Nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca | Luigi Marino, Diego Schirru, Alessandra Saba

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luigi marino diego schirru alessandra saba

Nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca Indagini, analisi e risultati della campagna di restauro 2011-2013


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


luigi marino diego schirru alessandra saba

Nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca Indagini, analisi e risultati della campagna di restauro 2011-2013


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

in copertina Nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca (SU), veduta del bastione

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Ambra Quercioli

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 978-88-9608-092-4

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Presentazione Daniela Figus

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Premessa

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L’area archeologica di Su Mulinu, aspetti crono-culturali

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Per una nuovo approccio al conservare e valorizzare un manufatto edile storico ridotto allo stato di rudere

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La storia locale come laboratorio di storia

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Programma di ricerca, metodologia e compatibilitĂ

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Le indagini preliminari

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Campionamento delle malte di restauro

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Metodologia operativa e messa in opera

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La stratigrafia muraria del vano 7L2 del bastione, un esempio di restauro in antico

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Considerazioni per la futura manutenzione

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AttivitĂ per la divulgazione, la didattica e la promozione della conoscenza

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Conclusioni

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Bibliografia 81


‌fabbricare e ripa un continuum. spess cose che arriviamo a funzionano. il modo una riparazione con s l’oggetto, trovare il e quindi ricomporre prima. 6

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rare sono parte di o è aggiustando le capire come le cose piĂš semplice di fare siste nello smontare l guasto, aggiustarlo l’oggetto come era premessa • luigi marino, diego schirru, alessandra saba

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Richard Sennet, 2008



presentazione Daniela Figus

Sindaco di Villanovafranca 2005-2015

Panoramica del bastione da NNE

Durante il mio mandato di sindaco di Villanovafranca ho sempre ritenuto che il vero sviluppo del mio paese passasse anzitutto attraverso la valorizzazione del suo immenso patrimonio archeologico, pertanto, ogni occasione propizia è stata messa a frutto per procedere con un’efficace politica di conoscenza, conservazione e promozione di quella che dagli studiosi è ritenuta una delle più importanti aree archeologiche dell’isola: il nuraghe Su Mulinu. Così, grazie ad un finanziamento della Regione Autonoma della Sardegna del 2008, al quale si è unito in compartecipazione il Comune di Villanovafranca, è stato possibile realizzare un organico programma di interventi di consolidamento e restauro conservativo per la fruibilità della fortezza nell’ambito del progetto Il nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca: pagine di pietra dal protonuraghe al tempio della luna, realizzato negli anni 2011-2013. Sono perciò particolarmente lieta di presentare questo lavoro, frutto della collaborazione tra il Prof. Luigi Marino dell’Università di Firenze ed il Gruppo di Ricerca IANUS Restauro Architettonico e Archeologico coordinato dall’Ing. Arch. Conservatore Diego Schirru in collaborazione con l’archeologa Alessandra Saba, che credo abbia raggiunto l’obiettivo più nobile dell’indagine scientifica: lo studio per la conoscenza e la conoscenza per tutti. Dunque, il mio auspicio è che questo studio possa offrire in particolare ai miei concittadini e in generale a tutti una maggiore consapevolezza della propria storia perché nella storia è radicato il presente ed il futuro di ognuno di noi.


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premessa Luigi Marino, Diego Schirru Alessandra Saba

Panoramica del bastione da NNO

Prémisse Une intervention de restauration ne peut se réduire exclusivement aux seules composantes techniques (respectant quoi qu’il en soit les caractères de particularité qu’elle présente par rapport aux autres activités du bâtiment), mais elle devra également porter l’attention qu’il se doit aux aspects socio-économiques et culturels. Cette démarche se configure comme une action continue d’idées et de programmes opérationnels, fondée sur la réelle interdisciplinarité et sur la collaboration de plusieurs entités lesquelles, à différents titres, mues par des motivations différentes et par une adhésion constante à la singularité des situations, entrent dans la pratique de la restauration, à savoir le diagnostic, la conception et la conduite des chantiers, jusqu’à l’implication des utilisateurs. Les relations de collaboration et de coparticipation qui peuvent s’instaurer sur un chantier de restauration facilitent le développement d’un sens d’appartenance et de responsabilité réciproque. La restauration peut être une opportunité précieuse d’impliquer une communauté, elle crée des occasions de retrouver de bons niveaux de conscience culturelle et civile, elle favorise dans le même temps les réflexions sur un sens collectif de la redécouverte et de la protection de l’histoire locale, du fait qu’un monument ou un territoire peuvent ainsi devenir le miroir dans lequel une partie de la collectivité se reconnaît, ou alors devenir une nouvelle circonstance, plus grave, de perte d’identité. Les études locales doivent commencer par des analyses pertinentes sur le construit réel, en contact direct avec les traces matérielles que les ouvrages ont conservées; mais souvent, elles reposent au contraire sur des comparaisons plus immédiates et rassurantes à la vue, et des vérifications à la mémoire. Pour ceux qui savent les lire et les interpréter, les données matérielles même fragmentées et dispersées peuvent encore donner des indications riches et inédites, capables parfois de renverser les connaissances acquises jusqu’à un certain moment et qui, à première vue du moins, semblaient inattaquables. On privilégie souvent les études sur les appareils formels et sur la prétendue homogénéité de parties du bâtiment, que des investigations spécifiques directes révéleraient facilement comme étant infondées et non soutenables. Les personnes qui ont la pratique du chantier savent qu’il y a lieu d’apporter régu-


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lièrement des modifications et des adaptations à des conditions non prévues, parfois réellement non prévisibles, et elles sont conscientes du fait que les compromis sont souvent inévitables. Si tel est le cas dans la construction d’un bâtiment neuf, soutenue par un projet complet, par des technologies fiables et des programmes opérationnels efficaces, avec des critères de vérification en cours d’ouvrage et l’établissement de plans économiques d’ensemble, l’on peut imaginer à quel point les changements, voulus ou imprévus, ont pu être significatifs et contraignants dans un chantier ancien. pagina a fronte Area archeologica Su Mulinu Villanovafranca (SU) planimetria generale del parco archeologico

Preamble When performing restoration work, it doesn’t purely come down to the technical components (of course, one must still respect the specific nature of the case compared to other building work). Rather, social-economical and cultural aspects must also be brought into the equation. This approach is like a continuous flow of ideas and operational programmes based on a real fusion of disciplines, as well as on collaborating with the multiple subjects which play their part in the restoration process, from diagnostics, planning and building work to engaging users. These subjects contribute in different ways, with different motives, and always respect that each situation is unique. The relationships and partnerships which can be established on a restoration site help to create a sense of belonging and mutual accountability. Restoration can be an important occasion to bring the community together, creating the opportunity to regain cultural and civil knowledge. At the same time, it can also encourage people to reflect on a collective sense of rediscovering and safeguarding local history, as well as the effects of a monument, or region, becoming a mirror for part of the community to recognise themselves. However, it may instead result in a new and more serious instance of identity loss. Local studies must take relevant analyses performed on real plants as a starting point, with these being in direct contact with traces of material still preserved in artefacts; on the contrary, it is often the case that visual comparisons and evaluations from memory, which are more immediate and reassuring, form the basis. Those who know how to read and interpret material data, even if they are fragmented and scattered, may still obtain abundant and unprecedented indications therefrom. These may sometimes be capable of turning the tables on the knowledge acquired to a certain degree and, at first sight, seem faultless. Preference is often given studies on formal apparatus and the uniformity demanded for parts of the building, which certain direct surveys would easily label as unfounded and unsustainable. Those with experience on building sites know the recurrent need to make modifications and additions in unforeseen conditions (sometimes it is re-


premessa • luigi marino, diego schirru, alessandra saba

ally impossible to anticipate these conditions) and they are aware of how often compromises have to be made. If this is the case when constructing a new building, whereby a comprehensive plan, reliable technology and effective operational programmes can be taken as a basis, with acceptance criteria whilst the work is in progress and global business plans, just imagine how important and influential changes, planned or unplanned, might have been on a historical building site.

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pagina seguente Veduta aerea dell’area archeologica (foto M. Piras)

Premessa Un intervento di restauro non può ridursi alle esclusive componenti tecniche (nel rispetto, in ogni caso, dei caratteri di peculiarità che presenta rispetto ad altre attività edilizie) ma dovrà porre adeguata attenzione anche agli aspetti socio-economici e culturali. Questo approccio si configura come un’azione continua di idee e di programmi operativi fondata sulla reale interdisciplinarietà e sulla collaborazione di più soggetti che, a vario titolo, con motivazioni diverse e costante aderenza alla singolarità delle situazioni, entrano nella pratica del restauro, dalla diagnostica, la progettazione e la conduzione dei cantieri fino al coinvolgimento delle utenze. I rapporti di collaborazione e compartecipazione che si possono instaurare in un cantiere di restauro facilitano lo sviluppo di un senso di appartenenza e di responsabilità reciproca. Il restauro può essere una preziosa occasione che coinvolge una Comunità e crea occasioni per il recupero di buoni livelli di consapevolezza culturale e civile e, allo stesso tempo, favorisce riflessioni su un senso collettivo della riscoperta e tutela della ‘storia locale’ e delle conseguenze che un monumento o un territorio possano diventare lo specchio in cui parte della collettività può riconoscere se stessa o piuttosto una nuova e più grave occasione di perdita di identità. Gli studi locali devono partire da pertinenti analisi sulle fabbriche reali, a diretto contatto con le tracce materiali che i manufatti ancora conservano; al contrario si basano spesso su più immediati e rassicuranti confronti a vista e verifiche a memoria. A chi li sappia leggere e interpretare i dati materiali, anche se frammentati e dispersi, possono dare ancora ricche e inedite indicazioni, capaci talvolta di ribaltare le conoscenze fino a un certo punto acquisite e che, a prima vista, sembravano inattaccabili. Spesso si privilegiano studi sugli apparati formali e sulla pretesa omogeneità di parti dell’edificio che specifiche indagini dirette rileverebbero facilmente come infondate e insostenibili. Chi ha pratica di cantiere sa quanto ricorrente sia il dover apportare modifiche e adeguamenti a condizioni non previste, talvolta realmente non prevedibili, ed è consapevole quanto frequentemente si debba scendere a compromesso. Se questo avviene nella costruzione di un edificio nuovo, quando ci si può basare su un progetto esauriente, su tecnologie affidabili e programmi operativi efficaci con criteri di collaudo in corso d’opera e la predisposizione di piani economici complessivi, si può immaginare quanto rilevanti e condizionanti possano essere stati cambiamenti, voluti o imprevisti, in un cantiere antico. Gli interventi eseguiti nel nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca tra il 2011 ed il 20131 1 Il presente lavoro scaturisce dallo studio prodotto in seguito alle indagini svolte al nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca (SU) nell’ambito del progetto di consolidamento e restauro conservativo Il nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca: pagine di pietra dal protonuraghe al tempio della luna, realizzato negli anni 2011-2013 grazie ad un finanziamento della Regione Autonoma della Sardegna in compartecipazione col Comune di


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hanno costituito un momento importante non solo sotto il profilo della conservazione del monumento, ma anche e soprattutto per essere stato un lavoro sinergico tra le diverse professionalità dell’architetto conservatore, del restauratore, dell’archeologo e del geologo impegnati ad analizzate e risolvere le molteplici sfaccettature della complessa problematica del consolidamento di un edificio vecchio di tre millenni. Grazie ad un percorso metodologico ben strutturato, partendo dall’analisi dei documenti bibliografici specifici si è arrivati gradualmente alle indagini diagnostiche ed infine al restauro vero e proprio. Nel complesso, il lavoro ha sortito notevoli risultati in termini non solo di conservazione ma anche di conoscenza, divulgazione e valorizzazione del monumento contribuendo a dare un sostanziale sostegno alle politiche turistiche locali. I nuraghi, distribuiti a migliaia dalle coste, alle colline e fin sui monti più alti della Sardegna, per imponenza e numero costituiscono l’elemento dominante del paesaggio isolano. Vecchi di oltre 3000 anni, e dunque risalenti all’età del Bronzo, rappresentano i più antichi esempi di castelli finora noti nel Mediterraneo occidentale; raggiungevano e spesso superavano i 20 metri di altezza con soluzioni costruttive di grande interesse e ancora non del tutto comprese. Torri, cortine e cinte di difesa erano definite da mura ciclopiche impenetrabili, barriere insormontabili; all’interno, un susseguirsi di cortili, corridoi, camere, scale e terrazzi narrano le vicende della vita domestica alla quale si accompagnava il vigile controllo del territorio e, all’occorrenza, la difesa militare. Questi straordinari edifici sono la chiave di lettura per ricostruire la storia della civiltà nuragica che ebbe intense relazioni con egizi, micenei, cretesi e medio-orientali in un mutuo e fecondo scambio culturale che portò i protosardi ad avere un ruolo di primaria importanza tra i popoli della compagine geopolitica di allora.

