giacomo serangeli
Il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza Storia, progetto e rilievo
tesi | architettura design territorio
Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “La Commissione ha deciso di conferire la dignità di pubblicazione valutata l’originalità della tesi, il contributo scientifico che essa apporta alla conoscenza del suo progettista e alla conoscenza e futura conservazione del manufatto, la metodologia storica rigorosa e l’eccellente capacità di restituzione critica del lavoro svolto. La Commissione ha inoltre apprezzato il rilievo con laser scanner realizzato dal candidato, che si configura come un punto di partenza fondamentale per future analisi e interventi relativi al manufatto”. Commissione: Proff. A. Lauria, P. Matracchi, L. Ciccarelli, C. Terpolilli, G. Pancani, G.A. Centauro, R. Bologna
Ringraziamenti
Desidero ringraziare tutte le persone che ne hanno contribuito alla realizzazione. Ringrazio il professor Lorenzo Ciccarelli per avermi saputo guidare con grande professionalità in questo lungo progetto di ricerca. Ringrazio il professor Giovanni Pancani per aver messo a disposizione la sua esperienza nella realizzazione della campagna di rilievi, in questo difficile periodo storico. Grazie all’ingegnere Adolfo Quaglietti per avermi aperto le porte del suo studio, sempre pronto ad aiutarmi con la sua simpatia ed energia. Grazie alla famiglia dell’Amore Misericordioso e a Marina Berardi per la loro disponibilità e per aver reso il Santuario la mia casa in questi mesi di studio. Grazie a Elena per avermi aiutato a muovere i primi, difficili, passi. Grazie a Roberto per avermi aiutato nei momenti duri con il suo valido supporto tecnologico. Grazie a mamma, papà e alla mia famiglia per il loro continuo sostegno in questi cinque, intensi anni. Grazie alla maestra Giulia per avermi trasmesso la passione per la scrittura e la lettura. Grazie a tutti i miei compagni universitari per questo lungo percorso scritto e disegnato insieme.
in copertina
Lucernario tronco conico perimetrale
progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
Famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso
Susanna Cerri Federica Aglietti
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-139-8
Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset
giacomo serangeli
Il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza Storia, progetto e rilievo
Presentazione
Vaste praterie si aprono davanti agli studiosi che intendono indagare la produzione che gli architetti, in passato dispregiativamente definiti “professionali”, e perciò passati sotto silenzio critico, hanno dispiegato nell’Italia del secondo Novecento. Julio Lafuente — che sopra ogni cosa “amava il profumo della calce” — appartiene a questa categoria. Madrileno di origine e romano di vocazione, più interessato alla costruzione che alla produzione teorica, al cantiere più che alle aule universitarie, Lafuente ha impreziosito le città italiane con opere di sicura sapienza costruttiva, sperimentalismo materico e talento progettuale, recensite all’atto della loro inaugurazione ma poco indagate dalla critica negli ultimi decenni. Il Santuario dell’Amore Misericordioso, costruito tra il 1963 e il 1967 nel borgo di Collevalenza presso Todi, è senz’altro una delle sue opere più significative, e testimonianza preziosa dello sperimentalismo che ha interessato la progettazione di luoghi di culto durante e dopo il Concilio Vaticano Secondo. Sorprende dunque la scarsità di fonti bibliografiche sull’imponente Santuario, contributi spesso parziali e fermi ai primi anni Novanta. Il lavoro di tesi di Giacomo Serangeli, rielaborato e presentato in queste pagine, tenta di colmare il silenzio critico che ha avvolto il Santuario di Collevalenza, apportando un primo contributo conoscitivo, integrando la ricerca storica con un prezioso rilievo laser scanner, supervisionato con perizia dal Prof. Giovanni Pancani.
Lorenzo Ciccarelli Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
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Introduzione
Inaugurazione della Basilica superiore, Collevalenza, 1965, (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 2.3, Collevalenza) Sagome del campanile e della Basilica superiore, Collevalenza, 1968. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 352, Collevalenza)
Introduzione Il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza, nei pressi di Todi, è un’opera dell’architetto spagnolo Julio Lafuente (Madrid 1921 - Roma 2013). Alla mia mente affiorano ricordi del Santuario che appartengono ai tempi della prima infanzia, quando accompagnavo nonna Maria alle Messe celebrate al suo interno. Troppo lunghe per me, che mi perdevo invece tra le strane forme e geometrie di quel luogo tanto lontano dal mio infantile concetto di chiesa. Nonostante l’edificio sia un esempio unico nel suo genere, nella regione Umbria e a livello italiano non si colloca di certo tra le opere architettoniche più conosciute. La bibliografia su quest’opera è ridotta ai minimi termini: non è mai stata redatta una monografia al di fuori di piccoli cenni su riviste datate più di quarant’anni da oggi. Alla stessa maniera, le fonti grafiche sull’opera sono solamente i numerosi e pregiati disegni originali del progettista: non esistono rilievi dettagliati redatti in tempi recenti e con strumenti tecnologici. Sono quindi molteplici le motivazioni, oltre quelle appena citate, che non hanno reso il Santuario – una delle opere più rilevanti nella produzione dell’architetto Lafuente — un intervento degno di fama a livello nazionale. Innanzitutto si può affermare che la figura dell’architetto Lafuente si
distacca da quella di molti suoi colleghi del tempo: fu infatti un buon professionista che si distinse, però, per la sua forte vocazione e passione per il cantiere: “amava il profumo della calce”1. Non era quindi legato all’ambiente accademico, spesso il “trampolino di lancio” per portare il proprio nome al raggiungimento di una maggior fama e rilevanza. Inoltre, se si considera la piccola periferia della città di Todi in cui è innestato, è possibile definire il Santuario come un fuori-scala; nonostante risulti di enormi dimensioni rispetto ad un territorio poco urbanizzato quale è Collevalenza, le proporzioni non sono state sufficienti a riservargli un posto nella memoria collettiva. È infatti la figura della Beata Madre Speranza Valera (Santomera 1893 – Todi 1983), piuttosto che l’edificio stesso, ad occupare il ruolo di protagonista a Collevalenza. La densa frequentazione al Santuario è identificabile quasi esclusivamente come turismo religioso legato alla figura della defunta suora spagnola2. Non è stato soltanto l’inconsueto sito di Collevalenza a “giocar contro” la fama del Santuario: l’Umbria stessa,
Dall’intervista di Giorgio Muratore a Julio Lafuente cfr. Giorgio Muratore, Clara Tosi Pamphili (a cura di), Julio Lafuente. Opere 1952-1992, Officina edizioni, Roma 1992, p. 173 2 Fondatrice dell’ordine religioso delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, nonché committente dell’opera, esercita ancora oggi una notevole attrazione spirituale.
o meglio, l’immaginario collettivo legato alla regione, è un punto a sfavore per il Santuario. L’Umbria è da sempre considerata l’essenza di una nazione, l’Italia, cresciuta in una profonda e romantica relazione tra paesaggio e insediamento umano. Le dolci fattezze dell’appennino ospitano una fitta catena di città di piccole e media grandezza: esse compongono, adagiandosi sui cigli dei colli, la cornice perfetta per una terra conosciuta e apprezzata per il suo sapore francescano 3. Cartolina pittoresca dalle grandi capacità attrattive ed evocative di una tradizione secolare, l’Umbria, è identificata nazionalmente ed internazionalmente come una nicchia atemporale nella quale la vita scorre inesorabile all’interno delle cinte murarie delle piccole città e dei piccoli antichi borghi. Un biglietto da visita di grande spessore che ha permesso alla regione di vivere e svilupparsi grazie ad un turismo sempre più denso. Ponendo però uno sguardo più ampio su quanto riportato, è possibile avanzare alcune considerazioni di carattere differente.
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3 Antonello Alici, parafrasando le parole dello scrittore e giornalista Guido Piovene, nomina come francescane tutte quelle piccole realtà territoriali che circondano la città di Assisi: la città di San Francesco. Cfr. il testo in prefazione di Antonello Alici in Paolo Belardi (a cura di), NAU Novecento Architettura Umbria, Il Formichiere, Foligno 2014, pp. 5-8
[…] l’Umbria non è solo Medioevo, ma è molto di più. Anche e soprattutto in architettura.4 Negli anni il forte interesse per le opere medioevali-rinascimentali ha spostato spesso l’attenzione sulla conservazione di quest’ultime, a sfavore di un “passato recente” che meriterebbe di certo pari attenzione. Il secondo dopoguerra mise faccia a faccia la necessità di ricostruire con quello sterminato patrimonio che per secoli era stato la meta di turisti, artisti e viaggiatori. L’Italia divenne custode di un’altra storia: quella degli ultimi cento anni, ricca di edifici che, seppur diversi dal punto di vista figurativo, sono accomunati da un “DNA” profondamente moderno5. In Umbria sono stati Paolo Belardi, professore all’Università di Perugia, e la sua equipe ad intraprendere un viaggio completo nella contemporaneità. Un viaggio necessario anzitutto per provare a conferire la giusta dignità a tutte quelle opere che, per troppo temPaolo Belardi, NAU, p. 13 Dalla premessa di Paolo Belardi in Paolo Belardi, NAU, pp. 9-13
po, sono rimaste all’ombra di quelle ben più celebri dei secoli precedenti. È proprio in questo contesto, fatto di moderne ma fragili opere, che si colloca controcorrente il Santuario di Collevalenza di Julio Lafuente6. Oggetto di indagine di questa ricerca il Santuario è un’opera solida e unica nel suo genere. Le prossime pagine indagheranno la vicenda che ha portato alla sua costruzione: un intreccio di vite che provengono da molto lontano. Proveremo a dar luce a quel lungo racconto che in ben pochi conoscono: una storia che, proprio come Madre Speranza e Julio Lafuente, è nata in Spagna e rimane a noi tra le colline di Collevalenza. Questa ricerca storica è la prima tranche della tesi realizzata. Per completare il lavoro è stato infatti effettuato il rilievo del Santuario. Affiancare il rilievo tecnico alla ricerca storica è stata da subito individuata come una necessità e un’opportunità. Non esiste infatti una documentazione digitale
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Cfr. il testo in prefazione di Antonello Alici in Paolo Belardi, NAU, pp. 5-8
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dell’edificio. Gli unici elaborati grafici riguardo la struttura del Santuario sono soltanto i preziosi disegni redatti dal progettista nel 1962. È stata quindi programmata una campagna di rilievi: l’utilizzo di due laser scanner ha prodotto l’archiviazione di circa 160 scansioni, il cui allineamento ha permesso l’elaborazione di una nuvola di punti completa del Santuario. Importante è stata la fase centrale del lavoro: la certificazione in fase di allineamento delle singole nuvole di punti ha garantito degli elaborati grafici precisi e accurati. È stato infatti stabilito un range massimo di errore equivalente a 17 millimetri per le scansioni esterne e 15 millimetri per quelle interne. Misure trascurabili se confrontate con le reali proporzioni del Santuario. La finalità di produrre un rilievo digitale così accurato è stata valutata importante anche nell’ottica di un futuro intervento di conservazione e restauro dell’edificio. Attualmente la struttura, anche grazie ai piccoli ma numerosi interventi di manutenzione, si presenta in buono stato. Sarà sicuramente necessario nel
corso del tempo applicare interventi di conservazione al fine di garantire la solidità della struttura e dei materiali: il database e gli elaborati archiviati attraverso la campagna di rilievo svolta, potranno essere di grande aiuto nelle fasi preparatorie di tali interventi.
Rilievo laser scanner della cripta, ispezione della copertura con Drone DJI. Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli) Rilievo laser scanner della Basilica, Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli)
La committente
Madre Speranza di Gesù, Collevalenza, 1970. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P001,F018, Collevalenza) Pilar De Arratia Durañona, Madrid, 1936. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, Collevalenza)
Madre Speranza di Gesù Madre Speranza, al secolo Maria Josefa Alhama Valera, nacque il 30 settembre 1893 a Santomera (Murcia), nel sud della Spagna1. Di umili natali, fu la prima di nove figli: il padre era un operaio agricolo e la madre una casalinga. Maria fu accolta giovanissima in casa dal parroco della città don Manuel Aliaga e venne educata dalle sorelle del prete2. All’età di ventuno anni entrò tra le suore Figlie del Calvario a Villena, istituto in via d’estinzione aggregato più tardi alle suore Claretiane3. Qui assunse il primo nome religioso: si fece chiamare Esperanza de Jesús Agonizante, divenuta poi al momento dell’aggregazione con le Claretiane Sor Maria Esperanza de Santiago4. Ebbe occasione sin da subito di ricoprire compiti diplomatici: poté entrare a contatto con le figure ecclesiastiche più importanti, diventando spesso subordinata di direttori e teologi5. Al termine dell’anno 1921 si 1 Santomera è un comune spagnolo di 15.319 abitanti, situato nella comunità autonoma di Murcia. 2 Si racconta che fu tale Pepe Ireno, proprietario del podere limitrofo, a rimanere incantato dall’intelligenza della bambina e a consigliare alla famiglia di istruire Maria presso la parrocchia. 3 Fondate nel 1855 da sant’Antonio Maria Claret, erano un ordine dedito all’educazione cristiana. Il convento di Villena era di Clausura, distante da Santomera circa 100 km. 4 Madre Speranza visse nove anni tra le Religiose di Maria Immacolata e in questo tempo svolse diversi uffici: sacrestana, portinaia, assistente delle bambine, economa. 5 Madre Speranza fu affidata alla guida dei più prestigiosi direttori di congregazioni di quell’epoca: pri-
trasferì nella casa di Vicalvaro (Madrid), ma nell’anno successivo cominciò ad avere problemi di salute e fu più volte in punto di morte. Fu di quegli anni il nuovo progetto che le Claretiane stavano elaborando: in collaborazione con la “Junta de Señoras”, che ebbe il merito di dare un’educazione gratuita a più di dodicimila bambini e bambine, organizzarono, in Calle Toledo, un collegio che potesse accogliere bambine povere. Questo esperimento fu diretto da Madre Speranza6. Il progetto culminò nel febbraio del 1929 quando, con il consenso della Madre generale ed il consiglio di Padre Antonio Naval, fu ufficialmente inaugurato dal Vescovo il collegio di “Nuestra Señora de la Esperanza”. Fu nella notte di Natale del 1930 uno degli avvenimenti più importanti della vita della Madre: fondò a Madrid l’ordine delle suore Ancelle dell’Amore Misericordioso. A causa della situazione politica non poté fondare una congregazione: quindi chiese ed ottenne l’iscrizione nel Registro Civile, con il nome di “Asociación de Esclavas del Amor Misericordioso”. Nell’aprile del 1931 poté aprire il primo collegio, sempre a Madrid. Il 6 gennaio mo fra tutti il Padre Antonio Naval, quindi il fratello Padre Francisco Naval, Padre Juan Postíus. Seguirono molto da vicino la vita di Madre Speranza anche Padre Felipe Maroto, ed altri noti canonisti e teologi. 6 Nonostante fu più volte in punto di morte Madre Speranza desiderò sempre esprimere concretamente l’attenzione e l’accoglienza verso i più bisognosi.
1935 l’Associazione fu accolta sotto la sua protezione dal Vescovo di Vitoria Mateo Múgica, che eresse l’Associazione a Congregazione di diritto diocesano. Da questo momento la nuova fondazione di Madre Speranza divenne Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso: insieme alle consorelle fu impegnata nella cura degli ultimi, dei più deboli e fragili. In questi anni la figura della suora fu strettamente legata a quella di una nobildonna spagnola: Pilar de Arratia Durañona7. La donna fu per molti anni la benefattrice di Madre Speranza. Grazie alle sue ingenti donazioni la suora poté aprire in poco tempo numerose sedi della congregazione8. Nel 1936 Madre Speranza arrivò per la prima volta in Italia, a Roma. Lasciò la Spagna proprio quando nel paese scoppiò la guerra civile9. Fu accompagnata da Pilar de 7 Nacque a Bilbao il 21.10.1892. Restò orfana giovanissima, ereditando dai genitori un grande capitale e una profonda fede cattolica. Nonostante avesse potuto disporre di molte ricchezze, preferì vivere con una relativa modestia e semplicità. Convertì la sua casa in un laboratorio dove lavorò per poter assistere i poveri; furono moltissimi i bambini che per la sua carità trovarono assistenza e istruzioni in vari Collegi. Per approfondimenti su Pilar de Arratia cfr. Collevalenza.it, Pilar de Arratia Durañona, 02/03/2002 8 La nobildonna, ormai priva di familiari, decise di fare testamento a favore dell’Associazione delle Ancelle fondata dalla religiosa. Cfr. Gabriele Rossi FAM, Madre Speranza Alhama Valera, vol. 1 Le tappe cronologiche, maggio 2016 (4a ristampa), p. 51 9 La guerra civile spagnola scoppiò in conseguenza al colpo di Stato del 17 luglio 1936, che vide contrapposte le forze nazionaliste guidate da una giunta militare, contro le forze del governo legittimo della Repubblica spagnola. Terminò nel 1939 quando fu instaurata la dittatura di Francisco Franco.
