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La fortezza nella storia

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Prima Fase

Prima Fase

la fortezza di arezzo. storia di un monumento e del suo territorio

Andrea Sordini

Cenni sull’impianto morfologico-urbanistico della città murata

Da un’analisi morfologica la città di Arezzo si presenta, nella parte intramuraria, come un centro originatosi e diffusosi sul piccolo sistema collinare composto dalle sue due alture principali: il colle di San Pietro, in cui troviamo la Cattedrale e quello di San Donato, dove si colloca invece la Fortezza Medicea. Tutto attorno si dipartono le direttrici viarie che conducono rispettivamente: in direzione nord in Casentino, ad ovest nel Valdarno ed ancora fino a Firenze, a sud in Valdichiana in direzione per Roma ed infine ad est, dove si accentuano lievemente i rilievi, nella Valtiberina. L’espansione di Arezzo nei secoli si è articolata in maniera che la città si sviluppasse fondamentalmente in direzione sud-ovest in forma di semicerchi concentrici facendole assumere quella particolare forma a ventaglio, che, seguendo le curve orografiche, degrada e si dilata dove il territorio presenta un andamento pressoché pianeggiante. Nelle strutture di difesa che si sono susseguite, evolvendosi ed adattandosi alle tecniche belliche dei vari periodi storici, possiamo notare come il cuore strategico e militare si sia sempre attestato nel colle dell’attuale Fortezza Medicea, luogo da cui si dipartivano i tracciati delle varie cinte difensive.

XIII-XIV sec. Palazzi del libero Comune e fortilizi del dominio fiorentino

All’interno della cerchia duecentesca e poi di quella ben più vasta, costruita tra il 1317 ed il 1330 dal Vescovo Guido Tarlati, sulla sommità della città, sorsero le due strutture del governo di Arezzo: il Palazzo del Comune (1232) tra la parte alta di via Pellicceria e l’attuale Piazza Grande, ed il Palazzo del Popolo (1270-78) nell’attuale area del Praticino, oltre alla nuova Cattedrale iniziata nel 1277 sul sito della chiesa di San Pier Maggiore e ad una miriade di palazzi e di edifici di culto1 . Per quanto riguarda l’apparato di difesa della città possiamo affermare che, nonostante tutte le porte cittadine costituissero una pre-difesa, l’arce vera e propria si trovava nella parte più alta di Arezzo, soprattutto quando vi sorsero il Cassero Grande, detto poi Cittadella e il Casseretto o Cassero, sua intima difesa, costruiti dai fiorentini quando Pietro Tarlati, detto Pier Saccone, dovette vendere la città al Comune di Firenze nel 1337, dieci anni dopo la morte del vescovo Guido, suo fratello.

1 Andrea Andanti, Arezzo e le sue mura, in “Punto e Linea”, Notiziario Ufficiale del Comitato Regionale dei Geometri della Toscana, n. 6 novembre 2005, Tipografia Tommasi, Lucca, (pp 20-28).

pagina a fronte Ignoto, Rappresentazione del Cassero e della Cittadella, 1436, Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo.

Ortofoto e schema morfologico della città di Arezzo (elaborazione dell’autore). Al suo interno vi furono inglobati i due emblemi della, fino ad allora, libera potenza civica: il Palazzo del Comune2 con la sua Torre Rossa3 – perché in mattoni – terminata nel 1318 ed il Palazzo del Popolo4, oltre alle case dei Tarlati e ad una miriade di chiese.

2 Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904, Annali Aretini (1192-1343), (p 61 nota 24). “Il vecchio palazzo del Comune, scambiato sempre dai nostri storici con quello del Popolo, fu atterrato quando nel 1539 si costruì la fortezza; sicché oggi non ne rimane alcun vestigi, né può indicarsi precisamente il luogo ch’esso occupava. Per quanto ricavasi da antichi documenti, pare che rimanesse presso l’attuale fortezza, entro la cittadella medioevale, a capo la stada di Pellicceria sulla quale discendeva la sua scalinata. Aveva il portico e nella parte inferiore, nel piano terreno, eravi la curia del potestà, il quale ebbe l’abitazione nel palazzo medesimo fin verso il 1355… A fianco del medesimo si ergeva la «turris Comunis», la quale, per essere tutta quanta di laterizi, fu appellata volgarmente la torre rossa.” 3 Idem, (p 45). “1318…Elevata et alzata est turris Comunis de mattonibus, et facta quedam magna campana Comunis, stetit pulsari non potest quia eius manice sunt torte.” 4 Idem, (p 71 nota 167). “Non molto lungi dal vecchi palazzo del Comune costruito nel 1232, in cima alla via di Sasonia (oggi dei Pileati), presso il luogo ove in antico privasi una porta urbana, era posto il «palatium populi» edificato nel 1278. Che stesse quivi, lo

