmente approssimabile al ‘cubito reale egiziano’ trattato. Secondo i risultati della lettura fotogrammetrica, considerando, la nitidezza dell’immagine stessa impressa sul telo, si parla infatti di una misura approssimabile tra i 52 e i 53 cm. In particolare l’analisi morfologica dell’arto destro evidenzia una mano affusolata e un palmo che se usato come sottomultiplo, scandisce la misura dell’avambraccio (dal gomito alla punta del dito medio) in 7 unità a differenza dei normali 6 palmi. Ciò ci appare un caso molto particolare non immaginando che tale corrispondenza potesse trovare riscontro in un contesto così inaspettato. In ultima analisi un punto di vista figurativo, di particolare interesse, appare essere anTale altezza pare essere la stessa indicata dallo storico bizantino Niceforo Callisto nel XIV secolo. “Nel Libro I Cap. 4 ha affermato fuisse Corporis statua ad palmos prorsus septem = idest, spiega il Calmet, septem pedum duodecim digitorumsigulos” Federigo di Poggio, 1839, p.12.

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che la posizione delle due braccia incrociate sul ventre a formate un angolo retto. Ripercorrendo l’immagine delle normali salme, riprodotte anche nei sarcofagi egiziani, gli arti dovrebbero essere incrociati sul petto (consuetudine nella sepoltura degli uomini) o con un braccio disteso lungo il corpo (per le donne). Tale anomalia lascia spazio ad alcune riflessioni sulla possibilità che anche tale immagine possa in qualche misura portarsi dietro un significante intrinseco legato al concetto di angolo retto e di conseguenza all’idea di giustizia. L’essere retto13 è sinonimo di giustizia non solo da un punto di vista lessicale ma anche figurato.

fig. 18 Fotogrammetria della Sacra Sindone di Torino. La griglia di riferimento sfrutta una scansione in base sette secondo i sottomultipli del meh suten egiziano in uso in Terra Santa al tempo di Gesù.

Il cubo votato a Dio Il cubito appare nelle Sacre Scritture come misura con cui proporzionare i progetti divini che il Signore Dio mostra all’uomo. Abbiamo visto come esso venga composto per proporzionare costruzioni sacre con proporzioni precise che portano in sé rapporti armonici costanti, espressione di una corrispondenza cosmologica col creato. È profondamente legato alla dimensione terrena secondo le due aggettivazioni di spazio e tempo configurandosi come il mezzo di unione tra il divino e il terreno, da cui potremmo definirlo come una ‘porta’, l’‘architrave’ sotto cui passare. Col factum storico, tale principio, dalla connotazione di elemento ideale (in senso platonico: derivato dalla dimensione iperurania) acquista la connotazione di elemento vero secondo un’accezione cristologica. La ‘giusta’ misura diventa pietra angolare, fondamento su cui costruire: “Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Co 3, 11-12). Gli esseri umani sono quindi chiamati a diventare pietre vive nella costruzione della chiesa fondata da Gesù Cristo stesso, la nuova Arca di salvezza. Essi rappresentano quindi non solo le membra di Cristo ma anche la molteplicità generata dall’unità che Alberti ritrova così ben espressa nella forma del cubo votato a Dio. L’angolo retto deriva dall’intersezione di due rette che incrociandosi secondo la normale creano 4 angoli retti. È un richiamo alla giustizia come esempio da seguire, non a caso ‘si segue la retta via’.

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Aggettivazione del cubo Cubito

Pietra Angolare

Pietra di Luce

Cubito-cubo

Pietra Viva

Gerusalemme Celeste

Mezzo con cui Dio comunica il suo progetto di salvezza

Gesù Cristo Salvezza dell’uomo

Orizzonte del cammino di salvezza

Padre

Figlio

Spirito Santo

SIMBOLO

MISURA

TEMPO

Il primo dei cubi, la radice del quale è 1, è consagrato alla divinità, poiché essendo prodotto da 1, è anche da ogni parte per ogni verso 1. Aggiungevisi che dicono che esso è la più stabile di tutte le figure, e da dover rimaner costante in ogni basamento. Ma poiché l’unità non è numero, ma è quello o da cui nascono, o che in se contiene tutti i numeri, ci sarà forse lecito dire, che la dualità sia il primo numero (Alberti, 1786, p. 455 [1450]).

