Relazione storico-archivistica
stando, tra l’altro, modelli per le plastiche e i decori6
Nel 1741 la fabbrica di Doccia ottiene il monopolio per la produzione di porcellane in Toscana ed acquisisce ben presto fama in tutta Europa. In questo periodo vengono prodotte porcellane a bassorilievo e tutto tondo e vasellame per le mense dei nobili famiglie italiane. La fabbrica si cimenta anche nella creazione di pezzi di maggiore impegno artistico, quali sculture e figure singole o a gruppi di notevoli dimensioni, realizzate grazie all’opera di importanti scultori, modellisti e pittori, fra i quali Gaspero Bruschi (1710-1780) e Carl Wendelin Anreiter (1702-1747). Nell’aprile del 1753 il marchese decide di realizzare al piano terra della villa una “galleria” dove poter esporre il campionario dei prodotti che la fabbrica aveva realizzato nel corso dei primi quindici anni di vita della manifattura7. Il nuovo ambiente viene costruito in aderenza alla residenza originaria, a partire dall’estremità nord-ovest, “sul versante immediatamente accessibile dalla strada in modo da poter sopperire alle esigenze di rappresentanza ed accoglienza dell’impresa; per accedervi viene accuratamente evitato l’attraversamento dei fabbricati produttivi, le nuove officine, e vi si accede anche direttamente dal giardino tramite un grande portale aperto al centro
del fronte” 8. Accanto alla nuova ala, destinata ad esposizione, viene subito edificato uno “stanzone” necessario per la conservazione delle forme per le statue9
Nel 1754 due sale della galleria vengono decorate con architetture illusionistiche, secondo il gusto barocco dell’epoca, dal pittore quadraturista Giuseppe del Moro (1718-1781) e dal pittore Vincenzo Meucci (1694-1766) che esegue la parte figurata. Su una volta viene rappresenta l’“Allegoria dei quattro elementi” che partecipano alla realizzazione della porcellana e nelle sette lunette sono raffigurate le fasi di lavorazioni delle argille, descritte anche nei cartigli sottostanti10. La decorazione funge da preludio e presentazione degli oggetti esposti11
Nello stesso periodo, su una parete di fondo della galleria, viene murato il camino monumentale realizzato in porcellana bianca da Gaspero Bruschi e Domenico Stagi (1754).
Il contesto, molto ricercato, diventa una tappa d’obbligo per i visitatori della fabbrica ed esalta le opere più prestigiose realizzate in porcellana: ad esempio le traduzioni in scala di statue antiche quali la “Venere dei Medici”, l’“Arrotino” e l’“Amore e Psiche”12.
Negli spazi adiacenti alle sale affrescate viene allestita la “Galleria dei modelli” che comprende un nucleo consi-
stente di sculture in gesso, terracotta, bronzo e in cera acquistate dal marchese Ginori per servire come modelli di studio e prototipi per le porcellane, realizzate tramite forme in gesso secondo una prassi in uso per l’esecuzione dei bronzi. Una sezione significativa dell’esposizione è rappresentata dalle impronte della glittica antica, tratte dalla raccolta di gemme e medaglie acquisite dal Ginori già dal 1741 e utilizzate per la traduzione della porcellana con effetto “a cammeo”. Viene esposto anche il cosiddetto “Museo delle terre”, uno straordinario campionario di terre e pigmenti raccolti in vasi in vetro e basi e coperchi in maiolica, decorati con ornati blu alla cinese13 Alla “Galleria delle sculture” (o dei modelli) e al “Museo delle terre” si affianca poi l’esposizione dei prodotti della manifattura che rappresenta il terzo nucleo originario della collezione. Non sappiamo con certezza in che modo sia organizzata l’esposizione alla metà del Settecento, né il numero delle sale che effettivamente occupa. Inoltre, come è stato osservato non si tratta di un vero e proprio museo, ma piuttosto di una galleria privata realizzata essenzialmente per motivi promozionali e didattici. Le opere, infatti, oltre ad essere direttamente strumentali all’attività produttiva, hanno il preciso scopo
21
pagina precedente Villa Ginori a Doccia, Sesto Fiorentino, foto d’epoca. (AMG, Fototeca)
pagina precedente
Una sala dei “Musei di Doccia” nell’antica sede della manifattura a Sesto Fiorentino, inizi del Novecento (AMG, Fototeca)
Veduta di una sala espositiva dei “Musei di Doccia”, villa Ginori a Doccia, Sesto Fiorentino, 1930 circa (AMG, Foteteca)
di comunicare agli ospiti, ammessi a visitare la manifattura, la cultura artistica e scientifica da cui scaturisce e si alimenta l’impresa di Doccia14
Dopo la morte di Carlo Ginori (1757) gli succedono tre figli maschi: Bartolomeo, Giuseppe e Lorenzo. La gestione dell’impresa viene assunta da quest’ultimo, il primogenito e l’unico ad avere superato la maggiore età. Lorenzo possiede un grande intuito economico e finanziario che compensa le sue scarse competenze scientifiche. Nel primo anno di gestione (1758) riesce a portare in attivo il bilancio della fabbrica che fino ad allora era stato deficitario. Gli introiti aumentano notevolmente grazie al forte incremento delle porcellane che raggiungono, nel 1760, anche il mercato spagnolo15
Al fine di disporre le modifiche e gli accorgimenti necessari per ottenere il maggiore utile di impresa, Lorenzo incarica uno studioso lorenese, Johannon de Saint Laurent, di redigere uno studio completo sulla manifattura, con accurate analisi dei prezzi. Lo studio, concluso il 16 febbraio 1760, è un quadro molto interessante sulla vita aziendale, ad iniziare dalla descrizione dei tempi di lavorazione delle porcellane e delle maioliche, fino al numero degli addetti per ogni singola operazione16
Durante questa seconda fase , la fabbrica si evolve e assume connota -
ti nuovi rispetto al primo periodo. Se Carlo aveva affrontato l’avventura della porcellana con spirito pioneristico e ambizioni artistiche, Lorenzo si preoccupa di razionalizzare i costi e di risolvere il problema dell’approvvigionamento del caolino. Intorno al 1762 introduce il cosiddetto “masso bastardo”, un particolare tipo di porcellana, a cui il caolino toscano conferisce un colore grigio, ma che, grazie ad un rivestimento coprente a base di stagno, appare bianca e piacevole alla vista, permettendo di ridurre drasticamente le importazioni di caolino estero17. L’innovazione tecnica si accompagna ad una maggiore diversificazione dei prodotti e dei decori, passando da una produzione mirata, destinata alla vendita più che alla ricerca di risultati eccezionali come era stato nella fase sperimentale del padre. Cessa la realizzazione delle sculture e dei pezzi di grandi dimensioni, mentre si sviluppa la produzione da servizi da caffè, da tè e da tavola. Pur restando in auge i decori del primo periodo e l’influsso delle porcellane cinesi, nascono nuovi ornati: tra i più famosi il decoro “a roselline” e “a fiori sparsi e frutta”. Alle forme consuete si aggiungono i candelabri, i vasi d’altare, i portalumi da notte e gli scaldini da brace. Sono ancora attivi i maestri e i lavoranti del primo periodo, fra cui il modellatore Ga-
spare Bruschi e il decoratore Jacopo Fanciullacci18
La manifattura diventa un’impresa redditizia e, grazie a nuovi utili, nel 1766 Lorenzo decide di ristrutturare la villa Le Corti affidando l’incarico all’architetto Giovan Battista Clemente Nelli (1725-1793)19. Lo scopo è quello di ricavare all’interno dell’edificio principale ambienti di rappresentanza più consoni ad attività di pubbliche relazioni20
Al 1787 risale l’“Inventario de’ modelli”, un documento di fondamentale importanza per la storia del collezionismo perché redatto secondo la sequenza degli ambienti e la successione degli oggetti su appositi palchetti, armadi e scaffali presenti all’interno delle singole stanze, da cui si possono ricavare i criteri che hanno determinato le scelte espositive. I modelli sono raggruppati a seconda del loro soggetto e delle loro dimensioni, tenendo conto anche della cronologia21
Nel 1791 Lorenzo Ginori muore a soli 57 anni22. Gli succede Carlo Leopoldo (1788-1837) che eredita la manifattura a l’età di tre anni. È la madre, Francesca Ginori, nata Lisci, insieme ad un consiglio di tutori, ad occuparsi della gestione, in attesa che il figlio raggiunga la maturità e completi gli studi che dovranno prepararlo alla guida della fabbrica.
Grazie soprattutto ai viaggi nelle più importanti manifatture europee di porcellane, Carlo introduce a Doccia innovazioni tecniche all’avanguardia per i suoi tempi. A lui si deve l’invenzione di un nuovo tipo di fornace a quattro piani che cuoce simultaneamente diversi tipi di ceramica, con grande risparmio di combustibile, e che diventa famosa in tutta Europa come “fornace all’italiana”23
Per quanto riguarda la produzione, caratteristica di questo periodo è l’importazione sempre crescente di caolino francese di prima qualità, che serve a produrre le porcellane cosiddette “sopraffine”, cioè quelle con impasto e decorazione più pregiati24. Gli ornati e le forme seguono il rapido avvicendarsi degli stili Neoclassico, Impero e Restaurazione, tendenze che impongono un notevole sviluppo delle tecniche lavorative: dall’uso dei colori “matti” cioè opachi, alla brunitura dell’oro fino alle miniature che imitano la pittura ad olio con fedeltà tale da permettere di riprodurre su porcellana i più famosi capolavori delle Gallerie Fiorentine25
Questi nuovi indirizzi figurativi si sviluppano grazie all’arrivo a Doccia di due nuovi maestri di pittura di Ginevra: François Joseph de Germain e Abrham Costantin, specializzati nella riproduzione su porcellana di pitture realizzate in origine su
23
tela o ad affresco. Costantin trasmette la sua tecnica a Giovan Battista Fanciulacci e in tal modo la “Pittoria” acquisisce i segreti della minuziosa riproduzione della pittura su porcellana. In questo periodo viene creata una grande quantità di forme, fra cui si ricorda, a titolo esemplificativo, la forma della zuppiera tripode (sostenuta da tre gambe)26
Intorno al secondo decennio dell’Ottocento la manifattura rimane la sola fabbrica di porcellane ancora attiva su vasta scala in Italia, essendosi nel frattempo, via via, spenti i forni di altre celebri officine della penisola. In questi anni, grazie anche alle segnalazioni della letteratura periegetica, la villa di Doccia diventa meta frequente di personaggi illustri. Da ricordare la visita nel 1816 di Maria Luisa d’Austria, duchessa di Parma, e nel 1819 quella dell’imperatore d’Austria Francesco II, accompagnato dal granduca di Toscana27
Durante questo periodo, la collezione dei modelli viene implementata e particolare attenzione è rivolta alla raccolta delle porcellane artistiche28
Carlo Leopoldo Ginori muore nel 1837, a soli 49 anni. La fabbrica resta dipendente dalla direzione della vedova Marianna Garzoni Venturi che segue i criteri della produzione già tracciati da Carlo Leopoldo, in attesa che il giova-
ne erede Lorenzo, che ha solo 14 anni, possa raggiungere la maggiore età29
La seconda metà dell’Ottocento è un periodo di grandi trasformazioni. Lorenzo II Ginori Lisci, proprietario dal 1838 al 1878, si trova a un bivio cruciale per la storia della fabbrica: mantenere l’originario carattere artigianale della manifattura o scegliere la strada della rivoluzione industriale: sceglie la seconda alternativa30
Nel 1854 affida la direzione della manifattura a Paolo Lorenzini31 che ha un ruolo determinante nel rinnovamento e nella presentazione della produzione di Doccia sul mercato internazionale. Questo periodo, infatti, è segnato dalla partecipazione della manifattura alle grandi mostre europee (Parigi 1855, Londra 1862, Parigi 1867, Vienna 1873) e dai riconoscimenti e premi conseguiti. Ne consegue una straordinaria crescita dello stabilimento: vengono costruite nuove fornaci e nuovi mulini per macinare le terre e introdotti nuovi macchinari32
In questo periodo la galleria continua ad essere arricchita di pezzi simbolo della produzione, fra i quali il grande “Vaso mediceo” realizzato nel 1851, decorato con la veduta della fabbrica di Doccia e delle colline retrostanti. Alla “Pittoria” e al decoratore capo Lorenzo Becheroni senior si devono le lastre in maiolica riproducenti celebri dipin-
ti, i servizi in porcellana con i ritratti dei pittori e i piatti con le vedute miniate di Firenze e Milano.
In questi anni alla fabbrica di Doccia vengono richieste commissioni dalla famiglia dei Savoia e dal viceré di Egitto. Tra le novità tecniche introdotte in questo periodo, da ricordare la produzione delle litofanie, sottili lastre in porcellane usate come paralumi, gli esperimenti di trasporto per la fotografia, della stampa e della cromolitografia su porcellana, la reintroduzione della tecnica del lustro metallico nella maiolica, secondo un procedimento messo a punto in epoca rinascimentale. La maiolica è il settore che viene maggiormente potenziato, beneficiando delle ricerche del chimico Giuseppe Giusti e delle decorazioni di impronta naturalistica del pittore Giuseppe Benassai33
Nel 1861 il re Vittorio Emanuele II vista la galleria in occasione dell’Esposizione Artistica e Industriale.
Nel 1864, con la crescita dello stabilimento dotato di nuove fornaci e macchinari, Lorenzo decide di conferire un assetto più rigoroso alle collezioni e di trasformare l’esposizione di matrice settecentesca in un insieme organico, definito esplicitamente “museo”, concepito e ordinato per conservare la storia della manifattura e aperto al pubblico, in giorni e orari stabiliti34. Il mar-
chese decide di destinare all’esposizione nuovi ambienti, arredati con sontuosi armadi e vetrine, dove gli oggetti più rappresentativi della produzione docciana sono esposti con criteri cronologici, a cominciare dalle prove di cottura e alle prove di decoro fino alle produzioni più recenti, ripercorrendo un arco di tempo che va dal 1737 fino al 186035
L’inaugurazione del museo viene celebrata come una “vera solennità artistica e industriale”. Una “folla sceltissima e numerosa di visitatori” giunge a Doccia spinta non solo dalla fama e dal prestigio della famiglia Ginori, ma anche dalla curiosità scaturita dal risalto pubblicitario dato all’evento36 Il museo diventa così il centro artistico della manifattura, dove tutti possono accedere. Quello che fino ad ora era stato una prerogativa esclusiva di una ristretta cerchia di privilegiati, diventa un luogo dove il pubblico può conoscere la storia della famiglia Ginori, stabilire un contatto diretto con gli oggetti più importanti della fabbrica e rintracciare i significati storico-culturali e scientifici posti alla base della produzione. Un luogo d’arte e di studio, ma anche luogo dove conservare la memoria storica dei progressi della fabbrica di Doccia37
Diversi quotidiani dell’epoca riportano notizie sull’aper-
25
pagina precedente Doccia, Manifattura Ginori, il pittore Francesco Albizzi dipinge un vaso in maiolica, 1900 circa (AMG, Fototeca)
tura del museo, fra cui la “Gazzetta di Firenze” del 2 giugno 1865 che pubblica un articolo con la descrizione delle cinque sale espositive e l’elenco degli oggetti contenuti in ogni sala: nella prima sono esposti i prodotti più comuni come le stufe e le terre grezze di uso quotidiano, nella seconda i serviti da tavola moderna in porcellana dipinta e dorata, nella terza i pezzi più antichi, dai primi tentativi a quelli più “ragguardevoli” come le due fruttiere dipinte da Antonio Anreiter, nella quarta “un grazioso gabinetto contenente una pregevolissima collezione di statue, per la maggior parte in porcellana biscuit, nella quinta, la galleria affrescata, sono conservati gli oggetti più pregiati, dai bassorilievi alle statue di porcellana alla grande lumiera con putti alle maioliche neorinascimentali a lustro alla porcellana a “guscio d’uovo”38. Dalla successione degli ambienti e del loro contenuto è evidente che gli oggetti sono esposti secondo un ordine gerarchico: dai più umili, come le stufe e le terre grezze della prima sala, fino ai prodotti artistici di maggiore pregio conservati nella sala decorata dal Meucci che accoglie “quanto più bello e di più artistico” che si produce nelle officine di Doccia39. Dalla descrizione è chiaro l’intento di Lorenzo Ginori ovvero proiettare all’esterno la storia personale della famiglia, docu-
mentare le fasi di un percorso iniziato un secolo prima da Carlo Ginori e offrire un campionario completo della produzione di Doccia che ormai non ha più nulla da invidiare alle altre manifatture europee40
Alla fine degli anni Sessanta la manifattura inizia una grande fase di sviluppo per adeguarsi alle trasformazioni legate alla rivoluzione industriale. Arrivano a Doccia tecnici e pittori francesi. Tra il 1866 e il 1872 vengono costruite tre fornaci circolari di nuovo tipo per le porcellane che vanno ad aggiungersi alle tre fornaci per la maiolica e per le stufe e una per le maioliche artistiche. I dipendenti sono circa trecento41
Negli stessi anni il museo si espande per consentire l’inserimento della produzione in maiolica che conosce un revival nel clima storicistico post-unitario, grazie anche alle scoperte chimiche di Giusto Giusti. Tra le maioliche d’ispirazione naturalistica spicca in una stanza del museo per le proporzioni monumentali, il vaso detto “Il Colosso” (h. cm 175) decorato con l’“Incendio delle Pampas” sulla base di un disegno di Giuseppe Benassi, direttore artistico dal 187142
Nel 1873 per la formazione di ceramisti e decoratori, Lorenzo promuove, insieme al Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino, la fondazione dell’Istitu -
to Statale d’Arte locale come Scuola di Disegno Industriale43
Dopo una fase di assestamento, le collezioni assumono il nome di “Musei di Doccia” e comprendono, oltre al “Museo Ginori” propriamente detto, con i manufatti prodotti nella manifattura dalle origini in poi, anche il “Museo Ceramico”, cioè una raccolta comparativa di prodotti di fabbriche italiane e straniere, sistematicamente esposti in ampie vetrine al di sopra delle quali è esposto un cartellino che ne indica la provenienza e la fabbrica in cui sono state prodotte. La presenza di questa raccolta è riconducibile allo spirito didattico e competitivo che ispira le Esposizioni Universali, e consente ai visitatori del museo di svolgere confronti tra i manufatti docciani e quelli di altre fabbriche, individuando differenze, affinità stilistiche e formali. Attigue ai Musei, si trovano la “Galleria dei Modelli” e le sale dedicate ai prodotti moderni che di fatto fanno parte dello stesso percorso espositivo, senza soluzione di continuità44
Gli anni di Lorenzo II si concludono nel 1878, anno della sua morte. A questa data la manifattura di Doccia è conosciuta a livello internazionale, le vendite e le esportazioni hanno raggiunto importanti traguardi, le forniture illustri per la Casa reale e per i personaggi celebri ne confermano il successo45
Nel 1879 la proprietà della manifattura passa all’erede ventisettenne Carlo Benedetto che continua ad avvalersi dell’esperienza e delle capacità di Paolo Lorenzini, già direttore della fabbrica, continuando nell’apertura internazionale con la partecipazione alle grandi esposizioni universali (Parigi 1878, Sidney 1879, Melbourne 1881). Fra le commissioni di grande rilievo, da ricordare quella del servizio da dessert ordinato dal re Umberto I di Savoia nel 1880, decorato con motivi floreali di grande eleganza46
Negli ultimi decenni del secolo viene dato grande impulso alla produzione della maiolica realizzata in una grande quantità di forme e colori, con particolare attenzione alla ripresa di forme rinascimentali come le grottesche e alla riproposizione della tradizione pittorica classica. Parallelamente assume sempre maggiore importanza la produzione di porcellane elettrotecniche. Nel 1889 la superficie edificata della fabbrica occupa circa 70.000 mq, sono in funzione quindici fornaci e i dipendenti hanno raggiunto 1200 unità47 Alla fine dell’Ottocento una serie di circostanze sfavorevoli, tra cui la morte di Lorenzini e la congiuntura economica negativa, rendono sempre più difficile per la famiglia Ginori proseguire con la gestione della fabbrica. Per questi motivi
27
pagina precedente Doccia, Manifattura Ginori, lavoro al tornio, inizi del Novecento (AMG, Fototeca)
Doccia, Manifattura Ginori, reparto pulitura, inizi del Novecento (AMG, Fototeca)
Carlo Benedetto decide di vendere la manifattura ad Augusto Ginori, proprietario di una fabbrica di porcellane di uso domestico a Milano (stabilimento di San Cristoforo)48
Augusto, figlio di Giulio, fondatore della più grande industria ceramica dell’epoca (1873), realizza nel 1896 la fusione tra la Ginori e la Richard, con sede a Milano e tre stabilimenti, creando la Società Ceramica Richard-Ginori.
In base agli accordi contrattuali, la collezione storica del museo, allestita negli ambienti dell’antica villa di Doccia, resta di proprietà della famiglia Ginori, ma viene concessa in comodato alla Società Ceramica49
Nell’anno di fondazione della nuova società il museo è costituito da tre sezioni distinte: la prima sezione comprende il “Museo Ginori” propriamente detto, contenente porcellane fabbricate a Doccia dal 1737 al 1896; la seconda è il cosiddetto “Museo Ceramico” contenente maioliche e porcellane antiche e moderne, italiane ed estere, la terza sezione è costituita dalla “Galleria dei Modelli” contente modelli di statue, bassorilievi, gruppi, animali, vasi, oggetti vari in terracotta, gesso e cera. Risulta escluso dal percorso espositivo della fine dell’Ottocento il “Museo delle Terre” che rappresentava il più antico nucleo della collezione
del marchese Carlo Ginori, nato insieme alla manifattura.
La nuova amministrazione, diretta da Augusto Richard, opera un riordino della produzione concentrando quella di terraglia forte a San Cristoforo presso Milano e specializzando lo stabilimento di Doccia nella produzione di porcellana in una visione di rispetto per una tradizione gloriosa. I diversi impianti permettono di produrre tutte le tipologie di ceramiche, dalla terraglia più economica alle maioliche artistiche, fino alle porcellane elettrotecniche garantendo alla nuova Società il dominio assoluto sul mercato nazionale e una posizione di primo piano anche all’estero50
Dal punto di vista artistico la fusione con la Richard segna l’avvento del Liberty sotto la guida di Luigi Tazzini, il quale, incaricato di aggiornare la produzione al gusto moderno, declina il nuovo stile ispirandosi ai modelli francesi51
Nei primi anni del nuovo secolo le porcellane elettrotecniche assumono sempre maggiore importanza e vengono costruiti nuovi locali per la loro fabbricazione e grandi sale per il collaudo. In questo periodo continuano a confluire nel museo di Doccia gli esemplari più significativi della fabbrica, fra cui i manufatti ceramici di Giò Pon -
ti (1891-1979), direttore artistico fra il 1923 e il 1930.
Agli inizi degli anni Trenta la manifattura raggiunge la sua massima espansione: la superficie edificata è di 80.000 mq., sono in funzione quaranta forni e i dipendenti raggiungono le 2000 unità52
Nel 1936 il Ministero dell’Educazione Nazionale appone “il vincolo di importante interesse artitsico” sulla collezione di oggetti appartenenti alla famiglia Ginori e alla Società Richard-Ginori, risconoscendo la formazione storica della raccolta. Il provvedimento, a cui sono allegati gli inventari di tutti i materilai, è emblamatico della coonsapevolezza del valore identitario del museo di Doccia e del suo collegamento con la manifattura53
1 Carlo Ginori è uno dei protagonisti della scena politica, economica e culturale toscana del suo tempo. Senatore a trentadue anni, dopo la caduta definitiva dei Medici entra nel Consiglio di Reggenza. Dal 1746 ricopre l’incarico di Governatore di Livorno e si impegna nel rilancio dell’economia della Toscana.
2 Intorno al 1735 inizia gli esperimenti per la fabbricazione della porcellana dura di cui esistono soltanto altre due manifatture in Europa: una in Sassonia e l’altra a Vienna. Cfr. Rucellai 2008, p. 21.
3 Carlo Ginori abita nel palazzo avito di Firenze e frequenta, come i suoi avi, la villa Ginori a Doccia, un complesso posto in posizione amena sul monte Acuto, a centro metri a nord da villa Le Corti, composto da residenza padronale, annessi, giardini superiore e inferiore, stanzone per i vasi, vivaio e poderi circostanti. Cfr. Mazzanti 2012, pp. 125-126.
4 Mazzanti 2012, p. 131.
5 La primissima produzione della fabbrica non è porcellana, bensì maiolica e la prima cotta esce dalla fornace nel luglio 1737, pochi mesi dopo dalla costruzione del primo forno. I primi materiali necessari agli esperimenti sulla fabbricazione della porcellana giungono a Doccia già nel maggio del 1737 e provengono da Montecarlo (Lucca), Siena, Valdarno, Venezia e Serravezza. Contemporaneamente, pervengono a Doccia anche alcune sostanze minerali coloranti per la decorazione pittorica della porcellana.