Il Palazzo del Popolo e quello del Comune, in mano ai fiorentini, erano accessibili soltanto dall’interno della Cittadella, in comunicazione quest’ultima con la città per mezzo di una sola porta ben munita, detta nel Cinquecento del Rastrello, e con il contado tramite Porta S. Angelo a nord e S. Donato ad est. Nella posizione più alta di questa fortificazione, collocato all’incirca nella metà orientale dell’attuale Fortezza Medicea, si ergeva il Cassero, chiamato anche Cassero di Sant’Alberto, dall’omonima porta della cinta tarlatesca o ancora di S. Donato, per la presenza dell’antichissima chiesa di S. Donato in Cremona che venne a trovarsi al suo interno; quest’ultima difesa custodiva il cosiddetto Palazzone, un grande edificio con un’alta torre sormontata da beccatelli5 . I fiorentini, nel 1343, realizzarono un ulteriore presidio: il Cassero di S. Clemente6, a custodia della strada per il Casentino e di quella dei Setteponti sul tracciato della Cassia Vetus per il Valdarno. Si trattò probabilmente di una grande torre costruita sopra la Porta omonima, comunicante con il Cassero e la Cittadella (quando nel 1343, cacciato il Duca di Atene, Arezzo tornerà libera gli aretini manterranno il poderoso sistema militare imposto da Firenze, che servirà alle fazioni che si alterneranno nel governo cittadino). Riconquistata7, quarantacinque anni più tardi, la città venne nuovamente venduta (per la seconda volta) ai fiorentini che la acquistarono per 40.000 fiorini d’oro, mentre Cassero e Cittadella ne costarono oltre 21.000, un particolare quest’ultimo che fa riflettere su quello che rappresentava questo intimo complesso per l’esercizio del dominio, visto anche il fatto che nel 1395 fu ulteriormente potenziato assicurando per tutto il XV secolo un’efficace funzione difensiva8 .

Il nuovo assetto di difesa di Arezzo nel Cinquecento: il fronte bastionato

Il Cinquecento si inaugura nella città di Arezzo con l’urgente necessità di porre mano al proprio apparato militare, ormai non più capace di sopperire a quelle prerogative di difesa nei confronti di un popolo, quello aretino, che proprio nel 1502 muove un nuovo tentativo di ribellione contro il dominio fiorentino9. Un ammodernamento sia tecnico che architettonico che coinvol-

dimostra, oltre qualche altro documento, una memoria del 1323 che leggesi nell’Inventarium bonorum dell’Ospedale del Ponte da cui si ha, che detto ospedale confinava dinanzi colla «via publica sive strata, qua itur a porta s. Spiritus civitatis Aretii ad palatium populi dicte civitatis recto tramite»… gli avanzi di questo edificio «bello e superbo oltre modo», al dir del Rondinelli, si vedevano ancora nel 1786. Oggi non rimane visibile che il bozzato dell’arco di una porta di un muro sottostante alla piccola maestà del pubblico Prato. Il palazzo del popolo servì da residenza ai priori del popolo, i quali dopo l’incendio del palazzo stesso. Si ritirarono altrove. Riparato ch’esso fu nel 1339, vi ritornarono, ed ivi stettero fino quasi al termine del secolo xiv. 5 Franco Paturzo, Gianni Brunacci, La Cittadella Scomparsa, Letizia Editore, Arezzo, 2007, (p 34). 6 Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904, Ricordi di Ser Guido Notaro (1341-1354), (p 84). “...cassarettum, quod erat ad portam sancti Clementis.” 7 Idem, Ricordi di Simo di Ubertino (1376-1384), (p 91). “Memoria che mercoledì notte appresso al dì di 28 de settembre anni mille ccclxxxiiii°, venente el giovedì, el dì di sant’Angelo, entrò in Arezzo Marcho da Pietramala e i suoi consorti colla gente del Sire di Chosì, et intraro per ischale de la porta di santo Cimento al cantone che va a la Fonte Pozzolo, e sciesero de le mura dentro et ispezzaro la porta, et ancho ischalaro in quella ora a la torre che si chiama a l’Alboreto, ch’è tra la porta di santo Lorentino et porta Buia; et il giovedì venente ebbero tutta la terra e il cassero grande, salvo che la torre del podestà…” 8 Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (pp 5-8). 9 La rivolta degli aretini contro i fiorentini durò dal 4 al 25 giugno del 1502: il giorno 7 fu conquistato il Cassero di San Clemente, successivamente, il 17, ebbe inizio l’assedio condotto da Vitellozzo Vitelli, che vide la resa della Cittadella e del Cassero già il giorno seguente. Andrea Andanti, L’evoluzione del sistema difensivo di Arezzo: 1502-1560, in “Architettura militare nell’Europa

pagina a fronte La cortina tra il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, 2006.

ge il sistema difensivo in modo da adattarlo alla nuova concezione militare delle armi da fuoco. Arezzo è la prima città del Granducato ad essere investita da questo rinnovamento: il circuito delle mura viene ridotto, si costruiscono sette baluardi a difesa di otto cortine difensive, di cui quattro di nuova edificazione, quattro porte – una ogni due tratti di mura – e la Fortezza, di forma pentagonale a cinque bastioni, dominante sul punto più alto della città, collocata come ottavo baluardo. Le nuove difese, oltre che per una necessità di sicurezza interna dovuta ai tumulti della città stessa, rientrano all’interno di un più vasto progetto strategico per meglio assicurare il confine del dominio fiorentino verso la Valdichiana e lo Stato Pontificio, come anche quelle di Cortona, Lucignano e Montepulciano, oltre a Sansepolcro, a chiusura del fianco per la Valtiberina. Un piano che, sebbene promosso da Cosimo I, era già stato preparato durante il principato di Alessandro de’ Medici, all’interno di un ammodernamento generale di tutte le fortificazioni dei maggiori centri granducali. Nei lavori ad Arezzo, come primissimo atto, si mette mano alla Fortezza che viene realizzata in due tempi: da Giuliano da Sangallo (1445-1516) a cui si affianca nel 1508 il fratello Antonio il Vecchio (1455-1534), e su un nuovo progetto di Antonio da Sangallo il Giovane (1483-1546) che la porta a compimento, nell’arco di un anno, nel 1540, integrando in essa le parti precedentemente costruite e superstiti all’ennesima ribellione aretina avvenuta nel 152910 . A cavallo tra queste due fasi ha inizio anche la riedificazione dell’apparato delle mura, concepite sulle nuove tecniche balistiche a fuoco adottate per la stessa Fortezza, in un’espressione ancor più massiccia e monumentale. I lavori di ammodernamento vengono completati nel 1560: la spesa per la costruzione della Fortezza è sostenuta dal Governo del Granduca, mentre quella per la cerchia delle mura spetterà alla città, dove l’onere fiscale da corrispondere è appesantito dalla “tassa per la muraglia”, un’entrata che da straordinaria si trasformerà ben presto in ordinaria, andando a foraggiare i lavori per le altre fortificazioni dello Stato.

