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I ritrovamenti archeologici

fortezza medicea di arezzo: le indagini e le scoperte archeologiche (2008-2017)

Hermann Salvadori- Silvia Vilucchi

La Fortezza Medicea di Arezzo fu edificata alla metà del XVI secolo sul Colle di San Donato, sul quale, come sul vicino colle di San Pietro (ora sede del Duomo), in origine separati da una sella oggi non più percepibile per i successivi interri (zona del Prato), nacque e si sviluppò l’antica Arretium. Anche per l’eccezionale rilevanza storico-archeologica del luogo, dunque, nell’ambito dell’attuazione del progetto di recupero e riqualificazione della Fortezza Medicea di Arezzo promosso dall’Amministrazione comunale, l’allora Soprintendenza Archeologia della Toscana, successivamente Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo (settore Archeologia) ha proceduto al controllo di tutti i movimenti terra, effettuando saggi esplorativi preliminari e scavi stratigrafici in profondità e in estensione, che hanno portato alla scoperta, in particolare di due aree archeologiche monumentali, rispettivamente presso il bastione della Chiesa e nel settore tra il bastione del Soccorso e quello della Diacciaia1 . Si fornisce in questa sede un sintetico resoconto dei risultati d’indagine fin qui raggiunti, essendo gli studi e la ricerca ancora in corso.

Gli ampi movimenti terra condotti all’interno della Fortezza a ridosso delle mura perimetrali e dei bastioni, condotti con uso di mezzi meccanici e alcune verifiche e approfondimenti con interventi manuali, per i quali si è proceduto ad un attento controllo con costante assistenza archeologica, hanno messo in luce numerosi e importanti elementi strutturali che sono la testimonianza, nella diacronia, delle vicende storiche del sito. Tra questi almeno tre, meritano di essere ricordati. La prima evidenza è stata identificata di fronte al bastione della Spina, nella porzione sud ovest della Fortezza in cui sono stati messi in luce i resti di un bastione lobato parzialmente collassato. La sua presenza può essere riconducibile alla prima fase edilizia medicea degli inizi del XVI secolo,

1 L’assistenza alle indagini archeologiche e la redazione della documentazione sono di Hermann Salvadori; per l’intervento del 2008 di Ada Salvi; per alcuni interventi del giugno 2012 di Francesca Guidelli. L’assistenza e la documentazione per gli interventi archeoantropologici sono di Erika Albertini, la direzione scientifica di Silvia Vilucchi. Per la Soprintendenza, assistenza tecnica di Gianluca Scotti; interventi conservativi di Franco Cecchi; per il settore geologico Pasquino Pallecchi. Altri interventi conservativi di Nadia Barbi. Direzione Lavori di Maurizio De Vita, Mauro Senesi, Cristiana Lenti, Mauro Torelli. Impresa esecutrice dei lavori M.B.F. S.p.A. Esecuzione Laser Scanner GeoPos di Franco Peruzzi, elaborazioni di Noemi Secci. Le immagini sono del Ministero per i Beni e le Attività Cultuali e del Turismo

pagina a fronte veduta della Fortezza dall’alto

Planimetria della Fortezza con indicazione delle due aree archeologiche

ovvero alla costruzione della fortezza di Giuliano e successivamente Antonio Da Sangallo il Vecchio iniziata nel 1503 e danneggiata dalle rivolte degli aretini intorno al 1530 (Tafi 1978, p. 267). Si deve, probabilmente, ai danneggiamenti riportati della struttura la scelta, nel 1534, di ripristinare e riedificare la Fortezza di Arezzo con la forma che vediamo ancora oggi. La seconda evidenza è localizzata nell’area corrispondente, all’incirca, con l’ingresso principale della fortezza. Sono stati riportati alla luce un bastione e un tratto di mura che per tecnica costruttiva sono riferibili al bassomedioevo. Particolarmente rilevante da un punto di vista interpretativo è la presenza di una cannoniera ricavata nel lato nord del bastione che confligge con le tecniche di guerra del bassomedioevo; non è escluso che anche in questa zona durante i rifacimenti dell’inizio del XVI secolo siano state sfruttate come fortificazione le strutture preesistenti applicando solo modifiche parziali. Tra il bastione del Soccorso, e il bastione della Diacciaia, è stata messa in luce una struttura muraria in pietre legate da malta con numerosi elementi di riutilizzo di età antica. La struttura ha andamento nord-sud, si conserva in elevato per circa m 1,20, ha uno spessore di m 1,80 ed è lunga circa m 12. La tecnica costruttiva e del paramento murario e i rapporti stratigrafici consentono di collocarla cronologicamente tra X e il XII secolo e rappresenta, insieme alla chiesa di San Donato in Cremona l’evidenza medievale più antica riportata alla luce. Nell’area antistante il bastione della Chiesa, con un primo saggio esplorativo eseguito nel 2008, dove la pianta redatta da Odoardo Warren del 17492 mostra il complesso della chiesa e dei suoi annessi, sono stati acquisiti i dati necessari per la progettazione dell’intervento archeologico in estensione e in profondità3 .