6 Rucellai 2008, p. 21.
7 Mazzanti 2012, p. 140.
8 Ivi, pp. 136-137.
9 Ivi, p. 141.
10 Gnoni Maravelli 2017, p. 19.
11 De Donato 2004, p. 10.
12 Gnoni Maravelli 2017, p. 19.
13 DDR 232/2012, p. 3.
14 Rucellai 2008, p. 4; Gnoni Maravelli 2017, p. 20.
15 Grosso 1988, p. 61.
16 Mannini 1998, pp. 29-32.
17 Rucellai 2008, p. 33.
18 Ddr 232/2012, p. 4; Rucellai 2008, p. 33.
19 Uno degli interventi progettato dall’arch. Nelli è il rifacimento della facciata. Cfr. Maggini Catarsi 1988, p. 27.
20 La manifattura è meta di visite da parte di personalità illustri, tra cui i rappresentanti della ricca nobiltà che rappresenta la migliore clientela della fabbrica di Doccia. Cfr. Grosso 1988, pp. 61-62.
21 De Donato 2004, p. 69.
22 Nel suo testamento dispone, autorizzato dal Granduca, che la manifattura resti in perpetuo legata in
un vincolo di assegnazione al solo primogenito. Cfr. Mannini 1998, p. 32.
23 Rucellai 2008, p. 37.
24 Gli oggetti di questa categoria sono contrassegnati dal 1803 dalle iniziali PF o F incusse nella pasta. Risale alla fine del XVIII sec. l’adozione della stella impressa o dipinta che rappresenta la prima marca di fabbrica della storia di Doccia.
25 Rucellai 2008, p. 37
26 Ddr 232/2012, p. 5.
27 Gnoni Maravelli 2017, p. 20.
28 De Donato 2004, pp. 69-70.
29 Mannini 1998, p. 52.
30 Rucellai 2008, p. 41.
31 Paolo Lorenzini (fratello di quel Carlo che sotto lo pseudonimo Collodi scrisse Pinocchio) è il direttore della fabbrica dal 1854 al 1891.
32 Ddr 232/2012, p. 5.
33 Ibidem.
34 Rucellai 2008, p. 5;
35 De Donato 2004, pp. 70-71.
36 Gnoni Maravelli 2017, p. 21; De Donato 2004, p. 71.
37 De Donato 2004, p. 70; Maggini Catarsi 1988, pp. 27-28.
38 Gnoni Maravelli 2017, p. 21.
39 De Donato 2004, pp. 71-73.
40 Ivi, p. 73.
41 Rucellai 2008, p. 10.
42 Gnoni Maravelli 2017, p. 21.
43 Ivi, p. 22.
44 Rucellai 2008, p. 5; De Donato 2004, p. 75.
45 Ddr 232/2012, p. 5.
46 Ibidem.
47 Rucellai 2008, p. 10.
48 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.
49 Ibidem.
50 Ddr 232/2012, p. 6.
51 Rucellai 2008, p. 41.
52 Rucellai 2008, p. 12.
53 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.
29
Fotografie dell’ingresso e dell’interno dei “Musei di Doccia” in occasione della visita di Maria José di Savoia, 1933 circa (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).
La produzione di Doccia: l’evoluzione delle forme e del linguaggio della ceramica
La manifattura Ginori (1737-1896)
Il primo periodo della manifattura corrisponde alla gestione del fondatore Carlo Ginori (1737-1757). La produzione in porcellana è caratterizzata soprattutto da oggetti di piccole dimensioni, essenzialmente tazze e piattini, e dall’esecuzione di maioliche, molto meno problematiche per la realizzazione della tecnica. Le tazzinine hanno la tipica forma “a campana”; i manici, assenti nei primissimi esemplari, sono piuttosto robusti, a sezione circolare e a forma di orecchio. Solo successivamente si cominciano a produrre tazze con due manici. I piatti hanno la falda liscia o lobata spesso con bordo rialzato.
All’inizio degli anni Quaranta, grazie alle prime migliorie tecniche, assistiamo ad una diversificazione degli oggetti e ad un maggiore interesse per esemplari di dimensioni meno modeste come caffettiere, zuppiere e vasi. Le caffettiere sono caratterizzate da una sagoma molto elegante, con coperchio “a cupola” con il beccuccio terminate a testa di serpente o uccello1. Vengono realizzate anche le prime teiere che assumeranno la tipica sagoma detta “a sfera schiacciata”, con il corpo diviso in otto lobi. Caratteristica è la parte ter-
minale del beccuccio, a testa di serpente o di volatile, mentre i punti dove si innestano i perni del manico (generalmente in metallo) sono sostituiti da due teste di ariete.
I moduli decorativi di questo periodo sono dettati principalmente dal pittore austriaco Karl Wendelin Anreiter che lavora a Doccia fino al 1746. L’artista sviluppa schemi decorativi internazionali, derivanti da quelli viennesi o da quelli sassoni di Meissen. Un esempio è rappresentato dai fiori di pruno a rilievo, prima in bianco e poi in policromia. Altri motivi introdotti dall’Anreiter sono i decori detti “a palazzi cinesi”, ovvero figure di pagode, dipinte sia in bianco e blu che in policromia. Per quanto riguarda i fiori il genere più famoso è quello detto “tupilano”, costituito dalla corolla del fiore di peonia2 Durante la direzione artistica di Anreiter compare a Doccia il bassorilievo istoriato realizzato applicando in leggero rilievo, ai vari oggetti, temi decorativi, sia policromi che in bianco talvolta vivacizzati da tocchi dorati.
Soluzione ornamentale tipicamente docciana, presente fin dai primi anni della produzione, è il cosiddetto decoro “a stampino”. Si tratta di una tecnica semplice che consente di ricavare il modulo decorativo su fogli di carta o di metallo, per le superfici piane, di pelle di agnello sulle superfici curve. Queste
matrici traforate, applicate sull’oggetto, permettono, con una semplice stesura di colore, di trasferire il decoro sulla superficie di porcellana bianca. L’ornato “a stampino”, ispirato alle porcellane medicee e di derivazione orientale, viene applicato su pezzi di varia forma. I motivi più ricorrenti, riportati in blu dalle varie gradazioni, sono costituiti da ghirlande floreali, da fiori e foglie su tralci o a mazzetti, da volute e da arabeschi.
Un altro tipo di esemplari caratteristici della produzione dei primi anni è quello a “doppia parete”. Sono oggetti di varia forma, composti da un corpo interno destinato a contenere i liquidi e da un involucro esterno traforato. Le parti sono collegate solo nella zona inferiore o in quella superiore. La funzione della seconda parete, oltre che decorativa, è quella di schermare il calore dei liquidi contenuti all’interno del primo recipiente3. La produzione di esemplari a doppia parete, iniziata a partire dal 1748, comprende sia tazzine da caffè, da tè e da cioccolata, che caffettiere e teiere. A causa delle difficoltà tecniche incontrate nell’esecuzione, la realizzazione di questo tipo non risulta abbondante; per questo motivo ed anche per la loro fragilità sono giunti fino a noi solo pochi pezzi4
Da ricordare anche la produzione di tabacchiere, iniziata nel 1739, con una
grande varietà di forme: rettangolari, a cuore, ovali, a conchiglia, ecc. Anche i decori sono tra i più vari, dai tipi floreali a quelli con ritratti, dalle scene mitologiche, ai paesaggi oppure con i famosi decori a bassorilievo e cammei. La richiesta di questo tipo di esemplari è piuttosto elevata data la moda di fiutare tabacco molto diffusa nella prima metà del Settecento5. L’esecuzione delle decorazioni è affidata ai migliori decoratori della fabbrica, fra i quali il pittore Giuseppe Romei6
Dopo i primi anni, alcuni oggetti caratteristici della produzione docciana subiscono variazioni. Le tazzine, ad esempio, acquisiscono forme più slanciate ed eleganti; i vassoi hanno dimensioni maggiori; le caffettiere presentano una sagoma meno alta e la loro struttura inizia ad assumere una forma molto simile ai versatori barocchi in argento.
Di grande importanza è anche la produzione plastica, già iniziata fin dai primissimi anni. Nel luglio 1737 il marchese Carlo Ginori chiama a Doccia lo scultore Gaspero Bruschi, membro dell’Accademia Fiorentina del Disegno. La scelta dei modelli si rivolge prevalentemente verso la scultura fiorentina tardo barocca. Sono numerose le traduzioni in porcellana operate dal Bruschi su modelli di Massimiliano Soldani Benzi (acqui-
31
pagina precedente Camino, Gaspero Bruschi e Domenico Stagi, porcellana, 1754 circa (fotografia databile al 1930 circa), I periodo Carlo Ginori.
Camino, Gaspero Bruschi e Domenico Stagi, porcellana, 1754 circa, I periodo Carlo Ginori, Museo Richard-Ginori.
stati dal Ginori, fra il 1743 e il 1744, dal figlio dello scultore) da cui si ricavano esemplari in porcellana di straordinaria qualità. Si pensi, ad esempio, al gruppo della “Pietà”, del quale la manifattura fornisce varie forme sia in bianco che in policromia, o ai gruppi di soggetto mitologico come “Andromeda e il mostro” e quello della “Leda col cigno”7 Sono utilizzati anche modelli di un altro scultore fiorentino del tardo barocco, Giovan Battista Foggini. Tra le produzioni plastiche di notevoli dimensioni dobbiamo ricordare anche le realizzazioni derivanti dalla scultura classica e in particolare da quella ellenistica. I modelli, tratti principalmente dalle raccolte medicee, sono riprodotti a dimensioni naturali, confermando l’alto livello tecnico raggiunto dalla manifattura in pochi anni di attività. Degli esemplari giunti fino a noi, da ricordare la “Venere dei Medici” e l’“Arrotino”, ripresi entrambi da modelli di epoca ellenistica. Si possono citare anche i due gruppi di “Amore e Psiche”, realizzati in porcellana bianca, conservati uno al Museo delle Porcellane Doccia e l’altro al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Tra le realizzazioni di grandi dimensioni, dobbiamo ricordare anche il grande camino appositamente creato nel 1754 per la parete di fondo della galleria da Gaspero Bruschi e da Domenico Stagi. Questo am-
biente, creato per raccogliere gli esemplari più significativi prodotti a Doccia, diventa il primo nucleo e la prima sede del museo della fabbrica. Il camino nella cimasa presenta un interessante bassorilievo raffigurante la distillazione dei fiori, tratta da un modello di Soldani Benzi, e ai lati di questa, delle figure sdraiate che ricordano le sculture realizzate da Michelangelo nelle tombe medicee della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo8
Per motivi commerciali, ben presto vengono abbandonate le realizzazioni di grande plastiche per opere dalle dimensioni più modeste. Si preferiscono gruppi a soggetto mitologico come quelli già citati di “Andromeda e il mostro”, di “Leda con il cigno”, a cui dobbiamo aggiungere il “Giudizio di Paride” (1750-55) derivato da un modello del Soldani Benzi. Di notevole interesse sono anche le piccole plastiche ispirate alle maschere della Commedia dell’Arte, desunte dai modelli di gusto europeo, e in particolar modo dalle figurine di Vienna9
Di notevole interesse è anche la produzione di oggetti di maiolica i cui introiti servono per integrare le perdite economiche dovute al settore della porcellana. La produzione in maiolica comprende servizi da tavola, ma anche altri generi come camini, stufe, ambrogette, candelieri, vari tipi di vasi da fiori,
bacinelle da barba, boccali, albarelli, orci, ecc. I colori usati per le maioliche sono il blu per i motivi decorativi e il bianco per il fondo10
Il primo periodo dell’attività della manifattura si conclude con la morte del suo fondatore, il marchese Carlo, avvenuta a Livorno nel 1757. Gli succede il figlio Lorenzo Ginori con cui inizia una nuova fase molto florida.
L’orientamento generale di questo secondo periodo (1758-1791) è la produzione di esemplari di piccole dimensioni, anche per i gruppi che vengono realizzati in grande quantità e generalmente con soggetti di tipo arcadico. Un esempio interessante è costituito dal gruppo “La raccolta delle pere”, opera di Giuseppe Bruschi.
Per quanto riguarda il repertorio ornamentale di tipo pittorico, vengono ancora utilizzati molti generi decorativi del primo periodo. Tra questi il decoro “del galletto” ispirato a modelli orientali, con la sua versione più famosa dipinta di rosso e oro. Lo schema compositivo di questo soggetto viene adattato alla vastità della superficie da decorare attraverso integrazioni o riduzioni degli stessi moduli. Anche il tipo decorativo floreale “del tulipano” compare molto spesso nelle opere di questo periodo, con una corolla più semplificata rispetto al tipo dell’epoca di Carlo Ginori. Così il decoro “a mazzetto”, carat-
terizzato da fiori di tipo occidentale, riportati in modo naturalistico, che continua ad essere utilizzato durante la gestione del marchese Lorenzo11 Accanto ai motivi decorativi che continuano la tradizione avviata dal fondatore della manifattura, ne esistono altri che hanno la loro origine proprio con Lorenzo Ginori. Si pensi ad esempio alla decorazione “a roselline” che, pur derivando da un tipo analogo utilizzato per le porcellane di Sèvres, deve essere considerata una delle più felici soluzioni decorative di Doccia, molto diffusa anche in epoche successive12. In questo periodo anche le sagome tendono a subire dei cambiamenti. Nelle caffettiere, ad esempio, il beccuccio assume la forma triangolare, mentre il coperchio perde lentamente l’aspetto di cupola per diventare più piatto; anche i manici assumono forme più articolate rispondenti al gusto rococò. L’altezza subisce una sensibile diminuzione mentre il corpo si arrotonda. Alla primitiva forma a campana delle tazzine, si predilige una forma cilindrica che fa la sua comparsa nelle tipologie docciane verso la fine del secondo periodo, mentre già fin dall’inizio (1760) compaiono nelle tazzine nuove forme di manici denominati “alla napoletana”, costituiti da una serie di volute. Anche la sagoma delle zuppiere, in genere ovale, a partire dagli
anni Settanta, viene prodotta in forma circolare. In alcuni tipi detti “a sepolcro”, appare evidente l’influenza del gusto neoclassico. Si ricorre ai modelli di oggetti ispirati all’antichità classica come le urne cinerarie13
Vari tipi di vasi di fiori incrementano il repertorio delle sagome di Doccia. Il più singolare è un esemplare di forma cilindrica con orlo leggermente svasato, con una decorazione a paesaggio monocromo color porpora. In questo pezzo viene utilizzata il tipo di bordatura “a uova tagliate”, cioè a fascia di ovali, e anche il tipo “a rametti”, elementi questi che, assieme ad altri generi come per esempio i bordi dentellati o le fila di perline, sono una caratteristica di questo periodo. Minori sono invece le novità nelle forme dei piatti. Si continua a produrre il tipo dalla tesa a rilievi intrecciati, già utilizzata durante la gestione di Carlo Ginori. Anche il tipo di piatto a sei lobi, detto “alla francese”, caratteristico del primo periodo, continua ad avere successo. All’adozione di certi moduli di derivazione rococò si deve la nascita di un tipo di vassoio ovale, detto “marescialla”, con i bordi mossi da volute14
Esigenze commerciali rendono fiorente la produzione caratterizzata da un impasto porcellanico di colore grigiastro e da una copertura effettuata da una vernice stannifera, molto spessa
che nasconde le irregolarità e il colore troppo scuro. Questo impasto, detto “masso bastardo”, ha come base la terra di Montecarlo in Lucchesia, di gran lunga più economica di quella prelevata dalle cave vicentine del Tretto15
Il secondo periodo di attività della manifattura finisce nel 1791 con la morte del marchese Lorenzo Ginori.
Il periodo successivo corrisponde alla gestione di Carlo Leopoldo Ginori Lisci (1792-1837), figlio di Lorenzo. Con il mutare dei canoni artistici nel panorama europeo, la produzione di Doccia cerca di allinearsi con i tempi: il gusto neoclassico e lo stile Impero dominano le porcellane Ginori, le cui forme subiscono una trasformazione radicale diventando più lineari e severe. Ad esempio, le caffettiere (dette “vasi da caffè”) talvolta hanno forme perfettamente cilindriche, mentre quelle a sagoma ovale presentano il coperchio incassato nel collo. Le anse assumono la forma di animali come grifoni o delfini e il beccuccio prende la forma di testa di cavallo. Le tazzine hanno sagoma cilindrica, a volte con svasatura in alto, e possono essere sostenute, in alcuni modelli, da piccoli piedi a zampa di leone. I piattini sono caratterizzati da una tesa dritta e leggermente svasata16. Il vasellame antico, riportato alla luce dagli scavi archeologici, ispira le nuove forme: ad esempio le zuppiere pren-
dono la forma di urne (dette “a sepolcro”) mentre le zuccheriere assumono l’aspetto di pissidi.
Nuovi repertori nel settore decorativo sono introdotti da artisti stranieri, fra cui il ginevrino François Joseph de Germain che realizza sui piatti decorazioni aventi come soggetto vedute del territorio fiorentino, con fastosi ornamenti in oro su fondo blu della tesa, secondo l’influenza della porcellana di Sèvres17 Abraham Constantin, anche lui proveniente da Ginevra e pittore della manifattura di Sévres, introduce a Doccia il particolare genere delle placche di porcellana su cui vengono riprodotti celebri capolavori della pittura. Da ricordare la placca dipinta nel 1825, raffigurante il celebre quadro di Cristofano
Allori “Giuditta che mostra la testa di Oloferne”, conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze.
Con il diffondersi del gusto neoclassico, non solo le sagome subiscono trasformazioni, con evidenti richiami ai reperti archeologici, ma anche i generi decorativi. Molto frequenti sono i decori, detti “a incisioni”, tratti dai volumi dell’opera di Niccolò Marcello Venuti “Le pitture antiche di Ercolano”, pubblicate a Napoli a partire dal 1757. Un nuovo genere di vedute è introdotto dal pittore Ferdinando Ammannati che realizza sulle porcellane scorci di città italiane come Firenze, Roma
o Napoli, tratte da stampe dell’epoca, oppure paesaggi con rovine. Un esempio significativo con vedute policrome è quello di una zuppiera detta “a tripode” per la presenza di tre esili sostegni terminanti a zampa di leone.
In questo periodo anche la tavolozza cromatica subisce modifiche. Vengono introdotte nuove tonalità di colori come il verde cromo, il verde moscone, il carminio, il rosa, il carnicino ed il tenue “color aria”. Talvolta la scelta cromatica subisce una riduzione, come per esempio nell’uso del rosso mattone e del nero per emulare la cromia degli antichi vasi greci. L’uso contenuto del colore è dovuto anche all’introduzione dei modelli derivanti dallo stile Impero. Questo è evidente, ad esempio, in una tazza con coperchio e vassoio, caratterizzata da una sagoma molto semplice, di gusto neoclassico, che presenta una soluzione decorativa raffinata costituita da una ripartizione geometrica rigorosa delle superfici, evidenziata dal contrasto del blu sul fondo bianco, mediato dall’oro.
Le rifiniture d’oro diventano molto importanti nelle porcellane di Doccia, proprio secondo i modelli Impero che la manifattura di Sèvres aveva diffuso18
La produzione di plastiche in questo periodo non è abbandonante. I soggetti sono desunti da esemplari di raccolte napole-
33
tane, rinvenuti in scavi, oppure ispirati all’arte egiziana. Si tratta di opere realizzate in biscuit, una novità che conduce ad abbandonare i generi in policromia. Tra i collaboratori del reparto di scultura da ricordare Gaspare Bini. La morte prematura di Carlo Leopoldo avvenuta nel 1837, conclude questa terza fase.
Il quarto periodo corrisponde alla gestione di Lorenzo II Ginori Lisci (18381878). In generale la produzione di questi anni viene influenzata dal clima instaurato dello storicismo e quindi dalla ripresa dei modelli antichi. Si pensi, ad esempio, al celebre vaso detto “dei Medici”, di grande effetto per la ricca produzione policroma e le abbondanti dorature su fondo scuro. Questo esemplare, che trae la sua forma dal repertorio rinascimentale, viene attualizzato attraverso l’inserimento di vedute di Doccia come temi principali di decorazione19
Nella produzione si ritrovano numerosi modelli già visti in epoche precedenti. Viene ripresa, ad opera del Fanciullacci, la tecnica del bassorilievo istoriato prodotta con porcellana molto bianca, dovuta ai finissimi caolini francesi, e con maggiore varietà nella cromia. Da ricordare anche la produzione di un tipo di tazze dette “sbavate”, cioè di sagoma cilindrica con orlo svasato, derivanti dalla “tasse ja-
smin” utilizzata ampiamente in epoca napoleonica.
Fra le novità occorre citare le litofanie, cioè lastre di porcellana molto sottili con decori a spessori variabili.
Nel 1861 con la proclamazione del Regno di Italia, e il trasferimento della capitale a Firenze, inizia una regolare committenza alla manifattura di Doccia da parte della casa sabauda. Tra le prime forniture richieste dalla famiglia Savoia si deve ricordare il raffinato servizio da caffè in porcellana “a guscio d’uovo” di porcellana quasi trasparente. Si tratta di un tipo porcellanico molto sofisticato, dallo spessore minimo, che denota l’alto livello raggiunto dalla fabbrica. Le sagome hanno sempre con riferimento a tipologie dell’epoca precedente, mentre risulta una novità per la manifattura l’introduzione della decorazione in oro “pate sur pate” utilizzata per servizi da tavola20
Dopo il 1860 la fabbrica dedica grande impegno nella realizzazione di porcellana più seriale, tra cui le cosiddette “porcellane da camera” che comprendono in particolare calamai e servizi da toeletta. In sintonia con il gusto eclettico, le loro tipologie derivano dalle epoche del passato. Sono prodotti, ad esempio, servizi da scrivania in porcellana bianca con fregi in oro, ripresi dai modelli dello stile Impero, mentre in alcuni calamai compaiono forme
e decorazioni ispirati alle linee Rococò. Un’opera molto singolare di questo periodo (1872-1874) è il celebre servizio per il Kedivé d’Egitto, realizzato in occasione dell’apertura del canale di Suez, caratterizzato da forme e decori liberamente ispirati all’arte egiziana antica. Si tratta di un servizio curioso e originale, la cui linea dominante è quella di un’eccessiva eccentricità. Un’altra novità è un tipo di decorazione ottenuta tramite il trasporto diretto della fotografia sulla porcellana 21 Tra le sperimentazioni compiute va ricordata anche la tecnica attraverso la quale è possibile l’applicazione delle stampe e della cromolitografia per la decorazione delle stoviglie di lusso22 Durante gli anni della gestione di Lorenzo II un notevole impulso viene dato anche al settore delle maioliche. A partire dal 1848 viene iniziata una serie di ricerche da parte del chimico Giusto Giusti con lo scopo di riprendere i modelli delle maioliche rinascimentali. Tra i vari generi di maioliche prodotti, generalmente di gusto eclettico, si devono citare alcune interessanti realizzazioni rappresentate da sedili dalle forme più varie: a tamburo, a cuscino, o con scimmia tra filodendri23
Un’impronta totalmente diversa viene impressa alle decorazioni delle maioliche dal pittore Giuseppe Benassai che introduce l’uso di scene di paesag-
gio influenzate dalla corrente pittorica del Naturalismo di cui lui stesso è seguace.
Nel 1878 Lorenzo II muore e la fabbrica viene ereditata dai quattro figli. Il primogenito, Carlo Benedetto, ne assume la direzione (1879-1896).
Durante la gestione di Carlo Benedetto Ginori Lisci l’orientamento stilistico della produzione presenta novità significative. In Europa la stagione dell’Eclettismo ormai volge al termine, contrastata da nuove influenze che provengono dalle ceramiche della Cina e del Giappone. Anche a Doccia viene recepito questo nuovo clima culturale e i moduli decorativi risentono degli influssi stranieri: i temi dominanti sono motivi floreali calligrafici disposti liberamente sulla superficie degli oggetti. Per quanto riguarda il settore delle maioliche è importante a Doccia la presenza, dal 1879 al 1880, di Angelo Marabini che determina un mutamento di indirizzo stilistico. Vengono abbandonati i temi di spirazione naturalistica, introdotti dal Benassai, per adottare temi desunti dal mondo biblico o mitologico, tradotti con una tecnica esecutiva molto raffinata24
Sul finire del secolo si ha un grande sviluppo della produzione di oggetti per uso industriale che presentano una ricca diversificazione per far fonte alle richieste provenienti dai campi della te-
legrafia, della farmaceutica e della chimica25
Nel 1896 la famiglia Ginori decide di vendere la fabbrica all’industriale milanese Augusto Richard, già proprietario di un’impresa ceramica a Milano26 Si realizza così la fusione di queste due manifatture da cui ha origine la Società Ceramica Richard-Ginori.
1.2.2. Il Novecento: l’epoca dell’Art
Nouveau
All’inizio del secolo la Società Ceramica Richard-Ginori produce opere di alta qualità artistica in cui sono evidenti mutamenti radicali nella scelta dell’indirizzo stilistico. Accanto ai modelli classici, i nuovi esemplari risentono fortemente delle nuove tendenze del gusto legato ai modelli dell’Art Nouveau. Il merito di questa svolta stilistica si deve al lombardo Luigi Tazzini che diventa il nuovo direttore della “Pittoria”.
