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Prima Fase
from La Fortezza di Arezzo: restauro e rivelazioni di un momento | Maurizio De Vita (a cura di)
by DIDA
2007-2011: studi, progetti e interventi di restauro delle cortine perimetrali della Fortezza di Arezzo
la prima fase del restauro della fortezza di arezzo: il restauro delle cortine murarie (2007-2011)
Maurizio De Vita
Le attività e le valutazioni che si riferiscono all’avvio delle attività di restauro che hanno in più anni interessato la Fortezza di Arezzo ha visto operare, sia nella fase di studi e di elaborazione progettuale che nei diversi momenti operativi, figure diverse da quelle che poi hanno partecipato alle attività del restauro degli ambienti e spazi interni della fortezza. Qui di seguito si vogliono riportare il senso, le scelte, gli esiti di questa prima fase affidandone la descrizione, la rendicontazione scientifica di quelle attività che sono andate a comporre il quadro complesso del percorso restaurativo, sempre pluridisciplinare, sempre diverso, sempre rivelatore di risposte inattese. I paragrafi che seguono fanno anche da premessa a contributi più specialistici per legarne le sequenze e per essere comunque stato ed essere sempre il restauro una disciplina che vive di una interazione culturale e tecnica scientificamente alta coesa per metodo ed intendimenti condivisi. Progettazione, conduzione delle attività ed esiti trovano quindi qui lo spazio che si deve alle ragioni del coordinamento, alle principali scelte restaurative, alle risposte della materia in forma di “diario minimo di cantiere”1 .
Le premesse, questioni di metodo e le fasi principali del progetto di restauro
L’avvio del progetto di restauro delle cortine murarie ed i bastioni della Fortezza di Arezzo ha dato luogo ad una prima sequenza di attività che hanno composto, integrandosi, un necessario e complesso percorso della conoscenza. Tale percorso è progetto esso stesso ed è parte di tutto il percorso progettuale che trova in esso non solo, cosa evidente, la base di avvio di ogni scelta, ma che soprattutto non rappresenta un “prima” ma un “durante” di ogni progetto e cantiere di restauro che, per essere tali, sono ricerca e confronto critico con la Storia. Le attività, in sintesi, sono state le seguenti: • avvio di ricerche storiche da fonti edite ed inedite e prosecuzione delle stesse per tutta la durata del percorso conoscitivo per poter verificare ed incrociare le risultanze delle indagini indirette con quelle direttamente desumibili dall’analisi delle parti del manufatto e da questo nel suo insieme; • definizione dei criteri di rilievo delle cortine, esecuzione e restituzione dei rilievi stessi con tecniche tradizionali e con tecniche avanzate;
1 Una prima rendicontazione del restauro delle cortine murarie della Fortezza di Arezzo è in M. De Vita Il Restauro lapideo. Le mura della Fortezza di Arezzo, Firenze 2012. Da questa pubblicazione sono tratti alcuni paragrafi di questo saggio.
pagina a fronte Foto aerea della Fortezza a restauri delle cortine murarie ultimati
• definizione dei criteri restaurativi, delle scelte e delle tecniche da adoperare sia in ordine ai restauri specialistici che alle opere strutturali finalizzate al consolidamento di parti interessate da dissesti. L’elaborazione dei criteri di metodo e dei passaggi operativi del restauro delle cortine lapidee si è rivelata di particolare complessità a fronte delle numerose problematiche legate alle tante componenti materiche e tante forme di degrado presenti. Occorre dire che particolarmente delicata ed attesa, anche e soprattutto da parte dell’Amministrazione comunale, era la definizione dei criteri restaurativi e degli interventi sui tre bastioni fatti esplodere dalle mine napoleoniche. Tale insolita realtà poneva infatti sia complessi problemi di carattere strutturale ma anche interrogativi legati ad eventuali “ricostruzioni” o “completamenti in stile” peraltro fin dall’inizio esclusi anteponendo a questi le necessità del consolidamento delle parti ancora in essere. • scelte relative alla redazione del progetto soprattutto in ordine alla chiarezza espositiva degli elaborati sia in accordo con le norme e leggi vigenti che per una efficace cantierizzazione delle opere stesse, coerente con le premesse teoriche e di metodo, utile e predisposto per gli aggiornamenti che il cantiere di restauro spesso prevede in ordine ad analisi, prove, campionature, successivo monitoraggio ed archivio.
Note storiche2
Le vicende cinquecentesche: la distruzione della cittadella medioevale e la costruzione della Fortezza La Fortezza di Arezzo, costruita nel punto più alto della città, il colle di San Donato, chiude verso nord-est il circuito difensivo urbano dominando tutto il territorio aretino, edificata laddove presenze preromane e romane e soprattutto la cittadella medioevale era stata ubicata con palazzi, torri ed un tessuto denso e ricco in buona parte se non in tutto sacrificato alla realizzazione di questa importante fortificazione cinquecentesca. Nell’ottobre del 1502, per volere dei Medici fu inviato ad Arezzo Giuliano da Sangallo che delineò un progetto di riorganizzazione dell’intero complesso della Cittadella e verosimilmente anche del Cassero medioevali per inglobarli nella più ampia fortezza che si voleva erigere. Successivamente vi si recò il fratello Antonio, detto il Vecchio, con il compito di perfezionare e rivedere il progetto del primo; la conduzione dei lavori avvenne intorno agli anni 1506-1508. L’incarico per l’ampliamento della Fortezza passò successivamente nelle mani di Antonio da Sangallo detto “il Giovane“, nipote di Giuliano e di Antonio il Vecchio, autore della stessa Fortezza da Basso di Firenze, inviato ad Arezzo dalla Repubblica Fiorentina nel 1534. Nel gennaio del 1540 i lavori procedevano celermente concludendosi in poco meno di un anno.
2 Si veda, per quanto riguarda un più esteso e dettagliato resoconto delle vicende storiche della Fortezza, il saggio di A. Sordini in questo stesso volume
pagina a fronte Il Bastione del Soccorso prima dei restauri
Decadenza delle fortificazioni: il progressivo disarmo della Fortezza Sappiamo, da un resoconto di pagamenti del 1634, che era già iniziata all’epoca una certa graduale dismissione della struttura. Con l’avvento dei Lorena venne affidato al Colonnello Odoardo Warren il compito di rendere nuovamente efficiente la Fortezza ma questa volontà non si concretizzò e nel 1782 il Granduca Pietro Leopoldo ne decise la completa dismissione e, una volta soppresso il presidio militare, la Fortezza, fu messa in vendita venendo acquistata il 25 ottobre dell’anno successivo dalla famiglia Gamurrini che trasformò tutto in fondo agricolo.
L’occupazione napoleonica e le distruzioni ottocentesche Nel novembre del 1798, appena quindici anni dopo la vendita della Fortezza, Ferdinando III (17691824), succeduto nel 1791 al padre Pietro Leopoldo salito nel 1790 al trono austriaco, ne riprese il possesso preoccupato dalle mire espansionistiche di Napoleone. Nel maggio del 1799 si sviluppò la ribellione contro le truppe francesi che avevano occupato l’intera regione. Le truppe napoleoniche entrarono in città da Porta San Lorentino, nell’ottobre del 1800, saccheggiando e devastando. Come gesto punitivo venne poi minato (26 ottobre) il Bastione del Belvedere, spaccato letteralmente in due parti, e successivamente quello del Soccorso nonché quello della Chiesa. Nel novembre dello stesso anno i francesi demolirono, all’interno della Fortezza, gli edifici adibiti a magazzini e danneggiando irrimediabilmente l’antica chiesa di San Donato in Cremona. Nel 1896, su progetto dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale Umberto Tavanti, venne attuato il riempimento del fossato ancora esistente con l’interramento della passerella del ponte mobile poggiante su pilastri ed archetti in muratura.
Il novecento fra abbandono e distruttive costruzioni Le cronache novecentesche riferite alla Fortezza di Arezzo testimoniano un sostanziale silenzio e distacco della città, degli studiosi, degli operatori di settore dalla Fortezza, lasciata ad un progressivo abbandono. Tale distacco fu, unitamente alla mancanza di un percorso conoscitivo e restaurativo, all’origine della decisione dei primi anni novanta di ubicare al centro della Fortezza un deposito per l’acqua in cemento armato formato da un parallelepipedo con lati di circa quaranta metri ed una profondità di circa otto metri, parzialmente interrato. La terra scavata per realizzare tale serbatoio, ancora oggi attivo fu sparpagliata all’interno stesso della Fortezza rialzando la quota originaria della piazza d’armi di più tre metri alterando così le caratteristiche costruttive e distributive della Fortezza interrando peraltro numerosi locali posti all’interno dei bastioni e a ridosso delle cortine interne. La condizione di abbandono e sostanziale lontananza della città e degli abitanti dalla fortezza è perdurato fino al momento in cui l’Amministrazione comunale con le attività e gli interventi dei quali qui si dà notizia, consegnando agli studi ed ai progetti poi portati a compimento un manufatto in avanzato stato di degrado sia per quanto riguardava le cortine esterne che per gli spazi aperti e gli ambienti interni.
Criteri e tecniche di rilievo3
Le attività collegate al rilievo sono state delineate di concerto fra i responsabili della ricerca per avviare, sia da un punto di vista concettuale che procedurale ed operativo, una fase fondamentale della conoscenza che doveva restituire in modo analitico i dati dimensionali e qualitativi delle cortine murarie e delle sue parti, dei conci, dei giunti, dei litotipi e delle relative condizioni di degrado. La realizzazione dei rilievi con tecniche avanzate che di seguito sono specificate ha portato ad acquisire un numero elevatissimo di informazioni che sono state determinanti nella redazione degli elaborati bi e tridimensionali. Le ortofoto e la documentazione fotografica generale e di dettaglio sono stati quindi strumenti dinamici estremamente importanti per le indagini sullo stato di conservazione dei materiali per le possibilità che hanno offerto di fare riscontri di assoluta precisione fra le notazioni di campagna e le
3 Si veda, per quanto riguarda le attività di rilievo il saggio di G. Tucci, che tali attività ha delineato, coordinato e diretto, in questo stesso volume
valutazioni congiunte di sede. Ritornando ai diversi momenti delle fasi di rilievo sono state avviate, fin dall’inizio della fase di acquisizione delle informazioni, le operazioni di rilevamento delle cortine murarie della Fortezza procedendo con l’applicazione di tecniche di misura integrate (GPS, topografia classica, sistemi a scansione, fotogrammetria). Di tale percorso, sia sul piano del metodo, dei riferimenti scientifici e per gli aspetti operativi con specifico riferimento alla campagna di rilievi della Fortezza di Arezzo, come già accennato, si tratta esaustivamente in altra parte di questo volume. Una ultima notazione in merito al rilievo della Fortezza ed alla sua restituzione è riferita ad una tecnica rappresentativa messa in opera per questa esperienza come per altri studi ed interventi in campo restaurativo. Per parti significative che si possono definire “campionature estese” del paramento è stata realizzata la vettorializzazione della tessitura muraria, il “ridisegno” accurato in scala appropriata di ogni parte ed elemento. Ogni singola pietra, bozza angolare, inserto decorativo è stato ricalcato dalle ortofoto, come detto, per porzioni significative e selezionate delle cortine murarie. Questa modalità di rappresentazione amplifica di fatto la comprensione delle modalità e delle stratificazioni costruttive, delle modificazioni, delle riparazioni, delle tessiture, di quanta materia fu riutilizzata (a seguito della distruzione delle preesistenze medioevali ad esempio) e quanta estratta, lavorata e posata per l’occasione. La stessa individuazione delle forme di degrado e dei dissesti annotata con indagine visiva diretta e successivamente trasferita e verificata sulle ortofoto, una volta riportata su questi elaborati grafici da “ridisegno” hanno rivelato davvero molto sia in merito a degrado e dissesti stessi che, soprattutto, alle loro cause.
Le prime indagini chimico-fisiche sui materiali lapidei
Di seguito alla definizione e realizzazione della mappatura delle parti del paramento, del degrado e dei dissesti rilevati si sono avviate analisi petrografiche ed indagini chimico-fisiche, con particolare riferimento ai materiali lapidei (quindi ai conci e lastre di pietra ma anche alle parti in laterizio) come delle malte usate per la realizzazione dei giunti, dei materiali di addizione e su tracce o lacerti di intonaco evidenziatisi sul paramento stesso. Tali indagini, finalizzate anche alla definizione esecutiva delle tecniche restaurative, sono state esplicitate, tanto per le modalità e criteri di attuazione quanto per le risultanze delle stesse, su relazioni tecniche illustrate con le immagini ed i grafici propri di questo genere di attività, quali immagini al microscopio, tabelle relative alle caratteristiche meccaniche dei materiali ecc. Gli esiti delle prime indagini ed analisi fisico-chimiche condotte sui materiali che costituiscono le cortine murarie della Fortezza di Arezzo4 sono state indagini-guida che hanno fornito le informazioni preliminari confluite nelle scelte di base del progetto di restauro ed alle quali hanno fatto seguito le
4 Queste indagini preliminari sono state condotte dal Laboratorio Materiali lapidei e Geologia applicata all’Ambiente e al Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze, coordinato dal Prof. Carlo Alberto Garzonio e condotte dalla Dott.ssa Emma Cantisani.
analisi puntuali eseguite dopo il montaggio dei ponteggi estesamente su tutte le cortine e bastioni, riportate più avanti in questo volume5 . Tal indagini chiarivano che la struttura muraria della Fortezza di Arezzo è realizzata prevalentemente in litotipi sedimentari; ad un primo esame autoptico sono state riconosciute diverse litotologie quali arenarie a diverso contenuto di materiali argillosi (litologia prevalente), alberese, pietra paesina ecc. In alcune aree tali litotipi sono stati utilizzati in associazione con mattoni. I principali fenomeni di alterazione a cui tutti i materiali, con diversa intensità, apparivano sottoposti erano collegabili a processi di alterazione biologica con sviluppo di macroflora e microflora che aveva trovato, ad esempio, nella ”arenitizzazione” dell’arenaria il terreno fertile per il proprio sviluppo. Erano inoltre presenti fenomeni di alterazione differenziale e formazione di croste sulle arenarie. Il diverso contenuto di minerali argillosi aveva influenzato fortemente il grado di alterabilità delle arenarie a causa del loro dilavamento che aveva innescato la decoesione del materiale. In generale i processi di degrado delle arenarie apparivano legati alle caratteristiche mineralogicopetrografiche e fisiche del materiale per cui il tipo di matrice, la quantità di cemento, il tipo di minerali argillosi erano ed in genere sono i parametri fondamentali da valutare per comprendere le forme di degrado dei materiali. Per la caratterizzazione dei diversi litotipi è stato effettuato un primo prelievo di 10 campioni, rappresentativi delle diverse litologie utilizzate nella realizzazione della struttura. I campioni sono stati analizzati con diverse metodologie analitiche presenti nel Laboratorio di Analisi dei Materiali dell’Università degli Studi di Firenze allo scopo di determinarne le caratteristiche mineralogiche petrografiche e fisiche. Tali ricerche sono state svolte nell’ottica della ricostruzione delle relazioni esistenti tra materiali utilizzati e loro tessitura e per lo studio delle relazioni esistenti tra litotipi e materiali di fondazione. Per quanto riguarda un primo studio dei fenomeni di degrado si è effettuato il prelievo di 10 microscaglie e polveri soprattutto in relazione allo studio dei diversi tipi di patine da sottoporre ad analisi chimiche mineralogiche di dettaglio allo scopo di individuarne la natura e valutare le tecniche di rimozione più adatte. Nel caso di distacchi incipienti si è effettuato il prelievo di campioni per verificarne le caratteristiche fisico meccaniche e le relative condizioni di stabilità. In seguito al rilievo di dettaglio è stata verificata la presenza di resti di intonaco su alcune porzioni della struttura, anche in questo caso è stato realizzato il prelievo di campioni, sotto forma di microscaglie e polveri da analizzare per via chimico-mineralogica. La campagna preliminare dei prelievi e delle indagini chimico fisiche è stata seguita, nelle prime fasi del cantiere di restauro, da una sistematica ed estesa attività di analisi mineralogico-petrografiche, chimico-stratigrafiche e biologiche, più avanti specificate, preliminari a tutti gli interventi di restauro.