Villanovafranca, e a un programma di collaborazione tra l’Università di Firenze (prof. Luigi Marino, Dipartimento di Architettura), l’Amministrazione Comunale di Villanovafranca (sindaco Daniela Figus) e il Gruppo di Ricerca IANUS Restauro Architettonico e Archeologico coordinato dall’ing. arch. conservatore Diego Schirru, progettista e direttore dei lavori col quale ha collaborato per lo scavo archeologico l’archeologa dott.ssa Alessandra Saba. Le illustrazioni grafiche e fotografiche sono tutte degli autori tranne le due vedute aeree dell’area archeologica che sono di M. Piras; alcune di queste immagini sono presenti anche nel sito del Museo Archeologico Su Mulinu di Villanovafranca all’indirizzo www.museosumulinu.it.

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premessa • luigi marino, diego schirru, alessandra saba

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l’area archeologica di su mulinu aspetti crono-culturali Alessandra Saba

Particolare dell’altare a foggia di nuraghe del vano “e”

La civiltà nuragica, con una durata di circa 600 anni, ha abbracciato in Sardegna i lunghi secoli che vanno dal Bronzo Medio al Primo Ferro (1600-1000 a.C.). È questo il periodo in cui si edificano i grandiosi castelli turriti dei principi locali che dettero il nome a questa straordinaria civiltà: i nuraghi, i quali costituiscono l’elemento caratterizzante del paesaggio sardo e che per grandezza e bellezza sono unanimemente considerati secondi solo alle piramidi egizie1. L’area archeologica di Su Mulinu2, sebbene pluristratificata nel senso della complessa sovrapposizione edilizia di oltre tre millenni di storia, ha proprio in un nuraghe il suo fulcro e centro matrice. Infatti, oltre a tracce di preesistenze eneolitiche (c.ca metà III millennio a.C.), essa comprende un grande e assai articolato nuraghe, un esteso abitato nuragico, punico, romano, vandalico e bizantino, e due aree sepolcrali punico-romane e bizantine, con un arco temporale che va dal 2400 a.C. c.ca all’XI sec. d.C. Il nuraghe cambia aspetto nei diversi momenti della sua esistenza. Nasce nel Bronzo Medio (metà del XV sec. a.C.) come protonuraghe dotato di cinta esterna turrita con vani ovali e coperture a volta tronco-ogivale. Devastato al termine del Bronzo Finale, smantellata la cinta esterna, ciò che resta del nuraghe, ancora monumentale, è trasformato agli inizi del Primo Ferro (IX sec. a.C.), in un grande santuario frequentato sino al II secolo d.C. Nei secoli VI-VII d.C., le sue rovine ospitano un abitato insieme ad un cimitero di età vandalica e bizantina. L’indagine ancora in corso, le demolizioni e modifiche strutturali apportate nei diversi periodi non consentono di leggere per intero la complessa articolazione della costruzione. Attualmente, la fortezza consta anzitutto di un corpo centrale (bastione) risalente al Bronzo Medio III (c.ca metà XV sec. a.C.) dal perimetro concavo-convesso, formato da tre lobi, che comprende, su due piani, corridoi, vani e celle ovali coperti da volte tronco-ogivali disposti attor1 Ciò, evidentemente, a parità di contesto cronologico (età del Bronzo) e geografico inteso come bacino del Mediterraneo sul quale si affacciavano entrambe le civiltà nuragica ed egizia. 2 Per tutti i riferimenti crono-culturali inerenti il sito archeologico di Su Mulinu: UGAS 1987; UGAS 1990; UGAS 1991a; UGAS 1991b; SABA 2012; SABA 2014a; SABA 2014b; SABA 2015a; SABA 2015b; SABA, PILO, SCHIRRU 2014; UGAS, SABA 2013; UGAS, SABA 2014; UGAS, SABA, SCHIRRU 2014; UGAS, SABA, PILO, SCHIRRU, MASCIA, LODDO 2014; UGAS, SABA 2015a; UGAS, SABA 2015b.


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Panoramica del vano “e” dell’altare

pagina a fronte Vano “e” del bastione accumulo di fango trasportato dalle acque piovane

no ad un cortile centrale. Il bastione viene ristrutturato nel Bronzo Recente e Finale con l’innesto di un’alta torre circolare (E) coperta da volta ogivale, con rifasci murari e con la sovrapposizione di altre torri di cui rimane soltanto la base di una (N). Il bastione del Bronzo Medio III è circondato da una cinta protettiva antemurale il cui tracciato è ancora tutto da esplorare tranne che per una piccola torre col suo lungo corridoio d’accesso. Tale cinta viene ristrutturata per ben due volte nel corso dell’età nuragica. La prima volta, durante il Bronzo Recente I (1330-1250 a.C.), e la seconda al trapasso tra il Bronzo Recente II ed il Bronzo Finale (1250-1150 a.C.) quando, continuando in parte a sovrapporsi alla cinta più antica, viene a rinnovarsi con alte torri circolari con feritoie raccordate da tratti murari leggermente convessi che chiudono un’ampia Corte d’armi. Agli inizi del Primo Ferro (IX sec. a.C.), il nuraghe, non più fortezza, ospita un santuario dedicato al culto della Dea Luna. Ad essa viene consacrato un altare in arenaria a forma di nuraghe inserito nel vano “e” del bastione. Nello stesso periodo, all’interno della Corte d’armi si edificano diverse capanne tra le quali emerge l’elegante rotonda della sala consiliare.


I periodi dell’occupazione punica e romana sono documentati nei depositi stratificati di riuso del nuraghe e della Corte d’armi oltre che all’esterno su una vasta area dell’abitato; risalgono a quest’epoca diversi edifici impostati sopra e a ridosso delle mura del bastione e della cinta antemurale del nuraghe. In epoca vandalica e bizantina (VI-VII d.C.) alcuni ambienti della fortezza, ormai in rovina, vengono utilizzati per rituali e deposizioni funerarie. Resta ancora da individuare l’ubicazione dell’area sepolcrale nuragica, mentre una necropoli punico-romana è stata documentata ad ovest dell’abitato. Nel Bronzo Recente I (circa 1330-1270 a.C.), l’edificio viene ristrutturato come un castello a torri svettanti sulle cortine, anch’esso dotato di una cinta muraria esterna turrita, che circonda interamente il bastione. Le torri sono circolari e le camere presentano volte ogivali. Un ulteriore rifacimento avviene nel Bronzo Recente II (circa 1270-1150 a.C.) con la rettifica del tracciato della cinta esterna che ora si addossa al bastione formando una grande Corte d’armi.


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per un nuovo approccio al conservare e valorizzare un manufatto edile storico ridotto allo stato di rudere •

Luigi Marino

Particolare della scala della torre F

Un aspetto importante della ricerca effettuata a Su Mulinu è stato quello di esplorare i caratteri degli interventi di conservazione e valorizzazione di un manufatto edile storico ridotto allo stato di rudere. Il progetto sul restauro nel nuraghe ha infatti indagato gli spazi delle competenze e sperimentato nuove forme di intervento arrivando alla definizione di possibili categorie definite da voci specifiche di capitolato e di relative indicazioni di costi. Un ruolo importante, talvolta determinante, è stato svolto dall’interrelazione delle diverse competenze espresse da un gruppo di lavoro costituito dall’architetto-restauratore, dall’archeologo e dallo specialista di materiali. Una delle singolarità che il restauro archeologico in generale presenta è legata alla condizione dinamica in cui gli interventi avvengono e alla variabilità costante delle condizioni in cui i manufatti si troveranno a vivere. La difficoltà di restauro di manufatti edili archeologici non dipende tanto dal fatto di essere stati per molto tempo sotto terra quanto piuttosto dai bruschi cambiamenti delle condizioni a cui sono soggetti durante lo scavo e alla variabilità delle condizioni ambientali che troveranno in seguito e al frequente stato di abbandono in cui verranno spesso lasciati prima di interventi che diventeranno, pertanto, inadeguati. Se in uno scavo archeologico le variabili possono essere imprevedibili, quelle relative alle patologie delle strutture e dei materiali da costruzione si riducono spesso a casistiche limitate o comunque riconducibili in ambiti conosciuti o sufficientemente controllabili. Per il restauro archeologico, ancor più che per quello di edifici monumentali, è importante che gli interventi siano preceduti da esaurienti e corrette indagini diagnostiche che potranno addirittura limitare le necessità di interventi di restauro che, nella maggior parte dei casi, sono proprio dovute all’arretratezza diagnostica. I termini del restauro si stanno spostando verso i concetti del minimo intervento e della manutenzione sistematica di manufatti che sono caratterizzati da un carico difficilmente sostenibile e soglie di tollerabilità molto ridotte. Le acquisizioni più avanzate sono quelle che identificano il restauro con operazioni conservative caratterizzate da interventi minimamente invasivi e al massimo reversibili, capaci di frenare (o anche soltanto rallentare) i processi di degradazione dei materiali e dissesto delle


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pagina a fronte La scala verso il cortile del bastione pagina seguente Ingresso alla Corte d’armi

strutture salvaguardando anche il potenziale di informazioni che il manufatto, in tempi successivi, potrà ancora fornire. Si tratta di predisporre una accorta opera di prevenzione (ancor prima dello scavo che dovrà tenere maggiormente in conto le necessità immediate e i futuri obblighi conservativi) e avviare una successiva opera di manutenzione ordinaria e ripetuta nel tempo. L’innovazione rispetto allo stato dell’arte consiste essenzialmente in una diversa valutazione del problema della conservazione degli edifici ridotti allo stato di rudere e nella definizione di un diverso quadro, realmente interdisciplinare. Un cantiere di restauro (se organizzato e condotto nel rispetto delle più aggiornate definizioni di ‘politiche culturali’) costituisce la migliore occasione per contribuire a creare progetti a carattere locale e/o regionale e sviluppare nuovi sistemi di apprendimento. Va osservato, a tal proposito, che i ‘Beni Culturali’ (genericamente definiti ma meritevoli di caratterizzazioni strategiche locali) possono costituire una delle più importanti e proficue occasioni di sviluppo e maturazione di un reale senso civico (scambi tra esperienze culturali diverse) ed economico (che sia, però, remunerativo ma rispettoso del patrimonio culturale). In particolare, un’efficace politica di sviluppo culturale e di gestione degli elementi più significativi del territorio, strategicamente scelti in relazione alla loro importanza e alle prospettive di sviluppo, può portare alla creazione di centri di preparazione del personale locale (per le indagini e la gestione) nell’ottica di provocare ricadute anche di tipo occupazionale; all’individuazione e valorizzazione dei soggetti sociali, culturali ed economici che possono essere attivati per la nuova gestione delle risorse territoriali e ambientali attraverso la promozione di attività culturali e tecnico-scientifiche; programmazione di un progetto perché i singoli periodi storici e le singole condizioni ambientali possano essere illustrati attraverso l’esempio dei ‘monumenti’ presenti; suggerimento per la programmazione di incontri (tavole rotonde, seminari e convegni) per assicurare lo scambio di informazioni ed opinioni sullo stato di avanzamento delle ricerche, dei lavori e i risultati ottenuti. Il rinnovamento delle metodologie di accertamento e di intervento non può che passare attraverso la pratica di un lavoro diretto sulla fabbrica rilevandone ed interpretandone le stratificazioni e le trasformazioni avvenute, analizzandone lo stato di conservazione e valutandone i possibili sviluppi. Non si tratta di isolare gruppi o ‘collezioni’ di oggetti o manufatti ma, al contrario, di analizzare le relazioni esistenti tra gli oggetti stessi. Si tratta di verificare e quantificare la sopravvivenza di materiali e tecniche costruttive tradizionali (tradizionali di ogni singola area), del loro impiego su vasta scala oppure di uti-