Arratia 10. In Italia Madre Speranza avrebbe meglio potuto difendere la Congregazione presso il S. Offizio: vescovi e religiosi italiani che non vedevano di buon occhio l’operato della suora furono la causa di problemi ed ostilità. Quest’ultime furono avviate dai vescovi spagnoli che non avevano digerito la separazione della Madre dalle suore Claretiane11. Per tenere sotto controllo i rapporti con la chiesa di Roma Madre Speranza, con l’aiuto della benefattrice Durañona, aprì a Roma la sede delle Ancelle Dell’Amore Misericordioso in via Casilina. Le ostilità e le indagini contro la figura di Madre Spe10 La Madre prese in affitto una casa in una delle zone più povere, in via Casilina 222, di proprietà delle Suore di Namur. 11 Nel 1938 iniziarono le indagini da parte del Santo Uffizio sui presunti fenomeni paranormali attribuiti a Madre Speranza. Su ordine del vescovo di Vitoria fu padre Ignacio Errandonea a condurre una lunga indagine, chiedendo infine la destituzione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Nel 1939 il Santo uffizio, che aveva condotto una seconda indagine parallela, decise per lo scioglimento della congregazione. Fu Pilar de Arratia a mediare i rapporti con la santa sede e salvare la situazione: fu ricevuta per un colloquio privato con Papa Pio XII a Castelgandolfo ed ottenne la sospensione del decreto di scioglimento. Cfr. Gabriele Rossi FAM, Madre Speranza Alhama Valera, vol 1 Le tappe cronologiche, Maggio 2016 (4a ristampa), p. 63
ranza si protrassero negli anni. Nonostante Pilar Durañona riuscì ad evitare lo scioglimento della congregazione tramite un colloquio privato con Papa Pio XII (Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli 1876-1958), la Plenaria del Santo Uffizio adottò misure provvisorie obbligando Madre Speranza a rimanere a Roma. Difese il suo operato in quel periodo a più interrogatori da parte dei teologi del Santo Uffizio. Il 4 marzo il Dicastero dei Religiosi, autorizzato in tal senso dal Santo Uffizio, accordò la “ratifica apostolica” trasformando a tutti gli effetti l’associazione delle Ancelle in un istituto religioso di diritto diocesano: a Roma Madre Speranza poté emettere pubblicamente la sua professione perpetua. Dopo un colloquio privato con Papa Pio XII decise di rimanere stabilmente nella capitale, nonostante fosse decaduto l’obbligo di permanenza12. Nel frattempo
12 Madre Speranza decise di rimanere a Roma per poter continuare a difendere la sua posizione. Era infatti convinta che il vescovo di Taranzona, nominato direttore della Congregazione dal Santo Uffizio, volesse allontanare la suora per impedirle di riprendere il suo ruolo istituzionale tra le Ancelle.
la seconda guerra mondiale era alle porte. Durante il conflitto Madre Speranza si prodigò per soccorrere i feriti, aiutare i perseguitati politici e sfamare ogni giorno centinaia di persone. Nel 1944 morì Pilar De Arratia Durañona lasciando sola Madre Speranza negli ultimi anni di processi del Santo Uffizio13. Nel 1946 fu il vescovo di Taranzona a chiedere un rinnovamento delle cariche all’interno della congregazione. Madre Speranza fu rimossa dalla carica di superiora ma, con un provvedimento più benevolo, il Santo Uffizio nominò al suo posto Madre Antonia Andreazza: fedelissima a Madre Speranza. Fu solo nel 1952 che, sostituiti alcuni vescovi e nunzi apostolici, Madre Speranza ottenne nuovamente la guida formale della congregazione con un provvedimento del Santo Uffizio. Si concluse così un decennio molto difficile per la vita della suora, che poté da allora dedicarsi con maggior tranquillità alle sue attività. Nel 1951 Madre 13 La sua salma fu tumulata nel Pantheòn dell’Ambasciata Spagnola in Italia. Cinque anni dopo la sua morte, i resti vennero trasferiti nella Cappella della Casa generalizia in Via Casilina.
Speranza fondò la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, il cui fine principale fu promuovere l’unione fraterna con i sacerdoti14: una vita di Famiglia, in ambienti distinti, tra religiose e religiosi. Infatti la figura religiosa fino ad allora riconosciuta all’interno dell’ordine primario era soltanto quella della suora. La fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso permise di affiancare alle suore la figura religiosa del sacerdote15. Soltanto dopo tre giorni dalla fondazione dei Figli dell’A.M., il diciotto agosto, la Madre si trasferì con alcuni Figli e Figlie a Collevalenza, una frazione del comune di Todi in provincia di Perugia. Secondo le testimonianze fu per ispirazione divina che Madre Speranza prese la decisione 14 Il 15 agosto 1951, nella Cappella della Casa generalizia delle Suore, a Roma, nacque la Congregazione dei Figli dell’A.M. Tutte le case della congregazione erano da allora aperte ai sacerdoti: essi non dovevano pagare né per mangiare né per alloggiarvi. Fanno attualmente parte del ramo maschile della congregazione numerosi sacerdoti e laici. Si occupano di opere caritatevoli in Italia, Brasile, Spagna, Romania, Filippine e India. La sede generalizia è presso il Santuario Dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. 15 sacerdoti potevano diventare membri della Congregazione senza però dover lasciare il servizio liturgico presso le proprie diocesi.
Ancelle dell’Amore Misericordioso, Madrid, 1930. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 001, Collevalenza) Madre Speranza e la famiglia Marazzi all’inaugurazione della Basilica, Collevalenza, 1965. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P018,B023, Collevalenza)
del trasferimento. Probabilmente, oltre all’importanza dell’apparizione spirituale, ci fu un altro fattore determinante nella vicenda: infatti successivamente la Madre ricevette in donazione la proprietà di un terreno presso una frazione di Todi da una benestante famiglia del luogo. Da quel momento Collevalenza diventò la sede dei Figli e delle Ancelle. Nel Capitolo generale del 1952, rimossa definitivamente dalla Santa Sede la proibizione a Madre Speranza di avere il Governo della Congregazione, fu riconfermata all’unanimità Madre generale delle Ancelle dell’A.M.16. Nel 1955, nella periferia di Collevalenza, in un bosco chiamato Roccolo, Madre Speranza diede inizio alla costruzione del Santuario dedicato all’Amore Misericordioso del Signore. L’opera iniziò con la costruzione della cappella del Crocifisso, la prima ad essere elevata a Santuario. Pochi anni dopo, nel 1961 fece progettare il com-
pletamento del Santuario17. A questa grande opera furono affiancati molti edifici di servizio: la casa del pellegrino, la casa della giovane, la casa dei Figli, la casa delle Ancelle ed infine il Pozzo con le Piscine di acqua miracolosa. I lavori per il pozzo e le piscine durarono all’incirca dieci mesi e iniziarono nel febbraio del 1960; la casa delle Ancelle e della giovane furono realizzate dal settembre del 1960 al settembre del 1962; infine i lavori per la casa del pellegrino e quella dei figli si svolsero dal 1963 al 1973 (Casa A e casa B)18. Nonostante il grande successo riscosso dal centro religioso di Collevalenza gli anni Sessanta furono, per Madre Speranza, anni di grandi prove e sofferenze che nacquero proprio all’interno della sua congregazione. Alcune suore non seppero vedere nella nuova opera del Santuario un piano di Dio, temendo che Madre Speranza stesse tradendo il fi-
La richiesta del progetto risale al 1961, mentre l’inizio dei lavori è datato 1962. Julio Lafuente, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00658b, 13/12/1989 18 Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza. it; 26/08/2020 17
16 Il governo della congregazione fu tolto a Madre Speranza nel Capitolo del 1946. Rimarrà poi in carica fino al 1976, quando sarà nominata Madre generale ad honorem.
ne della congregazione e stesse disattendendo la cura della medesima19. Furono anche molte delle comunità con sede in Spagna a ribellarsi all’operato di Madre Speranza20. Questo costò l’abbandono in massa di oltre una quarantina di suore, con la minaccia da parte di queste di una scissione della
19 Madre Speranza giustificava infatti le opere presso Collevalenza, quali richieste venute durante apparizioni mistiche. 20 Le comunità Spagnole erano già da tempo poco fiduciose nella Madre: videro infatti il trasferimento a Roma di Madre Speranza nel 1936 come una fuga dalla guerra civile nella penisola iberica.
congregazione stessa. Nonostante le fratture all’interno dell’ordine, la Chiesa, il 5 giugno del 1970, diede il conforto del “Decretum Laudis” per la Congregazione delle Ancelle21. Il 18 agosto 1982 arrivò l’approvazione Pontificia per i Figli. L’attività di Madre Speranza può considerarsi compiuta in un evento: il 22 Novembre 1981 Karol Wojtyla, 21 Il decretum laudis (o decreto di lode) assume particolare importanza per la Congregazione delle Ancelle perché la Santa Sede riconosce e dichiara il carisma autenticamente ispirato dallo Spirito Santo e lo considera un bene della Chiesa.
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al secolo Papa Giovanni Paolo II, fece la sua prima uscita ufficiale dopo l’attentato del 13 maggio in Piazza San Pietro proprio a Collevalenza e si fermò a lungo a pregare presso il Crocifisso dell’Amore Misericordioso. In quel giorno incontrò Madre Speranza e parlò alle Ancelle e ai Figli dell’Amore Misericordioso; insignì inoltre il santuario grande con l’importante titolo di Basilica Minore22. Una denominazione onorifica di grande rilievo, considerando che in tutto il mondo sono solamente poco più di 1600 gli edifici che vantano tale titolo. Con tale denominazione è stato di fatto riconosciuto il centro di Collevalenza quale polo spirituale della regione 22 L’assegnazione del titolo di basilica minore ha lo scopo di rafforzare il legame che una singola chiesa ha con il vescovo di Roma. Per ricevere il titolo l’edificio deve rispondere ai seguenti requisiti: la chiesa deve essere, nella diocesi, centro della vita liturgica e pastorale; la chiesa deve godere di una certa celebrità (ad esempio contenere reliquie). I privilegi annessi al titolo di basilica minore sono numerosi: i fedeli possono lucrare l’indulgenza plenaria; sul timbro della basilica, sulla suppellettile e sugli stendardi si può usare il simbolo pontificio (chiavi incrociate); il rettore della basilica o chi la presiede, può usare la mozzetta di colore nero, con orli, occhielli e bottoni di colore rosso.
Umbria insieme ad Assisi. Un “ruolo” che ricopriva già da tempo, al quale mancava però soltanto un atto “burocratico” come conferma ufficiale. Anziana e stanca Madre Speranza morì a Collevalenza l’8 febbraio del 1983. Il 23 aprile del 2002 fu dichiarata Venerabile dalla Chiesa e il 31 maggio 2014 fu beatificata. Antefatti: la scelta del luogo e dell’architetto Il complesso di Collevalenza presenta numerose strutture che si snodano intorno a quella del Santuario. Nel corso degli anni, l’attività di Madre Speranza nel piccolo paesino umbro portò alla costruzione di molti edifici a supporto del Santuario stesso. È necessario contestualizzare la vicenda al fine di chiarire le modalità che permisero l’avvio delle fasi costruttive del Santuario. Il processo che portò alla costruzione della basilica grande ebbe inizio soltanto alcuni anni dopo l’arrivo di Madre Speranza a Collevalenza: il vero Santuario è infatti l’attuale chiesa
del Crocefisso23. In principio, il 18 agosto 1951, Madre Speranza si stabilì nel piccolo paese di Collevalenza a sud-est di Todi. A Roma, solo tre giorni prima, aveva fondato i Figli dell’Amore Misericordioso, ramo maschile della sua Famiglia religiosa24. Arrivò a Collevalenza con una piccola delegazione degli ordini da lei fondati25. I progetti della suora risultarono chiari sin da subito: volle costruire una cappella dedicata all’Amore Misericordioso. L’opera fu commissionata a Francesco Ceribelli, ingegnere già impegnato in altri lavori ordinati da Madre Speranza in via Casilina a Roma26. Non sentendosi all’altezza dell’incarico, l’ingegnere chiese aiuto all’architetto Julio Lafuente il quale accettò la redazione del proget-
to27. All’ingegnere fu affidata la direzione dei lavori, quest’ultimi portati a termine dalla ditta Gili Amilcare di Massa Martana28. Lafuente ebbe la prima occasione per incontrare la Madre generalizia: la suora desiderava una cappella semplice, un edificio a croce latina con materiali durevoli e di facile manutenzione. Le richieste della Madre avevano un riferimento ben preciso che ella inizialmente non esplicitò. Fu Lafuente ad accorgersi che Madre Speranza aveva in mente come modello la chiesa di Villena, dove aveva preso avvio la sua vita spirituale29. La cappella fu consacrata il 2 luglio 195530. L’Architetto non partecipò nemmeno all’inaugurazione e ebbe soltanto saltuariamente notizie della
La chiesa del Crocefisso si trova affianco alla Basilica. Fu la prima opera realizzata a Collevalenza per volere di Madre Speranza. 24 Madre Speranza risiedeva in Via Casilina sin dal 1941. Arrivò in Italia nel 1936. 25 La suora fu accompagnata da alcune suore, Padri e Apostolini. Tutti membri della Congregazione. Alloggiarono nel paese di Collevalenza nella casa parrocchiale, presso la famiglia Bianchini e nella Casa Valentini; così fino al 18 dicembre 1954. 26 Francesco Ceribelli è stato un ingegnere italiano. Tra i suoi lavori risulta la collaborazione alla costruzione della ferrovia Firenze-Arezzo.