del XVI secolo”, a cura di Carlo Cresti, Amelio Fara, Daniela Lamberini, atti del Convegno di Studi: Firenze 25-28 novembre 1986, Edizioni Periccioli, Siena, 1988, (p 129). 10 Nell’arco di un trentennio la città insorse per la seconda volta: approfittando della ritirata fiorentina in Valdarno per l’avvicinarsi dell’esercito di Carlo V contro Firenze, gli aretini assediarono tra il 12 novembre 1529 al 21 maggio del 1530 la Cittadella e la nuova Fortezza. La città, però, tornò nuovamente ai fiorentini per gli accordi stipulati tra Carlo V e Clemente VII al secolo Giulio de’ Medici (1478-1534); lo stesso Alessandro fu proclamato prima Signore, nel 1531, poi Duca della Repubblica Fiorentina. Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 13).

La costruzione della Fortezza

Come appena accennato gli interventi sull’apparato militare vedono, cronologicamente, prima la modernizzazione di quelle difese che potremmo definire di altura, cioè di quel sistema che da secoli si era sviluppato sul colle di San Donato, soprattutto come dominio sulla città. Dopo poco più di due mesi dal ripristino della tranquillità, a seguito della rivolta aretina del 1502, viene inviato Giuliano da Sangallo, il quale sappiamo essere rimasto in Arezzo dal 14 al 21 di ottobre, compiendo un sopralluogo e redigendo un progetto di riorganizzazione dell’intero complesso della Cittadella e verosimilmente anche del Cassero. Da Giuliano viene presto inviato il fratello Antonio, detto il Vecchio, con il compito di realizzare “tutto quello che manca e che bisogna per fortificare questa fortezza d’Arezzo”11; viene sicuramente rivisto il progetto del primo e la conduzione dei lavori avviene intorno agli anni 1506-1508, come ci riferisce lo storico Marcattilio Alessi (1470-1546) riguardo al ritrovamento di monumenti etruschi e romani intorno al 1508, nella costruzione della Fortezza, nel “gettare a terra certe mura per edificare di nuovo la rocca”, quando, molti ruderi antichi divengono cave di pietra o impiegati come fondazioni, mentre lapidi romane “furono tutte mandate alla fornace per trarne calcina”12 . Riferibili a questa prima fase costruttiva, l’attuale Fortezza conserva due bastioni: quello detto della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, edificati, entrambi a partire dalla zona ad est del vecchio Cassero, nonché la cortina di collegamento tra di essi. I due bastioni si presentano in una particolare morfologia a cuore, a realizzare i cosiddetti orec-

11 Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 10). 12 Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904: Prefazione, (p V).

pagina a fronte Giovan Battista Belluzzi, Pianta della fortezza di Arezzo, 1552, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale. chioni, che, non allontanandosi particolarmente dalla cortina, su di essa si ripiegano (nel caso del Bastione del Ponte di Soccorso) risvoltando in maniera da alloggiare nella parte concava le bocche da fuoco. La loro caratteristica peculiare, oltre alla tipologia della forma, è il forte impiego del laterizio che dona alle strutture un effetto sia ornamentale che cromatico. La cortina, realizzata in pietrame misto, nella scarpa della muratura, ha una serie consecutiva di archi a tutto sesto in mattoni con l’estradosso coincidente con la cornice in pietra serena modanata a toro, da cui si stacca il paramento in piombo, scandito da altri archi, con lo stesso passo di quelli sottostanti, ma stavolta ribassati e sovrapposti in una serie di ben cinque ghiere l’una sull’altra. Non sappiamo con certezza fino a che stato di avanzamento fosse la Fortezza quando è messa alla prova durante il nuovo assedio, stavolta più prolungato, perpetrato dagli aretini dal novembre del 1529 al maggio dell’anno seguente; vengono operate distruzioni alla nuova struttura e smantellato l’ancora esistente Cassero di San Donato. Successivamente l’incarico per la ricostruzione passa di nuovo nelle mani di un Sangallo, ma stavolta di Antonio, detto il Giovane, nipote degli altri due architetti precedenti ed autore della stessa Fortezza da Basso di Firenze, inviato ad Arezzo dalla Repubblica Fiorentina nel 1534. Con la successione di Cosimo I (1519-1574) si dà inizio, nel 1538, ai lavori delle mura ed il 15 di settembre del 1539 all’attuazione del progetto per al Fortezza, che vede sul campo del cantiere lo stesso Giovanni d’Alessio, detto Nanni Unghero, fidato collaboratore del Sangallo. Viene restaurata la parte superstite già precedentemente realizzata, ricostruendo, in forme nuove lo sviluppo verso la città; la Cittadella è interamente demolita in modo da poterne riutilizzare il materiale e per lasciare libero campo al tiro dei cannoni. Nel gennaio del 1540 i lavori procedono celermente, concludendosi, in poco meno di un anno, il 22 luglio con la costruzione degli altri tre Bastioni: quelli del Belvedere e della Diacciaia, con al centro quello di Spina: un elemento di dissuasione rivolto verso una città, Arezzo, troppo ribelle ed insofferente. Queste nuove difese sono realizzate in maniera più funzionale, perpendicolari alla cortina e fortemente aggettanti da essa, in forme robuste ed interamente in pietra. Non viene impiegato il laterizio e non si attua alcuna rifinitura di carattere estetico, eccezione fatta soltanto per il toro in pietra, demarcazione tra la scarpa ed il muro soprastante in piombo. La divaricazione delle nuove cortine congiungenti i vecchi bastioni con i nuovi si richiude nella cosiddetta Spina, un quinto bastione detto anche puntone per la sua particolare conformazione acuta, minaccioso nella sua solidità che reca nella parte alta lo stemma della famiglia Medici, sebbene attualmente fortemente degradato e mutilato. Dalle intersezioni tra bastioni e cortine viene assicurata la difesa dei fianchi tramite il tiro incrociato dei cannoni collocati all’interno delle troniere, accessibili da camere interne ai bastioni in comunicazione con gli altri capisaldi a mezzo di vani e di corridoi che corrono lungo le cortine.