per un nuovo approccio al conservare e valorizzare • luigi marino

lizzo sporadico, del riutilizzo nello stesso luogo per altri edifici, la permanenza delle stesse procedure per tempi più o meno lunghi (di fatto, un pratico collaudo della loro efficacia); di analizzare lo stato di conservazione in cui si trovano i resti, di valutare i meccanismi degenerativi (degrado dei materiali e dissesto delle strutture) e le dinamiche di evoluzione di tali fenomeni (almeno dall’epoca della scoperta ad oggi). La prevenzione contro l’impoverimento culturale ed economico locale non può che partire dalla presa di coscienza che non può esservi sviluppo reale (capace anche di produrre reddito) che non tenga conto della salvaguardia delle risorse locali. Comprese le risorse umane, le capacità manuali e di inventiva, sapienze costruttive e accortezze manutentive, tradizioni di imprese e operatori ecoefficienti. L’aggiornamento sulla tradizione è un impegno che esige innanzi tutto una completa conoscenza della propria storia; non quella che si occupa di re e regine, di papi ed eroi, ma quella che si occupa della storia locale, a torto ritenuta marginale. Atteggiamenti critici e criteri di indagine assistiti da procedure scientifiche potranno permettere di individuare, con l’avanzare delle indagini, anche aspetti forse meno appariscenti ma non per questo meno importanti. In fasi mature della ricerca questi potrebbero rendersi più evidenti e facilitare quelle operazioni conoscitive di sintesi che all’inizio parevano impossibili anche se nella quasi totalità dei casi i dati sono frammentari, a causa di un approccio lacunoso e imperfetto della realtà. A maggior ragione, allora, bisogna verificare e analizzare quale possa essere il valore intrinseco e di rappresentatività del materiale recuperato.

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la storia locale come laboratorio Luigi Marino

Nuraghe Su Mulinu Villanovafranca (SU) veduta aerea della fortezza (foto M. Piras)

Negli interventi sul patrimonio storico locale può esistere, allo stesso tempo, anche il rischio opposto, quello cioè che si voglia considerare ogni traccia antica la chiave di volta di un sistema molto più ampio dell’ambito territoriale nel quale si trova, assegnando loro un’importanza sopradimensionata. È il rischio ricorrente in gran parte degli studi locali quando meccanismi di rivalsa campanilistica rischiano di annullare pur interessanti fermenti di riabilitazione della storia di una piccola Comunità o di un singolo manufatto. La raccolta ordinata e l’elaborazione delle tracce superstiti della storia locale possono costituire la base per archivi locali di materiali e laboratori di storia. Tali tracce, più o meno numerose ma comunque significative, possono diventare un documento. Se sono ormai concetti acquisiti quello di storia globale, di storia di lunga durata e di storia seriale o quantitativa (il contrario di quello che Lacombe aveva chiamato histoire événementielle), di fatto buona parte degli studi locali continua a basarsi sulla riproposizione di studi precedenti senza che questi vengano nemmeno sottoposti a controllo. La storia locale, non più intesa come derivazione ma riconosciuta piuttosto come fase preparatoria della storia generale, esige un’adeguata preparazione ed esperienze specifiche sul campo. La conoscenza di avvenimenti locali, significativi per sé stessi e validi nel contesto, può stimolare la costituzione di una identità culturale (come consapevole presa di coscienza della realtà in cui si vive) e contribuire a maturare esperienze dalle quali si possano derivare atteggiamenti e strumenti essenziali per la comprensione di fenomeni più ampi. Fenomeni storici che si sviluppano omogeneamente in lunghi periodi e tali da stabilizzare lo sviluppo successivo (che diventa, così, almeno nelle coordinate generali, prevedibile) ma anche avvenimenti che possono creare le condizioni per cambiamenti improvvisi. Questi, a loro volta, con reazioni a catena causeranno deviazioni di direzione di uno sviluppo che fino a quel momento poteva essere considerato immutabile. Qualcosa di simile avviene nelle strutture architettoniche nelle quali si sviluppano deformazioni lente nel tempo, sotto uno sforzo costante (fluage). In condizioni normali la stabilità delle strutture è assicurata; sottoposte a stress, invece, queste subiscono deformazioni differenziali tra lo stato interno e quello esterno. L’inerzia delle strutture è tale da assorbire variazioni lente e costanti ma non quelle improvvise, anche se di per sé stesse meno forti.


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Area archeologica Su Mulinu Villanovafranca (SU) planimetria generale del nuraghe, rilievo della situazione di scavo attuale

pagina a fronte Panoramica delle torri E e F da ovest

Età nuragica Bronzo medio - Livello 1° Bronzo medio - Livelli 2° e 3° Bronzo recente I (1330-1250 a.C.)

Panoramica del bastione da nord

pagine seguenti Panoramica da ovest (foto M. Piras)

Bronzo recente II, Bronzo finale (1250-900 a.C.) Altare

Ferro I (900-510 a.C)

Età punica (510-238 a.C.)

Età romana (238-456 d.C.)

Età vandalica (455-535 d.C.)

Età bizantina (535-900 d.C.)

Età giudaicale (900-1100 d.C.)

Età moderna (455-535 d.C.)

Età indefinita (535-900 d.C.)

Attribuzione culturale ipotetica (900-1100 d.C.)


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programma di ricerca, metodologia e compatibilità Luigi Marino, Diego Schirru

Particolare delle feritoie della torre F

I proficui contatti e gli scambi di opinione avuti tra tutti i partecipanti alle ricerche, sia a livello dei principi, sia a livello operativo grazie a sopralluoghi in cantiere, ha condotto alla definizione di un supporto metodologico su cui articolare le indagini conoscitive e gli interventi di cantiere. Costantemente, per ogni categoria di intervento, dalla più semplice (spesso solo apparentemente semplice come è frequente nei cantieri di restauro1) alla più complessa (entrambe comunque meritevoli di un’adeguata preparazione organizzativa preventiva e un efficace intervento di cantiere) è necessario considerare: le caratteristiche generali e particolari dell’intervento; le difficoltà e/o i limiti di applicabilità delle soluzioni proposte; l’analisi degli interventi pregressi e valutazione della resa nel tempo; la valutazione dei risultati positivi e degli insuccessi prevedibili; la resa dell’intervento e la sua valutazione strategica. Il programma di ricerca proposto e condiviso si è quindi articolato nei seguenti punti: a. verifica dello stato delle conoscenze (bibliografie specifiche e indagini dirette sul campo); b. controllo a campione di alcuni interventi e collaudo delle soluzioni adottate a distanza di tempo; c. stesura di un catalogo tematico sugli aspetti tecnici degli interventi censiti con l’individuazione di possibili classi riconoscibili; d. individuazione e analisi delle classi di degrado dei manufatti/siti con particolare riguardo al degrado dei materiali e dissesto delle strutture, alle forme patologiche e loro sviluppo nel tempo e definizione di un ‘atlante diagnostico’; sperimentazione di nuovi criteri per l’accertamento e il rilievo;

1 Le condizioni di un intervento di restauro, già delicate e impegnative in condizioni (diciamo così) ordinarie possono rivelarsi di grande difficoltà in casi di emergenza. Condizione che soprattutto nel restauro di ruderi risulta sempre più frequente. Diventa necessario quando si deve intervenire in tempi ristretti e in maniera efficace anche nelle condizioni più difficili: quando mancano i mezzi tecnici e le risorse economiche necessarie. Quando si creano le condizioni per interventi che esigono decisioni prese all’istante e frequenti cambi di programma a cantiere aperto. La difficoltà per la conservazione di manufatti architettonici allo stato di rudere dipendono dalle variazioni brusche delle condizioni a cui sono soggetti durante gli scavi, alle variazioni delle condizioni ambientali che dovranno affrontare in seguito e al frequente stato di abbandono in cui sono spesso lasciati.


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Panoramica della torre F e della torre E

pagina a fronte Panoramica della sala del consiglio

e. analisi delle condizioni e dei condizionamenti per interventi che si possono considerare ‘ordinari’ e quelli che invece hanno bisogno di interventi ‘di emergenza’; f. definizione dei caratteri di procedure di ‘manutenzione ordinaria’ e ripetuta nel tempo e valutazione dei criteri di controllo nel tempo e collaudo; impianto di un sistema di monitoraggio a tempo e/o continuo; g. sperimentazione di alcune soluzioni di intervento quali: organizzazione di percorsi di visita e aree di sosta; interventi di restauro/riabilitazione di alcuni manufatti da utilizzarsi con funzioni diverse; interventi conservativi su manufatti non riutilizzabili ma di interesse storico ed ambientale; impianto di una segnaletica didattica sulle aree di scavo; impianto di un sistema di controllo per la gestione dell’area; impianto di un sistema di sicurezza per i visitatori e per l’ambiente; stesura di un modello di capitolato e relative schede tecniche d’intervento; definizione dei criteri per le analisi dei prezzi delle singole categorie d’intervento. La conduzione di un cantiere di restauro riveste particolare importanza in un contesto territoriale come quello di Villanovafranca caratterizzato da fenomeni di progressivo abbandono delle procedure costruttive locali e da radicali trasformazioni dell’abitare tradizionale. La situazione, già difficile a causa di un malinteso senso di rinnovamento e di adeguamento e/o miglioramento può nascondere, di fatto, una perdita progressiva di


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identità, e tende a diventare ancora più delicata a causa dell’apporto, nel bene e nel male, degli immigrati (compresi quelli che si spostano all’interno dello stesso territorio). Una politica di restauro consapevole e compatibile con le realtà locali (viste anche nei termini della dinamicità con cui si evolvono nel tempo e in conseguenza delle numerose sollecitazioni a cui possono essere soggette) deve tener conto del fatto che gli interventi di restauro (conservazione, manutenzione, recupero e valorizzazione) di siti e manufatti debbono essere elaborati anche con la partecipazione attiva della popolazione locale. I progetti devono porre attenzione, allora, alla cultura (meglio alle culture locali) e agli aspetti relativi all’educazione alla convivenza, all’evoluzione del concetto di conservazione e recupero dei siti storici e dei paesaggi culturali e alla memorizzazione e valorizzazione delle tradizioni comprese quelle orali che possono costituire un’utile e irripetibile testimonianza di prima mano, al fine di valorizzare soprattutto la conoscenza e il recupero delle tecniche costruttive tradizionali. La dichiarata volontà di una pregiudiziale aderenza a principi di compatibilità nell’intervento (e che è agevole verificare come sia stata applicata nella pratica) ha stimolato alcune comuni riflessioni e reciproci scambi di opinioni arrivando alla definizione e alla condivisione di una griglia di riferimento a cui attenersi durante i lavori i cui capisaldi sono stati in particolare: a) familiarità con il concetto di compatibilità; b) criteri di compatibilità a livello tecnico e operativo; c) valenza di altri fattori (tecnici e funzionali) nella valutazione della compatibi-

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pagina a fronte La cortina di raccordo tra il bastione e la torre F Ingresso al lobo occidentale del bastione

lità degli interventi di conservazione; d) criteri di compatibilità a livello estetico; e) criteri di compatibilità a livello chimico-fisico; f) criteri di compatibilità tra materiali tradizionali e moderni; g) criteri di compatibilità a livello socio-culturale. La scelta dei criteri generali per la scelta di soluzioni appropriate ha tenuto conto di numerosi fattori quali: 1) valutazione delle specificità delle situazioni; 2) non tutti gli edifici nuragici sono uguali così come diversi sono i territori relativi, materiali diversi o stessi materiali utilizzati in maniera diversa, condizioni conservative diverse, storie di interventi recenti; 3) rispetto dei materiali e delle tecnologie originarie con scelte mirate alla valorizzazione dei materiali e delle tecnologie costruttive locali; 4) rispetto dell’intervento minimo e della reversibilità, imperativo per interventi di restauro corretti che non possono che essere basati sull’adozione di criteri di intervento minimo e, al tempo stesso, caratterizzati da un’effettiva possibilità di ‘tornare indietro’; 5) riconoscibilità degli interventi che pur senza essere mimetici debbono essere riconoscibili allo scopo di denunciare le modifiche/correzioni/aggiunte; 6) consapevolezza dei limiti dell’intervento e dei processi di naturale invecchiamento nel tempo rinunciando all’idea illusoria di interventi che possano essere considerati risolutori e definitivi a vantaggio, invece, di un programma di manutenzione in conseguenza di campagne di monitoraggio e di rilievi dinamici che permettono di tenere sotto controllo tutte le trasformazioni che avvengono e della velocità con cui queste forme di patologie si susseguono nel tempo; 7) possibilità di attualizzazione degli interventi che, pur assolvendo le funzioni che sono state loro assegnate, potrebbero aver bisogno nel tempo, per naturale invecchiamento o per azioni improvvise, di modifiche e aggiornamenti; 8) attivazione di procedure di documentazione delle condizioni precedenti l’intervento, quelle in corso d’opera e quelle successive con predisposizione di un programma di raccolta e catalogazione di tutto il materiale documentario che potranno costituire archivi consultabili a più chiavi di lettura che saranno utili quando dovesse essere necessario predisporre nuovi interventi.