27 L’ingegner Ceribelli era infatti propenso ad occuparsi di questione tecniche o di aspetti legati al settore ingegneristico. 28 Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza. it; 26/08/2020 29 Il legame con la Spagna era ancora forte in Madre Speranza. Costruire una chiesa molto semplice ma del tutto simile a quella della sua infanzia era un modo per sentirsi a casa e tornare alle origini. Julio Lafuente, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00658b, 13/12/1989 30 Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza. it; 26/08/2020
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Papa Giovanni Paolo II in visita al Santuario con Madre Speranza, Collevalenza, 1981. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 064, Collevalenza) Da sinistra verso destra: geom. Albino Frongia, Julio Lafuente e Calogero Benedetti, Collevalenza, 1965. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P014,E020, Collevalenza) Veduta della copertura della Basilica dal campanile, Collevalenza, 1970. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P051,H003, Collevalenza)
Madre dall’ingegner Ceribelli31. La fama della suora trovò un terreno fertile nella regione e nei fedeli, tanto da far registrare un notevole incremento del turismo religioso. Quattro anni più tardi – il 28 settembre 1959 – Madre Speranza inviò una lettera al vescovo di Todi, facendo richiesta che la cappella potesse essere elevata a Santuario32. Il vescovo acconsentì al passaggio già il giorno stesso33. Ufficialmente il primo ottobre 1959 sancì burocraticamente l’elevazione della cappella a Santuario
31 Julio Lafuente, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00658b, 13/12/1989 32 Il vescovo in carica era Alfonso Maria De Sanctis. Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza.it; 26/08/2020 33 Madre Speranza in una lettera al vescovo De Sanctis chiese l’elevazione della cappella a Santuario Diocesano all’Amore Misericordioso di Gesù. Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza.it; 26/08/2020
dell’Amore Misericordioso34. Pochi anni dopo la piccola cappella non fu più sufficiente ad ospitare i grandi flussi di visitatori e pellegrini in visita a Collevalenza. Una considerevole crescita dei fedeli rese il Santuario troppo piccolo per ospitare le funzioni religiose più importanti. Madre Speranza decise quindi di ampliare il suo progetto: nel 1961 contattò nuovamente l’architetto Lafuente per affidargli l’incarico della progettazione della basilica. Fu il professor Ennio Fierro (Benevento 1922 - Collevalenza 2003) a convincere l’architetto35. Lafuente era infatti Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza. it; 26/08/2020 35 Ennio Fierro è stato un professore di Italiano. Intraprese gli studi classici e poi la carriera militare. Conobbe Madre Speranza il 31 ottobre 1953 a Collevalenza dove maturò la sua aspirazione di poter essere Figlio dell’Amore Misericordioso. Nel frattempo, prima a Perugia e poi a Roma, ha frequentato l’Univer34
titubante nell’accettare la proposta: poiché sapeva che Madre Speranza si era già affidata ad un altro architetto per la redazione del progetto de “La casa della Giovane”36. Singolare fu il piccolo scambio tra Madre Speranza e Lafuente. Quando Lafuente tornò a Collevalenza per effettuare il sopralluogo per la costruzione della futura sità nella Facoltà di Scienze Naturali. Dal 1959 è stato Direttore responsabile della Rivista “L’Amore Misericordioso”. Dal 1960 ha insegnato al Liceo classico di Collevalenza. Dal 1973 ha diretto nella FIREU (Federazione Istituti Religiosi Educativi Umbri) la Sezione Regionale degli Istituti e Ospedalieri, per il triennio 1973-76. Nel 1986 è stato eletto Economo Generale della Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e dal 1998 ne è restato Rappresentante Legale fino alla data di morte. Il 6 gennaio 1957 ha emesso la Prima Professione religiosa come Fratello. 36 Il crescente flusso di visitatori e fedeli a Collevalenza, permise a Madre Speranza di avviare numerosi progetti. Tra questi la casa della giovane fu eretta nel 1962: fu la sede del noviziato e residenza di numerose Ancelle dell’Amore Misericordioso.
basilica, era ormai trascorso qualche anno dall’ultimazione della cappella primaria. Nel vestibolo di ingresso della piccola cappella egli aveva predisposto l’istallazione di una vetrata: ciò affinché dall’esterno la cappella non sembrasse troppo piccola. Ma il giorno del sopralluogo Lafuente si accorse che la Madre, su consiglio di altra figura professionale, aveva fatto sostituire il vetro con una trave. Arrabbiato andò direttamente a colloquio con la suora: le ricordò che il progetto iniziale della cappella era diverso e che, dopo esser stato redatto gratuitamente, sarebbe dovuto rimanere fedele all’originale. La suora tranquillizzò l’architetto e promise che sarebbe stato riposizionato il vetro. Lafuente si fece promettere da Madre Speran- 15 za che il progetto della nuova
Basilica sarebbe stato unicamente quello disegnato da lui stesso, senza modifiche o varianti dall’originale37. Si può quindi affermare che il Santuario originario è la piccola chiesa consacrata nel 1955. Una nota importante, quest’ultima, che spesso sfugge ai più: infatti, erroneamente, viene chiamato con l’appellativo di Santuario l’edificio più grande: fu papa Giovanni Paolo II a insignire il nuovo Santuario del titolo di Basilica Minore38. I due edifici, Santuario e Basilica, si affiancano39. Esternamente fu Clara Lafuente (n. Roma, 1955) nel 2015, a realizzare una scala che funge da cerniera tra i due, facendoli apparire come un tutt’uno. La Basilica occupa una posizione di prestigio sulla vallata circostante. La base infatti funge da podio: dal sagra-
37 Per la vicenda sull’assegnazione dell’incarico si veda Valentì Gomez I Oliver, Pino Scaglione (a cura di), Julio Lafuente. Visionarchitecture, List Laboratorio internazionale Editoriale Barcellona, Barcellona 2007, p. 35 38 È una denominazione che il papa concede a edifici religiosi di particolare importanza: tale denominazione non è riferita allo stile o all’omonima tipologia architettonica. 39 Entrambe le costruzioni costituiscono l’unica realtà del Santuario, come i fedeli sono soliti chiamarlo.
to della basilica è possibile godere della vista delle colline verso il ternano. L’area tuderte è diversa dal resto della regione: colpisce la forte prevalenza di zone boschive. Il vocabolo Roccolo fu il luogo prescelto per costruire il Santuario e, successivamente, il complesso delle strutture ad esso ausiliarie40. Il Roccolo era conosciuto come luogo di caccia: un boschetto vicino a Collevalenza. Questa piccola macchia occupava il pendio della collina. Era meta di appassionati cacciatori, soliti svolgere la loro attività nel boschetto. Fu proprio questo il sito prescelto per iniziare il progetto della suora. Nodo cruciale nell’evoluzione della vicenda fu il rapporto che Madre Speranza ebbe con la famiglia Bianchini. È stato possibile ricostruire le tappe che portarono all’acquisizione della proprietà del Roccolo da parte di Madre Speranza, grazie agli appunti scritti da Padre Alfonso Mariani nel suo diario personale. La famiglia Bianchini, di nobili natali 40 Il termine vocabolo era utilizzato per introdurre la denominazione di una località di campagna scarsa o priva di abitazioni.
e da tempo a Collevalenza, era la proprietaria del boschetto41. Fu determinante il rapporto che Madre Speranza consolidò con la signora Germana, uno dei pochi membri della famiglia a Collevalenza42. Germana, donna credente e di fede profonda, si affezionò particolarmente alla suora tanto da arrivare a donare la proprietà del vocabolo alla congregazione. Uno scambio epistolare con la nipote Anna Gauvin, al tempo residente a Bordeaux e comproprietaria del boschetto, notificò il passaggio di proprietà. La finalità iniziale era quella di edificare la casa dei padri43. Quest’ultima sarebbe stato il nuovo centro di accoglienza della congregazione fondata da Madre Speranza. La vicenda, in realtà, è ancor più articolata. Infatti la signora Germana, facente parte della Pia Unione, desiderava che a Collevalenza 41 I Bianchini erano i benefattori del piccolo paese, nonché proprietari del castello. 42 Molti membri della famiglia Bianchini erano risiedenti in Francia a Bordeaux. Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza.it; 26/08/2020 43 Era necessaria una sistemazione ufficiale per i membri della congregazione che rimasero alcuni anni ospiti delle famiglie Valentini e Bianchini.
fossero istituiti dei laboratori per la gioventù diretti da un ente religioso44. A tal fine aveva predisposto, nel suo lascito testamentario, che parte dei suoi possedimenti terrieri fossero utilizzati per questo scopo. Ne era a conoscenza anche la Pia Unione che, però, nonostante il parere favorevole dei suoi legali rappresentanti, non aveva mai mosso a livello societario le azioni necessarie per avviare tale progetto45. Il vocabolo Roccolo, inoltre, era un tempo appartenuto al beneficio parrocchiale: era stato infatti svenduto dal parroco alla famiglia Bianchini per una caldaia d’olio di venti chilogrammi. Madre Speranza, essendo venuta a conoscenza di questa notizia e sapendo che la signora Germana si era spiritualLa Pia Unione è una congregazione religiosa originariamente composta soltanto da laici. Le Pie Unioni, numerose nell’Italia del primo e secondo dopoguerra, erano solite essere riconosciute con il nome di una figura/simbolo religiosa. La signora Germana era iscritta alla Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù con sede a Roma. 45 La signora Germana ne aveva parlato con la responsabile della Pia Unione, tale Signorina Doria. Quest’ultima aveva manifestato un parere favorevole ma con una risposta un po’ evasiva, considerando la distanza di Collevalenza dalla sede di Roma. Editoria Collevalenza; Note di storia; Collevalenza.it; 26/08/2020 44
Primo Santuario dell’Amore Misericordioso (chiesa del Crocifisso), Collevalenza, 1960. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 18, Collevalenza)
mente affidata a Padre Mariani, chiese a quest’ultimo di convincere l’anziana donna a cambiare il suo testamento e donare il terreno alla congregazione46. La signora Germana, persuasa dall’idea di essere utile alla causa di Madre Speranza, si impegnò con la nipote Anna dandole in cambio un altro suo possedimento47. Sancì quindi la donazione della proprietà del vocabolo Roccolo alla congregazione dell’Amore Misericordioso agli inizi del 1953. Sicuramente la donazione del Roccolo avvenne grazie alla generosità della signora Germana e ad una fortunata comunione di eventi. Ma con molta probabilità Madre Speranza era già a conoscenza delle specifiche sulla proprietà del Roccolo o, comunque, in accordo con la signora Germana già prima della sua partenza da Roma. Difficile ipotizzare il contrario: infatti Madre Speranza, nonostante non fosse più vincolata dalla Santa Sede a rimanere a Roma, poteva comunque proseguire lì il suo Padre Mariani era spesso convocato a Collevalenza dal parroco Don Diomede Lanari 47 Emerge dal diario di Padre Mariani che tale possedimento era conosciuto come “podere della Casella”.
operato forte della vittoria dei processi inquisitori a suo carico. Il reperimento delle risorse economiche Un aspetto che colpisce il pellegrino o, più in generale, qualsiasi visitatore del Santuario, è il confronto tra la grande imponenza degli edifici del complesso religioso e il borgo di Collevalenza. In particolare l’opera dell’architetto Julio Lafuente si presenta come un edificio complesso e articolato. Questo aspetto, oltre a rendere il santuario unico nel suo genere, ha di contro causato molti dubbi e perplessità. Con l’inizio della costruzione del Santuario a Collevalenza, alcune suore della congregazione rimasero poco fiduciose verso questo progetto48. Dove avrebbe trovato Madre Speranza i fondi e la liquidità per pagare la realizzazione di un’opera così grande? Considerata l’ormai remota data di costruzione dell’opera e la quasi ine-
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Alcune suore, soprattutto delle comunità della Spagna, ritennero il progetto troppo dispendioso e difficilmente attribuibile ad una volontà divina
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sistente documentazione cartacea sulle varie attività in cui la suora era coinvolta, sono diverse le versioni che raccontano la vicenda. Madre Speranza iniziò la sua intensa attività in Spagna, dove fondò nel 1930 le Ancelle dell’Amore Misericordioso. La sua opera caritatevole vide l’impegno prima individuale e poi della sua congregazione in varie parti del mondo: con le consorelle gestiva collegi, opere di carità e, a Collevalenza, un laboratorio di maglieria49. Fu proprio quest’ultima attività che permise di finanziare in maniera consistente il Santuario. L’invito alle Comunità a collaborare alla realizzazione dell’opera fu causa di sofferti problemi per Madre Speranza50. Nel laboratorio, oltre alle suore, lavoravano alla maglieria ragazze del luogo e giovani provenienti da tutta Italia. L’attività del laboratorio era di 49 Madre Speranza provò ad avviare anche a Larrondo (Spagna) un’esperienza analoga a quella di Collevalenza che però non ebbe seguito. 50 Tali insidie si sommarono anche ad altre difficoltà. Infatti, come esposto nel precedente capitolo, gli anni dal 1939 al 1952 furono quelli delle accuse e delle inchieste aperte dal Santo Uffizio sulla veridicità dei fenomeni mistici della Madre.
fondamentale importanza per due motivi: uno economico e uno sociale. Oltre infatti a consentire alle giovani, provenienti anche da famiglie povere, di avere una fonte di sostentamento, l’ambiente lavorativo era di certo un posto sano in cui far crescere le ragazze e dar loro un’istruzione51. D’altro canto, ciò permetteva alla Madre di avere numerosi introiti grazie alle commissioni che riceveva dalla ditta Luisa Spagnoli. Oltre il laboratorio, tutte le comunità, benché dislocate in diverse nazioni, erano invitate ad inviare a Madre Speranza un contributo, frutto del proprio lavoro. In questo periodo, anche a motivo del contributo economico, soprattutto in alcune comunità della Spagna, si riaccesero le difficoltà che avevano segnato la vita di Madre Speranza fin dagli inizi della fondazione delle Ancelle, che aveva coinvolto vescovi e sacerdoti a lei ostili52. Nell’estate del 1956, dopo molti Le comunità operavano generalmente in situazioni difficili e di estrema povertà. 52 Già dalla metà degli anni ’30, l’operato della suora era malvisto da una cerchia di potenti figure ecclesiastiche spagnole. Al51
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anni di assenza, Madre Speranza tornò in Spagna per far visita alle sue comunità iberiche: notò però, in alcune case, un clima di rilassamento spirituale53. Richiamò quindi tutte le suore ad una maggiore sobrietà spirituale ed impose norme restrittive volte al controllo delle spese e alla condivisione delle eccedenze economiche. Il malcontento si era già diffuso tra le sue stesse “sorelle” proprio per la destinazione dei ricavi monetari dei laboratori cuni Prelati furono nominati per verificare l’attività della suora. Tra gli altri, furono Don Doroteo Irizar, padre Ignacio Errandonea, il vescovo di Madrid, Leopoldo Eijo y Garay e a criticare duramente l’integrità morale della suora e a chiedere per primi lo scioglimento della Congregazione. Sarà poi padre Eduardo Gómez, nominato visitatore apostolico di tutte le comunità, a chiedere la destituzione dal ruolo di Madre generale della Congregazione, sostenendo la natura fraudolenta dei fenomeni mistici di Madre Speranza. Infine il vescovo di Tarazona Nicanor Mutiloa (1874-1946) tentò di confinare Madre Speranza nella comunità di Alfaro. Alla morte di questi personaggi seguì la nomina di nuove figure che non ostacolarono più l’operato della suora: Madre Speranza tornò a vestire il ruolo di Superiora nel 1952.Per approfondimenti sulla vicenda cfr. Gabriele Rossi FAM, Madre Speranza Alhama Valera, vol. 1 Le tappe cronologiche, maggio 2016 (4a ristampa), pp. 63-92. 53 Il voto di povertà e una vita di continuo impegno verso il prossimo e di preghiera era uno dei principi più importanti per la Madre. Era lei stessa a provare grande pena quando riteneva di non aver adempiuto correttamente ai propri voti, tanto da voler riparare con qualche sacrificio personale.
e delle case. I provvedimenti di Madre Speranza furono la goccia che fece traboccare il vaso, facendo esplodere il profondo dissenso da tempo covato presso le comunità iberiche54. Iniziarono quindi a circolare nuovamente le voci della non veridicità dei fenomeni mistici della suora, riprendendo le accuse mosse nel decennio precedente. Alcune suore si ribellarono in particolar modo per il provvedimento che imponeva la condivisione delle eccedenze economiche: le consorelle spagnole erano contrarie al finanziamento delle opere del Santuario, che ritenevano essere pagate con i fondi delle Comunità della Spagna. Alle accuse seguì anche l’uscita di un gruppo di suore dalla Congregazione: fu il primo caso di abbandono dei voti da parte di reLa partenza di Madre Speranza per Roma negli anni dello scoppio della guerra civile Spagnola fu presa dalle comunità iberiche come una forma di abbandono. Il perdurare della sua assenza dalla terra madre, prima per causa dei provvedimenti del Santo Uffizio e poi per volontà della suora stessa, indebolirono la figura della suora. Il ritorno in patria fu accolto dapprima in maniera pacata, più per rispetto di una gerarchia non scritta (visto l’esonero di Madre Speranza dalla carica di Superiora). I provvedimenti restrittivi portarono però alla luce i rancori covati dalle consorelle spagnole.