Osservando la Pianta della Fortezza del Belluzzi (1552) possiamo ascrivere al lavoro di Giuliano ed Antonio il Vecchio la parte campita in rosso, mentre a Sangallo il Giovane quella in giallo di più recente edificazione. Dopo più di quarant’anni dall’ultimazione della Fortezza è realizzata, intorno al 1583, una struttura di rinforzo sotto la parte sud-est, denominata la Tenaglia per la sua particolare morfologia, ma non viene mai completata e cadde presto in rovina, costandole l’appellativo di Fortezzaccia Vecchia che in tante piante troviamo indicato. È possibile che questo intervento porti la firma del grande architetto Bernardo Buontalenti (1536-1608) che, come sappiamo, aveva preparato degli studi riguardanti l’impianto difensivo di Arezzo13 . Ritornando alla fase costruttiva, per quanto riguarda la mano d’opera, essa è reperita nelle campagne: sia per la Fortezza che per le mura i lavori procedono a mezzo delle cosiddette comandate, cioè giornate di lavoro offerte da contadini e braccianti in cambio del vitto. Un’attenzione particolare va però rivolta, anche se in maniera non approfondita, a ciò che viene abbattuto per impiantarvi la Fortezza, sebbene non sia possibile ricostruire con esattezza l’intero complesso della Cittadella e del Cassero, né tanto meno la morfologia dei percorsi al proprio interno. Nota è la demolizione della Torre Rossa e del Palazzo del Comune avvenuta nel novembre del 1539, ma periscono anche tante torri e palazzi, uno tra tutti quello della famiglia Tarlati, e soprattutto moltissime chiese, ha scampo soltanto l’antichissima chiesa di San Donato in Cremona, che diviene a tutti gli effetti il luogo di culto della guarnigione.

13 Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 20).

Il Bastione di Spina, 2006.

pagina a fronte Il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, 2006.

Il Bastione del Belvedere e quello della Diacciaia, 2006. Quando invece, per i nuovi interventi costruttivi, non si attua l’impietosa tecnica del guasto14 , cioè dove non si ritiene conveniente abbattere ciò che vi è in essere, sia nell’edificazione del nuovo fronte bastionato, che per i muri in rilevato della Fortezza, si procede all’interramento ed al rialzamento dei piani di quota. Questo è il motivo per cui alcune architetture, o parti di esse, sono giunte pressoché intatte fino ad oggi. Restauri e scavi, a volte del tutto fortuiti, hanno riportato alla luce una profusione di manufatti: dalla Porta Sant’Angelo (1991) fino alle più recenti scoperte di bastioni sepolti, mura in opera ciclopica, mosaici romani e la Chiesa stessa di San Donato in Cremona di cui sono affiorate le fondazioni e la cripta. Per avere una descrizione degli ambienti di cui la Fortezza si compone dobbiamo fare riferimento ad un documento redatto nel 174915 e che, sebbene non coevo all’età della costruzione, ci fornisce informazioni piuttosto dettagliate. L’intera opera viene dotata di fossato che rende il complesso ancora più massiccio e severo; ad essa si accede tramite l’ingresso principale a nord-ovest, munito di un ponte levatoio su otto arcate, e chiuso da un portone in legno e ferro e da un rastrello, incardinato su guide laterali, azionabile dall’alto da due grosse carrucole. È presente anche un’altra apertura, la Porta del Soccorso, situata a nord-est verso la campagna anch’essa dotata di ponte mobile e la Porta Segreta, di modestissime dimensioni, collocata nel Bastione del Belvedere nell’immediata adiacenza di quest’ultimo con la cortina. Le mura hanno un circuito di 1150 braccia e sopra a ciascuno dei cinque bastioni vi è un casino per la sentinella, coperto da lastre di piombo, mentre sopra all’ingresso principale e sul Bastione di Spina è in forma di loggetta con copertura in tegole e coppi. All’interno di ogni bastione trovano spazio le “piazze base” con le relative troniere per l’alloggio dei cannoni e dotate di ben diciotto camini di volata, veri e propri pozzi luce che garantiscono anche il ricambio dell’aria dopo la combustione. Sulla sinistra entrando nello spazio aperto troviamo il lungo corpo di fabbrica adibito agli ufficiali e ai soldati, nonchè la sala d’arme, mentre, sul lato sinistro, vi è il quartiere del capitano e in adiacenza l’alloggio del cappellano. Di fronte, oltrepassata la cisterna, si colloca la Chiesa di San Donato il cui ambiente sottotetto è adibito a deposito di legnami, mentre a lato vi è il magazzino dell’artiglieria. Sul lato delle caserme sono presenti anche due botteghe: una per il macellaio e l’altra per il fabbro.