5 Sia in riferimento all’esecuzione estesa di indagini fisico-chimiche sui materiali che per una puntuale rendicontazione di restauri specialistici si veda il saggio di Tommaso Sensini in questo stesso volume
La restituzione grafica con analisi del degrado e individuazione puntuale degli interventi di restauro è stata realizzata per tutte le cortine e tutti i prospetti dei bastioni (le immagini si riferiscono ai prospetti della cortina nord est e di una faccia del Bastione del Soccorso)
L’individuazione e restituzione del degrado e dei dissesti
L’organizzazione del lavoro e la redazione dei grafici di rilievo, come già accennato, è stata condotta di concerto e coerentemente con le scelte restaurative e con la costruzione quindi di un sistema di documenti grafici, fotografici, tecnici in genere che hanno successivamente accolto le risultanze delle indagini sul degrado e sui dissesti come le proposte relative agli interventi restaurativi. Le ortofoto prodotte, le sezioni e le piante ai diversi livelli sono stati di fondamentale importanza per progettare e per disporre di elaborati di facile gestione e di assoluta accuratezza e precisione dimensionale che, come meglio specificato più avanti, sono stati supporto irrinunciabile per acquisire i pareri degli Enti competenti, specificare puntualmente gli interventi previsti, verificare ed aggiornare le attività in fase di cantiere. È stata dunque elaborata la mappatura del degrado e dei dissesti dei paramenti murari sulla base dei rilievi svolti e quindi sull’interezza dei paramenti stessi con approfondimenti anche su singole
porzioni significative, insiemi di elementi, singoli conci murari come detto ridisegnando tali porzioni evidenziando ogni sua minima parte anche per le forme di degrado e le patologie che interessavano ciascuna di esse. La mappatura è stata definita seguendo quanto indicato con le Raccomandazioni Normal 1/88 ed integrando le stesse con precisazioni rappresentate sotto forma di addenda alla legenda sia relative a forme di degrado particolari per caratteri e localizzazione che al degrado antropico ed a quanto riferibile ai crolli dovuti all’attività bellica che ha interessato la Fortezza e il suo intorno nei secoli. Analogamente, per tratti significativi, tale mappatura è stata condotta sui rilievi di dettaglio derivanti da ridisegno di precisione di porzioni delle cortine murarie. Gli elaborati derivati da acquisizioni con laser-scanner, inoltre, sono stati realizzati quali basi scientifiche fondamentali per la restituzione analitica delle analisi materiche e dell’individuazione e localizzazione delle forme di degrado che avrebbero poi fatto parte del progetto definitivo e del progetto esecutivo di restauro; altrettanto utili dovevano essere per le successive verifiche in fase di precantierizzazione per riportare con esattezza le mappature e le campionature delle indagini fisico-chimiche ma anche per registrare con precisione gli interventi puntuali ed estesi eseguiti per tutta la durata del cantiere di restauro e che su tali basi sono state annotati, riportati, contabilizzati. Le principali forme di degrado rilevate, analizzate, restituite nella loro esatta localizzazione sono state: •presenza di vegetazione: arbusti con radici in profondi erbose con radici in profondità •presenza di vegetazione con radici superficiali •deposito superficiale •patina biologica: muschi e licheni •patina dovuta a depositi organici ed inorganici •alterazioni cromatiche dovute ad alterazione biologica
Rilievo di dettaglio della cortina sud-est ed individuazione analitica delle alterazioni riferite alla legenda. Particolarmente interessante la tessitura e lo stato di conservazione delle cortine progettate da Giuliano ed Antonio da Sangallo il Vecchio, con ghiere sovrapposte di archi di scarico e murature in pietra prevalentemente proveniente da demolizioni e mattoni. Il rilievo di dettaglio ha evidenziato la presenza di lacerti di un intonaco a calce che doveva ricoprire queste cortine forse anche per l’uso di materiale misto e disomogeneo
Restituzione di dettaglio dell’l’ingresso principale della Fortezza con l’individuazione analitica delle alterazioni riferite alla legenda (Raccomandazioni Normal 1-88) pagina a fronte Mappatura dei prelievi per le campionature di depositi superficiali (licheni, agenti biologici) in più punti ed in considerazione dell’evidente differente natura delle patine biologiche, scaglie di pietre di diversa formazione litologica, scaglie di pietra con formazioni licheniche, scaglie di mattoni, malta dei conci di grandi dimensioni, malta dei giunti di conci di recupero, malta dei giunti delle parti in laterizio, malta del sacco esposto, porzioni di intonaco, malta di probabile natura cementizia. A tutte le campionature riportate e numerate sui prospetti corrisponde una descrizione analitica e le relative risultanze nelle schede specifiche elle indagini fisico-chimiche.
•macchie dovute a depositi associati a percolazione puntuale di acque piovane non regimate •mancanza estesa di porzioni di paramento lapideo o in cotto •mancanza puntuale di porzioni di paramento lapideo o in cotto •distacco di intonaco puntuale ed esteso •erosione dovuta a dilavamento •scagliatura con presenza di patina biologica •esfoliazione •degrado differenziale: alterazione dei piani di posa dei conci lapidei/elementi in cotto •fratturazioni •crolli
I criteri e le tecniche restaurative
In primo luogo si vuole specificare quali siano stati i criteri restaurativi relativamente ai principi ed al metodo che li hanno generati. Il restauro della cortina muraria della Fortezza di Arezzo si è conformato in primo luogo ai criteri della conservazione volta a dare solidità strutturale e superficiale agli elementi ed alle parti che la costituiscono stante la condizione storicizzata del suo assetto, quale lo abbiamo ereditato e quale esso ci si presenta. Puntuali interventi di integrazione sono stati progettati e condotti se motivati da esigenze di continuità materica e strutturale e senza alcuna concessione ad ipotesi di ripristino di parti mancanti o crollate, sia in linea di principio che per evidente incongruità del ripristino stesso a fronte dei criteri e delle tecniche del restauro quale oggi si vuole intendere.
Minime sottrazioni ed addizioni Primo riferimento di metodo è stato quello del minimo intervento, ossia la definizione di criteri e tecniche di intervento sempre subordinate a campionature, prove, valutazioni dirette sul campo ed indirizzate alle integrazioni e rimozioni più contenute possibili . Per quanto riguarda le prime le stesse puliture estese non dovevano andare oltre la rimozione dello sporco e dei depositi superficiali incoerenti o di macchie e concrezioni derivanti da forme di degrado, facendo particolare attenzione al mantenimento delle patine. L’azione dei biocidi doveva essere selettiva e valutata a seguito delle analisi biologiche e tale da non interessare le stesse patine. Le stesse formazioni biologiche inattive e fortemente ancorate alle murature andavano mantenute sia perché l’eventuale distacco avrebbe portato a perdita di
Prove di pulitura manuale su muratura interessata da depositi superficiali estesi Prove di idropulitura con acqua a bassa pressione con lancia ad ugello rotante e getto controllato
pagina a fronte Microstuccature di fratturazioni localizzate del paramento murario. Rimozione manuale di porzioni di malta cementizia Puliture selettive di porzioni limitate della muratura e dello stemma lapideo con applicazione di supporto e soluzione satura di acqua distillata e carbonato d’ammonio Realizzazione di perfori ed inserimento di barre di vetroresina per il consolidamento del grande stemma lapideo posto sul Bastione della Spina materiale lapideo sia per essere ormai probabilmente da secoli l’effettiva superficie e patina della parte considerata. L’allontanamento di vegetazione spontanea doveva essere condotta in modo da non danneggiare le porzioni di cortina muraria e gli interstizi fra i conci e le parti di malta interessate dagli apparati radicali; le porzioni di conci lapidei a rischio di distacco dovevano essere sottoposte ad azione di preconsolidamento e rimosse solo se effettivamente in pericolo di caduta o di crollo; le parti di malta ammalorate dovevano essere consolidate e rimosse solo se di difficile o impossibile mantenimento in situ e diversamente preconsolidate e consolidate. Più in generale le rimozioni dovevano avvenire solo per comprovata impossibilità di conservazione nella posizione e nelle quantità rilevate o per essere le parti da rimuovere evidente causa di degrado (ad esempio biologico) o di dissesti (come per opere provvisionali malamente realizzate per ovviare ai crolli ottocenteschi, a loro volta causa di ulteriori danneggiamenti strutturali e prossime al crollo). Una estesa opera di microstuccature eseguite a mano doveva andare a reintegrare piccole mancanze nelle connessioni e microfessurazioni ed anche quanto sarebbe risultato facile veicolo di infiltrazioni di acqua a seguito della necessaria, accurata rimozione manuale di precedenti sigillature a cemento. Per parti di particolare pregio e con valenza di manufatto scultoreo, come ad esempio per il grande stemma mediceo presente sul fianco del Bastione della Spina, laddove era stata valutata una condizione di degrado con formazione di macchie o sporco particolarmente tenace si era prevista ed è stata realizzata una pulitura a carattere selettivo con applicazione di pasta di cellulosa e soluzione di acqua distillata e carbonato di ammonio. Laddove era evidente l’incipiente distacco del singolo manufatto lapideo dal supporto si sarebbero poi eseguite imperniature con barre di vetroresina.
Per quanto riguarda le addizioni le stesse dovevano limitarsi a quanto strettamente necessario; per gli interstizi fra i conci delle cortine, sia in pietra che i mattoni è stata prevista la stilatura profonda e superficiale dei giunti stante l’evidente perdita, talvolta anche molto accentuata, della malta con rischio di successivi e collegati dissesti, ma comunque sottolivello rispetto ai conci del paramento e fino a raggiungere i livelli sufficienti a garantire la continuità fra le parti e quindi la sicurezza strutturale puntuale e complessiva oltre che l’assenza di cavità potenzialmente causa di infiltrazioni, azioni di gelo e disgelo, nuove formazioni di apparati vegetazionali ecc. prestando particolare attenzione alla composizione delle malte utilizzate (come vedremo più avanti). Solo per alcune porzioni o situazioni puntuali sono state valutate tassellature con materiale di recupero ed integrazioni volte a dare continuità, soprattutto per le parti in cotto della cortina nordest e copertine e filari in laterizio soprastanti delle zone vuote, e consistenza materica e strutturale al paramento. Per parti o elementi puntuali si è suggerito di procedere a consolidamenti diffusi con l’ausilio di iniezione di malte per la ricostituzione di un piano di continuità fra il paramento
interno e quello esterno. Sono stati previsti interventi di consolidamento puntuali con tecniche avanzate quanto sperimentate e limitati interventi di cuci-scuci per discontinuità strutturali che lo richiedevano.
I crolli ottocenteschi: materia e documento di eventi storicizzati da restaurare
Alcune considerazioni e soprattutto rendicontazioni vanno fatte in merito alle indicazioni date e quindi alle scelte operate in merito al restauro dei tre bastioni fatti esplodere dalle mine delle truppe napoleoniche nel 1800, allontanando ogni ipotesi di ricostruzione e ripristino di tipo stilistico o del più ipocrita à l’identique. I crolli derivanti dall’azione delle mine poste dalle truppe napoleoniche nel 1800 sono essi stessi una sommatoria di dati storicizzati da mantenere, conservare, restaurare quale documento di importanza assoluta e parte della vita secolare della Fortezza, in totale adesione al principio dell’autenticità del manufatto storicizzato. A fronte di ciò l’assetto sicuramente particolarissimo delle parti dei bastioni smembrati andava consolidato verificando in primo luogo l’effettiva stabilità sia delle parti crollate che delle parti successivamente aggiunte per collegare i crolli a fronte di eventuali azioni sismiche e per fermare l’azione di degrado che naturalmente si era prodotto sulle membrature murarie interne esposte da decenni all’azione degli agenti atmosferici. In più punti dei bastioni danneggiati era leggibile la stratificazione in sezione delle murature e l’evidente perdita di elementi lapidei del sacco interno per il progressivo disgregarsi delle malte. Gli stessi elementi in muratura che, successivamente ai danneggiamenti, erano stati apposti per ridare continuità alle parti erano consolidare ed in qualche caso da eliminare, essendo in più punti in condizioni di forte dissesto con lesioni provocate dalla spinta delle terre soprastanti e da probabili azioni sismiche succedutesi nel tempo6 .
Le indagini preliminari agli interventi di restauro
Al fine di valutare con la maggior esattezza possibile gli interventi di restauro specialistico da attuare per le diverse parti ed i diversi materiali che compongono le mura della Fortezza di Arezzo, in collaborazione con l’Amministrazione comunale sono stati avviate, all’apertura del cantiere, le indagini rese possibili dalla presenza di ponteggi e mezzi d’opera in genere e fatte eseguire dalla Ditta aggiudicataria dei lavori secondo quanto previsto dal Capitolato speciale d’appalto e quindi dai documenti contrattuali. Il tipo di indagini, la lettura ed interpretazione delle stesse, le scelte relative alle campionature da compiersi e quelle relative alle lavorazioni da eseguire sono state il frutto della collaborazione definita dalla convenzione di ricerca oltre che, evidentemente, di
6 In questo stesso volume si veda il contributo di G. Tempesta che illustra in dettaglio gli interventi relativi i rinforzi strutturali dei Bastioni del Soccorso e del Belvedere.
quanto convenuto nei numerosi incontri e sopralluoghi con la competente Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Arezzo7 . Ritengo giusto e corretto (oltre che ammissibile a lavori ultimati) aggiungere che le apprezzabilissime qualità e tempistiche dei risultati ottenuti in tutte le fasi dei restauri si devono anche alla assoluta disponibilità ed all’esperienza messa in campo dalla Ditta che ha materialmente eseguito gli stessi.
Le indagini visive dirette e ravvicinate
Come già accennato la presenza in cantiere di ponteggi, trabattelli e mezzi d’opera in genere, oltre che l’avvenuta eliminazione della vegetazione facilmente rimovibile senza pericolo per le murature ha permesso di fare i necessari riscontri visivi al fine di valutare a distanza ravvicinata lo stato di conservazione del paramento, lo stato, la consistenza e le caratteristiche delle malte, le caratteristiche, la vitalità o stato inattivo delle formazioni biologiche e quanto prima non visibile se non da distanza media o ravvicinata ma limitatamente al piede delle cortine e dei bastioni. Tale indagine ha innanzitutto permesso di dare una prima rimodulazione alle indicazioni relative alle alterazioni presenti e quindi all’analisi del degrado come anche agli interventi da compiersi ed ha inoltre rivelato con maggior precisione quanto in parte già evidente, ossia l’alternanza di conci e lastre fatte cavare, tagliare e mettere in opera ex-novo per la realizzazione di alcune cortine ed il largo uso di materiale proveniente da demolizioni di manufatti preesistenti in altre. Il materiale che compone i paramenti in esame presenta infatti numerosissime porzioni evidentemente formate con conci lapidei e materiali di risulta, sia nella cortina nord-ovest realizzata da Giuliano ed Antonio da Sangallo il Vecchio che in quella nord realizzata da Antonio da Sangallo il Giovane . Le indagini dirette e l’eliminazione della vegetazione hanno messo in luce non solo porzioni di muratura generica ancorché ascrivibile alla edificazione di edifici medioevali ma parti facilmente riconoscibili e di grandissimo interesse quali stipiti di porte, gradini, rocchi di colonne e colonnini medioevali semplicemente inseriti nella muratura, si può ritenere, essendo disponibili sul posto e quindi riutilizzabili. La posizione di queste porzioni e di questi elementi e lo studio specifico degli stessi, a restauro ultimato, è proseguito e sta tuttora proseguendo al fine di dare datazione e senso agli stessi nell’ottica di una ricostruzione critica dei caratteri delle preesistenze di età antica nella Fortezza di Arezzo. Sempre a seguito dell’analisi diretta e ravvicinata del paramento sono state definite in dettaglio le ulteriori indagini strumentali, ossia le indagini termografiche, le indagini chimico-fisiche, le indagini biologiche sugli agenti biologici.
7 Oggi Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggi per le province di Siena, Grosseto e Arezzo
Gli interventi di restauro: sequenze, tecniche, indicazioni e prescrizioni
La definizione dei criteri e delle opere da condursi ai fini del restauro e del consolidamento del paramento murario della Fortezza è stata quindi elaborata su grafici che evidenziavano la corrispondenza e coerenza fra la mappatura del degrado e la puntuale descrizione degli interventi necessari a partire dalle opere di presidio delle parti strutturali cui corrispondeva un effettivo rischio di collasso strutturale fino alle diverse azioni da intraprendere al fine di pulire, consolidare, eventualmente integrare elementi o porzioni in relazione al grado ed al tipo di degrado individuato. Nel caso, peraltro frequente, di sommatoria di forme di degrado presenti nella stessa porzione di paramento murario, si sono individuate non solo le tecniche restaurative specifiche e specialistiche ma anche le più opportune sequenze di applicazione delle stesse, finalizzate soprattutto alla conservazione del materiale ed all’arresto di perdita di porzioni dello stesso. Si sono voluti riportare più in dettaglio gli interventi che sono stati previsti per il paramento murario della Fortezza di Arezzo, rappresentati nei grafici per sequenza di applicazione ed operatività, rimandando alle prime fasi preliminari al cantiere la prosecuzione delle indagini fisico chimiche, le campionature e le prove delle specifiche lavorazioni e la scelta dei materiali e dei prodotti più idonei. Gli stessi interventi sono stati definiti ed identificati in modo da permettere un riscontro immediato e diretto, ai fini di una effettiva operatività e del relativo controllo tecnico-economico, con i computi metrici estimativi e le prescrizioni tecniche confluite nel capitolato speciale di appalto.