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le indagini preliminari Luigi Marino, Diego Schirru

Particolare del paramento settentrionale del vano 7L2 del bastione con le tracce del restauro in antico

Un intervento di restauro è costituito da un complesso di operazioni che siano in grado di assicurare il massimo della sopravvivenza del manufatto, sfruttando al meglio le condizioni in cui questo è arrivato fino a noi. Le scelte di cantiere, quando non si tratti di operazioni dozzinali e di tipo preminentemente speculativo, dipendono in gran parte direttamente dallo svolgimento di un complesso di indagini e rilevazioni da eseguirsi in maniera preventiva. L’esecuzione di tali accertamenti diventa ancor più importante nel caso di progetti di conservazione programmata e di manutenzione, categorie di intervento che costituiscono le più aggiornate acquisizioni nel campo del restauro. Giustamente è stato fatto osservare come sempre più frequentemente l’attività del restauratore può essere assimilata a quella del medico per il quale risultano fondamentali le indagini conoscitive diagnostiche. Le motivazioni che più frequentemente si portano a giustificazione della mancata esecuzione di indagini preliminari (o a sostegno di interventi solo parziali di accertamento rinviandone il completamento a tempi indefiniti) si basano sulla mancanza di un sufficiente budget. Una nostra ricerca svolta alla fine degli anni ‘80, in collaborazione con alcune Soprintendenze, ha verificato che un incremento del 5-6% dei costi (sostenibili senza difficoltà anche da privati) finalizzati all’esecuzione di indagini e rilievi diagnostici preventivi possono far risparmiare fino al 25-30% sulle spese degli interventi. Il cantiere di restauro, senza dubbio, presenta margini di incertezza di imprevisto superiori a un cantiere di nuova costruzione. Nel restauro, a parte pochi esempi, mancano atlanti di riferimento, raccolte ordinate di casistiche relative allo stato di conservazione, raccolte di esempi di intervento e del collaudo delle soluzioni adottate. Frequente è, invece, l’abitudine di recintare l’area del cantiere per impedire che si possa guardare all’interno. Alte palizzate saranno eliminate soltanto a lavori conclusi quando, in molti casi, non ci si ricorderà nemmeno com’era fatto l’edificio prima del restauro. I pochi esempi di ‘cantieri aperti’ hanno dimostrato che non solo è possibile permettere la visione dei lavori ma che questa diventa ancor più importante poiché costituisce una preziosa occasione didattica e di crescita della sensibilità collettiva.


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Panoramica del vano 7L2 del bastione

Le indagini preliminari hanno interessato in generale il monumento nella sua interezza ed in particolare quegli ambienti strettamente interessati dal restauro, ovvero i vani: d, 7L2, 7L3, 7L5, 7L6, 7L7, 7L10 e 8L2 del bastione del nuraghe. Le indagini finalizzate all’analisi conoscitiva del monumento si sono articolate anzitutto nell’esame dello stato di conservazione unitamente agli interventi svolti in passato, quindi nello studio dei materiali lapidei e delle strutture. Stato di conservazione e interventi realizzati in passato Lo stato di conservazione del monumento si è dimostrato in larga parte determinato e strettamente collegato agli esiti degli interventi svolti in passato. Ancorché generalmente inidonei per garantire la conservazione del manufatto e giustificati dalla politica ‘dell’intervento in condizioni di emergenza’, tali interventi sono stati purtroppo estesi a numerose parti del monumento sia per quanto riguarda l’ancoraggio dei conci sulle creste del bastione e delle torri secondarie, sia per l’allettamento dei conci in interventi di scuci-cuci e rincocciatura per il ripristino dei tratti murari della cinta antemurale e del vano ‘e’ dell’altare.


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Tra le cause responsabili dello stato attuale di fatiscenza del monumento, ha un ruolo fondamentale l’acqua piovana diretta la cui azione è resa più pericolosa dalle scarpate di terra con pendenza verso l’area archeologica che provocano ruscellamento e questo microfrane e disgregamento delle malte antiche presenti tra le commessure dei conci dove, pertanto, si creano problemi alla staticità degli elevati. Anche l’acqua proveniente dalle coperture provvisionali determina ulteriori danni formando considerevoli pozze con ristagni di acqua e fango. Oltre a svolgere un’azione chimica (solubilizzazione dei sali solubili e formazione di composti del tutto o in parte diversi da quelli di partenza) e fisica (ricristallizzazione in superficie e rottura della struttura per trazioni indotte dall’aumento di volume dei cristalli), l’acqua piovana svolge azioni meccaniche che portano a solcare il battuto pavimentale dei vani interni al monumento con conseguente accumulo di materiali incoerenti ed a scalzare l’antica malta d’argilla che si accumula al piede dei muri dove, bagnata, incrementa la proliferazione di vegetazione infestante. Per limitare i danni causati dalla pioggia, sono state realizzate alcune coperture, le quali, però, non essendo oggetto di manutenzione costante non garantiscono la protezione dovuta. In alcuni vani vi sono scritte vandaliche che deturpano le pareti, in altri si nota la presenza di vegetazione spontanea annidatasi principalmente negli spazi interstiziali tra le commessure dei conci in opera consistente in muschi concentrati su superfici orizzontali, provocati da ristagni o percolazioni. Sono poi emersi numerosi dissesti murari dovuti: ad interventi impropri realizzati in passato con mezzi meccanici che hanno provocato fratture di elementi litoidi; inoltre, a cedimenti delle strutture di fondazione; alla mancanza di ammorsature e continuità della tessitura muraria; a modifiche antropiche apportate nel tempo. In particolare, si ravvisano diverse strutture murarie che presentano dei fenomeni di dissesto statico ai quali si è dato sostegno tramite opere di presidio quali puntellature e armature provvisionali. Le murature presentano una discreta percentuale di elementi litoidi fratturati, con lesioni passanti, così come si ravvisano vacui variamente distribuiti nella tessitura. Tra le concause di degrado vanno ascritti anche gli esiti di alcuni interventi di consolidamento1 eseguiti in passato in diversi settori del corpo centrale del nuraghe, della linea antemurale e nella sala del consiglio della Corte d’armi. In particolare, il ripristino di malte d’argilla con malte a base cementizia2 impiegate per la stabilizzazione, il consolidamento e la protezione di conci lapidei in diverse parti del monumento, soprattutto durante gli interventi ese1 Quali: rimozione e reinserimento di massi in precaria giacitura statica; saldatura ed incollaggio di blocchi con fessure e fratture; ripristino di malte d’argilla con malte cementizie. 2 Cosiddetto Portland.

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guiti negli anni ‘80 del Novecento, hanno determinato il fenomeno della formazione del cosiddetto sale espansivo. Infatti, la presenza di gesso (CaSO4 · 2H2O) è probabilmente legata a quella della malta cementizia che, soggetta al dilavamento esercitato dalle acque di infiltrazione superficiale, viene veicolata andando a depositarsi sui resti archeologici. Il gesso, normalmente presente nel cemento idraulico quale componente di regolazione e controllo dei tempi di presa, e probabilmente la presenza di sottoprodotti quali i solfati dei metalli alcalini come sodio e potassio, che non esercitano alcuna funzione legante ma che una volta idratati dalle acque e a contatto con ioni calcio vengono solubilizzati dando origine a fenomeni di efflorescenza e sub-efflorescenza salina, portano alla formazione del sale espansivo. Il ricorso alla malta cementizia negli interventi di consolidamento passati è stata così determinante nell’accelerazione del degrado dei blocchi in marna e calcare. Ulteriori cause di degrado sono riconducibili alle metodiche dello scavo archeologico che ha sovente liberato soltanto su un lato muri posti a mezza costa mettendoli a rischio spanciamento, rovesciamento di cresta o slittamento al piede. Non trascurabile il degrado connesso alla presenza di colonie biologiche che in alcuni ambienti del nuraghe sono fortemente radicate e sviluppate. Infatti, la maggior parte dei conci in opera mostrano fenomeni fratturativi causati dalle sollecitazioni di compressione e flesso-trazione dovuti alla progressiva variazione dei carichi nel tempo, proprio tali discontinuità hanno costituito la via preferenziale all’ingresso delle acque meteoriche agevolando la crescita di vegetazione infestante anche di tipo aggressivo. A sua volta, l’apparato radicale più o meno sviluppato di tali organismi vegetali ha indotto tensioni di trazione all’interno delle stesse fratture e soprattutto tra le commessure dei singoli conci delle apparecchiature murarie. I prodotti disgregativi, dovuti a cicli ripetuti di tali fenomeni, sono evidenti a piè di muro sotto forma di depositi conoidi di materiale polverulento. Si tratta di prodotti di disgregazione in minima parte dei conci di marna e di calcare e per la massima parte della malta antica di allettamento tra i conci e di stilatura dei giunti. Tali prodotti sono dovuti sia alle azioni fisico-meccaniche delle efflorescenze e sub-efflorescenze saline, sia all’azione meccanica erosiva e abrasiva dei venti che in prossimità dell’apertura d’ingresso ai vani aumentano velocità al diminuire della sezione che attraversano per effetto Venturi. Nel vano d, principale settore di intervento, si è dato sostegno alla parete orientale, con diverse lacune e numerosi conci in fase di espulsione, tramite opere di presidio quali puntellature e armature temporanee, inoltre, si è data protezione al soffitto, ormai a cielo aperto, con una tettoia provvisionale.