2 Cfr. Tafi A. 1978, Immagine di Arezzo, Arezzo, pp. 267-274, Andanti A. 1988, Le fortificazioni si Arezzo (secolo XIV-XVI), Arezzo. 3 Cfr. Vilucchi S. 2009, Arezzo. Saggio archeologico esplorativo presso il Bastione della Chiesa della Fortezza Medicea, in Notiziario Toscana 5, 2009 [2010], pp. 284-285.

Si è così verificato come almeno alcune delle strutture attinenti all’edificio (un ossario in mattoni del tipo “ad arca” voltato a botte, due silos granari e tre basi di pilastri), risultassero conservate alla profondità, rispetto alla quota di calpestio dell’area interna della Fortezza a quel momento, di circa m. 4,50. L’interro era costituito per più di m. 3 da materiale di risulta dell’enorme scasso praticato nell’area centrale della Fortezza negli anni ’60 del secolo scorso per la costruzione della grande cisterna idrica, che ha coperto il livello d’uso e di frequentazione dei primi del ‘900. Un limitato saggio in profondità ci ha rivelato inoltre la presenza di una stratigrafia sottostante che conservava resti ceramici di età etrusca arcaica (frammenti di bucchero e impasto, un frammento di kylix forse d’importazione) ed ellenistica (frammenti di ceramica a vernice nera). La chiesa di San Donato in Cremona è nota dalle fonti documentarie fin dal 10984, fu danneggiata irreparabilmente dai Francesi in ritirata nei primi anni dell’800 e successivamente abbattuta e obliterata. Dopo la rimozione del consistente interro su ricordato, partendo dalla quota di calpestio degli inizi del XX secolo, si è dato corso alle indagini archeologiche, svolte in più fasi a partire dal 2012, che hanno portato alla messa in luce della chiesa e all’individuazione (seppur ancora in forma parziale) delle varie fasi costruttive e di frequentazione del luogo. L’edificio, con orientamento est-ovest, presenta una lunghezza di circa m. 25 e una larghezza di m. 10; l’aula è divisa in tre navate da pilastri, di cui si sono rinvenuti i resti dei basamenti. Le mura perimetrali (spesse oltre m. 1) risultano costruite a sacco con il paramento in blocchi squadrati di calcare, la cui zona di approvvigionamento più prossima è identificabile nella collina di San Fabiano, posti in opera in modo orizzontale regolare, e sono conservati per un’altezza accertata di almeno m. 1,20.

Elementi strutturali identificati in fase di movimento terra

4 Cfr. Pasqui U. 1937, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, R. Deputazione di Storia Patria Firenze, 1937, vol. III, p. 285.