Dall’esame degli esemplari docciani giunti fino a noi e dai bozzetti conservati nell’archivio storico del museo, risulta evidente come, in questo periodo, le intenzioni degli artefici della manifattura siano indirizzate verso una raffinata eleganza unita ad una grande sobrietà. Compaiono a Doccia gli elementi tipici dell’Art Nouveau come il pavone, i fiori caratterizzati dai lunghi steli, gli elementi vegetali dal rit-
mo sinuoso e la figura femminile dalle lunghissime chiome utilizzata spesso anche come decoro plastico di molti oggetti e, di volta in volta, adattata a varie sagome. La troviamo come elemento portante in lampade con il corpo drappeggiato da lunghe vesti o imprigionata nell’abbraccio di un satiro. La figura femminile diventa ornamento anche di servizi da tè o da fumo, in leggero rilievo, secondo un’interpretazione moderna dello “stile cammeo”27 Questo tipo di raffigurazione prende l’avvio dalla grafica modernista dove è frequente la scelta del tema della vegetazione con fanciulle dalle lunghe chiome confuse tra i rami delle piante in cui si muovono. Altre volte la figura femminile costituisce una perfetta sintesi strutturale-decorativa tra l’oggetto stesso e gli elementi ornamentali. Un esempio famoso è costituito da una fioriera formata da tre fanciulle danzanti in cui le figure femminili, dagli abiti morbidi e pieghettati, sono molto affini alle immagini del manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per l’esposizione torinese del 190228 Soggetti zoomorfi vengono invece utilizzati con intenti decorativi e funzionali. Le anse di certi esemplari sono, ad esempio, costituite da aironi, da teste di elefanti o da serpenti. Il mondo vegetale diventa fonte di grande ispirazione: si pensi alla serie dei raffina-
ti vasi-corolla che prendono la forma dai fiori di ninfea, di magnolia o di tulipano29
I moduli naturalistici caratteristici della produzione dei primi anni del secolo vengono ben presto affiancati da motivi molto stilizzati derivati dalla cultura della Secessione viennese. I motivi ornamentali e le sagome adottano forme più razionali, con il progressivo abbandono delle forme di tipo animale e vegetale. Ciò è evidente in alcuni servizi da tavola caratterizzati da una grande semplicità strutturale e dal decoro minuto, di tipo geometrico. Molto singolari, infine, sono alcuni esemplari presentati alla Biennale di Venezia del 1912, eseguiti su disegni di Vittorio Grossi e con elementi decorativi attinti ancora dal mondo naturale: strutture floreali e rettili vengono rappresentate con evidenti riduzioni formali, ma sempre attraverso soluzioni che ne prevedono l’inserimento organico sulla superficie della sagoma. Nel primo Novecento la manifattura di Doccia si pone nel panorama delle arti decorative italiane come uno straordinario esempio di modernità. I raffinati esemplari prodotti mostrano l’affrancamento da tipologie tradizionali e l’assimilazione del principio morrisiamo di stretto legame tra struttura, funzione e decoro. Grazie alla direzione intelligente del Tazzini, che si circonda
di collaboratori molto validi come i pittori Zoppi, Donnini, Boni, Giusti e i modellatori Bianchi e Contini, la fabbrica si può confrontare con le più grandi manifatture europee30
1.2.3. La direzione artistica di Gio Ponti (1923-1930)
Nel 1923 inizia la collaborazione della Società Richard-Ginori con il giovane architetto milanese Gio Ponti che, con la sua poliedrica personalità, segna profondamente la produzione di Doccia31
Questa feconda collaborazione rappresenta “nel panorama industriale italiano del primo Novecento, l’episodio più significativo e di successo di intervento di un artista su di una produzione industriale, poiché introduce elementi di novità assoluta sia per l’arte che per l’industria di quegli anni”32. Ponti con il suo lavoro di direttore artistico diventa, inconsapevolmente, il primo industrial designer italiano, in un momento in cui in Italia ancora non si parlava di design. Inoltre, avvia un modo assolutamente nuovo, sia per la manifattura di Doccia che per l’industria in generale, di lavorare e progettare “a distanza”, basato sulla fiducia nei suoi collaboratori, ottenendo un’affermazione immediata e portando al successo nazionale e internazionale la Società Richard-Ginori. A
35
pagina precedente Piatto Donatella, su disegno di Gio Ponti, maiolica, diam. 48 cm, 1927 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard - Ginori.
Gio Ponti, Figura femminile nuda distesa su nubi (Donatella), disegno preparatorio eseguito a matita e inchiostro rosso su cartoncino crema, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625477).
Gio Ponti, Architetture per le mie donne. Donatella, disegno preparatorio eseguito a inchiostro su carta a righe giallina, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625526).
lui si deve la creazione di quella che viene riconosciuta come la via italiano al déco, caratterizzata dal forte rispetto verso la tradizione, da lui considerata il punto di partenza imprescindibile33 Ponti sviluppa un programma di rinnovamento integrale di tutta la produzione che coinvolge non solo le forme e i colori delle ceramiche, ma anche la grafica dei cataloghi, i manifesti, le foto pubblicitarie e i loghi delle varie linee di prodotti. È lui stesso a valutare se un prodotto è vendibile e a che prezzo. Nel panorama industriale di quegli anni una figura simile risulta del tutto inedita34
Dal suo studio nella sede di San Cristoforo a Milano, Ponti dirige la produzione di Doccia, recandosi di persona presso lo stabilimento almeno una volta al mese e mantenendo un rapporto epistolare con i dirigenti della manifattura. Braccio di destro di Ponti a Doccia è Luigi Tazzini, al quale sono indirizzate la maggior parte delle sue lettere. Fra i due si instaura da subito un rapporto non solo di natura professionale, ma anche di amicizia, rispetto e fiducia. Del resto Ponti da Milano deve fare completo affidamento sull’esperienza di Tazzini. Nelle missive, l’architetto comunica ai collaboratori le sue idee, invia disegni e dà indicazioni precise sul modo in cui devono essere eseguite forme e decori, sicuro che sarebbe-
ro stati realizzati come da lui richiesto, considerato che nel reparto di decorazione sono presenti personaggi dalle grandi capacità artistiche come Vittorio Faggi, decoratore di maiolica e capo del reparto Pittoria, e la giovane Elena Diana, decoratrice di porcellana e molto abile nell’incidere l’oro a punta d’agata35
Per la Richard-Ginori non disegna solo decori, ma la sua attività è quella di un vero industrial designer proprio perché si occupa di ogni aspetto della produzione: è lui ad ideare le confezioni e le etichette per i prezzi, a disegnare la pubblicità, a stabilire in che modo devono essere fotografati gli oggetti, a curare i cataloghi, a progettare i padiglioni delle esposizioni e anche a stabilire le cifre con cui gli oggetti vengono messi in vendita. Crea nuovi colori, come il blu Ponti realizzato in due tonalità (il blu a gran fuoco e il rosso di Doccia), inventa la grafica del nuovo marchio del reparto di Pittoria e nel 1930 trasforma uno dei suoi oggetti preferiti, la sirena, nell’emblema dell’intera manifattura. Oltre a questo Ponti inventa anche il marchio che identifica tutti gli oggetti prodotti su suo disegno originale 36
Nel 1923 la collaborazione Ponti e Richard-Ginori consegue il suo primo successo all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza do-
ve un’intera saletta è dedicata alle sue opere. La stampa dell’epoca sottolinea le novità da lui introdotte nella produzione ceramica che spiccano all’interno della tendenza generale da parte delle fabbriche italiane all’imitazione37
Secondo Ponti la ceramica italiana deve ritrovare un proprio carattere sia attraverso il recupero e il perfezionamento delle tecniche che le sono proprie che attraverso l’acquisizione della tecnica e della maniera industriale, dai procedimenti produttivi agli aspetti commerciali. Lo stile dei prodotti deve essere poi essere strettamente legato alle diverse destinazioni d’uso degli stessi38
L’evento che segna il secondo grande successo del binomio Ponti-Richard-Ginori è l’Esposizione Internazionale di Arti Decorative di Parigi del 1925. Nei due anni precedenti la società aveva lavorato intensamente in vista di questo appuntamento con lo scopo di presentare non dei modelli, ma oggetti che fossero effettivamente “prodotti”. A Parigi le ceramiche di Ponti ricevono il Grand Prix, il riconoscimento più prestigioso della giuria, e il padiglione Richard-Ginori viene preso d’assalto da pubblico che si contende tutto ciò che esce dalle casse inviate dalla manifattura39
Il successo commerciale della produzione consente a Ponti di ottenere
grande visibilità a livello internazionale: in soli due anni ha riorganizzato e rinnovato completamente la produzione, conferendole un gusto moderno, al passo con le esperienze europee contemporanee40
Ponti in questo periodo ha come riferimento le fabbriche danesi che proprio a Parigi hanno presentato una produzione in serie caratterizzata da una grande qualità di prodotti che sono il risultato non dell’opera di un singolo artigiano ma di una produzione industriale moderna. Il suo obiettivo è quello di realizzare pressola manifattura Richard.Ginori una produzione che consenta di creare in serie anche gli oggetti d’arte, diffondendo il gusto moderno ed educare il pubblico41 Nella seconda metà degli anni Venti Ponti inizia a dedicarsi con più continuità all’architettura, e alle due esperienze parallele del “Labirinto” e della “Domus Nova”, e soprattutto prepara il lancio della rivista “Domus”, fondata nel 1928, sulle cui pagine compariranno frequentemente gli oggetti Richard-Ginori e dove arti decorative e l’architettura avranno la stessa dignità e stessa possibilità di espressione42
Dopo il 1930 la collaborazione fra Ponti e la Richard-Ginori sia avvia alla conclusione, una separazione non definitiva e forse determinata dall’interesse sempre più for-
37
te di Ponti per l’architettura, e dai numerosi altri suoi impegni, ma probabilmente anche dalla scomparsa di Augusto Richard che tanta fiducia gli aveva dato quando era ancora agli esordi. Tornerà a collaborare con la società negli anni successivi, ma si tratterà solo di episodi isolati43
Il carteggio e i disegni autografi conservati presso l’archivio del museo, restituiscono con la vivacità e l’eleganza delle figure e delle parole manoscritte, la sua personalità artistica e il suo metodo di lavoro44
Fedeli specchi di colui che le ha create le ceramiche disegnate da Ponti per la manifattura di Doccia riflettono la sua personalità: decisi i lori colori, come deciso è il suo carattere, estremamente varie le forme ed i loro decori, come sono i suoi interessi. L’analisi dei singoli decori non può prescindere dalla conoscenza dei suoi interessi, alimentati dai viaggi, le visite ai musei, la lettura di libri e riviste dell’epoca45
La sua collaborazione con la manifattura diventa l’occasione di rinnovare l’oggetto industriale puntando principalmente sul decoro. Diversamente dagli artisti del Liberty, si pone il problema della struttura-ornamento e trasforma gli oggetti utilizzando una serie di temi decorativi dei quali utilizzerà anche solo alcuni motivi su forme diverse. Il suo sistema ornamenta-
le è basato sulla possibilità di ottenere soluzioni attraverso varie combinazioni del tema principale, sia che si tratti di vasi, ciste o urne, sia che si tratti di mattonelle per rivestimenti o pavimenti46
Per Ponti l’apertura alle tendenze europee più aggiornate non può prescindere dall’affermazione di un linguaggio tipicamente italiano, strettamente legato alla tradizione culturale e artistica del Paese. Fin dai primi esemplari realizzati, emerge la volontà di scegliere forme del repertorio classico sulle quali prende vita un modo personale di collocare sul fondo, a ripartizione geometriche, esili figurine isolate o in gruppo. Compaiono anche gli elementi architettonici classici come l’arco e la colonna. Il clima culturale da cui deriva questa impostazione è il neoclassicismo lombardo di cui Ponti ha una visione personale. Anche il suo amore per l’archeologia greca, romana o etrusca gli ispira le forme che diventeranno più famose come le coppe, le ciste, le urne, le anfore o gli orci47 Lo stile di Ponti per la Richard-Ginori è un’interpretazione originale dell’Art Déco in voga in questi anni: pur assimilandone certi formalismi, come ad esempio la stilizzazione, l’allungamento della figura umana o l’adozione di animali alla moda come i levrieri slanciati, il suo interesse è basato
soprattutto sulla costruzione dell’impianto compositivo, indipendentemente dalle dimensioni dell’oggetto. Ne scaturisce un costante equilibrio fra la razionalizzazione dello spazio e la distribuzione in esso dei motivi decorativi (figure o elementi architettonici) entro i limiti della forma ceramica. Ponti opera quindi una volontà ordinatrice e rigorosa, spesso accompagnata da una vena ironica. Si veda ad esempio la figura dell’architetto o del disegnatore del tema “La conversazione classica” che assumono spesso l’aspetto e le movenze di raffinati dandies, e le figure femminili, in particolari quelle derivanti dai soggetti de “Le mie donne”, raffigurate in atteggiamenti e pose fatali48
Anche l’elemento mondano rientra nella decorazione di Ponti, ma in modo particolare. Non attraverso la ricerca di elementi lussuosi nell’abbigliamento, come i tessuti preziosi, ma attraverso simboli espliciti di spettacolo come il circo, o tramite altre attività ricreative come l’equitazione, la passione per il volo, per gli sport marini e per la caccia. Tutto questo viene tradotto in termini decorativi con un linguaggio agile su una serie di coppe i cui titoli presentano il tema ornamentale. “Alato” e Celesio” sono l’immagine di un cielo dove tra nuvole soffici vagano areoplani e mongolfiere. “Velesca” e “Nau-
tica” presentano i loro simboli, con rigore geometrico nel secondo caso, con movenze oscillanti nel primo, che vengono tradotte da antiche raffigurazioni con barche a vela circondate da delfini. Per gli sporti equestri Ponti disegna la coppa “Fantini” dove sono raffigurati giubbe e berretti di diverse scuderie. Mentre per il circo, utilizza elementi più caratteristici come i trapezisti rappresentati in un momento della loro esibizione49
Ponti dà sempre un titolo alle sue ideazioni che rilevano particolari qualità evocative: “La passeggiata archeologica”, “La conversazione classica”, “L’amore dell’antichità”, “La casa degli Efebi”, “Le mie donne”, La migrazione delle sirene”, per citare i più celebri. Si tratta di opere che diventano “parlanti” ovvero rievocano memorie del passato, tradotte in un linguaggio attuale, contemporaneo. Il tema “Le mie donne”, ad esempio, trae ispirazione da un tipo di maioliche rinascimentali, per lo più coppe o brocche, su cui veniva eseguito il ritratto della donna a cui si voleva rendere omaggio. Nella rappresentazione di Ponti le donne però non hanno alcun riferimento ai soggetti reali, le forme dei corpi, simili tra loro, derivano da schemi manieristi, senza nessuna intenzione ritrattistica. Le donne, i cui nomi sono Donatella, Balbinia, Domitilla, Emeren-
ziana, Apollonia, Agata, Fabrizia, Leonia e Isabella, si adagiano su nubi, su grandi corolle o su corde attraverso l’adozione di un vero e proprio impianto teatrale, in cui si ha la sensazione che i personaggi vengano calati dall’alto su un palcoscenico50
Tra i decori pontiani di interesse sono anche alcuni temi non figurativi, generalmente di tipo geometrico utilizzati, ad esempio, su alcuni grandi vasi. Si tratta di ornati a prospettive oppure di motivi a catena o a labirinto che decorano l’oggetto sia internamente che esternamente.
La cromia scelta da Ponti è piuttosto singolare. In molti esemplari è affidata all’uso solo di binomi cromatici: viola-ora, blu-giallo, bianco-oro, blu-oro. Comunque, anche quando si ha una varietà cromatica più ricca compare una gamma di colori piuttosto ristretta. Da ricordare poi la vena orientalistica che percorre tutta l’opera di Ponti, presente fin dall’inizio, dalla decorazione a paesaggio della serie “Herculanea” alle quali la scelta cromatica con l’abbinamento del grigio e del viola, conferisce l’aspetto di una “cineseria”, essa riemerge nei grandi vasi in bronzo e maiolica per la Cassa di Risparmio per le Province Lombarde e nella serie di porcellana dipinta in smalto celadon in cui colore e decorazioni rimandano alle giade cinesi. Con lo stesso smalto
è dipinta la serie “Exagon”, ideata nel 1930, un tentativo di Ponti di adeguarsi al razionalismo che in questi anni si sta affermando sia nlle arti decortaive che in architettura. Il servizio da té, in cui i manici sono ricavati nella forma senza sporgere all’esterno, si basa su forme esagonali che, accostate e sovrapposte, permettono un risparmio razionale dello spazio51
Negli anni succcessivi l’immaginario di Ponti diventa più misterioso, esoterico: alcuni oggetti cominciano ad essere decorati con segni zodiacali, chiavi, garticoli, fenici il cui significato è di difficile interpretazione52
Al 1935 si datano le “mani”, sicuramente tra gli oggetti più strani e famosi fra quelli ideati da Ponti. Nate dell’osservazioni degli stampi in porcellana che la manifattura produce per la confezione dei guanti di gomma, costituiscono la base per numerose varianti ci sono quelle decorate con tralci di fiori, ma anche la “Mano di Dafne” e la “Mano della Fattucchiera”, sulla quale compaiono numerosi simboli, quali catene, scale, occhi, segni zodiacali e semi delle carte da gioco53
La collaborazione tra Ponti e la manifattura di Doccia è un’esperienza straordinaria, non solo per i prodotti di qualità che ha dato, ma soprattutto perché rappresenta il primo caso italiano di produzione artistica industrilae e
che aprirà la strada all’industrial design in Italia54
Dalla direzione di Giovanni Gariboldi (1946- 1969) agli anni recenti
L’opera innovativa di Ponti porta la produzione della manifattura di Doccia ad un livello qualitativo eccezionale. Questa situazione trova in un suo allievo, Giovanni Gariboldi (1908-1971), anche lui architetto e milanese, l’energia necessaria per procedere con risultati analoghi, senza soluzione di continuità, fino all’inizio degli anni Settanta. Gariboldi inizia la collaborazione con Ponti già a partire dal 1928. Negli anni Trenta disegna modelli per vari serviti e per plastiche di animali (cervi, cavallini), ma anche per oggetti in grès tra cui vasi ornati da catene, da drappi o da nastri55. I modelli per i servizi da tè e caffè, come ad esempio il “Clelia” o il “Luisa”, mostrano elementi di ripresa di uno schema rococò soprattutto nella sagomatura rotondeggiante della teiera e della lattiera. Negli anni Quaranta sono visibili nella sua produzione nuove scelte stilistiche che esibiscono un’impostazione più razionale della struttura e quindi il superamento delle linee preziose dei modelli precedenti56.
Nel 1946 Gariboldi viene incaricato della direzione del centro artistico della Richard-Ginori e sotto il suo impulso
la manifattura si apre defintiamente al funzionalismo e ai criteri dell’industrial design.
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta emerge l’esigenza di far coesistere la qualità del design con i nuovi criteri di praticità e di efficienza funzionale. Porcellane e ceramiche devono rispondere a determinati requisiti, quali il minimo ingombro, essere facilmente lavabili e maneggevoli, resistere agli urti. Gariboldi progetta i servizi “Standard”, “Colonna”, “Uno più uno” che sono appunto dotati di queste caratteristiche57. Nella forma “Ulpia”, ideata nel 1954, fonde in un unico pezzo elementi differenti come l’ansa, il beccuccio e il corpo della teiera o della lattiera. In queste opere l’effetto decorativo è suggerito dal profilo strutturale, attraverso una linea flessuosa e asimmetrica.
Anche nelle epoche successive è evidente l’intenzione di Gariboldi verso la ricerca di forme razionali, insieme alla volontà di proporre servizi scomponibili, di cui si possono acquistare singoli elementi separatamente, secondo le proprie necessità58. Un esempio è il servizio “Eco”, ideato nel 1969, in cui assistiamo all’abbandono di modelli tradizionali, per offrire la libertà di scegliere singoli pezzi senza dover acquistare la serie completa59. Con questo servizio si
39
pagina precedente
Giovanni Gariboldi, disegno tecnico per la teiera del servizio Lucrezia (poi Ulpia), 1954
Teiera del servizio Ulpia su disegno di Giovanni Gariboldi, porcellana dura, 1954
chiude il lungo sodalizio tra il designer milanese e la Richard-Ginori. Numerosi altri designers di fama internazionale collaborano con la Società Richard-Ginori dai tempi di Gariboldi in poi, e realizzano forme di grande interesse60. Da ricordare il “Servizio di bordo Alitalia” del 1973, ideato da Joe Colombo e Ambrogio Pozzi per la famosa compagnia di volo. La soluzione adottata nella struttura, che prevede tagli nella tesa dei piatti, dovuta ad esigenze pratiche, diventa elemento di grande effetto decorativo. Molto interessanti sono anche alcuni piccoli oggetti, come posacenere e spargi-sale, ideati da Gae Aulenti negli anni Sessanta. Concepiti con forme essenziali che si ricollegano a figure geometriche elementari sono resi attraenti dalla brillantezza dei colori dall’effetto metallico61
Occorre ricordare che, accanto alla collaborazione con varie personalità dell’industrial design, esiste all’interno della manifattura anche un gruppo di ricerca che produce pezzi molto interessanti. La forma “Song” è un esempio. Creata nel 1970 circa dal direttore di allora Gino Campana62, è caratterizzata da una linea rigorosa con l’adozione di elementi dalla forma squadrata che contrastano con la linea curva del resto della sagoma63. La linea, che prende il nome dalle ceramiche pro -
dotte in Cina all’epoca della dinastia Song (960-1279), comprende solo teiera, lattiera, zuccheriera e salsiera perché è pensata per essere liberamente abbinata a pezzi di altri servizi. Nel 1990 la Richard-Ginori commissiona a nove studi di designers italiani di fama internazionale altrettanti progetti per nuove linee di oggetti in porcellana. Il servizio “Odissea”, realizzato nel 1993 su disegno di Albini-Helg-Piva, viene selezionato per entrare in produzione. La semplicità e la funzionalità delle linee suggeriscono di realizzarlo in un materiale di uso quotidiano come la vitreous china. Da ricordare, sempre negli anni Novanta, la collaborazione con l’illustratore belga Jean Michel Folon, noto in Italia per i manifesti e le campagne pubblicitarie a disegni animati, che nel 1995 progetta per la Richard-Ginori i decori per un servizio da tè e per un piatto da muro. Le sfumature degli acquarelli che caratterizzano lo stile dell’artista sono trasferite sulla ceramica grazie alla tecnica dell’aerografo64
1 Grosso 1988, pp. 45-46.
2 All’Anreiter è attribuita anche una serie di vassoi decorati con figure orientali.
3 Grosso 1988, p. 51.
4 Ibidem.
5 Verso la metà del Settecento la moda di fiutare tabacco incomincia a declinare e con questa anche la produzione di tabacchiere, tanto che negli anni successivi alla gestione di Carlo. Ginori (dopo il 1757), sono prodotti pochi esemplari.
6 Grosso 1988, p. 52.
7 Una delle traduzioni in porcellana più famose tratta da un’opera di questo artista, cioè il “Borea e Orizia”, è il gruppo del “Tempo che rapisce la Bellezza” situato nel “Tempietto di Cortona”.
8 Grosso 1988, p. 55.
9 Ivi, p. 55.
10 Ivi, p. 58.
11 Ivi, p. 63.
12 Ibidem.
13 Ivi, p. 68.
14 Ivi, pp. 68-72.
15 Il parametro che incideva maggiormente sui costi di queste terre venete era dovuto alle spese di trasporto che avveniva attraverso un percorso lunghissimo, in gran parte effettuato via mare.
16 Grosso 1988, p. 76.
17 Ivi, p. 79.
18 Ivi, pp. 84-85.
19 Ivi, p. 88.
20 Ivi, p. 90.
21 Per realizzare questo tipo di ornamentazione la manifattura si serve dell’esperienza dei fratelli Alinari.
22 Grosso 1988, p. 91.
23 Ivi, p. 94.
24 Ivi, p. 100.
25 Alcuni di questi oggetti erano stati prodotti già negli anni della gestione di Lorenzo II: all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, ad esempio, erano stati presentati alcuni isolatori per il settore dell’elettricità.
26 Una delle ragioni che spingono il marchese Carlo Benedetto Ginori alla vendita della manifattura è la morte del direttore Paolo Lorenzini, avvenuta nel 1791. La sua scomparsa determina una situazione di grave disagio in quanto i nuovi direttori non sono in grado di dimostrare analoghe capacità. Ad aggravare la situazione è la richiesta di divisione della manifattura da parte dei fratelli di Carlo Benedetto. Cfr.
Grosso 1988, p. 101.
27 Grosso 1988, p. 114.
28 Ivi, p. 114.
29 Ivi, p. 118.
30 Ivi, p. 128.
31 Sarri 2005, p. 17.
32 Giovannini 2009, p. 73.
33 Ibidem.
34 Ibidem.
35 Ivi, pp. 73-74.
36 Ivi, pp. 76-77.
37 Gli oggetti di Ponti sono ancora legati alle forme e ai decori tradizionali della manifattura, ma si tratta di rielaborazioni e non di imitazioni.