La costruzione finale non a caso sarà rappresentata nella Gerusalemme Celeste come una città in cui “la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali” (Ap 21, 16). Secondo tale logica all’interno della città non vi sarà alcun tempio perché tutto sarà tornato all’armonia dell’Unità, “perché il signore Dio, l’onnipotente, e l’Angelo sono il suo tempio”. Volendo riprendere la visione apocalittica del pastore di Erma, esso vede costruire la torre quadrata in cui le pietre: “Erano così ben connesse che non lasciavano apparire la congiunzione. Sembrava che l’edificio della torre fosse come costruito con una sola pietra” (Hermas, 2007, p.26). I tre grandi eoni della storia dell’umanità vengono così rappresentati nei tre simboli: del cubito, della pietra angolare e della Gerusalemme celeste, città giusta, cubica, fatta di pietre luminose in cui Dio è “l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine”. Il cubito, per riassumere quanto emerso dal presente lavoro, non è misura nell’accezione mensoria, ma è espressione aniconica dell’armonia divina che diviene misura per opportunità, in una sorta di appesantimento del concetto nel transito ontologico necessario per informare la prassi. Solo in questa forma si può rendere coerente la molteplice valenza con cui è usato: spaziale, temporale, relazionale e simbolico. Se inoltre venisse confermato, con studi più approfonditi, quanto osservato sulla Sindone, oltre ad avere uno straordinario indizio che l’uomo sindonico potrebbe essere veramente il Cristo, si confermerebbe la lettura cristologica che sin da Genesi introduce la misura di tutte le cose: il cubito.

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Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Novembre 2018



Il cubito rappresenta un’unità di misura storica di origine sacra. Comunemente individuato come la misura che intercorre tra il gomito e la lunghezza del dito medio, esso affonda le sue radici nell’antico Egitto legando la propria origine alla misurazione del fiume Nilo, fonte primaria di vita per i popoli occidentali della mezzaluna fertile. Tale unità di misura, ampiamente utilizzata nei testi sacri per descrivere i progetti dettati da Dio, ha nel suo portato dei significati simbolici che trovano una corrispondenza pratica nell’uso quotidiano che l’uomo ha imparato a conoscere nel corso dei secoli adottandolo come strumento espressivo di quell’armonia divina insita nella praticità della prassi costruttiva. Il presente testo affronta le qualità teologiche, qualitative e quantitative del cubito che diviene immagine aniconica di Dio nel transito ontologico tra ‘parola’ e ‘progetto’.

Laura Aiello si laurea nel 2005 in architettura a Firenze con il massimo dei voti legali e lode, consegue il titolo di Dottore di ricerca in ‘Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente’; Nel 2011 consegue all’Università Europea di Roma il master di II livello in ‘Architettura arti sacre e liturgia’ con il massimo dei voti legali, lode e dignità di pubblicazione. Dal 2013 è docente nel settore ICAR17 presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha collaborato con l’ufficio storico del centro UNESCO di Firenze ed è stato coordinatore scientifico e visiting professor di alcuni programmi di collaborazione, sviluppati all’interno degli accordi internazionali interuniversitari, con Israele e con l’Armenia. Studiosa dell’architettura storica di epoca classica e medievale, dedica gran parte degli studi al complesso rapporto che intercorre fra il disegno di rilevo archeologico e la ricostruzione filologica del progetto dei monumenti storici, soffermandosi sui problemi legati alla valorizzazione e allo sviluppo dei beni culturali. Fra le pubblicazioni ricordiamo l’edizione Brill 2017 vincitrice del “2017 Verbruggen Prize”.

ISBN 978-88-3338-053-7

9 788833 380537

€ 15,00


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