Operazioni preliminari
• Svolgimento di Indagini, test, analisi chimiche e petrografiche al fine di individuare i prodotti idonei da impiegare, campionature per le malte per individuare l’esatta composizione, la granulometria, la cromia. Tale attività ha comportato la stesura di relazioni tecniche specifiche con l’individuazione dei punti del paramento nei quali sono stati effettuati i prelievi, l’esito delle analisi di ogni campione, le immagini relative, le conclusioni ed indicazioni derivanti dall’analisi. • Messa in sicurezza di parti pericolanti. Tale attività era finalizzata ad assicurare la stabilità e la permanenza in situ di parti decoese dal supporto in modo da poterne supporre il distacco, doveva garantire la sicurezza per le persone e ad evitare la perdita o la caduta di parti già molto degradate, da svolgersi con l’ausilio di cestelli ed elementi mobili per la parte di indagine specifica su eventuali parti soggette ed a puntelli, protesi, elementi provvisionali metallici per la messa n sicurezza. • Operazioni localizzate propedeutiche alle operazioni di pulitura. Per le zone e parti decoese è stato previsto il preconsolidamento ossia il ristabilimento parziale della coesione mediante impregnazione per mezzo di pennelli, siringhe, pipette, o a spruzzo, con estere etilico dell’anidride silicica, applicandone la minima quantità necessaria a consentire la pulitura. Per i frammenti in fase di distacco la riadesione con realizzazione puntuale di ponti di resina.
• Ripulitura dei cumuli di materiale crollato. Dopo la rimozione della vegetazione si doveva effettuare la cernita del materiale non più aderente alle porzioni dissestate con accatastamento in cantiere degli elementi in pietra e in cotto recuperabili e reimpiegabili per eventuali tassellature e reintegrazioni.
Intervento sulla vegetazione – trattamento di attacchi biologici ed operazioni di diserbo
• Disinfestazione da colonie di microrganismi autotrofi e/o eterotrofi su paramenti murari mediante applicazione di idoneo prodotto biocida atto ad eliminare le colonie di vegetazione inferiore costituite da batteri, alghe, licheni. • Eliminazione di piante erbacee e piante superiori dall’apparato radicale superficiale e di modesta entità. Opere di diserbo mediante attrezzature a mano, esclusi i prodotti chimici, dei paramenti murari con l’asportazione completa di arbusti ed erbe infestanti con ogni attenzione per non provocare danni alla muratura circostante. • Eliminazione sia della vegetazione erbacea che di quella arbustiva (ruderale ed infestante) con apparati radicali penetrati in profondità, con applicazione di prodotti chimici sistemici (il principio attivo viene assorbito dal fogliame e veicolato in tutta la pianta con il flusso della linfa) applicato a spruzzo sulle foglie, lasciando disseccare le piante prima di rimuoverle per poi procedere all’asportazione. • Interventi su vegetazione arbustiva con radici di grossa entità, penetrate profondamente e diffusamente nella muratura con strumenti idonei, per eliminare sia la parte aerea che quella radicale compresa anche l’applicazione sui ceppi non rimovibili di specifico erbicida a lunga azione; si doveva intervenire con taglio della pianta, lasciandone temporaneamente parte in situ e successivo trattamento di “devitalizzazione” della ceppaia e delle radici. Nel caso in cui l’eliminazione della massa vegetale avesse anche solo potenzialmente comportato la perdita di elevate parti di muratura si doveva procedere con la sua conservazione in situ, effettuata mediante l’annegamento delle parti residue della massa vegetale all’interno della malta per privare l’apparato radicale “morto” di ossigeno e di luce.
Puliture – rimozioni
• Operazione di pulitura a secco per la rimozione di particellato, polveri, terriccio e guano e depositi scarsamente aderenti, eseguite manualmente con spazzole, scope, raschietti e se necessario con l’ausilio di getto d’aria o aspiratori • Pulitura delle superfici lapidee stabili e prive di patine organiche ed inorganiche con lavaggio mediante acqua deionizzata a bassa pressione variando la durata del trattamento in funzione della necessità al fine di asportare la patina di smog ed i depositi superficiali compatti e aderenti senza intaccare il paramento litoide.
• Pulitura delle pareti in pietra, laterizio e miste per la rimozione di patine organiche devitalizzate ed inorganiche e depositi mediamente aderenti con idropulitura con lancia dotata di testina rotante previe prove per la determinazione del grado di pulitura. • Pulitura localizzata delle superfici lapidee in maniera selettiva nelle zone di maggiore spessore, compattezza e aderenza dei depositi mediante lavaggio con soluzione satura di acqua distillata e carbonato d’ammonio e successiva spazzolatura. • Rimozione della malta cementizia o bastarda eseguita con scalpelli e martelli sia manuali che ad aria compressa, raschietti, spazzole con l’accortezza di non intaccare il materiale originale e compresa l’accurata rimozione delle polveri e degli sfridi di risulta. • Pulitura puntuale e limitata delle superfici voltate ed in laterizio per attenuazione dello spessore delle concrezioni calcaree eseguita a mano.
Interventi di restauro e consolidamento localizzati, tassellature puntuali
• Consolidamenti puntuali di frammenti e parti di paramento. L’operazione ha riguardato frammenti di “dimensioni limitate” intese secondo un arco di grandezza dei frammenti che andava dalla scaglia al pezzo più pesante, ma comunque maneggiabile da un operatore. • Preconsolidamento puntuale di parti decoese con prodotti a base di silicato di etile. • Riadesione di scaglie e frammenti pericolanti o caduti mediante resina epossidica, previa pulitura e preparazione delle interfacce, inserimento puntuale di perni in vetroresina con ogni cura per la rimozione degli eccessi di resina. • Imperniatura di fratture e piccole lesioni non strutturali tramite inserimento in fori predisposti di perni in vetroresina di diametro e lunghezza appropriate ed iniezione di resina epossidica fluida o poliestere a pressione a ricucire fratture e piccole lesioni degli apparecchi murari in pietra, laterizio o miste. • Consolidamento del paramento al supporto per porzioni puntuali e limitate. Per distacchi, fratturazioni e fessurazioni profonde: interventi puntuali di riadesione di distacchi del paramento murario e di stuccature delle fessurazioni profonde mediante colatura o l’iniezione in profondità di malte a base di calce idraulica naturale e sabbie vagliate. • Riprese di muratura a cuci-scuci per ricucitura di lesioni puntuali, o di porzioni scollegate, eseguite con pietra uguale a quella esistente, legate con malta idonea, stuccate esternamente con malta di calce. • Tassellatura di piccole mancanze di parti di paramento in cotto degradate ed a rischio di crollo, con elementi in cotto di antica fattura, analoghi all’esistente per caratteristiche fisiche e cromia, puliti ed esenti da sali, messi in opera con malta di calce. • Riempimento di mancanze e reintegrazioni di lacune, limitato a piccole porzioni in situazioni puntualmente individuate con insilaggio in opera di conci di pietrame del tutto analoghi a quelli contigui e malta di calce idraulica, sabbia e pozzolana.
• Restauro di intonaco decoeso presente per limitate porzioni sui fianchi sud e sud-est della Fortezza mediante preconsolidamento di porzioni di intonaco non in grado di sopportare il lavaggio, con velatino di garza di estere in soluzione; applicazione di bendaggio e protezione delle parti in pericolo di caduta al fine di sostenere l’intonaco durante le operazioni di consolidamento.
Stuccature e sigillature
• Sigillatura e stuccatura dei giunti, delle alveolizzazioni del materiale laterizio, delle sconnessioni più profonde con malta di calce composta da calce idraulica naturale, sabbia silicea di natura alluvionale e pozzolane micronizzate. • Microstuccatura degli elementi lapidei delle fratture, scagliature, piccoli fori e vie d’acqua sulla pietra arenaria, travertino o laterizio con applicazione manuale di maltina composta da calce idraulica naturale, inerti appropriati, pigmenti minerali . • Interventi sulle porzioni di copertina sommitale in pietra: scarnitura delle connessioni, pulitura, lavaggio, applicazione di malta idraulica e pozzolana, lisciatura con apposita stecca di ferro e modellazione del giunto per favorire il deflusso delle acque. • Interventi sulle porzioni di cortina sommitali in cotto o muratura mista e dalla presenza di feritoie, con la stilatura dei giunti, pulitura delle cavità, parziali interventi di scuci-cuci con integrazione di elementi in cotto di recupero. • Restauro delle parti in elevato riferibili a porzioni di sottofondazioni o parti originariamente non visibili, con pulitura superficiale e successiva applicazione di consolidanti specifici. Integrazione delle stesse all’interno di rinfianchi a scarpa inerbiti.
Consolidamenti superficiali e protezione
• Consolidamento superficiale esteso del paramento murario. Ristabilimento della coesione con applicazione di due mani di silicato di etile, applicato a pennello avendo cura di proteggere le superfici dalla pioggia e dalla insolazione diretta durante i trattamenti
Interventi strutturali
• Rigenerazione muraria diffusa e consolidamento. La rigenerazione muraria diffusa ed il conseguente consolidamento si eseguono mediante iniezioni di miscele leganti e riempimenti di malte finalizzati alla riadesione profonda dei giunti ed aderenza tra gli elementi lapidei che compongono l’apparecchiatura interna della muratura con iniezioni di miscele leganti a base di calce e pozzolana ventilata a stabilità volumetrica, di consistenza fluida e a basso contenuto di sali solubili • Intervento di consolidamento in presenza di lesioni isolate o di discontinuità dell’apparecchiatura. L’intervento viene adottato in presenza di lesioni di modesta entità e scarsa profondità rispetto allo spessore effettivo del paramento murario.
Vedute di dettaglio di porzioni delle cortine murarie dopo il restauro che evidenziano alcune delle molte disposizioni, lavorazioni, litotipi presenti nelle mura della Fortezza
pagina a fronte Il bastione della Spina e l’ingresso monumentale dopo i restauri Fotopiano dell’ingresso monumentale dopo i restauri
pagine 52-53 La cortina nord-ovest dopo gli interventi di restauro • Intervento di consolidamento e messa in sicurezza di porzioni murarie in fase di post-crollo al fine di eliminarne le condizioni di instabilità. L’intervento si riferiva ai casi di dissesto presenti in corrispondenza del Bastione del Belvedere, del Bastione della Chiesa ed del Bastione del Ponte del Soccorso. Intento primario dell’intervento era quello di consolidare la situazione attuale evitando fenomeni di ribaltamento ed ulteriori dislocamenti delle porzioni murarie attraverso il ripristino del ruolo efficace delle malte leganti e l’applicazione di elementi di ancoraggio in acciaio inox inghisati nella muratura.
Dal cantiere di restauro: note, aggiornamenti, specifiche sulle lavorazioni
Gli interventi e le vicende che hanno caratterizzato il cantiere di restauro delle cortine murarie della Fortezza, da poco ultimato e durato circa due anni, hanno restituito dignità strutturale e formale alle cortine della fortezza evidenziandone peraltro il carattere estremamente composito, la narrativa vasta dei suoi litotipi che, attraverso le loro lavorazioni, la loro disposizione, caratteri e forme specifici, la natura geologica, il senso cromatico delle patine, rimanda a momenti diversi ed anche molto distanti, della storia del colle di San Donato e degli insediamenti che vi si sono succeduti. In sintesi va detto che le attività hanno seguito le previsioni progettuali con le necessarie variazioni imposte dalle risultanze delle analisi biologiche e fisico-chimiche, dalle prove e campionature, dai concordamenti in cantiere. Particolarmente importante è stato avviare (e seguire in qualità di consulente) le attività a partire dalla cortina muraria più problematica, ossia quella rivolta a nord ovest e dal bastione con maggiori criticità, ossia il Bastione del Soccorso che sono stati campi di prova per l’applicazione di lavorazioni poi eseguite, con le dovute differenze e specificità, sulle altre parti della cortina muraria della Fortezza. Ad altri saggi presenti in questo volume si rimanda per una rendicontazione estesa sia dei restauri specialistici sul paramento murario che degli interventi relativi ai rinforzi strutturali dei due bastioni fatti esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800.
Fotopiano del fronte sud-ovest prima dei restauri, esempio di mosaicatura con numerazione dei fotogrammi per fotopiano a restauro finito, fotopiano della cortina dopo i restauri
Monitoraggio e manutenzione
Alla fine dei lavori di restauro sono stati realizzati nuovi rilievi delle cortine con mosaicatura di immagini fotografiche ad alta definizione. Le ortofoto delle cortine e dei bastioni restaurati documentano quindi la situazione immediatamente successiva alla realizzazione delle opere per ogni necessità di verifica puntuale o estesa che si vorrà fare nel tempo. In tal senso si è voluto fornire uno strumento utile per l’attività di monitoraggio che negli anni si vorrà fare del paramento o di parti specifiche anche per valutare l’efficacia delle singole opere svolte a distanza di anni con confronti regolari. Tali rilievi, uniti alle mappature degli interventi eseguiti si ritiene possa essere di riferimento anche per ogni attività di manutenzione che l’Amministrazione comunale vorrà o potrà condurre, sia in vista di interventi puntuali che per un controllo più ampio ed esteso ad una percezione di questo bellissimo monumento a scala paesaggistica e territoriale.
Fotopiani del Bastione del Belvedere lato ovest prima e dopo i restauri
pagina a fronte Foto aerea della Fortezza a restauri delle cortine murarie ultimate. In evidenza il bastione del Soccorso fatto esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800.
la fortezza di arezzo: metodi e tecniche della geomatica per la conoscenza di una struttura fortificata
Grazia Tucci
“I lavori di conservazione, di restauro e di scavo saranno sempre accompagnati da una rigorosa documentazione, con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie.” [Art. 16, Carta di Venezia, 1964 ]
La geomatica per la conservazione
La comprensione della consistenza materiale del patrimonio costruito è il primo passo per poter definire la migliore strategia di conservazione, e la documentazione è, a sua volta, il primo passo per la comprensione. Pertanto, se conoscenza e strategie di conservazione sono strettamente interdipendenti, è evidente il ruolo primario della documentazione: è indispensabile conoscere sia il manufatto che i fattori di rischio a cui è esposto per pianificare efficacemente interventi di conservazione e programmi di manutenzione utili per evitare di affrontare situazioni di emergenza. Ogni manufatto ha una propria realtà materica, i cui parametri variano continuamente perché esposto a fenomeni di degrado dovuti ad una complessa serie di meccanismi che interagiscono fra loro. La disponibilità di strumenti e tecniche innovative consente di ottimizzare il processo conoscitivo, dalla osservazione diretta, alla localizzazione e quantificazione del degrado, allo studio delle sue fasi evolutive, alla valutazione dei rischi di dissesto statico; diventa così necessaria una visione organica che consenta di strutturare i dati in modo da costituire un valido impianto di partenza per le analisi e le scelte di intervento. In rapporto alle problematiche da indagare e alle finalità della ricerca è necessaria una organizzazione preliminare che permetta di definire con chiarezza tutte le scelte operative. Si deve elaborare un progetto di rilievo che tenga conto di tutte le possibilità della tecnologia, e decida quale metodo e quali strumenti utilizzare. Considerata l’estensione dell’area occupata dalla Fortezza, si è deciso di procedere con la realizzazione di una rete di inquadramento misurata con GPS e con il rilievo di dettaglio del paramento esterno delle mura con sistemi a scansione tridimensionale e fotopiani. Il rilievo metrico della Fortezza ha così costituito la base di riferimento per tutti i tipi di documentazione necessarie nelle fasi di analisi, diagnosi, intervento e monitoraggio: ha infatti il compito di dimensionare correttamente le informazioni geometriche e posizionare nello spazio (referenziare) informazioni anche tematiche, come quelle relative ai materiali e al loro stato di conservazione.
