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Giulio Giovannoni, Olivia Gori
Questo volume raccoglie le sperimentazioni progettuali sviluppate tra il 2013 e il 2018 da diverse centinaia di studenti dei corsi di laurea in Architettura dell’Università di Firenze e di altre università italiane e straniere. Esso nasce dalla collaborazione tra il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e il Servizio Urbanistica della città di Prato. Questa collaborazione ha visto da una parte l’amministrazione comunale nella funzione di ‘propositore’ di temi e problemi di carattere urbanistico/architettonico d’interesse per la città, e dall’altra il Dipartimento di Architettura nel ruolo di ‘esploratore’ di strategie e di soluzioni progettuali attraverso workshop internazionali, laboratori progettuali interdisciplinari, tesi di laurea. Questa grande mobilitazione collettiva ha prodotto, nel giro di pochissimi anni, una mole impressionante di progetti e visioni per il futuro della città. Essi costituiscono un repertorio di idee a cui l’amministrazione di Prato può attingere nel redigere i propri strumenti di pianificazione e di programmazione. Prato è una realtà urbanistica ed economica di primo piano. Dopo Firenze, essa è la seconda città per dimensione nella fascia del centro-nord Italia composta da Toscana, Umbria e Marche. Nonostante la crisi del settore tessile, essa continua ad essere la capitale laniera italiana. Inoltre, il distretto del Pronto Moda pratese, a pressoché esclusiva conduzione cinese, è certamente uno dei più importanti d’Europa. La realtà materiale della ‘fabbrica urbana’ è fortemente flessibile e manipolabile, quasi un terreno ideale per diverse tipologie di sperimentazioni progettuali. I tessuti densi più prossimi al centro storico sono caratterizzati, come noto, da una mixité residenziale-produttiva che offre innumerevoli occasioni di riflessione sui temi della rigenerazione urbana, dell’economia circolare, della città creativa, dello spazio pubblico. I grandi macrolotti a sud dell’autostrada, ed in particolare il Macrolotto 1, ‘cuore pulsante’ del pronto moda pratese, coniugano la versatilità di un impianto a griglia con le potenzialità che discendono dalla forza economica delle attività in esso presenti e dalla connotazione funzionale ibrida artigianale e commerciale. Essi hanno la potenzialità di evolvere da poligoni industriali a vere e proprie città, dotate di servizi e attrezzature e caratterizzate da un elevato livello di urbanità. Il resto della città rientra ancora abbastanza bene nella definizione di campagna urbanizzata fornita da Giacomo Becattini nel lontano 1975. In questi ambiti periurbani è possibile sperimentare gli approcci dell’urbanistica paesaggistica e dell’urbanistica suburbana e cimentarsi con la progettazione di nuove tipologie di spazi pubblici e di socialità. Il lavoro è organizzato per temi progettuali solitamente corrispondenti ad ambiti geografici. L’ordine dei capitoli riflette la scansione temporale dei progetti e l’emergere dei temi nell’agenda urbana pratese. Il Macrolotto 0 è il primo di questi quartieri ed i laboratori progettuali e le tesi di laurea ad esso relativi sono stati sviluppati tra il 2013 e il 2018. La singolare denominazione attribuita a questa parte della città da Bernardo Secchi nell’ambito del piano da lui elaborato negli anni 1990 evidenzia da un lato la sua connessione funzionale ai successivi Macrolotti 1 e 2, dall’altro il suo carattere – del tutto anomalo e singolare – di vera e propria ‘città fabbrica’ all’interno del tessuto urbano. Questa è del resto la zona di Prato che maggiormente rispecchia l’unicità di questa città, in quanto luogo in cui l’abitare e il lavorare si fondono in una struttura del tutto atipica. Il quartiere si sviluppa a ridosso dell’insediamento di via Pistoiese, un’urbanizzazione storica fuori porta subito ad ovest delle mura medievali. Questo sistema lineare, assieme all’adiacente Via Filzi, costuisce la spina del Macrolotto 0. I suoi blocchi