38 Giovannini 2019, p. 21.
39 Rucellai 2008, p. 45.
40 Giovannini 2009, p. 78.
41 Giovannini 2019, p. 21.
42 Ivi, p. 22.
43 Giovannini 2009, p. 79.
44 Rucellai 2008, p. 45.
45 Giovannini 2009, p. 79.
46 Grosso 1988, p. 135.
47 Ivi, p. 136.
48 Ivi, p. 137.
49 Ivi, pp. 137-139.
50 Ivi, p. 150.
51 Ibidem.
52 Giovannini 2009, p. 83; Giovannini 2019, p. 25.
53 Giovannini 2009, p. 84.
54 Ivi, p. 86.
55 Sarri 2005, p. 27.
56 Grosso 1988, p. 153.
57 Sarri 2005, pp. 27-28.
58 Rucellai 2008, p. 49.
59 Grosso 1988, p. 154.
60 Alcuni designers propongono forme e decori che non sono mai entrati in produzione.
61 Grosso 1988, p. 154.
62 Gino Campana è direttore dello stabilimento dal 1951 al 1974.
63 Grosso 1988, p. 158.
64 Rucellai 2008, p. 51.
41
pagina precedente
Sesto Fiorentino, Stabilimento Richard Ginori: vista dall’alto prima della costruzione del museo, immagine dei primi anni Cinquanta (AMG, Fototeca)
Richard-Ginori,
Il nuovo Museo Richard-Ginori a Sesto Fiorentino
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il museo di Doccia viene chiuso per motivi di sicurezza (1941) e vengono prese misure di protezione per la salvaguardia delle collezioni1. Nel 1943 la Soprintendenza Belle Arti di Firenze, su disposizione del Ministero dell’Educazione Nazionale2, decide di trasferire altrove le opere più importanti, mantenendo all’interno dell’antica villa Ginori solo gli oggetti ritenuti meno pregiati che vengono opportunatamente protetti3. Un cospicuo gruppo di opere viene imballato e messo in sicurezza nei depositi delle ville di Poggio a Caiano e della Petraia, di proprietà demaniale, mentre le cere, in parte inserite entro teche lignee, vengono ricoverate nelle soffitte dell’Opificio delle Pietre Dure dove vengono restaurate4. Finita la guerra soltanto la raccolta di proprietà della Società Richard-Ginori viene ricollocata all’interno della villa di Doccia (1948), mentre la collezione storica della famiglia Ginori rimane nei depositi della Soprintendenza in attesa di definirne la destinazione. Dai documenti archivistici sappiamo che si era aperto un dissidio fra la Società Richard-Ginori e Lorenzo Ginori Lisci per la suddivisione della collezione5. Il marchese, infatti, intendeva rientrare in possesso di alcune opere per esporle a Firenze, all’interno del
palazzo di famiglia6, dove intendeva realizzare un museo di arte ceramica; la Società, invece, si era fortemente opposta allo smembramento dell’intero complesso. Il 28 ottobre 1950 il Ministero della Pubblica Istruzione con apposito decreto (“vincolo”) decide di tutelare, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1089 del 1939, il Museo Richard-Ginori di Doccia, costituito dalle raccolte di proprietà del marchese Lorenzo Ginori e della Società Ceramica Richard-Ginori, come complesso di “eccezionale interesse artistico e storico” per “tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali”7. Negli stessi anni, per la necessità di adeguare gli impianti alle moderne esigenze industriali, l’insediamento produttivo di Doccia viene progressivamente abbandonato e tutta la produzione viene trasferita in un nuovo stabilimento realizzato nella piana di Sesto Fiorentino, a sud della ferrovia (1949-1952). Anche per il museo, ormai staccato dalla fabbrica, si comincia a pensare ad un trasferimento8. Intanto, proseguono le trattative per la suddivisione della collezione e nel marzo 1955 viene finalmente raggiunta un’intesa, in base alla quale circa tremila manufatti vengono ceduti alla Società Ceramica, mentre una parte di circa mille opere (limitata ai doppioni e alcuni pezzi scultorei), compreso l’archivio storico settecentesco, rimane agli eredi Ginori. In base all’ac-
cordo citato, la collezione rimasta alla Società deve essere esposta in una nuova sede, realizzata “a spese e cure” della Richard-Ginori, tenendo conto delle indicazioni della Soprintendenza di Firenze9. Nel frattempo, la concentrazione degli investimenti economici verso il moderno complesso produttivo posto a sud della ferrovia, comporta, inevitabilmente, il progressivo abbandono degli edifici dell’antica manifattura di Doccia che, insieme alla villa, nel 1956 vengono venduti dalla Società Ceramica alle Officine Galileo di Firenze. Il fatto suscita molte polemiche e il Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino chiede formalmente al Ministero della Pubblica Istruzione di intervenire ed apporre un “vincolo” sulla villa Ginori perché venga mantenuto al suo interno il museo storico-artistico di porcellane e maioliche, al quale “è legata moralmente in modo particolare la cittadinanza sestese, che, attraverso i secoli, con operosità e sacrificio, ha dato vita ad una così fiorente industria”10
La richiesta del Comune rimane in parte inascoltata: la villa di Doccia viene tutelata dal Ministero con apposito decreto il 13 giugno 1958, ma il “vincolo” non impone il mantenimento delle opere nell’antica sede. Tuttavia, al fine di mantenere il collegamento “storico” della collezione con l’impianto produttivo, la Società Ceramica si impegna a trasferire tutte le opere all’interno di
un nuovo edificio, appositamente destinato a museo, da realizzare ex novo nell’area posta difronte al grande e moderno stabilimento di Sesto Fiorentino11 Per la progettazione del fabbricato il committente, conte Raimondo Visconti di Modrone, sceglie l’architetto fiorentino Pier Niccolò Berardi, il quale, a partire dal 1946 aveva fondato insieme al collega romano Tullio Rossi, lo Studio San Giorgio con sede a Firenze in via delle Belle Donne n. 1212 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.
2 AMG, Lettera del 7 maggio 1941 inviata dal Soprintendente alle Gallerie di Firenze al marchese Lorenzo Ginori Lisci (c/o via Ginori, 11 Firenze) e alla Società Ceramica Richard-Ginori con sede a Milano.
3 Vengono mantenuti all’interno della villa di Doccia alcuni modelli in cera, terracotta e gesso, protetti in casse di legno e vetro appositamente realizzate. Sono mantenuti sul posto anche gli oggetti “murati” e le sale del museo vengono messe in sicurezza mediante sacchi di sabbia. È il Soprintendente Poggi che dirige costantemente le operazioni di messa in sicurezza delle opere e la sua presenza è attestata più volte presso il museo di Doccia. Le opere vengono imballate e riposte in più di 300 casse. Cfr. AMG, Lettera del 1° marzo 1941 inviata dai Musei di Doccia alla Direzione Generale della Richard Ginori con sede a Milano e Lettera del 10 marzo 1941 inviata dalla sede del museo di Doccia alla Direzione Generale della Richard Ginori con sede a Milano.
4 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.
5 Le notizie relative alle trattative per fra il marchese Ginori e la Società Richard-Ginori sono tratte dai documenti conservati presso l’Ufficio Vincoli Beni Mobili della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Cfr. Gnoni Maravelli 2017, p. 27, nota 25.
6 Il palazzo è sito a Firenze in via Ginori n.11.
7 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.
8 Ibidem.
9 Maggini Catarsi 1988, p. 30; De Donato 2004, p. 104.
10 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.
11 “Richard-Ginori” 1965, p. 6.
12 Fa parte dello Studio di Architettura e Ingegneria San Giorgio anche l’ingegnere Fabio Rossi. Lo studio ha una sede anche a Roma in via del Babuino n. 29.
43
Sesto Fiorentino, Stabilimento
operaie a lavoro, immagine dei primi anni Cinquanta. (AMG, Fototeca)
L’Architetto: Pier Niccolò Berardi
Proveniente da una famiglia di industriali del legno e imprenditori piemontesi, Pier Niccolò Berardi (Fiesole1904-Milano 1989) si allontana dalle imprese familiari e dal suo destino per iscriversi alla Facoltà di Architettura di Roma1: “Ero destinato a diventare l’erede di un grosso impero metallurgico, e invece sono diventato architetto e pittore perché questa era la mia vocazione”, ricorda in una intervista del 19862
Già architetto attivo nell’ambiente fiorentino, nel 1928 partecipa alla prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale di Roma con la cosiddetta Casa del ferro battuto e nello stesso anno si laurea presentando un progetto per un Golf Club sul lago Maggiore. Fra il 1926 e il 1931 Berardi si occupa di alcune ristrutturazioni e arredamenti per conto di nobili ed imprenditori del centro e nord Italia: una villa a San Domenico per il dottor Pietro De Faveri, la ristrutturazione del villino Piero Civita a Firenze, la cappella di villa L’Uccellatoio a Pratolino (FI), la scuola elementare in località Il Castagno a Firenze, il ristorante Andreini a Viareggio3
Nel 1932 realizza, in collaborazione con Michelucci, Bosio e Guarneri (Gruppo Toscano), i padiglioni e l’allestimento della IV Fiera Internazionale del Libro a Firenze e dei padiglioni tempora-
nei per la Fiera delle Comunità artigiane a Firenze4
Nello stesso periodo, insieme agli archetti fiorentini Nello Baroni, Italo Gamberini, Serre Guarnieri e Leonardo Lusanna, guidati Michelucci, partecipa al concorso del 1932 per il nuovo fabbricato viaggiatori della stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze. La giuria del concorso, cui fanno parte anche Filippo Tommaso Marinett, Ugo Ojetti e Marcello Piacentini, proclama vincitore, primo fra cento progetti, quello del Gruppo Toscano (1932-33).
Il clima di intesa, l’esperienza del lavoro di gruppo, la ricerca del segno comune e non della particolarità, portano ad un lavoro straordinario, in cui gli apporti individuali sono irriconoscibili a favore di un risultato unitario5
Negli anni seguenti Berardi partecipa ad altri concorsi di progettazione quali per la stazione di Venezia con Baroni, Gamberini e Lusanna, per la piazza dei Musei all’E42 con Gamberini e per lo stadio comunale di Arezzo con Gamberini, Guarneri, Lusanna e Baroni6
Nel 1935 Giuseppe Pagano, direttore di “Casabella” - in vista della VI Triennale di Milano dell’anno successivo, che ospiterà la mostra “Architettura rurale italiana”, da lui curata con Guarniero Daniel - dà vita al tentativo di trovare la radice italiana del Razionalismo in architettura. Secondo Pagano la ra-
dice può essere individuata nei caratteri regionali, differenti ma omogenei, dell’architettura spontanea, specialmente dell’architettura rurale, della casa colonica7. Con questo obiettivo decide di lanciare una grande campagna fotografica per ogni regione dell’Italia rurale8 e affida a Pier Niccolò Berardi la ricerca nella Toscana.
Il servizio fotografico realizzato dall’architetto fiorentino individua forti connessioni fra l’idea di Razionalismo e l’architettura spontanea che si ripete nel mondo contadino toscano9. Le sue immagini inquadrano la struttura architettonica con l’intenzione di mostrare moduli e cadenze utili alla ricerca di una via italiana al nuovo movimento, privilegiando i valori volumetrici, i tagli di aperture orizzontali, le composizioni asimmetriche, le forme strutturali degli archi o dei pilastri.
Le ventiquattro fotografie di case coloniche realizzate da Berardi per la VI Triennale del 1936 rappresentano la prima espressione di un amore che egli coltiverà per tutta la vita e che impronterà tutta la sua opera di architetto e di pittore10. L’anno successivo, una serie di queste immagini viene esposta alla “Mostra della casa rurale toscana” tenuta nel palazzo dell’Arte della Lana di Firenze11
A partire dal 1937 Berardi, come collaboratore di Bosio, progetta per il Mi-
nistero degli Esteri la ristrutturazione della Legazione Italiana a Bucarest, gli Istituti di Cultura per le sedi italiane in Ungheria e Romania e un albergo-foresteria a Tirana. Sempre in questi anni (1939-1940), in collaborazione con Bosio, realizza il padiglione del Lavoro in Africa e il Padiglione dell’Albania alla Mostra Triennale delle Terre di Oltremare a Napoli12
Nel dopoguerra il suo interesse si concentra sui temi dell’edilizia residenziale privata, interessandosi anche all’arredamento e all’organizzazione di spazi esterni come campi da golf e piscine13. Soprattutto nel tema dell’abitazione unifamiliare sono evidenti i riferimenti al tema della casa rurale toscana, una costante nella sua attività progettuale.
Nel 1946 Berardi fonda lo Studio San Giorgio a Firenze, con l’architetto Tullio Rossi, suo amico e compagno di università14. Il nome dello studio fa riferimento al progetto per il piano urbanistico dell’Isola di San Giorgio a Venezia a cui Rossi lavora per un lungo periodo, ma che non verrà realizzato15. Insieme partecipano al concorso bandito dal Comune di Firenze per la ricostruzione delle zone bombardate dai tedeschi intorno al Ponte Vecchio (1946) e, pur non essendo premiati, sono coinvolti nella progettazione di alcuni edifici 16. L’atteg-
45
pagina precedente Pier Niccolò Berardi. (Da ZEVI 2013, p. 30)
giamento dei due professionisti è di estrema cura, l’obiettivo è di comprendere le ragioni della sottostante tessitura urbana e di assecondarla17: “ridare alla ricostruenda zona l’antico tradizionale carattere, per cui la maggior parte degli edifici dovrà essere adibita principalmente a negozi e laboratori, a botteghe artigiane in modo particolare, così che non venga a crearsi tra l’antico aspetto e la tradizionale sostanza delle gloriose strade e quelli avvenire, alcuna soluzione di continuità”18
Fra i lavori eseguiti in collaborazione con Tullio Rossi da ricordare la Club House del circolo di golf La Mandria presso Torino (1956-57), quella per il Golf Club Le Betulle a Biella (1958) e fra il 1960 e il 1965 la sede del museo della Porcellana di Doccia a Sesto Fiorentino, realizzato per accogliere la collezione della manifattura Richard-Ginori19
Si tratta di un edificio razionale, dalla struttura in cemento armato con tamponature in mattoni lasciati a vista, connotato da una grande parete-finestra, pensata come una sorta di vetrina espositiva della produzione in rapporto diretto con il vicino stabilimento e la città di Sesto20
Nel fondo Tullio Rossi, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, è presente la “Scheda cliente”, relativa al museo, in cui sono elencati tutti gli elaborati redatti dallo Studio San Gior-
gio: il lungo elenco delle tavole testimonia che i due architetti progettano non solo l’edificio ma anche tutti gli arredi interni, dimostrando grande capacità e disinvoltura nell’affrontare le diverse scale progettuali per creare un’opera unitaria ed estremamente coerente.
A partire dal 1950 Berardi esegue varie ristrutturazioni e nuove realizzazioni per la famiglia di industriali biellesi Rivetti: ristrutturazione e arredamento di villa Mino a Biella; ristrutturazione, ampliamento e arredamento di villa Il Ciuc a Vigliano, presso Biella; villa in via S. Leonardo a Firenze; studio per il restauro della torre Pallavicino a Soncino, in provincia di Cremona21 Dal 1955 ha inizio il lungo lavoro di progettazione e costruzione del centro turistico, industriale e agricolo di Maratea22, tra cui l’hotel di Santa Venere situato su una collina di fronte al mare del golfo di Policastro, e anche una serie di case realizzate recuperando e restaurando ruderi colonici23
Alla metà degli anni Cinquanta risalgono alcuni interventi a Fiesole, fra cui la villa Regresso (1955) progettata in accordo tra i temi della casa colonica e della villa suburbana24 e la realizzazione della sua casa a Montececeri, caratterizzata da eleganti forme classiche e da un bellissimo parco aperto sulla vista di Firenze. Qui Berardi realizza la
singolare piscina scavata nella roccia, concepita secondo un principio di mimesi con l’ambiente naturale (1956)25
Sempre nel Comune di Fiesole, Berardi realizza nel 1964 la chiesa di San Bernardino nel piccolo abitato di Borgunto, unica sua esperienza nel campo dell’edilizia religiosa26
Alla fine del 1966 lascia lo Studio San Giorgio, che aveva subito gravi danni dall’alluvione, e apre uno studio nella sua casa di Montececeri, a Fiesole, con l’intenzione di dedicarsi soprattutto alla pittura27. Solo dopo alcuni anni riprende a progettare ville e arredamenti per alcuni amici esponenti dell’imprenditoria. Il livello della committenza gli permette di affrontare al meglio la progettazione dello spazio abitativo come dialogo continuo fra interno ed esterno, alla ricerca continua dell’integrazione dell’edificio con il paesaggio. Possiamo citare, a questo proposito, la villa Nasi a Castiglione Torinese, la villa Pellicciotti a Saint Paul de Vence, la villa Settepassi a Roccamare nel Comune di Castiglione della Pescaia, la ristrutturazione della villa San Domenico e dell’hotel Villa San Michele a Fiesole, la casa colonica La Madonnina a Castagneto Carducci, tutte realizzate fra il 1967 e il 198628.
Nella ristrutturazione e ampliamento dell’albergo Villa San Michele, Berardi affronta il progetto con l’obietti-
vo principale di mantenere intatta la bellezza dell’ambiente naturale in cui l’immobile è inserito29. Infatti, le otto nuove suite a doppio volume sono scavate nella collina e le cinque camere in linea vengono incassate dietro il muro di sostegno del giardino all’italiana, direttamente collegate all’albergo, sfruttando la morfologia del terreno30 Berardi progetta anche la piscina, la cui forma “morbida” si adatta alle caratteristiche geologiche del terreno ed alla sua morfologia, integrandosi perfettamente nel contesto paesaggistico di pregio31. In questo caso realizza, in prossimità della piscina, una piccola cascata che, oltre a servire dal punto di vista funzionale alla depurazione e al riciclo d’acqua, aggiunge naturalezza all’insieme facendo sì che l’atmosfera sia meno artefatta32
Risale al 1975 la progettazione, non realizzata, del porto e delle residenze turistiche di Punta Ala e la costruzione, sempre a Punta Ala, del nuovo hotel Allelulja situato in un grande parco a breve distanza dal mare33
Parallelamente all’attività di progettista, Berardi, fin dai primi anni Cinquanta, si dedica anche alla pittura 34: “Nel mio lavoro di architetto hanno contribuito tanti anni passati a dipingere dal vero. Dipingere un paese arroccato su una collina cancellando sulla tela le costruzio -
47
pagina precedente Nuova stazione di Firenze presentata dal Gruppo Toscano, 1932 (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 12) Stazione di Santa Maria Novella: la galleria di testa in una foto d’epoca (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 12)
pagina precedente Progetto di concorso bandito dal Comune di Firenze per la ricostruzione delle zone intorno al Ponte Vecchio distrutte dai bombardamenti tedeschi, veduta, 1948 (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 26) Pier Niccolò Berardi, Disegno del cortile allestito a bar dell’hotel Villa San Michele a Fiesole (Da ZEVI 2013, p. 117)
ni nuove, quasi sempre un elemento di disturbo, disarmoniche, sproporzionate, come tanti blocchi di cemento scaricati da un camion. Le case che io dipingo, o che costruisco, sono limpide, intatte, realizzate con materiali esistenti sul posto, con una pazienza e una tecnica artigianale legata alle radici, e non turbano minimamente l’equilibrio che si è creato da secoli in rapporto con l’ambiente e con la storia”35
In effetti, ciò che si riscontra in modo evidente nei suoi quadri (nature morte, marine, olii che ritraggono paesaggi, villaggi toscani e del sud Italia) è il rapporto inscindibile fra pittura e architettura, tra composizione pittorica e creazione architettonica. Ovvero il rapporto tra l’uomo e la natura, il paesaggio, il territorio: questa è la cifra stilistica che rappresenta la “costante” dell’attività di Berardi sia come architetto che come pittore36
Significative, a questo proposito, sono le parole di Giovanni Michelucci (1987): “Oggi che mi si dà l’occasione di valutare criticamente ciò che egli ha realizzato nell’arco di una vita […] confesso che tutta l’opera sua corrisponde al concetto che io avevo già intuito sulla sua onestà di costruttore, onestà che per me è rara ed essenziale. Berardi, progettando, non ha voluto fare nulla di eccezionale, e tanto meno di monumentale, anzi, si è quasi defilato inse-
rendo armoniosamente le sue ville, gli alberghi e le vecchie case coloniche sapientemente ristrutturate nel contesto del paesaggio, con una nitidezza, una modestia e una vena di poesia da rasentare la fiaba […]. Egli inoltre ha suggerito nello stile, nella gestione degli spazi, nell’uso corretto dei materiali e nella perfezione dei dettagli un modello di vita dignitoso per chi deve abitare questi edifici, e per chi deve costruire questi spazi. […] Berardi architetto, uno dei pochi, o forse l’unico collega che ha sempre lavorato tenendo presente un concetto per me fondamentale, e cioè che, nel nostro mestiere, il vero protagonista non è l’architetto, ma l’ambiente”37
1 Berardi è nipote, da parte di madre, di Ernesto Redaelli, capo di una importante industria siderurgica in Toscana.
2 Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXV.
3 Insabato, Ghelli 2007, p. 60.
4 Ibidem.
5 Bono 2013, p. 13.
6 Insabato, Ghelli 2007, p. 61.
7 Nel 1934 Ottone Rosai pubblica in un volumetto, L’architettura delle case coloniche in Toscana, una serie di 32 disegni a carboncino e matita di case coloniche di varie aree toscane. Cfr. Fanelli, Mazza 1999, p. 8; Bono 2013, p. 15.
8 Occorre ricordare che lo studio e l’interesse per la casa colonica è uno dei nodi più importanti della cultura architettonica e figurativa del Novecento in Toscana a partire dagli anni Trenta. Giovanni Michelucci, nell’ambito della ricerca della cultura architettonica italiana di una via mediterranea al Razionalismo, si rifà proprio alle case coloniche toscane. Nel 1932 pubblica su “Domus” due disegni di composizioni volumetriche razionalistiche ricalcate per processo di sintesi e semplificazione su due fotografie Alinari di case coloniche toscane.
9 Le case fotografate da Berardi sono situate in zone diverse della Toscana: la maggior parte sembrano localizzabili nelle zone del Valdarno, della Val di Chiana, del senese e del pisano. Cfr. Zevi 2013, p. 40 e p. 48.
10 Le fotografie di Berardi rappresentano una preziosa testimonianza dei caratteri architettonici della casa colonica Toscana prima delle trasformazioni della cultura e dell’economia contadine che in alcuni casi hanno comportato la loro alterazione o demolizione.
11 Fanelli, Mazza 1999, p. 20.
12 Insabato, Ghelli 2007, p. 61.
13 Ibidem.
14 Successivamente diventa contitolare dello Studio San Giorgio anche l’ingegnere Fabio Rossi, fratello di Tullio. Così Berardi descrive il collega: “Tullio viveva in una sua dimensione che comprendeva soltanto il lavoro. Non ammetteva distrazioni e divagazioni. Cupo, corrucciato, taciturno, si piazzava al tavolo da disegno dalle 8 del mattino a mezzanotte, con un tour-de-force impossibile. Impossibile per me che facevo le ore piccole e tiravo all’alba in buona compagnia. Mi presentavo allo studio frastornato, distratto, e lo trovavo lucido, preciso, efficiente, come dopo una notte di bei sogni. Però, nel corso della mattinata, entravamo in sintonia, e realizzavamo i nostri progetti”. Cfr. Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXIV.
15 Insabato, Ghelli 2007, p. 319.
16 Ivi, p. 61.
17 Bono 2013, p. 21.
18 Pier Niccolò Berardi 1988, p. 25.
19 Insabato, Ghelli 2007, p. 61 e pp. 319-320.
20 Gnomi Mavarelli 2017, p. 24.
21 Insabato, Ghelli 2007, p. 62.
22 Il conte Stefano Rivetti decide di trasferire parte della sua attività a Maratea.
23 Zevi 2013, p. 182.
24 Capanni 2003, p. 69.
25 Ivi, p. 63.
26 L’edificio è ispirato alla semplicità delle chiese romaniche minori presenti nel territorio circostante: una ripida scalinata conduce al portico che protegge l’ingresso della chiesa a navata unica e copertura a capanna. Un traforo a forma di croce caratterizza la facciata della chiesa. Il campanile, a pianta quadrata, è un volume semplice intonacato e tinteggiato di colore chiaro. Cfr. Capanni 2003, p. 63.
27 Insabato, Ghelli 2007, p. 62.
28 Ibidem.
29 Berardi riceve l’incarico di ampliare l’hotel Villa San Michele da Mr. James B. Sherwood.
30 Pier Niccolò Berardi 1988, pp. 186-191.
31 Per Berardi la piscina è un elemento “vivo”, collegato con l’ambiente circostante. Alcune piscine sono significative della sua concezione dell’elemento acqua e del suo contenitore artificiale: ad esempio quella di casa Berardi a Montececeri, ricavata e scavata nella roccia, quella di casa Silvia, priva di bordi lastricati, in cui il bordo è delimitato da un semplice cordolo di pietra poco visibile che la separa dal prato. Tutte le pareti delle piscine sono completamente intonacate (nei suoi progetti viene esclusa la maiolica) in modo che il colore del cielo sia riflesso dall’intonaco. Cfr. Zevi 2013, p. 33.
32 Una piccola cascata viene realizzata anche accanto alla piscina della fattoria di Colle Bereto a Radda in Chianti. Cfr. Zevi 2013, p. 33.
33 Zevi 2013, p. 182.
34 Per la figura di Berardi pittore si veda Bassani 1973.
35 Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXV.