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Materiali lapidei e strutture Lo studio dei sistemi costruttivi locali riveste grande importanza negli interventi di manutenzione e restauro dell’edificato storico. In particolare, i manufatti archeologici ridotti allo stato di rudere, quale il nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, necessitano di un approccio interdisciplinare di figure professionali specialistiche, capaci di analizzare e identificare le tecniche edificatorie di base e la loro evoluzione nel tempo. Pertanto, preliminarmente all’intervento conservativo, è stata di fondamentale importanza la conoscenza approfondita dei materiali e delle tecniche costruttive del manufatto. In contrasto con quanto spesso si trova scritto, le costruzioni nuragiche non sono costruite con conci posati a secco, ma regolarmente allettati con malte di terra cruda (e forse leganti naturali) allo scopo di assicurare un buon piano di posa ed evitare rotture o scheggiature angolari; in alcuni casi, i paramenti venivano rivestiti di intonaco e finemente decorati con pitture naturali. Gli elementi caratterizzanti questa tipologia di murature sono quindi essenzialmente i conci lapidei, le zeppe, il materiale minuto e la malta di allettamento. I singoli materiali sono apparecchiati e distribuiti secondo diverse tecniche costruttive quali l’opus incertum e pseudo quadratum e, spesso, con soluzioni innovative e neotecniche ottenute dalle diverse combinazioni spaziali delle precedenti. L’analisi tipologica è stata eseguita, dall’equipe di progettisti, analizzando le diverse componenti di ciascuna tecnica riconducibile all’antica ‘regola dell’arte’ e agli accorgimenti costruttivi adottati. I parametri considerati hanno riguardato lo studio delle apparecchiature murarie e degli schemi statici. Di conseguenza, sono state analizzate forma, dimensione e distribuzione dei conci, l’orizzontalità delle giaciture della struttura muraria, lo sfalsamento dei giunti verticali, l’ingranamento trasversale, la presenza di diatoni, il rapporto tra dimensione dei conci e spessore delle murature e le dimensioni degli elementi resistenti rispetto a quelli collaboranti. La presenza di zeppe originali ancora nelle murature ha permesso l’analisi tipologica e dimensionale delle stesse, della loro distribuzione e forma. La qualità, quantità e consistenza della malta è stata esaminata attraverso metodi empirici e analisi granulometriche di laboratorio. I primi hanno consentito, in modo speditivo e in situ, di esaminare le caratteristiche di plasticità e contenuto della frazione argillosa nelle terre3. A 3 Il limite di plasticità nelle terre è stato misurato prelevando piccoli campioni indisturbati di malta antica riplasticizzandoli ad umido in modo tale da formare rotolini di argilla col movimento del palmo della mano su un piano di vetro. Per le caratteristiche della terra, si è utilizzato il metodo del sigaro arrotolato. Si è arrotolato un ‘sigaro’ di terra fino al raggiungimento della lunghezza di rottura; con la rottura ai 5-15 cm la terra ha un contenuto di argilla ottimale per il confezionamento della malta, con rottura sotto i 5 cm è presente un’alta percentuale di sabbia, oltre i 15 cm il tenore di argilla è troppo elevato. Il tenore d’argilla e il contenuto di sabbia di per sè non sono sufficienti a stabilire la qualità della terra, ma è necessario valutarne anche la componente limosa.

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Il vano F3 della torre F

pagina a fronte Scheda di registrazione e valutazione del rischio

tal fine, sono state realizzate una serie di prove di sedimentazione4 i cui risultati sono stati successivamente avvalorati da analisi granulometriche di laboratorio eseguite con il metodo dell’attacco acido e vibrovagli. Lo stesso procedimento è stato praticato sui campioni di malta confezionati per il restauro ottenendo in tal modo un confronto oggettivo tra le malte in opera e quelle originali. L’ambiente in cui si è concentrata in particolare la campagna di restauro è ubicato al piano terra della bastione protonuragico ed è caratterizzato da una camera di pianta ellittica con sezione trasversa tronco-ogivale alla quale si accede attraverso due ingressi, ci4 e ci10, i quali lo collegano al cortile 7L2 ed al corridoio principale ci1. Il vano risulta edificato con conci quadrangolari di media pezzatura in marna e calcare locale disposti a filari pseudo orizzontali abbastanza regolari. I filari superiori presentano un sensibile aggetto che, in corrispondenza del soffitto, conclude con una serie di grandi lastre a scavalco, collocate di piatto, le quali costituiscono contemporaneamente la chiusa del vano ed il pavimento di quello ad esso soprastante.

4 Effettuate utilizzando vasi di vetro della capacità nominale di 1 litro. Questi sono stati riempiti con il campione di terra fino ad un quarto e per la restante parte con acqua. Dopo averli agitati energicamente, li si è lasciati depositare per 45’ per poi agitarli ancora ma con meno vigore. Nella prima fase di sedimentazione, c’è stato il deposito della sabbia, mentre nella seconda dell’argilla e del limo. Dopo circa 8 ore, l’analisi stratigrafica complessiva ha visto la sabbia sul fondo sormontata dalla fase argillosa a sua volta coperta da quella limosa. La misurazione di tali potenze ha consentito di valutare i tenori dell’uno in funzione degli altri e di poter confrontare tra loro diversi campioni e soprattutto ricercare una terra analoga a quella per la realizzazione delle malte di restauro.


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Il rilevamento dello stato di conservazione Per il rilevamento è stata utilizzata la scheda di registrazione e valutazione del rischio, specifica per aree archeologiche e manufatti edili allo stato di rudere ma modificata per meglio adeguarsi alla singolarità del sito e del monumento. Al fine di perfezionare il rilevamento dello stato di conservazione, un catalogo delle forme patologiche riscontrate, sia quelle evidenti che quelle subdole di maggior difficoltà di identificazione, è servito come supporto conoscitivo e come base per proporre classi di nuovi inter-

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Vano “e” del bastione, solchi sul battuto pavimentale dovuti al ruscellamento delle acque piovane


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venti adeguati e di correttivi da apportare a situazioni sulle quali in tempi passati sono stati effettuati interventi inefficaci e talvolta dannosi. Le osservazioni compiute, hanno consentito la redazione di un elenco di patologie che, indipendentemente dalla gravità delle singole manifestazioni, possono costituire la base di valutazione dello stato di conservazione dei manufatti architettonici. L’elenco qui allegato si riferisce ai singoli fenomeni, così come sono stati riscontrati; va considerato che, come avviene nella maggior parte delle aree archeologiche all’aperto, le patologie riscontrate si presentano isolatamente e indipendenti le une dalle altre ma, con molta frequenza, possono svilupparsi anche contemporaneamente e presentarsi, di conseguenza, con forme e pericolosità maggiori. Elenco delle patologie 1. Cattivo (o quantomeno insufficiente) rapporto tra alcune strutture nuove e quelle originarie. 2. Mancanza (o quantomeno scarsa) ‘comunicazione’ dei resti. 3. Disordine nel deposito di materiali sciolti e reperti mobili. 4. Strutture di copertura e passerella di difficile gestione (manutenzione e adeguamenti funzionali). 5. Scarpate di terra con pendenza verso l’area archeologica che provocano scorrimenti di acque meteoriche e microfrane. 6. Accumuli di terra smossa e sedime nelle buche. 7. Vegetazione spontanea potenzialmente infestante. 8. Presenza di lesioni concentrate e quadri fessurativi estesi a gravità variabile. 9. Presenza di aree di ristagno di acque meteoriche dirette o che provengono dalle coperture. 10. Muretti ‘protettivi’ in disfacimento. 11. Emergenza di tratti di muro che possono essere considerati ‘originali’, non restaurati, ma che presentano forti erosioni sia nelle parti sub-orizzontali delle creste sia lungo le pareti verticali. 12. Variabilità delle capacità di resistenza dei diversi muri nelle aree di contatto. 13. Frammentazioni concentrate di cortine murarie. 14. Frammentazioni estese di cortine murarie. 15. Accumulo al piede dei muri di terra e residui di malte dei muri che se bagnati provocano la proliferazione di vegetazione infestante. 16. Muschi concentrati su superfici orizzontali, provocati da ristagni o percolazioni.

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Corridoio d’accesso al vano d del bastione

pagina a fronte Panoramica del bastione da est

17. Muri a rischio spanciamento, rovesciamento di cresta o slittamento al piede. Il rischio di cedimenti è evidente soprattutto nei muri posti a mezza costa e che lo scavo archeologico ha ‘liberato’ soltanto su un lato. 18. Alcune aree sono protette dagli agenti atmosferici soltanto in parte poiché risultano coperte in maniera incompleta. 19. Mancanza di un impianto didattico e informativo per il pubblico. 20. Mancanza di un sistema efficace di regimazione delle acque meteoriche a causa di una scarsa attenzione alle caratteristiche morfologiche dei terreni e alle pendenze dei terreni verso l’area archeologica. 21. Fronti di scavo non protetti e a locale rischio di erosione superficiale.


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campionamento delle malte di restauro Diego Schirru

Vano d, depositi coniformi di alterazione delle antiche malte

Parte importante e determinante dell’intervento operato a Su Mulinu è stato senza dubbio lo studio ed il campionamento delle malte di allettamento. La scelta progettuale filologica è stata quella dell’utilizzo di malte di terra cruda stabilizzate con leganti idraulici e aerei naturali, tali cioè da presentare caratteristiche meccaniche e modulo elastico compatibili con il monumento. Gli ingredienti presenti nelle ricette campionate sono consistiti in aggregati (terra ad alto contenuto di argille, sabbia di fiume, pietra locale triturata), leganti aerei (grassello di calce), leganti idraulici naturali e fibre polipropileniche. La malta a base di terra stabilizzata formulata in laboratorio1 prescelta per l’esecuzione delle stilature dei giunti ha la seguente composizione in volumi di aggregato [12]: terra locale [4], sabbia 0-2 [5]2, pietra triturata [3]; e la seguente composizione in volumi di legante [5]: grassello di calce [2]3, calce idraulica naturale [3]4, acqua d’impasto [2,5]5, fibre polipropileniche [1,42 g/1 litro]6. La terra, proveniente dall’area archeologica di Su Mulinu, è stata vagliata tramite setacci dalle maglie via via sempre più piccole e quindi ventilata, mentre la pietra utilizzata è stata quella dei conci presenti nelle discariche dei precedenti scavi archeologici, i quali sono stati spaccati e triturati in mortaio in cantiere tramite magli e mazzette. Il grassello di calce stagionato in fossa, oltre a conferire elasticità all’impasto, ha allungato i tempi di maturazione del nucleo; la calce idraulica naturale ha presentato il vantaggio di essere prodotta dalla cottura di calcari marnosi ricchi di impurezze reattive come la silice e l’allumina; infine, le fibre polipropileniche di rinforzo hanno consentito di prevenire e ridurre i fenomeni fessurativi dovuti al ritiro della malta una volta messa in opera.

Sigla in estensione: M07_VNF.01_A12 GCF; sigla abbreviata: M07. Sabbia fine di fiume, cat. GF85, fuso granulometrico 0-2 mm, cava in località Pranu e Cixiri, Fiume Tirso, Silì (OR). 3 Calce aerea CL 90-Sg prodotta e commercializzata da Calcidrata S.p.A., stabilimento di Samatzai (CA). 4 Calce idraulica tipo NHL 2-Z, Fernando Brigliadori, località Santarcangelo di Romagna (RN). 5 Fornitura acqua potabile dall’acquedotto cittadino gestito da Abbanoa S.p.A. 6 Fibre polipropileniche, microfibre diam. 19,8 µm, lungh. mm 18, tipo GRACE, mod. MicroFiberTM, commercializzate da W.R Grace Italiana SPA, Passirana di Rho (MI). 1 2


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metodologia operativa e messa in opera Diego Schirru

Vano d, inserimento delle zeppe di rincalzo

Il restauro ha seguito un programma ben articolato di operazioni che si è svolto progressivamente e con consequenzialità dalle fasi preliminari di diserbo a quelle di mappatura dei passati interventi conservativi, fino alla pulitura e al consolidamento degli apparecchi murari. Diserbo La preparazione del monumento all’intervento ha avuto inizio col suo diserbo realizzato mediante sfalcio manuale di arbusti, erbe e sterpaglie. Quindi, utilizzando dei biocidi, si è eseguita la disinfestazione sia della vegetazione superiore, sia delle colonie di microrganismi autotrofi e eterotrofi provvedendo contestualmente, negli ambienti esterni con vegetazione fortemente radicata, al fissaggio delle superfici litiche in pericolo di caduta. Mappatura dei passati restauri Successivamente, si è provveduto a mappare gli interventi di restauro insieme alle opere per la fruizione eseguiti in passato. Infatti, nel corso degli anni, sono stati eseguiti, a varie riprese, interventi di consolidamento statico e parietale in diversi settori del nuraghe. Gli interventi più massicci si sono avuti nella torre E dove, per ricreare le condizioni di sicurezza statica, si è provveduto all’inserzione ex novo sia di conci nel paramento esterno, sia di pietrame nella zona intermedia della muratura. Nella cortina C52 della cinta antemurale, invece, si è eseguito l’ancoraggio statico dell’architrave della finestra. Nel bastione e nei vani della Corte d’armi, poi, sempre per esigenze di statica muraria, si è realizzata la saldatura di blocchi fessurati mediante incollaggio con resine epossidiche. In corrispondenza del vano e, è stata posta in opera una copertura a falde realizzata con lastre di rame sormontate da una di policarbonato per impedire che la pioggia potesse arrecare danni all’altare ed alle strutture murarie. Inoltre, sono state effettuate diverse opere finalizzate alla fruibilità dell’area archeologica tra cui diverse passerelle mobili utilizzate per il percorso di visita del sacello del vano e e nel settore della torre F, le strutture della guardiania-biglietteria, un bar-ristoro, le strade di accesso per l’area archeologica. Infine, si è proceduto al ripristino del verde nell’area del parco e alla sistemazione della recinzione dei muri a secco perimetrali dell’area archeologica.