14 Daniela Lamberini, La politica del guasto: l’impatto del fronte bastionato sulle preesistenze urbane, in “Architettura militare nell’Europa del XVI secolo”, a cura di Carlo Cresti, Amelio Fara, Daniela Lamberini, atti del Convegno di Studi: Firenze 25-28 novembre 1986, Edizioni Periccioli, Siena, 1988, (pp 219-240). 15 Ragionamento dei lavori dell’artiglieria e fortificazioni d’Arezzo. ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, filza 548, fascicolo IX, anno 1747.

Odoardo Warren, Pianta della fortezza di Arezzo, 1749, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

pagina a fronte Foto aerea della Fortezza dal lato nord-est: in primo piano (da sinistra) il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso.

Decadenza delle fortificazioni: il progressivo disarmo della Fortezza

Nonostante il ripristino della Fortezza, durante la prima fase (1641-44) della cosiddetta Guerra del Ducato di Castro (tra Papa Urbano VIII ed il Duca di Parma, alleato con Venezia, Modena e Firenze, che si conclude nel 1649 con l’annessione del feudo viterbese allo Stato Pontificio16), sappiamo, da un resoconto di pagamenti del 1634, che era già iniziata una certa graduale dismissione della struttura tramite una cospicua riduzione dell’organico al suo interno che annoverava soltanto: un castellano, quattro bombardieri e diciannove soldati. Successivamente, per oltre tutto il XVII secolo, la città gode di un particolare periodo di pace durante il quale nel 1737 avviene il cambio della famiglia regnante17: i territori granducali, infatti, passano agli Asburgo-Lorena con Francesco Stefano (Francesco II, 1708-1765). Con la morte di Francesco Maria e del nipote ed erede diretto, Ferdinando, la sorte di casa Medici va nelle mani dell’unico maschio rimasto, quel Giovanni Gastone (1671-1737), fratello dello stesso Ferdinando e di Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina, che assisterà al passaggio delle consegne. La decisione sul possesso del Granducato è stabilita a Vienna già nel 1735: sancita la fine della

16 Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (pp 21, 34). 17 La Nazione, La grande storia della Toscana, vol II, “Dal Cinquecento all’Unità d’Italia”, Bonechi Editore, Firenze, 2006, (pp 28-30, 36-39).

Guerra di Successione Polacca con l’assegnazione a questa nazione del Ducato di Lorena, la diplomazia europea presente prevede per lo stesso Duca di Lorena, allora regnante e rimasto spodestato, la futura eredità toscana. Degli anni successivi sono altri documenti di sopralluoghi e relazioni sullo stato degli armamenti ammalorati da sostituire e su lavori manutentivi da compiere alla Fortezza di Arezzo. Nel 1661 viene rimosso il ponte levatoio dalla Porta del Soccorso, mentre altre carte di contabilità denunziano una sempre maggiore destinazione agraria dell’intera struttura a scapito di quella più propriamente militare18 . Con l’avvento dei Lorena viene affidato al Colonnello Odoardo Warren il compito di rendere nuovamente efficiente la Fortezza annoverandola tra quelle fortificazioni che, con riferimento a quella di Arezzo, “Sua Maestà Imperiale [h]a ordinato che si converrebbe armata…”19, come leggiamo nella relazione dello stesso Warren a corredo dell’ottimo rilievo delle fortificazioni aretine, redatto, insieme alle altre Città e Fortezze del Granducato, nel 1749. Ma questa volontà non si concretizza: l’area centrale viene concessa in affitto per la messa a dimora della coltura del gelso e vari ambienti interni alla Fortezza sono impiegati come depositi ed alloggi per una fabbrica di lana da poco impiantatasi in città. Finalmente nel 1782 il Granduca Pietro Leopoldo ne decide la completa dismissione e, una volta soppresso il presidio militare, la Fortezza, è messa in vendita venendo acquistata il 25 ottobre dell’anno successivo dalla famiglia Gamurrini che trasforma l’intera proprietà in fondo agricolo.

18 Franco Paturzo, La Fortezza di Arezzo e il Colle di San Donato dalle origini ad oggi, Letizia Editore, Arezzo, 2006, (p 108). 19 Odoardo Warren, Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Gran Ducato di Toscana, 1749, copia anastatica a cura di Francesco Guerrieri e Luigi Zangheri, Edizioni S.P.E.S. Studio Per Edizioni Scelte, Firenze, 1979, (p 123).