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ligiose della Congregazione primaria, ma negli anni successivi si ripeterono episodi simili55. Anche a Collevalenza furono aperti i laboratori di cucito: vi lavoravano sia le suore che abitanti del posto. Particolarmente fortunata fu l’attività dei laboratori del piccolo paesino umbro, i quali cucivano per la nota ditta di moda Luisa Spagnoli: un marchio di grande qualità, con una produzione indirizzata ad acquirenti facoltosi. Oltre a cucirne i preziosi capi, nei laboratori si lavorava anche al confezionamento. Di certo l’attività di maglieria di Collevalenza fu una notevole fonte di sostentamento. Non furono soltanto le numerose attività lavorative a permettere il finanziamento continuo delle opere. L’arrivo di Madre Speranza a Collevalenza fu accolto con clamore. Una piccola frazione di una cittadina Umbra si trovò infatti
ad ospitare una comunità di suore e laici in arrivo da Roma. Madre Speranza evocò sin da subito nei fedeli un forte richiamo spirituale56. Le vicende mistiche legate a Madre Speranza, dopo un breve periodo iniziale di diffidenza, divennero motivo di attrazione. La fama della suora si fece sempre più forte. Collevalenza divenne un vero e proprio centro spirituale soggetto all’arrivo di pellegrini da tutto il mondo, ai quali si aggiunsero successivamente i malati che cercavano cura e conforto con l’abluzione nelle vasche di acqua miracolosa57. La figura di Madre Speranza suscitò quindi una grande attrattiva: era solita ricevere, anche solo con una breve visita, un considerevole afflusso giornaliero di afflusso giornaliero di pellegrini. Questi ultimi erano soliti lasciare un’offerta a Madre Speranza per la sua Opera58. Piccole o ingenti offerIl territorio tuderte era ed è tutt’ora, analogamente a quello di altri borghi umbri, fortemente vocato ad una tradizione religiosa influenzata dalla vicinanza di importanti centri spirituali come Assisi. 57 L’Acqua del Santuario è convogliata nelle piscine aperte ai pellegrini a partire dal 1° marzo 1979. 58 A Collevalenza, Centro di Spiritualità delle Ancelle e dei Figli, si svolgevano e si svolgono tutt’ora varie attività della Famiglia: i pellegrini potevano quindi ave56
Questo fu solo l’inizio di un più violento attacco nei confronti di Madre Speranza che divamperà nelle comunità spagnole nel settennio fra il 1958 e il 1964. La destinazione delle eccedenze economiche fu il principale motivo della discordia all’interno della Congregazione. Per approfondimenti cfr. Gabriele Rossi FAM, Madre Speranza Alhama Valera, vol. 1 Le tappe cronologiche, maggio 2016 (4a ristampa), p. 129 55
Madre Speranza di Gesù e le ancelle al lavoro nel laboratorio di cucitura per la ditta Luisa Spagnoli, Collevalenza, 1958. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P101,B006, Collevalenza) Madre Speranza di Gesù al lavoro nel laboratorio di cucitura, Collevalenza, 1964. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 056, Collevalenza)
te che la suora usava anche per le numerose situazioni di povertà. Ne sono una conferma le testimonianze di chi è stato vicino a Madre Speranza: la suora era solita gestire ingenti somme di denaro, che utilizzava per compiere carità e aiutare gli ultimi59. È possibile affermare quindi che l’altra grande fonte di sostentamento era quella derivante dal turismo religioso. In ultimo è importante considerare che la Madre, nel corso della sua vita religiosa, fu molto spesso affiancata da potenti figure del tempo. L’operato della Madre era rivolto ai più poveri, ma molte delle sue iniziative trovarono sostegno in benefattori desiderosi di partecipare alle iniziative della suora. Sicuramente va per primo citata Pilar de Arratia Duranona (Bilbao 1892- Roma 1944). La nobildonna di Bilbao lavorò con Madre Speranza a partire dal 1932. Nel 1934, rimasta senza familiari, fece testamento a favore della congrere una visione più ampia delle opere benefiche promosse da Madre Speranza. 59 Sin dagli inizi della sua vita religiosa presso le Claretiane, Madre Speranza svolse il compito di economa. Era quindi pratica nella gestione del denaro.
gazione. Il patrimonio della donna era considerevole: basti pensare che una volta intrapreso il suo percorso a fianco della suora, donò come primo atto sette case per le attività della congregazione. Analogamente, a Collevalenza, fu la benestante famiglia Bianchini a concedere gratuitamente il terreno per la realizzazione del santuario. Erano i nobili del paese, o meglio i benefattori del paese. Abitavano una buona parte del castello60. Facevano parte della famiglia la signorina Germana, sorella dell’Avvocato, e la signorina Gabriela61. Fu la Signorina Germana che, commutando un suo terreno con quello toccato in eredità alla signora Margherita, lo donò alla Madre. È possibile quindi concludere che le ingenti donazioni a favore della congregazione permisero a Madre Speranza di procedere senza ostacoli verso i suoi obiettivi. 60 La famiglia Bianchini era molto religiosa e caritatevole. Accolse benevolmente la Madre, i primi padri, le suore e gli apostolini. All’arrivo delle suore viveva ancora la signora Sofia, vedova dell’avvocato Giuseppe Bianchini, cameriere di spada e cappa del Santo Padre. Il cameriere di spada era una figura che poteva assistere da vicino il papa. 61 Le due donne aiutavano nella parrocchia, facevano il catechismo, visitavano gli ammalati.
Generalmente si può affermare che non ci fu mai mancanza di liquidità nel finanziamento delle opere. Numerose testimonianze riportano infatti una serenità generale tra le varie maestranze impegnate nella costruzione del Santuario. L’Ingegner Calogero Benedetti testimoniò che i pagamenti avvenivano regolarmente, senza ritardi. Nel corso dei lavori non furono mai registrate interruzioni riconducibili ad una mancanza di fondi: anche l’impresa edile, nata come piccola attività del territorio, crebbe in maniera significativa grazie agli incarichi lavorativi a loro affidati62. Lo stesso Lafuente è sempre stato condizionato da questo clima generale di fiducia verso la committenza.
62 Calogero Benedetti, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00662b, 16/12/1989
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L’architetto
Julio Garcia Lafuente, Roma. (Archivio Lafuente, Roma. Foto: Paola Agosti)
Da Madrid a Roma Julio Lafuente nacque a Madrid nel 1921. Dopo soli due anni emigrò in Francia con la famiglia dove compì i suoi studi alla facoltà di architettura de l’École National Supérieure des Beaux-arts de Paris1. Fu il contatto con l’ambiente artigiano della falegnameria del padre a rivelargli la passione per l’architettura, stimolato anche dall’incontro con architetti e artisti che frequentavano il laboratorio2. Nel 1937 si iscrisse quindi all’istituto politecnico di Bordeaux per seguire corsi di geometria descrittiva e disegno, al fine di preparare l’ingresso all’università. Nel 1939, presso l’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi3, avviò i suoi studi sull’architettura. Ricevette un’educazione accademica, con insegnamenti basati quasi esclusivamente sui principi di com1 Dall’intervista di Giorgio Muratore a Julio Lafuente cfr. Giorgio Muratore, Clara Tosi Pamphili (a cura di), Julio Lafuente. Opere 1952-1992, Officina edizioni, Roma 1992, p. 165 2 Il padre di Julio Lafuente era falegname-ebanista. Julio passava spesso del tempo alla bottega e disegnava per conto suo. Fu notato da un architetto di nome Bessanier che invitò il padre ad iscriverlo a corsi serali di geometria descrittiva e successivamente a dei corsi di disegno a carboncino. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Pino Scaglione (a cura di), Julio Lafuente. Visionarchitecture, List Laboratorio internazionale Editoriale Barcellona, Barcellona 2007, p. 11 3 L’École nationale supérieure des beaux-arts fu fondata a Parigi da Napoleone nel 1811, in sostituzione dell›École Académique, che era stata fondata nel 1648. È tutt’ora il principale organo di insegnamento delle belle arti in Francia e possiede una preziosissima collezione privata di opere d’arte di vario genere.
posizione classica. Lafuente stesso raccontò di uno spirito positivo di cooperazione, dove nei vari ateliers gli studenti più grandi collaboravano con quelli più piccoli, ma anche con artisti al tempo già affermati4. Nel 1941 i nazisti occuparono la Francia e il giovane Julio fu costretto a tornare in Spagna: affrontò un viaggio di fortuna in bicicletta, accompagnato da due suoi compagni di studio; André Goubert e Maurice Thomas. Con l’occupazione tedesca, Lafuente si stabilì a Madrid per alcuni anni: era la Spagna di Francisco Franco e il giovane dovette prestarsi al servizio militare. Lì proseguì la sua formazione provvisoria presso la Facoltà di Architettura e partecipò a varie commissioni, prima di tornare in Francia per finire i suoi studi di architettura a Parigi. A Madrid, partecipò anche a vari concorsi e progetti, come il concorso per il Museo della Città Universitaria, a Moncloa, presentato nel 1946; lo studio di case prefabbricate per la ditta Copanel, in collaborazione con l’architetto A. Cámara (1949); o la proposta per la scenografia del film Áspero Camino, di José María Forqué5, nel 1950. Dopo la laurea in architettura a Parigi 4 Dall’intervista di Giorgio Muratore a Julio Lafuente cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 166 5 È stato un regista e sceneggiatore spagnolo, tra i più importanti nel panorama del cinema commerciale.
nel 1949, Julio tornò a Madrid con l’intento iniziale di recarsi a New York, ammaliato dall’idea di poter visitare il Seagram Building6. Ma il destino preparò per il giovane architetto tutt’altro percorso. A Madrid contattò Luis Martínez Feduchi7, a quel tempo responsabile della conservazione delle proprietà spagnole in Italia, che lo consigliò di viaggiare a Roma prima di decidere dove stabilirsi 8. Nel 1952 in sella ad una moto BMW9, Lafuente intraprese quindi il grand tour in Italia: si ritrovò a Roma nell’effervescente clima culturale degli anni della Dolce Vita. L’arrivo nella capitale fu folgorante; Parcheggiai la moto, entrai nel Pantheon, […] mi stesi a terra, guardai il cielo e non volli più andar via10. Così, rapito dalla bellezza dell’antica città classica, la visita temporanea si trasformò in un vero e proprio progetto di vita. Il dopoguerra stava avviando in Italia un profondo rinnovamento: 6 Lafuente conobbe l’edificio leggendo la rivista francese Architecture d’aujurd’hui. Si innamorò dell’opera e iniziò a studiare i progetti di Mies Van Der Rohe. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 21 7 Fu un architetto spagnolo noto per aver realizzato l’edificio “Carriòn” (edificio del Campidoglio), in Plaza del Callao (Madrid). Fu il suocero del celebre architetto Rafael Moneo. 8 Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 21 9 Come raccontò Lafuente stesso, fu proprio Feduchi a dargli la BMW. Una moto abbandonata dai tedeschi in Spagna durante la ritirata. 10 Dalla conversazione di Julio Lafuente con Valentì Gomez, Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 21
politico, economico, sociale. Un periodo di crisi e indeterminatezza ma, sicuramente, anche di grandi stimoli. Lafuente rimase colpito, come lui stesso affermò, dalla convivenza delle antiche rovine con la città nuova: il giovane architetto si aspettava infatti di trovarsi di fronte ad una città intrisa di storia nel segno dell’antichità; invece il clima effervescente e l’operosa e continua sperimentazione pratica di tanti giovani architetti convinsero Lafuente a stabilirsi definitivamente a Roma11. I primi giorni nella capitale furono determinanti per il futuro del giovane architetto: su consiglio di Feduchi Lafuente visitò il quartiere Parioli. Rimase molto colpito da uno strano edificio con porte e finestre scorrevoli, diverse da quelle di Le Corbusier: era la Palazzina Girasole di Luigi Moretti12. Aneddoto singolare fu quello dell’incontro tra Moretti e Lafuente. L’architetto Spagnolo, chiamò al telefono il collega Italiano: quest’ultimo non solo lo invitò a cena, ma gli mise a disposizione macchina ed autista per visitare tutte le sue opere a Roma13. Ma non furono i Parioli ad attirare Lafuente: egli desiderava abitare nella Roma antica. Rimase sin da subito colpito da Piazza Navona, dalle sue fontane e da alcuni edifici di proprietà Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 166 Luigi Moretti fu un architetto italiano tra i più rilevanti del XX secolo. 13 Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 22 11
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dell’Opera Pia Spagnola. Si innamorò di un attico che da una piccola finestrella regalava, tra la cupola della chiesa di Sant’Agnese del Bernini e il suo campanile, un bellissimo scorcio sul “cupolone” di San Pietro14. La sua casa a Piazza Navona si presentava come il connubio perfetto tra presenza gotica e leggerezza paesana, accarezzata dal soffio del vento mediterraneo: un clima molto simile a quello spagnolo, tanto caro a Lafuente15. Su consiglio di Luigi Moretti bussò alle porte dello studio Monaco-Luccichenti e superò brillantemente le piccole prove di ingresso alle quali fu sottoposto16. Così dal 1952 al 1957 svolse numerosi incarichi come collaboratore dello studio: fu una proficua esperienza sia dal punto di vista professionale che umano. I professionisti con cui poté interagire eraIvi p. 44 Ludovico Quaroni, Helio Pinón (a cura di), Architetture di Julio Lafuente, Officina edizioni, Roma 1982, p. 8 16 Lo Studio Monaco-Luccichenti fu fondato intorno al 1936-37 e diventò uno dei luoghi di punta di un nuovo modo di fare architettura. Sulla vicenda degli inizi della collaborazione di Lafuente con lo studio Monaco Luccichenti cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 23 14 15
no già affermati in ambito nazionale e Lafuente ebbe l’occasione di operare nel tumultuoso clima architettonico del dibattito tra architettura organica e architettura razionalista17. Era la fine del 1954 quando ad un ricevimento dell’ambasciata spagnola Lafuente conobbe Gaetano Rebecchini18. La fama di Lafuente lo aveva ampiamente preceduto, tanto che fu Rebecchini stesso a presentarsi a Lafuente. L’ingegnere lo definì come “l’architetto spagnolo tuttofare dello studio Monaco-Luccichenti”19. Rebecchini, appartenente all’alta società romana, fornì molti contatti e occasioni di lavoro. I due collaborarono intensamente fino al 1980, quando si separarono dopo aver ultimato gli uffici ESSO. In quegli stessi anni Lafuente fu il cardine che legava l’architettura italiana a quella spagnola. Le sue opere venivano quasi sempre pubblicate su riviste del tempo, sia in italiano che in Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 167 18 Gaetano Rebecchini fu un ingegnere figlio del sindaco di Roma Salvatore Rebecchini. 19 Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, pp. 2526 17
spagnolo favorendo un interscambio critico tra le due penisole20. Fu sempre Lafuente a legare volti nuovi dell’architettura Iberica a personalità di spicco come Luigi Moretti, Ludovico Quaroni, Bruno Zevi e tanti altri, favorendo l’accensione di un dibattito a livello internazionale. La carriera dell’architetto cresceva sempre di più. Un incontro fortunato gli permise di lavorare a molti progetti. Quando era ancora dipendente dello studio Monaco-Luccichenti, questi gli assegnavano lavori che poteva portare a termine da solo. Il primo tra questi incarichi fu un ufficio per la compagnia aerea TWA, seguito da un altro per la KLM (compagnia aerea olandese): quest’ultimo fu un successo21; piacque moltissimo l’idea di posizionare tra le sedie di attesa, delle statue di antichi romani seduti su comode poltrone. Fu contattato quindi da Aristotele Onas-
20 Quasi sempre le opere dell’architetto venivano pubblicate in riviste di spessore come Domus, Architecture d’Aujourd’hui, Revista Nacional de Arquitectura, The Architectural Review. 21 Sulla sistemazione dell’ufficio per KLM cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 45
sis, proprietario di una compagnia aerea greca22. Con Onassis nacque una vera e propria amicizia, che permise a Lafuente di ricevere incarichi professionali come architetto dell’Olympic Airways in America, a New York, in Grecia e altre città europee. Dal 1974 l’Italia precipitò in una grave recessione a causa della crisi energetica23. Lafuente fu costretto ad ampliare i suoi orizzonti professionali, al fine di mantenere vivo lo studio ormai da tempo avviato. Su proposta di un imprenditore proprietario di una ditta italo-francese si trasferì quindi a Jeddah, in Arabia Saudita, dove poté sviluppare numerosi progetti di ristrutturazione urbana e arte urbana, su richiesta del sindaco24. Si doveva inizialmente Aristotele Socrate Omero Onassis è stato un armatore greco. Divenne uno degli uomini più ricchi del mondo, proprietario di navi, aerei e del “Christina O.” lo Yacht più lussuoso al mondo. 23 L’organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), fondata nel 1960, ottenne alla fine del 1973 che i paesi produttori ebbero un controllo molto maggiore sullo sfruttamento delle loro risorse rispetto agli anni precedenti. Ciò implicò che il prezzo del petrolio subì un aumento considerevole, che fece precipitare i paesi europei in una recessione senza precedenti. 24 Lafuente era solito regalare alcuni suoi disegni tecnici agli studenti che lo andavano a trovare nel suo 22
Cartoline di viaggio dalla Spagna verso l’Italia, 1952. (Archivio Lafuente, Roma) Julio Lafuente con Luigi Moretti, Roma, 1958. (Archivio Lafuente, Roma) Julio Lafuente con Papa Giovanni Paolo II Collevalenza, 1981. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, Collevalenza)
occupare “dell’abbellimento” della città, visto che il piano di espansione era stato già redatto dall’inglese Robert Matthew25. La grande versatilità di Lafuente, con la complicità del sindaco di Jeddah anch’esso architetto, gli permise di ottenere numerosi incarichi: progettò viali, incroci, piazze, fontane e numerosi landmark o monumenti; una progettazione mirata a differenziare ed arricchire un paesaggio urbano, quello del deserto, troppo piatto e omogestudio. Il padre di una studentessa, proprietario di una ditta italo-francese si ricordò di lui e gli propose di andare a lavorare in Arabia Saudita. Sulla vicenda cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 61 25 Durante i suoi primi anni in Arabia Saudita, Lafuente sovrappose alcune delle commissioni in territorio saudita con la realizzazione di diversi progetti in Italia: principalmente diversi edifici di appartamenti, ville varie, il concorso per il nuovo mattatoio di Roma e gli uffici Valmar e Esso. Il suo lavoro a Jeddah iniziò quindi pochi anni prima di separarsi definitivamente da Rebecchini nel 1980.
