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prospettive, Firenze, Olschki 2009, pp 9 For a consultation of the full texts, cf. laura
from Giardini Storici. Esperienza, ricerca, prospettive a 40 anni dalle Carte di Firenze | vol. 1
by DIDA
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facciava proprio sui rumorosi opifici. Per risolvere questo e altri inconvenienti che condizionavano la reggia, l’architetto di origine toscana Antonio Niccolini provò a più riprese a proporre ai sovrani napoleonidi prima, e borbonici poi, un grandioso progetto – noto alla storiografia come il cosiddetto «Progetto Grande», già oggetto di approfonditi studi5 – incentrato sulla realizzazione di una grande place royale a oriente del Palazzo Reale ma anche sulla demolizione dell’Arsenale, per far posto a un ampio giardino con promenade terminale affacciata sul mare, dove collocare persino una ricostruzione del Castel Nuovo demolito dal suo originario sito. Evoluto in quattro versioni tra il 1810 e il 1848, il progetto manteneva per il disegno del verde alcuni punti fermi, coerenti con la tendenza del giardino napoletano di primo Ottocento, in cui convivevano retaggi neoclassici con aperture verso il gusto romantico6. Quest’ultimo – mutuato in parte dalla tradizione britannica del landscape gardening, giunta tardivamente nel regno di Napoli e fino ad allora limitata al solo caso del giardino inglese della reggia di Caserta – iniziava a diffondersi grazie alla diffusione della manualistica francese sulla pittura di paesaggio, a cominciare dall’opera di Pierre-Henri de Valenciennes,7 ma anche alla trattatistica napoletana, se si pensa a un testo come L’arte di ordinare i giardini di Vincenzo Marulli8 . Nella prima versione del progetto, datata al tempo di Gioacchino Murat e più precisamente al 1810-12, questo duplice carattere è rappresentato da un vialone centrale raccordato con una nuova grande scalea aperta di collegamento con il Palazzo Reale e dalla presenza di due aree verdi laterali, dove Niccolini adotta tutti gli stilemi del giardino romantico: andamento sinuoso dei viali, presenza di piccole architetture lungo i percorsi e un esteso laghetto di forma irregolare, ottenuto dalla riconfigurazione dello specchio d’acqua della darsena (Fig. 1). Si tratta, in sostanza, di uno dei primi progetti di questo tipo di giardini a Napoli, che soltanto qualche anno più tardi, grazie alle esperienze dei fratelli Luigi e Stefano Gasse e del giardiniere Federico Dehnhardt, si sarebbero più concretamente diffusi, in una accezione spesso identificata dalla storiografia come «anglo-cinese»9 . Rimasta sulla carta questa prima proposta, Niccolini provò a rielaborarla negli anni della restaurazione borbonica, offrendo ai sovrani tre ulteriori versioni del progetto, a partire da una prima, databile al 1815-16, che risultava quasi identica per il giardino, salvo la presenza di un isolotto verde nel laghetto, ma si differenziava dalla precedente per l’ipotesi di ricostruire Castel Nuovo su pianta pentagonale in posizione scenografica al termine della darsena10. Nelle due successive proposte, entrambe riferibili al 1846-48, l’architetto avrebbe esteso e variato il progetto in chiave edificatoria, immaginando un ampio e denso tessuto edilizio destinato a residenze borghesi a est della prevista place royale e confermando in ogni caso l’arbitraria ricostruzione di Castel Nuovo su pianta pentagonale o esagonale. Il giardino da realizzare al posto dell’Arsenale sarebbe tuttavia rimasto, con una leggera variante rispetto al primo progetto nella posizione del grande vialone centrale e nella presenza di un ulteriore viale rettilineo ad est, ma, soprattutto, con la rinuncia alla conversione dello specchio d’acqua della darsena in laghetto. Ne sarebbe conseguita una riconfigurazione della promenade litoranea, che avrebbe costeggiato in rettilineo la darsena per poi raccordarsi al percorso sinuoso sul mare già concepito nella prima proposta del 1810-1211 . Benché irrealizzato, il «Progetto Grande» di Niccolini manterrà una consistente longue durée fino alla concreta realizzazione del giardino del Molosiglio nel 1930, per quanto in forme ben diverse
Fig. 1 Antonio Niccolini, prima stesura del «Progetto Grande», disegno acquarellato, circa 181012, (Napoli, Museo di San Martino, fondo Niccolini, inv. 7455).
Fig. 2 Mario Monticelli, L’Arsenale di Marina in Napoli e l’utilizzazione commerciale e civica del Porto militare e delle sue adiacenze, Napoli, Cooperativa Tipografica 1914, veduta prospettica del progetto.
Fig. 3 Camillo Guerra, Carlo Laneri, Progetto della strada elevata attorno al Palazzo Reale e della nuova via Litoranea, 1925 (da R. Amirante et alii, Il Porto, Napoli, Electa Napoli 1993).
Fig. 4 Dante Bucci, Eugenio Bucci, Progetto Bucci. Relativo alla utilizzazione del Porto Militare e del R. Arsenale di Marina di Napoli, Napoli, Società Industrie Editoriali Meridionali 1924, planimetria generale.
Fig. 5 Napoli, via Litoranea con Palazzo Reale, cartolina di poco successiva all’inaugurazione della strada il 15 maggio 1927, con sullo sfondo le strutture dell’Arsenale ancora visibili prima della demolizione (collezione privata).
Fig. 6 Napoli, Piano regolatore del 1926 (commissione Giovannoni), tavola IV relativa al piano regolatore della zona centrale con il disegno del giardino del Molosiglio (da coMunE di naPoli, Relazione della Commissione per lo studio del piano regolatore della città, Napoli, Giannini 1927). dal progetto ottocentesco. Ne sono testimonianza le proposte avanzate per il Palazzo Reale da Gaetano Genovese tra il 1837 e il 1858, dove tra le diverse soluzioni prospettate – molte delle quali realizzate – è compresa la trasformazione dell’Arsenale in giardino, a vantaggio della valorizzazione del prospetto meridionale della reggia, come illustrato anche da una veduta prospettica del 184712 . Ancora una volta, tuttavia, l’Arsenale resterà al suo posto e la questione della sua dismissione tornerà alla ribalta soltanto all’indomani dell’Unità, nell’ambito del più generale dibattito sul destino del porto di Napoli, del quale si immaginerà una riconversione commerciale con la dismissione delle strutture militari.
«Dall’antico Arsenale all’incanto della Litoranea» Tra le prime decisioni del nuovo stato unitario vi è proprio quella dislocare più a sud della Penisola l’Arsenale di Marina, in ragione di scenari di difesa che devono ormai guardare all’intero bacino mediterraneo. Nel 1862 il governo dispone pertanto la costruzione di un nuovo Arsenale a Taranto, sopprimendo definitivamente quello napoletano13. Il provvedimento non avrà dirette conseguenze sulla città fino agli anni Venti del Novecento14, quando il governo fascista, appena un mese dopo la marcia su Roma, sancirà l’abolizione dell’Arsenale con decreto del novembre 1922. Saranno tuttavia le questioni viabilistiche a condurre il dibattito sull’intera area, segnando un primo giro di boa già nel 1914, quando l’ingegnere Mario Monticelli, maggiore del Genio Navale, presenta un progetto che dimostra la possibilità di conservare l’Arsenale per destinarlo ad officina di allestimento, aggirandolo con una strada litoranea leggermente soprelevata che segue un andamento planimetrico molto vicino all’attuale via Acton15 (Fig. 2). Vagliata due anni dopo dal Comune di Napoli nell’ambito di un confronto tra diverse soluzioni per risolvere il collegamento viario tra i quartieri Chiaia e San Ferdinando16, l’ipotesi di Monticelli è da lui stesso ripresentata nel 1924, quando l’amministrazione comunale bandisce un concorso per il collegamento viario tra oriente e occidente della città, che vede la presentazione di ben 41 progetti, valutati da un’apposita commissione presieduta dal matematico e ingegnere Udalrigo Masoni17. Oltre al progetto di Monticelli, classificato al primo posto nonostante le polemiche18, si distinguono due proposte più interessanti per il futuro dell’Arsenale, una degli ingegneri Camillo Guerra e Carlo Laneri e l’altra a firma di Dante ed Eugenio Bucci. La prima, rielaborata dagli autori nel 1925, prevede una strada con andamento analogo a quella di Monticelli, ma soprelevata al punto da modificare il fronte meridionale di Palazzo Reale, contemplando la realizzazione di un giardino al posto dell’Arsenale19 (Fig. 3). La seconda si colloca invece all’esatto opposto della precedente nel delineare il destino dell’area. I Bucci, infatti – nell’ambito di un grandioso progetto che comprende un nuovo porto commerciale, una strada di collegamento est-ovest e l’isolamento di Castel Nuovo e Palazzo Reale – propongono di sostituire gli opifici in disuso dell’Arsenale con un grande quartiere borghese20 (Fig. 4). Il tessuto edilizio di quest’ultimo è articolato su una scacchiera tagliata da due diagonali e composta da 34 grandi isolati a corte, del tutto analoghi nelle proporzioni a quelli del recente quartiere Santa Lucia, la cui altezza è limitata a soli 1,50 metri al di sotto della quota del giardino pensile di Palazzo Reale21 . L’ipotesi dei Bucci – che fa gridare allo scandalo l’anziano ingegnere Lamont Young, autore nello stesso 1924 di una soluzione molto vicina a quella di Monticelli22 – è rapidamente corretta dagli autori in una seconda versione del progetto23, datata 1927, in cui al quartiere borghese è sostituito un giardino che nel disegno risente dell’influenza del movimento europeo dell’art public. Non si tratta tuttavia di una repentina conversione dagli intenti speculativi, quanto dell’adeguamento del progetto a una decisione ormai assunta dall’amministrazione comunale: sancita definitivamente la realizzazione della nuova strada «litoranea» e la demolizione dell’Arsenale con delibera del gennaio 192624 (Fig. 5), il destino dell’area rientra ormai nella visione di un piano regolatore generale che il neoistituito Alto Commissariato per la città e la provincia di Napoli, retto da Michele Castelli, ha contemporaneamente commissionato all’ingegnere romano Gustavo Giovannoni in