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Vano d, operazione di pulitura dei paramenti murari interni

pagina a fronte La cava d’argilla all’interno dell’area archeologica

Allo stato attuale, la fruibilità del monumento, stante le condizioni di dissesto di alcune murature e la presenza di elementi malfermi con pericolo di crollo, è limitata all’osservazione esterna, sia pur ravvicinata mediante un percorso perimetrale esterno cordato su paletti metallici fissati a basette litiche poggianti nel terreno. Inoltre, come già evidenziato, è possibile accedere mediante le passerelle metalliche al sacello del vano e dove è collocato l’eccezionale altare dedicato alla divinità lunare della prima età del Ferro; una transenna metallica segna il limite dell’affaccio. Pulitura In seguito alla mappatura degli interventi pregressi, si è proseguito con la pulitura delle superfici lapidee per rimuovere le sostanze patogene estranee causa di degrado. Dunque, si è proceduto con operazioni ben calibrate e graduali, avanzando per fasi progressive su più campioni, in questo modo gli operatori hanno potuto verificare l’idoneità della tecnica adottata e, allo stesso tempo, determinare quando l’intervento doveva essere interrotto. Gli interventi hanno riguardato la rimozione sia dei depositi superficiali incoerenti, sia della microflora con patina biologica, batteri, funghi, alghe e ciano batteri. Prestando particolare attenzione a non intaccare la natura chimica del materiale litoide, la pulitura dei depositi superficiali incoerenti è stata eseguita ricorrendo a sistemi mecca-


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nici semplici e manualmente con l’utilizzo di strumenti a basso impatto1 adatti ad essere impiegati negli spazi angusti degli interstizi tra un blocco e l’altro senza asportare la malta antica e ferire in qualche modo i conci. Dalle superfici sono stati asportati tutti gli elementi intrusivi quali polveri e detriti, vegetazione infestante e malte utilizzate in restauri precedenti decadute nelle prestazioni statico-meccaniche. In tal modo, si è evidenziato al meglio lo stato conservativo dei blocchi e quello degli spazi infrafilarici permettendo un’osservazione diretta della malta e delle zeppe residue. È stato evitato l’uso di getti d’acqua anche a bassa pressione poiché materiali quali marne e calcari ne vengono fortemente danneggiati a seguito di imbibizione forzata. Tutto il materiale pulverulento prodotto dalla pulizia, dall’azione erosiva della circolazione dell’aria, da gradienti e ponti termici, nonché dall’umidità di risalita e di infiltrazione, depositato alla base dei piani di posa dei conci, è stato recuperato e differenziato per litologia e tonalità di colore con l’utilizzo di piccole attrezzature quali pennelli, scope, palette, paioli e piccoli aspiratori. Quanto alla rimozione della patina biologica, costituita da batteri, funghi, alghe e ciano batteri, va sottolineato che il loro sviluppo è favorito da condizioni al contorno caratterizzate da elevata umidità relativa e dalla presenza di acqua ristagnante all’interno del materiale lapi1

Pennelli a pelo lungo e morbido e aria soffiata a bassissima pressione.

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Parete nord del vano F1, colonie biologiche Vano a, scritte vandaliche sul soffitto dell’ambiente

pagina a fronte Vano d, esecuzione di listatura con pistola fugatrice Vano d, particolare dell’inserimento della malta tramite pistola fugatrice

deo; condizioni aggravate soprattutto da una limitata circolazione d’aria. Questi microrganismi possono indurre sulla superficie un degrado di natura meccanica e chimica. Infatti, i funghi, penetrando con le appendici filiformi, all’interno delle fessure presenti nel manufatto e sollecitando meccanicamente la struttura, incrementano la decoesione del materiale; le alghe, invece, provocano sulla superficie un’azione meccanica corrosiva agevolando l’impianto di ulteriori micro e macrorganismi. La loro presenza sulle superfici lapidee si manifesta tramite macchie e patine costituite prevalentemente da microrganismi a cui possono aderire polvere e terriccio; tali patologie alterano inevitabilmente l’aspetto estetico. Le sostanze biocide utilizzate per la rimozione della microflora hanno risposto a precise caratteristiche, quali essere atossiche per gli organismi viventi, biodegradabili nel tempo, inibenti rispetto ad azioni fisico-chimiche sulle strutture murarie e prive di residui inerti stabili sulle superfici trattate2. Dopo l’applicazione delle sostanze, si è proceduto all’asportazione manuale della patina; l’operazione è stata ultimata con una serie di lavaggi ripetuti con acqua deionizzata in modo da eliminare ogni possibile residuo di sostanza sul materiale litoide. La rimozione della patina biologica è stata fatta anche tramite pulitura manuale mediante bisturi e spazzole, metodo rivelatosi limitato in quanto non totalmente risolutivo e lesivo per il substrato del materiale.

2 Il biocida utilizzato è stato il PREVENTOL RI80 a base di composti del sale quaternario d’ammonio con ottimo potere contro batteri, funghi, alghe e licheni, solubile in alcoli, chetoni e idrocarburi clorinati; si presenta liquido da incolore a leggermente giallognolo e viene impiegato per disinfestazioni generiche in soluzione acquosa in concentrazioni variabili dal 2 al 10%.


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Consolidamento Completata la fase della pulizia, si è proceduto al consolidamento realizzato essenzialmente tramite tre operazioni: listatura, scuci cuci e incocciatura, copertine, tutte azioni dove è stata preponderante la preparazione delle malte. Gli interventi sono stati finalizzati al ripristino dei piani di carico dei conci e al miglioramento dell’ammorsamento ed ingranamento trasversale tra i conci. Il consolidamento ha riguardato murature in elevazione in precario stato di equilibrio statico sottoposte a degrado superficiale diffuso. L’intervento è risultato particolarmente complesso poiché la sua reale efficacia è dipesa dalla conoscenza di diversi fattori tra i quali: la natura dei materiali in opera3, i cambiamenti riconducibili al naturale invecchiamento della struttura, le diverse patologie di degrado compresenti, lo stato conservativo, gli interventi e le sollecitazioni in atto4. Definito il quadro conoscitivo, si è proceduto alla campionatura e messa in opera delle malte nei settori necessitanti di listature infrafilariche, di interventi di scuci cuci e di copertine idrofobizzanti.

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Conci, leganti, connettori strutturali. Soprattutto il carico antropico dovuto alla pubblica fruibilità del monumento.

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Planimetrie del primo e del secondo livello del bastione con indicazione degli interventi di restauro

pagina a fronte Vano d, particolare dell’inserimento di una zeppa Operazione di ingranamento delle zeppe negli spazi infrafilarici

Listature I lavori di consolidamento mediante listature, preceduti dalla pulizia dei muri, sono stati realizzati senza alterare e rimuovere le argille originali impiegate come malte tra le commessure dei conci. Le necessarie interposizioni di zeppe sono state effettuate per le sole esigenze statiche senza obliterare o rimuovere quelle esistenti, salvo ben definite esigenze sempre di natura statica. In tutti i casi in cui si è proceduto ad inserimenti di pietre nella tessitura muraria il loro posizionamento è stato concordato con l’archeologo onde evitare alterazioni che in futuro possano impedire la corretta lettura ed interpretazione storica del manufatto. Analogamente al procedimento seguito in laboratorio, la preparazione della malta si è svolta anzitutto con la miscelazione a secco delle polveri (terra, pietra triturata, sabbia e calce). Quindi, si è gradualmente aggiunto all’impasto il grassello di calce preventivamente diluito e sciolto nell’acqua prevista in ricetta, al quale erano state incorporate in precedenza anche le fibre polipropileniche avendo cura di districarle il più possibile. Il composto è stato così lavorato con mescolatore5 fino ad ottenere una malta sufficientemente plastica, facile da lavorare e da applicare sia a paletta che a pistola fugatrice6. Una volta confezionata la malta, si è proceduto a rinzaffare con essa lo spazio infrafilarico tra i conci cercando di farla penetrare in profondità. L’impasto è stato applicato in strati separati e successivi, in base allo spessore della commessura da riempire. Tra un filare e l’altro, sono state reinserite sia le zeppe originarie instabili, sia quelle nuove di potenziamento statico cercando di collocarle quanto più profondamente possibile 5 6

MX 1600w completo di frusta (M14). Pistola a tubo fugatrice da 600 ml.


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a reintegrare il piano di posa di ciascun concio utilizzando strumenti adatti a facilitare l’inserimento, quali punteruoli di legno e mazzette. Le zeppe di nuovo impiego, rese riconoscibili da tagli trasversali eseguiti con smerigliatrice angolare, sono state recuperate nelle discariche degli scavi archeologici e, pertanto, uguali alle originarie per materiale, dimensioni, forma e colore. Esse sono state perfettamente adattate agli spazi vuoti in cui sono state inserite e, a seconda della necessità, lavorate a scalpello. Tutte le zeppe sono state collocate a contrasto tra i blocchi avendo cura di bloccarle meccanicamente per semplice compressione laterale tra i conci, quindi, interamente affogate nella malta che le ha rese invisibili sul lato prospettico del paramento murario. Si è stesa la malta in modo da mantenere un sottosquadro a vista per garantire ‘l’effetto a rudere’ dell’intervento, evidenziando il profilo dei blocchi. Dopo circa 2 ore dalla messa in opera, appena la malta ha iniziato la presa, le listature sono state battute con mazzapicchio per riplasticizzarle e così ridurre o eliminare le fessurazioni da ritiro che inevitabilmente si manifestano in presenza di malte contenenti alti tenori di terra. L’operazione è stata ripetuta anche il giorno successivo, entro le 15-18 ore dalla posa, servendosi dell’ausilio di una pompa a pressione manuale da l 2 di acqua per la riplasticizzazione della malta eventualmente fessurata. Come di prassi, l’indurimento della malta ha proceduto lentamente completandosi in 6-8 mesi dalla posa in opera, a ciò hanno concorso sia le condizioni termo-igrometriche interne all’ambiente di applicazione, sia il legante aereo impiegato. Entro i due giorni dall’applicazione, comunque, le listature sono state graffiate con punteruoli lignei al fine di eliminare la malta in eccesso e conferirle un aspetto ‘ruvido’.