pagina a fronte Rilievo Laser scanning della fortezza (Laboratorio Geco, 2008) È stato realizzato il rilievo laser scanner dell’intera fortezza. Per la realizzazione degli elaborati a supporto del progetto di conservazione dei paramenti esterni sono state isolati ed elaborati i dati relativi agli stessi, evidenziati nell’immagine
Il contributo della Geomatica è fondamentale in tutte le quattro fasi che caratterizzano, in modo ciclico e non lineare, un progetto di conservazione: ognuna di esse richiede infatti una conoscenza metrica dell’oggetto in esame accurata, corretta e aggiornata. Rielaborato da: Santana Quintero et al. 2007 Le acquisizioni tridimensionali hanno riguardato l’intera Fortezza, anche se per rispondere alle contingenti necessità di supporto dell’intervento di conservazione dei paramenti sono stati elaborati, in un primo tempo, soltanto i dati relativi ai prospetti esterni. L’output del rilievo metrico può costituire il riferimento geometrico per un sistema informativo: le informazioni possono essere strutturate in relazione alle geometrie, ai materiali, alle patologie, consentendo un collegamento ad un database. È possibile quindi di volta in volta fornire rappresentazioni grafiche che rappresentano la risposta a query specifiche. In questo senso il rilievo metrico deve divenire un elemento di aggregazione di contributi pluridisciplinari, una piattaforma comune su cui incardinare i vari saperi e non più una mera operazione di “servizio”. Alcune indicazioni sulle modalità secondo cui deve essere strutturato un progetto di documentazione sono state stabilite già dalla Carta di Venezia (articolo 16) e dopo poco ampliate nei “Principles for the recording of monuments, group of buildings and sites” (1966). La conservazione del patrimonio costruito si sviluppa a seguito di una serie di fasi di lavoro, che coinvolge l’analisi per stabilire il valore e significato al fine di comprendere la priorità di azione e l’assegnazione di risorse, la diagnosi per individuare le cause di danni e degrado, la terapia per scegliere le misure correttive e controlli o monitoraggio per valutare l’efficacia dell’intervento. Il contributo della Geomatica è fondamentale in tutte le quattro fasi sopra descritte, che non dovrebbero essere considerate come parte di un processo lineare con un inizio e una fine, ma piuttosto come un ciclo: ogni fase richiede infatti una conoscenza metrica dell’oggetto in esame accurata, corretta e aggiornata, anche secondo diversi livelli di dettaglio e precisione. La Geomatica riveste pertanto un ruolo di primo piano nel contribuire alla conoscenza di un bene producendone una documentazione, di validità certificata, relativa alla sua conformazione geometrica e a tematismi di varia natura, spazialmente riferiti. Tutte le tecniche che alla Geomatica fanno riferimento sono infatti finalizzate a definire la posizione di punti nello spazio (o a descriverne lo spostamento, se oltre ad un sistema di riferimento spaziale se ne assume anche uno temporale, come avviene nelle operazioni di monitoraggio) e a descrivere l’andamento di superfici (o le loro deformazioni), esprimendo al contempo l’affidabilità delle rappresentazioni proposte. Un tempo, i migliori conoscitori di un monumento erano proprio i suoi rilevatori (anche se i titoli di rilevatore, misuratore o agrimensore non sono stati generalmente vanto né per architetti né per ingegneri, in quanto attestanti un ‘saper fare’ considerato strumentale ad altri, più alti, ‘saperi’) che, spesso muniti di rotella metrica e filo a piombo ne esploravano gli spazi annotandone forme e dimensioni, guidati da una formazione fortemente radicata nella storia dell’architettura. Le misure erano sostanzialmente limitate a distanze, riferite a piani la cui giacitura nello spazio era evidentemente non semplice da materializzare. La progettualità inevitabilmente insita in ogni misura non poteva che essere guidata da ipotesi formali, tecnologiche, costruttive. Come conseguenza della rivoluzione introdotta dalle tecnologie elettroniche e informatiche, dal punto di vista scientifico e
professionale si sono andate definendo competenze tecniche sempre più specifiche e si sono diffusi strumenti con prestazioni sempre più elevate. Si è così andata evidenziando la differenza tra chi produce i dati per la documentazione e la conservazione e chi li usa. Se da un lato l’iper-specializzazione, e una a volte semplicistica fiducia in pur strabilianti strumenti hardware e software, tende ad allontanare i due mondi, solo una rete che li colleghi, non in modo rigido, può valorizzare le competenze presenti in entrambi e creare insostituibili sinergie per affrontare problemi complessi come quelli della conservazione e della valorizzazione dei beni culturali. Se in passato era difficile distinguere tra ‘misura’ e ‘interpretazione’ dell’edificio, e persino individuare una priorità temporale tra le due operazioni, le tecnologie oggi disponibili consentono di operare sul campo in tempi molto ridotti e, pertanto, portano a minimizzare le ipotesi a priori e a posporre sistematicamente la fase interpretativa a quella mensoria. Il rischio è che la inevitabile consequenzialità temporale prevista dalla successione misura – analisi e la compressione dei tempi necessari per la prima porti a trascurare la polisensorialità dell’esperienza percettiva comunque ancora indispensabile per supportare le ipotesi di modellazione successive. “Dal generale al particolare!” non deve restare solo l’imperativo del misuratore che rivendica le proprie competenze, dalla referenziazione del monumento al rilievo di dettaglio, dei suoi più minuti dettagli. “Dal generale al particolare” è la descrizione di come si muove lo sguardo, tra visioni d’insieme e ravvicinate, di chiunque esplora con interesse uno spazio, cercando di coglierne “l’essenza” e rendendosi disponibile a subirne le suggestioni.
Moderni sistemi di rilievo
Pur rimarcando ancora una volta che la materia di cui sono costituiti gli edifici e la loro rappresentazione virtuale non devono essere considerati completamente interscambiabili, la riproduzione digitale di un edificio può originarsi da sistemi di rilievo diversi. Una classificazione possibile degli strumenti oggi maggiormente diffusi è quella che distingue sistemi basati sulla elaborazione di immagini (fotogrammetria digitale, anche nelle sue declinazioni semplificate) e sistemi basati sulla misura diretta delle distanze (sistemi a scansione). Le applicazioni a grande scala, come quelle che caratterizzano i progetti di documentazione in campo architettonico e archeologica, presentano problematiche specifiche che richiedono generalmente una pianificazione caso per caso, oltre all’uso integrato di strumenti diversi, perché spesso un singolo sistema non è in grado di soddisfare tutte le necessità. Il diagramma seguente riassume le diverse tecniche che possono essere adottate per un rilievo metrico, in funzione della scala di indagine e della complessità formale dell’oggetto di studio.
Applicazione delle diverse tecniche di rilievo tridimensionale in funzione della scala di indagine e della complessità formale dell’oggetto. Da: Historic England, D.M. Jones (a cura di), 2011. 3D Laser Scanning for Heritage (second edition).
Fotografie per il rilievo La fotografia costituisce il primo ed inestimabile strumento per la documentazione ed è possibile individuare tre forme di utilizzo delle immagini fotografiche: - Fotografie per la documentazione non metrica - Immagini rettificate o prospetticamente corrette (dette anche fotoraddrizzamenti o fotopiani) - Fotogrammetria, i cui risultati danno origine a modelli 3D, ortofoto, restituzioni vettoriali. Le fotografie per la documentazione non metrica sono scattate generalmente senza una specifica pianificazione delle posizioni di presa, utilizzando una vasta gamma di camere, da quelle compatte a quelle professionali. È una forma di documentazione fondamentale, sia che si considerino le immagini contemporanee prodotte durante gli interventi in corso, sia che si faccia riferimento a quelle che costituiscono la memoria storica di interventi condotti in passato. Questo tipo di fotografia però non è destinato ad essere utilizzato per derivarne le dimensioni degli oggetti e degli spazi ripresi. Talvolta viene posizionato sulla scena fotografata un metro o una apposita barra graduata, che deve però essere intesa come un modo per fornire un’indicazione di massima delle dimensioni più che uno strumento di misura. I video costituiscono un modo interessante per registrare rapidamente una grande quantità di informazioni: si può così documentare non solo le caratteristiche dell’edificio ma anche la sua costruzione o gli interventi che su di esso sono condotti, l’uso e il contesto. Le immagini fotografiche rettificate costituiscono un metodo efficace per la documentazione metrica di strutture relativamente piatte, come possono essere (almeno in prima approssimazione) le facciate di molti edifici. La correzione prospettica applicata deriva dal calcolo analitico di una tra-
Su ogni prospetto sono state realizzate una serie di prese fotografiche ad alta risoluzione, curando le condizioni di illuminazione e limitando quanto possibile le zone d’ombra prodotte dalla vegetazione circostante la fortezza
Le immagini fotografiche rettificate descrivono in modo metricamente corretto la consistenza degli elementi piani del paramento murario. Nelle situazioni più articolate, come nel caso del Bastione Belvedere, i piani da considerare sono diversi e rispetto ad ognuno di essi è stata calcolata una trasformazione indipendente. Gli elementi non piani, come le porzioni di muratura a sacco in vista, sono stati rappresentati con ortoimmagini del modello di punti ottenuto dalle scansioni 3D.
Fotopiano del prospetto Nord-Est. Per il calcolo dei fotopiani si è assunto quale piano di riferimento un piano verticale interpolante l’andamento del tratto di mura di volta in volta considerato. Risulta pertanto in vera grandezza la porzione di mura superiore, verticale a sua volta, mentre è scorciata la parte inferiore, in funzione della scarpa. Gli elaborati grafici prodotti integrano i fotopiani con la restituzione vettoriale dei principali elementi di discontinuità geometrica. Le porzioni di cortina adiacenti al prospetto oggetto delle varie tavole sono rappresentati con immagini del modello di punti.
sformazione omografica e richiede, per ogni piano individuato sull’immagine, la conoscenza della posizione di almeno quattro punti. Come in tutti i sistemi di rilievo, la disponibilità di un numero più elevato di vincoli consente di controllare meglio i risultati ottenuti. Nel caso del paramento murario della Fortezza è possibile individuare due piani distinti: quello della porzione inferiore a scarpa, per l’appunto inclinato, e quello superiore, pressoché verticale. L’intero perimetro delle mura è stato ripreso con una camera reflex digitale Nikon D80 e obbiettivo con focale equivalente a 27 mm. Per sfruttare al meglio la risoluzione del sensore le prese sono state scattate con l’inquadratura in verticale. Ogni immagine è stata quindi elaborata considerando in un primo tempo la porzione superiore e rettificando il relativo piano e, successivamente rettificando la porzione inferiore, rispetto ovviamente allo stesso piano verticale. La pendenza della parte in scarpa è desumibile dai profili verticali realizzati su ogni lato. I punti di riferimento utilizzati per il calcolo delle trasformazioni omografiche sono stati materializzati con appositi target, attaccati alle mura prima del loro rilievo. Le loro coordinate sono state ricavate dal modello di punti ottenuto in seguito alle scansioni tridimensionali. Per la restituzione grafica dei vari prospetti della Fortezza, le immagini rettificate sono state mo-
saicate tra loro: la disponibilità di punti di controllo di coordinate note omogeneamente distribuiti sulle mura ha permesso di automatizzare questa fare e di assicurare una qualità metrica omogenea, evitando deformazioni non inusuali nel caso di mosaici realizzati con sistemi più approssimati. I fotopiani così ottenuti costituiscono al contempo un elaborato metrico affidabile e una documentazione realistica della consistenza materica del paramento murario. Tecniche fotogrammetriche più complesse possono essere utilizzate per il rilievo di oggetti ed edifici caratterizzati da forme articolate. In questo caso sono necessarie viste multiple della stessa porzione di oggetto per consentire sia di ricavare informazioni tridimensionali che di realizzare ortofoto.
Sistemi a scansione 3D Con il termine ‘scansione’ si indica il processo di digitalizzazione operato dagli scanner, che convertono informazioni di tipo analogico in informazioni di tipo digitale. È comune l’esperienza di digitalizzazione (o scansione) di documenti cartacei, quindi bidimensionali, attraverso scanner. Gli scanner tridimensionali, che stanno avendo una crescente diffusione, operano in modo analogo, seppur nello spazio tridimensionale: così come una immagine digitale, risultato di una scansione 2D, è costituita da pixel, il prodotto di una scansione 3D, detto range map o semplicemente ‘scansione 3D’, è costituito da punti nello spazio di cui sono note le coordinate. La posizione di ogni punto è determinata, in modo estremamente rapido e completamente automatico, tramite la misura di due angoli e una distanza. La progettazione del rilievo tramite scansioni deve fare riferimento al principio geometrico secondo il quale sono acquisiti i dati, che è quello della proiezione centrale. In modo del tutto analogo a quanto avviene per una fotografia, infatti, sarà possibile acquisire solo gli elementi in vista; tutto quanto risulta ‘in ombra’ da una postazione di scansione dovrà essere pertanto rilevato da una posizione differente. È quindi evidente che tra ogni scansione e quelle immediatamente adiacenti è necessario prevedere una sovrapposizione adeguata a documentare in modo esaustivo l’oggetto. Questa ridondanza di dati è utile anche per l’allineamento delle varie scansioni in un unico sistema di riferimento. Per questa operazione sono generalmente utilizzati anche appositi target, posizionati sulla scena e misurati con metodi topografici, che definiscono a priori il sistema di riferimento nel quale sarà espresso l’intero rilievo. Il sistema di riferimento adottato è il WGS84. Le quote dei vertici della rete di inquadramento sono state calcolate con riferimento all’ellissoide e sono quindi state trasformate in quote ortometriche. Le indicazioni altimetriche riportate sugli elaborati grafici fanno riferimento a queste ultime. Il risultato della fase di allineamento delle scansioni è un modello tridimensionale che, proprio a causa dell’elevato automatismo con il quale è stato prodotto, si può definire ‘acritico’. Le operazioni di interpretazione dell’oggetto e di selezione delle informazioni significative che tradizionalmente sono eseguite sul campo possono ora essere realizzate sul modello invece che sull’oggetto del ri-
lievo. Le rappresentazioni grafiche che dovevano essere sempre definite a priori, per consentire di limitare le onerose operazioni di misura a quelle strettamente necessarie a realizzarle, possono ora essere stabilite successivamente alla costruzione del modello, che è un vero database di informazioni metriche. La natura digitale e tridimensionale dei dati rilevati, inoltre, suggerisce di valorizzarne la flessibilità con l’esplorazione di nuove forme di restituzione grafica. Per il rilievo della Fortezza sono state realizzate circa 70 scansioni, riprendendo la struttura di volta in volta da punti di vista diversi, regolarmente distanziati lungo il perimetro. La risoluzione adottata, all’incirca centimetrica, consente al modello finale di fornire un’ottima descrizione delle pareti rilevate: il modello di punti ottenuto documenta infatti non solo dimensioni e giaciture dei paramenti, ma anche la tessitura dei materiali, lapidei o laterizi, che li costituiscono. Sono inoltre facilmente riconoscibili i target posizionati per la rettifica delle immagini fotografiche (come descritto in precedenza). Alcune lacune nei dati sono imputabili alla presenza, in alcune parti piuttosto importante, di vegetazione infestante.
Caratteristiche dei dati rilevati
A prescindere dalle specifiche soluzioni tecnologiche implementate nei diversi sistemi di misura, nei dati rilevati si possono individuare alcune caratteristiche comuni: • Si tratta sempre di dati digitali: le informazioni provenienti dal mondo reale sono campionate e registrate in formato numerico, con i conseguenti vantaggi in merito alla flessibilità, trasmissibilità, condivisone, possibilità di archiviazione automatica di metadati, ecc. Va comunque ricordato che il patrimonio documentario digitale deve affrontare i rischi legati all’obsolescenza digitale. • Sono tridimensionali: un rilievo metrico registra posizione, dimensione e forma di ogni parte dell’oggetto di studio e, anche se è ancora diffusa la necessità di disporre di piante, sezioni, prospetti stampati su carta, per esempio per consentirne la consultazione sul sito, le moderne tecniche di rilievo generano sempre informazioni metriche tridimensionali. • Sono, al momento dell’acquisizione, indifferenziati. Derivano infatti da un campionamento eseguito direttamente sulla superficie dell’oggetto (nel caso dei sistemi range-based) o su sue fotografie (sistemi image-based). Sistemi automatici di segmentazione e classificazione danno buoni risultati a scala urbana e territoriale, mentre in applicazioni a grande o grandissima scala è al momento difficile utilizzarli per una strutturazione semantica del modello.