qualità di presidente di una nutrita commissione in cui figura anche il soprintendente Gino Chierici. Pur rimanendo allo stadio di «preliminare» attraverso una relazione pubblicata nella primavera del 1927, questo piano – già oggetto di approfonditi studi25 – segnerà infatti definitivamente il destino dell’area dell’ex Arsenale con la scelta di collocarvi un giardino, in coerenza con l’intenzione della commissione di potenziare in generale i parchi urbani, a fronte dell’amara constatazione, svolta sia da Giovannoni che da Chierici, di una grave carenza di verde in città26. «Supposte demolite le basse costruzioni dell’Arsenale ed in parte colmato il relativo bacino – scrivono i commissari – la corrispondente zona dovrà, a difesa del mirabile panorama e della veduta stessa dal mare dei due monumenti, essere sistemata a giardino entro cui potrà trovar posto solo un basso edificio, di nobili linee, adibito ad Esposizione delle Belle Arti»27. L’ipotesi è schematicamente rappresentata nella tavola di dettaglio allegata al piano, dove il citato palazzo figura come un blocco rettangolare allungato, mentre il disegno del giardino segue nella geometria la posizione dell’insenatura del Molosiglio, cui si affianca a est una ulteriore area verde configurata a doppia esedra e ottenuta dalla colmata dello specchio d’acqua della darsena (Fig. 6). Nonostante il tentativo di Bucci di accreditarsi ancora come progettista, che darà luogo anche a qualche polemica con Castelli28, e la contemporanea proposta di insediare al posto dell’Arsenale in demolizione29 un «rione dello sport» di 33.000 mq capace di accogliere 50.000 persone, presentata nel 1927 dagli ingegneri Amedeo d’Albora e Camillo Guerra30, il progetto del nuovo giardino sarà affidato a Roberto Pane31, già allievo di Giovannoni alla Scuola Superiore di Architettura a Roma e all’epoca collaboratore esterno della commissione per il piano regolatore32 . Annunciata persino dalla celebre guida Touring Club Italiano di Luigi Bertarelli del 1927, dedicata per la prima volta a Napoli e dintorni33, e anticipata da un articolo dall’enfatico titolo Dall’antico Arsenale all’incanto della Litoranea, apparso sul «Bollettino del Comune di Napoli» nel dicembre 1928, la realizzazione del giardino è finalmente avviata nel luglio 1929, proprio mentre i lavori della commissione di piano stanno per arenarsi definitivamente, complice l’ignavia dei funzionari comunali34. Completato nel marzo 1930, l’intervento figura anche nella pubblicazione celebrativa su Le opere del regime promossa dall’Alto Commissariato nello stesso anno35. Il giardino, di circa due ettari di estensione, vi è descritto con un impianto «all’italiana»36, incentrato su un viale principale posto in asse con la facciata meridionale di Palazzo Reale – retaggio forse inconsapevole della prima proposta di Niccolini – ed uno ortogonale, entrambi tagliati da due viali diagonali. Al centro dell’impianto si trova una zona ottagonale «nella quale, intorno ad un’aiuola centrale, destinata ad essere sostituita da una fontana ornamentale, sono disposte otto piccole aiuole con fitti gruppi di elci. Le altre aiuole sono contornate da platani ed elci e contengono, armoniosamente distribuiti, gruppi di pini e di oleandri con bordure di piante da fiori»37. Questo assetto, oggi radicalmente trasformato, si ritrova in numerose cartoline d’epoca, che documentano l’impianto geometrico delle aiuole con la vegetazione appena piantata e ancora piuttosto rada (Fig. 7). Nel corso degli anni Trenta, mentre una porzione occidentale dell’area sarà concessa alla «ProCannottieri di Napoli» per la costruzione dell’omonimo circolo sportivo38, la vegetazione impiantata donerà al giardino un aspetto ben più rigoglioso, tanto che nelle foto aeree dei primi anni Quaranta la geometria dei viali appare già in parte coperta dalle chiome delle alberature39. Accantonata l’idea del palazzo per le esposizioni, l’aiuola centrale sarà negli stessi anni sostituita dall’annunciata fontana, ornata da quattro grandi conchiglie con getti d’acqua (Fig. 8), che finirà nel dopoguerra per essere smembrata e dislocata più ad ovest, in occasione di un generale ripensamento dell’intero impianto del giardino. L’implicita longue durée dell’idea ottocentesca si manifesterà tuttavia persino in questo spostamento che – al di là della grave e deplorevole perdita di alcune parti – collocherà la fontana in un laghetto di reminiscenza ottocentesca. Numerose altre trasformazioni si susseguiranno dal secondo dopoguerra ad oggi, ma questa è un’altra storia, affrontata in un altro contributo di questo stesso volume40 .
Fig. 7 Napoli, giardini della Litoranea e il porto, cartolina databile ai primi anni Trenta del Novecento (collezione privata).
Fig. 8 Napoli, Fontana delle Conchiglie e giardini della Litoranea, cartolina viaggiata nel febbraio 1940 (collezione privata).
1 Cfr. Maria raFFaela Pessolano, Il porto di Napoli nei secoli XVI-XVIII, in G. Simoncini (a cura di), Sopra i porti di mare. II. Il Regno di Napoli, Firenze, Leo S. Olschki 1993, p. 78; id., L’Arsenale napoletano nel ’500, ivi, pp. 121 e ss.; Paola JaPPelli, Dall’età aragonese al XIX secolo, in Benedetto Gravagnuolo (a cura di), Napoli. Il Porto e la Città. Storia e progetti, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, p. 70. 2 bartoloMeo CaPasso, Napoli descritta ne’ principi del XVII secolo da Giulio Cesare Capaccio, «Archivio storico per le province napoletane», VII, 1882, p. 82. 3 P. JaPPelli, Dall’età aragonese al XIX secolo, cit., p. 74. 4 Cfr. Giulio Pane, VladiMiro Valerio, La città di Napoli tra vedutismo e cartografia, Napoli, Grimaldi 1987, pp. 91-97. La prima rappresentazione sufficientemente accurata della darsena è invece nella veduta di Paolo Petrini del 1690 (ivi, pp. 169-173). 5 Cfr. arnaldo Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane 1961, pp. 274-288; Maria luisa sCalVini, Antonio Niccolini e il «Progetto Grande» per Napoli, da Gioacchino Murat a Ferdinando II, in Paolo Carpeggiani, Luciano Patetta (a cura di), Il disegno di architettura, atti del Convegno (Milano, 15-18 febbraio 1988), Milano, Guerini 1989, pp. 79-86; anna Giannetti, Il «Progetto Grande» di Antonio Niccolini: tema con variazioni, ivi, pp. 87-94; anna Giannetti, rossana Muzii, Antonio Niccolini: architetto e scenografo alla corte di Napoli, 18071850, Napoli, Electa Napoli, 1997, pp. 49-50; andrea Pane, daMiana treCCozzi, Le trasformazioni del contesto urbano tra XIX e XX secolo. Programmi, progetti e realizzazioni dal decennio francese agli albori del regime, in Aldo Aveta (a cura di), Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e valorizzazione, Napoli, artstudiopaparo 2017, pp. 136-160. 6 Vanna FratiCelli, Il giardino napoletano. Settecento e Ottocento, Napoli, Electa Napoli 1993, p. 92.
7 Pierre-henri de ValenCiennes, Eléments de perspective pratique à l’usage des artistes, suivis de réflections et conseils à un élève sur la peinture et particulièrement sur le genre de paysage, Paris, 1799-1800. 8 VinCenzo Marulli, L’arte di ordinare i giardini, 2 voll., Napoli, Stamperia Simoniana 1804. Cfr. V. FratiCelli, Il giardino napoletano, cit., pp. 85-86; GioVanni Menna, Architettura e natura per la città moderna: i trattati di Vincenzo Marulli (1768-1808), Milano, Franco Angeli 2008. 9 MassiMo Visone, Napoli. «Un gran Teatro della Natura». Città e paesaggio nelle Perizie del Tribunale civile (1809-1862), Napoli, Paparo Edizioni 2013, p. 86. 10 Cfr. a. Pane, d. treCCozzi, Le trasformazioni del contesto urbano tra XIX e XX secolo, cit., pp. 140141. 11 Ivi, pp. 142-143. 12 Cfr. Paolo MasCilli MiGliorini, Le trasformazioni ottocentesche del Palazzo Reale, in G. Alisio (a cura di), Civiltà dell’Ottocento. Architettura e urbanistica, Napoli, Electa Napoli 1997, p. 79; Mauro Venditti, Per il re e la città. Gaetano Genovese architetto neoclassico a Napoli, Roma, Edizioni Kappa 2008, pp. 86 e ss.
13 roberta aMirante, FranCesCa bruni, Maria rosaria santanGelo, Il Porto, Napoli, Electa Napoli 1993, p. 45. 14 La lenta agonia dell’Arsenale è descritta con enfasi retorica dalla stampa di regime nel 1928: «E i vari governi liberali e democratici rinunziarono alla morte violenta dell’Arsenale e studiarono invece il modo come farlo morire d’esaurimento. Niente più commissioni di lavori importanti. Gli operai che morivano o andavano in pensione, non erano sostituiti. Gli ultimi anni di vita del R. Arsenale furono anni di lenta agonia» (Dall’antico Arsenale all’incanto della Litoranea, «Bollettino del Comune di Napoli», LIV, 12, dicembre 1928, p. 21). 15 Mario MontiCelli, L’Arsenale di Marina in Napoli e l’utilizzazione commerciale e civica del Porto militare e delle sue adiacenze, Napoli, Cooperativa Tipografica 1914. 16 r. aMirante et alii, Il Porto, cit., p. 49. Cfr. A. Pane, d. treCCozzi, Le trasformazioni del contesto urbano tra XIX e XX secolo, cit., pp. 155-156. 17 Cfr. Fabio ManGone, Chiaja, Monte Echia e Santa Lucia. La Napoli mancata in un secolo di progetti urbanistici 1860-1952, Napoli, Grimaldi 2009, p. 50; Luigi Veronese, Il restauro a Napoli negli anni dell’Alto Commissariato (1925-1936). Architettura, urbanistica, archeologia, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria 2012, pp. 198-199. 18 Cfr. Maria Perone, La campagna di stampa del «Mattino» di Paolo Scarfoglio per l’avvento dell’Alto Commissariato, in Cesare de Seta (a cura di), L’architettura a Napoli tra le due guerre, catalogo della mostra (Napoli, 26 marzo – 29 giugno 1999), Napoli, Electa Napoli 1999, pp. 111-112. 19 Cfr. r. aMirante et alii, Il Porto, cit., p. 51; olGa GhirinGhelli, Camillo Guerra 1889-1960. Tra neoeclettismo e modernismo, Napoli, Electa Napoli 2004, pp. 50-54.