neo rispetto alla Roma tanto amata dall’architetto spagnolo26. Negli ultimi anni in Arabia Saudita, furono molti i progetti redatti ma non realizzati: i suoi contatti andarono sciamando principalmente per una virata politica causata dalla morte del Re27. Nel Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 169 Il motivo del licenziamento risiedette, secondo la testimonianza di Lafuente, in una licenza concessa dal sindaco della città, lo sceicco Said Farsi, che autorizzò la costruzione di un hotel a molti piani. Dai piani più alti era possibile vedere i giardini del Re, situati sulla sommità del palazzo frontale. Come raccontò Lafuente, un giorno il sindaco di Jeddah, gli chiese di accompagnarlo a visitare l’erede del Re. Interpretava per loro un piccolo architetto egiziano. Arrivati al palazzo e aspettarono in piedi di essere ricevuti. […] Il principe trattò male il sindaco. In realtà, quello che successe fu che il sindaco, per soldi, aveva concesso a una società americana la licenza per costruire un albergo che, superando l’edificio di fronte, permetteva a chiunque fosse ai piani superiori di vedere il giardino del re. Non si poté realizzare nulla dell’hotel. Il sindaco cadde in disgrazia, fu rimosso dall’incarico e dovette andarsene. Con la sua partenza per Lafuente finirono dieci anni di lavoro in Arabia Saudita. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 101)
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1990, tramite la ditta SATPI, progettò in brevissimo tempo, l’Air Terminal Ostiense. Stimolato da una vera e propria sfida dettata dagli appena due mesi disponibili per elaborare il lavoro, presentò un progetto che non subì opposizioni (forse occultate dalla febbre sempre più crescente per i Mondiali di calcio)28. Negli ultimi anni Lafuente si cimentò nella produzione di disegni fantasiosi: questa serie di opere nacque quasi per caso, sovrapponendo – come raccontò Lafuente – alcuni disegni sparsi sopra il suo tecnigrafo. Questi disegni, un po’ a carboncino e un po’ a colori, presero il nome di “architecture revée”, cioè “sogno”29.
Non ho nessun desiderio. […] Mi piacerebbe lasciare un’eredità spirituale e materiale, e specialmente che quest’ultima lasciasse una concezione armoniosa30.
Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 171 Il sogno dell’ormai anziano architetto era quello di poter fare con tali disegni una mostra a Villa Medici, in ricordo del Grand Prix de Rome che da giovane non potette fare; ma per ironia della sorte, come il
nome della raccolta testimonia, anche la mostra rimase soltanto un sogno nel cassetto. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 79 30 Ivi p. 80
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Il percorso verso il Santuario: le opere precedenti La produzione di Julio Lafuente è molto vasta: conta quasi duecento progetti (compresi quelli non realizzati). Il suo archivio è stato dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio: contiene 1700 elaborati grafici ca. raccolti in 98 tubi e 3 cartelle, 243 fascicoli di documentazione allegata ai progetti, cianografie e corrispondenza, 52 album, 3 quaderni di fotografie, 7 scatole di diapositive, 24 album rassegna a stampa, 9 modelli. La carriera dell’architetto può essere suddivisa in tre fasi fondamentali, ognuna caratterizzata da particolari stagioni lavorative che si differenziano tra loro per committenza e luoghi di progetto. La prima fase, quella che diede il via ad una lunga e brillante carriera, iniziò con l’arrivo a Roma ed è riconducibile agli anni di lavoro nello studio Monaco-Luccichenti (19531957). Nonostante la sua giovane età lo studio gli assegnava spesso incarichi progettuali da svolgere in autonomia. Ciò avveniva perché il giovane architetto era già in grado di seguire da solo lo sviluppo progettuale e anche la fase esecutiva: ma ancor più perché i piccoli incarichi, in questa maniera, non sarebbero gravati sulle spalle dei due architetti titolari, i quali potevano occuparsi esclusivamente dei progetti più importanti31. Un’occasione che permise a Lafuente di “farsi le ossa”, avendo però alle spalle la solidità di uno studio affermato32. L’inizio della sua prima Valentì Gomez I Oliver, Pino Scaglione (a cura di), Julio Lafuente. Visionarchitecture, List Laboratorio internazionale Editoriale Barcellona, Barcellona 2007, p. 45 32 Vincenzo Monaco (Roma 1911-1969) e Amedeo Luccichenti (Isola del Liri 1907 – Neully-sur-Seine 1963) produssero alcune delle più significative architetture del dopoguerra. Nonostante fosse in atto la ricostruzione post bellica, principalmente incentrata sul rifacimento di interi quartieri residenziali, la committenza di alto rango che bussava alle porte dello studio permise ai due architetti di sperimentare nuove architetture in ville, alberghi e uffici. Cfr. Paolo Melis (a cura di), Vincenzo Monaco, Amedeo Luccichenti. Opera completa, Electa Architettura, Milano 2017; 31
stagione professionale è identificabile in un evento: nel 1953 la Federconsorzi organizzò nel quartiere dell’EUR — al tempo ancora un rudere incompiuto — la Mostra dell’Agricoltura. Lo studio Monaco-Luccichenti allestì per l’occasione una serie di padiglioni e scenografie, servendosi del contributo di artisti talentuosi: vi collaborarono Severini, Franchina, Corpora, Montanarini, Consagra e i Cascella33. È proprio in questo frizzante milieu professionale che prese le mosse la carriera del giovane architetto. La fine della collaborazione con lo studio Monaco-Luccichenti, causata da divergenze lavorative e per un incidente diplomatico, aprì la strada all’inizio dell’amicizia professionale con Gaetano Rebecchini (identificabile come seconda fase lavorativa) 34 . Tale avvenimento coincide anche Giorgio Muratore, Clara Tosi Pamphili (a cura di), Julio Lafuente. Opere 1952-1992, Officina edizioni, Roma 1992, p. 12 33 Ibid. 34 Successe che un progetto in preparazione per lo studio Monaco-Luccichenti risultò molto simile, se non uguale, ad uno elaborato con Gaetano Rebecchini. Luccichenti, più di Monaco, la prese molto male: a Lafuente non restò che dimettersi. Lafuente dichiarò successivamente che l’evolversi dell’architet-
con l’incarico di architetto dell’Olympic Airways35. La collaborazione professionale con Rebecchini, avviata con la realizzazione dell’Intensivo in viale Trastevere nel 1955, terminò nel 1980 con l’ultimazione degli Uffici ESSO36. Rebecchini era il figlio del sindaco di Roma: i due si conobbero ad un ricevimento dell’ambasciata spagnola. Fu proprio Rebecchini a proporre una collaborazione lavorativa a Lafuente37. tura moderna sotto il segno dei nuovi architetti di fama mondiale li stava già dividendo ideologicamente. Per l’architetto la separazione lavorativa dallo studio Monaco-Luccichenti fu una decisione sofferta, ma che comunque sarebbe stata prima o poi resa necessaria dalle divergenze stilistiche riscontrabili nelle fasi progettuali. Sulla vicenda cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 26 35 L’Olympic Airways era la compagnia aerea fondata dall’armatore greco Aristotele Onassis. Lafuente realizzò molte opere per il facoltoso committente, stringendo anche un’amicizia. Fu Onassis stesso a contattare Lafuente chiedendogli un bizzarro incontro di notte in un hotel di Roma. L’armatore greco era rimasto affascinato dalla soluzione che Lafuente aveva utilizzato per la sala di attesa della KLM (compagnia aerea olandese): l’architetto aveva sistemato delle poltrone su cui sedevano statue di antichi romani in attesa del loro volo aereo. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 45 36 Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 40 e 141-143 37 L’ingegner Rebecchini si avvicinò a Lafuente chiedendogli se fosse lui il “tuttofare” dello studio Monaco-Luccichenti. La collaborazione prevedeva che Lafuente si occupasse del progetto architettonico mentre Rebecchini procurasse i clienti e si occupasse dei calcoli strutturali. Essendo il figlio del sindaco
In questo ventennio lavorativo la committenza fu di ordine differente: oltre a costruttori romani più o meno importanti e di altri privati, ci furono gli ordini religiosi. Sancito il distacco da Rebecchini si può identificare la permanenza di Lafuente in Arabia Saudita, nel decennio successivo (1980-90), quale ultima fase lavorativa dell’architetto. Contattato dal proprietario di un’impresa Italo-Francese che lavorava in Arabia Saudita, Lafuente, vista l’assenza di un vero e proprio regolamento urbanistico nel paese, poté dare sfogo alla sua fantasia progettuale38. Realizzò opere completamente differenti da quelle italiane, le quali erano invece soggette a normative sempre più stringenti: fu impegnato in un progetto di “beautification”, ossia di abbellimento di una città – Jeddah – che non aveva nemmeno un sistema fognario. Progettò uffici, edifici residenziali, opere di design, ma anche di landmark per i grandissimi crocevia urbani. Un’edi Roma riusciva ad avere un ottimo numero di committenti. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 26 38 Ivi. p. 61
Julio Lafuente con Ludovico Quaroni, Roma, 1982. (Archivio Lafuente, Roma) Julio Lafuente nelle fasi di progettazione del Santuario, Roma, 1962. (Archivio Lafuente, Roma)
sperienza unica che si concluse con i pericolosi avvenimenti sociali legati alla caduta in disgrazia del Re39. Come evidenziato in precedenza, fu la collaborazione professionale con Gaetano Rebecchini a permettere a Lafuente di poter progettare per una committenza di ordine religioso. Un’esperienza professionale totalmente nuova e diversa da quella svolta anni prima nello studio Monaco-Luccichenti40. Il ventennio collaborativo con Rebecchini segnò anche un cambiamento stilistico nella produzione di Lafuente: fu proprio in quegli anni che “le architetture di Lafuente trovarono il modo di distendersi e di organizzarsi in tutta la loro individualità espressiva”41. È proprio in relazione alla sua seconda stagione lavorativa che è interessante capire il percorso che lo portò a realizzare, come lui stesso dichiarò, le opere più rappresentative di tale periodo: in particolare il Santuario di Collevalenza42. In principio si può sicuramente affermare che un aspetto in comune nel lungo percorso lavorativo dell’architetto c’è, ed è davvero singolare: Lafuente non rinunciò mai alla libertà nelle scelIvi. pp. 69-71 40 La collaborazione con lo studio Monaco-Luccichenti permise a Lafuente di intraprendere esperienze lavorative importanti, rimanendo però legato a un determinato tipo di commessa: poté progettare principalmente villini e palazzine. Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 12 41 Cit. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 12 42 Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 168 39
te progettuali. Ciò comportò che tutte le opere facenti parte della produzione dell’architetto non subirono mai condizionamenti nelle decisioni in fase di progettazione. Lo dichiarò Lafuente stesso, quando affermò che amava lavorare esclusivamente da solo; magari con l’aiuto di un buon ingegnere strutturista43. Individueremo quindi alcune opere che rappresentano i crocevia del percorso evolutivo dello stile progettuale di Lafuente: un’evoluzione stilistica culminata nella produzione del Santuario di Collevalenza44. Il primo edificio davvero importante è l’Intensivo in viale Trastevere 2° (1957)45. Sancì il distacco definitivo dallo studio Monaco-Luccichenti, aprendo alla totale indipendenza progettuale di Lafuente. Alla realizzazione dell’edificio, destinato ad ospitare su sette livelli una serie di appartamenti, collaborò professionalmente Gaetano Rebecchini46. Nonostante la destinazione d’uso di tipo residenziale fosse 43 In moltissime opere di Lafuente è riscontrabile la presenza di Calogero Benedetti e Gaetano Rebecchini, suoi ingegneri di fiducia. Lafuente già nello studio Luccichenti progettava in autonomia. Un simpatico aneddoto raccontato proprio da Lafuente, vide l’architetto rimanere scioccato quando – in visita ad uno studio di New York – trovò più architetti lavorare allo stesso progetto. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 35 44 Le opere che seguono son state scelte in quanto contenenti elementi della progettazione poi riscontrabili nel santuario. 45 Cit. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 48 46 Rebecchini, come nelle altre collaborazioni, redasse il progetto strutturale.