Osservando il modello di punti da un punti di vista coincidente con quello occupato dallo scanner la descrizione dello spazio appare continua (a sinistra), mentre modificando la posizione di osservazione si evidenziano, in secondo piano, le lacune nei dati determinate dagli oggetti in primo piano (a destra)
• Il tempo necessario sul campo per la loro acquisizione è molto breve. I più recenti sistemi di scansione operano con velocità sempre più elevate: pochi minuti sono stati sufficienti per ognuna delle scansioni realizzate alla Fortezza. Nei sistemi basati sull’elaborazione di immagini la sola operazione da svolgere sul campo è lo scatto delle fotografie. In entrambi i casi non si deve però sottostimare il tempo necessario per l’indispensabile pianificazione delle operazioni. Inoltre, se si può considerare che l’acquisizione avvenga pressoché in tempo reale, le successive elaborazioni finalizzate a rispondere alle diverse esigenze richiedono tempi anche considerevoli. • Il rilievo avviene sempre senza contatto con l’oggetto. • L’oggetto è campionato con alte risoluzioni. Il concetto di ‘risoluzione’ in fase di acquisizione è direttamente collegato a quello di ‘livello di dettaglio’ in fase di restituzione: tanto più è elevata la risoluzione, tanto più minuto sarà il dettaglio geometrico documentato dal modello. • Spesso ai dati geometrici sono associate informazioni sulla texture, provenienti da immagini fotografiche. Un’ultima osservazione relativa ai dati è per sottolineare che l’efficacia con la quale possono rappresentare il mondo reale non deve essere confusa con la accuratezza della rappresentazione stessa.
Elaborazioni grafiche
La validità metrica del modello consente di derivarne, anche in tempo reale, misure lineari, angolari, di superficie e di volume, utili sia per verificare analogie e differenze, sia per quantificare, anche in termini economici, interventi e materiali. Le elaborazioni che possono essere realizzate a partire dai dati rilevati sono svariate e di volta in volta devono essere individuate le più opportune a secondo delle finalità principali del progetto in corso. Molte attività progettuali richiedono, come elaborati grafici di base, rappresentazioni canoniche quali piante, prospetti, sezioni. Per tutti i piani sezione valgono le regole e le eccezioni previste per il disegno tecnico, come per esempio la necessità di attraversare quanto più possibile le bucature, evitare gli elementi strutturali, attraversare le volte in corrispondenza della chiave, ecc. Anche per le elaborazioni realizzate a partire dal modello di punti della Fortezza si è quindi proceduto in modo analogo, con traslazioni attente del piano sezione e la restituzione grafica solo degli elementi di volta in volta significativi. L’intera Fortezza presenta uno sviluppo lineare di circa 670 m, corrispondenti, per un’altezza media di 10-12 m, ad una superficie pari approssimativamente a 7.300 m2. Oltre ai fotopiani di tutti i prospetti, sono stati realizzati due profili orizzontali, alle quote +313 m (corrispondente alla parte di paramento verticale, a partire dal toro) e +318 m (incidente sempre sulla scarpa), oltre a 32 profili verticali. Le viste ortogonali del modello prodotto dalle scansioni (dette ‘ortoimmagini’) costituiscono un
primo elaborato sul quale possono essere sovrapposte mappe che tematizzano i vari materiali che la costituiscono, le patologie riscontrate, i trattamenti in progetto. Le viste ortogonali possono essere ingrate con informazioni fotografiche direttamente derivate dal modello – nel caso di scanner con camera fotografica integrata o di sistemi image-based, oppure applicate in un secondo tempo, come avviene generalmente quando è necessaria una buona risoluzione ed un’elevata qualità fotografica della texture. Nel caso della Fortezza aretina, per consentire la migliore risoluzione fotografica degli elaborati finali, si è preferito realizzare una serie di fotopiani e integrare con essi le ortoimmagini del modello di punti. Ogni prospetto, quindi, risulta rappresentato da un fotopiano per la porzione di mura in vera grandezza, e da ortoimmagini del modello di punti per i lati dei bastioni che lo delimitano e che ovviamente sono rappresentati in scorcio. Altre forme di rappresentazione che possono essere ricavate in seguito alla scansione 3D di un manufatto conservano la tridimensionalità dei dati di partenza e consentono l’esplorazione interattiva del modello, che risulta essere estremamente utile per comunicare complesse realtà spaziali e materiali, oltre che per prefigurare gli esiti di interventi progettuali. Nel caso del Bastione Belvedere, sono stati sperimentatati diversi approcci di modellazione tridimensionale, come più dettagliatamente descritto in seguito. Infine, ricordando che “la conservazione della memoria storica va affidata, oltre che agli interventi sul corpo vivo della fabbrica, anche ad accurati sistemi di registrazione degli eventi che la coinvolgono”1 è possibile registrare in modo coerente campagne di rilievo che si sono succedute nel tempo, permettendo una lettura diacronica della fabbrica – si pensi al procedere, inevitabilmente distruttivo, di uno scavo archeologico.
Dalle scansioni effettuate possono essere ricavate informazioni 2D (viste ortogonali, come la pianta a sinistra) o 3D (visualizzazioni prospettiche, esplorabili e misurabili, come a destra)
1 L’eccellenza del restauro italiano nel mondo. Catalogo della mostra (Roma, 5 novembre-18 dicembre 2005), Proietti G. (a cura di), Ed. Gangemi, 2005, ISBN 9788849209037.
I profili orizzontali sono stati estratti dal modello di punti (come evidenziato a sinistra) e restituiti in ambiente CAD (a destra) Proprio nella zona del Bastione Belvedere, il rilievo del 2008 è stato aggiornato nel 2012, in seguito alle operazioni di rimozione del terrapieno e agli studi avviati sulla porzione di fortezza minata nell’Ottocento dai Francesi.
Dal rilievo al modello
La riproduzione di alcune caratteristiche fondamentali (generalmente geometriche, ma anche tematiche, cromatiche, ecc.) di un oggetto può essere definita ‘modello’. Come noto, alla fase mensoria corrisponde un campionamento dell’oggetto, più o meno denso a seconda delle tecniche utilizzate e della finalità del progetto di documentazione. Il modello che ne deriva è pertanto un modello discreto (da alcuni definito ‘numerico’2,); tra le misure che lo costituiscono e l’oggetto originario esiste una seppur discontinua corrispondenza biunivoca3, a meno delle incertezze che caratterizzano strumenti e procedure utilizzati nel rilievo. Se questi sono descritti correttamente può essere considerato oggettivo, e in quanto tale altri operatori, con altri strumenti, possono definire modelli con esso compatibili. L’approssimazione del modello discreto è legata all’incertezza delle osservazioni. La successiva elaborazione dei dati richiede invece di interpretare e interpolare il modello derivato dalle misure, sulla base di considerazioni formali, strutturali, tecnologiche e di tutta la documentazione disponibile. Il modello che ne deriva è continuo (da alcuni definito “matematico”4) e caratterizzato da una verosimiglianza analogica con l’oggetto5, ovvero ne costituisce una rappresentazione convincente, dove “convincente” deriva non solo dalla sua somiglianza con l’oggetto originale, ma dalla validità del modello teorico adottato nella trasposizione del modello discreto in continuo. Il modello continuo introduce inevitabilmente un’approssimazione nella descrizione dell’oggetto, in quanto rappresentazione sintetica della complessità reale. La rappresentazione di tale sintesi si può avvalere, di volta in volta, di geometrie riconducibili a solidi elementari, a NURBS o a superfici
2 Migliari R (2004) Per una teoria del rilievo architettonico. In migliari R (ed.) Disegno come modello, ed. Kappa, Rome. 3 Crippa B, Mussio L (2014) Compagni!!... Tutti insieme cresciamo. In: Barriot JP, Sansò F (Eds.) Il Prof. Sansò e lo sviluppo della geodesia in Italia, Newton’s Bulletin, Milan. 4 Migliari, Op. cit. 5 Crippa, Mussio, Op. cit.
mesh. In questi casi è necessario un intervento manuale (al campo dei beni culturali non sono generalmente applicabili i sistemi di modellazione automatica, o assistita, che possono accelerare l’elaborazione di modelli continui in campo meccanico o industriale) e pertanto il contributo portato dall’interpretazione di chi elabora il modello è più significativo. In funzione dell’approssimazione introdotta dalla tecnica adottata per la modellazione, si possono distinguere a) modelli ricavati con procedure automatiche di meshing triangolare (dalla nuvola di punti alla mesh), che consentono un’approssimazione topologica di minimo errore e quindi un’accurata descrizione (metrica, morfologica ematerica) dello stato di fatto dell’edificio, e b) modelli che, della nuvola di punti che descrive l’oggetto, considerano solo una serie di sezioni caratteristiche, usate come generatrici e direttrici di superfici generate per ‘trascinamento’ (rivoluzione di una curva bidimensionale attorno ad un asse, estrusione di una curva lungo un percorso definito da una seconda curva, superfici rigate), costituendo una più sintetica descrizione geometrica.
Modelli triangolati La triangolazione è un processo automatico che consente di definire una superficie a maglie triangolari (mesh) a partire da un modello di punti. Evidentemente nelle zone dove i punti non sono stati rilevati – perchè nascosti da altri elementi rispetto allo scanner al momento dell’acquisizione – si determinano delle lacune anche nella superficie. L’automatismo del calcolo si deve quindi confrontare con le laboriose elaborazioni necessarie ad integrare le parti mancanti, operazioni che richiedono un attento intervento manuale dell’operatore e che incidono pertanto in modo significativo sui tempi di modellazione. I dati utilizzati come set di partenza sono detti non strutturati: ovvero sono disposti nello spazio in modo irregolare, con il solo vincolo di appartenere alla superficie che rilevano. Allo stesso modo le maglie triangolari della superficie calcolata rispondono al requisito di aderire ai punti che l’hanno generata, con intervalli di tolleranza regolabili dall’operatore. Il numero delle maglie è generale-
Lato di ingresso alla Fortezza: prospetto, profili verticali e orizzontali
Dettaglio di un modello triangolato: la superficie è descritta da una mesh a facce triangolari, visibili nella visualizzazione in wireframe (a destra) mente adatto a descrivere le superfici più articolate mentre è sempre esuberante nelle zone con andamento uniforme. Per questo una mesh triangolata non è ottimizzata per descrivere nel modo più efficiente un oggetto semplice.L’elevato numero di triangoli di una mesh definita tramite triangolazione rende impegnativa dal punto di vista delle risorse hardware necessarie la gestione di modelli anche di dimensioni contenute.
Modellazione tramite profili Ogni superficie può essere considerata generata dalla traslazione o rotazione di una curva direttrice rispetto ad una generatrice. È questo l’approccio più classico adottato nella modellazione 3D che, in ambito architettonico, deriva le informazioni di partenza da rappresentazioni bidimensionali (piante, sezioni, prospetti): l’andamento di una cornice, per esemplificare la questione con un caso molto semplice, è definito dalla traslazione di una sua sezione (generatrice) lungo la traccia della parete (direttrice). La generatrice è solitamente derivata da una sezione verticale dell’ambiente, la direttrice dalla pianta. È evidente che per poter modellare la cornice in questione è indipensabile disporre di una sezione verticale dell’ambiente che la attraversi. Il rilievo laser scanning consente di conoscere potenzialmente tutte le curve necessarie, che possono di volta in volta essere vettorializzate sezionando opportunamente il modello di punti o la superficie triangolata da esso derivata. Superfici più articolate possono essere generate dalla traslazione lungo profili poligonali, curvi o mistilinei. Alcune superfici possono anche essere considerate generate dalla traslazione di un profilo di partenza che si trasforma in un profilo di arrivo, guidato da una coppia di linee guida che la delimitano nella direzione ortogonale a quella di traslazione.
Modelli per il progetto e la comunicazione La sempre più vasta disponibilità di informazioni in formato digitale e l’avanzamento delle tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) consentono lo sviluppo di numerose applicazioni che possono supportare un progetto di indagine: dalla raccolta e elaborazione di dati storici, alla documentazione metrica e tematica, al monitoraggio, alla descrizione ed archiviazio-
ne degli interventi posti in opera, alla visualizzazione di strutture ed ambienti storici, anche non più esistenti, grazie ai sistemi di realtà aumentata. Si possono così creare reti interattive per la ricerca e la gestione di informazioni, che coinvolgono professionisti, studiosi, turisti e visitatori. Il modello di superficie del Bastione Belvedere è stato utilizzato per la progettazione di un intervento progettuale6: l’accuratezza e la completezza del rilievo disponibile hanno consentito contemporaneamente di fare puntuali verifiche dimensionali e di mantenere una visione d’insieme dello spazio articolato nel quale si sviluppa l’intervento.
Modelli solidi I sistemi di prototipazione sono generalmente usati in campo industriale, dove i prototipi sono progettati ex-novo in ambiente CAD. In architettura e archeologia, invece, i modelli derivano da processi di digitalizzazione di oggetti, spazi, edifici reali. Il ruolo principale svolto dai modelli solidi in questi settori è quello di illustrare e supportare i progetti di comunicazione. Come spesso accade, si è assistito in tempi recenti ad una contaminazione tecnologica che ha trasposto strumenti e tecniche dal mondo industriale a quello dei beni culturali, rendendo però necessarie alcune precisazioni terminologiche. ‘Prototipo’ non deve più, in questo contesto, essere inteso come il primo elemento di una programmata produzione in serie, perché è evidente che l’obbiettivo di un modello architettonico realizzato con sistemi di rapid prototyping non è l’ottimizzazione della sua produzione di massa. Termini più appropriati per indicare questi modelli sono ‘replica’, se la sua scala è 1:1, o ‘modello solido’, nel caso di modelli in scala ridotta. In entrambi i casi si tratta di modelli ‘espositivi’, in quanto la loro funzione principale è quella di rappresentare e comunicare l’oggetto superando le limitazioni imposte dalle immagini bidimensionali, quindi consentendo di modificare il punto di vista dell’osservatore attorno al modello ed,eventualmente, di toccarlo. In questo modo la vista non è più l’unico senso attraverso il quale può essere trasmessa la comunicazione relativa ad uno spazio o ad un intervento, e il pubblico si amplia coinvolgendo, per esempio, anche ipo- e non-vedenti.
Il terreno antistante il Bastione Belvedere è stato modellato con superfici NURBS appoggiate al modello di punti: sulla base dei dati rilevati con lo scanner sono stati vettorializzati i profili, che hanno a loro volta costituito le direzioni di riferimento per la modellazione delle superfici.
6 a cura di F. Rosticci e M. Tonelli, nell’ambito del Laboratorio di restauro dei monumenti, prof. M. De Vita, Università degli Studi di Firenze
La complessità degli spazi del Bastione Belvedere ha richiesto di elaborare la proposta progettuale non su tradizionali piante e sezioni ma direttamente sul modello 3D
pagina a fronte Una fase preliminare alla prototipazione vera e propria consiste nella generazione del file STL e nella sua verifica. Il file STL (Standard Triangulation Language To Layer) è uno standard grafico che descrive l’oggetto tramite una decomposizione delle superfici che lo compongono: le superfici del pezzo vengono descritte con elementi triangolari. Il numero di questi triangoli è tanto maggiore quanto meglio si vuole approssimare la superficie. Lo standard STL fu sviluppato inizialmente dalla “3D Systems” ed è uno standard per i sistemi di prototipazione rapida. Modello solido realizzato con una stampante 3d Kenstrapper modello Volta Beta (tempo di lavorazione: 14 ore) La modellazione a deposizone fusa (Fused Deposition Modelling, FDM) utilizza un filo di materiale termoplastico, deposto su un vassoio da una testina capace di muoversi lungo 3 assi. Il processo è automatico, così come l’eventuale generazione dei supporti, spesso creati a nido d’ape per alleggerire la struttura. Alla fine della lavorazione il prototipo non richiede ulteriori trattamenti. 25. Il processo di sinterizzazione (Selective Laser Sintering, SLS) consiste nella compattazione e trasformazione di materiali ridotti in polveri in un materiale solido. Tale trattamento termico viene svolto ad una temperatura inferiore al punto di fusione del materiale. Sezioni con geometrie specifiche vengono riprodotte da un raggio laser su strati sottili di materiale in polvere (in alto a destra). La polvere non sinterizzata agisce da struttura di supporto e permette di realizzare particolari senza limiti di complessità.