urbani, già compiuti alla metà degli anni 1960, sono disposti secondo una griglia irregolare e testimoniano ciò che resta della ‘citta fabbrica’ degli anni del boom. Il loro perimetro esterno vede alternarsi case – per lo più a schiera e disposte secondo la tipica configurazione a ‘trenino’ – e laboratori artigianali, mentre l’interno dei lotti è interamente occupato da fabbriche. Il quartiere è privo di verde e di spazi pubblici, ad eccezione delle strade, dei marciapiedi e dei parcheggi. Tale configurazione spaziale e funzionale, del tutto antitetica alle logiche della città modernista, è il lascito materiale dell’operosa società pratese del dopoguerra. Sul tessuto denso di case e fabbriche del Macrolotto 0 si innestata la comunità cinese di Prato, che a partire dai primi anni 1990 ne ha trasfigurato l’estetica e l’immagine urbana, pur senza modificarne l’impianto. Al di là delle rappresentazioni distopiche con cui questo gruppo etnico è spesso rappresentato sui media, esso sembra interpretare l’etica del lavoro che caratterizzava la Prato degli anni del boom durante i quali questo quartiere è stato creato. Le sperimentazioni progettuali sul Macrolotto 0, il cui capitolo è aperto da un contributo dello studio di architettura Ecol, sono molto numerose e sono state svolte in otto laboratori progettuali e in diverse tesi di laurea. I temi ricorrenti sono quelli della porosità, della riconversione del quartiere da distretto industriale a distretto creativo, dell’agopuntura urbana, della reinterpretazione in chiave contemporanea dell’abitazione come luogo di residenza e di lavoro, della progettazione degli interstizi urbani, nonché della rigenerazione urbana e dell’economia circolare. Il secondo ambito di sperimentazione progettuale è costituito dal quartiere di San Paolo, il cui capitolo è introdotto da un contributo di Massimo Bressan. Questo quartiere, la cui parte settentrionale è anche nota con il nome di Borgonuovo, è più recente rispetto al Macrolotto 0. L’edificazione, prevalentemente realizzata tra la metà degli anni 1940 e la fine degli anni 1970, si è sviluppata all’interno della maglia viaria storica (e dei relativi insediamenti lineari) di via di San Paolo, che attraversa il quartiere al centro con andamento irregolare, e delle vie Pistoiese e Galcianese, che ne costituiscono rispettivamente i limiti settentrionale e meridionale. Tra via San Paolo e via Galcianese è anche presente uno dei principali vuoti del sistema urbano pratese, che si sviluppa linearmente in direzione est-ovest con la forma sfrangiata tipica delle aree residuali di frangia. La porzione orientale di questo sistema è anche un importante nodo di funzioni pubbliche, contenendo istituti scolastici di diverso ordine e grado, un cimitero, una chiesa, un museo e alcune attrezzature sportive. Al di là della rilevanza di questo plesso, i diversi edifici che lo compongono appaiono come episodi isolati non in grado di strutturare in modo compiuto lo spazio pubblico che li separa. Gli spazi agricoli residuali sopra descritti rappresentano un’importante dorsale verde in grado di connettere il Parco Centrale di Prato pervisto nell’area dell’ex ospedale – e più in generale l’intero centro storico – con il nuovo ospadale di Galciana. I progetti sviluppati nel laboratorio di Architettura e Città Pensare la città del XXI secolo: generazione urbana a Prato esplorano la possibilità di realizzare una nuova spina urbana Est-Ovest, realizzando una cortina edilizia che si sviluppi linearmente in modo da ricomporre i margini dell’edificato e che contenga al proprio interno un ampio sistema di spazi verdi e di attrezzature collettive. Il Laboratorio di Architettura e Struttura Palestra scolastica e di quartiere a Prato si cimenta invece con la progettazione di una nuova attrezzatura sportiva a servizio del campus scolastico e del quartiere, nonché di una piazza finalizzata ricucire questo nouvo edificio con le altre attrezzature già esistenti.