20 CoMitato di studio e di attuazione del ProGetto buCCi Per il Porto di naPoli, Progetto Bucci. Relativo alla utilizzazione del Porto Militare e del R. Arsenale di Marina di Napoli, con isolamento completo del “Maschio Angioino” e di “Palazzo Reale” per la creazione di un moderno porto passeggeri e di un grande rione edilizio con la soluzione del problema stradale per congiungere l’oriente con l’occidente della città, Napoli, Società Industrie Editoriali Meridionali 1924. 21 Cfr. olGa GhirinGhelli, Napoli «Regina del Mediterraneo». La questione porto, in Cesare de Seta (a cura di), L’architettura a Napoli tra le due guerre, cit., pp. 135-136; Fabio ManGone, Centro storico, Marina e Quartieri spagnoli. Progetti e ipotesi di ristrutturazione della Napoli storica,
Napoli, Grimaldi 2010, pp. 160-162 (scheda di Gemma Belli). 22 Lamont Young stigmatizza l’idea di edificare il nuovo quartiere al posto dell’Arsenale «come operazione speculativa a esclusivo vantaggio di “pochi capitalisti” e che implicherebbe la distruzione degli storici moli San Vincenzo e Beverello» (F. ManGone, Chiaja, Monte Echia e Santa Lucia, cit., p. 154, scheda di Davide Cutolo). 23 id., Centro storico, Marina e Quartieri spagnoli, cit., p. 162. 24 La Convenzione tra l’Amministrazione del Demanio, la Real Marina e il Comune per la costruzione della nuova strada «litoranea», che comprende anche la demolizione dell’Arsenale, è approvata il 26 gennaio 1926 (r. aMirante et alii, Il Porto, cit., p. 51). 25 Cfr. andrea Pane, L’influenza di Gustavo Giovannoni a Napoli tra restauro dei monumenti e urbanistica. Il piano del 1926 e la questione della «vecchia città», in raFFaele
aMore, andrea Pane, GianluCa VitaGliano, Restauro, monumenti e città. Teorie ed esperienze del Novecento in Italia, Napoli, Electa Napoli 2008, pp. 13-93. 26 Ivi, pp. 44-45. 27 CoMune di naPoli, Relazione della Commissione per lo studio del piano regolatore della città, a firma di G. Giovannoni, G. Chierici, S. Dragotti, R. Fiore, F. Ippolito, R. Pergolesi, G. Tortora, Napoli, Giannini 1927, p. 25. 28 Nei documenti del fondo Michele Castelli presso l’Archivio Centrale dello Stato si conserva una lettera indirizzata da Castelli a Mussolini il 15 luglio 1928, in cui si riferisce di una polemica insorta con Dante Bucci per la mancata approvazione del suo progetto con conseguente diffamazione nei confronti di Castelli (Archivio Centrale dello Stato, Carte Castelli, b. 5, fasc. 23). 29 Nel dicembre 1928 il «Bollettino del Comune di Napoli» riporta che «gli ultimi fabbricati della Darsena stanno per cadere sotto i colpi di piccone e fra breve nessuna traccia rimarrà più dell’antico Arsenale» (Dall’antico Arsenale all’incanto della Litoranea, cit., p. 21). 30 Cfr. r. aMirante et alii, Il Porto, cit., p. 56; o. GhirinGhelli, Napoli «Regina del Mediterraneo», cit., p. 136. 31 luiGi Guerriero, Roberto Pane e la dialettica del restauro, Napoli, Liguori 1995, p. 25. Il progetto, tuttavia, non è mai stato rinvenuto: non è presente nell’archivio Pane, né presso l’Archivio Storico Municipale di Napoli (nelle sezioni oggi accessibili), né presso l’Archivio di Stato di Napoli, fondo Prefettura, né tantomeno presso l’Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli. 32 Cfr. a. Pane, L’influenza di Gustavo Giovannoni a Napoli, cit., pp. 31-32; id., Da Vecchie città a Città antiche: l’eredità di Gustavo Giovannoni nell’opera di Roberto Pane, in Gustavo Giovannoni e l’architetto integrale, Atti del convegno internazionale, a cura di G. Bonaccorso e F. Moschini, in «Quaderni degli Atti», 2015-2016, Roma, Accademia Nazionale di San Luca 2019, p. 417. 33 «E’ già progettato il riempimento della Darsena e l’abbattimento degli edifici dell’Arsenale di Marina; lo spazio che ne risulterà sarà trasformato in giardino» (luiGi Vittorio bertarelli, Guida d’Italia del Touring Club Italiano. Italia Meridionale, vol. 2, Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Italiano 1927, p. 296). Più scarno è il cenno contenuto nella successiva edizione della guida del 1938, che cita semplicemente il giardino come ormai realizzato (id., Guida d’Italia del Touring Club Italiano. Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Italiano 1938, p. 272). 34 Cfr. a. Pane, L’influenza di Gustavo Giovannoni a Napoli, cit., p. 37. 35 Napoli. Le opere del regime dal settembre 1925 al giugno 1930, a cura dell’Alto Commissario per la città e la provincia, Napoli, Giannini 1930, p. 119. 36 Ibidem. È interessante segnalare la presenza, nella biblioteca personale di Roberto Pane, del volume di luiGi daMi, Il giardino italiano, Milano, Bestetti & Tumminelli 1924, con annotazioni di consultazione risalenti certamente agli anni Venti. 37 Analoghe notizie sono riportate nel «Bollettino del Comune di Napoli», dove si specificano meglio gli aspetti botanici del giardino: «Le altre aiuole delimitate dal bosco stilizzate, saranno contornate di platani e alberi di specie a frasca fitta, in modo da creare ombra entro breve tempo sui viali. Gruppi di oleandri variegati di alberi a foglie argentee e varicolori daranno a chi guarderà il giardino dall’alto delle terrazze di Palazzo Reale e dalla via Cesario Console la illusione di una armonica tavolozza sopra una superficie geometrica, a linee classiche» (Le opere del Regime dell’anno VII, «Bollettino del Comune di Napoli», LV, 10, ottobre 1929, p. 21). 38 Una prima delibera in tal senso precede addirittura l’inizio dei lavori del giardino, essendo datata 16 gennaio 1929, mentre il 4 febbraio 1935 è concessa al circolo un’ulteriore area di 1.320 mq per l’impianto di un campo da tennis (bianCa Petrella, Napoli. Le fonti per un secolo di urbanistica. Esposizione cronologica dei provvedimenti urbanistici realizzati e non realizzati a Napoli dal 1860, Napoli 1990, pp. 422 e 442).
39 Cfr. serGio Villari, Valentina russo, eManuela Vassallo, Il regno del cielo non è più venuto. Bombardamenti aerei su Napoli, 1940-1944, Napoli, Giannini 2005, p. 55. 40 Per il prosieguo della vicenda fino all’attualità si rimanda al saggio di D. Treccozzi, I giardini del Molosiglio a Napoli: un patrimonio fragile da riconoscere e tutelare, nel presente volume.
Damiana Treccozzi | damiana.treccozzi@polimi.it Politecnico di Milano
Damiana Treccozzi
Abstract Envisaged since the early decades of the 19th century, but built only at the beginning of the 20th century, the Molosiglio gardens certainly constitute one of the few public green areas of historical importance in Naples. However, for decades these gardens have been left in conditions of serious decay and abandonment. Not even the upgrading program dated 2010 and fulfilled between 2011 and 2012 has managed to solve such a condition. In fact, many interventions included in the project were conducted according to a vision still far from the criteria stated several years earlier in the Carte di Firenze aiming at defending historical gardens values. Therefore today a prompt recognition of such a fragile heritage appears to be necessary and urgent so that future interventions may be able to lead to a much more conscious conservation of it. Moreover, according to the scenario currently under discussion for Naples’ waterfront, the Molosiglio gardens will soon – hopefully – be included in a new coastal promenade, not much different from that imagined in the 19th century.
Parole chiave Napoli, giardini, Molosiglio, restauro.
Prefigurati sin dai primi decenni dell’Ottocento ma realizzati solo all’inizio del Novecento1, i giardini del Molosiglio costituiscono certamente una delle non numerose aree verdi pubbliche di rilevanza storica a Napoli. L’idea di ricorrere al verde per donare maggiore lustro all’area compresa tra il Palazzo Reale e il mare risaliva già al «Progetto Grande» (1810-1848) di Antonio Niccolini2, ma il programma avrebbe preso forma solo a seguito della decisione, da parte dell’amministrazione comunale, di demolire l’Arsenale e costruire una nuova strada litoranea che potesse raccordare l’area occidentale di Napoli con quella orientale3 . I lavori per la realizzazione dei giardini sarebbero stati condotti tra il 1929 e il 1930 ma, forse anche a causa dei danni bellici, ben presto l’impianto originario sarebbe stato quasi interamente modificato nel secondo dopoguerra, quando al disegno geometrico «all’italiana» si sarebbe sostituita una configurazione dei viali e delle aiuole più frammentata e irregolare. In questi anni si sarebbe spostata anche la fontana ornamentale realizzata ai tempi del regime, che avrebbe trovato posto nella parte occidentale del giardino per essere contornata da un piccolo laghetto, forse implicita memoria della prima proposta ottocentesca di Niccolini. Allo stesso tempo, nella parte nord-occi-
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Fig. 1 Napoli, giardini del Molosiglio e Monumento al Fante, cartolina successiva al 24 maggio 1955, data dell’inaugurazione del monumento (collezione privata).