36 Mazzoni 2013, pp. 179-180.
37 Pier Niccolò Berardi 1988, p. V.
49
Il progetto del Museo
Dalla documentazione archivistica1 si evince che il 16 giugno 1961 il direttore generale della Società Ceramica Richard-Ginori2 presenta al Sindaco del Comune di Sesto Fiorentino il progetto per la costruzione di un “nuovo museo”, in sostituzione di quello dell’antica villa di Doccia, da realizzare nel grande prato posto di fronte allo stabilimento con ingresso da via Pratese. L’istanza è sottoscritta, oltre che dalla proprietà, anche dall’architetto Pier Niccolò Berardi incaricato dall’amministratore delegato della Società, il conte Raimondo Visconti di Modrone, di progettare un museo che possa raccogliere la lunga storia di una produzione di grande artigianato3
Il progetto, costituito da nove tavole, viene approvato dalla Commissione Edilizia in tempi record4 e il 7 luglio 1961 il Sindaco rilascia il Permesso n. 199/1662 per la costruzione del fabbricato5. Dai documenti sappiamo che lo Studio San Giorgio, di cui fanno parte Berardi, Tullio e Fabio Rossi, realizza anche un plastico del museo, probabilmente andato distrutto6, ma di cui si conservano alcune immagini fotografiche7
Berardi concepisce il nuovo museo come un grande parallelepipedo, lungo 90,00 metri, largo 12,50 metri e alto 9,00 metri, con due piani fuori ter-
ra e libero su quattro lati. Il piano terra è concepito per accogliere un grande “atrio”, gli ambienti di rappresentanza e di studio (“salone-biblioteca”, “saletta”, “negozio”), gli uffici e i locali di servizio (“deposito”, “guardaroba”, “toilette” per i visitatori e i dipendenti, “centrale termica”, “quadri elettrici”)8. Attraverso due ampie scale simmetriche si raggiunge il piano primo caratterizzato da un grande ambiente destinato a “museo”. A lati dell’ampia sala espositiva si collocano un locale “deposito” (poi trasformato in saletta espositiva), collegato al piano terra da una scala di servizio, e una piccola “sala”. Al museo si accede da via Pratese attraverso una strada privata interna che conduce all’ingresso principale, mentre due ingressi secondari si aprono sul fronte opposto prospiciente lo stabilimento.
Dai documenti di archivio 9 sappiamo che Berardi si occupa, con la collaborazione di Tullio Rossi, solo della progettazione architettonica del museo e dei suoi arredi10, lasciando ad altri professionisti e collaboratori il compito di “costruire” l’edificio. Le opere strutturali sono progettate dall’ingegner Antonio Laurenzi di Roma, mentre i lavori vengono diretti dall’ingegnere Fabio Rossi, fratello di Tullio; la maggior parte dei progetti degli impianti tecnologici, invece, sono redatti dall’Ufficio
Tecnico dello Stabilimento Richard-Ginori di Sesto Fiorentino11
I lavori di costruzione dell’edificio, realizzati dalla ditta fiorentina “Soc. Costruzioni Poggi e C.”12, iniziano nel mese di ottobre 196113 e si concludono il 20 marzo 1963.
Concluso l’edificio si provvede alla realizzazione delle sistemazioni esterne, delle opere a verde, della pavimentazione dei piazzali14 e della costruzione della strada interna di collegamento fra il museo e via Pratese15
Tuttavia, alcune scelte architettoniche, legate alla volontà di creare un moderno edificio razionalista, si rivelano, fin da subito, piuttosto problematiche e ritardano la sua apertura al pubblico. Il museo, infatti, sarà agibile solo due anni dopo la sua costruzione. Numerosi inconvenienti sono legati all’utilizzo di nuovi materiali e tecnologie innovative per il tempo. Un esempio è l’installazione della grande parete-vetrata autoportante sul prospetto nord, realizzata con pilastri in acciaio, infissi in alluminio e vetri thermopane. Questa tipologia costruttiva comporta numerose infiltrazioni d’acqua all’interno del salone del primo piano, registrate dal mese di agosto 1963 fino all’autunno 196416. L’acqua piovana penetra sia dai cristalli delle vetrate, nella parte bassa, che dai punti di connessione del telaio degli infissi e le
strutture metalliche di appoggio, soprattutto in corrispondenza del rivestimento dei pilastri in ferro17
Per risolvere il problema, che comporta più volte la sospensione dei lavori di allestimento del museo, si provvede a smontare gli infissi, sostituire tutte le guarnizioni in gomma esterne e sigillare i vetri con materiale plastico. Successivamente, data la persistenza delle infiltrazioni, si decide di applicare lungo il perimetro esterno dei finestroni un piccolo angolare metallico in alluminio anodizzato, fissato con viti e adesivo. Esiste una fitta corrispondenza fra la ditta, la direzione dei lavori (Studio San Giorgio) e il direttore dello Stabilimento (Gino Campana) per concordare la soluzione più adatta, anche dal punto di vista estetico, che non comprometta il prospetto dell’edificio, così come progettato da Berardi18
Ulteriori difficoltà tecniche, ancora legate allo smaltimento delle acque meteoriche, sono causate dalla scelta progettuale di realizzare una copertura non visibile dall’esterno, con falde dalla pendenza molto ridotta, e dalla soluzione di incassare i pluviali all’interno della muratura (quindi facilmente otturabili) per non interrompere l’uniformità dei prospetti.
Nel dicembre 1964 abbiamo notizie di preoccupanti infiltrazioni d’acqua piovana pro-
51
pagina precedente Foto del plastico del museo, prospetto principale sulla via Pratese e prospetto posteriore verso la fabbrica (ACSF, Pratiche edilizie 1961, allegato al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)
venienti dal tetto che macchiano e danneggiano i mattoni a faccia vista della parete interna del primo piano19
Per risolvere il problema vengono sostituiti tutti i canali di gronda in lamiera di zinco, posti lungo il perimetro del fabbricato, e nell’occasione si decide di sopraelevare anche la linea di gronda, mediante sagomatura del canale che ricopre la veletta esterna, in modo da nascondere il bordo inferiore del manto di copertura (prima visibile dal basso)20. I lavori, realizzati dalla ditta Costruzioni Poggi, sono diretti dall’ingegnere Fabio Rossi21.
Altre problematiche, che rallentano l’apertura del museo, sono causate dalla scelta dei materiali di finitura e dalla loro posa in opera. Innanzitutto, i pannelli della soffittatura in gesso del primo piano che presentano, subito dopo il montaggio, screpolature e rotture in molti punti e costringono la ditta a intervenire sostituendo circa duecento lastre22. Altre difficoltà sono legate al pavimento in gomma, prodotto dalla Società “Linoleum Gomma Pirelli” di Milano, installato su entrambi i livelli del museo e sulle scale. Questo tipo di pavimento, fin da subito, si rivela difettoso per la fuoriuscita di una polvere superficiale bianca difficilmente trattabile. Nei primi mesi del 1964 vengono eseguiti ripetuti lavaggi e trattamenti a cera del pavimen -
to, ma il problema non viene risolto. Si decide, quindi, di ricoprire con tappeti di moquette tutta la superficie del primo piano e di alcuni locali posti al piano terra (“Sala del Fondatore”) per poi procedere alla fase di allestimento del museo.
Come risulta dalla documentazione archivistica, la fase di progettazione e realizzazione degli arredi si rileva piuttosto complessa in quanto ogni elemento viene creato su misura da ditte specializzate, in base ai disegni redatti dallo Studio San Giorgio. Berardi segue personalmente tutte le operazioni, controlla i prototipi e sceglie i campioni dei materiali con cui confezionare gli arredi.
Occorre più di un anno per l’allestimento che risulta completato solo nella primavera del 1965. Contemporaneamente si procede alla sistemazione della collezione, secondo un percorso espositivo studiato da Berardi e da un comitato di esperti.
Finalmente il museo viene inaugurato e aperto al pubblico il 7 giugno 196523
Alla cerimonia sono presenti numerose personalità del mondo culturale, politico ed economico italiano: il presidente del Senato, Cesare Merzagora, il presidente della Società Richard-Ginori, Giulio Richard, l’amministratore delegato, conte Raimondo Visconti di Modrone, l’arcivescovo di Firenze, il
cardinale Ermenegildo Florit, il sottosegretario al Tesoro, onorevole Renato Cappugi, il senatore Giulio Meir, gli onorevoli Emilio Pucci e Giuseppe Vedovato, il direttore generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministero della Pubblica Istruzione, prof. Bruno Molajoli, il prefetto di Firenze, dott. Simone Prosperi Valenti, il procuratore generale della Repubblica, dott. Ferruccio Perfetti, i soprintendenti alle Belle Arti di Firenze, professori Ugo Procacci e Guido Morozzi, il rettore dell’Università di Firenze, prof. Gian Gualberto Archi, ed altre numerose autorità civili e militari della provincia di Firenze e del Comune di Sesto Fiorentino 24. Sono presenti anche i discendenti diretti del fondatore della manifattura di Doccia, il marchese Leonardo Ginori Lisci e il marchese Paolo Venturi Ginori25
“Ho pensato a questa forma come ad un astuccio per gioielli”, spiega Berardi il giorno dell’inaugurazione, “accompagnando gli ospiti attraverso la lunga sala dal basso soffitto, ritmata dalle teche tutte in cristallo, prive di sostegni metallici, accoppiate secondo vari giochi geometrici e poste in maniera da evitare i riflessi”26. In effetti il museo è davvero “un astuccio prezioso” sia per la forma che per il contenuto27
53
pagina precedente
ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Prospetto principale (nord), scala 1:200; dettaglio. ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Prospetto posteriore (sud), scala 1:200; dettaglio. (allegati al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)
pagina precedente
ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Dettaglio facciata principale, scala 1:20 (allegato al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)
pagina successiva
ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Pianta piano terra, scala 1:200. ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Pianta piano primo, scala 1:200 (allegati al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)
1 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Istanza “per la costruzione del nuovo Museo della Società Ceramica Richard-Ginori”, acquisita al prot. del Comune di Sesto Fiorentino al n. 7283 del 16 giugno 1961, Cat. 10, Cl. 8, Anno ’61. Cfr. Mazzini 2018, pp. 14-17.
2 Società Ceramica Richard-Ginori con sede a Milano in via Bigli n. 1.
3 Zevi 2013, p. 25.
4 La Commissione Edilizia Comunale approva il progetto del museo nella seduta del 5 luglio 1961, pochi giorni dopo la presentazione dell’istanza (16 giugno 1961). Cfr. ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 1961-63.
5 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Permesso di Costruire n. 199/1622 datato 7 luglio 1961 e rilasciato dal Sindaco di Sesto Fiorentino alla Società Ceramica Richard Ginori “per costruire il nuovo Museo della Società in via Pratese in conformità del progetto allegato redatto dall’Arch. Berardi”.
6 AMD, Nota del 27 marzo 1961 con cui il Dott. Melone trasmette al Dott. Campana un promemoria relativo alla visita congiunta effettuata presso lo studio fiorentino San Giorgio, in cui si fa esplicito riferimento al plastico del museo che sarebbe stato consegnato dai progettisti (entro il 10 aprile 1961) allo Stabilimento di Sesto Fiorentino per poi essere inviato a Milano.
7 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Istanza “per la costruzione del nuovo Museo della Società Ceramica Richard-Ginori”: due tavole del progetto contengono le immagini del plastico realizzato dallo Studio San Giorgio. Due immagini sono conservate anche presso gli eredi Berardi.
8 La centrale termica e gli altri volumi tecnici si sviluppano sia al piano terra che al piano seminterrato dell’edificio.
9 Si veda il verbale di collaudo delle strutture in cemento armato redatto dall’ingegnere Renato Monselles iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Firenze al n. 368, con sede dello studio professionale a Firenze in viale Michelangelo n. 78. Cfr. ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 1961-63, Verbale di collaudo allegato alla nota del 19 luglio 1962 (acquisita al prot. del Comune di Sesto Fiorentino al n. 10449
del 21 luglio 1962) sottoscritta dal presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Firenze, ingegnere Luigi Fortino.
10 Le tavole di progetto sono tutte firmate da Pie Niccolò Berardi.
11 All’interno dell’Archivio Storico del museo si conservano le copie eliografiche dei progetti di tutti gli impianti tecnologici redatti dall’Ufficio Tecnico dello Stabilimento di Sesto Fiorentino.
12 “Soc. p. Az. Costruzioni Poggi e C.” con sede in questi anni a Firenze, in via Marsilio Ficino n. 22.
13 AMD, Nota del 31 ottobre1961 con la quale la Direzione Tecnica Immobili della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano trasmette all’ufficio di Sesto Fiorentino la documentazione di appalto per la costruzione del nuovo museo, insieme ad una copia degli elaborati di progetto. Gli allegati non risultano presenti in archivio.
14 AMD, Relazione dell’11 ottobre 1963 redatta da Bruno Crescioli della Ditta Costruzioni Edili Stradali con sede in Lungarno F. Ferrucci 2, Firenze.
15 AMD, “Progetto ampliamento stabilimento e sistemazione museo”, tavola in scala 1:1000.
16 AMD, Lettera del 20 agosto 1963 indirizzata dall’Ufficio Tecnico dello Stabilimento di Sesto alla Società Costruzioni “Poggi”, via M. Ficino n. 22 Firenze e all’ingegnere Fabio Rossi presso lo Studio San Giorgio, via delle Belle Donne, Firenze.
17 Infiltrazioni d’acqua provengono anche dalla finestra a nastro del piano terreno posta sul prospetto prospiciente lo stabilimento.
18 AMD, Lettera del 18 dicembre 1964 inviata dallo Studio San Giorgio alla Spett. Soc. Ceramica Richard-Ginori, Direzione Tecnica – Ufficio Immobili, via Bigli n. 1, Milano.
19 I mattoni a faccia vista interni sono sabbiati. All’interno del deposito del museo si conserva un campione della parete in mattoni.
20 Il manto di copertura è realizzato in lamiere grecate in alluminio.
21 AMD, Lettera del 7 dicembre 1964 inviata dalla Soc. per Az. Costruzioni Poggi & C. alla Spett. Soc. Cera-
mica Richard-Ginori, Ufficio Gestione Immobiliare, Via Goldoni, 10 Milano e p.c. alla Direzione dello Stabilimento della Soc. Ceramica Richard-Ginori, via I° maggio, Sesto Fiorentino (Firenze).
22 AMD, Lettera del 4 settembre 1963 inviata dalla Direzione Tecnica della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano allo Studio San Giorgio, Via delle Belle Donne 32 r, Firenze e per conoscenza alla Soc. Cer. Richard-Ginori di Sesto Fiorentino.
23 Tre giorni prima della inaugurazione ufficiale, i rappresentanti dei principali quotidiani nazionali sono invitati in anteprima ad una conferenza stampa presso il museo di Doccia. Ai giornalisti il conte Raimondo Visconte di Modrone fornisce una completa rassegna di “tutte le notizie relative alla nuova sistemazione dell’eccezionale patrimonio artistico di Doccia”. È presente anche l’architetto Berardi che fornisce indicazioni sulla costruzione del museo. Cfr. “Richard-Ginori” 1965, p. 12.
24 Cfr. Articoli della stampa dell’epoca conservati presso ASF, Fondo “Berardi Pier Niccolò” e “Richard-Ginori” 1965, pp. 13-15.
25 “Richard-Ginori” 1965, p. 12.
26 Figeri 1965.
27 Mazzini 2018, p. 17.
55
L'edificio realizzato
L’edificio “nasce dall’esperienza dell’architettura razionale qui con forte significato civile. All’interno di questo tema, Berardi, carico dell’espressione dell’architettura rurale toscana, fatta di forti valori chiaroscurali, ne fa sintesi e tesoro”1
Il fabbricato ha una superficie coperta di 1200 mq. e si sviluppa in orizzontale su due piani per un volume totale di 9600 mc2. La struttura in cemento armato risulta nascosta da una doppia parete di mattoni a faccia vista, interna ed esterna.
La copertura è a falde in latero-cemento su travi trasversali a sezione variabile, leggermente inclinate e protette da lastre in lamiera grecata in alluminio che versano le acque piovane in un canale perimetrale, ugualmente di alluminio, incassato nella trave di bordo di cemento armato e con pluviali interni3. Le falde di copertura, sia per la loro limitata pendenza che per la presenza di una veletta perimetrale in alluminio, non sono visibili dal basso e l’edificio appare come un perfetto parallelepipedo in muratura dalle superfici scandite da file di mattoni in leggera sporgenza che conferiscono alle facciate un elegante effetto chiaroscurale.
Berardi utilizza l’alluminio, il vetro, il cemento armato e il laterizio per esprimere tutta la modernità dell’edificio. Il
prospetto principale è alleggerito dalla grande parete-finestra posta sopra l’ingresso che, come una grande vetrina, anticipa al visitatore la presenza dell’esposizione vera e propria. Al contrario, il prospetto verso la fabbrica appare come uno fronte chiuso realizzato in mattoni, senza aperture al primo piano, e caratterizzato da una lunga finestra a nastro e da due ingressi di servizio al piano terra. Anche i due lati corti sono costruiti completamente in mattoni: quello posto a est, in corrispondenza del deposito interno, risulta cieco, mentre l’altro, che chiude il vano destinato agli impianti (lato ovest), è caratterizzato da una grande porta e da due finestre quadrangolari necessarie per il ricambio dell’aria. Tutti gli infissi esterni sono in alluminio anodizzato.
Superato l’ingresso principale si accede ad un grande ambiente (profondamente trasformato nel 2003), separato dall’atrio mediante un’ampia porta scorrevole. Questo ampio spazio ha una funzione sia espositiva che di sala riunioni per gruppi di studio o per manifestazione culturali specializzate. Accanto a questa sala, intitolata al “fondatore”, è posta la biblioteca dove sono conservati i volumi antichi, i libri moderni, l’archivio storico e la fototeca. Ancora al piano terra si trova una piccola “bottega”4 dove i visita-
tori possono acquistare le riproduzioni degli esemplari autentici ammirati nel museo e gli oggetti caratteristici della produzione Richard-Ginori, seguendo la tradizione toscana dell’artigianato di qualità5. A sinistra, entrando, un ampio deposito è destinato al materiale non esposto, mentre nella parte opposta sono ubicati gli ambienti destinati agli impianti tecnici centrali 6 , come quello di condizionamento, indispensabile per rendere il museo indipendente alle mutevoli condizioni ambientali esterne e per evitare intrusioni di polveri dannose7. Altri spazi sono destinati a servizi, guardaroba e uffici. Al piano superiore, a cui si accede attraverso due scalinate speculari dalla struttura in c.a. e parapetti in cristallo, è ubicata la vera e proprio sala espositiva: un unico grande ambiente di circa 1.000 mq., caratterizzato dalla lunga parete vetrata, terminante con due locali privi di illuminazione naturale 8
Le pareti interne del salone sono realizzate con elementi in laterizio cotti a mano in una fornace maremmana9
Questi mattoni di colore rosso-grigio lasciati a vista, oltre a ricordare gli oggetti di scavo, forniscono alle porcellane bianco lucenti uno sfondo di tono contrastante per “salvare”, in un certo senso, l’unità della materia10
“Ho affrontato la progettazione del nuovo Museo – spiega Berardi - e dei
suoi numerosi problemi di carattere funzionale, estetico, tecnologico e di servizi, studiando un fabbricato che, del tutto simile ad una grande teca, non si mettesse in concorrenza con gli oggetti esposti, e risolvesse il problema in estrema semplicità”11
La scelta progettuale di non escludere l’ambiente esterno, ma anzi di farlo “sentire” attraverso la parete-finestra del primo piano12, è uno stimolo per arrivare a soluzioni architettoniche brillanti rispetto alle tecnologie dell’epoca13. Il problema dell’illuminazione, forse il più spinoso, è risolto proprio grazie dalla grande vetrata, realizzata con infissi in alluminio anodizzato e cristalli in thermopane14 a doppia lastra saldata, di cui quella esterna è in cristallo atermico di colore leggermente fumé per attutire l’eccessiva luminosità riflessa in particolare condizioni di insolazione15. La luce naturale è integrata da un impianto di illuminazione regolabile a mezzo di un reostato per ottenere mediante compensazioni prestabilite una luminosità costante della sala e delle vetrine, e inclinando il controsoffitto, costituito da pannelli in gesso fonoassorbenti16, in modo da deflettere in modo opportuno la luce17
Il museo è dotato di tutti gli impianti necessari per assicurare le migliori condizioni ambientali: impianti di riscaldamento in-
59
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori in fase di costruzione, 1961-62 circa: lato ingresso principale e piano primo. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).
pagina precedente
Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: viste diurna e notturna del prospetto principale (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).
Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: particolare dell'ingresso principale e parete-finestra primo piano (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).
vernale e di condizionamento estivo, impianti di illuminazione e forza motrice sia per le sale di esposizione che per i servizi, impianti telefonici per collegamento interno ed esterno e l’impianto di diffusione sonora18
La pavimentazione di entrambi i piani, comprese le scale, è realizzata in linoleum di colore grigio che esalta la modernità e la spazialità dell’edificio.
Il fabbricato è circondato da un terreno trattato a prato che costituisce un importante complemento in quanto risulta indispensabile per salvaguardare il carattere di museo-vetrina dell’intero complesso.
Nelle sue linee semplici e minimaliste il museo Richard Ginori rappresenta nel 1965 un caso unico in Italia. E’ la prima costruzione realizzata appositamente per accogliere una collezione di circa quattromila pezzi che comprende gli esemplari più importanti prodotti nella manifattura di Doccia dalla sua fondazione al periodo contemporaneo. Un moderno museo di impresa strettamente collegato, anche, fisicamente, alla fabbrica collocata alle sue spalle.
61
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, interno, primo piano, 1966 circa. (AMG, Fototeca)
Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: scala di accesso al primo piano e particolari del parapetto in cristallo. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca)
1 Zevi 2013, p. 72.
2 AMG, Note sul museo, “Dati tecnici”.
3 Nel 1965 i pluviali (oggi esterni) risultano inseriti all’interno della muratura, tra la doppia parete in laterizio che nasconde la struttura in cemento armato. Questa soluzione, esteticamente molto elegante perché lascia inalterata la continuità della superfice muraria a faccia vista, crea fin dall’inizio problemi di infiltrazioni delle acque meteoriche all’interno dell’edificio, soprattutto al piano primo.
4 Il vano destinato nel 1965 a “negozio” è oggi destinato a “biblioteca-archivio”.
5 “Richard-Ginori” 1965, p. 11.
6 La centrale termica e gli altri volumi tecnici si sviluppano sia al piano terra che al piano seminterrato dell’edificio.
7 Boccia 1965, p. 11.
8 Nel progetto originario di Berardi la saletta, oggi destinata alle cere, è denominata locale “deposito”.
9 Boccia 1965, p. 16.
10 I mattoni hanno dimensioni e colore diversi rispetto a quelli delle pareti esterne. I mattoni “color spento” e/o “color scavo” che foderano l’interno e l’esterno dell’edificio sono stati realizzati a San Guido in Bolgheri. Cfr. Lattes 1965; Boccia 1965, p. 16; Maggini Catarsi 1988, p. 30.
11 “Richard-Ginori” 1965, p. 7.
12 Nel 1965 l’edificio è ubicato in una zona periferica di Sesto Fiorentino e l’ampia vetrata si apre sulle colline che circondano l’abitato.
13 Purtroppo, la bellissima vista che si poteva godere dal primo piano del museo è stata, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, irrimediabilmente compromessa dalle tante costruzioni sorte sulla collina e nelle aree adiacenti a viale Pratese.
14 Vetrate isolanti costituite da due lastre di cristallo chiaro trasparente, tra le quali è racchiusa aria disidratata, isolata termicamente mediante un giunto metallico brevettato.
15 “Richard-Ginori” 1965, p. 7.
16 Il controsoffitto è realizzato con pannelli in gesso fibrato che risultano forellati per il passaggio a pioggia dell’aria di riscaldamento e condizionamento. I pannelli sono appesi al solaio di copertura con fili in metallo.
17 Boccia 1965, p. 14.
18 AMG, Note sul museo, “Dati tecnici”.
63
Gli arredi e l'allestimento del 1965
Niccolò Berardi, come già anticipato nei capitoli precedenti, non si limita a progettare l’edificio, ma disegna, in collaborazione con Tullio Rossi, anche tutti gli arredi del museo1
Presso l’Archivio Storico della Manifattura di Doccia è conservata una fitta corrispondenza fra l’Ufficio Tecnico dello stabilimento di Sesto Fiorentino e la Direzione Immobiliare della Società Richard-Ginori di Milano che testimonia il costante impegno dello Studio San Giorgio in tutte le fasi di progettazione e realizzazione degli arredi museali. Dai documenti risulta anche una stretta collaborazione fra Berardi e la commissione incaricata di definire l’ordinamento delle porcellane e il percorso espositivo del museo2
In un fascicolo si conservano due elaborati, redatti in scala 1:100, denominati “Pianta dell’arredamento” che ci consentono di ricostruire, per ogni piano, tutti gli elementi di arredo presenti nel museo agli inizi degli anni Sessanta. Molto interessanti sono anche i disegni, redatti in scala 1:50, relativi alle sistemazioni delle due salette laterali del primo piano, definite “A” e B”, destinate ad ospitare le cere, che subiscono in corso d’opera modifiche e adattamenti.