Veduta dell’area archeologica della chiesa Ossario dell’angolo nord est con scala di accesso alla cripta Veduta della cripta La facciata, così come i piani pavimentali (comprese le probabili lapidi funerarie presenti) della chiesa, sono stati demoliti e asportati contestualmente alle fasi di distruzione e rasatura dell’edificio. L’indagine ha rivelato la presenza, nell’angolo nord ovest e in quello sud ovest della chiesa, di due tagli di forma subcircolare interpretati come il risultato dell’attività di distruzione tramite la tecnica della mina5 effettuata dalle truppe francesi agli inizi dell’800. Gli approfondimenti di scavo hanno poi rivelato i resti della facciata, che risulta fortemente spoliata, con asportazione del materiale costruttivo lapideo fin quasi a livello della fondazione. Nelle navate, a confermare quanto riportato nella planimetria redatta dall’ing. Jacopo Gugliantini nel 18016 , sono presenti sette delle “nove buche per conservarvi il grano”, silos granari del tipo ‘a fiasco’ costruiti in mattoni legati da malta, intonacati all’interno, con imboccatura in pietra serena sagomata, che si apriva nel pavimento della chiesa, ultimo baluardo difensivo all’interno della Fortezza. Lo svuotamento e il successivo consolidamento di uno dei silos ha permesso di constatare che il manufatto era stato messo in opera contro terra: il riempimento costituito per lo più da macerie, ha restituito un capitello in pietra serena probabilmente relativo agli elevati interni dell’aula. Ad est le navate sono chiuse dal muro nord-sud del presbiterio, che doveva essere rialzato, come indica la presenza di due gradini (cfr infra). Nella navata destra, appoggiato al muro perimetrale sud della chiesa è stato messo in luce e documentato l’ossario visto nel 2008, che si presenta come una struttura di forma rettangolare di m. 2,70x 2,15, realizzata in laterizi e coperto da volta a botte: la struttura, realizzata sicuramente dopo il 1801, dovette comportare l’asportazione dei silos presenti. Nell’angolo nord est dell’aula, tra il muro perimetrale nord e il muro presbiteriale, è risultato presente un ossario realizzato dopo la tamponatura della porta nord di accesso alla cripta (cfr infra), e utilizzando lo spazio, perimetrato sul lato sud da una spalletta in pietra, della scala in pietra che scendeva verso la porta citata.

5 Cfr. Rupi P.L. 1998, La Fortezza Medicea di Arezzo, Prato, 1998, p.66. 6 Cfr. Archivio di Stato di Firenze, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, in Giustini M. 2013, S. Donato in Cremona: chiesa madre di Arezzo?, in «Notizie di Storia», n. 29, Anno XV, Giugno 2013, p. 5 fig. 2

All’angolo opposto dell’aula, tra il muro perimetrale sud e il muro presbiteriale, è stata identificata un’apertura che consente di accedere, attraverso una sorta di ‘corridoio’, a una struttura di forma quadrangolare (m. 0,80 x 0,80). Il corridoio è dotato di un pavimento a mezzane disposte secondo un modulo (la fascia centrale è disposta in orizzontale e quelle laterali verticalmente) a cui si accede attraverso uno scalino. L’approfondimento di scavo ha consentito di identificare la struttura come un punto di attingitura dell’acqua dalla chiesa, da collegare con la cisterna/pozzo presente nella cripta (cfr infra). Una porzione dell’elevato dell’abside semicircolare, costruita in blocchi squadrati di calcare, è risultata inglobata nel muro perimetrale della Fortezza cinquecentesca. Il settore orientale della chiesa, tra il muro presbiteriale e l’abside, ha rivelato la presenza di consistenti macerie edilizie , la cui asportazione ha consentito di portare in luce la cripta sottostante, non nota né documentata in precedenza. La cripta, perfettamente conservata per un’altezza di più di m. 4, fino all’attacco delle volte a crociera distrutte al momento dell’abbattimento della chiesa agli inizi del XIX secolo, di forma quadrangolare, ha una superficie di circa mq. 67 e presenta sul lato est un’abside quadrangolare. L’ambiente conserva gran parte del piano pavimentale in lastre irregolari di pietra serena con qualche frammento di laterizio; nella zona absidale sono stati identificati due lacerti di pavimentazione in cocciopesto. La cripta conservava in situ nella zona centrale due colonne probabilmente in parte di riutilizzo da edifici di età romana: quella nord in pietra serena su base quadrangolare in pietra i cui angoli sono decorati con motivi vegetali stilizzati, quella sud di granito con base modanata di marmo (per rinvenimento di elementi architettonici analoghi in Fortezza7 .

Esempio di chiesa con cripta e presbiterio rialzato Pianta della cripta

7 Guidoni G. 1996, Arezzo. La Fortezza, in Un quinquennio di attività della Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel territorio aretino (1990-1995), a cura di S. Vilucchi, P. Zamarchi Grassi, A.M.A.P., Arezzo, pp. 15-17.