dentale del giardino verso via Acton, sarebbe stato collocato il «Monumento al Fante»4, inaugurato il 24 maggio 1955 e ancora oggi presente (Fig. 1), costituito da un piano rialzato circolare con al centro una colonna proveniente dal fabbricato in demolizione della stazione centrale, dedicata alla battaglia di El Alamein, contornato da cinque rocce calcaree su basamento in piperno, disposte radialmente per ricordare le quattro battaglie più significative della Grande Guerra (Passo Buole, Pasubio, Monte San Michele, Monte Grappa) ed una della Seconda Guerra Mondiale particolarmente cruenta per la Campania (Montelungo). Oggi, pur se collocati in un’ansa iconica e suggestiva della città di Napoli, tra il bacino d’acqua della darsena e il Palazzo Reale e Castel Nuovo, i giardini del Molosiglio versano da decenni in condizioni di deplorevole degrado. A tale stato di cose concorre certamente una posizione che ne favorisce poco, per questioni perlopiù orografiche, la frequentazione da parte dei cittadini. I giardini risultano infatti piuttosto decentrati e distaccati dal resto della città: con la darsena e il porto militare sul fronte est e il forte salto di quota a sudovest, l’unico accesso è costituito dalla via Acton che li costeggia sul margine nordovest. Tuttavia quest’ultima nevralgica arteria veicolare urbana, perennemente caratterizzata da un intenso traffico (Fig. 2), agevola poco il raggiungimento dei giardini, contribuendo a creare una vera e propria cesura tra la città e la litoranea. Cosicché quella che per quasi due secoli era stata prefigurata come un’area atta a esaltare il potere della corona prima e l’operato del regime poi, è finita per sopperire negli ultimi tempi, con i propri spazi, a esigenze pubbliche irrisolte, ospitando attrazioni ludiche per bambini e veicoli in sosta. Tendenza questa consolidatasi diversi decenni fa, quando le aiuole del Molosiglio apparivano completamente invase dalle vetture (Fig. 3). Una speranza di ripresa si è intravista nel 2010, quando è stato approvato un progetto di riqualificazione dell’area dall’allora Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia5. Attraverso la manutenzione straordinaria delle essenze arboree, la sostituzione delle pavimentazioni e degli arredi e la riorganizzazione degli spa-
Fig. 2 Napoli, giardini del Molosiglio visti dal Palazzo Reale (foto D. Treccozzi, 2021).
Fig. 3 Napoli, giardini del Molosiglio adibiti a parcheggio prima dell’intervento di manutenzione straordinaria del 2010 (Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338). zi nonché della viabilità veicolare, si era finalmente offerta la possibilità di restituire dignità a dei giardini che con la loro stessa presenza, collocazione e disegno testimoniano certamente, a vario titolo, una articolata fase evolutiva della storia urbana della città di Napoli e del suo rapporto con il mare. In generale, però, le speranze sono rimaste disattese e ciò non solo perché il progetto è stato parzialmente attuato, ma anche e soprattutto perché esso prescindeva, evidentemente, dal carattere storico dei giardini, ancorandosi ad una visione ancora piuttosto lontana da quanto prescritto, già da decenni, dalla “Carta italiana del restauro dei giardini storici” approvata a Firenze nel 1981 e dalla “Carta ICOMOS-IFLA dei giardini storici”, detta Carta di Firenze, stilata nel 1981 e registrata dall’ICOMOS nel 19826. Grande attenzione era stata riservata al monitoraggio e censimento delle essenze arboree, che al tempo comprendeva ben 261 alberi, prevalentemente coincidenti con pini domestici (pinus pinea), lecci (quercus ilex), e palme di San Pietro (chamaerops). Ciascuno di essi era stato fotografato e schedato specificandone la specie, l’altezza, le condizioni e l’intervento manutentivo, ivi compresa la potatura di diradamento e riequilibrio, risanamento e contenimento. Contrariamente, però, a quanto auspicabile, del patrimonio arboreo totale fu previsto l’abbattimento per ben 52 alberi, con la sola sostituzione di 14 di essi e l’immissione di altri 5-8 alberi tra i quali comparivano pini, querce e platani7. Il tutto fu operato coerentemente con l’esigenza «di ottenere un diradamento delle alberature attualmente esistenti»8, non meglio motivata nella relazione eppure decisamente contraria alla necessità di preservare le masse vegetali rilevanti almeno quanto quelle architettoniche nella tutela della configurazione di un giardino storico (Carta di Firenze, 1981, Art. 4). In altri casi ancora, alcune scelte generalmente condivisibili se adottate per la cura delle comuni aree a verde cittadine, sono apparse discutibili proprio perché applicate ad uno dei pochi giardini storici pubblici della città. Accanto ad alcuni interventi di necessaria verifica dello stato di salute della vegetazione, tra il 2011 e il 2012, si era deciso infatti di realizzare un’area per cani ed una atta ad ospitare quelle giostre in precedenza dislocate disordinatamente lungo i viali (Figg. 4, 5). La prima rimase su carta, mentre la seconda fu effettivamente realizzata (Fig. 6). In ambo i casi, tuttavia si trattava di scelte che di fatto non possono che stridere con il carattere del giardino e che inevitabilmente rischiano di snaturarlo e degradarlo attraverso la presenza continuativa di funzioni ludiche e «di festa», che non possono che essere accolte in via eccezionale nei giardini storici (Carta di Firenze, 1981, Art. 19) cui non dovrebbero essere applicate quelle logiche imposte dagli standard urbanistici (Carta italiana, 1981, racc. 2) ai quali possano rispondere aree verdi confinanti (Carta di Firenze, 1981, Art. 20). A ciò si aggiunge inoltre una mancata riattivazione di alcuni elementi della composizione architettonica, da attuarsi pur sempre nel rispetto dell’evoluzione storica del giardino (Carta di Firenze, 1981, Art. 16). Tra questi il laghetto – retaggio del primissimo impianto immaginato dal Niccolini, sebbene con diversa disposizione – e la fontana, essendo le acque in movimento, così come quelle stagnanti, anch’esse parti essenziali della composizione architettonica del giardino storico (Carta di Firenze, 1981, Art. 4) (Fig. 7).
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Fig. 4 Napoli, giardini del Molosiglio. Confronto tra lo stato di fatto e il fotoinserimento di un’area per cani, così come prevista nel progetto di manutenzione straordinaria del 2010, mai realizzata (Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338).
Fig. 5 Napoli, giardini del Molosiglio. Confronto tra lo stato di fatto e il fotoinserimento di un’area per giostre, così come prevista nel progetto di manutenzione straordinaria del 2010, realizzata (Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338).
Fig. 6 Napoli, giardini del Molosiglio e area adibita a giostre (foto D. Treccozzi, 2021).
Fig. 7 Napoli, la fontana e il laghetto dei giardini del Molosiglio nelle attuali condizioni di degrado (foto D. Treccozzi, 2021). È chiaro, però, che il disallineamento tra quanto previsto e quanto auspicabile per la tutela di un giardino storico sia solo in parte da imputare ai progettisti. È infatti necessario rilevare come i giardini risultino salvaguardati solo in virtù dell’Art. 142 del Codice dei beni culturali rivolto alle “Aree tutelate per legge”, venendo però esclusi, nella “Variante al piano regolatore generale centro storico, zona orientale, zona nordoccidentale di Napoli” del 20049, dalla perimetrazione delle aree soggette a vincolo ex L. 1497/1939 e da quelle di interesse archeologico, pur coincidendo l’area con l’antico sedime dell’arsenale. Posto quindi l’indubbio valore storico-artistico dei giardini del Molosiglio, così come identificato agli Art. 1 della Carta di Firenze e della Carta italiana, occorrerebbe probabilmente inquadrarli all’interno di un regime di maggiore tutela, onde evitare di rinviarne la conservazione alla sola sensibilità degli operatori. In definitiva quindi, benché i lavori del 2010-2012 abbiano avuto l’indubbio merito di risollevare, seppure parzialmente, le sorti del Molosiglio, a quarant’anni di distanza dalle carte del 1981 la consapevolezza del valore storico di questi giardini stenta ancora ad affermarsi. Confidiamo però che proprio attraverso la diffusione dell’informazione, una chiara identificazione e inventariazione dei giardini storici (Carta di Firenze, 1981, Art. 9; Carta italiana, 1981, racc. 4) e un adeguato regime vincolistico o in alternativa – come raccomandato anche al punto 3 della Carta italiana – una opportuna regolamentazione urbanistica, si possa ancora giungere a una maggiore sensibilizzazione verso la conservazione di questo delicato patrimonio. Nel caso specifico dei giardini del Molosiglio (Fig. 8), infatti, la loro valorizzazione potrebbe tanto più strategicamente rientrare nello scenario attualmente in discussione per il waterfront di Napoli che contempla l’idea, da tempo dibattuta, di dismettere definitivamente il porto militare con la conseguente possibilità di riutilizzarne i volumi e di rendere nuovamente fruibile il molo di San Vincenzo. In tale ottica, i giardini andrebbero a costituire parte integrante di una vera e propria promenade litoranea, non così lontana da quella sognata nell’Ottocento dal Niccolini.
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1 Per una ricostruzione delle vicende storiche che hanno portato alla realizzazione dei giardini del Molosiglio si rimanda al saggio di a. Pane, Dall’Arsenale ai giardini del Molosiglio a Napoli: la longue durée di un progetto, nel presente volume. 2 Cfr. Maria luisa sCalVini, Antonio Niccolini e il «Progetto Grande» per Napoli, da Gioacchino Murat a Ferdinando II, in Paolo Carpeggiani, Luciano Patetta (a cura di), Il disegno di architettura, atti del Convegno (Milano, 15-18 febbraio 1988), Milano, Guerini 1989, pp. 79-86; anna Giannetti, Il «Progetto Grande» di Antonio Niccolini: tema con variazioni, ivi, pp. 87-94; anna Giannetti, rossana Muzii, Antonio Niccolini: architetto e scenografo alla corte di Napoli, 18071850, Napoli, Electa Napoli 1997, pp. 49-50; andrea Pane, daMiana treCCozzi, Le trasformazioni del contesto urbano tra XIX e XX secolo. Programmi, progetti e realizzazioni dal decennio francese agli albori del regime, in Aldo Aveta (a cura di), Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e valorizzazione, Napoli, artstudiopaparo 2017, pp. 136-160.