Dalla documentazione risulta che ogni arredo è progettato dallo Studio San
Giorgio: si conservano, all’interno del fascicolo citato, i disegni numerati (in scala 1:10) delle vetrine dei piani terra e primo, dei cavalletti in noce per le cere, dei tavoli destinati al salone-biblioteca e al negozio, del bancone per il guardaroba, della scrivania, della consolle e della libreria per gli uffici e l’archivio, del tavolo per la portineria, delle basi da sistemare nell’atrio, dei tavolinetti, delle poltrone e poltroncine da collocare ai piani terra e primo. Berardi si occupa anche della progettazione delle scaffalature e degli armadi metallici per l’archivio e la biblioteca e del rivestimento in pannelli laccati bianchi degli ambienti al piano terra. Dai preventivi, inviati dalle ditte fornitrici allo stabilimento di Sesto Fiorentino, è possibile ricostruire i nomi degli artigiani che realizzano gli arredi, sulla base dei disegni redatti dallo Studio San Giorgio.
I falegnami “Rangoni Basilio & Figlio” creano la struttura in legno delle vetrine per il salone centrale, complete di basamento e degli elementi di raccordo in legno paniforte multistrato3; le vetrine per le salette A e B del primo piano, costruite con armatura in legno di abete rivestita in paniforte multistrato4; i cavalletti in noce massello destinati alle cere5; i quattro grandi tavoli rettangolari e i quattro tavolinetti porta lumi in legno di noce.
La ditta “Felice Quentin - Manifattura specchi e vetri” fornisce ed installa i cristalli di tutte le vetrine del museo, comprese le parti metalliche (sottostruttura in ferro tubolare, serrature, ecc.)6 e i corrimani in vetro delle scale.
La “ Trau” fornisce gli scaffali metallici e i mobili per la biblioteca e l’archivio7
La ditta “Filippo Haas & F.i” installa le tende al primo piano, fornisce i tappetti e i rivestimenti per le basi delle vetrine e i piani interni delle stesse8. La “Poltronova” realizza le poltrone grandi “imbottite con gomma piuma, complete di cuscino, fusto e zampe in ottone, ricoperte in SKAI” (n. 12) e le poltroncine “fusto in noce, imbottite di gomma piuma e ricoperte in SKAI” (n. 25)9. La ditta “A.C.E.T” si occupa della fornitura e posa in opera dell’impianto di illuminazione in tutte le vetrine10 Berardi, anche nell’allestimento, opta per una scelta progettuale “coraggiosa” ovvero quella di raccogliere la maggior parte della collezione (composta da circa quattromila pezzi) in un unico ambiente al primo piano non differenziato da arredi museografici intermedi che, se pur avrebbero facilitato l’esposizione per stacchi e allusioni, avrebbero compromesso l’impegno unitario che caratterizza la grande sala. Qui le teche, realizzate in legno e cristallo, sono disposte in gruppi di tre lungo la parete di fondo dell’ampio spazio
espositivo; mentre lungo la grande parete vetrata nord le vetrine sono disposte in linea11
Per quanto riguarda l’illuminazione delle vetrine la scelta è quella di utilizzare luci mobili a neon (protette da un carter in alluminio anodizzato di forma parallelepipeda e aperto su un lato) posate direttamente sulle teche per ottenere una percezione ottimale degli oggetti esposti.
Il problema della manutenzione è uno dei più importanti da risolvere, in quanto non era immaginabile, sia per la preziosità che per la delicatezza del materiale raccolto, il dover ricorrere a continue e rischiose spolverature. Per questo motivo Berardi pone grande attenzione alla progettazione delle vetrine che sono tutte a tenuta stagna, realizzate con cristalli saldati fra loro, senza parti metalliche ad eccezione di due lembi magnetizzati che ne garantiscono sia la perfetta sigillatura che l’apertura quando necessario12
Le due salette laterali, che costituiscono la testata cieca della galleria, sono illuminate artificialmente ed ospitano vetrine fisse disposte lungo le pareti, dotate dello stesso sistema di luci mobili presenti nelle teche del salone centrale.
Anche il resto dell’arredamento è studiato in funzione dell’edificio: sedie e tavoli per
65
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo terra, veduta ingresso, 1966 circa. (AMG, Fototeca)
le zone di rappresentanza e di amministrazione al piano terra, poltrone e poltroncine per le aree di riposo al primo piano.
Per quanto riguarda il percorso espositivo, esso si avvale dei risultati dei primi studi scientifici sulla storia della manifattura condotti dall’ultimo discendente della famiglia Ginori13
Il progetto museografico viene elaborato da un comitato costituito da Gino Campana, direttore della manifattura, dal conte Leonardo Ginori Lisci, da Elena Maggini Catarsi, nominata conservatrice del museo di Doccia, dallo storico Klaus Lankheit, da Giuseppe Liverani, all’epoca direttore del museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, e dal collezionista Roberto Bondi14
L’obbiettivo dei curatori è quello di fornire al visitatore un’esposizione cronologica che possa suggerire l’evoluzione storica della manifattura e, al tempo stesso, sottolineare le capacità degli artefici di Doccia di adeguarsi continuamente ai cambiamenti degli stili, dei gusti e della società15
Per raggiungere questo obiettivo ci sono però alcuni problemi da risolvere. Innanzitutto, la collezione, che nella vecchia sede di Doccia occupava numerose sale, deve necessariamente essere snellita e quindi occorre selezionare gli oggetti da esporre e conservare tutti gli altri nel deposito16. Un se-
condo ordine di problemi è rappresentato dalla scelta progettuale di Berardi, già accennata, di raccogliere l’intera la collezione in un unico ambiente non differenziato, privo di elementi museografici intermedi che avrebbero facilitato un’esposizione per aree cronologiche, ma senza dubbio avrebbero annullato la spazialità della grande sala al primo piano.
I curatori decidono di coniugare le diverse esigenze, contrapponendo all’accumulo scenografico dell’antico museo di Doccia un percorso cronologico lineare, basato sulla divisione in periodi corrispondenti ai vari proprietari che si sono succeduti alla guida della manifattura: i cinque periodi storici di Doccia corrispondenti agli anni della gestione dei diversi marchesi Ginori (1737-1896), il Novecento con la nascita della Società Richard-Ginori (1896) e la direzione artistica di Gio Ponti (19231930) ed infine il design industriale 17 Per motivi di spazio si decide di non esporre i modelli in gesso e la sezione compartiva del “Museo Ceramico”, costituita dalla raccolta di porcellane provenienti da altre manifatture italiane ed estere.
Rispetto all’allestimento ottocentesco, caratterizzato da un’esposizione ricca e sovraccarica di oggetti disposti all’interno di spazi ridotti18, l’allestimento del 1965 si affida a criteri più ra-
zionali e sacrifica la quantità in nome della qualità, esponendo gli esemplari più importanti, spesso isolati dal loro contesto19
Il museo, snellito di gran parte del repertorio ottocentesco e arricchito con i nuovi acquisti sul mercato antiquario (necessari a colmare le lacune per le opere rimaste alla famiglia Ginori Lisci) e con le riscoperte maioliche del primo periodo, rappresenta la testimonianza della vita passata e presente della manifattura20
La lettura della storia di Doccia inizia con la produzione sperimentale e pioneristica del Settecento e continua attraverso la suddivisione in cinque periodi, che ne caratterizzano gli sviluppi successivi, fino al Novecento. Ogni sezione cronologica è divisa a sua volta con un ordinamento per temi, colori e tipo di disegno. I diversi stili, le forme e le decorazioni rappresentano il segno della cultura e del gusto degli artefici di Doccia, dal 1737 fino all’età contemporanea21
L’esposizione inizia al piano terra dell’edificio, all’interno della sala centrale detta “Sala del fondatore” dove è possibile ammirare, entro vetrine a tavolo, una selezione di calchi dei cammei antichi, dei piombi rinascimentali, delle terrecotte barocche, e alcune plastiche realizzate per Doccia dallo scultore Gaetano Bruschi e dai suoi colla-
boratori22. Nello stesso ambiente trovano posto esemplari rappresentativi del primo periodo che si chiude con la morte di Carlo Ginori.
Il percorso prosegue nell’atrio dove sono esposte maioliche e targhe ottocentesche. Ai lati dell’ingresso due teche trasparenti proteggono il cosiddetto “Museo delle terre”, costituito dai vasi in vetro con basi e coperchi in maiolica, testimonianza degli interessi scientifici del fondatore. Nelle vetrine a muro sono esposte porcellane e maioliche degli anni Venti e Trenta del Novecento realizzate su disegni originali di Giò Ponti e dei suoi collaboratori23 Sempre al piano terra, agli angoli della parete che dà accesso al locale impianti, sono collocate due antiche vetrine a muro in legno intagliato e di gusto eclettico (parte integrante dell’antico allestimento del museo di Doccia) dove sono esposti gruppi di porcellane del XVIII secolo24
L’esposizione continua al primo piano, nel grande salone, dove, secondo una disposizione tipo-cronologica, si sviluppa l’intero quadro della produzione di Doccia.
Il primo periodo, quello intitolato a Carlo Ginori (1735-1757) è rappresentato da esemplari decorati in modo semplice con la tecnica dello “stampino”, da pezzi dipinti da famosi artisti come Carl Anrei-
67
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, fine anni Sessanta. (AMG, Foteteca)
ter e da realizzazioni plastiche ispirate ai modelli settecenteschi di Foggini e Soldani Benzi. Questa prima sezione espone anche il caminetto in porcellana bianca modellato da Gaspero Bruschi nel 1754, di oltre tre metri di altezza. Del secondo periodo (1758-1792) è documentata l’ampia diversificazione tipologica degli accessori e dei servizi da tavola; in particolare nascono in questa fase i primi vassoi denominati “marescialla”, i rinfrescatori e le tazze per le puerpere. Di gusto neoclassico e in stile Impero sono invece le produzioni del terzo periodo (1793-1837), quando le decorazioni assumono nuove tonalità cromatiche e sono caratterizzate da ornamenti in oro. L’internazionalità della produzione Ginori del quarto e del quinto periodo (1838-1896) risente del clima culturale di allora, quando vengono ripresi i temi e i modelli rinascimentali; di questa fase è indicativo il “Vaso mediceo” presentato dalla manifattura all’esposizione di Londra nel 1851. Abbiamo poi la fase successiva che inizia nel 1896 con la nascita della Società Richard-Ginori, rappresentata da pezzi di gusto Liberty e Art Déco, come il vaso tratto dal manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per l’esposizione internazionale di Torino del 1902.
Alcune raccolte organiche (ad esempio tazze e piattini di diversi periodi)
sono esposte nelle vetrine disposte in linea lungo la grande parete finestrata del primo piano e concludono il percorso espositivo, offrendo una visione completa del ciclo evolutivo della manifattura.
Le due salette laterali, poste alle estremità del grande ambiente centrale, ospitano, opportunatamente illuminate, le splendide cere di Gian Battista Foggini, di Massimiliano Soldani Benzi, di Giuseppe Piamontini e altri, insieme con i calchi in porcellana bianca ottenuti dal fondo degli stampi conservati nella fabbrica.
Dalla descrizione è evidente che l’allestimento del 1965, rispetto a quello del 1864, predilige una esposizione selettiva e lineare di oggetti per offrire al visitatore una rassegna storica, razionale e ordinata25
“Con i principi tendenti a stimolare l’interesse del pubblico, ogni pezzo esposto nel museo acquista una funzione del tutto nuova: l’esemplare pur conservando una identità autonoma si compenetra nella storia del complesso mondo ceramico. Secondo i canoni della nuova scienza della museologia, l’architetto Pier Niccolò Berardi nella realizzazione del suo progetto manifesta soluzioni e situazioni nuove come l’efficace presentazione della collezione, l’organizzazione del percorso, la funzionalità di zone diversificate ove gli
spazi sono destinati alle pubbliche relazioni, alle esposizioni di piccole mostre, alla sala dei convegni, alla biblioteca e sala di lettura”26
Al piano terra, in adiacenza alla sala riunioni, trova posto la biblioteca specialistica nella quale sono conservate opere che vanno dal XVIII al XX secolo. Questi volumi, che non sempre hanno un riferimento specifico alla storia della porcellana, trovano nella storia di Doccia una connotazione specifica. Gli artisti della fabbrica, infatti, hanno attinto dalle illustrazioni di queste pubblicazioni la loro ispirazione per realizzare modelli pittorici e plastici. Con il tempo la biblioteca si è potenziata con nuovo materiale di stampa. Le raccolte d’arte, gli atti delle esposizioni internazionali e le riviste specializzate della prima metà del Novecento completano il quadro degli acquisti e costituiscono un nucleo di tutto rispetto27 Nei locali della biblioteca sono conservati anche l’archivio storico e quello fotografico.
69
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, saletta laterale dedicata alle cere, vetrina angolare, 1966 circa. (AMG, Fototeca)
pagina precedente
Sesto Fiorentino, Museo RichardGinori, primo piano, gruppo di tre vetrine, 1966 circa. (AMG, Fototeca)
Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: interno primo piano, particolare della vetrata del salone. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca) Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo terra, bottega, 1966 circa. (AMG, Fototeca)
1 AMD, Lettera del 4 settembre 1963 inviata dalla Direzione Tecnica della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano allo Studio San Giorgio, via delle Belle Donne 32 r(Firenze) e per conoscenza alla Soc. Ceramica Richard-Ginori di Sesto Fiorentino. In questa nota la Società chiede espressamente di conoscere il compenso dello Studio San Giorgio “per le prestazioni relative alla progettazione delle opere di arredamento”.
2 AMD, Nota del 23 giugno 1964 avente per oggetto “arredamento museo” inviata dalla Direzione di Sesto Fiorentino alla Direzione Generale di Milano dalla quale si evince che la “Commissione ordinatrice” è composta dal conte Leonardo Ginori Lisci Ginori, dal collezionista Roberto Bondi, da Giuseppe Liverani direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e da Gino Campana direttore della manifattura.
3 AMD, Preventivo del 15 giugno 1964 inviato dalla ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” alla Società Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino. La nota descrive puntualmente la fornitura: “esecuzione di vetrine […] complete di basamenta ed eventuali raccordi, fascia listrata in legno di noce e giunta con denti a coda di rondine persi, armatura interna in legno duro a sostegno della vetrina, piano in paniforte multistrati e fascia attorno, rese tutte finite con lucidatura previa patinatura e tracce per gli sportelli scorrevoli […]”.
4 AMD, Preventivo del 4 luglio 1964 “per eseguire l’arredamento delle salette al primo piano” inviato dalla ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.
5 AMD, Preventivo del 13 novembre 1964 per “eseguire un cavalletto in legno noce massello come da disegno e campione eseguito” della ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” con sede a Firenze, via del Ronco n. 38, inviato alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino, Firenze.
6 AMD, Preventivo del 18 giugno 1964 della “Manifattura specchi e vetri Felice Quentin” con sede in Firenze in via Capodimondo n. 52 inviato alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.
7 AMD, Nota del 29 dicembre 1964 inviata dall’Ufficio Tecnico di Sesto Fiorentino alla Segreteria Centrale, Ufficio Gestione Immobiliare di Milano. Dalla nota si evince che la ditta TRAU a sede a Firenze in via B. Marcello n. 49.
8 AMD, Nota del 30 dicembre 1963 inviato dalla Soc. Richard-Ginori alla ditta “Filippo Haas & F.i” con sede a Firenze in via Tornabuoni n. 51, e per conoscenza alla Studio san Giorgio, via delle Belle Donne, Firenze; Preventivo del 10 luglio 1964 inviato alla ditta “Haas” alla Soc. Richard-Ginori a Sesto Fiorentino.
9 AMD, Preventivo del 10 giugno 1964 per realizzazione di “poltroncina” e “poltrona” inviato dalla ditta “Poltronova Mobili e tessuti per arredamento” con sede ad Agliana Pistoia, alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.
10 AMD, Offerta del 3 novembre 1964 inviato dalla ditta “A.C.E.T – Azienda Costruzioni Elettriche Telefoniche” con sede a Firenze in va della Robbia n. 46 alla Soc. Ceramica Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.
11 Boccia 1965, p. 14.
12 Ivi, pp. 13-14.
13 Maggini Catarsi 1988, p. 31; De Donato 2014, p. 114.
14 Gnoni Maravelli 2017, p. 25.
15 De Donato 2014, p. 112.
16 L’esposizione ottocentesca mostrava anche attraverso la quantità la qualità dei prodotti docciani.
17 Rucellai 2008, p. 5; Gnoni Maravelli 2017, p. 25.
18 Si vedano le fotografie dell’epoca pubblicate in Maggini Catarsi 1988, pp. 28-29.
19 De Donato 2014, p. 113.
20 Liverani 1967, p. 48.
21 Maggini Catarsi 1988, p. 31.
22 La sala delle riunioni, a piano terra, organizzata per incontri di studiosi e manifestazioni culturali, funge anche da prima sala espositiva del materiale più antico. Cfr. Maggini Catarsi 1988, p. 31.
23 De Donato 2014, pp. 113-114.
24 Le due vetrine a muro intagliate sono ancora oggi conservate all’interno del museo. Per le immagini dell’epoca si veda Gregori 1965, pp. 20-21.
25 De Donato 2014, pp. 114-115.
26 Maggini Catarsi 1988, p. 31.
27 Ivi, p. 32.
71
Le trasformazioni del Museo
L’allestimento del 1965 si mantiene inalterato, almeno nelle linee generali, fino alla fine del secolo scorso. Nel corso della seconda metà de Novecento si attuano solo piccole trasformazioni che però non possiamo definire organiche: si cambia, ad esempio, il contenuto di una vetrina ricorrendo all’esposizione a rotazione per dare maggiore visibilità agli oggetti custoditi in deposito, oppure si realizzano interventi limitati ad una singola zona del percorso museale1
Il cambiamento più significativo del percorso espositivo è lo spostamento della produzione di Giò Ponti dal piano terra al primo piano, avvenuto negli anni Novanta In questo periodo una delle due salette laterali, che in origine ospitava le cere tardo barocche, viene interamente destinata alla produzione del grande designer italiano: dai piatti in maiolica della serie intitolata “Le mie donne”, alle urne in porcellana, agli orci prospettici, alle “Mani”, agli elementi scultorei per il “Trionfo da tavola” per le ambasciate italiane2 Cambiamenti più significativi nell’allestimento avvengono a partire dai primi anni Duemila. Nel 2001 la nuova proprietà decide di rivedere il percorso espositivo, con il duplice obiettivo di valorizzare la ricchezza della collezione e di garantire una maggiore leggibilità
anche da parte di un pubblico non specializzato3
La prima esigenza si traduce nel rendere l’allestimento più interessante, puntando l’attenzione sulla varietà dei prodotti e offrendo una lettura alternativa a quella “cronologica”. L’allestimento del 1965 aveva puntato a mostrare la produzione più prestigiosa della manifattura dal punto di vista artistico, “censurando”, in un certo senso, gli altri settori della storia dell’azienda, come ad esempio la produzione degli isolatori elettrici o delle maioliche, all’epoca non ritenuti significativi o adatti ad una esposizione museale. Passati ormai quasi quaranta anni, il giudizio storico su queste tipologie di oggetti è cambiato, si è evoluto, e, soprattutto, il museo viene interpretato come deposito di una memoria in toto, memoria di tutta la storia della manifattura, e non solo come luogo espositivo delle opere più importanti4 La seconda esigenza è quella di dare maggiori informazioni ai visitatori, soprattutto a coloro che non conoscono in modo approfondito la storia della collezione. Il museo è infatti a questa data (2001) privo di pannelli informativi e quasi tutte le vetrine non hanno didascalie: aspetti questi che rendono “difficile” la lettura da parte di un pubblico meno colto.
Da queste diverse necessità nasce l’idea di creare, all’interno del percorso espositivo, delle aree tematiche per dimostrare che quella “cronologica” non è l’unica chiave di lettura possibile. La collezione può essere interessante per il visitatore anche da altri punti di vista, non solo da quello artistico, stilistico e formale, ma anche per altri aspetti a cominciare da quello tecnico, storico-economico, aspetti utili a comprendere la storia del costume, la storia politica, quella industriale, ecc. Le aree tematiche, dedicate ad esempio alle tecniche, ai committenti, o all’influenza orientale su forme e decori prodotti a Doccia, possono consentire al visitatore di scegliere alcuni aspetti specifici su cui concentrare la propria attenzione5. L’idea progettuale si traduce nell’inserimento, all’interno del percorso espositivo del primo piano, di alcuni totem verticali che hanno lo scopo di suggerire agli utenti le diverse chiavi di lettura e segnalare “visivamente” i temi della produzione da selezionare durante la visita6
Tutte le vetrine vengono svuotate e l’ordine ternario progettato da Berardi7, viene nei fatti “smontato” per creare un nuovo ordine espositivo, meno geometrico e razionale rispetto a quello degli anni Sessanta. Tuttavia, al fine di non annullare il senso unitario dello spazio, che da sempre ha caratteriz-
zato il salone del primo piano, si realizzano delle divisioni “ideali”, delle stanze senza pareti, utilizzando le vetrine per delimitarne i confini. Ogni ambiente è individuato da un totem informativo che ha un proprio “titolo” e riporta un’introduzione sintetica al singolo tema. L’effetto è duplice: da un lato sia rende più chiara la lettura del percorso e dall’altro si lascia libero il visitatore di scegliere in quale “stanza” entrare per approfondire la conoscenza del tema scelto.
Rispetto all’allestimento del 1965 il numero degli oggetti esposti, fuori e dentro le vetrine, viene sensibilmente aumentato. Ciò consente all’esperto collezionista di avere a disposizione più materiale di studio senza doversi recare in deposito, mentre il visitatore che non ha un interesse specifico, grazie all’impatto visivo dato dalla quantità degli oggetti esposti, può godere maggiormente del nuovo allestimento, anche dal punto di vista scenografico 8 Oltre ai totem, vengono installati alcuni pannelli didattici sulle pareti, aggiunte le didascalie alle vetrine e potenziata l’illuminazione.
Ulteriore novità, rispetto al 1965, è l’esposizione di alcuni disegni provenienti dall’archivio storico del museo e di alcuni modelli in gesso di grandi dimensioni come il grande “Vaso mediceo”, testi-
73
pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, allestimento 2003 (AMG, Foteteca)
monianza significativa dell’antica gipsoteca che costituiva il nucleo originario dell’antico museo di Doccia.
Alcune modifiche vengono realizzate anche al piano terra dove sono trasferiti i bassorilievi in cera (conservati nei cavalletti in legno), in origine esposti al piano superiore e ora collocati lungo la parete di ingresso. Nell’atrio le vetrine a muro vengono svuotate per creare ulteriori aree tematiche, quali appendici del percorso principale: vengono allestite le vetrine con gli isolatori elettrici e con gli strumenti medici, le vetrine con gli arredi da chiesa e con gli oggetti ispirati al repertorio etrusco, ecc., tutte opere che fanno parte integrante della storia della manifattura.
Per rispondere alle nuove esigenze della committenza vengono realizzati anche alcuni interventi edilizi che modificano la distribuzione interna del museo. Si tratta di lavori che alterano il grande ambiente centrale, sito al piano terra, attraverso l’inserimento di una struttura in cartongesso dalla forma semicircolare, del tutto estranea all’impianto razionalista degli anni Sessanta. La “Sala del fondatore” e l’annessa “saletta” vengono collegate e trasformate in un ampio show-room destinato all’esposizione dei prodotti moderni della manifattura, mentre il vano un tempo destinato a “nego -
zio” viene trasformato in “archivio-biblioteca”.
Il progetto, redatto dall’architetto Gian Battista Vannozzi9, prevede la realizzazione di uno spazio privo di illuminazione naturale: la lunga finestra a nastro del piano terra viene obliterata dal nuovo allestimento in cartongesso, caratterizzato da nicchie di varie dimensioni illuminate da faretti incassati. Il pavimento è realizzato in resina bianca, in totale contrapposizione con quello originario pensato da Berardi, in linoleum di colore grigio scuro.
I lavori, che comportano la chiusura del museo per circa un anno, vengono completati nel 2003.
Nello stesso periodo si ripresenta il problema delle infiltrazioni d’acqua causate sia dalla soluzione costruttiva del solaio di copertura (modesta pendenza del tetto e mancanza di guaina impermeabile) che dal sistema di smaltimento delle acque meteoriche (pluviali interni alla muratura).
Per queste motivazioni, in occasione del nuovo allestimento, si decide di intervenire anche all’esterno dell’edificio inserendo sui prospetti lunghi discendenti in rame e catene metalliche per lo scarico delle acque meteoriche (2002-2003)10.