Realizzazione di un modello solido
Il modello numerico deve essere predisposto e alla macchina che realizzerà il modello solido è solitamente inviato in formato STL. Con differenze legate alle diverse tecnologie impiegate, si procede quindi con la deposizione di materiale strato per strato fino ad arrivare all’oggetto finale. Questa fase può durare alcune ore in funzione delle dimensioni dell’oggetto (in particolare dell’altezza). Un’accurata scelta dell’orientamento del modello è importante sia per la finitura superficiale sia per ridurre i tempi di lavorazione. Una volta terminata la realizzazione del modello, deve essere rimosso dalla macchina e sono generalmente necessarie alcune operazioni manuali per liberarlo dal supporto o dal materiale in eccesso ed eventualmente operare ulteriori finiture della superficie con trattamenti quali l’impiego di carta abrasiva o la verniciatura.
interventi per il consolidamento strutturale del bastione del soccorso e del bastione del belvedere
Giacomo Tempesta
I consolidamenti strutturali di due porzioni dei massicci apparati murari perimetrali della Fortezza di Arezzo hanno rappresentato un episodio sicuramente emblematico rispetto ai temi più generali della filosofia dell’intervento di rinforzo in presenza di strutture in muratura. In generale il problema dell’analisi della consistenza strutturale di murature di tali dimensioni non è riconducibile al consueto tema della vulnerabilità, prevalente di tipo sismico, delle murature storiche quando quest’ultimo si riferisce agli edifici di natura civile o religiosa o a quegli edifici che compongono il tessuto edificato dei centri storici. La stessa sistematizzazione tipologica e disciplinare dei meccanismi di collasso, come anche dei fondamenti della meccanica stessa delle murature, riferibile ed applicabile ai casi di sistemi murari, perimetrali o di controvento, presenti in ossature murare delle tipologie edilizie sopra ricordate, né si adattano né si ritrovano, nella realtà, all’interno della casistica e delle problematiche strutturali e di dissesto proprie degli organismi murari relativi ai grandi sistemi fortificati. Infatti, malgrado l’enorme varietà con cui la costruzione muraria si presenta nei diversi luoghi e nelle diverse epoche, essa manifesta, nella casistica dei manufatti architettonici più tradizionali, sia di contesto che monumentale, la sostanziale omogeneità delle caratteristiche degli elementi strutturali semplici che la costituiscono, nell’assemblaggio di questi ultimi in tipi di apparecchi di connessione o anche nella qualità meccanica dei leganti, contribuisce fortemente a caratterizzarne sia la consistenza statica che il grado di vulnerabilità sismica. I concetti stessi di stabilità e di equilibrio, nell’ambito delle strutture murarie, obbediscono a regole che permettono la possibile individuazione o di meccanismi prevalenti di ribaltamento di parti (che possono conservare o meno caratteristiche di monoliticità interna), o a forme di collasso dovute a processi di disgregazione dei setti, causate dal ruolo scarsamente o per nulla efficace lei legami coesivi interni agli spessori murari. Nel caso invece delle grandi masse murarie, spesso caratterizzate da marcati spessori di strati lapidei esterni di paramento e sacchi interni formati quasi sempre da conglomerati particolarmente consistenti e coesi, il tema dell’equilibrio delle strutture viene declinato da un lato attraverso la distribuzione dei pesi propri e della congruenza dei baricentri parziali rispetto all’orma di contatto con il suolo, dall’altro attraverso il ruolo preponderante dell’attrito quale vincolo interno prevalente e in ogni caso oggettivamente difficile da mettere in crisi anche nel caso di eventuali azioni dinamiche.
pagina a fronte Foto del drone del Bastione del Belvedere
pagina a fronte Localizzazione dei due interventi Bastione del Belvedere. Caratteristiche del crollo La tipologia di dissesto che frequentemente caratterizza i grandi apparati murari propri di fortezze e strutture similari proprie dei manufatti di tipo difensivo, si presenta attraverso dislocazioni di ampie porzioni muratura, marcate da fratture di interfaccia spesso di considerevole ampiezza, che si sviluppano seguendo l’alterno andamento dei giunti di malta tra gli elementi dell’apparecchiatura più esterna. Aspetto di grande importanza assume tuttavia la capacità di lettura non solo descrittiva dei quadri fessurativi, che spesso manifestano una medesima o ricorrente tipologia, quanto la consapevolezza di carattere eminentemente deduttivo dell’analisi del dissesto rispetto alle relazioni causa – effetto che lo hanno determinato. Spesso si ritrovano scivolamenti delle basi fondali, in special modo sugli sproni angolari di perimetro, in grado di dislocare ampie porzioni che trovano nuovi assetti di equilibrio, aiutati da contatti interni di tipo attritivo e compensati, appunto, da spostamenti relativi che si manifestano sotto forma di linee di frattura. In altri casi i riempimenti successivi di masse terrose a monte dei fronti murali, sviluppatisi attraverso il susseguirsi di stratificazioni storiche legate a usi e disusi dei manufatti, hanno invece favorito l’azione di spinte fuori piano che, se da un lato non sono quasi mai sufficienti a provocarne i meccanismi di ribaltamento, sono tuttavia la causa scatenante di accumuli di acqua in prossimità degli intradossi fondali, in grado di innescarne, ancora una volta, eventuali processi di scivolamento delle masse murarie che vi appoggiano. Ulteriori situazioni di dissesto sono quelle dovute all’azione infestante di elementi arborei, anche di grande dimensione, conseguenza di lunghi periodi di incuria manutentiva e di attenzione, in grado di insinuarsi all’interno dei paramenti e dei sacchi murari e di spostare in modo del tutto anomalo e casuale intere porzioni di muratura. Gli spostamenti e le dislocazioni di tali porzioni murarie divengono, in seguito, possibili cause di dissesto o perfino di crollo di altri elementi costruttivi, ad esse adiacenti o ad esse strettamente collegati attraverso vincoli di appoggio o di imposta, come ad esempio nel caso di strutture voltate poste a copertura di cunicoli, gallerie o più in generale passaggi, camminamenti e vani in parte o totalmente ipogei. La caratteristica prevalente dei fenomeni di disseto sopra sintetizzati è quella di offrire due alternative possibili: la prima è quella che si caratterizza attraverso l’assunzione di nuovi assetti statici di parti di struttura muraria, a loro volta stabili e duraturi, quasi cristallizzati in nuove configurazioni di equilibrio; la seconda, assai meno frequente, del crollo di parti circoscritte dell’ossatura muraria, crollo spesso istantaneo e anch’esso conclusivo e definito nel tempo rispetto a un nuove situazioni di equilibrio, per nulla caratterizzate, con riferimento alle porzioni ancora stabili, da quadri fessurativi che presentino a loro volta, al di là del proprio manifestarsi, una qualche progressione evolutiva.
Bastione del Belvedere. Fasi dell’intervento di consolidamento. Si potrebbe affermare come l’aspetto dinamico, o per lo meno progressivo, dei fenomeni di instabilità caratteristico delle strutture murarie di altra tipologia mal si coniughi con la casistica di dissesto dei grandi apparati murari di perimetro dei manufatti architettonici adibiti a fortificazioni, assumendo invece nel caso di quest’ultimi un carattere molto più simile al concetto meccanico di un equilibrio ‘indifferente’, ovvero di un equilibrio che accetta e compensa l’azione perturbativa con nuovi assetti stabili della struttura ‘effettivamente resistente’, che ne bloccano definitivamente la configurazione all’instante immediatamente successivo all’evento che ne ha provocato il dissesto. Dal ragionamento esposto scaturisce come conseguenza un preciso atteggiamento da tenere nei confronti delle tecniche di intervento consolidativo in presenza di manufatti di questa natura, un atteggiamento che fonda la sua coerenza nel fatto che non occorra in questi casi ‘rinforzare’, quanto invece ‘stabilizzare’ o, al massimo, ‘ricucire’, quando questo sia ritenuto necessario, al fine di ricostruire una continuità materica e strutturale ritenuta imprescindibile per la ricomposizione di una configurazione di equilibrio stabile nel tempo, tutto ciò pur accettando la presenza di ferite o cicatrici ormai non più pericolose. Gli interventi di consolidamento strutturale descritti in questa nota si riferiscono ai due bastioni della Fortezza di Arezzo, quello del Soccorso e quello del Belvedere. Ambedue i casi presentano una situazione di crollo delle porzioni murarie prossime agli sproni murari angolari. I crolli non sono dovuti a cause riconducibili ai consueti meccanismi di dissesto dei fronti murari: ambedue furono infatti semplicemente minati dalle truppe francesi nei primi anni del XIX secolo. È possibile osservare tuttavia come nel caso del Bastione del Soccorso l’azione dello scoppio, avendo interessato un’area più ristretta, dislocata quasi in punta, sulla parte curva del perimetro murario, abbia prodotto il totale disgregamento della muratura, provocandone la rovina a valle sotto forma di detriti totalmente decoesi. Una porzione di terreno, a monte del fronte murario, accumulatosi sopra strutture murarie sottostanti è stato negli anni contenuta attraverso la costruzione di un setto murario ‘di fortuna’ che, pur in precarie condizione di stabilità, ha comunque evitato che essa franasse.
Nel caso invece del Bastione del Belvedere l’azione dello scoppio ha provocato il venir meno della base di appoggio del fronte murario che, fratturatosi in grandi porzioni al loro interno ancora compatte e consistenti, ha fatto sì che quest’ultime si adagiassero, scivolando verso valle, continuando ad appoggiarsi l’un l’altra lungo grandi squarci fratturati. La lettura dei due dissesti porta a due diverse interpretazioni del grado di vulnerabilità successiva al medesimo evento che li ha provocati. Il Bastione del Belvedere all’indomani del crollo ha trovato, nella dislocazione cinematica delle grandi porzioni di muratura, una nuova configurazione di equilibrio stabile basata su azioni di mutuo contrasto e sulla presenza di enormi forze di attrito che di fatto ne hanno impedito una progressione del dissesto. Il Bastione del Soccorso al contrario, nella sua nuova configurazione, vuoi anche per la presenza di strutture retrostanti prevalentemente voltate e caratterizzate da azioni spingenti, ha trovato un punto di equilibrio decisamente più instabile, a sua volta causa della progressiva comparsa di una tipologia di fratture che, per andamento e posizione, hanno subito messo in evidenza una maggiore e chiara vulnerabilità del manufatto. Alle due letture ed alle conseguenti analisi hanno fatto seguito due proposte di intervento sostanzialmente diverse. Per il Bastione del Belvedere è stato adottato un intervento, apparentemente atipico, che avesse il chiaro intento di cristallizzare la situazione di equilibrio nella configurazione ormai assunta dalla struttura. Tale scelta è anche sembrata in linea sia con una corretta filosofia di restauro quanto con una interpretazione che non nascondesse la drammaticità dell’evento a monte del crollo. Un cordolo di fondazione come appoggio sicuro ha consentito la ricostruzione ‘riconoscibile’ di parti murarie posizionate in modo da non consentire futuri traslazioni delle masse murarie. Per le porzioni più in alto, con il medesimo scopo, sono state approntate mensole di appoggio in profili metallici unitamente a tirantature di contenimento.
Bastione del Soccorso. Fronte laterale
Bastione del Soccorso. Individuazione schematica del quadro fessurativo.
Bastione del Soccorso. Particolari costruttivi: capichiave. Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo B Nel caso del Bastione del Soccorso l’intervento si è sviluppato su tre fronti distinti: - le porzioni murarie localizzate parte destra inferiore della parete, dislocatesi attraverso cinematismi di rotazione e di ribaltamento, sono state ricucite attraverso un sistema di tiranti inclinati secondo angolazioni ortogonali alla linea di frattura. Tiranti tipo B. - L’intero fronte di parete è stato quindi ricollegato longitudinalmente, in una sorta di precompressione leggera, mediante tiranti lunghi circa 15 mt e dotati di capochiave ai due estremi che impediscano ogni futuro meccanismo di ribaltamento della parte più alta della muratura. La direzione orizzontale dei tiranti è perfettamente ortogonale alla linea di frattura verticale che si è inteso presidiare con tale intervento. Tiranti tipo A. - La consistenza traversale degli spessori murari è stata infine migliorata attraverso una cortina di tiranti trasversali, anch’essi provvisti di capochiave ai due estremi. In questo caso l’intervento ha interessato l’ampia porzione di muratura posta in corrispondenza delle strutture retrostanti a prevalente tipologia voltata. Tiranti tipo C.
Bastione del Soccorso. Schema degli interventi di consolidamento mediante tiranti. Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo A Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo C
Tommaso Sensini
“Imperò... è di necessità l’arte, l’intelligenza e il giudicio di coloro che lavorano. E questo fa discernere ... da quegli che sanno a quei che manco sanno” Giorgio Vasari
Una premessa ai restauri specialistici
Il progetto di restauro di un edificio antico, che sia semplicemente descrittivo oppure corredato da un importante apparato di rilievi e documentazione, per quanto tenda a prevedere ogni azione in base all’analisi e osservazione dell’oggetto e per quanta esperienza e conoscenza possa vantare il gruppo che lo redige non può non contemplare l’eventualità o piuttosto la certezza di dover essere perfezionato in corso d’opera. La diagnostica di dettaglio è sempre utile per la effettiva conoscenza dell’oggetto e per definire le strategie di intervento ma raramente è veramente preliminare; molte prove non possono essere effettuate se non ad allestimento completo del cantiere, che nel caso di specie non era di semplicissima e immediata realizzazione. L’osservazione ravvicinata del paramento appariva complicata dalla presenza di vaste zone coperte da piante o parzialmente crollate. L’intero perimetro delle mura, in esterno, non era percorribile per impedimenti di varia natura quali aree private, crolli, boscaglie a ridosso delle mura. L’accurato lavoro di rilievo aveva ovviato a molti di questi problemi pur tuttavia eravamo tutti consapevoli che solo a ponteggi montati e dopo una prima sommaria pulitura la situazione sarebbe potuta apparire più chiara. Dopo i sopralluoghi, l’analisi del progetto e dei computi e nei diversi incontri tra committenza, progettisti, Soprintendenza, si sono approvate le scelte operative, individuate le aree per le prove ed elaborato il cronoprogramma. A luglio 2009 la superficie del paramento è stata analizzata tramite piattaforma aerea e sono state eseguite le prime prove per la pulitura ed il lavoro, iniziato a settembre 2009 è terminato a settembre 2011 dopo aver interessato un totale di circa ottomilacinquecento metri quadrati su un perimetro di oltre seicentocinquanta metri, per un’altezza da nove a quindici metri. Il dialogo costante tra i diversi attori impegnati nel processo ha contribuito ad approfondire le conoscenze e migliorare l’operato, adattando le metodologie alle specifiche casistiche che si prospettavano e alle diverse condizioni delle superfici. Operare direttamente sulla muratura ci ha permesso di ottenere interessanti e fondamentali informazioni che sono state condivise e hanno contribuito a comprendere vicissitudini dell’edificio e dell’area e confidiamo che questo intervento abbia migliorato conoscenza e mantenimento valorizzando la
pagina a fronte Arezzo, Palazzo Comunale. Particolare dell’affresco raffigurante “SS. Donato e Stefano presentano Arezzo alla Madonna” Salvi Castellucci (1649)
Cortina Ovest. Vista dal Belvedere con sullo sfondo il bastione della Spina. Prima del restauro. Cortina Nord Est. Termografia sovrapposta all’immagine della muratura dove si evidenzia, con la tonalità più scura, l’importante presenza di umidità soprattutto nella parte bassa Cortina Est. Vegetazione sulle murature e sul coronamento, soprattutto capperi e gladioli. Alveolizzazione dei mattoni, perdita di materiale, patine, colature compagine muraria che circonda quella che non è più nemmeno acropoli, cassero, cittadella, fortezza ma cuore e radice della città di Arezzo1 .
Lo stato di conservazione delle mura della fortezza prima dei lavori di restauro
La condizione conservativa del paramento esterno della Fortezza, aperto il cantiere, mostrava due principali forme di degrado a carattere macroscopico: la copertura dell’intera superficie da proliferazioni vegetali sia superiori sia inferiori e la dissestata condizione materica caratterizzata da erosione delle pietre, fratture e crolli parziali. Tra le proliferazioni biologiche si evidenziavano vaste colonie di licheni su tutti i fronti, spessi cuscinetti di muschi nelle aree esposte ai quadranti settentrionali, erbacee di ogni tipo insediate nelle sconnessioni tra le pietre e rampicanti che coprivano estese porzioni in diversi punti. Anche alberi di notevoli dimensioni fuoriuscivano dalle mura, radicati tra le pietre. I dissesti erano provocati dal carico proprio delle mura e da quello indotto dalle terre sovrastanti con lesioni e caduta di materiale; le radici delle piante avevano scardinato parti della muratura penetrando in profondità; l’azione di dilavamento ed imbibizione dell’acqua piovana era aggravata dalla presenza del riempimento interno in terra che, impregnandosi, bagnava la muratura sconnettendo le pietre e provocando colature dove prosperavano alghe e si formavano concrezioni argillitiche e calcitiche. Il degrado legato a gelività aveva provocato disgregazioni, fratture, scagliature e grave erosione con perdita di forma e materia.
1 I restauri specialistici del paramento esterno della Fortezza sono stati eseguiti da Studio Tre Tecnologia e Restauro di Tiziana Conti e Tommaso Sensini di Arezzo.