3 roberta aMirante, FranCesCa bruni, Maria rosaria santanGelo, Il Porto, Napoli, Electa Napoli 1993. 4 GioVanni russo, Il monumento al fante inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica, in «Corriere della Sera», 25 maggio 1955, p. 5. 5 Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338. 6 Sulla vicenda delle carte dei giardini si rimanda alla vasta bibliografia esistente, segnalando in particolare, tra i tanti contributi: Maria luisa quondaM, alberto Maria raCheli, Giardini italiani. Note di storia e conservazione, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, Ufficio studi 1981; Protezione e restauro del giardino storico, Atti del VI Colloquio internazionale sulla conservazione dei giardini (Firenze 19-23 maggio 1981), Firenze, Giunta regionale Toscana 1987; VinCenzo Cazzato (a cura di), Tutela dei giardini storici: bilanci e prospettive, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali 1989; lionella sCazzosi, Il giardino opera aperta. La conservazione delle architetture vegetali, Firenze, Alinea,1993; Maria adriana Giusti, Restauro dei giardini. Teorie e storia, Firenze, Alinea 2004; MassiMo de ViCo Fallani (a cura di), La cura dei giardini storici: teoria e prassi, Firenze, Olschki 2012. 7 Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338. 8 Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli, cartella 4/1338. 9 Si vedano la tavola 13 “Vincoli paesaggistici ex L. 1497/1939”, foglio n. 3 e la tavola 14 “Vincoli e aree di interesse archeologico”, foglio n. 3 della “Variante al piano regolatore generale centro storico, zona orientale, zona nordoccidentale di Napoli”.
Fig. 8 Napoli, giardini del Molosiglio, veduta attuale verso il Palazzo Reale con in primo piano il Monumento al Fante (foto D. Treccozzi, 2021).
Katalin Takács, Imola G. TAR A professional necessity: towards inventorying historic gardens in Hungary
Katalin Takács | takacs.katalin@uni-mate.hu Imola G. TAR | gecsene.tar.imola.csilla@uni-mate.hu Hungarian University of Agriculture and Life Sciences; Institute of Landscape Architecture, Urban Planning and Garden Art and Ormos Imre Foundation
Katalin Takács, Imola G. TAR
Abstract Historic gardens as landscape architectural and horticultural values constitute an important part of the Hungarian cultural heritage. Any comprehensive intervention that envisages the preservation, management, and restoration of these ensembles should be based on an inventory recognizing their values. Since the second half of the 20th century, several initiatives have been taken to compile and systematize the historical gardens of Hungary, but a scientifically founded and complete garden inventory is yet to come, even forty years after the recommendations of the Florence Charters. This papers aims to present the prior garden inventorying initiatives in Hungary and our recent work related to the revision and compilation of historic gardens, based on scientific methods and recognizing their existing, dilapidated or vanished values.
Keywords Historic gardens, inventory, register, Hungary
Introduction Historic gardens as landscape architectural and horticultural values constitute an important part of the Hungarian cultural heritage. Any comprehensive intervention that aims to the preservation, management, and enhancement of these ensembles should be based on an inventory recognizing their values. Since the second half of the 20th century, several initiatives have been taken to compile and systematize the historical gardens of Hungary, but a scientifically founded and complete garden inventory is yet to come, even 40 years after the recommendations of the Florence Charters.1 This papers aims to present some prior garden inventorying initiatives in Hungary and our recent work related to the revision and compilation of historic gardens in Komárom-Esztergom County, (Fig.1) based on international and national scientific methods while recognizing their existing, dilapidated or vanished values. Our professional work has been largely inspired by the international - mainly Western European - inventory practices of the past decades, from which we have adopted methodological approaches.2
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Garden inventory initiatives in Hungary One of the first systematically collected list of ornamental gardens in the Kingdom of Hungary was compiled by botanist Károly Haberle in 1830,3 while almost a century later, Arnold Pauer published an updated and expanded version of it with short garden descriptions and some bibliographic notes.4 At the turn of the 19-20th century, several calls were made in Hungarian horticultural magazines to list ornamental gardens and nurseries, but a state-funded inventory of historical gardens with heritage protection approach only started in the 1960s. The project was led by Károly Örsi, pioneer expert of the garden heritage protection in Hungary, and the result was a publication in 1971 listing 145 historic gardens of the country.5 (Fig.2) Based on his professional achievements, thematic publications on garden registers and site presentations were created in the following two dec-
Fig. 1 Former Esterházy castle’s park at Réde, Komárom-Esztergom County (Hungary). Emblematic and barely known landscape park with a group of giant black pines. Photo credit: Katalin Takács.
Fig. 2 Registered historic gardens in Hungary in the second half of the 20th century, from KÁROLY ÖRSI, Az elmúlt 10 év kertépítési eredményei a mu˝emlékvédelemben. [Results of garden restoration projects from the past ten years in the context of monument protection.], «Mu˝emlékvédelem» vol. XV, N°3, 1971, p. 147.
Fig. 3 The fifty surveyed and inventoried historic gardens and sites in Komárom-Esztergom County (Hungary). Illustration by Imola G. Tar and Katalin Takács.
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ades,6 then in the mid-nineties an online database on historic gardens was created at the Faculty of Landscape Architecture in Budapest.7 The database currently contains data sheets on circa 1500 Hungarian gardens, but many sites represented in the database have no longer historical significance, the information content of the data sheets is often incomplete, inaccurate or not proved.
Historic garden register revision and results since 2017 During 2016-2017, after analyzing the methodology of international and national practices, we have compiled an updated survey data sheet suitable for the inventory of Hungarian historic gardens, determined the survey process and have started the inventorying work with Komárom-Esztergom County as a sample area. (Fig.3) The choice of this county was justified by the fact that there are even nationally little-known gardens in this area, and the number of sites to examine was conceivable. Firstly we reviewed the previous Hungarian gardens lists and other thematic publications collecting the built and natural values of the county. In addition to castle parks and mansion gardens, we have designated for site visit several historic sites in the county with potential garden art values, such as villa gardens, granges, public parks, hunting lodges, gardens of former manor
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Fig. 4 Oroszlány-Majk, Camaldolese Hermitage site. Illustration by Alexandra Bátki and Katalin Takács.
Fig. 5 Tata, English Garden. The county’s most famous landscape park with artificial ruins in romantic style. The former Esterhazy estate centre were developed as permeating the urban fabric by a complex green infrastructure. Illustration by Katalin Takács.
houses, forestry arboretums and dilapidated parks as well as surroundings of castle ruins. A dilemma quickly arose how to define inventory limits and selection criteria of the census. Finally a list of about 70 gardens and parks was compiled of which 50 were selected for visit, exploration, survey and evaluation. Recently over sixty gardens and sites, including works of art of national and local significance and unknown “treasures” were visited, surveyed and systematically described, with the contribution of students at the Faculty of Landscape Architecture and Urbanism, Budapest.8 In 2019 and 2020, we won financial grants of the Hungarian Academy of Arts and performed our work with the involvement of the Ormos Imre Foundation.9 The survey sheet used in our inventory includes general data of the given landscape architectural ensemble, current functional and legal status, historical and heritage conservation aspects, as well as a description of its physical condition and a list of bibliographic and archival sources. On this basis, around 25 bilingual posters presenting these landscape architectural ensembles were created, which, in addition to basic descriptive data, include a brief site history, a description of the current state of the ensemble, some key bibliographical data, as well as a site plan and few archival map and image sources. (Fig.4) Among the fifty sites visited and surveyed, 38 are at least partially preserved, of which the majority are castle parks or manor gardens.10 All of the castle parks in the county are of national impor-
Fig. 6 KörnyeNagytagyospuszta, Konkoly-Thege mansion’s garden. Documenting the dilapidated and/ or destroyed gardens. Illustration by Dorottya Zombori and Katalin Takács. tance,11 (Fig.5) while only two of the manor gardens represent the same level and the rest are of local importance. The gardens of hunting lodges or manors, and the public parks or forestry arboretums in the county are sites of local importance. Among sites of local importance, smaller-size manor and villa gardens are less well regarded, even though in some cases their landscape design represent significant value. As they are barely researched and little known, their presentation is modest and their survival is highly threatened. Among mansion and villa gardens, we may find partially preserved gardens which, despite their deteriorated state, are of outstanding value for their garden structures or the variety of plant species. Finally some thoughts about the dilapidated or destroyed sites: we can consider as destroyed historic garden sites - or former places of historic gardens - those areas where the former gardening/landscaping concept is no longer recognizable, or at most only a few aged woody species are reminiscent of the former ensemble. The dilapidation frequently results from one of the following processes: drastic reduction of the park area, parcelling of the sites, erection of new buildings and structures serving new functions; inadequate development or (re)construction, the lack of maintenance and management or any other deliberate destructive activities. It can be stated that among the destroyed historical gardens we can either find castle parks as smaller manor or villa gardens, but the most threatened ones are always the less known sites with local significance. Their number compared to that of the gardens existed in the past is not yet estimable. (Fig.6)
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Summary and future outlook Though according to Florence Charter « it is the task of responsible authorities to adopt […] the appropriate legal and administrative measures for the identification, listing and protection of historic gardens », we have been performing our inventorization project on professional basis. In the near future, we plan to address the regional authorities with the results of our work and to publish a book presenting the historical gardens of Komárom-Esztergom County. We are planning also to sensitize people by a regional exhibition at the county seat, where, in addition to interested professionals, authorities and local people, the real garden owners and operators, just as interested individuals will gain more information about these specific historic values – occasionally unknown or forgotten.