I progetti sviluppati nel laboratorio di Architettura e Città Il parco lineare di San Paolo, infine, elaborano diverse strategie finalizzate a fare del sistema di spazi agricoli residuali sopra descritto un insieme di spazi pubblici moderni e dalla marcata identità. Il terzo capitolo, introdotto da un contributo di Alfonso Femia, raccoglie i progetti derivanti da un insieme di workshop, laboratori progettuali e tesi di laurea sui temi della declassata e dell’exBanci, un’interessante complesso industriale dismesso subito a sud di Viale Leonardo da Vinci. Il termine ‘declassata’, utilizzato per indicare questo viale, deriva come noto dal fatto che esso, fino al 1961, era parte integrante dell’Autostrada A11. La realizzazione di una variante per il tratto di autostrada compreso tra il ponte sul fiume Bisenzio e quello sul torrente Calice permise di liberare questa arteria di comunicazione per il traffico locale. Sebbene nel corso degli anni Viale Leonardo da Vinci abbia assunto progressivamente i connotati di un asse urbano attrezzato lungo il quale si collocano tra l’altro il Museo Pecci e diverse strutture commerciali e direzionali, esso costituisce ancora oggi una profonda cesura tra i quartieri urbani più compatti ubicati a nord e le aree suburbane più frammentate e disperse collocate a sud. L’ex-fabbrica Banci, cotruita tra il 1952 e il 1971, è un pregevole complesso di archeologia industriale del dopoguerra, i cui capannoni, seppure fortemente compromessi, sono rivestiti in pietra alberese e beneficiano di ampie pareti vetrate che si affacciano su spazi esterni ricchi di vegetazione. La rassegna di progetti si apre con una sintesi dei risultati del workshop progettuale Beyond the Boundary, nel quale si esplorano diverse soluzioni per il recupero dell’ex-fabbrica Banci finalizzate, come si evince dal titolo, ad aprire questo complesso e integrarlo con il sistema della declassata e più in generale con la città. I gruppi di lavoro nei quali il workshop è stato organizzato, coordinati da diversi architetti italiani e stranieri, si focalizzano su vari aspetti tra cui il paesaggio come luogo di trasformazione e la rifunzionalizzazione della fabbrica come laboratorio creativo. Il laboratorio di Architettura e struttura CDT – Centro del Design Toscano, esplora da un punto di vista architettonico e strutturale la possibilità di un recupero della fabbrica come spazio integrato per la produzione culturale. Questa ipotesi progettuale è ulteriormente elaborata nel successivo laboratorio di Architettura e struttura Edifici di servizio a Prato: una scuola di moda, un co-working, un frammento, una piazza. Il quarto capitolo, introdotto da un contributo di Serafina Amoroso, affronta il tema del Macrolotto 1, diventato negli ultimi decenni la vetrina del pronto moda pratese. Esso è uno dei grandi insediamenti industriali concepiti a partire dal Piano Marconi, approvato nel 1971, per risolvere il problema della commisione residenziale-produttiva. In questo quartiere di strade e fabbriche la rendita fondiaria è la più alta dell’intera Prato e si aggira attorno ai 15 €/mq al mese. Un valore così stupefacente si spiega con un vero e proprio salto di scala dovuto all’appartenenza di una parte del sistema produttivo pratese a un ordine gerarchico di livello superiore. Se a livello locale Prato è uno dei principali nodi del sistema policentrico della Toscana centrale, a livello globale essa è uno dei principali centri mondiali della produzione del fast fashion, il cosiddetto ‘pronto moda’. In particolare, il Macrolotto 1 è la principale vetrina e il cuore produttivo di quella che da oltre dieci anni è considerata la capitale europea del pronto moda. Visto dall’alto il quartiere è un chilometro quadrato di asfalto e cemento, con gli evitenti problemi ambientali che tutto questo comporta, tra cui per esempio la gestione delle acque meteoriche in relazione ai flussi di piena e l’isola di calore nei
mesi estivi. Nella frammentazione urbanistica tipica della periferia pratese l’immagine aerea di questa griglia ordinata dalla forma quasi perfettamente quadrata crea un indubbio contrasto tra lo sviluppo storico organico realizzato in modo incrementale e lo sviluppo pianificato di epoca più recente. L’immagine del quartiere dal livello della strada, tuttavia, è quella di un ambiente sociale dinamico e vivace, caratterizzarato da un massiccio fenomeno dello street food cinese, da una discreta presenza di vita sulla strada e da una notevole vivacità notturna, quando le vetrine degli show room si accendono ed il quartiere si anima. L’insieme di queste condizioni fa sì che il Macrolotto 1 abbia la potenzialità di trasformarsi da un chilometro quadrato di asfalto e di cemento ad una vera e propria città dotata di servizi pubblici e