Nel corso degli anni, tuttavia, i canali di doccia, oltre a degradarsi, si ostruiscono a causa delle foglie e degli aghi di pi-
no provenienti dagli alberi vicini. Le acque meteoriche, non convogliate correttamente, penetrano più volte nei locali interni del museo creando ristagni d’umidità, danni ai soffitti, al pavimento11 ed alle facciate esterne in laterizio12
Un ulteriore motivo di infiltrazioni è causato, in tempi recenti, dal sollevamento per il vento di alcuni pannelli di lamiera della copertura che sono volati via e non sono sostituiti13 Nel 2014 il museo, a causa del fallimento della proprietà, viene chiuso al pubblico. Il 27 novembre 2017 diventa di proprietà dello Stato italiano che lo acquista attraverso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Nel maggio 2018 il Polo Museale della Toscana, al quale l’immobile è assegnato14, promuove un intervento di “somma urgenza”15 al fine di risolvere definitivamente il problema delle infiltrazioni d’acqua e mettere in sicurezza il museo e la sua collezione. L’intervento, in vista di un futuro riassetto complessivo dell’edificio e della nuova definizione della sua gestione, ha il duplice obbiettivo di garantire, da un lato, una protezione supplementare a quella esistente con l’inserimento sulla copertura di una guaina bituminosa e di un sistema affidabile di pannelli isolanti, dall’altro di installare un nuovo
sistema di canali e pluviali in rame/alluminio per lo smaltimento delle acque meteoriche che garantisca un funzionamento minimo anche in situazioni di emergenza16
I lavori futuri, che saranno realizzati dalla Direzione Regionale dei Musei della Toscana (ex Polo Museale), avranno come principale obiettivo il restauro conservativo degli spazi interni del museo, compresi l’adeguamento e la messa a norma degli impianti tecnologici, il rifacimento dei servizi igienici e l’eliminazione delle barriere architettoniche17
75
pagina precedente
Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, saletta laterale dedicata a Gio Ponti, allestimento 2003 (AMG, Foteteca)
Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, piano terra, sala centrale, allestimento 2003 (AMG, Foteteca)
1 De Donato 2014, pp. 122-123
2 Gnoni Maravelli 2017, p. 26.
3 Il passaggio di proprietà nel dicembre 2001 riporta il museo in seno alla Richard-Ginori 1735 S.p.a. e rappresenta una nuova tappa nella storia della collezione, offrendo l’occasione per rivedere l’allestimento che, a circa quaranta anni dall’inaugurazione, appare decisamente “Invecchiato”. Cfr. Rucellai 2008, p. 6.
4 De Donato 2014, pp. 123-124.
5 Rucellai 2008, p. 6.
6 De Donato 2014, p. 124.
7 Berardi aveva disposto le vetrine al primo piano del museo in gruppi di tre.
8 De Donato 2014, pp. 125-126.
9 L’architetto Gian Battista Vanozzi ha realizzato per la Richard-Ginori vari decori e forme per le porcellane e si è anche occupato dell’allestimento di alcuni stand espositivi dei prodotti della manifattura in occasione di fiere.
10 Presso l’Archivio Storico del Comune di Sesto Fiorentino sono conservate le pratiche degli interventi
edilizi realizzati nel corso del tempo.
11 Sulla facciata posteriore i pluviali sono realizzati con sezioni quadrate in rame per riprendere il colore dei mattoni, mentre sulla facciata principale sono realizzati in alluminio di colore naturale. Su entrambi i prospetti i pluviali non sono installati fino a terra, ma “interrotti” a varie altezze. Il sistema adottato nel 2001 prevede che le acque piovane siano indirizzate a dei pozzetti aperti con ciottoli drenanti mediante catene o bocchette di convogliamento.
12 I pozzetti si sono rapidamente riempiti di terra e piante, risultando nel tempo totalmente ostruiti. Le tubazioni nel terreno si sono riempite di radici diventando irrecuperabili, nonostante un’indagine sui documenti d’archivio ha consentito di ritrovare i progetti dei vari interventi e la posizione delle tubature.
13 La situazione è stata tamponata con “toppe” di guaina bituminosa.
14 Il museo è stato consegnato al Polo Museale della Toscana (struttura periferica del MiBACT) dall’Agenzia del Demanio dello Stato, Direzione Regionale Toscana e Umbria, in data 29 marzo 2018.
15 Cfr. Art. 163 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 “Codice dei contratti pubblici” e s.m.i. e art. 23 del D.M. 22 agosto 2017, n. 154 “Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016”.
16 Il prof. arch. Carlo Blasi dello Studio “Comes Studio Associato di Ingegneria e Architettura” con sede a Sesto Fiorentino (FI) ha ricevuto l’incarico dal Polo Museale della Toscana per la progettazione dei lavori di somma urgenza. I lavori, conclusi nel gennaio 2019, sono diretti dall’arch. Vanessa Mazzini ed eseguiti dalla Ditta “Restauri Artistici e Monumentali di Fabio Mannucci snc”, con sede legale in via Mannelli n. 3/r, 50136 Firenze.
17 Mazzini 2018, p. 21.
La tutela del Museo: il Decreto di vincolo del 2012
Grazie all’attività didattica, agli studi scientifici, alle mostre, il museo Richard-Ginori diventa negli anni un organismo dinamico, un punto di riferimento importante per la formazione dei giovani e generatore di idee per i futuri designers.
Nel 2012, in considerazione dello stretto legame fra la collezione e il fabbricato appositamente progettato per contenerla, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2012 emana un decreto di “vincolo” (D.D.R. n. 232 del 15 maggio 2012) 1 con il quale il “Museo della Manifattura di Doccia” è dichiarato di “particolare interesse culturale per quanto riguarda l’edificio e i relativi arredi di allestimento museale”, e di “eccezionale interesse per quanto riguarda i nuclei costituenti l’intera collezione”, e quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella Parte II del D.lgs. 42/2004 e s.m.i. “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Inoltre, vista l’unitarietà inscindibile della collezione e la stretta relazione di quest’ultima con l’immobile, appositamente progettato e realizzato per ospitarla, è dichiarata la pertinenzialità di tutti gli oggetti costituenti la collezione stessa e l’edificio destinato a museo2
Al provvedimento di tutela è allegato un inventario aggiornato comprendente tutti i manufatti, incluso anche il gruppo di modelli e forme attualmente presente nella manifattura (ubicata in prossimità del museo), suddivisi in sette nuclei: i beni storico-artistici (cere, calchi in bronzo, opere docciane e del museo ceramico comparativo), il “Museo delle terre”, i modelli in gesso, le impronte in zolfo dei cammei e delle medaglie, le forme storiche in gesso e i loro positivi, le lastre in metallo incise e le pietre cromolitografiche3
In considerazione della grande quantità di beni mobili tutelati, il provvedimento ministeriale (D.D.R. n. 232 del 15 maggio 2012) prevede la possibilità di adottare, nella gestione della valorizzazione dei beni stessi, modalità di esposizione congruenti con la capienza del museo, anche sperimentando eventuali rotazioni nell’esposizione, pur assicurando lo stretto legamene tra l’edificio e la collezione nel suo insieme4
Anche l’archivio storico della Società Richard-Ginori è stato riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali di “notevole interesse storico” con un primo decreto di vincolo nel 1979 e successivamente nel 1999, infine nel 2012 è stato dichiarato pertinenziale all’edificio e al museo al fine di assicurare la “memoria della produzione
dell’impresa” e mantenere l’integrità del complesso che costituisce un caso straordinario nel contesto internazionale5
Nel 2014 con il fallimento della società proprietaria e la chiusura del museo, per la mancata manutenzione si sono verificate situazioni di rischio per l’’edificio, per gli arredi e per la conservazione dei materiali più delicati. Le preoccupanti condizioni generali hanno portato al trasferimento dell’Archivio Storico, nel novembre 2015, presso l’Archivio di Stato di Firenze e alcune cere, aggredite da muffe, sono state in parte restaurate e spostate nel luglio 2016 negli ambienti climatologicamente più stabili della manifattura. La situazione del museo, dopo due aste andate deserte, ha una svolta nel novembre 2017, quando il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini, decide di acquisire il museo (edificio e collezione) al patrimonio dello Stato prospettando la costituzione di una Fondazione per garantire un piano di gestione teso a realizzare il restauro dell’edificio, i necessari adeguamenti normativi e la riapertura espositiva di questo importante museo di impresa.
Il 9 dicembre 2019 l’annuncio citato è diventato realtà. Presso i locali dell’antica villa di Doccia, oggi biblioteca comunale, il Ministro per i Beni e le At-
tività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini, il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e il Sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, sottoscrivono l’atto costitutivo della “Fondazione Museo Archivio Richard-Ginori della Manifattura di Doccia”.
La Fondazione ha le seguenti finalità: ricostruire un quadro conoscitivo su cui basare la futura elaborazione di un programma strategico di sviluppo culturale, così come previsto dall’art.
112 del D.Lgs 42/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”; identificare i principi-guida per la predisposizione del progetto culturale museografico, così come di valorizzazione culturale nel senso più ampio; delineare gli elementi principali del modello giuridico-istituzionale ed operativo mediante cui configurare il nuovo Museo-Archivio.
D.D.R. n. 232/2012.
2 Ivi, p. 9.
3 Gnomi Maravelli 2017, p. 26.
4 D.D.R. n. 232/2012, p. 9.
5 Gnomi Maravelli 2017, p. 26.
77
pagina precedente Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: vista notturna del prospetto principale (ASF, Fondo Ginori, Fototeca)
79
Quadro conoscitivo
Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni
pagina precedente
Sesto Fiorentino, ortofoto, 1954.
Sesto Fiorentino, ortofoto, 1963.
Sesto Fiorentino, ortofoto, 1978.
Sesto Fiorentino, ortofoto, 1988.
Sesto Fiorentino, ortofoto, 2002.
Sesto Fiorentino, ortofoto, 2013. (Regione Toscana, Geoscopio)
Allestimento espositivo
positamente progettate in funzione dell’edificio dall’acrhitetto Berardi. Esse sono realizzate con basamento in legno e teca in cristallo saldato a tenuta stagna senza bordi, apribili tramite sistema di scorrimento del pannello centrale. L’illuminazione avveniva in origine tramite una struttura mobile in alluminio posta sul vetro superiore con luci al neon. Per poterne effettuare uno studio approfondito al fine della loro manutenzione e futuro riutilizzo, è stata effettuata una restituzione grafica in scala, basata sia su rilievi diretti, condotti durante la campagna di rilevo, che su disegni consultati all’Archivio della Manifattura. Le teche vetrate mobili sono state quindi catalogate in otto tipologie (individuate per semplificazione ai fini del nostro studio dalle lettere da A ad H) di dimensioni ed altezze differenti; le prime tre costituiscono i nuclei di tre espositori previsti da Berardi come “isole” espositive, la teca “D” viene disposta lungo la vetrata a nord, mentre la “E” ed “F” sono pensate per la sala del piano terra. Oltre alle suddette tipologie di teche mobili, i progettisti disegnano le vetrine permanenti per le due salette laterali del piano primo e quelle incassate nel muro lungo il corridoio del piano terra, oltre a diversi supporti e basi in legno per i pez -
zi di dimensioni più grandi e i cavalletti per l’esposizione delle cere. Attraverso la consultazione dei documenti, è stato possibile ricostruire con precisione le opere originariamente contenute nelle singole teche espositive, numerate, e il loro posizionamento all’interno delle sale.
135
pagina precedente Piano terra, sala (AMG, fototeca) Piano primo, sala (AMG, fototeca)
nella foto, Teca n. 31
II e III periodo – Lorenzo Ginori 1758-1791/ Carlo Leopoldo Ginori 1792-1837
Tipiche espressioni delle ornamentazioni a paesaggio policromo con costruzioni, figure, uccelli.
nella foto, Teca n. 25
Motivo tematico della “rosellina”. Servizio “roselline, corona verde e nastro porpora”.
Teca “A” n. 7 espositori
Teca “B” n. 7 espositori
sotto e pagine successive Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30
Pianta
Pianta
Prospetti
Prospetti
nella foto, Teca n. 22 II periodo – Lorenzo Ginori 1758-1791 Esemplari di servizi e rinfresctoi con ornati plastici e pittorici “a mazzetto”. Caffettiere e tazze con scenette figurate “alla Sassone”.
nella foto, Teca n. 23 Ornamentazioni a mazzetto policromo del II periodo con sviluppi nel III periodo (completamento per un servizio di Sèvres).
Teca “C” n. 7 espositori
Teca “D” n. 10 espositori
sotto e pagine successive Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30
6.1_12
Pianta Prospetti
Pianta Prospetti
Teca “E”
n. 2 espositori
nella foto, Teca n. 2
I periodo – Carlo Ginori 1737-1757
Vasellame e plastiche bianche e con ornati in turchino sotto vernice “a stampino” ed a mano libera. Caffettiera con doppia parete.
Capo del laboratorio di scultura e modellazione, Gaspero Bruschi.
pagina successiva Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30
Teca “F”
n. 7 espositori
Teca n. 7
Impronte in zolfo di cammei in pietre dure.
Teca “G”
n. 1 espositore
nella foto, Teca n. 45
IV periodo – Carlo Benedetto Ginori 1878-1896 Esemplari di servizio con ornamentazioni in oro a rilievo e coppa con figurazione allegorica.
6.1_13 ALLESTIMENTO ORIGINARIO
Pianta
Pianta
Prospetti
Prospetti
Allestimento anno 2003
Nel 2003 l’allestimento espositivo viene ripensato con una nuova sistemazione delle teche al piano primo e la realizzazione di una sala “showroom” al piano terra. Prendendo il posto della originale sala centrale, il nuovo spazio si espande comprendendo l’aula adiacente, il tutto rivestito con una struttura leggera in cartongesso con nicchie per l’esposizione delle ceramiche. Il percorso espositivo rimane permanente ed organizzato cronologicamente, ma al piano primo viene arricchito da una sequenza di aree tematiche dedicate alle tecniche, ai committenti, alle influenze su forme e decori prodotti a Doccia, che vanno ad aggiungersi ai gruppi di tre teche ideati da Berardi.
143
pagina precedente Piano terra, sala (2003) Piano primo, sala (2003) sotto pannelli espositivi (2003)
Progetto di allestimento
Nell’ottica di rendere il Museo un centro di riferimento internazionale per lo studio e l’esposizione dei manufatti ceramici, sia della storica Manifattura, così come di opere esterne, la visione del progetto trova nell’idea di flessibilità la coniugazione ideale tra il rispetto della storia e una rinascita degli spazi, fruibili e adattabili alle esigenze della contemporaneità. La grande sala al primo piano diviene quindi occasione per l’esposizione di numerose opere basate su tematiche differenti e presenta la necessità di trasformarsi in uno spazio dedicato a mostre temporanee. La linearità viene ripresa dalla ricollocazione delle teche originarie, riviste solamente nella loro illuminazione, sia al piano terra che al piano primo, dove trovano nuovamente spazio lungo la vetrata a nord. La lunga galleria torna ad essere divisa concettualmente in due diversi sistemi espositivi, ora fisicamente separabili da una pannellatura, spostabile e completamente removibile, e là dove Berardi aveva pensato la sequenza di “isole espositive” tramite l’accostamento di gruppi di tre teche, si crea ora una sequenza di “stanze”. Il nuovo spazio può essere allestito a seconda delle esigenze di ogni mostra, tramite una serie di sistemi mobili e
completamente removibili, che consentono anche il ripristino dello spazio libero originario, rispondendo non solo alle esigenze di tutela e conservazione dell’architettura e delle opere, ma anche alla massima adattabilità dell’esposizione. Un primo sistema è costituito da pannelli espositivi di divisione tra i due ambienti lungo la sala. Un secondo da teche in vetro, per dare la massima trasparenza all’ambiente e agli oggetti esposti. Tutto il sistema di pannelli e teche è ancorato con binari nascosti nel controsoffitto che ne permettono anche un facile spostamento lungo l’asse. A seconda delle esigenze museografiche che le varie mostre richiedono, i sistemi espositivi sono facilmente adattabili, così come l’illuminazione. Nel progetto originale, quest’ultima è stata disposta al fine di evidenziare la linearità degli spazi dell’architettura, sia al piano terra che al piano superiore, tramite lunghe plafoniere continue. Questo tipo di illuminazione “d’ambiente” viene ripreso nel progetto tramite il recupero delle plafoniere e la sostituzione degli elementi illuminanti con tecnologia LED regolabile, per poter modificare l’intensità luminosa durante le varie fasi della giornata. Per quanto riguarda invece le teche espositive, l’illuminazione avveniva in origine tramite una struttura mobile in
alluminio posta direttamente sul vetro superiore con luci al neon. La necessità di sostituire questo tipo di tecnologia per fini di sicurezza ha portato allo studio di un’illuminazione puntuale esterna con faretti regolabili nell’orientamento e nell’intensità, sia incassati nel controsoffitto, che mobili, montati su binari. La predisposizione dei binari è stata effettuata longitudinalmente in diversi punti della sala al piano primo, per poter comprendere anche il nuovo spazio espositivo. Gli elementi puntuali sono stati invece adottati nella sala al piano terra e nel controsoffitto più basso al piano primo. La sala al piano superiore è caratterizzata dalla lunga vetrata che guarda a nord, verso gli spazi verdi esterni, creando un piacevole sguardo d’insieme. L’illuminazione naturale è quindi diffusa e mai diretta. Specifiche esigenze espositive potrebbero però richiedere la regolazione della luce naturale e, volendo, il completo oscuramento. Per questo è stato studiato un sistema di veneziane automatizzate che facilmente modulano l’oscuramento e si inseriscono in maniera discreta all’interno dell’ambiente. Le stesse sono previste anche nella sala al piano terra, che vede invece le finestre esposte a sud.
145
pagina precedente Progetto, piano terra e sala piano primo
faretti LED orientabili incassati nel controsoffitto inserimento nel cotrosoffitto di bocchette continue per l’immissione dell’aria nell’ambiente
ripristino plafoniera continua, luce LED
plafoniera continua esistente, sostituzione con luce LED
sostituzione del controsoffitto in pannelli di gesso 60x60 cm con nuova struttura in pannelli similari, autoportante e ispezionabile, e alloggiamento/incasso degli impianti tecnologici (luci e aerazione meccanizzata)
teche pertinenziali esistenti, restaurate
ripristino finiture originali: pavimento in linoleum scuro e pannelli compositi alle pareti con finitura bianca
teche incassate esistenti prospicienti l’atrio/corridoio di ingresso
nuova teca incassata speculare
teche pertinenziali esistenti, restaurate eliminazione delle superfetazioni in cartongesso (showroom) e ripristino dello stato originario della sala
sostituzione dell’infisso con tipologia apribile e inserimento di schermatura regolabile della luce naturale con sistema di veneziane automatizzate
pagina precedente
Esploso assonometrico, piano terra
sotto
Percorso espositivo, confronto, piano terra
progetto originale
stato di rilievo (allestimento anno 2003)
progetto
stato originale da progetto Arch. Berardi
stato di rilievo (allestimento anno 2003)
Ginori 6.5_03
DI SINTESI E CONFRONTO
SCHEMI
progetto
Sezione, scala 1:100
pagina successiva Allestimento e distribuzione dei sistemi espositivi, confronto, piano terra
Il Museo Richard Ginori
stato di rilievo (allestimento anno 2003)
stato di rilievo (allestimento anno 2003)
PROGETTO DI ALLESTIMENTO ALLESTIMENTO ESPOSITIVO SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO Ginori 6.5_01 ALLESTIMENTO
progetto originale
ESPOSITIVO stato originale da progetto Arch. Berardi
progetto progetto
binari di scorrimento ancorati con profilati a C alle travi in c.a. del solaio di copertura per appendere e spostare i nuovi elementi espositivi (pannelli e teche)
faretti LED orientabili e dimmerabili mobili, montati su binario elettrificato incassato nel controsoffitto
faretti LED orientabili incassati nel controsoffitto
inserimento nel cotrosoffitto di bocchette continue per l’immissione dell’aria nell’ambiente
plafoniere continue esistenti, sostituzione con luce LED
sostituzione del controsoffitto in pannelli di gesso 60x60 cm con nuova struttura in pannelli similari, autoportante e ispezionabile, e alloggiamento/incasso degli impianti tecnologici (luci e aerazione meccanizzata)
schermatura regolabile della luce naturale delle vetrate tramite sistema di veneziane automatizzate
sala multimediale/ proiezione video
teche pertinenziali esistenti, restaurate
possibilità di posizionamento di un tendaggio leggero a doppio battente per la divisione delle sale espositive
profilo metallico continuo ancorato alla muratura per l’aggancio di pannelli espositivi
pareti espositive mobili con struttura in mdf
nuove teche di vetro scorrevoli sostenute da struttura metallica e cavi in acciaio
ripristino delle finiture originali: pavimento in linoleum, prevedere prese a terra per l’illuminazione delle pareti mobili
pannelli divisori scorrevoli e impacchettabili appesi alle travi del solaio di copertura
teche pertinenziali esistenti, restaurate
pagina precedente
Esploso assonometrico, piano primo sotto
Percorso espositivo, confronto, piano primo
progetto originale
stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto
SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO ALLESTIMENTO ESPOSITIVO
stato originale da progetto Arch. Berardi
stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto
Studio del sistema di illuminazione pagina successiva Allestimento e distribuzione dei sistemi espositivi, confronto, piano primo
Il Museo Richard Ginori
6.4_01
piano primo
Il Museo Richard Ginori
Il Museo Richard Ginori
progetto originale
pagina precedente Esploso assonometrico, piano primo sotto, Schema di allestimento, piano primo
stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto
ALLESTIMENTO ESPOSITIVO
SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO
stato originale da progetto Arch. Berardi
stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto
Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili e dimmerabili, mobili montati su binario elettrificato incassato nel controsoffitto;
Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili da incasso nel controsoffitto;
Illuminazione a plafoniera continua con luce LED;
Sistema soffitto in pannelli di gesso 60x60 cm, autoportante a struttura nascosta, ispezionabile, classe A2-s1.
Profilato a C ancorati alle travi in c.a. con binario di scorrimento;
Teca con pareti e ripiani in vetro sostenuta al soffitto da stuttura metallica su binario e cavi in acciaio;
Pannelli divisori scorrevoli e impacchettabili con telaio in acciaio e alluminio e pannelli di rivestimento non combustibili con finitura variabile in funzione del’esposizione, L 125 cm x H 344 cm;
Profilo metallico continuo ancorato alla muratura per l’aggancio di pannelli espositivi;
Pareti espositive mobili con struttura in mdf con finitura variabile in funzione del’esposizione;
Predisposizione a terra di prese elettriche per eventuale collegamento dell’illuminazione dei pannelli mobili;
Possibilità di posizionamento di un tendaggio leggero a doppio battente per la divisione delle sale espositive;
Teche originali illuminate da faretti LED orientabili e dimmerabili esterni posizionati nel controsoffitto;
Schermatura regolabile della luce naturale delle vetrate a nord tramite sistema di veneziane automatizzate;
Pavimento in linoleum di colorazione e sfumature originali.
Richard Ginori
1_ 2_ 3_ 4_ 5_ 6_ 7_ 8_ 9_ 10_ 11_ 12_ 13_ 14_
PROGETTO DI ALLESTIMENTO ALLESTIMENTO Sezione, scala 1:50
Piano di allestimento: mostra "Pontesca"
[…] dietro alle piattelle, oltre alla marca della pittoria ed a quella Ginori, si metta in semplice contorno blu Ponti questo disegno, che reca nella cartella superiore il nome Pontesca che sarà quello di tutta la produzione fatta su mio disegno originale e nella cartella inferiore il titolo del disegno […]1
Poco dopo la Prima Guerra Mondiale, in un periodo di forte cambiamento stilistico nelle arti decorative, la direzione artistica della Manifattura Richard Ginori, negli ultimi anni ancora legata al passato glorioso, sente fortemente l’esigenza di un rinnovamento, sia nella produzione che nella ricerca di un nuovo stile, al fine di rilanciare l’antico marchio. È la figura del giovane architetto Gio Ponti a portare un forte segno di cambiamento all’interno della manifattura. All’ Esposizione Internazionale delle Arti decorative di Monza del 1923, la Manifattura Richard-Ginori presenta una collezione del tutto rinnovata, a firma dell’architetto, che porta l’azienda ad un nuovo desiderato successo internazionale.
Gli oggetti che Ponti presenta a Monza sono fortemente legati ai decori e all’eleganza tradizionali della Manifattura, ma completamente ripensa-
ti in chiave moderna. Tutta la sua produzione è giocata sul binomio contrastante di oggetto d’arte e serialità della produzione industriale, ammirazione per l’antico e sguardo verso il nuovo. Ponti diviene così figura chiave per la Richard- Ginori, dove rimarrà fino al 1930, occupandosi non solo della creazione artistica, ma di tutti gli aspetti della produzione, compresa la pubblicizzazione dei prodotti e la redazione dei cataloghi. La creazione ceramica diviene la prima fondamentale esperienza della sua carriera, da qui nascono e si sviluppano poi tutti i concetti che egli applicherà poi al design d’arredo e all’architettura.
La mostra “Pontesca” vuole essere un omaggio ai suoi capolavori prodotti nello stabilimento di Doccia e qui conservati all’interno del Museo. L’intera collezione di Ponti è divisa per tematiche che raccontano cronologicamente gli sviluppi artistici durante gli anni alla manifattura, dal 1923 al 1930, concludendosi con un approfondimento sul design d’arredo e le prime architetture progettate negli stessi anni. La mostra, dopo una breve introduzione sull’Esposizione Internazionale di arti decorative del 1923, si apre con la sala “Antichità”, nella quale sono esposte le prime opere di Ponti, prendendo il nome dal libro su cui era solito studiare decori e ornamenti nell’ar-
cheologia. Proseguono poi la sala “Ironia”, ispirata alla collezione più goliardica dell’artista, e la sala “Simbolismo” con la produzione più tarda, arricchita di simbologia e mistero. Il passaggio tra la produzione ceramica e l’interesse per l’arredo, è qui rappresentato dalle piastrelline da rivestimento interno che egli realizza sempre per la manifattura. Vengono poi introdotte le serie di arredo “Domus Nova e “Labirinto”, contraddistinte dallo stesso binomio oggetto d’arte–serialità, ed infine la sala dedicata alle prime architetture “domestiche” degli anni ‘20 e ’30. La personale su Gio Ponti viene inserita in una più ampia mostra sulla produzione del XX secolo della Richard-Ginori, che occupa tutto il primo piano del Museo, approfondendo la tematica dell’industrial design, con le firme di artisti come Gariboldi, Aldo Rossi, Franco Albini.