1 ICOMOS, The Florence Charter 1981, Article 9. and Article 23. Adopted in Florence, December 1982. 2 Some of the inspiring publications we have overviewed: eVa berGer, Historische Gärten Österreichs. Garten und Parkanlagen von der Renaissance bis um 1930. (Bd. I: Niederösterreich und Burgenland, Bd. II: Kärnten, Oberösterreich, Salzburg, Steiermark, Tirol und Vorarlberg, Bd. III: Wien), Wien-Köln-Weimar, 2002-2004.; nathalie de harlez de deulin et alii, Inventaire thématique, Parcs et jardins historiques de Wallonie. Namur, 9 volumes, édité par la Région Wallonne. 1993-2008.;
hélène Verdieret, xaVier de Massary, GeorGes Coste, Principes, méthode et conduite de l’inventaire général du patrimoine culturel. («Document et méthodes N°9»), Ministère de la Culture et de la Communication Paris, 20072, p. 224; VinCenzo Cazzato (ed.), Ville, parchi e giardini per un atlante del patrimonio vincolato, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992; harriet Jordan - sarah rutherFord, Register Guidance Manual, English Heritage, London, 2001., daVid laMbert et alii, Parks and Gardens. A researchers guide to sources for designed landscapes, Landscape Design Trust, 20063 p. 62. 3 károly haberle, Succincta rei herbariae Hungaricae et Transsilvanicae Historia. Budae, 1830. The census of ca.100 gardens is far from being complete because, as the collector describes it, he listed only the gardens he had come to know personally or on the basis of the narration of others. 4 arnold Pauer, Adatok a magyar kerti kultúra történetéhez fo˝tekintettel Szenczy herbáriumára. [Data on the history of Hungarian garden culture with a view of Szenczy’s herbarium.], Szombathely, 1926 («A Csornai Premontrei Kanonokrend Szombathelyi Gimnáziumának 1925-26. évi Értesíto˝je»). pp. 3-79. 5 károly Örsi, Az elmúlt 10 év kertépítési eredményei a mu˝emlékvédelemben [Results of garden restoration projects from the past ten years in the context of monument protection], «Mu˝emlékvédelem» vol. XV, N°3, 1971, pp. 129-147. 6 Gyo ˝ zo˝ MészÖly (a cura di), Arborétumok országszerte [Arboretums in Hungary], Budapest, 1984.; károly Örsi, A magyar történeti kertek jegyzéke [Register of Hungarian historical gardens], Budapest, 1990. 7 https://www.historicgarden.net/ (2021-07-16) 8 The Faculty was the predecessor of our Institute at the University Szent István. 9 The Ormos Imre Foundation, established in 1996 is a private foundation whose aim is to promote the development of Hungarian garden art and landscape architecture. Named after Imre ORMOS (1903-1979), an emblematic figure of Hungarian landscape architecture, one of the scientific founders of Hungarian garden architecture in higher education, who has taught generations of landscape architect students since 1929. 10 Of the 38 remaining sites, 9 are castle gardens; 1 is an ecclesiastical palace garden; 10 are mansion gardens; 4 are hunting lodges; 5 are manorial gardens; 3 are public parks; 3 are forestry arboretums; 2 represent the surroundings of castle ruins and 1 is a pilgrimage site. (The list is not all inclusive.) 11 The castle parks of national importance in the county are sites which have been partially or fully restored or may be restorable, and which have largely conserved their original extent, landscaping concept, garden features and planting scheme. In addition to their own significance, they can also enhance sites of local importance by being interpreted as interconnected local cultural ensembles.
Mariangela Terracciano Il verde conventuale a Napoli: il Parco dei Quartieri Spagnoli
Mariangela Terracciano | mariang.terracciano@studenti.unina.it Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II
Mariangela Terracciano Abstract The current Park of the Spanish Quarters in Naples, part of the ancient complex of the Santissima Trinità delle Monache, was considered throughout the XVII and XVIII centuries one of the most appreciated conventual gardens of the city for the wealth of fountains and green areas, no longer existing today. The transformations and expansions triggered to convert the complex to a Military Hospital, after the suppression of the religious, also affected all the areas originally intended for garden. During the new century, when the military needs disappeared, the complex was decommissioned and the Municipality of Naples transformed it into a public park, without, however, completing the restoration and re-functionalization of the historic structures of the monastery. This contribution aims to analyze its history and transformations, also in relation to the broader and more articulated system of conventual green areas that characterized the XVII and XVIII centuries Neapolitan religious factories, in order to define possible strategies of conservation and appreciation.
Parole chiave Giardini conventuali, Trinità delle Monache, restauro.
Brevi note storiche sul Complesso della SS. Trinità delle Monache Le vicende storiche del Parco dei Quartieri Spagnoli della città di Napoli sono strettamente legate al complesso monastico della SS. Trinità delle Monache di cui è parte integrante. La fondazione del complesso si deve alla nobildonna napoletana di origine spagnola Vittoria de Silva la quale, alla vigilia delle nozze con il conte Emilio Caracciolo, preferì prendere il velo nel monastero di S. Girolamo delle Monache, con il nome di Suor Eufrosina. Ottenuta autorizzazione da Clemente VIII, con un Breve del gennaio 1600, istituì un insediamento monastico con regola francescana nella zona di Costantinopoli. Con il successivo aumento delle consorelle fu deciso di costruire una nuova fabbrica, dal momento che non era possibile ampliare quella originaria1. Il trasferimento nel nuovo cenobio avvenne l’11 giugno del 1608. Nel giro di qualche decennio fu così costruito un complesso le cui terrazze si sviluppavano al di sopra delle mura urbane vicereali, alle falde della collina di S. Martino. La documentazione archivistica sin qui ritrovata non consente di individuare l’autore dell’opera: è stato ipotizzato che furono gli architetti incaricati di realizzare la chiesa ad occuparsi anche della costruzione del convento, ovvero l’architetto teatino Francesco Grimaldi (prima del 1613), Giovan Giacomo di Conforto (1616-17) e Cosimo Fanzago (1623-26)2. Lo
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sviluppo planimetrico del convento, costituito da tre corpi di fabbrica disposti a U intorno al chiostro alla quota del terrazzamento superiore, aperto verso la valle e in stretta relazione visiva con la città, segue l’orografia del suolo, sviluppandosi su un lotto rettangolare allungato (Fig. 1). Esso fu oggetto di successivi ampliamenti e trasformazioni sino a quando, con la soppressione degli ordini religiosi, durante il decennio di dominazione francese, le suore furono espulse ed aggregate al monastero di Donnaregina. Nel 1806 il complesso fu destinato, per volere di Giuseppe Bonaparte, ad Ospedale Militare3. Ciò comportò una serie di ulteriori trasformazioni necessarie per ospitare la nuova funzione (Fig. 2) ed in particolare, fu ampliato il corpo di fabbrica verso S. Lucia a Monte che delimitava a nord lo spazio del chiostro. Agli inizi del Novecento l’ala settentrionale del complesso fu completamente riconfigurata ed a partire dal 1935 fu messo in atto un articolato piano di ampliamento e sistemazione con la costruzione di nuovi padiglioni nell’area del giardino inferiore (Fig. 3). Gran parte di questi corpi di fabbrica aggiunti è stata demolita dopo il terremoto del 1980. Il chiostro ha definitivamente perduto la sua delimitazione spaziale ed architettonica verso nord; l’area è stata adibita in parte a verde ed il corpo basso, che si configura come una sorta di prolungamento dell’edificio conventuale, funge da spazio porta e filtro al cuore del complesso (Fig. 4).
Il giardino storico della SS. Trinità A partire dalla metà del Cinquecento, anche a seguito dei dettami controriformistici, l’edilizia religiosa a Napoli ebbe un notevole sviluppo, sia nell’area del centro antico che nelle aree prossime alla murazione. La possibilità concessa agli ordini religiosi di ‘fare insula’ consentì a molti monasteri di ampliarsi e di realizzare entro le mura orti e giardini4. Alla stessa maniera gli ordini che decidevano di realizzare ex novo complessi religiosi extra moenia riservarono sempre molta attenzione alla progettazione e alla costruzione di aree verdi conventuali5 . Il giardino sacro acquisiva un ruolo fondamentale per consentire alla comunità religiosa possibilità di coltivare piccoli orti, oltre che aree per lo svago6. Soprattutto nei complessi più estesi e articolati, la maggiore libertà di espressione consentiva di realizzare grandi giardini con diverse specie di vegetazione, con valori simbolico-religiosi, funzionali ma anche decisamente profani, come esibire il potere temporale dei diversi ordini7. Il giardino del convento della SS. Trinità, posto a due quote differenti, rappresenta un esempio di magnificenza di uno degli elementi propri dell’architettura controriformista. Osservando le planimetrie storiche si evince il diverso ruolo svolto dai due giardini; quello superiore, strettamente connesso agli ambienti monastici, era un giardino di deli-
Fig. 1 G. Carafa Duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1750-75, particolare.
Fig. 2 F. Schiavoni, Pianta del Comune di Napoli, 187280, particolare.
Fig. 3 Il complesso nel suo massimo ampliamento dopo gli interventi realizzati nella seconda metà del Novecento.
Fig. 4 Vista d’insieme del complesso oggi.