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Operazione di diserbo manuale Raschiatura della malta con utensile ligneo

Scuci cuci e rincocciatura Le operazioni di smontaggio e rimontaggio delle murature sono state realizzate concordemente con l’archeologo dopo aver eseguito la siglatura dei blocchi ed i rilievi di dettaglio propedeutici allo smontaggio. Il lavoro è consistito nella ripresa ed integrazione delle legature nella tessitura originaria di murature mediante sostituzione parziale del materiale lapideo con metodo scuci-cuci, comprendente rimozione in breccia nella zona di intervento, ricostruzione della muratura con conci e zeppe di materiale originale presente sul posto e similari a quelli già presenti nei vani. Il consolidamento ha previsto la scarnitura delle vecchie malte ammalorate con l’onere della salvaguardia dei tratti in buono stato di conservazione, il successivo lavaggio e spazzolatura con spazzole di saggina. L’allettamento di blocchi e zeppe è stato eseguito con la stessa malta impiegata per le listature descritta in precedenza tranne che per l’assenza, in questo caso, di fibre polipropileniche. Si è quindi proceduto alla spazzolatura finale e alla predisposizione per i trattamenti di protezione con sostituzione degli elementi in pietra non recuperabili e l’incremento di quelli completamente mancanti. Il consolidamento delle murature mediante incocciatura, invece, ha interessato la ricostruzione di mancanze o lacune murarie generate da crolli, distruzioni, e deterioramento dei piani di carico nella massa e nel volume, tramite l’inserimento di nuovi materiali compatibili con quelli presenti allo scopo di ripristinare la continuità delle pareti. Tale lavorazione è stata limitata ai soli paramenti interni senza interessare l’intero spessore murario, coinvolgendo porzioni limitate di muratura. A differenza dello scuci e cuci, la rincocciatura non prevede la rimozione delle parti di muratura degradate. L’operazione si è resa necessaria anche per evitare il progredire e l’insorgenza dei fenomeni di degrado, quali infiltrazioni di acque meteoriche e di radici infestanti, che avrebbero potuto attecchire all’interno delle lacune. Il compito strutturale dell’intervento è stato quello di


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assolvere un ruolo di sostegno e miglioramento dell’ingranamento trasversale delle murature, oltre a ripristinare la continuità dei piani di carico. A tale scopo, i materiali utilizzati hanno caratteristiche di resistenza meccanica a compressione tale da garantire la stabilità delle strutture in quanto, essendo stati recuperati in loco dalle discariche dei materiali di crollo degli scavi passati, questi risultano pienamente compatibili e similari per natura e dimensioni a quelli originali. Si è proceduto dapprima rimuovendo dalle cavità tutte le parti incoerenti o eccessivamente degradate tramite l’utilizzo di mezzi manuali (martelli, scalpelli o punte) avendo cura di non sollecitare troppo le strutture ed evitando di provocare ulteriori danni. Le cavità sono state quindi pulite ricorrendo a mezzi manuali come spazzole, raschietti o aspiratori in modo da rimuovere i detriti polverulenti e grossolani senza l’uso di acqua. La posa in opera dei nuovi materiali è stata eseguita manualmente avendo cura di bloccare meccanicamente i conci, stringendoli alla muratura esistente mediante zeppe litiche cuneiformi. La malta di connessione è stata confezionata con la stessa ricetta utilizzata per le listature. Dopo la messa in opera del materiale di risarcitura, è stata eseguita la finitura e la stilatura dei giunti soprattutto in prossimità dei bordi d’unione tra il vecchio e il nuovo al fine di evitare proprio in questi punti delicati discontinuità strutturali. I blocchi di nuovo inserimento sono stati identificati con numerazione progressiva dall’alto in basso, i numeri sono stati inscritti all’interno di triangoli bianchi e rossi in ragione delle dimensioni del concio. Tutti i blocchi sono stati contrassegnati da identificativi realizzati con n. 2 incisioni parallele eseguite con smerigliatrice angolare sul lato non esposto del concio. Copertine Le copertine sono state messe in opera esclusivamente sulle creste murarie dei corridoi e degli ambienti del secondo livello del bastione del nuraghe7 per il fatto di essere questi svettati e completamente in balia dell’erosione degli agenti atmosferici. Il lavoro è consistito nella stesura di uno strato di sacrificio di malta applicato a sua volta su uno strato di geotessile8 posizionato a protezione del livello archeologico; precedentemente all’operazione, ciascun locus è stato preventivamente sottoposto a pulizia. Sul geotessile è quindi stata stesa la malta identica a quella impiegata nelle listature precedentemente descritte con l’unica differenza dell’aggiunta di materiale idrofobo9. Va sottolineato che l’idrofobizzante è stato testato però Esattamente i corridoi 7L5, 7L6, 7L7 e 7L10 ed i vani 7L2 e 8L2. Geotessile non tessuto agugliato composto da poliestere bianco tipo Geotex R/RC, commercializzato dalla Viganò Pavitex s.p.a., peso 500 g/m2. 9 Idrorepellente in polvere con principio attivo Alchil Silossano, tipo Idroplus P 9452, dosaggio consigliato min. 0,1%/ m3, max 1%/m3 del volume totale della malta. 7

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Vano 8L2, esecuzione delle copertine di protezione

pagina a fronte Vano d del bastione, panoramica del settore meridionale Vano d del bastione, panoramica del settore settentrionale

solo per una parte delle copertine in un settore limitato e circoscritto del corridoio 7L5 del bastione; infatti, essendo un prodotto nuovo, si è preferito testarne l’efficacia solo in una piccola parte per verificare in opera che l’effetto non incidesse negativamente sulla permeabilità della muratura al vapore. Il geotessile sul quale sono state stese le copertine è stato preventivamente bagnato per non sottrarre umidità all’impasto che è stato applicato manualmente con l’ausilio di cazzuolini fino a raggiungere uno spessore di circa cm 5. Come per le listature, dopo circa 2 ore dalla messa in opera, ovvero non appena la malta ha iniziato a tirare, le copertine sono state dapprima raschiate con punteruolo ligneo limitatamente ai punti di contatto con i muri, quindi battute con mazzapicchio per riplasticizzarle e così ridurre o eliminare le fessurazioni da ritiro plastico. Si è ripetuta l’operazione anche il giorno seguente, entro le 15-18 ore dalla stesura, servendosi dell’ausilio di una pompa a pressione manuale da L 2 per l’erogazione dell’acqua e di un pennello in setole morbide. Sulle parti interessate da fessurazioni da ritiro, si è quindi agito col pennello inumidito nell’acqua esercitando in superficie una leggera pressione con movimento rotatorio che ha prodotto polveri e piccoli grumi che riplasticizzandosi hanno sigillato le fessure.


metodologia operativa e messa in opera • diego schirru

Per poi evitare che improvvisi acquazzoni andassero a dilavare le copertine, queste sono state protette temporaneamente con teli impermeabili in pvc. Puntellamento provvisionale Al fine di garantire la sicurezza durante i lavori, e ancor più per dare sostegno ai paramenti murari più precari, è stato approntato un puntellamento sia del vano d che del contermine corridoio c10 mediante sostegni del tipo ‘cristi’ collocati a contrasto tra pareti opposte anche con impiego di basette regolabili, inoltre, tramite una sbadacchiatura con trave lignea sorretta da ‘cristi’ posizionata in chiave all’imbocco del corridoio c10.

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la stratigrafia muraria del vano 7L2 del bastione, un esempio di restauro in antico Alessandra Saba

Panoramica della corte d’armi da ovest

Tra gli interventi di rincocciatura più interessanti realizzati a Su Mulinu, si è rivelato senz’altro quello eseguito nel vano 7L2. Ubicato al centro del bastione, esso costituiva in origine il cortile interno del protonuraghe del Bronzo Medio (XV sec. a.C.), caratterizzato da un vano a cielo aperto di pianta ellittica (m 6x2) funzionale all’ingresso della luce, al ricambio dell’aria e alla comunicazione tra i tre lobi della fortezza. L’ambiente ha documentato un esempio straordinario di restauro in antico effettuato ben tremila anni fa. Infatti, le ristrutturazioni che interessarono il nuraghe tra il Bronzo Recente (1330-1150 a.C.) e il Bronzo Finale (1000 c.ca a.C.) compresero anche la sua corte interna. Il principale intervento che modificò l’antico assetto del protonuraghe e, dunque, anche del suo cortile, fu quello eseguito al piano superiore dell’edificio rasato per creare una piattaforma d’impianto per nuove torri di tipo evoluto. Le murature protonuragiche mal sopportarono l’enorme mole di queste torri, cosicché iniziarono a collassare sotto un peso assolutamente non proporzionato alla loro capacità di carico. Dunque, per evitare un crollo rovinoso, si intervenne al piano inferiore consolidando i muri che minacciavano di cedere, o che già andavano cedendo, con robusti rifasci di contenimento. Questi incapsularono in modo particolare il cortile con una spessa cintura muraria che se da un lato potenziò la capacità di carico dell’ambiente, dall’altra ne diminuì enormemente lo spazio agibile. Tutto ciò emerge con maggior dovizia di particolari dall’accurata analisi sia della sequenza delle unità stratigrafiche (US)1 che di quella delle unità murarie (USM)2 del 7L2 che si sono 1 US1, humus; US2, buca clandestina moderna (II metà XX sec.); US2A, riempimento buca clandestina moderna (II metà XX sec.); US3, livello di abbandono (età tardo antica); US4, livello di crollo (età del Ferro); US5, livello di frequentazione del Bronzo Recente II (1270-1150 a.C.); US6, livello di frequentazione del Bronzo Recente I (13301270 a.C.); US7, deposito di discarica del Bronzo Recente I (1330-1270 a.C.). 2 USM1, paramento murario del protonuraghe del Bronzo Medio (1550-1330 a.C.); USM2, paramento murario (sopraelevazione) del nuraghe evoluto del Bronzo Recente (1330-1150 a.C.); USM3, restauro (scuci-cuci) del Bronzo Finale (1150-900 a.C.); USM4, rifascio (nuovo muro di contenimento) del Bronzo Finale (1150-900 a.C.); USM5, paramento murario di sostegno alla scala (contrafforte) verso il II livello del Bronzo Recente (1330-1150 a.C.); USM6, rifacimento pavimentale lastricato (nuovo livello pavimentale a quota di frequentazione superiore) del Bronzo Recente (1330-1150 a.C.).


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pagina a fronte Panoramica dell’interno della torre F

rivelate uno straordinario strumento di lettura della metodologia adottata in antico per effettuare questo restauro. Così, a voler leggere questo libro di pietra, emerge che in corrispondenza della USM1 si individua il paramento murario più arcaico del protonuraghe del Bronzo Medio (1550-1330 a.C.), svettato nel Bronzo Recente (1330-1150 a.C.) per ospitare la nuova sopraelevazione (USM2) del nuraghe evoluto, sopraelevazione che però iniziò fin da subito a mostrare segni di cedimento e sulla quale, pertanto, si intervenne con un restauro tramite scuci-cuci e rifascio nel Bronzo Finale (1150-900 a.C.) in corrispondenza delle USM3 e USM4 dotando, in tale occasione, di un ulteriore sostegno murario (USM5) la scala verso il secondo livello. L’eccezionale documento stratigrafico getta nuova luce sulle straordinarie capacità costruttive delle maestranze nuragiche abili non solo nella progettazione e realizzazione dei loro castelli ma anche nella loro conservazione, nel consolidamento e nel restauro soprattutto in corrispondenza di eventi peggiorativi degli apparecchi murari prodotti da fattori di natura ‘anagrafica’, strutturale e soprattutto violenta quali indubbiamente provocava una società guerriera come quella protagonista del Bronzo sardo.

Stratigrafia muraria del paramento settentrionale del vano 7L2 del bastione


premessa • luigi marino, diego schirru, alessandra saba

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considerazioni per la futura manutenzione Luigi Marino, Diego Schirru

Panoramica dell’andito d’ingresso alla torre F

È buona norma inserire all’interno dei programmi di manutenzione, postumi all’intervento di conservazione, dei controlli periodici mirati alla verifica dell’effettiva validità delle operazioni di consolidamento in modo da poter realizzare il monitoraggio nel tempo e testarne il comportamento. La revisione dei dati raccolti nella ricognizione generale con le schede di registrazione del rischio ha fornito indicazioni sufficienti sullo stato di conservazione (degrado dei materiali e dissesto delle strutture) dei muri e delle aree vicine. In sintesi, le strutture murarie presentano sintomatologie tipiche delle aree archeologiche all’aperto che ricevono, sia pure in maniera non sistematica, attenzioni e azioni protettive. Alla luce di quanto emerso, si propone un progetto basato su atteggiamenti di cautela e interventi finalizzati di manutenzione. Tutto il sito (muri e aree ad essi confinanti) viene suddiviso in aree e, all’interno di queste, si sceglie un campione. La scelta delle diverse aree può essere fatta con suddivisioni uguali oppure con suddivisioni arbitrarie in conseguenza delle caratteristiche dei muri. La scelta dei singoli campioni deve rispondere all’imperativo che questi abbiano le stesse caratteristiche costruttive, uso di materiali, classi di patologie di degrado/dissesto dell’intera area di riferimento (campioni significativi e rappresentativi). L’assegnazione di Indici di Pericolosità (I.P.) viene fatta sulla base della valutazione preventiva eseguita e strategicamente indicata con tre valori: C – cattivo; S – sufficiente; B – buono non escludendo per casi limite anche due valutazioni estreme (P – pessimo; O – ottimo) e la valutazione dubitativa (? – non verificato/non verificabile). Gli I.P. vengono attribuiti nella seguente maniera: Perdita di materiale Perdita da 0 a 5%, I.P. = 1 Perdita da 6 a 10%, I.P. = 2 Perdita oltre 11%, I.P. = 3 dove la perdita viene valutata in volume e superficie coinvolti su un periodo di 2 anni.