Parete ovest della cripta Aula della chiesa: fase di sepolture di XIV-XVI secolo

Il paramento murario è realizzato con bozze regolari di calcare e conserva otto dei dieci capitelli su cui s’impostano, come sulle colonne centrali, le volte a crociera che coprivano la cripta e sostenevano il pavimento del soprastante presbiterio rialzato. Nel lato sud dell’ambiente sono visibili due aperture: la prima, a sud est, è una finestra strombata realizzata in laterizi e poi intonacata che per caratteristiche tecniche e materiale sembra essere contestuale alla realizzazione della fortezza medicea; la seconda, nei pressi dell’angolo ovest dell’ambiente, è dotata di scalini e sembra essere riconducibile a un accesso esterno. In corrispondenza dell’angolo nord del muro presbiteriale (perimetrale ovest della cripta) è evidente la presenza di un’apertura tamponata, al di sotto della quale è visibile una ‘fodera’ in laterizi e un elemento litico che sporge dal paramento nord: elementi riferibili alla presenza di una scalinata, poi asportata, che consentiva l’accesso alla cripta dall’interno della chiesa.

Elaborazione da laserscanner della sezione est ovest della cripta

Dalla parte opposta del muro presbiteriale, è stata messa in luce un’apertura parzialmente tamponata in cui sono visibili tre scalini in pietra. Il rapporto stratigrafico tra il muro ovest della cripta, corrispondente al muro presbiteriale dell’aula superiore, indica che questo è stato messo in opera posteriormente, rispetto ai muri perimetrali cui si appoggia, forse riferendosi soltanto a fasi costruttive in successione nell’ambito del medesimo cantiere. Al fine di acquisire dati storico-archeologici sulle fasi costruttive ed insediative del sito, sono stati effettuati saggi di approfondimento stratigrafico sia nell’aula della chiesa (settore orientale prossimo al muro presbiteriale), che nella cripta (6 saggi) e all’esterno della chiesa lungo il muro perimetrale sud. Nell’aula della chiesa lo strato identificato sotto i livelli di demolizione è caratterizzato da una grandissima quantità di ossa umane frammentate e sconvolte rispetto alla giacitura primaria; ed è relativo ad una fase di vita della chiesa, che, sulla base dei materiali ceramici recuperati e delle caratteristiche delle deposizioni, risulta piuttosto ampio, compreso tra la fine del XIV e il XVII secolo. L’indagine tafonomica eseguita sulle sepolture presenti all’interno dell’aula della chiesa ha permesso di recuperare resti scheletrici pertinenti a 11 individui in connessione anatomica rinvenuti in 6 tombe: 4 sepolture singole primarie e 2 collettive la cui deposizione è stata progressiva e scaglionata nel tempo. La stratigrafia deposizionale evidenzia un lungo periodo di utilizzo dell’aula della chiesa come luogo di sepoltura; quasi tutti i giacimenti funerari, infatti, sono stati rimaneggiati (per la rideposizione di nuove inumazioni o a seguito di ridefinizioni strutturali dell’edificio di culto). Tutti gli inumati sono deposti con lo stesso orientamento cranio-caudale ovest-est e con il corpo in posizione supina. Il decorso post-deposizionale dei resti ha evidenziato differenze nella tipologia sepolcrale: si possono distinguere tre deposizioni in semplice fossa terragna, due in fossa con delimitazione del perimetro sepolcrale definito dalla presenza di pietre monolitiche e tre in cassa lignea. Alla fase di risistemazione dell’area della chiesa in età medicea dev’essere riferita anche l’area cimiteriale identificata all’esterno del perimetrale sud, caratterizzata dalla presenza di almeno tredici avelli in laterizio coperti da lastre di pietra. L’area sepolcrale è suddivisa in due zone da una struttura muraria (con andamento ovest-est) e le