L’occupazione napoleonica e le distruzioni

Nel novembre del 1798, appena quindici anni dopo la vendita della Fortezza, Ferdinando III (17691824), succeduto nel 1791 al padre Pietro Leopoldo salito nel 1790 al trono austriaco, ne riprende il possesso preoccupato dalle mire espansionistiche di Napoleone verso il quale non avrà mai un atteggiamento inimicante ed ostile, quanto di prudenza e di apertura. Di diverso sentire è invece la città, e soprattutto i ceti più poveri esasperati dalla presenza francese vista come un popolo non portatore di libertà e diritti ma come un despota: un esercito invasore che ha come ordine espresso del Direttorio di “non lasciare nulla in Italia di quello che si può trasportare o che può essere utile”20 . Nel maggio del 1799 si sviluppa la ribellione contro le truppe francesi che hanno occupato l’intera regione. Arezzo è la prima città ad insorgere con i cosiddetti moti del “Viva Maria”: la Fortezza viene riattivata ed una riorganizzazione improvvisa di difese coinvolge tutte le mura e le porte; ma ciò non basterà. Le truppe napoleoniche entrano in città da Porta San Lorentino, nell’ottobre del 1800, saccheggiando e devastando. Come gesto punitivo, il 26 di ottobre, viene minato il Bastione del Belvedere che si spacca letteralmente in due parti, quello del Ponte di Soccorso, le cui lesioni portano in vista le camere interne e quello della Chiesa, anch’esso gravemente mutilato. Nel novembre dello stesso anno i francesi insorgono all’interno della Fortezza e, a scopo punitivo, fanno saltare in aria gran parte degli edifici presenti danneggiando irrimediabilmente l’antica chiesa di San Donato in Cremona. È questo l’episodio che innesca la perdita della quasi totalità degli edifici presenti all’interno

20 Antonio Bacci, Viva Maria! Storia in ottava rima dell’insurrezione aretina nel 1799 contro i francesi con una nota introduttiva, Grafiche Calosci, Cortona, 1999, (dalla nota introduttiva pp 3-28).

pagina a fronte Jacopo Gugliantini, Pianta e sezione del corpo di fabbrica adibito a quartiere per ufficiali e soldati. Jacopo Gugliantini, Pianta e sezione trasversale della Chiesa di San Donato in Cremona, 1801.

del circuito della Fortezza, consegnandoci, da ormai due secoli, un sistema in gran parte muto. Presso l’Archivio di Stato di Firenze è presente una documentazione preziosissima redatta dall’Ing. Jacopo Gugliantini nel tra il 1801 ed il 180621 in occasione della stima per il rientro in possesso da parte della famiglia Gamurrini dell’intera proprietà; in essa troviamo dettagliato ciò che era presente nella Fortezza al momento della sua vendita e ciò che invece viene riconsegnato. I danni maggiori sono rappresentati dai tre bastioni già citati, dove “l’apertura di grandi brecce pone in pericolo altre porzioni di muraglia restata sciolta”; partendo poi dall’ingresso, risulta mancante il sesto arco del ponte mobile e “atterrato” il grande camino del corpo di guardia oltre a quasi tutte le spallette a parapetto lungo il coronamento di ronda. Le vigne e gli orti “sono devastate per il taglio sulla massima parte delle piante e per essere la loro superficie ricoperta da cementi di terracotta e di sassi avanzati dalle diroccate fabbriche ivi comprese; si trovano proprio atterrati tutti i fabbricati che possono considerarsi in numero di sette cioè: il casino del proprietario, la casa dell’ortolano, la chiesa, la torre, la cisterna e il casino di delizia sul bastione di spina.” È redatto anche un progetto di ripristino da parte degli stessi francesi, ma non viene mai realizzato. Insieme agli altri edifici elencati è irrimediabilmente danneggiata l’antica chiesa di San Donato in Cremona che successivamente viene abbattuta, andando perso con essa l’affresco di Bartolomeo della Gatta presente sulla lunetta. Come accennato precedentemente, questa chiesa è stata l’unica ad essersi salvata nella costruzione della Fortezza, diventandone il luogo di culto della guarnigione e venendo elevata a parrocchia nel 1645 con patronato spettante al Serenissimo Granduca. Come illustrato anche nella pianta redatta dal Gugliantini essa si compone di un’aula a tre navate con volte a crociera poggianti su sei colonne in pietra. Nel presbiterio vi è una tribuna coperta da una cupola ornata da stucchi, come l’altare sottostante a tre gradini dotato di ciborio, e sono presenti anche altri tre altari laterali. Nella parte retrostante la tribuna si colloca la sacrestia e al di sotto un ambiente voltato anch’esso a crociera su due colonnette centrali e in comunicazione con il bastione adiacente. Nel pavimento della chiesa sono presenti nove fosse granarie, oltre ad un ossario, mentre nel sottotetto vi è uno stanzone lungo 40 braccia e largo 15, accessibile da una scala esterna coperta con una tettoia su cavalletti, e destinato a deposito dei legnami. Durante le devastazioni attuate dall’esercito napoleonico l’edificio subisce una prima mutilazione negli ambienti della sacrestia a seguito dell’esplosione dell’orecchione del bastione limitrofo, dove crolla parte della cortina esterna e 20 braccia di volta interna, successivamente viene gravemente danneggiato a colpi di mine insieme agli altri edifici presenti.