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zie legato alla convivialità, mentre quello inferiore era adibito ad orto, rappresentato secondo uno schema più articolato di strette stradine che definiscono le aree coltivate (Figg. 1,2). Così Alfonso Fiordelisi agli inizi del XX secolo lo descrisse: «Veramente magnifico doveva essere quel monastero, situato in un posto così ridente, addossato alla collina tutta cosparsa di fiori, con tanta cura coltivati, dalle suore, nel giardino detto della montagna; circondato da orti pensili, di dove si poteva godere il meraviglioso spettacolo dell’incantevole golfo di Napoli; con fontane di marmo stupen-
de; con un laghetto artificiale in cui si poteva navigare con ricche gondole con una peschiera dove, di tanto in tanto, si facevano delle pesche deliziose, con giuochi d’acqua svariatissimi, altalene, agrumeti stupendi, boschetti vaghissimi, e la più bella raccolta di piante rare. Certo, era di quei monasteri che facevano venir la voglia di farsi monache! La fama della bellezza di quel monastero si sparse tanto che, pochi anni dopo la sua edificazione, nel 1630, Maria d’Austria, sorella di Filippo IV, venuta, nel mese di agosto, a Napoli, volle visitarlo. […] La visita alla Trinità avvenne il lunedì 23 settembre, e la Regina, dopo aver pregato un poco nella Chiesa, «se ne uscì fuori con tutto il suo Real corteggio […] Quivi la nobile donna passeggiò un pochino tra i cedri, gli aranci e gli alti cipressi, ammirando i giuochi d’acqua e i padiglioni di gelsomini, dove «brillavano artificiosamente per diversi zampilli, e bocche d’acque nanfe, delle quali altre ne cadevano in minuta pioggia da quegli fronzuti tetti, e altre con diversi giuochi formavano laberinti»8. Fiordelisi evidenzia come il chiostro – per la mancanza del quarto lato porticato verso oriente – si apre verso il paesaggio cittadino ed il mare, pur conservando una indispensabile riservatezza grazie alla sua posizione altimetrica9 . Con la dismissione del convento e la successiva trasformazione in ospedale, il ruolo del giardino rispetto alla struttura complessiva dell’edificio si è progressivamente affievolito. Di tanta magnificenza ben poco rimane. Ciò che vediamo oggi è riconducibile ai lavori di sistemazione attuati negli anni Trenta del Novecento. Il giardino superiore fu in buona parte asfaltato per puri scopi utilitaristici; il limite orientale della terrazza fu adibito a parcheggio e la presenza del verde fu circoscritta in aiuole dal disegno geometrico, attraversate da percorsi per agevolare in più punti l’accesso al complesso (Fig. 5). Furono completamente cambiate le specie arboree presenti (Fig. 6), privilegiando quelle come il pino italico (Pinus pinea) (Fig. 6a), negli stessi anni utilizzate per la realizzazione di molti altri interventi a verde eseguiti in città, come, ad esempio, quelli del Parco Virgiliano o della Rimembranza10, e talune altre specie come la Magnolia grandiflora (Fig. 6b) ed il Cupressus sempervirens (Fig. 6c) etc. Il giardino inferiore, noto come «bosco dei tigli», è stato nel tempo adibito a campetto sportivo, perdendo tutto il suo valore. Nel febbraio 2000 l’intero complesso conventuale è stato acquisito dall’Amministrazione Comunale di Napoli, che ha avviato lavori di sistemazione del giardino superiore per consentire agli abitanti del quartiere di usufruire del giardino attrezzato, data la totale assenza di aree verdi nel quartiere Montecalvario. Nello stesso anno, il comune di Napoli ha stipulato una convenzione con il Dipartimento di Progettazione Urbana della Facoltà di Architettura della Federico II, che ha consentito l’elaborazione di un primo programma di recupero solo parzialmente attuato. Dal 2014 il complesso è stato inserito nel programma Internazionale URBACT III con l’obiettivo di restituire “il gigante dormiente” alla città, attraverso il recupero dell’area e del patrimonio costruito11. Ad oggi, purtroppo, pochi sono gli interventi attuati e sia le aree verdi che le strutture dell’ex convento versano in condizioni di estremo degrado ed incuria (Fig. 7).
Conclusioni Il Parco dei Quartieri Spagnoli – oltre che un’oasi verde per un quartiere densamente edificato come quello di Montecalvario – rappresenta un prezioso documento, frutto di trasformazioni e di riscritture che riflette la società e la cultura che l’hanno ideato, costruito, usato12 . La quantità di relazioni e di significati urbani e paesaggistici (Fig. 8) ancora presenti rendono il convento delle SS. Trinità delle Monache e il suo giardino un complesso di estremo interesse, una testimonianza di grande valore della città di Napoli che, proprio per questo, necessita di un vasto pro-
Fig. 5 Il giardino superiore dopo gli interventi realizzati negli anni Trenta del Novecento in una foto d’epoca.
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Fig. 6 Il parco dei Quartieri Spagnoli oggi. Dettaglio della tassonomia delle specie vegetali presenti nel giardino superiore: 6a. Pino domestico (Pinus pinea); 6b. Magnolia sempreverde (Magnolia grandiflora); 6c. Cipresso mediterraneo (Cupressus sempervirens); 6d. Cedro del Libano (Cedrus libani); 6e. Ginepro della Virginia (Juniperus virginiana); 6f. Ligustro del Giappone (Ligustrum lucidum o japonicum); 6g. Osmanto odoroso (Osmanthus fragrans); 6h. Albero dei dinosauri (Araucaria bidwillii); 6i. Tuia orientale (Platicladus o Thuja orientalis). gramma di restauro e valorizzazione che, superando la logica degli interventi parziali e localizzati, sia in grado di esaltare i valori e la bellezza dei luoghi. Per raggiungere tale obiettivo è necessario mettere in atto un attento processo di conoscenza storica, architettonica, formale, materiale e paesaggistica, in grado di orientare le successive scelte operative13. Tale studio analitico e comparato necessita di un approccio interdisciplinare di saperi, in cui gli specifici apporti specialistici possano interagire e integrarsi entro un orizzonte culturale e di obiettivi comuni, tesi a dare risposta concreta alle problematiche di conservazione e trasmissione al futuro del sito14 . Per quanto riguarda nello specifico le aree a giardino, particolare attenzione dovrà essere posta alla identificazione delle specie botaniche presenti, nonché alla verifica del loro stato fitosanitario, attraverso la programmazione, congiuntamente al rilievo, di una serie di prove e indagini strumentali15 . A tal riguardo va subito segnalato che esistono problematiche di carattere statico-vegetativo per alcuni degli alberi esistenti. In particolare, la gran parte degli esemplari di Pinus pinea, piantati negli anni Trenta del Novecento, sono quasi alla fine del loro ciclo di vita (110-150 anni) e presentano una situazione fitosanitaria da indagare in maniera specialistica16 . Ciò posto, occorrerà interrogarsi sul nuovo ruolo che il giardino dovrà assumere all’interno di un organico progetto di rifunzionalizzazione dell’intero complesso17. Il ripristino dell’articolazione degli originari spazi verdi conventuali rappresenterebbe una scelta difficile da perseguire per mancanza di dati e di testimonianze fisiche, ancorché arbitraria18. Occorrerà partire, viceversa, dalla conoscenza dell’attuale consistenza del patrimonio arboreo esistente e immaginare nuove soluzioni che siano in grado di interpretare in chiave contemporanea l’identità ed il ruolo urbano dell’intero complesso e delle relative aree scoperte. La stretta relazione visiva tra il giardino e la città antica rappresenta un valore architettonico-paesaggistico intorno al quale elaborare una consa-
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pevole azione progettuale, capace di riattivare un complesso da troppi decenni abbandonato, attraverso la scelta di nuove funzioni e di attività di interesse, compatibili con il territorio e le sue dirette necessità, che rispettino la natura e la vocazione del giardino, il cui ruolo dovrà costituire l’elemento primario19 .
Fig. 7 Il parco dei Quartieri Spagnoli oggi. Il giardino superiore e la relazione con l’edificio conventuale.
Fig. 8 Il parco dei Quartieri Spagnoli oggi. Il giardino superiore e la relazione con la città.
1 AlFonso Fiordelisi, La Trinità delle Monache: I. Il monastero, «Napoli Nobilissima», I s., vol. VIII, fasc. X, 1899, pp. 146-147. 2 silVana saVarese, Francesco Grimaldi e l’architettura della Controriforma a Napoli, Roma, Officina Edizioni 1968. 3 Cfr. L’Ospedale militare della Trinità, «Napoli Nobilissima», n.s., vol. I, fasc. I, 1920, pp.119-120; doMeniCo Villari, Ospedale Militare di Napoli. Profilo storico-artistico, Napoli 1967. 4 Cfr. Gaetana Catone, Napoli Barocca, Roma-Bari, Laterza 1993; roberto Pane, Architettura dell’età barocca in Napoli, Napoli, Editrice Politecnica 1939; Giosi aMirante, Innovazione o conservazione: esiti controriformistici nell’architettura napoletana del Seicento, «Napoli Nobilissima», XXVIII, fasc. I-VI, 1989, pp. 9-14. 5 anna Giannetti, Il giardino napoletano. Dal Quattrocento al Settecento, Napoli, Electa Napoli 1994. 6 Maria luisa MarGiotta, Il giardino sacro. Chiostri e giardini della Campania, Napoli, Electa Napoli 2000.
7 Maria luisa MarGiotta, belFiore Pasquale, Giardini storici napoletani, Napoli, Electa Napoli 2000, p. 34. 8 AlFonso Fiordelisi, La Trinità delle Monache: I. Il monastero, «Napoli Nobilissima», I s., vol. VIII, fasc. X, 1899, pp.145-150. 9 dario niColella, I cento chiostri di Napoli: guida storico-artistica, Napoli, Edizioni scientifiche italiane 1986, p. 19. 10 andrea Pane, Dal Parco della Rimembranza al Virgiliano: storia declino e restauro di un parco pubblico a Napoli, in L’architettura del giardino in Europa. Evoluzione storica e nuove prospettive, a cura di F. Zecchino, Napoli, Arte’m 2020, pp. 65-73. 11 anGela d’ aGostino, Monumenti in movimento. Scenari di città, Siracusa, Edizioni Lettera Ventidue 2017. 12 Art. 1 Carta italiana del restauro dei Giardini Storici, 1981. 13 MarCo luisa MarGiotta, I parchi e i giardini Storici in Campania tra conoscenza e restauro, in L’architettura del giardino in Europa. Evoluzione storica e nuove prospettive, a cura di F. Zecchino, Napoli, Art’em 2020, pp. 61-64. 14 Art. 4 Carta italiana del restauro dei Giardini Storici, 1981. 15 I giardini sono artefatti in continua trasformazione, materia vegetale che necessita di interventi costanti per conservare i caratteri vitali e continuare a svolgere il ruolo di miglioramento e di difesa dell’ambiente. Cfr. Art. 11 Carta ICOMOSIFLA dei giardini storici, 1981. 16 In tal senso va segnalato che negli ultimi mesi sono state condotte una serie di indagini preliminari con l’obiettivo di definire un primo censimento informatico in ambiente GIS delle specie arboree presenti, da integrare con informazioni circa lo stato fitosanitario, la classe di rischio, la tipologia e la frequenza delle operazioni di manutenzione per ogni categoria tassonomica rilevata. Cfr. raFFaele aMore, Un primo censimento di un’area verde nella Municipalità 2, in Il verde urbano nell’area napoletana: conoscenza, manutenzione e gestione, a cura di Aldo Aveta, Riccardo Mercurio, Roma, Editori Paparo 2021, pp. 180-196. 17 Art. 7 Carta ICOMOS-IFLA dei giardini storici, 1981. 18 Art. 16-17 Carta ICOMOS-IFLA dei giardini storici, 1981. 19 Art. 19 Carta ICOMOS-IFLA dei giardini storici, 1981.