Aula della chiesa: fornace da campana

strutture tombali sono state edificate a coppie, ogni coppia si trova a una quota diversa seguendo un andamento degradante verso est. L’indagine stratigrafica di una delle tombe ha confermato che si tratta di avelli realizzati in laterizio organizzati su due livelli mediante tre mensole in pietra passanti. É stata documentata la presenza di sette individui all’interno della struttura, sulle tre mensole che scandiscono il livello superiore sono presenti porzioni di connessioni anatomiche riferibili ad un unico individuo mentre nel livello inferiore sono presenti ossa sparse (solo in due casi sono state identificate connessioni anatomiche parziali) riferibili almeno a sei individui. Tale evidenza ha fatto ipotizzare che questa tipologia di strutture sepolcrali svolgesse il duplice ruolo di deposizione (nel livello superiore) e ossario nel momento in cui era necessario collocare un nuovo deposto nel livello superiore. Non è da escludere che, date queste caratteristiche, possa trattarsi di una tomba di tipo familiare che spiegherebbe le parziali connessioni anatomiche documentate sul fondo dalla struttura. Tracce materiali della fase riguardante le trasformazioni dell’edificio ecclesiastico in epoca medicea, oltre agli elementi strutturali (realizzazione dei silos, obliterazione del vano di accesso nord/est alla cripta per trasformarlo in ossario, apertura laterale nel perimetrale sud, tamponatura dell’accesso a nord/est del muro presbiteriale, finestra strombata identificata nel perimetrale sud in corrispondenza della cripta e soprattutto il muro che trasforma la chieda da absidata ad aula rettangolare), sono testimoniate dalla distruzione della fornace da campana identificata nella navata centrale, parzialmente asportata dal silos posizionato tra i due pilastri collocati di fronte al muro presbiteriale. La fornace da campana si presenta come una struttura semicircolare costituita da pareti di sedimento termotrasformato e fondo in pietre arrossate da attività di cottura di cui sono stati documentati

vari livelli costituiti da lenti di carbone e un taglio che ne definisce il canale di combustione, i materiali rinvenuti negli strati di obliterazione la collocano in un orizzonte cronologico databile alla seconda metà del XIV inizi XV sec. La presenza di una fornace da campana, che viene fusa all’interno della chiesa prima della messa in opera del tetto8, identifica un intervento di rifacimento dell’edificio. La fornace s’imposta infatti su spessi strati di innalzamento e livellamento (che presenta numerosi frammenti ceramici residuali di età antica) funzionali a un netto cambio di quota all’interno della struttura riferibili cronologicamente al tardo XIII- XIV secolo. Il periodo storico di riferimento per la realizzazione di tali interventi coincide con il passaggio della

Esterno del lato meridionale della chiesa: area cimiteriale Aula della chiesa: fase di sepolture di XI-XII secolo

8 De Marco M., Vilucchi S. 1996, Castelfranco di sopra. Badia a Soffena, in Un quinquennio di attività della Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel territorio aretino (1990-1995), a cura di S. Vilucchi, P. Zamarchi Grassi, A.M.A.P., Arezzo, pp. 114-117

Aula della chiesa: accumulo di blocchi di calcare e frammenti di terrecotte architettoniche relativi alla fase ellenistica

Cripta, angolo sud ovest: sistema di canalette e struttura di piena età imperiale romana

Fortezza in mano fiorentina avvenuto intorno alla metà del XIV secolo per mano di Pier Saccone Tarlati; nella documentazione conservata sono attestati sostanziali interventi di rifacimento ad opera dei fiorentini9. Alla stessa fase sono da riferire le aperture di accesso alla cripta presenti nel muro presbiteriale e la posa in opera del pavimento della cripta come testimonia l’assenza di materiale posteriore alla seconda metà del XIV secolo nello strato di preparazione al pavimento stesso. Al di sotto del livello di rialzamento descritto, un’ulteriore fase di sepolture, in giacitura primaria, obliterato dagli strati di innalzamento e livellamento. L’analisi antropologica preliminare dei resti identificati ha permesso di rilevare la presenza di 7 individui adulti e 4 subadulti, di identificare i resti, ancora in giacitura primaria, di due ulteriori individui subadulti e la presenza di almeno altri due soggetti adulti che non è stato possibile portare in luce a causa delle tempistiche di cantiere. Il materiale ceramico recuperato consente di datare questa fase all’XI-XII secolo (confermata dalla presenza numerosi frammenti di forme aperte e chiuse di ceramica a vetrina sparsa); è rilevante notare che tutti gli strati che identificano questa fase sono posteriori sia ai perimetrali dell’edificio che al muro presbiteriale al muro presbiteriale, essendo quindi deposti quando l’edificio era già in