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Acqua di ristagno Ristagno per meno di 2 giorni, I. P. =1. Ristagno per 2-3 giorni, I. P. =2. Ristagno per oltre 3 giorni, I. P. =3. Dove la permanenza di acque viene valutata sulle basi orizzontali e sulle pareti verticali del campione a partire dal termine dell’evento meteorologico che l’ha provocata. Acqua di ruscellamento Ruscellamento per meno di 1 giorno, I. P. =1. Ruscellamento per 1-2 giorni, I. P. =2. Ruscellamento per oltre due giorni, I. P. =3. Dove il ruscellamento viene valutato sulle basi non orizzontali e sulle pareti verticali del campione a partire dal termine dell’evento meteorologico che l’ha provocata. È possibile che il fenomeno di ruscellamento, dopo aver perduto forza e in condizioni idonee, si possa tramutare in acqua di ristagno. Fenomeni di infiltrazioni a monte dei muri Infiltrazioni fino a un quarto dell’altezza della parete, I. P. =1. Infiltrazioni tra un quarto e metà dell’altezza, I. P. =2. Infiltrazioni oltre la metà dell’altezza, I. P. =3. Dove l’infiltrazione viene valutata sulla superficie esposta e non sulla quantità di acqua. Se necessario, questa verrà valutata a parte con apposito igrometro. Vegetazione Presenza di vegetazione a I. P. >4 (Signorini, 2002). Una specie pericolosa sul campione, I.P. =1. Da due a quattro specie pericolose sul campione, I. P. =2. Oltre quattro specie pericolose sul campione, I. P. =3. La presenza anche di una sola specie con I. P. >6 (Signorini, 2002) comporta un I. P. almeno di 2. Presenza di vento Gli I. P. relativi al vento si assegnano senza far riferimento ai singoli campioni murari ma in base alle osservazioni fatte durante i sopralluoghi. In linea di massima, sul versante NW la presenza di alberi funziona come barriera e di conseguenza si considera un I.


considerazioni per la futura manutenzione • luigi marino, diego schirru

P. pari a 1; sul versante SE, invece, si ha una maggiore presenza e percezione del vento che comporta un I. P. pari a 2. Azioni antropiche Le possibili azioni antropiche possono essere molto variabili e possono comportare conseguenze molto articolate. La valutazione dell’I. P. viene effettuata in base alle osservazione fatte durante i sopralluoghi. In linea di massima si considera: Azioni immediatamente e facilmente rimovibili (p.e. rifiuti abbandonati), I. P. =1. Azioni correggibili facendo ricorso a personale specializzato, I. P. =2. Azioni che comportano l’intervento di personale di alta specializzazione, I. P. =3. L’attribuzione di Indici di Pericolosità relativi alle possibili patologie di degrado/dissesto ha quindi lo scopo di monitorare nel tempo le trasformazioni che avvengono nel sito e sulle murature e suggerire procedure di precauzione e l’adozione di accorgimenti (comportamenti e tecnologie) da impiegarsi nel tempo per evitare che situazioni di vulnerabilità sottovalutate possano condurre a peggioramenti incontrollabili e che potrebbero evidenziarsi soltanto quando sarebbe difficile e costoso porvi rimedio. Il coinvolgimento sempre più diffuso di personale esterno all’Ente che gestisce l’area archeologica (studenti, volontari etc.) potrebbe cominciare proprio dalle prime operazioni di valutazione, sotto la direzione di personale già addestrato e organizzato in squadre di diversa specializzazione. La definizione degli I. P. potrà essere di gande utilità (talvolta determinante) anche nel caso di una ripresa degli scavi perché potranno suggerire strategie conservative da porre in atto ancora prima dell’asportazione dei terreni. Gli archeologi, pur nel pieno rispetto delle metodologie proprie dello scavo archeologico, potranno adottare procedure di cautela che permetteranno loro di scavare con maggiore tranquillità e assicurare una più agevole conservazione di siti e manufatti. Il continuo monitoraggio e, di conseguenza, l’aggiornamento delle osservazioni sarà di grande utilità anche quando, dopo un periodo di sosta stagionale, l’area e i monumenti saranno coinvolti in nuove campagne di scavo.

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attività per la divulgazione, la didattica e la promozione delle conoscenze Diego Schirru

Attività divulgativa del cantiere di restauro con i visitatori

La presenza del cantiere di scavo archeologico e di restauro ha costituito per la comunità di Villanovafranca in particolare e per i visitatori in generale l’occasione per una riscoperta della storia locale accrescendo di molto la sensibilità per un maggior impegno verso la conservazione e la valorizzazione del patrimonio archeologico. Infatti, un intervento di restauro può costituire, come ha costituito, l’innesco per l’individuazione delle peculiarità storico-sociali dell’area archeologica e del territorio e dare un contributo alla redazione di un archivio del patrimonio storico e ambientale. Allo stesso tempo, è stata una preziosa occasione per la valorizzazione delle risorse storiche e paesaggistiche e incentivazione delle vocazioni diffuse quali quelle culturali, turistiche1, ricreative e ambientali. Grande attenzione è stata posta alla progettazione e gestione di un luogo attrezzato inteso non solo come luogo di esposizione ma piuttosto come luogo di produzione di cultura (con occhio attento alle tecniche e alle politiche di comunicazione) e al turismo. Questo, in particolare, può costituire un potente strumento di sviluppo anche economico anche se, talvolta, rischia di diventare la causa principale di degrado fisico e impoverimento culturale di quelle aree che si trovano ad avere una vocazione turistica. L’impegno alla divulgazione dei risultati è stato sempre rispettato dal Gruppo di lavoro partecipando a diversi convegni con relazioni scientifiche ma promuovendo anche numerose occasioni per visite guidate al cantiere. Un impegno particolare è stato posto nel coinvolgimento di bambini che, come succede quando si riesce a trovare la forma didattica giusta, hanno dimostrato il massimo interesse per le attività che sono stati invitati a svolgere2. Obiettivo prioritario che ha sorretto queste sperimentazioni è stato quello di operare nel territorio per favorire la creazione di sistemi integrati volti a incrementare le identità e le realtà culturali non ancora valorizzate. Una tra le principali finalità perseguite è stata quella di collegare il mondo della ricerca con la scuola, il territorio e le strutture extrascolastiche per 1 Spesso gli interventi a fini turistici presentano un alto livello di rischio per quanto sottovalutato. Le esigenze turistiche possono condizionare le decisioni che si prendono in un progetto di restauro e, non di rado, anche durante le campagne di scavo archeologico. 2 Basterebbe ricordare anche soltanto le manifestazioni Monumenti Aperti (maggio 2012).


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pagina a fronte Attività di restauro didattico con allievi delle scuole elementari

una nuova ricaduta nella formazione verso la storia e i beni culturali. Ritenendo la didattica museale e del patrimonio campo molto inflazionato da proposte ma con una scarsa conoscenza dei traguardi già raggiunti, si è deciso, prima di passare alla progettazione di nuove attività, di fare uno studio e analisi delle esperienze esistenti. Spesso la didattica e la divulgazione sono utilizzati come sinonimi non comprendendo la profonda differenza che li separa. Il primo prevede un feedback della conoscenza acquisita da parte di chi gestisce l’attività didattica, la divulgazione, invece, è un semplice percorso lineare e trasmissivo di informazioni, in cui la ricaduta sul destinatario non viene verificata. Le proposte cosiddette didattiche sono nulle per gli adulti e poche per le famiglie. Un altro parametro tenuto in considerazione è stata la metodologia proposta. Si è potuto verificare che anche in questo campo si verifica spesso la confusione tra prodotto editoriale informativo e quello realmente didattico. I materiali sono stati, in base a questi parametri classificati secondo 5 metodologie: metodo illustrativo, metodo ostensivo, metodo immedesimativo, metodo esplorativo, metodo operativo logico o manuale. Dopo questa fase di analisi dell’esistente si è deciso di creare un metodo che unisse le ultime tre tipologie metodologiche in modo tale da creare un nuovo tipo di approccio di tipo interattivo. Davanti al monumento non si voleva dare agli utenti risposte già concluse ma fornire loro la possibilità di imparare a porsi domande e cercare autonomamente, attraverso percorsi costruiti a priori solo ‘parzialmente’, fornendo gli strumenti per trovare da soli le risposte alle loro domande. Si sono messe a punto attività di simulazione in cui i giovani utenti hanno sperimentato gli effetti di decisioni prese attraverso l’assunzione di ruoli sottoposti a un insieme di regole; giochi di percorso con un tragitto ordinato e finalizzato che il giocatore deve compiere fisicamente o in maniera simbolica: laboratori manuali in cui sperimentare dal vivo tecniche e usi del passato facendo un’esperienza diretta.


attività di divulgazione, didattica e promozione delle conoscenze • diego schirru

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conclusioni Luigi Marino, Diego Schirru Alessandra Saba

Panoramica del cortile 7L2 da ovest

Gli interventi eseguiti sul nuraghe e il vasto complesso di indagini preventive realizzate in corso d’opera (accertamenti archeologici, studio dei materiali edili antichi, registrazione dei materiali e delle strutture e del loro stato di conservazione) hanno sortito degli effetti di grande interesse scientifico e utilità pratica tanto da poter svolgere un ruolo di ‘modello’ da poter seguire e riutilizzare anche in altri cantieri. È importante che l’intervento sul nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca con una parte significativa dei materiali rinvenuti, gli studi eseguiti e le sperimentazioni condotte vengano adeguatamente divulgate. La divulgazione dei risultati di uno scavo e di un restauro è un obbligo morale oltre che uno strategico investimento perché può diventare un potente mezzo per far partecipe la comunità dei risultati ottenuti e stimolare un rinnovato impegno alla conservazione, manutenzione e valorizzazione del monumento.



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Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Febbraio 2020



Un corretto intervento di restauro e la previsione di una sua manutenzione non possono prescindere da campagne conoscitive preventive e da tenere aggiornate in corso d’opera. Queste possono dare indicazioni progettuali preziose e ridurre i rischi che in interventi sul costruito antico sono un rischio costante. Un buon restauro deve coinvolgere una intera Comunità perché può creare l’occasione per il recupero di buoni livelli di consapevolezza culturale e civile capaci di favorire preziose riflessioni e riscoperte della ‘storia locale’. Gli interventi sul nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca (2011–2013) hanno costituito una buona occasione per collaborazioni realmente interdisciplinari tra l’architetto restauratore, l’archeologo, il geologo e gli stessi operatori tecnici nel quadro di un progetto che ha coinvolto i progettisti, l’Amministrazione Comunale e l’Università di Firenze. La costante collaborazione ha condotto a un percorso metodologico ben strutturato e costantemente collaudato sul terreno. Partendo dall’analisi della bibliografia specifica e da un programma di indagini diagnostiche (sviluppate sul campo e in laboratorio) si è arrivati progressivamente agli interventi di restauro. Questo volume costituisce un rendiconto delle attività svolte allo scopo di mettere a disposizione di tutti le conoscenze acquisite sul monumento e dare un tangibile sostegno alle politiche culturali e turistiche locali.

ISBN 978-8-83338-094-0

€ 15,00


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