Il degrado biologico: patologie ed interventi restaurativi
Gli edifici posti in esterno sono sempre terreno fertile per varie forme vegetali superiori e inferiori e microorganismi che attecchiscono, deturpano e rovinano il substrato su cui proliferano, nel caso di specie pietre e malte che costituiscono la muratura. Per la Fortezza la conseguenza più vistosa era percettiva per la colorazione variopinta della superficie con differenziazioni dovute all’esposizione cardinale e per le piante e soprattutto le estese cascate di edere che occludevano la visione di vaste parti della cortina. Su alcuni fronti erano presenti vere e proprie “praterie”, ovunque parietarie, graminacee e numerose piante di capperi. Tra gli alberi che avevano radicato tra le pietre, con grave danno alle murature, fichi e ailanti e alcuni esemplari di robinia e carpino. Tra la vegetazione inferiore la specie risultata più diffusa sono stati i licheni, associazione tra un fungo che fornisce l’apparato che assorbe le sostanze nutritive dal substrato ed un’alga che consente la sintesi clorofilliana. Per riconoscere le numerose specie di licheni, discriminare tra muschi, alghe e muffe e mettere a punto la strategia migliore per la loro devitalizzazione sono state eseguite numerose analisi biologiche2. Sono stati individuati, grazie a queste, licheni foliosi decisamente gialli della specie Xanthoriama, crostosi bianchi e rossastri della specie Lecanora e Caloplaca e bruno nerastri della specie Placynthium Nigrum e Verrucaria Nigrescens, questi ultimi i più diffusi, deturpanti e tenaci. Sul bastione della Diacciaia erano presenti patine di colore brunastro ben inserite nella porosità della pietra, riconosciute all’analisi come muffe epilitiche, formazioni capaci di trattenere l’umidità. Occorre far presente che, se asportati meccanicamente, i licheni portano con se’ frammenti di roccia, per rimuoverli è necessario devitalizzarli e “ammorbidirli” con trattamenti successivi a base di acqua e biocida e facendo attenzione che la clorofilla rilasciata dalla parte algale non penetri nella pietra macchiandola. Per la determinazione del corretto biocida inoltre si è posta particolare attenzione alle questioni ambientali e di sicurezza sul lavoro unita a ottimizzazione ed efficacia del trattamento. A questo proposito si vuole qui ricordare che dal 2009 sono definitivamente al bando i prodotti contenenti metalli pesanti tra cui quelli a base di Stagno e si è optato per alternative efficaci con prodotti idrodispersibili a base di OIT (n-ottil-tiazolinone) e un sale di ammonio quaternario (Benzalconio
Bastione della Spina. Vegetazione prativa sul fronte Sud Ovest del bastione Immagine al microscopio della sezione lucida di un frammento di pietra con insediate colonie di muffe e licheni. Si nota la parte algale interna al tallo e la profonda radicazione del lichene Cortine e Bastioni da Nord Est a Sud Est. Proliferazione lichenica varicolore che copre il totale della muratura
2 Gli esami biologici sono stati eseguiti da R&C di Altavilla Vicentina e ProArte di Noventa Vicentina.
Cloruro) per il trattamento preliminare e a solvente a base di OIT e iodio-propinil-butil-carbammato per quello finale3 . L’applicazione di tali agenti biocidi è avvenuta a spruzzo con pompa manuale airless, in condizioni di bassa deriva lasciando agire qualche giorno per la migliore azione dei principi attivi.
Le pietre delle cortine murarie della fortezza
Per il riconoscimento della tipologia delle rocce utilizzate per la pietre, dei componenti delle malte, per le sequenze stratigrafiche e per individuare prodotti di degrado sono state eseguite analisi petrografiche in sezione sottile e luce polarizzata. Per la lettura stratigrafica ci si è avvalsi di sezioni lucide analizzate al microscopio ottico; per determinare le componenti minerali i campioni sono stati esaminati al microscopio elettronico (SEM) con sonde (EDS); per captare le frazioni organiche e di degrado è stato condotto esame della spettrofotometria all’Infrarosso (FTIR). La parte predominante delle rocce costitutive i conci del paramento esterno della Fortezza di Arezzo sono ascrivibili alle Arenarie specificatamente della Formazione del Macigno Toscano, roccia argillosa arenacea appartenenti alle Arenarie del Pratomagno e Falterona la cui colorazione giallastra è legata alla presenza di materiale limonitico argilloso.4 Nella Fortezza ogni tratto è diverso: porzioni orizzontali o verticali si differenziano per tessitura, pezzatura e finitura; all’interno di singoli tratti persistono parti che evidentemente afferiscono a fasi storiche e costruttive diverse come della cortina Nord Est, verso il bastione del Soccorso, dove la tessitura incerta e male assortita diviene improvvisamente un ordinato rivestimento isodomo con finitura subbiata verticale. Ancora sul lato Sud è palese la ricongiunzione fatta con una muratura di tutt’altra tipologia alcuni metri prima del bastione del Belvedere, con tanto di cordolo sommitale che curva a chiudere. La maggiore presenza costitutiva del paramento la detiene il Macigno, la così detta pietra da macine, ruvida, lavorabile ed a tessitura omogenea sia giallo ambrata, per la presenza di ossidi ferrosi, sia grigioazzurognola per la presenza di altri ossidi e miche, quest’ultime responsabili di un progressivo e inesorabile sfaldamento. Le caratteristiche delle diverse pietre erano ben note ai costruttori dell’epoca. Giorgio Vasari (1511 - 1574) nel proemio alle “Vite...” cita la pietra forte “Cavasi per diversi luoghi la pietra forte, la qual regge all’acqua, al sole, al ghiaccio et a ogni tormento...” infatti precisa “… si può vedere in Fiorenza… di questa pietra… molte statue et arme, come intorno alla Fortezza… Questa ha colore alquanto gialliccio...” di contro ricorda “... quella ch’egli chiamano pietra serena… trae in azzurrigno o vero tinta di bigio, della quale n’è ad Arezzo cave in più luoghi... Questa sorte di pietra è bellissima a vedere, ma dove sia umi-
3 Borgioli, De Comelli, Pressi, su «Progetto Restauro», n. 37, ed. il Prato, 2006 4 Le analisi petrografiche, termografiche, microchimiche e la caratterizzazione delle malte sono state eseguite da ProArte di Noventa Vicentina.
Bastione interrato. Le cospicue tracce di intonaco sul bastione rinvenuto in seguito agli scavi
dità e vi piova su o abbia ghiacciati addosso, si logora e si sfalda”5 . Se la presenza del Macigno è più che scontata in quest’area geografica, già le arenarie del Cervarola, formazione prevalentemente marnosa, rinvenute in un solo fronte e in filari ordinati quanto lì privi di ragione, indicano la provenienza più che probabile dalle precedenti costruzioni della cittadella medioevale fatta radere al suolo dai fiorentini per erigervi la Fortezza che dovevano essere, vista l’ottima conciatura, non di secondaria importanza; la presenza di tale litotipo è affatto secondaria nei dintorni di Arezzo e nella stessa collina su cui giace il centro storico. Oltre alle diverse famiglie di arenarie, che rappresentano più dell’80 % della tipologia delle pietre apparivano presenti, ma meno numerosi, i calcari talvolta diagenicamente immaturi e quindi oggi frantumati, le marne, le argille anche dalle forme tormentate, rari travertini anche di recupero, più frequenti i laterizi sia a riempimento che, meno spesso, come corsi regolarizzatori dei piani. Abbiamo rinvenuto anche alcuni tartari, un elemento di pietra lavica o altro residuo vetrificato, uno di granito dell’Elba. Non emerge un ordine unitario nell’edificazione che appare a volte organizzata e seguire dei canoni precisi, come per i due bastioni più antichi della Chiesa e del Soccorso, mentre in altre parti è caratterizzata dall’utilizzazione di ciò che si trovava già sul posto, compresi conci di costruzioni precedenti come soglie con predisposizione di cardini, stipiti trecenteschi ben lavorati, lastre varie, rocchi di colonne il tutto montato a riempimento caotico e rintuzzato da scaglie e pezzame vario. È probabile che fosse prevista un’intonacatura di tutta la superficie sia per occultare la disomogeneità della muratura sia per regolarizzarla e proteggerla come la superficie del bastione rinvenuto interrato coperta da uno spesso e tenace strato di malta di colore chiaro. Nell’affresco di Salvi Castellucci (1608 - 1672) nell’atrio del palazzo comunale di Arezzo, si vede peraltro il profilo della città con il tratto di mura medicee, intervallate dai baluardi e dalle garitte, di tono chiaro e uniforme.
5 Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze S.P.E.S., già Sansoni, 1966-1987. su www.memofonte.it (consultato 2020)
Le calci e le sabbie
Particolare attenzione è stata destinata allo studio degli impasti condotta su decine di campioni per stabilire tipologia della calce, natura delle cariche, rapporto legante / inerti, curva granulometrica e per intercettare la presenza di tinteggi e colori. Le malte del paramento esterno sono risultate a base di calce aerea o miste aerea/idraulica mentre numerosi campioni prelevati dall’interno del “sacco” erano a base di sola calce idraulica; gli inerti apparivano rappresentati da sabbia di fiume ed attraverso la lettura litologica se ne è potuta individuare la provenienza dall’alveo dell’Arno; rari ma sempre presenti i frammenti calcarei ed il cocciopesto, sporadico il rinvenimento di particelle da rocce basico silicatiche di origine magmatica. La caratterizzazione6 media della malta restituisce un impasto di colore nocciola, mediamente tenace e coesivo; granulometria da 0,06 a 4,0 mm; il conglomerato risulta moderatamente classato, frammenti da spigolosi ad arrotondati, superficie da liscia ad abrasa e distribuzione omogenea. La porosità primaria e secondaria era del 20% con vacuità irregolari da parte del legante e rare microfessurazioni; la struttura abbastanza omogenea con qualche calcinarolo. Il legante era caratterizzato da calce aerea carbonatata, l’aggregato prevalentemente sabbia costituita per oltre il 40% di quarzo mono e policristallino (Silice); 21% di frammenti di arenarie quarzose a cemento calcareo (sabbia da rocce di formazione macigno); 15% di feldspati; 11% particelle fini di tipo limonitico ed ematitico; 8% frammenti di mattone, 4% calcari sparitici. Un prelievo in profondità della malta del sacco nel bastione del Soccorso ha rilevato la presenza della calce idraulica giustificata dall’esigenza di conferire al calcestruzzo la resistenza necessaria ad una costruzione militare. Nella trattatistica specificatamente riferita all’architettura fortificata si fa riferimento a calci definite forti, morette, selvatiche e si attribuiva la reazione idraulica alla presenza di impurità argillose; Francesco di Giorgio Martini (1456 -1502) scrive che “una natura di pietra bigia in Toscana detta Albazzano, della quale si fa calcina che in luogo umido fa miglior presa di tutte le altre, di grandissima tenacità ed è di colore di cenere”7, descrivendo cioè la roccia ancora oggi definita Albazzana o Alberese, calcare marnoso che sottoposto a cottura fornisce calci idrauliche e che viene colta in Toscana nei dintorni di Firenze sul monte Morello, sui monti della Calvana, a Scandicci, a Calenzano. Il tipo di roccia non è raro anche in altre parti della regione, nel bacino dell’Arno, in Casentino e nel territorio di Arezzo. La stessa è chiamata anche Galestro ma questa definizione è talvolta utilizzata per le formazioni di Scaglia toscana o sequenze stratificate di argille. Nel fronte Sud, nella porzione centrale, in alto e quindi in un tratto che si discosta da altri per tessitura e tipologia del cornicione, anche la malta di allettamento è risultata contenere calce idraulica e tra gli
6 Caratterizzazione secondo le norme UNI-NORMAL 12/83. Gi esami sono stati condotti da Proarte di Noventa Vicentina, Opificio della Bioaedilitia di Bondeno, Studio Tre di Arezzo 7 Francesco di Giorgio Martini Trattati di architettura ingegneria e arte militare, Ed. Torino, 1841, su https://books.google.it (consultato 2020)
inerti pietra basica di origine vulcanica, presente in zona esclusivamente nelle ofioliti dei Monti Rognosi, vicino Anghiari e in misura minore nei ciottoli del Maspino alle porte di Arezzo. Sulla cortina Sud Est, in prossimità del bastione del Soccorso già durante la ricognizione ravvicinata eseguita tramite piattaforma aerea, erano stati individuati frammenti di malta che mostravano tracce di una tinta chiara di tono ocraceo; la sequenza stratigrafica ha mostrato due stesure in cui la prima è un intonachino composto da calce aerea e sabbia di fiume e calcarea di colore bianco per una base luminosa, la seconda mostra dispersi in una matrice subtrasparente minuti cristalli di colore giallo. L’esame all’infrarosso ha registrato la presenza di grosse quantità di carbonato di calcio (calce e calcare) e discrete concentrazioni di silicati (ocre) mentre non si sono evidenziati prodotti di natura organica né di degrado. Si tratta di uno strato sottile da 20 a 80 micron di pittura a calce applicata poco densa in un’unica stesura e senza aggiunta di colle o oli. Data l’intima compenetrazione tra pittura e intonaco la stesura ha subito una carbonatazione simile a quella che si innesca con la tecnica dell’affresco secondo la formula ((CaOH)2 + Pigmento) + CO2 → (CaCO3 + Pigmento) + H2O. Questa parte del paramento ha dunque avuto in origine, o a un certo punto in un tempo non recente, una tinteggiatura di colore giallo luminoso!
Gli interventi di restauro
Prima di avviare i lavori su ciascun fronte, coi ponteggi montati, si è sempre proceduto all’osservazione ravvicinata così da analizzare e mappare puntualmente le zone ove eseguire le varie lavorazioni. L’intero parato è stato fotografato da vicino e, quando necessario, sulle singole pietre è stato apposto un segno delebile che ricordasse l’operazione da eseguirsi. Questo approccio ha permesso di “toccare con mano” l’intera superficie, analizzare da ogni punto di vista ciascun elemento e formarsi una mappa mentale per l’esatta conoscenza della condizione e la prefigurazione delle operazioni da svolgere. Per le malte sono state effettuate numerose formulazioni e campionature per determinare la corrispondenza del composto e le modalità di applicazione con particolare riguardo a colore, profondità e superficie; per le pietre da integrare sono state utilizzate innanzitutto quelle di recupero e poi con l’acquisizione di campioni di diverse cave le prove di lavorazione e patinatura si sono scelte quelle di nuova fornitura.