9 TAFI 1978, op. cit. p. 267

opera nelle forme ancora conservate, confermando il dato documentario che ricorda la chiesa di San Donato in Cremona fin dal 1098. Un approfondimento stratigrafico effettuato fino alla profondità di m. -2,80 circa dal piano della chiesa, nel settore est dell’aula presso il muro presbiteriale, ha portato in luce (seppur in modo limitato) strutture e livelli di età ellenistica. In particolare è emerso un consistente accumulo di blocchi di calcare di grandi dimensioni, che pur non costituendo una vera struttura, presenta un allineamento in senso nord-sud e un conoide di crollo con pietre di minor dimensione e frammenti di terrecotte, in direzione est. I blocchi erano frammisti a sedimento a matrice argillosa caratterizzato dalla presenza di numerosi frammenti di intonaco in disfacimento e frammenti di lastre architettoniche fittili, anche con tracce di colore azzurro, consistenti in frammenti di sima con baccellature, lastre con decorazione a stampo con girali ed elementi vegetali, che trovano confronti con decorazioni fittili di edifici templari del II secolo a.C. del territorio10 . Resti e livelli di età antica sono emerse anche nei saggi realizzati all’interno della cripta, ed in particolare nella zona sud est lungo la parete meridionale, dove sono stati messi in luce un complesso sistema di canalette e una struttura muraria ad esse collegata. La struttura ha andamento nord-sud, è realizzata in pietre e si conserva in elevato solo per 35-40 cm.; sul lato sud è stata asportata dal taglio di fondazione della cripta. I materiali rinvenuti nei livelli di contesto sembrano riportare alla piena età imperiale. Le canalette hanno tutte andamento nord est-sud ovest e, per quanto è stato possibile determinare dalle ristrette dimensioni dei saggi, convergono in direzione sud ovest, in corrispondenza dell’ambiente ipogeo (cisterna/pozzo?) con accesso dalla cripta stessa e dall’aula superiore.

Planimetria e veduta dall’alto dell’edificio di età romana

10 Cfr. Strazzulla M. J. 1977, Le terrecotte architettoniche nell’Italia centrale, in Caratteri dell’ellenismo nelle urne etrusche, Atti dell’incontro di studi Università di Siena 28-30 aprile 1976, Firenze, pp.41-49; Maetzke G. 1996, Un’ipotesi ricostruttiva del piccolo teatro del Santuario di Castel secco, in A.M.A.P. LVIII, pp. 271 ss.; Maec 2005, Il Museo della città etrusca e romana di Cortona. Catalogo delle collezioni, Firenze 2005, pp. 271 ss.

Nel tratto compreso tra i bastioni del Soccorso e il bastione della Diacciaia, con l’asportazione di grandi accumuli di terra che avevano rialzato il piano di calpestio di questo settore della Fortezza, è venuto alla luce parte di un edificio di età romana, straordinariamente conservato alla fase di distruzione e di abbandono. Posizionato su un terrazzamento sul lato nord del Colle di San Donato, l’edificio presenta un orientamento nord ovest- sud est e conserva, per quello fin qui verificato, tre vani, di cui due con pavimento musivo e resti di intonaco parietale dipinto. L’ambiente sud (m. 10 x 7), un’ampia aula con accesso dal lato breve est, al di sotto di livelli di abbandono e dello strato di crollo della copertura laterizia, presenta un piano pavimentale in mosaico di fattura raffinata con decorazione “a nido d’ape” composto di esagoni delineati con tessere nere su fondo campito con tessere bianche, in ottimo stato di conservazione. L’ambiente a nord ovest (conservato per un’estensione di m. 4 x 2,5) mostra la presenza di un tappeto musivo con decorazione “a stuoia” con rettangoli delineati a tessere nere su fondo a tessere bianche disposti attorno ad un quadrato centrale campito in nero. Il mosaico mostra numerose fratture e lesioni, probabilmente dovute anche alla messa in opera a metà del XVI secolo del vicino muro difensivo con grandi arconi, tra il bastione del Soccorso e quello della Diacciaia. Ma il pavimento già in antico fu oggetto di interventi di rifacimento, come mostra un’integrazione in cocciopesto sul lato ovest dell’ambiente, che conserva un’apertura con soglia in pietra sul lato nord. Il terzo ambiente, a nord est (di cui non è possibile valutare l’estensione), non è stato ancora indagato nella sua interezza, ma il limitato saggio eseguito non ha rivelato la presenza di pavimentazione a mosaico. Le strutture murarie rinvenute sono realizzate in pietre e scaglie di arenaria legati da argilla e conservate in elevato per circa m. 0,50 e presentano tutte uno spesso intonaco parietale dipinto. I numerosi frammenti di intonaco rinvenuti in stato di crollo mostrano una decorazione pittorica in color rosso, giallo, verde e bruno su fondo bianco. I piani pavimentali rinvenuti sono attribuibili all’età augustea-inizi dell’età giulio claudia (fine I a.C. - decenni iniziali I d.C.) e trovano confronti stringenti, tra l’altro, con i mosaici della villa dell’Ossaia di Cortona11 .