157
lettera a Luigi Tazzini senza data, Corrispondenza Arch. Ponti- 1924-1930, Sesto Fiorentino, Firenze, AMD
pagina precedente Progetto, esposizione temporanea, vista stanza "Antichità" pagine successive introduzione alla mostra
159
“PONTESCA”
GIO PONTI NEGLI ANNI DELLA RICHARD - GINORI (1923-1930)
Industrial design - XX secolo
allestimento: teche espositive esistenti pannelli
Industrial design - XX secolo
allestimento: teche espositive esistenti
introduzione alla mostra
allestimento: pannelli appesi parete espositiva
"Ironia"
allestimento: teche espositive esistenti
"Antichità"
allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale
"Simbolismo"
"La casa di moda"
allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale allestimento: pannelli appesi pareti espositive elementi d'arredo
"L'architettura della casa"
allestimento: pannelli appesi pareti espositive proiezione video
Industrial design - XX secolo
"Pontesca-Gio Ponti negli anni della Richard Ginori (1923-1930)"
Il progetto espositivo si amplia con la realizzazione del piano di allestimento, studiato sulla sala introduttiva della mostra, dedicata alle "Antichità".
I diversi sistemi espositivi ideati per il nuovo museo vengono allestiti ai quattro lati della "stanza" (individuati per semplificazione ai fini del nostro studio come pareti A, B, C e D) per accogliere e presentare specifiche opere della collezione, tutte legate al tema. La scelta museologica è dettagliatamente illustrata nel catalogo delle opere che accompagna l'allestimento.
La prima parete mobile (A), disegnata appositamente per la mostra, è interamente dedicata alla cista "Conversazione Classica" del 1924, esposta nella teca in vetro affiancata dai preziosi disegni originali. Lo stesso per la parete C, dedicata al "piatto Donatella" della collezione "Le mie donne" del 1927. Entrambe le collezioni si sviluppano nelle teche in vetro sospese sullo sfondo dei pannelli mobili appositamente rivestiti in laminato in tinta "blu Ponti".
La parete B è dedicata invece alla riproduzione grafica, su grandi pannelli sospesi, dei documenti legati al processo creativo delle opere di Gio Ponti e del suo legame con la Manifattura: la rivista “Le Antichità di Ercolano esposte”, fonte di riferimento dell'architetto, con appunti originali; la riproduzione di disegni e lettere di corrispondenza; le riproduzioni dei manifesti pubblicitari ideati per la Manifattura.
Parete A
4_collezione “Conversazione Classica” – cista, 1924
5_collezione “Conversazione Classica” - disegni originali
Parete B
6_riproduzioni di fonti riferimento – rivista “Le Antichità di Ercolano esposte” con appunti originali
7_riproduzione di disegni e lettere di corrispondenza
8_riproduzioni di manifesti pubblicitari per la Manifattura
Parete C
9_collezione “Le mie donne” – piatto “Donatella”, 1927
10_collezione “Le mie donne” – disegni originali
Parete D
11_collezione “Le mie donne” – varie, 1924-27
12_collezione “Passeggiata archeologica” – varie, 1923
13_collezione “Conversazione Classica” – varie, 1924
Al centro
14_collezione “Le mie donne” – grande vaso “Le mie donne posate sui fiori”, 1925
161 pagina precedente Esploso
assonometrico, piano primo
STANZA "ANTICHITÀ"
“PONTESCA”
Piano di allestimento, prospetti pareti "A" e "C" a destra
Catalogo opere in mostra, pareti "A" e "C"
pagine successive
Piano di allestimento, prospetti pareti "B" e "D"
162
Cista con decoro La conversazione classica, su disegno di Gio Ponti, porcellana dura, h. 59 cm, 1925 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori.
Gio Ponti, disegni preparatori eseguiti a matita e inchiostro su carta bianca per La conversazione classica, 1924 circa (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca).
Piatto Donatella, su disegno di Gio Ponti, maiolica, diam. 48 cm, 1927 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard - Ginori.
Gio Ponti, Figura femminile nuda distesa su nubi (Donatella), disegno preparatorio eseguito a matita e inchiostro rosso su cartoncino crema, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625477).
Gio Ponti, Architetture per le mie donne. Donatella, disegno preparatorio eseguito a inchiostro su carta a righe giallina, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625526).
163
Gio Ponti, Collezione “Conversazione Classica”
Gio Ponti, Collezione “Le mie donne"
167 Bibliografia
Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni, Vanessa Mazzini
STORIA DELLA MANIFATTURA DI DOCCIA E DELLA SUA SEDE
BIANCALANA A., Porcellane e maioliche di Doccia. La fabbrica dei marchesi Ginori. I primi cento anni, Firenze, Polistampa, (2009).
BALLERI R., CASPRINI L., POLLASTRI S., RUCELLAI O. (a cura di), Album Carlo Ginori. Documenti e itinerari di un gentiluomo del secolo dei lumi, Firenze, Polistampa, (2006).
GINORI LISCI L., La porcellana di Doccia, Milano, Electa, (1963).
GREGORI M., Cultura e genio di Carlo Ginori, in “Antichità Viva”, VI, 2, Firenze, (1965), pp. 18-36.
GROSSO C. G., La manifattura di Doccia, in La manifattura Richard-Ginori, a cura di Monti R., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (1988), pp. 39-164.
GURRIERI F., I tondi di Doccia : le robbiane restaurate della Villa della ex-Manifattura, Firenze, Polistampa, (2008).
LORENZINI C., La manifattura Ginori a Doccia, Firenze, Tipografia Barbèra, (1867).
MANNINI M., La manifattura ceramica di Doccia, i Ginori e Sesto Fiorentino. Un esempio di colaborazione europea, Firenze, Polistampa, (1998).
MAZZANTI B., Carlo Ginori e Villa «Le Corti»: la fabbrica di porcellane di Doccia nella sua prima sede, in “Annali di Storia di Firenze”, VII (2012), pp. 123-163.
MONTI R. (a cura di), La Manifattura Richard-Ginori di Doccia, Milano Arnoldo Mondadori Editore, (1988).
PIERI E., Piano di recupero del complesso della ex manifattura di Doccia. Contributo per una lettura critica del piano, Sesto Fiorentino, Comune di Sesto Fioren-tino, (1996).
REPETTI E., voce Doccia (fabbrica delle porcellane a), in Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato Ducato di Lucca Garfagnana e Lunigiana, compilato da Emanuele Repetti, Roma, Soc. Multigrafica Editrice, (1835), ristampa anastatica [Pisa], Cassa di Risparmio di Pisa, (1972), vol. 2, pp. 13-14.
LA PRODUZIONE GINORI E RICHARD-GINORI
BOJANI G. C. (a cura di), L’opera di Gio Ponti alla manifattura di Doccia della Richrard-Ginori, catalogo della mostra (Faenza, 31 luglio-2 ottobre 1977), Faenza, s.e., (1977).
CAMPANA G., Le porcellane di Doccia nel periodo Liberty, in “Antichità Viva”, VII, 5, (1968).
CANTELLI G., MANCINI G., Il “rinascimento” nella maiolica Ginori dell’Ottocento, Siena, Industria grafica Pistolesi, (1994).
CASPRINI L., Dove sbocciano i fiori, i giardini e le porcellane di Carlo e Lorenzo Ginori, Firenze, Edifir, (2000).
CASPRINI G. L., BEMPORAD D. (a cura di), Artisti per Doccia, Firenze, Edifir, (2009).
CHIOSTRINI M. A., Il bello dell’utile. Ceramiche Ginori e Richard-Ginori dal 1750 al 1950, Firenze, Polistampa, (2001).
D’AGLIANO A., Porcellane di Doccia a Palazzo Pitti e fonti iconografiche, in “Antichità Viva”, VI, (1980), pp. 43-51.
D’AGLIANO A., BIANCALANA A., TURCHI G., Lucca e le porcellane della Manifattura Ginori. Commissioni patrizie e ordinativi di corte, Pisa, Maria Pacini Fazzi, (2001).
FRESCOBALDI M. L., RUCELLAI O. (a cura di), Il risorgimento della maiolica italiana: Ginori e Cantagalli, Firenze, Polistampa, (2011).
MANCINI G. (a cura di), Porcellane e maioliche Ginori da 1740 al Liberty: dalla collezione di Sergio Bettazzi, Campi Bisenzio, Idest, (1998).
RUCELLAI O., Il centro da tavola per il Ministero degli Esteri su disegno di Gio Ponti: varianti e precisazioni; in “Quaderni Amici di Doccia“, XI, (2018), pp. 7191.
SESTIERI M. e D. (a cura di), Una raccolta di porcellane di Ginori, Doccia 17371837, Roma, Officina Poligrafica Laziale, (1987).
PIER NICCOLÒ BERARDI
ALEARDI A., MARCETTI C. (a cura di), L’architettura in Toscana dal 1945 ad oggi. Una guida alla selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico, Firenze, Alinea, (2011).
BASSANI G., Introduzione, in Pier Niccolò Berardi, Firenze, Sansoni, (1973), pp. 5-9.
BANDINI F., La stazione di Santa Maria Novella (1935-1985). Italo Gamberini e il “Gruppo Toscano”, Firenze, Alinea Editrice, (1987).
BASSANI G., Berardi architetto e pittore, in Pier Niccolò Berardi. Architetto, Milano, Mondadori, (1988), pp. 29-31.
BONO C., Intorno a Berardi, in Pier Niccolò Berardi. Architetto e pittore, a cura di Zevi C., catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 18 ottobre1 dicembre 2013), Prato, Giunti (2013), pp. 8-29.
CAPANNI F., Architettura moderna a Fiesole, Firenze, Becocci Editore, (2003).
CARAPELLI G., Gli operatori, in Edilizia in Toscana fra le due guerre, Firenze, Edifir, (1994), pp. 212-213.
CARLUCCIO L., Pier Niccolò Berardi, in “Panorama”, 20 marzo 1979.
CRESTI C., Appunti storici e critici sull’architettura italiana dal 1900 ad oggi, Firenze, G&G, (1971).
CRESTI C., Un carteggio inedito per la storia del Gruppo Toscano, in “La Nuova Città”, serie VI, n. 3, luglio - dicembre 1993, pp. 96-107.
CRESTI C., GIOLI A., MACCI L., MAGGIORANA G., TRAMONTI U., Firenze 19451947. I progetti della ricostruzione, Firenze, Alinea, (1995).
DEL FRANCIA, TOMBARI G., CATALANI B. (a cura di), Itinerari di architettura contempornaea. Grosseto e provincia, Pisa, Edizioni ETS, 2011.
FANELLI G., MAZZA B., La casa colonica in Toscana. Le fotografie di Pier Niccolò Berardi alla Triennale del 1936, Firenze, Octavo, (1999).
GHELLI C., Berardi, Pier Niccolò (1904-1989), in Guida agli archivi di architetti e ingegneri del Novecento in Toscana, a cu-
169 Bibliografia
pagina precedente Sesto Fiorentino, viale di ingresso dello Stabilimento Richard-Ginori prima della costruzione del museo, immagine dei primi anni Cinquanta. (AMG, Fototeca).
ra di Insabato E., Ghelli C., Firenze, Edifir, (2007), pp. 60-64.
GHELLI C., Rossi, Tullio (1903-1995), in Guida agli archivi di architetti e ingegneri del Novecento in Toscana, a cura di Insabato E., Ghelli C., Firenze, Edifir, (2007), pp. 318-321.
GIACHETTI C., La nuova stazione di Firenze, in “La Nazione”, 4 luglio 1932.
GODOLI E. (a cura di), Architetture del Novecento. La Toscana, Firenze, Edizioni Polistampa, (2001).
INSABATO E., GHELLI C. (a cura di), Guida agli archivi di architetti e ingegneri del Novecento in Toscana, Firenze, Edifir, (2007).
KOENING G.K., L’architettura in Toscana 1931-1968, Torino, ERI, (1968), pp. 34-35.
LISTRI P. F., Neoclassico fiesolano, in “A.D.”, gennaio 1985.
MANNINI M., In ricordo dell’architetto Pier Niccolò Berardi, in “Milleottocentosessantanove”, 8, p. 34.
MAZZONI C. M., Il mondo di Piero Berardi, in Pier Niccolò Berardi. Architetto e pittore, a cura di Zevi C., catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 18 ottobre- 1 dicembre 2013), Prato, Giunti, (2013), pp. 177-182.
OJETTI U., Il concorso per la stazione di Firenze, in “Corriere della sera”, 10 marzo 1933.
PAGANO G., Case rurali, in “Casabella”, n. 86, febbraio 1935.
PAGANO G., DANIEL G., Architettura rurale italiana, Guaderni della Triennale, Milano, Ulrico Hoepli Editore, (1936).
PALOSCIA T., Berardi pittore, in “La Nazione”, 27 giugno 1973.
Pier Niccolò Berardi, Firenze, Sansoni (1973).
Pier Niccolò Berardi. Architetto, Milano, Mondadori, (1988).
SISI C., Pier Niccolò Berardi e la pittura, in Pier Niccolò Berardi. Architetto e pittore, a cura di Zevi C., catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 18 ottobre- 1 dicembre 2013), Prato, Giunti (2013), pp. 159-175.
SPINILLO A., Berardi e il sud, “Avvenire”, 29 giugno 1973.
TOBINO M., Il pittore dell’architettura, in Pier Niccolò Berardi. Architetto, Milano, Mondadori (1988), pp. 35-39.
ZEVI C. a (a cura di), Pier Niccolò Berardi. Architetto e pittore, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 18 ottobre - 1 dicembre 2013), Prato, Giunti, (2013).
ZEVI C. b, Intervista con Marco Romoli, in Pier Niccolò Berardi. Architetto e pittore, a cura di Zevi C., catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 18 ottobre- 1 dicembre 2013), Prato, Giunti, (2013), pp. 31-37.
IL NUOVO MUSEO RICHARD-GINORI A SESTO FIORENTINO
BAMBRILLA C., Duemila gioielli nel nuovo museo. A Doccia il “pezzo” lo puoi comprare, in “La Nazione”, 25 maggio 1965.
BATINI G., Duemila pezzi rari nel museo di Doccia, in “La Nazione”, 5 giugno 1965.
BATINI G., Lieto evento nel mondo dell’arte. È nato un museo, in “La Notte Milano”, 8 giugno 1965.
BETTIO E., RUCELLAI O. (a cura di), L’archivio storico Richard Ginori della manifattura di Doccia, in “Quaderni di Archimeetings”, n. 16, (2007).
BETTIO E., L’archivio storico e il Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia, in “Amici di Doccia”, VIII, (20142015), pp. 118-129.
BOCCIA L., Il Museo Richard Ginori a Sesto Fiorentino, in “Antichità Viva”, VI, 2, Firenze, (1965), pp. 9-17.
BORGESE L., L’amore per la ceramica, in “Corriere della sera”, 9 giugno 1965.
DE DONATO M., Il Museo delle porcellane Richard-Ginori a Sesto Fiorentino: oro bianco, dal Settecento a oggi, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea Conservazione dei Beni Culturali, Tesi di laurea in museologia, Relatore Prof. Ettore Spalletti, a.a. 2003-2004.
DDR 15 maggio 2020, Decreto del Direttore Regionale dei Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana n. 232 del 15 maggio 2012 emanato ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere d) ed e), del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e s.m.i.
FIGERI F., Lo scrigno di Doccia, in “Il Tempo”, 23 giugno 1965.
GNOMI MARAVELLI C., Il museo Richard Ginori della manifattura di Doccia: storia e tutela, in La fabbrica della bellezza, a cura di Montanari T. e Zikos D., Firenze, Mandragora, (2017), pp. 19-27.
LATTES W., Una casa lineare e trasparente per la raccolta della porcellana antica, in “Il Giornale del Mattino”, 25 maggio 1965.
LATTES W., Raccolte in un museo le porcellane di Doccia, in “Il Giornale del Mattino”, 5 giugno 1965.
LATTES W., Un museo per le preziose porcellane Richard-Ginori, in “Gazzetta del Popolo”, 8 giugno 1965.
LATTES W., Porcellane che raccontano una storia della Toscana, in “Il Giornale del Mattino”, 8 giugno 1965.
LIVERANI G., Il Museo delle porcellane di Doccia, Milano, Società Ceramica Italiana Richard-Ginori, (1967).
MAGGINI CATARSI E., Il Museo di Doccia, in La manifattura Richard-Ginori, a cura di Monti R., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (1988), pp. 27-38.
MARCHI A, Museo delle Porcellane di Doccia, in “Domus”, 430 (1965), pp. 5859.
MAZZINI V., L’attuale Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia fra tutela e valorizzazione, in “Quaderni Amici di Doccia”, XI, (2018), pp. 14-23.
MONTANARI T., ZIKOS D. (a cura di), La fabbrica della bellezza, Firenze, Mandragora, (2017).
MONTANARI T., Una mostra per il museo: salviamo il museo Ginori, in La fabbrica della bellezza, a cura di Montanari T., Zikos D., Firenze, Mandragora, (2017), pp. 13-17.
POMA R., Un prezioso museo, in “Il Resto del Carlino - Bologna”, 5 giugno 1965.
“Richard-Ginori”, 6, n. 3-4, novembre 1965.
RUCELLAI O., Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia, Firenze, (2008)
RESTAURO E DIAGNOSTICA
CARBONARA G., “Restauro architettonico: principi e metodo”, Roma (2012).
CARBONARA G., (a cura di), Trattato di restauro architettonico, Torino, Utet (1996).
DE VITA M., Verso il restauro. Temi, tesi, progetti percorsi didattici per la conservazione, Firenze (2012).
FRANCESCHI S., GERMANI L., Il degrado dei materiali nell’edilizia. Cause e valutazione delle patologie, Roma, Editrice DEI (2007).
GIO PONTI
“Domus”, Architettura e arredamento dell’abitazione moderna in città e in campagna, Milano, c. ed. Domus, n. 1 (gennaio 1928).
FRESCOBALDI M. L., GiOVANNINI M.T., RUCELLAI O. (a cura di), Gio Ponti e la Richard-Ginori. Una corrispondenza inedita, Mantova, Corraini Edizioni (2015).
FRESCOBALDI M. L., GiOVANNINI M.T., RUCELLAI O. (a cura di), Gio Ponti: la collezione Richard-Ginori della Manifattura di Doccia con l’aggiunta dell’indice dei decori, Imola, Maretti Editore (2019).
GIOVANNINI M. T., L’arte rivoluziona l’industria: Gio Ponti per Richard-Ginori, in Artisti per Doccia, a cura di Casprini
G. L. e Bemporad D. L., Firenze, Edifir, (2009), pp. 73-95.
GIOVANNINI M. T., Le ceramiche di Doccia disegnate da Gio Ponti: uno studio iconografico, in Frescobaldi M. T., Giovannini M. T., Rucellai O. (a cura di), Gio Ponti: la collezione Richard-Ginori della Manifattura di Doccia con l’aggiunta dell’indice dei decori, Imola, Maretti Editore, (2019), pp. 15-26.
LA PIETRA U. (a cura di), Gio Ponti. L’arte si innamora dell’industria, Milano, Rizzoli, (1988).
MANNA L., Gio Ponti. Le maioliche, Milano, Biblioteca di via Senato edizioni, (2000).
MATTEONI D., Gio Ponti. Il fascino della ceramica, Milano, Silvana Editoriale, (2011).
PONTI G., Le ceramiche, in L’Italia alla Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali Moderne. Parigi MCMXXV, Milano 1925, pp. 69-90.
PONTI G., Distinzione di giudizio fra il “pezzo” antico e l’arredamento “in antico”, in “Domus”, n. 2, (febbraio 1928), p. 13.
PONTI G., Il mobile antico, in “Domus”, n. 6, (giugno 1928), p. 12.
PONTI G., La casa di moda, in “Domus”, n. 8, (agosto 1928), p. 11.
PONTI G., La “casa degli architetti” alla Esposizione di Torino, in “Domus”, n. 9, settembre 1928, pp. 21-22.
PONTI G., Lo stile moderno fuori di casa, in “Domus”, n. 17, (maggio 1929), pp. 29-36.
PONTI G., Due tendenze moderne nell’arredamento della casa, in “Domus”, n. 18, (giugno 1929), pp. 23-26, 48, 50.
PONTI G., Amate l’Architettura. L’architettura è un cristallo, Genova, Vitali e Ghianda, (1957).
PORTOGHESI P. e PANSERA A. (a cura di), Giò Ponti alla manifattura di Doccia, catalogo della mostra (Milano, 1982), Milano, Sugarco Edizioni, (1982).
RUCELLAI O., L’Oriente. Ponti e Gariboldi: alcune corrispondenze, in “Quaderni Amici di Doccia“, VI, 2012 (2013), pp. 78-91.
SARRI L., Gio Ponti e la ceramica per l’architettura, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura, Tesi di laurea, a.a. 2004/2005, Relatore Prof. Ezio Godoli.
MUSEOGRAFIA E ALLESTIMENTO
ALOI R., Esposizioni architettura allestimenti, Hoepli, Milano, (1959).
ALOI R., Musei - Architettura - Tecnica, Hoepli, Milano (1961).
BONARETTI P., La città del museo, Firenze, Edifir (2002).
CARBONARA P., Architettura pratica, Milano, Utet (1954–1975) vol. III, Gli edifici per l’istruzione e la cultura.
LONGOBARDI G., Manuale di progettazione. Musei, Gruppo Mancosu Editore, Roma, (2007).
MAZZI M. C., Musei anni ’50: spazio, forma, funzione, Firenze, Edifir (2009).
PASETTI A., Luce e spazio nel museo d’arte, Edifir, Firenze, (2009).
RENZI R., Allestire per la Moda. Architettura Città Moda. Firenze, Edifir, (2011)
AA.VV. Allestimenti moderni per fiere, mostre, esposizioni, Görlich Editore, Milano, (1961).
AA.VV. Manuale di progettazione edilizia. La progettazione di biblioteche, musei e centri congressuali, Hoepli, Milano, (2007), pp. 52-71.
SITOGRAFIA
REGIONE TOSCANA
https://www.regione.toscana.it/regione/leggi-atti-e-normative/atti-regionali
RICHARD - GINORI
https://www.richardginori1735.com/it
ARCHIVIO GIO PONTI
http://www.gioponti.org/it/archivio
ARCHIVIO DOMUS
http://domus.immanens.com/it/dom_ frame.asp?tmpid=0
ARCHIVIO TRIENNALE DI MILANO
https://www.triennale.org/en/archives/
171
173 Il Museo Richard-Ginori: territori e traiettorie del Moderno 5 Maurizio De Vita I Maestri ed il Museo Richard-Ginori. Temi e figure 7 Riccardo Renzi Introduzione 11 Analisi storica 15 Vanessa Mazzini Premessa 17 Relazione storico-archivistica 21 Quadro conoscitivo 79 Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni Inquadramento territoriale 81 Rilievo 83 Diagnostica 101 Progetto di recupero 113 Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni Il restauro del museo 115 Allestimento espositivo 135 Bibliografia 167 Indice
2022
Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
Questa prima Tesi di Specializzazione svolta in seno alla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio pubblicata, condotta da Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni e Vanessa Mazzini con la supervisione di Maurizio De Vita e Riccardo Renzi, ha riguardato uno dei più attuali temi di ricerca, ossia il recupero e la conservazione del patrimonio culturale ereditato dal Moderno. La Tesi, in accordo con Direzione Regionale Musei della Toscana e la Fondazione Richard Ginori, ha riguardato un progetto di recupero integrale, dalla ricognizione storica al degrado alle nuove soluzioni progettuali, del Museo Ginori realizzato da Pier Niccolò Berardi nella prima metà degli anni Sessanta a Sesto Fiorentino, per la omonima manifattura ceramica già diretta da Ponti negli anni Venti e Trenta.
Elena Ceccarelli, Architetto, dopo la laurea ha conseguito il diploma di specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio. Cultore della Materia nei corsi di Progettazione Architettonica e Urbana è attualmente Borsista di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura - DIDA dell’Università degli Studi di Firenze.
Anna Dorigoni , Architetto specializzata in restauro monumentale, collabora a diversi interventi conservativi su beni tutelati. Dopo la laurea in Architettura ha conseguito il diploma biennale di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio presso l’Università degli studi di Firenze e frequentato un tirocinio professionale presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze.
Vanessa Mazzini, Laureata in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze, successivamente ha conseguito la laurea in Scienze dei Beni Culturali e poi in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Siena. Negli anni successivi si è diplomata presso la Scuola di specializzazione biennale in Beni storico-artistici (UNISI) e presso la di Scuola di Specializzazione biennale in Beni Architettonici e del Paesaggio (UNIFI). Dal 2009 è Funzionario Architetto presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province di Siena, Grosseto e Arezzo dove svolge attualmente il ruolo di Responsabile dell’Area IV Patrimonio Architettonico.
ISBN 978-88-3338-175-6
€ 20,00