completamente differente dalle commesse di ordine religioso, l’intensivo in viale Trastevere diede il via alla sperimentazione di nuove soluzioni poi divenute una consuetudine in tutte le opere successive di Lafuente. In pianta è possibile apprezzare una semplice e ordinata disposizione degli spazi. Sono i balconi di forma poligonale a movimentare l’edificio soprattutto in facciata, generando degli incavi in grado di donare privacy anche nelle terrazze. Ben visibile è la convivenza di due ma-
teriali: il mattone e il calcestruzzo47. La struttura portante in calcestruzzo fu gettata in opera. Anche il parapetto dei balconi fu gettato in opera ed ingloba il marcapiano al fine di ottenere una maggior pulizia nel disegno dei prospetti48. Spesso Lafuente lasciò il Lafuente, soprattutto negli edifici costruiti a Roma, optò sempre per il mattone e il travertino. Il calcestruzzo armato fu la soluzione più utilizzata per soddisfare le esigenze strutturali. Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 73 48 Questa soluzione fu sperimentata per la prima volta nell’intensivo di viale Trastevere. Lafuente riutilizzò molto spesso questa tecnica nelle sue opere future. Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 49
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calcestruzzo a vista. Decise quindi di rifinire alcune parti gettate in opera attraverso un utilizzo particolare delle casseforme. Invece di realizzare i balconi di cemento liscio, l’architetto optò per un disegno a strisce verticali: utilizzò all’interno delle casseforme delle strutture in legno dello stesso spessore del calcestruzzo. Con la disposizione in maniera alternata pieno-vuoto, una volta tolte, rimaneva la struttura a strisce verticali49. Lafuente in quasi tutte le sue opere variò l’utilizzo e la disposizione delle casseforme al fine di ottenere un disegno ben preciso. A Collevalenza, nella grande lastra di copertura, una meticolosa disposizione degli assi lignei permise di emulare con il disegno a ventaglio impresso nel calcestruzzo, l’ingresso dei raggi solari dai lucernari50. Nella fase di cantiere dell’Intensivo in viale Trastevere si verificò un simpatico aneddoto tra Lafuente e la ditta costruttrice: da questo breve racconto è possibile comprendere quanto egli curava al 49 50
Cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 31 Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 96
dettaglio ogni singolo elemento, ritenendo di fondamentale importanza la modellazione dei materiali. L’architetto voleva a tutti i costi applicare ai balconi in calcestruzzo il disegno da lui pensato. L’impresa edile si oppose sostenendo che i costi erano troppo elevati: Lafuente propose di pagare il sovraprezzo di tasca propria, lasciando allibiti i costruttori che alla fine si arresero51. Le abitazioni si vendettero molto bene e vennero realizzati, con le stesse caratteristiche, altri intensivi nei dintorni di viale Trastevere. L’architetto apprezzava il connubio tra calcestruzzo e mattone: quest’ultimo fu utilizzato per le tamponature esterne. Particolarmente interessante è la disposizione del laterizio negli angoli del fabbricato. La posa alterna dei mattoni genera alle estremità una sorta di dentatura. L’architetto amava giocare con la disposizione del laterizio, variandone gli incastri e il dimensionamento dei singoli elementi. Anche nel santuario dell’Amore MisePer approfondimenti sulla vicenda cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 31
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ricordioso utilizzò differenti formati e disposizioni. Il secondo edificio rilevante nel percorso lavorativo di Lafuente è sicuramente il Collegio Pio Latino Americano52 (1965). Fu realizzato in collaborazione con l’Ingegner Gaetano Rebecchini e lo studio Passarelli53. Situato lungo la via Aurelia fu commissionato per ospitare i seminaristi sud-americani54. Non è uno tra i capolavori dell’architetto spagnolo: è risolto in maniera più efficace all’interno piuttosto che all’esterno55. Va considerato però di rilevante importanza, nel processo di avvicinamento alla progettazione del Santuario di Collevalenza, lo spazio della cappella. Si distingue totalmente dal resto dell’edificio per la sua forma circolare. Questa geometria non è casuale: l’architetto si servì del cerchio per enfatizzare lo spazio dell’altare. Quest’ultimo Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., pp. 82-85 L’attività dello Studio Passarelli iniziò alla fine dell’800 con l’Architetto Ingegnere Tullio Passarelli (1869-1941), progettista e Direttore dei Lavori di importanti edifici realizzati a Roma. Continua ancora oggi l’attività professionale dello studio. 54 Dismesso dalla sua funzione nel 1973, ospita attualmente la scuola di carabinieri. 55 Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 82 52
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viene sopraelevato su una base circolare di quattro gradini. La centralità del presbiterio detta le regole nello spazio circostante. Come succederà poi nel Santuario di Collevalenza, la pavimentazione segue un andamento a cerchi concentrici, i quali si irradiano a partire dall’altare. La cappella è rivestita con mattoni tessuti larghi al fine di migliorare la fonoassorbenza56. Il calcestruzzo armato viene utilizzato anche in questo caso per definire la struttura portante. Le travi in calcestruzzo della copertura, lasciate a vista, si irradiano a ventaglio da un grande lucernario che sovrasta il presbiterio. Il terzo edificio è casa Mariotti a Tivoli(1966)57. Fu realizzata in collaborazione con Gaetano Rebecchini. Salta subito all’occhio la presenza del mattone. La villa è realizzata quasi totalmente con il laterizio. Lafuente si servì di una particolare tipologia che riproporrà contemporaneamente a Collevalenza: 56 Anche in questa occasione Lafuente si serve di un particolare elemento in laterizio, realizzato appositamente per soddisfare le esigenze spaziali e tecnologiche previste dall’architetto. Ibid. 57 Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 91
Julio Lafuente, dettaglio terrazze Intensivo viale Trastevere 2°, Roma, 1957. (Archivio Lafuente, Roma) Julio Lafuente, cappella Collegio Pio Latino Americano, Roma, 1965. (Archivio Lafuente, Roma) Julio Lafuente, vista laterale casa Mariotti, Tivoli, 1966. (Archivio Lafuente, Roma)
utilizzò il mattone sabbiato58. Ne variò la disposizione in più punti: negli angoli (presenza di dentature dovute ad un particolare tipo di incastro), nelle file posate in sommità dell’edificio (disposizione del laterizio con il lato lungo ortogonale al terreno), nelle aperture (brise-soleil che ricorda la tessitura grigliata a croce delle pareti nei vecchi fienili di campagna). L’architetto prese ispirazione dalla Villa Adriana a Tivoli: tale suggestione guidò Lafuente nel disegno di forme concave e convesse che delimitano gli spazi59. Le superfici avvolgenti donano una sensazione antica, un po’ barocca, movimentando la
Ibid. I principali ambienti della casa sono infatti racchiusi tra queste murature sinusoidali spezzate, alternate a finestrature. Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 92 58 59
pianta60. Lo stesso concetto fu applicato nella progettazione delle cappelle laterali del Santuario di Collevalenza, che molto sembrano aver in comune con le principali volumetrie che caratterizzano il perimetro di villa Mariotti. In tutte le opere prese in esame, Lafuente curò la progettazione sia a grande che piccola scala. Come dimostrano le sue produzioni, l’attenzione alla forma, alla disposizione e alla lavorazione dei singoli materiali, è un tratto caratteristico dello stile progettuale di Lafuente. L’architetto sperimentò di continuo al fine di ottenere, con nuove soluzioni, un buon compromesso tra le reali possibilità costruttive e un soddisfacente risultato estetico. Con il maturare della sua esperienza, aumentò
sempre di più l’attenzione alla progettazione a piccola scala. Il Santuario di Collevalenza ne è la dimostrazione. Lafuente arrivò a disegnare qualsiasi oggetto: le ringhiere in ferro, le maniglie delle porte, ma anche oggetti di arredo sacro come, ad esempio, il lucernario in miniatura sistemato sul tabernacolo. Una progettazione del dettaglio quasi maniacale. Sotto questo aspetto Lafuente restò debitore a Luigi Moretti, […] nell’attenzione al dettaglio, al valore della modanatura, al significato dello spazio, alla comune interpretazione dell’eredità barocca, nella caparbietà del raggiungimento di un risultato edilizio a regola d’arte61.
Furono infatti, prima di tutto, l’incontro con Moretti e il tour tra le sue opere romane ad affascinare Lafuente e a convincerlo a stabilirsi a Roma. Come anticipato nel capitolo sulla vita dell’architetto, Lafuente rimase catturato da quel metodo progettuale di cui Moretti stesso ne era, in controtendenza ai suoi colleghi contemporanei, il miglior rappresentante62.
62 Moretti sperimentava percorsi progettuali controtendenza: prediligeva l’arte astratta al populismo neorealista e combatteva la povertà figurativa dell’architettura populista del suo tempo con le sue modanature e spazialità barocche. Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 11
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Cit. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 11
Il progetto e il cantiere
La Basilica dell’Amore Misericordioso durante la sua costruzione, Collevalenza, 1963. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 2.3, Collevalenza)
Le fasi progettuali e la realizzazione La costruzione di un’opera così imponente previde il coinvolgimento di numerose maestranze e figure professionali. Il team di professionisti che lavorò alla realizzazione dell’opera comprendeva sia figure del luogo sia di altre regioni: il progetto architettonico fu redatto, come anticipato nei capitoli precedenti, dall’architetto Julio Lafuente. L’ingegnere Calogero Benedetti (Catania 1922 – Roma 2020) si occupò del progetto strutturale. La direzione dei lavori fu affidata all’ingegnere Giuseppe Tosti (n. Perugia, 1927), anche correlatore del progetto strutturale con l’ingegner Benedetti. Calogero Benedetti è stato un ingegnere strutturista che collaborò più volte con Julio Lafuente. L’architetto si servì molto spesso, in particolare nel ventennio 1960-1980, della collaborazione dell’ingegner Rebecchini (Roma 1924 – 2020); Benedetti collaborò come figura professionale a sostegno della redazione del progetto strutturale in varie occasioni: la più importante è la costruzione dell’Ippodromo di Tor di Valle (Roma, Olimpiadi del 1960)1. L’ingegner Giuseppe Tosti fu contattato da Madre Speranza quale libero professionista titolare dello Studio di
1 Alberto Pireddu (a cura di), Architettura come struttura di densità di energie, Firenze University press, Firenze 2018
Ingegneria aperto nel 1960 in Corso Vannucci a Perugia. In precedenza si era occupato della progettazione e della direzione dei lavori della “casa della Giovane” sempre a Collevalenza2. Tosti conseguì la Laurea in Ingegneria Civile presso l’Università degli Studi di Bari nel 1957 e si dedicò da subito ad un’intensa attività professionale e didattica3. L’incarico per i lavori di costruzione della Basilica fu concesso in maniera diretta ad una piccola ditta del luogo, l’impresa edile Salici Giuseppe (Marsciano, PG): una stretta collaborazione tra artigiani e progettista, diede modo alla ditta di crescere professionalmente e qualitativamente4. Come testimoniato dagli anziani sacerdoti ancora residenti a Collevalenza e da coloro che collaborarono alla realizzazione del Santuario, i lavori per la costruzione della Basilica non subirono interruzioni. Lo scavo di fondazione, operazione primaria delle fasi di cantiere, avvenne nel 1963. Solamente due anni dopo, nel 1965, le porte del Santuario furono aperte per la cerimonia di inaugurazione. Nel 1967, l’opera fu completata in ogni sua parte5. Ingegnere Massimo Tosti a colloquio con l’autore. 22/03/2021 3 Studio Tosti e associati (a cura di), Studio di Ingegneria e Architettura Tosti e associati, Perugia, p. 1 4 Sulla vicenda cfr. Giorgio Muratore, Clara Tosi Pamphili (a cura di), Julio Lafuente. Opere 1952-1992, Officina edizioni, Roma 1992, p. 96 5 Santuario di Collevalenza, Edizioni L’Amore Misericordioso, litograf, Todi 2008, p. 9 2
Lo scavo di fondazione e movimento terra fu realizzato dalla ditta Domenico Manni (Collevalenza). La fondazione prevede una base realizzata con una platea in calcestruzzo. Il cemento fu fornito dalle ditte Segni (Colleferro) e Barbetti (Gubbio). Al di sopra della Platea sono stati innalzati setti in calcestruzzo armato, che hanno funzione di irrigidimento della platea stessa, oltre a delineare la corrispondente struttura sovrastante. Essi, in corrispondenza dei confessionali, hanno un’altezza utile di circa 1,70m: vi si può camminare nel mezzo leggermente chinati6. Ciò permette di ispezionare le fondazioni e di procedere alle operazioni di manutenzione degli impianti e degli apparecchi ivi alloggiati. Al di sopra dei setti è stato gettato in opera il solaio in calcestruzzo armato. L’ingegner Calogero Benedetti, allievo di Pierluigi Nervi, utilizzò per la prima volta in Umbria un sistema innovativo per l’intreccio delle armature. In primis va ricordato che il ferro impiegato era di ultima generazione: sulla superficie delle barre erano presenti delle nervature fino ad allora non utilizzate nel panorama edile umbro. Il ferro nervato permetteva una maggiore adesione (circa il doppio rispetto al ferro liscio) con il calcestruzzo e di conseguenza aumentava la reIngegnere Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020
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sistenza. Nella progettazione dei solai, Nervi era solito disporre delle armature che correvano in più direzioni. Questa tecnica di disposizione dei ferri permetteva al solaio di comportarsi come una sorta di piastra7. Benedetti ne utilizzò un modello molto simile per la Basilica a Collevalenza. Il primo solaio è quello che chiude l’ambiente ispezionabile delle fondazioni, nonché piano di calpestio della cripta sovrastante. Al di sopra, in corrispondenza dei fili fissi dei setti in fondazione, si elevano i pilastri che reggono il solaio di copertura della cripta. Come le restanti strutture in calcestruzzo armato, anche i pilastri furono gettati in opera: l’armatura di questi dispone di una cerchiatura in acciaio per aumentare la resistenza ai carichi8. I pilastri terminano nel solaio di copertura, senza estendersi nella Basilica al piano superiore. Il solaio di copertura della cripta è anch’esso nervato ed agganciato ai pilastri tramite punzonatura. Il piano di calpestio della Basilica superiore presenta una particolarità: esso infatti è caratterizzato da aperture nei punti di raccordo tra una cappella laterale e l’altra9. Queste
7 Ciò era vantaggioso soprattutto per un motivo: il momento flettente era controllabile in due direzioni, permettendo l’utilizzo di luci più ampie e una maggiore resistenza ai carichi. 8 Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 9 Riferimento alle cappelle laterali cilindriche in laterizio sabbiato.
bucature, chiuse da particolari vetri obliqui e parapetti in ferro, consentono una continuità visiva tra l’ambiente della basilica superiore e quello sottostante della cripta. La continuità spaziale fu una scelta progettuale voluta da Lafuente al fine di ottenere un effetto di luce radente i cilindri in mattoni presenti nella cripta10. Per avere un quadro completo della struttura portante dell’edificio, almeno della sezione fino ad ora descritta, è necessario tornare alle fondazioni. Direttamente al di sopra della platea, in corrispondenza del perimetro di quest’ultima, prendono forma i cosiddetti “Silos”11. Questi elementi strutturali di fondamentale importanza, corrispondono alle cappelle laterali che delimitano l’area della basilica: si presentano con la particolare forma circolare visibile anche esternamente. La tecnica di reaCfr. la didascalia di Calogero Benedetti, Santuario di Collevalenza, Edizioni L’Amore Misericordioso, Litograf, Todi 2008, p. 58 11 L’ingegner Benedetti era solito nominare le grandi cappelle laterali in laterizio con l’appellativo di silos: la forma cilindrica infatti ricorda le strutture utilizzate in agricoltura per conservare i cereali. Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 10
lizzazione è singolare: i silos sono stati eretti costruendo una cortina muraria in laterizio di forma circolare. Questa cortina generata da due paramenti di mattoni sabbiati, è niente altro che una cassaforma permanente che al suo interno ospita il cemento gettato12. Una leggera armatura in ferro completa lo schema strutturale di questo elemento costruttivo, l’unico ad estendersi fino alla copertura. Un aspetto particolare del Santuario è sicuramente l’ambiente di connessione tra la cripta e la basilica superiore. Esso si colloca al di sotto della grande scala di accesso dalla piazza antistante. Lo spazio che precede la cripta si configura come un unico ambiente disposto su tre livelli. Quello più in basso, alla stessa quota della cripta, presenta un’altezza utile di circa 3,40 metri. Funge da grande disimpegno di ingresso: permette di isolare la cappella sotterranea nei momenti di raccoglimento intorno alla tomba della Madre 12 Lo spessore della cavità tra i due paramenti è di circa quindici centimetri. Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 96
fondatrice e durante le celebrazioni13. Si accede al livello intermedio con una lunga rampa o attraverso una piccola scala di sei gradini. La salita di circa 90 cm, riduce lo spazio in alzato ad un’altezza utile di 2,55 metri. Questo livello è articolato a forma di C: avvolge quello sottostante, disimpegno di ingresso della cripta. Nella parte frontale a quest’ultima sono posizionati una serie di confessionali lignei. Da questa quota è possibile spostarsi in due direzioni: guardando frontalmente la cripta, quella a sinistra permette l’uscita all’esterno del santuario; quella a destra consente la salita al terzo livello. Quest’ultimo è uno spazio filtro, al quale si accede dal piano intermedio della cripta con una rampa o con una scala (più ampia rispetto a quella che collega il primo livello con il secondo). Raccorda il Santuario grande a quello Fu Lafuente stesso a raccontare un aneddoto sulla costruzione della tomba. Quando Madre Speranza morì, l’architetto andò a Collevalenza per rendere omaggio alle esequie. Fu lì che propose la sua idea per dare alla Madre fondatrice una sepoltura degna del suo operato. Propose di integrare la suora al santuario stesso, rialzando il pavimento dietro all’altare della cripta. Quindi sollevò il pavimento dando la forma di un tumulo di terra.
primario (chiesa del Crocifisso) tramite un corridoio vetrato che si innesta sul lato sinistro della piccola Chiesa14. Il livello ha un’altezza utile di 1,95 metri: la sensazione di schiacciamento che si prova entrando in uno spazio così basso, fu voluta da Julio Lafuente e da Calogero Benedetti. Era infatti intenzione progettuale dell’architetto realizzare alla stessa quota del secondo livello, quello alto 2,55 metri, anche l’ambiente della cripta. Ciò avrebbe assunto un valore simbolico: invitare i fedeli a chinare il capo in segno di rispetto e raccoglimento al momento dell’ingresso dal Santuario minore, per poi accedere alla grande cappella sotterranea. Quest’ultima, sempre ad altezza ridotta, avrebbe quindi conservato quel bisogno istintivo di prostrazione. Fu Madre Speranza a convincere Calogero Benedetti, responsabile del progetto strutturale, a dover dare alla
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14 La chiesa del Crocifisso è in realtà il Santuario originale. Fu progettato sempre da Julio Lafuente su commissione di Madre Speranza. Il piano di calpestio della chiesa del Crocifisso si trova alla stessa altezza del terzo livello.