21 Fogli relativi alla Fortezza di Arezzo. ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, filza 2046, fascicolo XX, anno 1806. “Addì 16 Gennaio 1801. Io Jacopo Gugliantini Ing. Deputato dall’Ill.mo Sig. Vicario Regio di Arezzo, per dare i necessari schiarimenti ai SSig. Ingegneri Gaetano Berciagli, Pietro Conti e Lui(gi) Sgrilli, in occasione di doversi eseguire la stima della Fortezza di Arezzo. Attesto che la detta Fortezza rispetto alle Fabbriche interne all’epoca che dal Nobile Sig. Direttore Niccolò Gamurrini fu consegnata alle Truppe delle Bande, era nello stato che dimostrano le piante, e Disegni qui sopra delineati”.

pagina a fronte Umberto Tavanti, planimetria dell’ingresso in Fortezza e sezioni trasversali sul fossato (ASA, Ufficio Tecnico, filza 55, c 475r).

Dalla trasformazione in pubblico passeggio ai giorni nostri

Ancora sotto il dominio napoleonico, tra il 1807 ed il 1809, viene colmato l’avvallamento tra la Cattedrale e la Fortezza, realizzando, a sbarramento contenitivo, il muraglione al termine di via dei Pileati, punto in cui la direttrice della Ruga Maestra, l’attuale Corso Italia, scendeva nel dislivello tra i due rilevati uscendo dalle mura trecentesche per Porta San Biagio. Su questo nuovo terreno pianeggiante si realizza il primo parco pubblico cittadino che subito prende il nome di Prato; si tratta di una zona ellittica successivamente impiegata per gli spettacoli delle corse dei cavalli, mentre i terreni limitrofi continuano ad essere concessi in affitto come coltivi. Nel 1816, terminata l’occupazione francese, la Fortezza torna ai legittimi proprietari che ne riprendono l’utilizzo come fondo agricolo; a seguito dei danneggiamenti subiti è molto probabile che si decida di abbattere gli edifici presenti, compreso ciò che resta della chiesa di San Donato in Cremona. Rimane in piedi soltanto la porzione trasversale, destinata a casa colonica, facente parte di un edificato originariamente ben più vasto adibito ad alloggio di ufficiali e soldati, a cui si aggiunge il cosiddetto casino Fossombroni sul Bastione di Spina realizzato, nelle forme attuali, dal suo nuovo proprietario. È infatti Vittorio Fossombroni a subentrare nel possesso della Fortezza, che ormai è un podere, utilizzandola come personale luogo di villeggiatura. Gli anni successivi vedono il ritrovamento di una cisterna romana (1872) nei pressi del prato, subito ricoperta, e la sciagurata demolizione di resti di mura romane e pavimenti in mosaico, nonché di un baluardo medievale. Con la costruzione del nuovo cimitero urbano continua l’opera demolitiva di resti archeologici antichi, mentre il successivo ampliamento, con la realizzazione del cosiddetto Golgota – un’opera di forme futuriste – rimodella il terreno nei pressi dei bastioni e delle cortine di nord-est compreso il livello di imposta del ponte mobile alla Porta del Ponte di Soccorso. Nel 1893 la Fortezza, ormai in completo abbandono, viene donata dal conte Enrico Vittorio Fossombroni al Comune di Arezzo tramite lascito testamentario a beneficio della città. Nel 1896, su progetto dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale Umberto Tavanti, viene attuato il riempimento del fossato ancora esistente con l’interramento dei pilastri e archetti in muratura su cui poggiava la passerella del ponte mobile. Durante tali opere di movimento terra affiorano svariati resti archeologici che purtroppo sono prontamente demoliti a forza di mine per il loro “scarso valore, trattandosi di fondazioni, e per la loro difficoltà di mantenimento” 22 . Viene inoltre realizzato il viale rettilineo in asse con l’accesso in Fortezza a prosecuzione dell’asse minore dell’ellisse del Prato, oltre ad una ricca piantumazione di lecci, platani, tigli e aceri. Del 1900 sono alcuni lavori di manutenzione e risanamento soprattutto alle volte della galleria di ingresso con successiva rimozione del portone in legno che viene sostituito con un cancello in ferro

22 Passeggi pubblici e piante. ASA, Ufficio Tecnico, filza 55 (antica segnatura n. 82), affare n. 11, (cc 426v-488r).

con cartiglio riportante la data 1904 anno in cui la Fortezza è aperta ai cittadini come “pubblico belvedere”. Una prima fase di lavori realizzati tra il 1906 e i 1907 rende percorribile il camminamento sugli spalti lungo le cortine e nei bastioni della Diacciaia, della Spina e del Belvedere, mentre gli altri due sono inseriti successivamente nel completamento del progetto nel 1910; la parte centrale viene invece riservata come campo da giochi per il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II che si accolla per intero l’onere di spesa. È del 1926 il progetto (non realizzato), sempre a firma dell’Ing. Umberto Tavanti, per la trasformazione del cosiddetto casino Fossombroni, in “una loggetta di tipo artistico coevo al fortilizio mediceo”, che avrebbe previsto l’apertura di grandi luci sulla muratura, trasformando il manufatto sommitale al Bastione di Spina in una sorta di padiglione panoramico aperto sulla città. Per quanto riguarda l’area attigua del Prato, nel 1927 viene approvato un nuovo progetto di trasformazione redatto dall’Arch. Giuseppe Castellucci, l’anno successivo è inaugurato il monumento a Francesco Petrarca, ad opera dello scultore Alessandro Lazzerini, e nel 1932 il paesaggista Pietro Porcinai è incaricato per il verde. All’alba del secondo conflitto mondiale Prato e Fortezza sono destinati nuovamente a fondo agricolo come orto di guerra. Su progetto datato dicembre 1942 i locali interni alla cortina tra il Bastione del Belvedere e quello della Chiesa vengono adattati a rifugio antiaereo. Dalla contabilità del lavori, redatta nel dicembre dell’anno successivo dall’allora Ing. Capo Donato Bizzelli, si evince quanto viene realizzato: sono tamponate le arcate esterne in luogo di aperture quadrangolari di modeste dimensioni accessibili da un trincerone scavato in aderenza alla muratura e i vani interni sono collegati tramite passaggi realizzati sullo spessore dei muri trasversali.