La sequenza stratigrafica identificata con l’indagine ha fatto ipotizzare che gli elevati fossero realizzati in argilla cruda pressata, messi in opera su uno zoccolo in muratura. Un consistente livello di argilla frammista a rari frammenti d’intonaco disfatto, copriva infatti il crol-

11 Bueno M. 2011, Mosaici e pavimenti della Toscana. II secolo a.C.-V secolo d.C., Roma, pp. 108-115.

lo della copertura fittile in tutta l’estensione dell’ambiente sud, ad eccezione di una lunga e stretta fascia centrale in cui le tegole e i coppi crollati erano a diretto contatto con la pavimentazione musiva, rivelando come probabilmente gli elevati fossero collassati dopo la caduta del tetto. Ad eccezione della fascia centrale citata, lo strato di fittili copriva uno strato molto organico e ricco di carboni che costituiva lo strato di abbandono dell’ambiente e che ha sigillato il piano pavimentale musivo. Lo scavo ha inoltre portato in luce elementi strutturali che attestano almeno una seconda fase edilizia e di utilizzo dell’aula, forse con diversa funzione, di piena età imperiale, con la messa in opera, direttamente sul piano pavimentale, nel settore ovest dell’ambiente, di un’abside semicircolare (conservata per un’ampiezza di circa m. 3) e nella fascia centrale in questa fase ancora non indagata. Dopo l’abbandono e l’obliterazione dell’edificio, probabilmente in età altomedievale, sulla rasatura del muro perimetrale est della grande aula, la sepoltura di un inumato (di cui si conservano solo gli arti inferiori) deposto con una lunga spada in ferro disposta sul corpo longitudinalmente. La fondazione, tra X e XI secolo, della possente struttura muraria messa in luce a est dell’edificio, ha intaccato solo parzialmente la soglia di accesso all’ambiente ovest. Più impattanti risultano le evidenze medievali e postmedievali riferibili ai cantieri di edificazione delle mura trecentesche e della Fortezza medicea. Sono state, infatti, identificate almeno due attività di taglio che hanno intaccato la porzione nord dell’edificio, i cui materiali rimandano a un orizzonte cronologico compreso tra il XIII e i XIV secolo a cui sono associati numerosi frammenti ceramici residuali di epoca tardoantica e romana. Nella zona sud, invece, un grande taglio di forma sub-circolare riempito da sedimento termotrasformato di colore rosso e caratterizzato dalla presenza di pietre bruciate e, in percentuale minore, di coppi e tegole, sembra sia riferibile ad una grande calcara che, pur non intaccando il piano musivo, ne ha scurito le tessere. Durante le attività di movimento terra che hanno permesso l’identificazione dell’edificio con mosaici descritto, nello spazio compreso tra il 3° e il 4° pilastro del muro difensivo ad arconi verso il bastione della Diacciaia, è stata identificata la camera di combustione di una fornace che presenta la superficie interna completamente vetrificata dal contatto diretto con il fuoco. Per la struttura, ancora in corso d’indagine, non è al momento possibile formulare alcuna ipotesi né sulla tipologia del materiale prodotto, né sulla sua cronologia.

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