Operai al lavoro: getto del calcestruzzo nel paramento murario delle cappelle laterali, Collevalenza, 1964. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 6, Collevalenza) Fasi di costruzione della scalinata principale della basilica, Collevalenza, 1964. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 12, Collevalenza)
cripta un’altezza utile maggiore15. La decisione, come raccontò l’ingegnere stesso, non fu affatto semplice poiché avvenne a lavori iniziati. Quando Madre Speranza obiettò l’altezza della cripta, era già stata costruita la scalinata e la parte del solaio che sovrincombe i confessionali. La scelta dell’ingegnere poteva quindi soltanto prendere due direzioni: opporsi alla richiesta della suora, oppure accettare una platea di fondazione alta quasi la metà di quella preventivata nel sopralluogo iniziale. Modificai senz’altro l’altezza della platea per consentire il guadagno di circa 80-90 cm in più che oggi sussiste tra il calpestio della Cripta e la zona dei confessionali16. Lo spazio di accesso alla cripta, fu l’unica modifica in corso d’opera. Tornando al terzo livello, è inoltre possibile costeggiare con un corridoio laterale tutto il perimetro esterno della cripta. Il terzo livello ospita la scala elicoidale che permette la salita alla Basilica superiore, per poi continuare fino alla
Madre Speranza, conoscendo bene l’afflusso di fedeli al Santuario, preferì un ambiente funzionale. L’altezza ridotta di tali spazi, considerata la grande mole di visitatori, sarebbe stata ritenuta poco gradevole e opprimente. Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 16 L’ingegnere fa riferimento al livello intermedio di accesso alla cripta, quello di altezza utile 2,55 metri. Cfr. Calogero Benedetti, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00662b, 16/12/1989 15
cantoria17. La scala, racchiusa in un volume cilindrico del tutto simile a quelli che delimitano le dodici cappelle laterali, pone le sue basi all’interno della Cripta. È possibile perciò un doppio punto di salita: il primo, appunto dalla cripta; il secondo, dal terzo livello dello spazio antistante ad essa. Questo secondo accesso alla scala evita, nel caso di ingresso dalla chiesa dal Crocifisso, di dover obbligatoriamente scendere alla grande cappella sotterranea per raggiungere la basilica superiore. La scala, interamente realizzata in mattoni, presenta una tessitura particolare. I mattoni pieni sabbiati, in fase di costruzione, furono posizionati in due differenti modi: la base della scala, esattamente fino all’altezza delle pedate, presenta una tessitura classica; i mattoni sono posizionati nella disposizione canonica, cioè il lato lungo parallelo al piano di calpestio della cripta. Il parapetto della scala presenta invece i mattoni disposti in maniera inclinata. La pendenza è quella determinata dai gradi di salita della scala stessa. …combinare in vario modo teste e lati e piani dello stesso mattone per ottenere la necessaria varietà […] nelle curve ampie che sono una caratteristi-
Spazio al di sopra della porta principale di accesso alla basilica, dedicato ai cantori e alla disposizione della strumentazione musicale da essi utilizzata.
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ca della sua architettura, è una tecnica che potrebbe diventare un manuale18. Percorrendo la scala si accede quindi al piano superiore, quello della basilica. Ad una prima occhiata lo spazio della basilica sembra organizzato in maniera convenzionale: una navata allungata con cappelle laterali. È variando la disposizione e la dimensione di quest’ultime che Lafuente riesce a spezzare la direzionalità della pianta. Le grandi cappelle laterali sono in continuità con la cripta sottostante: nell’ambiente superiore della basilica raggiungono un’altezza di oltre tredici metri. L’apertura delle cappelle si presenta come un taglio verticale cielo-terra, ed è sempre orientata verso l’altare19. Queste sono disposte in maniera asimmetrica rispetto all’asse principale della Chiesa, il quale ha come perno centrale il presbiterio. Dall’ingresso della basili18 Ludovico Quaroni, Helio Pinón (a cura di), Architetture di Julio Lafuente, Officina edizioni, Roma 1982, p. 26 19 Cfr. García-Asenjo Llana David (a cura di), Santuario del Amor Misericordioso en Collevalenza. Julio Lafuente. La obra a través la mirada de la crítica, Departamento Proyectos Arquitectónicos, ETSAM, Madrid
ca, lo spazio tende a gonfiarsi in corrispondenza del presbiterio. Questo effetto è stato cercato da Lafuente per rafforzare l’idea di centro di gravità (non geometrico) del presbiterio20. Per ottenere questo risultato l’architetto si servì di tre elementi: della disposizione delle dodici cappelle laterali (che si allontanano gradualmente dall’asse longitudinale della chiesa in direzione del presbiterio), della disposizione delle piastrelle del pavimento (si irradiano concentricamente dalla zona centrale dell’altare) e del disegno improntato dalle casseforme sul calcestruzzo in copertura (esse riproducono la direzione d’ingresso dei raggi solari dalle aperture). Le forme concave delle cappelle delimitano quindi il perimetro della Basilica fino a raggiungere lo spazio retrostante il presbiterio: l’abside21. Un errore utilizzare questo termine senza però apporre una precisazione: la conIbid. L’uso del cilindro con direttrici geometriche diverse si tramuterà in un procedimento abituale nelle opere dell’architetto durante gli ultimi anni sessanta. Cfr. Ludovico Quaroni, Helio Pinón (a cura di), Architetture di Julio Lafuente, Officina edizioni, Roma 1982, p. 56
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cezione tradizionale di abside è del tutto rovesciata da Lafuente; a Collevalenza non è presente il classico spazio che accoglie la visione dei fedeli, per poi proiettarla sull’altare. Al contrario delle cappelle laterali, le due centrali dell’abside si aprono verso l’esterno22. Le cappelle laterali assumono anche un’altra importante funzione. In termini di progetto strutturale esse sono l’unico elemento portante che si innalza fino alla copertura. Infatti, come anticipato precedentemente, i pilastri che reggono il solaio di copertura della cripta, non si estendono anche allo spazio superiore della basilica. I silos diventano quindi un pezzo unico nel loro genere, assumendo la funzione di unica struttura portante dell’edificio superiore. La forma circolare che li caratterizza conferisce qualitativamente una rigidezza strutturale altissima. Ciò consente di azzerare il valore del carico di punta23. La disposizione dei due cilindri absidali, concava verso l’esterno e convessa verso l’altare, è un rimando al tema del Sacro: i cilindri aperti verso l’esterno alludono al fatto che il sacro va comunicato a chiunque. Cfr. la didascalia di Calogero Benedetti, Santuario…, p. 27 23 Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 22
Questa soluzione ideata da Lafuente e Benedetti concesse strutturalmente la realizzazione della copertura in calcestruzzo armato che sovrasta la basilica24. Ciò che rende unica nel suo genere l’imponente copertura è la doppia lama di luce che taglia la lastra in quattro parti. Il doppio taglio disegna una croce che, in corrispondenza dell’altare maggiore, si apre in un grande pozzo di luce rotondo. È un richiamo al sacramento dell’eucarestia25. La realizzazione della copertura è stata di fatto la parte più complessa dell’opera. Il principio ingegneristico per un elemento strutturale di tali dimensioni è in realtà molto semplice. La “piastra” è stata interamente gettata in opera e poggia sulle cappelle laterali. Non fu inserito nessun elemento di incastro: anche se la copertura vista dall’interno sembra essere scorporata in quattro grandi 24/12/2020 24 La copertura fu gettata in opera con la collaborazione della ditta Strazza s.r.l. Milano. 25 Il grande lucernario centrale aperto in corrispondenza dell’altare fu una specifica richiesta che Madre Speranza fece all’architetto. Sulla vicenda cfr. Julio Lafuente, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00658b, 13/12/1989
“fette”, delle travi passanti interrompono ritmicamente il doppio taglio evitando il ribaltamento delle quattro porzioni26. La copertura è praticabile ed è cava. Si accede ad ognuna delle quattro porzioni tramite delle botole. Le travi interne hanno uno spessore considerevole. Benedetti inserì una travatura di ben due metri di spessore per riuscire a coprire una luce superiore a diciassette metri27. Ogni trave interna ha una doppia soletta in calcestruzzo armato: quella corrispondente al piano di calpestio misura circa quindici centimetri, mentre quella di copertura circa venti centimetri28. Tutti gli elementi 26 Strutturalmente la copertura si presenta come un corpo isostatico. Le travi che interrompono le lame di luce ristabiliscono la compatibilità cinematica della struttura, permettendo alle quattro porzioni di comportarsi come un unico elemento. Inoltre, ai margini delle due grandi lame di luce, corre una trave continua che raccorda quelle passanti nel verso ortogonale. Ciò evita il ribaltamento di una delle porzioni e soddisfa anche i requisiti di resistenza imposti dal rischio sismico. Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 27 La luce massima è raggiunta in corrispondenza del presbiterio, dove le cappelle laterali si allontanano maggiormente dall’asse longitudinale della chiesa. 28 La copertura ispezionabile è stata progettata per consentire una manutenzione agevole: inoltre, considerando lo spessore consistente di tale elemento, sarebbe stato impossibile reggere il peso di un volume totalmente pieno. Ing. Adolfo Quaglietti a collo-
volumetrici compositivi della chiesa dialogano perfettamente tra di loro, ma ciò che rende suggestivo lo spazio è il sistema di illuminazione studiato da Lafuente. L’architetto utilizza numerose soluzioni per l’ingresso della luce nella Basilica. La facciata della Basilica è composta da bicchieri cavi di cemento variamente orientati. Furono interamente disegnati da Lafuente. Nella parte centrale una croce di vetri colorati sostituisce i bicchieri in cemento. Questo singolare brise-soleil fu pensato anche per un’altra funzione: migliorare l’acustica della Basilica abbattendo il riverbero29. In alzato Lafuente progetta un altro sistema di illuminazione: le cappelle laterali sono leggermente distanziate tra loro, generando fessure verticali chiuse da finestre apribili30. La luce che penetra accentua la forma circolare delle cappelle, disegnando giochi di ombre con la disposizione dei laterizi. Le dodici cappelle laterali si innalzano fino alla copertura, ma solquio con l’autore. 24/12/2020 29 Paolo Belardi (a cura di), NAU Novecento Architettura Umbria, Il Formichiere, Foligno 2014, p. 177. 30 Cfr. Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 96
Scala elicoidale di collegamento tra cripta e basilica, Collevalenza, 1964. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, Collevalenza) Veduta interna della Basilica in fase finale di cantiere, Collevalenza, 1965. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto 2.1, Collevalenza) Brise-soleil della Basilica superiore, Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli)
tanto in alcune il paramento in laterizio si congiunge con il solaio in cemento. In maniera alternata, i silos terminano con un troncone semicircolare metallico del tipo HEAB, generando una lama di luce tra la parte sommitale della cappella e la copertura31. Piccole aperture quadrate delimitate da una cornice di cemento tamponata in vetro, tessono la trama dei due cilindri absidali. La luce che penetra enfatizza ancor più lo spazio retrostante l’altare: questa soluzione dona ai cilindri absidali, disposti al contrario rispetto a tutti gli altri, una maggiore forza espressiva32. Per la copertura l’architetto elaborò un unico elemento ripetuto in serie: un lucernario conico. La grande piastra in calcestruzzo armato è stata aperta in più punti. Al centro di ogni cappella è presente un grande lucernaio di forma conica: questo elemento si estende oltre lo spessore della copertura, risultando poi troncato da un piano non ortogonale a quello della copertura stessa. Questa particolare chiusura permette un maggior ingresso della luce all’interno dell’elemento, considerando l’orientamento del taglio verso sud ovest. Co31 I tronconi semicircolari metallici furono concepiti come una sorta di infisso con funzione strutturale. Questo sistema, oltre a generare un suggestivo ingresso della luce, contribuisce all’irrigidimento del paramento murario delle cappelle: la tipologia di metallo HEAB era infatti la migliore in commercio per le sue caratteristiche di resistenza. Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 32 Paolo Belardi, NAU…, p. 177.
me descritto in precedenza, la grande lastra in calcestruzzo armato è tagliata ortogonalmente da due lame di luce che la dividono in quattro parti. I due solchi si intersecano in corrispondenza del presbiterio, aprendosi in un grande tiburio conico. Un lucernario molto simile a quello delle cappelle laterali, ma con un raggio decisamente più grande. Il grande lucernaio centrale è caratterizzato però da una particolare chiusura: un infisso di forma conica in acciaio inossidabile che termina esternamente con un crocifisso. Delle fasce metalliche si sollevano dalla circonferenza fino ad incontrarsi nella punta sommitale del cono: sono poi state interposte delle vetrate trapezoidali tra ogni fascia metallica. Questo elemento, progettato da Lafuente, trae ispirazione dai grandi cappelli conici indossati dai fi-
guranti mascherati che caratterizzano le processioni religiose a Valencia33. La grande minuzia dell’architetto è visibile anche nei dettagli: Lafuente arrivò a disegnare anche i particolari più minuti. I materiali Julio Lafuente, sin dagli albori della sua carriera, ha avuto una particolare affezione per due materiali: parlo sempre del mattone e del travertino come elementi fondamentali per me.34 La passione per questi materiali risale alla sua fase giovanile, quando arrivò 33 Dall’intervista a Julio Lafuente in Giorgio Muratore, Julio Lafuente..., p. 168 34 Valentì Gomez I Oliver, Pino Scaglione (a cura di), Julio Lafuente. Visionarchitecture, List Laboratorio internazionale Editoriale Barcellona, Barcellona 2007, p. 73
per la prima volta in Italia. L’immagine della Roma antica, tanto cara all’architetto, era racchiusa nelle forme dei due materiali: i colori del mattone e del travertino si ambientavano, secondo Lafuente, in maniera eccellente nella città35. Anche per Collevalenza Lafuente propose l’utilizzo del mattone36. I materiali della tradizione locale erano 35 Lafuente utilizzò molto spesso il mattone e il travertino. Egli riteneva che il travertino fosse particolarmente adatto ad un buon invecchiamento, utilizzabile sia al naturale che trattato lucido. Inoltre l’architetto lavorò molto spesso le forme del mattone, adattandole al contesto e alle esigenze costruttive. Per approfondimenti sulla vicenda cfr. Valentì Gomez I Oliver, Pino Scaglione (a cura di), Julio Lafuente. Visionarchitecture, List Laboratorio internazionale Editoriale Barcellona, Barcellona 2007, p. 73 36 La scelta del mattone fu condizionata da molti fattori. La vicinanza della cittadina di Castel Viscardo (Terni) fu determinante. La composizione chimica dei terreni del piccolo comune, molto vicino ad Orvieto, è da sempre stata ottimale per la produzione di mattoni. Non è infatti casuale la presenza nella zona di numerose fornaci.