Per la particolare collocazione altimetrica rispetto alla città, la Fortezza è sfruttata anche come riserva idrica: già nel 1920 viene creato un piccolo serbatoio a servizio del vicino ospedale, successivamente nel 1945-46 sono utilizzati gli ambienti interni ai bastioni della Spina e della Diacciaia (circa 600 mc) fino ad arrivare, negli anni ’60 del secolo scorso, alla costruzione dell’enorme cisterna, a pianta quadrata, all’interno dello spazio centrale e della capienza di oltre 10.000 mc. Con questo intervento tutto ciò che poteva essere rimasto sepolto nei secoli viene improvvisamente ed irrimediabilmente perso. Nonostante i documenti ci riportino gli esiti negativi di saggi eseguiti prima dell’inizio dei lavori (a progettazione comunque già avvenuta) sappiamo che gli scavi realizzati nel 1964 si rivelano molto più complicati e la spesa molto più onerosa di ogni previsione per la presenza di una percentuale molto elevata di sostruzioni e rocce da mina contro una minima parte di terreno di riempimento. Il materiale di risulta viene poi riversato sia a copertura del nuovo manufatto in cemento armato che su tutta l’area centrale rialzando fino a tre metri il livello originario. Parlando di quelle opere che sono state custodite con l’interramento, perché ai tempi della costruzione della fortezza non se ne rese necessario l’abbattimento, un esempio tra tutti è il ritrovamento della Porta di Sant’Angelo in Arcaltis facente parte della cinta muraria trecentesca. Portandoci infatti sul Baluardo della Diacciaia si nota come la cortina muraria trecentesca si arresti su di esso, e come le nuove costruzioni cinquecentesche si trovino ad un livello maggiore rispetto a quelle precedenti. Trovandoci poi su un ambiente rialzato da terrapieni era plausibile anche l’ipotesi che l’ingresso nell’Arezzo del Tarlati, nei pressi del Monastero di Sant’Angelo, si fosse potuto trovare ancora nella sua integrità. E ciò è avvenuto: nel maggio del 199123 durante i lavori di restauro del baluardo torna alla luce la porta, dotata di avancorpo, e composta da un altissimo arco cieco a tutto sesto con conci in arenaria perfettamente squadrati all’interno del quale si apre – in basso – il fornice ribassato di passaggio e sovrastato da un’edicola con piedritti in mattoni e copertura in lastre di pietra aggettanti. Dapprima sono emersi i tre stemmi, posti nel Cinquecento da Cosimo I dei Medici, e successivamente la statua dell’Arcangelo Michele: un’opera in arenaria, originariamente policroma, delle misure di circa 1,5 metri di altezza per 1 di larghezza, sorprendentemente ben conservata. Faceva parte anch’essa, insieme alle tradizionali Madonne col Bambino24, del ciclo di immagini sacre che furono poste nel 133925 sopra le maggiori porte urbane di Arezzo discostandosi, però, per

23 Aldo Funghini, Importantissima scoperta archeologica nella Fortezza Medicea di Arezzo, in “Notiziario Turistico di Arezzo”, n° 177-78, Edizione, 1991, (pp 10-11). 24 Alessandro Del Vita, Le statue della Beata Vergine delle antiche porte di Arezzo, in “Arte Cristiana”, rivista mensile, Milani Alfieri & Lacroix, 1918, (pp 58-61). 25 Nel 1339, sui principali ingressi in città, erano state poste immagini in pietra a grandezza naturale raffiguranti la Vergine Maria con il Bambino, come voto della città a scongiurare il ritorno della peste; dagli Annali Aretini sappiamo infatti che quell’anno fu tremendo per le tempeste, le inondazioni ed i terremoti che si registrarono, nonché per la grave carestia che colpì duramente Arezzo. Alcune di queste opere sono oggi esistenti e conservate: presso il Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo, una nella Chiesa di San Domenico, una presso la Sede della Banca Popolare dell’Etruria e un’altra all’interno della loggia del Palazzo Comune.

unicità del soggetto poiché patrono della stessa famiglia Tarlati. L’episodio del ritrovamento della Porta Sant’Angelo e le scoperte documentate nei decenni passati, insieme a quelle recentissime, sono indicative della ricchezza di stratificazioni e di storia presente all’interno della Fortezza e sul Colle di San Donato in generale. Un patrimonio che attraversa i secoli e di essi ne è l’espressione: dai segni dell’impianto urbano antico all’espansione della città, dall’Arezzo libero Comune al dominio di Firenze. Mutamenti urbanistici e politici che vedono la Fortezza sia come protagonista delle vicende storiche, ma anche come – nei tempi più recenti – la grande dimenticata.

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