Sezione sottile a luce polarizzata di un campione di malta di allettamento Cortina Sud. Frammento di intonaco di colore chiaro con residui di tinteggio di tonalità giallo intensa
Cortina Nord. Pulitura localizzata per la rimozione delle patine più tenaci con prodotti specifici, spazzola, acqua nebulizzata Microstuccatura delle fratture e scagliature nella pietra con spatola e malta specificatamente composta Dal punto di vista dell’organizzazione del personale i lavori hanno visto la presenza costante di un restauratore di Beni Culturali, un tecnico con funzione di capocantiere, due squadre di addetti alle lavorazioni. I lavori sono stati condotti ottenendo una media di circa tre mesi per tratto e con lavorazioni e squadre che interessavano due tratti in contemporanea. Inoltre la sequenza operativa è stata pianificata tenendo conto dell’esposizione cardinale dei fronti e delle stagioni poiché l’aspetto climatico ha un forte impatto su questo genere di lavori non solo per l’agio di chi lavora ma per le conseguenze sui prodotti che sono sensibili all’escursione termica: carbonatazione di malte e tinteggi, reazione di silicati e resine richiedono temperature e umidità non estreme; occorre evitare situazioni di eccessivo irraggiamento solare o pioggia battente evita di danneggiare quanto realizzato. La prima cortina affrontata è stata quella Nord Est prospiciente il Cimitero urbano perché, oltre che più defilata, lunga quasi cento metri presentava una variegata casistica di materiali e degrado. Inoltre la contiguità con il bastione del Soccorso, più antico e parzialmente crollato, con quello della Diacciaia restaurato alcuni anni e stante la presenza della porta del Soccorso e di molte zone lacunose ne facevano un’eccellente palestra per mettere a segno ogni singola tipologia di intervento. Dopo numerose prove e messe a punto, nei sopralluoghi congiunti tra committenza, direzione lavori, Soprintendenza e restauratori si è giunti a determinare la corretta metodologia. Essendo presenti sporco, patine, proliferazioni biologiche di diversa natura e tenacità la pulitura è stata affrontata in più momenti: diserbo manuale e asportazione delle specie infestanti come edere e piante che a volte hanno richiesto lo smontaggio parziale della muratura; pulitura preliminare a secco, con spatole, spazzole e pennelli per la rimozione dei depositi incoerenti come terriccio e guano; pulitura generalizzata e rimozione delle patine biologiche devitalizzate ad acqua tramite idropulitura a freddo, utilizzando una macchina a pressione regolabile e frazionamento del getto tramite ugello rotante; nelle parti che mostravano ancora tracce da rimuovere, pulitura localizzata con prodotti basico solventi, spazzola di saggina e ulteriore risciacquo con acqua nebulizzata; sulle lapidi marmoree e stemmi di pietra per eliminare patine e croste, impacchi di soluzioni basico solventi e accurati risciacqui successivi con acqua deionizzata; per rimuovere stuccature ed elementi incongrui scalpello e martello. A parte rari casi di preconsolidamento, dove la pietra era così rovinata da non consentire alcuna ope-
razione, il consolidamento di fratture e scagliature è avvenuto dopo la pulitura con applicazione o iniezione di malta fluida di calce idraulica naturale e inerti silicei micronizzati; i sollevamenti e distacchi sono stati fissati con ponti di malta adesiva composta da calce, silice e resina acrilica e ancorate al nucleo sano con l’inserimento di perni in vetroresina fissati con resina epossidica bicomponente. Per gli elementi di maggior peso, come lo scudo dello stemma posto sulla Spina, l’ancoraggio è avvenuto con l’inserimento di barre di acciaio in profondità fissate con adesivo vinilestere. In un caso, in corrispondenza della porta del soccorso con la pietra, di composizione fortemente micacea, quasi irrimediabilmente disgregata, si è ricorsi al consolidamento con estere etilico dell’acido silicico (Etile silicato), un prodotto che possiede buone capacità di penetrazione e che, nell’evaporazione dell’alcol etilico che si forma per reazione con l’acqua naturalmente presente nella pietra, precipita silice che rinforza la pietra secondo la reazione Si(OEt)4 + 4H2O → SI(OH)4 + 4EtOH. Questo prodotto deve essere applicato in più mani, bagnato su bagnato e fino a rifiuto per raggiungere il nucleo sano della pietra, evitando ristagni e colature e rimuovendo accuratamente gli eccessi che provocano macchie; il trattamento deve avvenire con temperature tra 15 e 30°C e Umidità Relativa non superiore a 60%, la pietra non deve essere umida per evitare cristallizzazioni in superficie. Per impedire che attraverso fratture e scagliature l’acqua piovana penetri nella muratura innescando processi di degrado progressivi, si è proceduto alla loro sigillatura (microstuccatura) che oltre a limitare la penetrazione dell’acqua rappresenta un’eccellente espediente estetico poiché attenua fortemente la percezione del degrado. Per la sua esecuzione è stato predisposto uno stucco a calce con granulometria e tonalità affini alla pietra caricata con una minima percentuale di resina acrilica, applicata con spatola con particolare accuratezza per pulizia e lavorazione. Nel restauro, alla perdita e mancanza di parti o elementi si ovvia con l’integrazione, che può essere materica o cromatica e che ne rappresenta la fase estetica; nel caso del paramento della Fortezza è stata relativa alla malta tra i conci e ad alcuni elementi lapidei mancanti o così rovinati da dover essere rimpiazzati. La malta è stata integrata dove mancante, consolidando il materiale incoerente con un primo riempimento con la medesima malta più fluida, raggiungendo poi il livello originale, adeguando la superficie
Bastione della Chiesa. Restauro ultimato del paramento e dei cordoli Campione della malta riprodotta posta in opera per la verifica finale di colore, aspetto, finitura
e pulendo da tutti gli eccessi. In quanto non invasiva questa procedura limita azioni distruttive sull’oggetto, rispetta al massimo quanto pervenuto e minimizza l’uso del materiale e d’altro canto richiede una malta confezionata con cura e una tecnica applicativa puntuale e precisa. Gli studi sulle malte, oltre che interessanti per la conoscenza di tecnologia e pratica costruttiva dell’epoca e a volte utili per discriminare momenti costruttivi diversi, sono stati il fondamento per la formulazione del prodotto per il restauro. Sono state scartate le malte preconfezionate perché non rispondenti ai criteri prefissati ed è stata valutata l’opportunità di preparare il prodotto in cantiere, scegliendo e mescolando direttamente i vari componenti ma si è infine deciso di avvalersi di un produttore col quale fosse possibile un completo e reciproco dialogo che realizzasse appositamente il prodotto8 . La richiesta era una malta a base di sole calci naturali e inerti molto simile a quella originale; a presa idraulica, per raggiungere una resistenza simile a quanto oggi, dopo cinque secoli, ha quella esistente. La calce aerea infatti ha una resistenza iniziale alla compressione non superiore a 1,0 N/mm2 (circa 10 Kg/cm2) mentre la calce idraulica naturale (NHL, Natural Hydraulic Lime)9 a seconda della tipologia può raggiungere i 9 N/mm2 (circa 90 Kg/cm2); le malte composte con NHL sono quindi più resistenti e pur avendo un comportamento idraulico mantengono la permeabilità vapore poiché le impurità di Silice Allumina e Ferro (SAF) e in particolare la Silice presente nel calcare idrata formando Silicato bicalcico e la calce libera, Idrossido non legato coi silicati, carbonata in virtù dell’esposizione all’aria trasformandosi in Carbonato di Calcio (traspirante) secondo la formula bruta C2S e CaOH + 4H2O + CO2 → C2S4H2O e CaCO3. L’inerte, che rappresenta lo scheletro del composto, in coerenza con quanto emerso dall’analisi di quella originale, lo volevamo di origine fluviale, a giusta curva granulometrica, lavato per depurarlo da frazione micrometrica e impurità organiche. Scartate quelle già utilizzate dal produttore non adatte per colore sono state usate sabbie provenienti dal Valdarno, da giacimenti tra Quarata e S. Giovanni, ad alto tenore di silice resistenti e insolubili, con granulo arrotondato e poco scheggiato che facilita lavorabilità e costipazione. Per accelerare l’inizio della presa è stata introdotta una minima percentuale di pozzolana naturale micronizzata, di colore rosso e giallo per contribuire al colore dell’impasto e, per adeguare l’aspetto alla malta originale, è stata aggiunta una frazione di cocciopesto e sabbia policroma con granuli fino a 7 mm; tuttavia nei diversi fronti è stato sempre necessario un adeguamento della cromia ottenuto aggiungendo di volta in volta pigmenti minerali naturali. Dove la mancanza era profonda ed era necessario uno spessore cospicuo si è proceduto a un riempimento parziale con frammenti di pietra o laterizio,
8 Opificio della Bioaedilitia di Bondeno (FE) con la quale si è avviata una collaborazione con sopralluoghi dei tecnici sul posto e visite agli impianti, definizione dei componenti, campionamenti per la definizione del prodotto, certificato, marcato “Fortezza di Arezzo”. 9 Le caratteristiche delle calci sono contenute nella Norma UNI EN 459-1:2010
oppure si è caricata la malta con granulato di pomice naturale proveniente dalle cave di Pitigliano. Per l’integrazione delle pietre sono state utilizzate sia quelle di recupero crollate o reperite erratiche all’interno del monumento, sia di nuove, selezionate in base a criteri di natura, consistenza, grana, colore. Nel caso del cordolo sommitale del bastione del Belvedere gli elementi mancanti sono stati realizzati in arenaria bigia subbiata in superficie. Alcune lastre di rivestimento del lato nord est del bastione del Soccorso sono state integrate con una pietra serena di Firenzuola, fiammata sul posto per renderne scabra la superficie e quindi patinata. Per il marcapiano della cortina Nord Est, in parte caduto, la scelta è ricaduta su un tipo di calcarenite umbra a cemento carbonatico e matrice calcareo silicea di tono chiaro poi patinata, il profilo non è stato riprodotto ma si è proposta una lavorazione a subbia, eseguita sul posto e sottolivello. Per tutte le pietre oggetto di scuci cuci o per parti totalmente da ricostruire si è provveduto, oltre alla cernita e alla posa in opera rispettando piani e livelli delle parti contigue, alla lavorazione manuale di spigoli e superficie e all’adeguamento cromatico. L’ultima fase del restauro è rappresentata dal trattamento finale che è somma di più applicazioni: velatura, biocida, protettivo. La velatura, necessaria solo per quelle parti oggetto di parziale ricostruzione o sostituzione di elementi o fortemente dissonanti col contesto, è stata condotta con pigmenti minerali naturali in caseato di cal-
Cortina Ovest. Velatura per adeguamento cromatico delle pietre sostituite Bastione del Soccorso. Lavorazione superficiale e patinatura delle lastre integrate Bastione Belvedere. Lastre del rivestimento sconnesse e distaccate Bastione della Spina. Particolare in corrispondenza di vecchie aperture sul lato Sud Ovest del bastione
Cortina Est e Bastione della Chiesa. Lavori quasi ultimati e finiture in fase di smontaggio dei ponteggi Cortina Ovest. Particolare con la parte a destra a lavori ultimati, a sinistra una porzione ricostruita con le pietre della stessa pezzatura dell’originale, al centro il paramento ancora da restaurare Bastione del Soccorso. Particolare della parte sommitale con parziale ricostruzione, integrazione dei mattoni, patinature cio oppure quando possibile si è disperso il colore direttamente nel protettivo finale; i pigmenti utilizzati sono stati ocra, terra di Siena naturale e bruciata, terra d’ombra naturale, terra verde, nero di Roma. Per il protettivo si è optato per un prodotto a base di copolimeri silossanici acrilati a bassa tossicità, che oltre che una funzione idrofobizzante, consolida moderatamente la superficie; al protettivo è stato aggiunto il biocida come deterrente a rapide proliferazioni. Nelle sole lapidi di marmo, il protettivo è stato sostituito da un’emulsione acquosa di cera microcristallina, più indicata per le pietre carbonatiche. Lungo l’intero perimetro le diverse parti del paramento presentano caratteristiche differenti e oltre alla sequenza descritta è stato necessario adattarsi a condizioni presenti solo in determinate aree. Sul bastione del Soccorso la pietra a causa del montaggio contro verso delle lastre, più soggette a laminazione e distacco di scaglie, più numerosi sono stati gli ancoraggi, le iniezioni di malta fluida e più estesa la fermatura dei sollevamenti. Qui erano mancanti cospicue porzioni del coronamento in laterizio che è stato ricostruito secondo il profilo originale con elementi di nuova fornitura selezionati verificandone conformità meccanica e formale, stilando tra i mattoni con una malta realizzata specificatamente e provvedendo a una patinatura di adeguamento. Sulla cortina Sud Est, caratterizzata da una serie di archi di scarico a vista, le mancanze e le profonde erosioni dei mattoni, hanno richiesto di intervenire sia integrando i mattoni mancanti con elementi di recupero sia con parziali ricostruzioni, in malta a cocciopesto e armature interne in barre di vetroresina. Sul fronte Sud l’alveolizzazione eolica aveva prodotto incavi più o meno profondi sulla pietra, i mattoni e la malta e si è messa a punto una tecnica specifica definita collegialmente ed adattato il materiale per colmare parzialmente questi fori mantenendone la caratteristica ma impedendo che divenissero potenziali nidi e favorissero l’infiltrazione dell’acqua. In questa parte del perimetro sulla parte in alto a destra erano presenti cospicui lacerti intonacati che sono stati puliti, fermati lungo i margini, integrati e velati; nella parte in basso a sinistra che poggia sulla roccia della collina, un’argillite disposta a “frana poggio”, l’intero piede della muratura era “in falso” per l’erosione del terreno ed è stato ricostruito con pietre di nuova fornitura scelte per forma e dimensione per rispettare filari e pezzature originali e poi patinate. Nel bastione del Belvedere un trattamento specifico è stato riservato ai grossi blocchi crollati in conseguenza delle mine francesi dell’800 per mantenere la lettura delle conseguenze storiche mettendo però in sicurezza sia le parti potenzialmente instabili sia il paramento che in alcuni punti tendeva a staccarsi e precipitare. Le lastre staccate sono state fissate con malta e perni di acciaio, i blocchi sono stati rinforzati sostenendoli con elementi di calcestruzzo e muratura con una stuccatura a raso che distinguesse il ripristino dall’originale, la parte interna del sacco, dove instabile, è stata risarcita con pietrame e malta affine a quella originale e consolidata con l’inserimento di barre di vetroresina ad aderenza aumentata e malta fluida di calce idraulica.
Sul bastione della Spina la parete a sud ovest, caratterizzata in parte da una pezzatura minuta e dalla presenza di alcune aperture tamponate, si è operato con particolare attenzione per mantenere l’aspetto come giunto a noi e denunciare, senza esasperarli, i profili delle aperture. La parete opposta del bastione, esposta a nord e con cospicue infiltrazioni d’acqua, era particolarmente interessata da alghe, oltre alla presenza massiccia di arbusti e felci ed è stata oggetto di più trattamenti di devitalizzazione. Il bastione della Diacciaia che era stato sottoposto a intervento nei primi anni novanta, non ha richiesto opere di consolidamento ma presentava la superficie completamente annerita da patine biologiche diverse dalle altre e la pulitura è stata condotta solo ad acqua. Sul lato dell’ingresso principale dove la flora autotrofa ed eterotrofa era particolarmente abbondante a causa dalla presenza delle piante ad alto fusto troppo vicine alla muratura che abbattono la circolazione d’aria, proiettano ombra sulla superficie, rilasciano pollini e prodotti di degrado, sia la pulitura sia il trattamento biocida sono stati adattati alla situazione. Prima di ogni smontaggio delle impalcature si è proceduto all’osservazione, per quanto possibile a distanza, per individuare eventuali difformità o disturbi e condotte le necessarie finiture quindi, puliti i piani del ponteggio e rimosse le polveri dalle pareti si è provveduto alla chiusura dei fori di ancoraggio. Ma nessun intervento di restauro per quanto condotto con le migliori tecniche e materiali può intendersi eterno: il materiale costituente ha un suo degrado irreversibile che il restauro deve tendere a che sia più lento possibile; la collocazione all’aperto sottopone le murature alle intemperie innanzitutto acqua, irraggiamento solare, gelo e poi all’inquinamento. Il particellato atmosferico che si deposita diviene nel tempo aggressivo per pietra e malte in quanto trattiene umidità e favorisce l’attecchimento di microflora che col loro metabolismo producono sostanze dannose oltre che deturpare l’aspetto. Prima o poi la vegetazione proverà a colonizzare le murature e gli animali vi cercheranno riparo; incidenti, eventi avversi o vandalismo possono rientrare tra quanto potrebbe causare o danneggiamento alle murature. I prodotti per il restauro, già reversibili per prassi, sono per propria natura degradabili, la resistenza dei materiali utilizzati non deve essere eccessiva per non trasformare l’originale nell’anello debole della catena, i protettivi non sono definitivamente risolutivi ma servono a migliorare la condizione e a procrastinare gli interventi successivi poiché le catene polimeriche degradano soprattutto per l’esposizione all’UV della luce; i principi attivi dei biocidi perdono efficacia quanto più sono chiamati a contrastare le ricrescite vegetali e la loro dispersione nel protettivo o la propria parte adesiva seguono il naturale degrado di questi componenti. Pertanto rientra, o dovrebbe rientrare, tra le fasi del restauro la manutenzione programmata; da prevedersi già in fase di progetto e di conto economico. Un periodo ragionevole di controllo periodico è ogni tre - cinque anni, in questo lasso di tempo i protet-
tivi iniziano a degradarsi e perdere di efficacia mentre le piante eventualmente spuntate non avranno ancora un radicamento profondo. La mura della Fortezza non sono ovunque di agevole raggiungimento, occorre utilizzare una piattaforma aerea e / o intervenire con operatori su fune e potrebbe ravvisarsi anche lo stimolo a professionalità debitamente attrezzate anche con strumenti di osservazione di recente generazione per esplorare le murature per poi pulirle superficialmente, rimuovere le piante che vi avessero attecchito, rinnovare i trattamenti protettivi, eseguire piccole riparazioni. Tenere sotto osservazione l’oggetto permetterà anche di individuare tempestivamente eventuali criticità e la redazione di una scheda di ricognizione appositamente predisposta oltre che definire lo stato conservativo in quel momento, servirà per programmare nel tempo i lavori più necessari. Monitorare l’evolversi del degrado rappresenterà un eccellente strumento per verificare sia l’efficacia degli interventi, consentendone il miglioramento, sia per tracciare il naturale degradarsi delle superfici e delle strutture e ottenere informazioni preziose per progettisti e tecnici del futuro. Insieme a quanto emerso in occasione dell’intero restauro, tutte le notizie, le osservazioni e le scoperte contribuiranno a comprendere le vicissitudini dell’edificio e dell’area e a perfezionare le strategie di intervento, valorizzazione e gestione rendendo ancor più vero, se ve ne fosse bisogno, il concetto di Cesare Brandi che nella sua Teoria...10 (1963) asseriva “Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”.
10 Cesare Brandi, Teoria del restauro, VI, Einaudi 1977