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un elemento fondamentale nei progetti dell’architetto37. A Collevalenza la scelta dei materiali richiese più tempo di quello preventivato dall’architetto. Madre Speranza desiderava per il Santuario materiali poveri: non era necessario che fossero presenti oggetti sfarzosi. Inoltre la sua più grande preoccupazione era la manutenzione dei materiali stessi. I membri della congregazione erano soliti occuparsi delle pulizie e della cura degli ambienti: la suora chiese all’architetto di scegliere materiali facilmente lavabili e duraturi, proprio per facilitare le operazioni di ordinaria manutenzione. Lafuente stesso raccontò che Madre Speranza era preoccupata che i mattoni da lui scelti per il progetto non fossero abbastanza lisci e di facile manutenzione38. La suora fu la prima ad essere persuasa dai consigli dell’architetto, ma alla scelta dei materiali parteciparono anche i padri e le consorelle: ci volle tempo per convincere tutti. Fu deciso per materiali semplici e principalmente provenienti dalle zone circostanti il Santuario; nessun materiale di vero pregio come oro, argento o pietre preziose fu utilizzato39. La struttura portante dell’edificio, comprese le fondamenta, è stata realizzata in cemento armato. Il calcestruzzo fu fornito dalle ditte Segni (Colleferro) e Barbetti (Gubbio)40. In particolare il calcestruzzo fornito dalle ditte prevedeva una composizione miLafuente stesso raccontò che le stringenti normative per la progettazione a Roma, lo condussero ad una scrupolosa osservanza di esse e di conseguenza ad una meticolosa attenzione verso l’utilizzo dei materiali del luogo. Ciò è testimoniato dalla delusione provata dall’architetto quando il sindaco di Roma permise a Richard Meyer, vincitore del concorso per la ristrutturazione dell’Ara Pacis, di realizzare un edificio totalmente bianco. Per approfondimenti sulla vicenda cfr. Valentì Gomez I Oliver, Julio Lafuente…, p. 73 38 Sulla vicenda cfr. Julio Lafuente, Documento causa beatificazione Madre Speranza, scheda 00658b, 13/12/1989 39 Paolo Belardi (a cura di), NAU Novecento Architettura Umbria, Il Formichiere, Foligno 2014, p. 177 40 Entrambe le ditte sono ancora operanti nel settore. La ditta Segni di Colleferro è attualmente attiva come “Italcementi”. La ditta Barbetti (Barbetti Materials SPA) è una delle aziende leader in Umbria nella produzione nel settore. 37
sta di rena e cemento41. Per le armature l’Ingegner Calogero Benedetti si servì di un acciaio ad alto limite elastico. Nel panorama dell’edilizia umbra era la prima volta che veniva impiegato un materiale così innovativo e performante: sulla superficie delle barre erano presenti delle particolari nervature. Il ferro nervato permetteva una maggiore adesione (circa il doppio rispetto al ferro liscio) con il calcestruzzo e di conseguenza aumentava i valori di resistenza alle sollecitazioni42. Per i paramenti murari, l’architetto decise di utilizzare il mattone. Venne selezionata la fornace Sugaroni Giuseppe s.r.l. di Castel Viscardo. Gli artigiani realizzarono a mano dei pezzi unici esclusivamente disegnati per il santuario: le cappelle laterali vennero erette utilizzando mattoni dal formato rettangolare 27x13x4 cm, murati con rena e cemento. Per il campanile invece venne prodotto un modello in due misure, 34x17x3 cm 36x36x4 cm, in grado di Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 42 Ing. Adolfo Quaglietti a colloquio con l’autore. 24/12/2020 41
reggere al meglio le sollecitazioni di una struttura così elevata43. I singoli elementi in laterizio vennero trattati con una speciale sabbiatura44. Il rivestimento del basamento della Basilica è stato realizzato con una tecnica di muratura di pietra di S. Terenziano, detta anche pietra d’Assisi. È una pietra caratteristica dell’altopiano di San Terenziano (Gualdo Cattaneo) e si riconosce per le sue tonalità tra il bianco e il rosa. La scalinata esterna si apre a catino sulla piazza antistante il santuario maggiore: è stata rivestita in lastre di marmo rosso di Prodo45. L’architetto gioca con gli spigoli vivi del materiale, mostrandoli con accenni di convergenza degli scalini verso l’ingresso. Tutte le opere in marmo presenti nel 43 Il campanile, realizzato con una tecnica mista in mattoni e cemento, si erge su una base tronco piramidale in calcestruzzo armato; la struttura basamentale si immerge su due lati nella scalinata di accesso, terminando alla quota del primo pianerottolo. 44 Cfr. Giorgio Muratore, Clara Tosi Pamphili (a cura di), Julio Lafuente. Opere 1952-1992, Officina edizioni, Roma 1992, p. 96 45 Pietra calcarea rosa detta Marmo di Prodo, proveniente dalla cava ormai dismessa della Colonnetta di Prodo (frazione di Orvieto molto vicina alla città di Todi). Il marmo di Prodo è stato usato per alcuni mosaici della facciata del Duomo di Orvieto.
santuario furono realizzate dalla ditta “Tessicini” (Lugnano in Teverina, TR)46. La ridotta tavolozza dei materiali è stata fortemente voluta da Madre Speranza. Alla stessa maniera tutti i singoli oggetti di arredo religioso e di decorazione degli spazi vennero scelti e appositamente disegnati con la stessa concezione: nessun materiale di pregio, ma di umile fattura e proveniente dalle zone circostanti. Le porte si aprono sotto al prònao, basse, corazzate di rame, martellate di chiodi in cerchi e linee. La scelta del rame, unito ai decori geometrici, era finalizzata all’idea di riprodurre l’immagine di un grande forziere. All’interno la composizione delle porte è in dogato di faggio massiccio con ferramenta pesante. Ruotano, basculando, su perni sferici47. La pavimentazione interna è stata realizzata anch’essa in Marmo rosso di Prodo, con elementi di dimensione
La ditta Tessicini (TR) è un’azienda leader in Umbria nel settore della lavorazione di marmi e graniti. È attiva dal 1930 e tutt’ora operante. 47 Il rame, soggetto all’azione degli agenti atmosferici, ha assunto la tipica colorazione verde-azzurra. 46
Paramento murario in laterizio, Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli) Dettaglio della decorazione della porta principale della basilica, Collevalenza, 1965. (Archivio Santuario dell’Amore Misericordioso, foto P051,G019, Collevalenza)
40x14cm circa48. Prendendo una singola piastrella è possibile apprezzare il minuzioso lavoro di artigianato compiuto dalla casa produttrice: i lati corti in fase di lavorazione sono stati tagliati in maniera tale da ottenere una bordatura ondulata. Inoltre la disposizione delle lastre disegna cerchi concentrici che, partendo dall’altare, si estendono fino al di fuori della basilica. La geometria di cerchi concentrici fu opera degli artigiani della ditta Tessicini, i quali posarono a mano le piastrelle producendone l’effetto desiderato grazie alle strombature delle fughe. Il marmo rosso di Prodo fu una scelta del progettista: Lafuente, notando la presenza di tale materiale in alcuni palazzi antichi e nel duomo della città di Orvieto, volle riproporlo anche nel Santuario. Per reperire il marmo l’architetto si occupò personalmente delle pratiche 48 La continuità interno-esterno del marmo utilizzato per la pavimentazione rafforza il concetto di un unico grande podio che ospita la basilica. Entrando all’interno del santuario però, i giochi di luce e ombre generati dalle aperture conferiscono alla pavimentazione una sfumatura tendente al rosso. Al contrario, invece, esternamente la luce del sole a contatto diretto con il marmo ne rivela una colorazione tendente al rosa.
per la riapertura di una cava a Colonnetta, nelle vicinanze del lago di Corbara; la qualità del marmo ivi estratto era alta, ma tutte le operazioni di estrazione furono complesse: essendo dismessa da tempo il materiale era spesso rotto e frazionato. Non a caso la cava fu subito richiusa al termine dell’estrazione dei quantitativi necessari previsti da Lafuente49. Nei due ingressi laterali alla grande porta di accesso centrale, sotto due coni di luce, sono collocate le acquasantiere. La pila che contiene l’acqua Santa è un bacino di levigato marmo Pario, poggiato su un piedistallo in pietra grezza, simboli rispettivamente della condizione umana prima e dopo il Battesimo, cioè senza e con la Grazia di Dio. Il fulcro dello spazio è il presbiterio. Tutte le geometrie circolari che caratterizzano l’intero edificio, ruotano attorno a tale spazio. Non a caso, al di sopra di esso si apre il grande lucernario simbolo dell’eucarestia. La centralità di tale spazio è enfatizzata anche dalla pavimentazione Fabrizio Nardi (ditta Tessicini) a colloquio con l’autore. 16/03/2021 49
che, come anticipato in precedenza, si irradia in forme concentriche a partire da esso. Il presbiterio è rialzato di alcuni gradini rispetto allo spazio circostante. I primi due gradini sono in marmo rosso di Prodo, i restanti in marmo Pario. L’area presbiteriale del santuario di Collevalenza raccoglie al suo interno anche ambienti che usualmente occupano collocazioni differenti: infatti nello spazio circolare rialzato dal basamento marmoreo, vi è al centro l’altare maggiore con dietro la sede, a sinistra l’ambone e a destra, su una colonnina,
il tabernacolo. In particolare il tabernacolo, riprende nei suoi elementi le geometrie compositive del santuario: il cono trasparente in vetro resinoso sormontato da una croce, riproduce in scala la copertura del grande lucernario centrale50. Al di sopra del presbiterio, una corona di rame sostituisce il bal-
50 Il tabernacolo, così come altri arredi sacri, fu disegnato dall’architetto Julio Lafuente. Ciò dimostra come l’architetto progettò sia a grande che a piccola scala. Dalla struttura portante dell’opera, fino al singolo arredo. Ciò permette di avere ancora oggi dei pezzi unici nel loro genere.
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dacchino: grande quanto l’intero altare risulta a prima vista sospesa in aria; ventiquattro sottili fili di acciaio discendono dal cono-lucernario superiore e ne garantiscono il colpo d’occhio51. Il grande lucernario conico centrale fu realizzato in acciaio inox mentre i montati delle finestrature e i parapetti tra le cappelle laterali in ferro52. Altri elementi di arredo sacro, come gli altari delle cappelle laterali, furono realizzati in vari tipi di pietra: peperino di Viterbo, peperino laziale, basalto e selce. In particolare l’altare dedicato alle anime del purgatorio è ricavato da due blocchi di peperino rosa di Viterbo, sovrapposti in forma di croce; l’altare dedicato al mistero della nascita di Gesù è un blocco monolitico di marmo Prodo; l’altare dedicato ai SS. Pietro e Paolo presenta invece un dualismo materico: nel sostegno della mensa reca l’evidente riferimento ai due apostoli della Chiesa, simboleggiato il primo da una colonna di nero selcio rupestre, mentre da un pilastro di lucido acciaio il secondo. Infine l’altare maggiore presenta la mensa in travertino romano. Altri elementi di grande pregio, meno visibili per la loro collocazione, sono le campa-
La corona in rame è stata realizzata dagli artigiani della ditta Ermanno Menotti di Roma, su disegno dell’architetto Julio Lafuente. 52 Le opere in acciaio e in ferro furono realizzate da varie ditte: I.T.I. (Amelia), CERASI (Amelia), F.I.A.S. (Pantalla), RUTILI (Fermo).
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ne. Dedicate a Maria SS. Del Pilar, Madonna della Speranza, San Giuseppe, Maria SS. Mediatrice, Cristo Re Amore Misericordioso, furono fuse alla presenza dell’ingegner Benedetti e realizzate in bronzo di solo rame e stagno53. L’ingegner Benedetti disegnò anche la struttura in grado di issarle alla considerevole altezza di 45 metri, in cima al campanile, incastrandole nella particolare struttura a “tonavoce” in calcestruzzo e mattoni.
Le campane furono realizzate dalla ditta “Pontificia fonderia di campane Marinelli” (Agnone), nota per le sue opere di grande pregio diffuse in tutto il mondo. Vale la pena ricordare che la ditta è una tra le più antiche al mondo, con esportazioni in cinque continenti: la più celebre è la campana in cima al monte Sinai (Egitto). In particolare le campane di Collevalenza sono state fuse in lega nobile di bronzo, con ottanta parti rame e venti di stagno. Per issarle sul campanile, con non pochi problemi, furono necessari degli argani speciali. Ivo De Simone (Marinelli Snc) a colloquio con l’autore. 11/03/2021
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Pavimentazione esterna in marmo rosso di Prodo e paramento murario in pietra rosa d’Assisi, Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli) Sagrato della Basilica, Collevalenza, 2021. (Foto Giacomo Serangeli)
Il rilievo
Snapshot della nuvola di punti inquadrata attraverso la funzione “Model Space” (Cyclone program)
Il rilievo laser scanner del complesso religioso di Collevalenza ha prodotto oltre centosessanta scansioni. Il montaggio di queste ha consentito la realizzazione di un modello (visibile nella foto di sinistra) con un errore massimo di misurazione corrispondente a 1,7cm. Gli elaborati grafici consultabili nelle successive pagine, sono il risultato finale del procedimento di lavorazione della nuvola di punti. La creazione di numerosi “Reference Plane” nel programma Cyclone, ha permesso di sezionare la nuvola al fine di esportare le
ortoimmagini di interesse. Quest’ultime sono successivamente state assemblate e ricalcate utilizzando il programma Autocad. Il risultato finale si traduce nella produzione dei classici elaborati grafici: piante, prospetti e sezioni. La certificazione della nuvola di punti nella fase di montaggio garantisce, di conseguenza, l’accuratezza degli elaborati CAD. Per tale ragione la produzione di questi potrà risultare utile in future operazioni di restauro del complesso religioso.
ELABORATO GRAFICO N. 1 Pianta della copertura e sezione di dettaglio della seduta della piazza
ELABORATO GRAFICO N. 2 Pianta della Basilica Superiore
ELABORATO GRAFICO N. 3 Pianta della Cripta della Basilica
ELABORATO GRAFICO N. 4 Pianta orditura delle casseforme del solaio di copertura
ELABORATO GRAFICO N. 5 Prospetto laterale della Basilica
ELABORATO GRAFICO N. 6 Sezione B-B’
ELABORATO GRAFICO N. 7 Prospetto principale, Sezione A-A’
Reportage fotografico
“L’architetto, più che un direttore d’orchestra che non suona nessuno strumento, lo associo ad un musicista in grado di suonarne molti. Forse un edificio bellissimo può essere considerato alla stregua di una buona sinfonia” Julio Lafuente
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Bibliografia
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Indice
Presentazione Professor Lorenzo Ciccarelli
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Introduzione
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La committente Madre Speranza di Gesù Antefatti: la scelta del luogo e dell’architetto Il reperimento delle risorse economiche
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L’architetto Da Madrid a Roma Il percorso verso il Santuario: le opere precedenti
21 21 24
Il progetto e il cantiere Le fasi progettuali e la realizzazione I materiali
29 29 33
Il rilievo
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Reportage fotografico
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Bibliografia
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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze novembre 2021
Il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza (Todi) di Julio Garcia Lafuente è attualmente uno dei poli religiosi più importanti della regione Umbria. Fu commissionato nel 1962 da Madre Speranza, la quale desiderava terminare la sua missione di fede con la progettazione di un grande santuario: divenne noto negli anni successivi grazie al potere spirituale evocato dalla figura della monaca. L’intento di questa tesi è quello di ricostruire le tappe più importanti che hanno permesso la realizzazione dell’opera: dalla vita dei protagonisti entrambi spagnoli, passando per la descrizione delle fasi costruttive, fino allo studio dei materiali utilizzati. Un’indagine storica a tutto campo al fine di dar luce ad un’opera unica nel suo genere, più conosciuta per la figura di Madre Speranza, piuttosto che per la sua pregevole architettura. In conclusione un’importante campagna di rilievi Laser-scanner ha permesso la produzione di elaborati grafici digitali inediti e di elevata precisione. Infatti, al di fuori delle preziose tavole progettuali redatte a mano dal progettista, non esistono disegni tecnici in formato digitale. La produzione di quest’ultimi è volta quindi a favorire futuri interventi di restauro conservativo dell’opera, preservandone la sua integrità nel tempo. Giacomo Serangeli è nato a Foligno (Perugia) nel 1997. Si forma presso l’Università degli studi di Firenze, frequentando il corso di laurea Magistrale in Architettura a ciclo unico, laureandosi con lode nel 2021. La tesi oggetto di questa pubblicazione, con relatore il prof. Lorenzo Ciccarelli, in linea con gli interessi maturati nel corso della sua formazione, ha permesso di focalizzare i suoi studi nell’ambito di storia dell’architettura del novecento.
ISBN 978-88-3338-139-8
ISBN 978-88-3338-139-8
9 788833 381398