privati e di spazi pubblici di qualità e in grado di attrarre non soltanto i buyer del pronto moda ma anche la popolazione locale. Il workshop La città intermedia, condotto da studenti e docenti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e del Departamento de Proyectos Arquitectónicos de la Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, applica diverse figure del progetto urbano – quali la strip lineare, l’intervento concentrato a sviluppo verticale e l’attivazione delle coperture – all’ibridazione funzionale e tipologica del quartiere. Il progetto Strategie di attivazione del Macrolotto 1 sfrutta la flessibilità dei capannoni per applicare una strategia di integrazione funzionale per ‘livelli’. Il laboratorio di Architettura e ambiente Riabitare la periferia, infine, esplora ulteriormente la possibilità di ibridazione funzionale del quartiere attraverso l’inserimento di nuove funzioni residenziali nell’ambito di una più ampia strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. Il successivo ambito di sperimentazione progettuale è il centro storico, il cui capitolo è aperto da un contributo di Paolo Brescia sul progetto sviluppato da OBR e da Michel Desvigne per il nuovo parco centrale di Prato. Questo nuovo spazio urbano, che va a ridisegnare un’area di tre ettari all’interno dell’antica cerchia muraria sulla quale sorgeva il vecchio ospedale di Prato, assume la funzione di cerniera tra il centro e la periferia. I ritmi e i motivi geometrici della centuriazione e più in generale della città sono la matrice su cui è costruita la geometria delle superfici minerali e vegetali. I lavori presentati in questo capitolo riguardano un intervento puntuale, realizzato nell’ambito del Laboratorio architettura e ambiente Rigenerare: Prato, area dei macelli, edificio della polizia municipale, e un sistema di segnaletica turistica realizzato dal Laboratorio di Comunicazione del Dipartimento di Architettura di Firenze. Il primo di questi laboratori interpreta la nuova stazione della polizia municipale come occasione per ripensare l’area urbana ad essa circostante e per applicare i principi di sostenibilità energetica e ambientale. Nel secondo progetto, denominato Segnaletica turistica per la città di Prato: cultural placemaking e narrative wayfinding, la sostituzione di un sistema di segnaletica ormai obsoleto diventa occasione per creare una urbanistica dei segni che fonda narrazione del luogo e ricerca del percorso da compiere. Come noto, oltre ai quartieri densi più centrali, a Prato vi è anche un insieme di frazioni e ‘paesi’, per lo più molto antichi, che costellano il territorio suburbano. Le ragioni di un’urbanizzazione diffusa così consistente e capillare sono legate all’infrastrutturazione idraulica – e dunque energetica – di questo territorio e al conseguente sviluppo, in epoca già molto antica, di un sistema produttivo disperso. Al di là degli elementi di continuità legati alla forte identità di questi paesi, al radicamento sociale e alla presenza di alcuni servizi di base – per lo più limitati ai servizi scolastici,
religiosi e culturali – vi sono anche evidenti segni di discontinuità ed emergenti fattori di squilibrio. Se un tempo questi villaggi, ormai parte integrante del più ampio sistema metropolitano, erano sostanzialmente autosufficienti, oggi essi sono sempre più interdipendenti e complementari e necessitano di una visione strategica nella quale si prenda atto di questa trasformazione. I progetti sviluppati nei laboratori di Architettura e città Una strategia per i villaggi metropolitani pratesi e Abitare la periferia, nonché nel laboratorio progettuale The urban sponge cercano di affrontare questi problemi, cimentandosi con le questioni della riformulazione dell’offerta di spazi per la socialità, dell’integrazione funzionale dei ‘paesi’, del superamento della dipendenza dall’auto e del riciclo e recupero di spazi pubblici e privati ormai obsoleti. Il tema della connessione di frammenti urbani ormai del tutto interdipendenti è ulteriormente sviluppato nell’ultimo capitolo, dedicato a paesaggio e infrastrutture. Esso raccoglie alcuni lavori sviluppati dagli studenti nei corsi di laurea in architettura del paesaggio e in pianificazione e progettazione della città e del territorio, nonché nell’ambito di due accordi stipulati con il Servizio Mobilità e Infrastrutture del Comune di Prato rispettivamente dal Landscape Design Lab (convenzione Pratomobile) e dal Didacommunication Lab (progetto per la ciclopolitana) del Dipartimento di Architettura di Firenze. Oltre al tema della mobilità sostenibile, due gruppi di progetti approfondiscono i temi della forestazione urbana, esplorando in aree campione le indicazioni del piano operativo, e resilienza idrogeologica del sistema territoriale.