Luigi Veronese Un “paradiso” perduto. Il giardino del Quisisana a Castellammare di Stabia tra conoscenza e restauro
Luigi Veronese | luigi.veronese2@unina.it Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II
Luigi Veronese
Abstract The garden of Quisisana Palace in Castellammare di Stabia is part of the royal hunting site of the socalled Bosco di Quisisana which rises along the northern slopes of Mount Faito, near Naples. The place since the thirteenth century has been appreciated by kings and related courts for its healthy character and for the dominant position on the southern side of the Neapolitan gulf. Acquired by the Ministry of Culture, the Quisisana complex has become a satellite site of the Pompeii Archaeological Park and houses the Archaeological Museum Libero d’Orsi. The management of the park has greatly contributed to the restoration of the Palace and the inclusion of the museum in the tourist circuits that affect the area. Much remains to be done, however, for the park, which has kept the original layout unchanged and preserved most of the ancient furnishings, but is in a state of profound decay that obliterates the signs of the site’s long history and its close relationship with the landscape context of the area.
Parole chiave Siti reali, giardini storici, Napoli, restauro, valorizzazione.
Introduzione Il parco di Quisisana a Castellammare di Stabia è parte di un antico sito reale di caccia che sorge lungo le pendici settentrionali del Monte Faito, in provincia di Napoli. Apprezzato da regnanti e relative corti fin dal XIII secolo per il suo carattere salubre e per la posizione dominante sul versante meridionale del golfo partenopeo, il luogo fu scelto dalla corte angioina per la costruzione di una reggia, conosciuta poi con l’appellativo di Quisisana. Il sito è composto dall’edificio principale che separa due giardini, uno inferiore rispetto al corpo di fabbrica ed uno superiore, più grande del precedente, da cui si accede al vasto parco “affacciato” sulla città (Fig. 1). La storia dei regnanti che si adoperarono per rendere il Quisisana sempre più ricco segue di pari passo le vicende delle dominazioni che si avvicendarono nel Golfo di Napoli, a partire da Carlo I d’Angiò, che fondò il sito stabiese, attraverso gli Aragonesi e i Viceré spagnoli, fino ad arrivare ai Borbone che resero il casino e il giardino del Quisisana uno dei siti reali più floridi del Regno1 . Il parco ha mantenuto inalterata l’ultima configurazione borbonica e ha conservato buona parte degli arredi che hanno accompagnato la sua lunga storia, come le panche e le fontane settecentesche allineate lungo il viale principale. Questo è ancora costeggiato da un doppio filare di platani
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e ippocastani che arricchisce la fitta flora presente, costituita da specie mediterranee ed esotiche, con piante rare volute dai sovrani spagnoli. Tuttavia, lo stato di conservazione della selva denuncia un’assenza di consapevolezza del valore del patrimonio presente da parte di amministratori e cittadini che non crea alcun presupposto per la sua protezione (Fig. 2). La reggia del Quisisana, con il giardino annesso, è stata invece recentemente acquisita dal Ministero della Cultura, divenendo un sito satellite del Parco archeologico di Pompei. L’edificio principale è stato restaurato a partire dal 2000 e aperto al pubblico nel 2020 come Museo archeologico Libero d’Orsi, con una ricca collezione sull’antica Stabiae, mentre il giardino, all’interno del perimetro murato della Reggia, versa tutt’oggi in una condizione di degrado dovuta principalmente a decenni di scarsa manutenzione che hanno dato spazio alla vegetazione infestante e nascosto gran parte del patrimonio architettonico e vegetale presente, come la torre colombaia, le aiuole, i battuti pavimentali, le panchine e le specie arboree (Fig. 3). Il presente studio, a valle di una ricerca e di una sperimentazione didattica, intende contribuire all’avanzamento delle conoscenze sul giardino del Quisisana, tramite il vaglio di documentazione inedita e il ricorso a un rilievo con strumentazione innovativa, con l’obiettivo di incrementare la consapevolezza delle specificità del sito e indirizzare un restauro, che si annuncia imminente, che risolva le attuali criticità.
Da Casino di caccia a Hotel Royal Il parco della reggia di Quisisana si estende su un’area a sud del comune di Castellammare di Stabia, compresa fra i valloni “San Pietro” a est e “delle Monache” a ovest, a ridosso del Monte Faito e del Monte Coppola e lungo l’attuale strada “Panoramica” che conduce alla costiera sorrentina. La denominazione deriva dall’attributo medioevale “domus de loco sano”, mutato con la traduzione volgare in “casa sana” da cui “quisisana”. Altre fonti riportano l’appellativo “qui-si-sana”, attribu-
Fig. 1 Castellammare di Stabia (Na). La Reggia e il Parco Quisisana (foto da drone, M. Facchini).
Fig. 2 Pianta del bosco del Quisisana con l’individuazione delle essenze arboree (da Grotta M., cit).
Fig. 3 Castellammare di Stabia (Na). Reggia di Quisisana. Ingresso al giardino (Veronese, 2021). ito da Carlo II d’Angiò, in memoria della guarigione da una grave malattia curata nella dimora stabiese. Fu proprio il re angioino a volere la costruzione delle prime fabbriche nel 1284 sotto la direzione dell’architetto locale Giovanni Vaccaro2. Ampliata da Roberto d’Angiò, la reggia divenne dimora abituale dei re angioini e durazzeschi che la scelsero come sito reale a carattere venatorio per sfruttare il fitto bosco adiacente3 . Sono rare le testimonianze documentarie risalenti a questo periodo, ma è ben noto il racconto di Giovanni Boccaccio che ambienta la sesta novella della decima giornata del Decamerone al Quisisana di Castellammare di Stabia dove «un cavalier, chiamato messer Neri degli Uberti (…) se n’andò; e ivi forse una balestrata rimosso dall’altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de’ quali la contrada è abondevole, comperò una possessione, sopra la quale un bel casamento e agiato fece, e allato a quello un dilettevole giardino, nel mezzo del quale, a nostro modo, avendo d’acqua viva copia, fece un bel vivaio e chiaro»4 . Non si hanno ulteriori notizie della reggia fino al 1545 quando, venuto in possesso del Feudo di Castellammare, Carlo V, per mezzo del Vicerè don Pedro di Toledo, lo cedette a Ottavio Farnese come dote della figlia Margherita, dando inizio così ad un lungo periodo di degrado e abbandono che troverà conclusione nel 1734, anno in cui sale al trono del Regno di Napoli Carlo di Borbone, che lo eredita dalla madre.
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Le cure dedicate da Carlo ai giardini e ai parchi dei suoi possedimenti sono note e spiegano la rinnovata attenzione verso la reggia di Quisisana da parte della nuova dinastia5. Con la realizzazione di Versailles, una nuova idea di Natura si era diffusa in Europa e l’arte dei giardini aveva acquisito un ruolo e un’importanza mai avuti prima6. I lavori iniziati da Carlo nel 1758 ampliarono la reggia e il parco e continuarono con Ferdinando IV, tra il 1762 e il 1766, sotto la direzione degli ingegneri Michelangelo Porzio e Lorenzo Iaccarino, che conferirono al luogo «un felice e armonico adattamento alla natura circostante»7. L’effetto più evidente di tali lavori fu la netta separazione del bosco dal giardino che venne recintato da imponenti opere murarie lungo tutto il suo perimetro. Il nuovo muro dovette servire non solo come linea di confine, ma anche come sistema di contenimento del terrapieno su cui sorgeva il giardino che fu dotato di un impianto di regolarizzazione delle acque. In quell’occasione venne restaurata anche la torre medioevale, adibita probabilmente ad abitazione e innalzata con un ulteriore piano destinato a colombaia. L’intero declivio della collina doveva apparire come un “teatro di verzura” con grandi frutteti e stradoni coperti dai rami di platani e ippocastani, ripiegati a formare artificiosi grottoni arredati con fontane e panchine disposte verso i panorami del golfo8. Particolare cura fu dedicata all’impianto di alcune specie arboree ed essenze odorose appartenenti alla flora mediterranea e a quella “esotica”. Risalgono a questo periodo numerosi dipinti e gouache che immortalano il giardino stabiese che fece esclamare a Henry Swinburne, in visita a Castellammare di Stabia nel 1777, che «le roi a une charmante maison de plaisance au-dessus de la ville»9 . A partire dal 1848 nuovi lavori trasformano il frutteto in giardino all’inglese, definendo l’ultima configurazione nota del parco all’alba dei moti rivoluzionari che segnarono il vistoso rallentamento del sempre attivo adeguamento dei Siti Reali borbonici10 . A partire dall’Unità d’Italia, il Quisisana e il suo giardino diventano possedimento dei Savoia, i quali adibiscono il sito ad albergo con il nome di “Hotel Margherita”. Durante i due conflitti mondiali la reggia viene utilizzata come ospedale militare e con il secondo dopoguerra inizia l’ultimo capitolo della storia del complesso, che torna a svolgere il ruolo di albergo con il nome di “Hotel Royal” fino all’inizio degli anni Sessanta, quando il Quisisana viene definitivamente chiuso e abbandonato prima dell’attuale sistemazione come museo archeologico intitolato a Libero D’Orsi (Fig. 4).
Appunti per il restauro del giardino Il parco del Quisisana costituisce oggi uno dei siti borbonici meno indagati dalla storiografia recente. Se la reggia con la sua preminenza fisica sull’abitato di Castellammare e sulla piana dell’agro nocerino-sarnese costituisce un importante land-mark che rimarca la propria importanza storica, il giardino e il retrostante parco hanno subito nell’ultimo mezzo secolo una sorta di oblio che li ha relegati ad aree verdi poco connotate. Ciò è dovuto principalmente allo stato di conservazione in cui versano, che ha reso irriconoscibili i segni architettonici e vegetali ancora in parte leggibili all’interno dei confini del sito.
Fig. 4 Il Giardino dell’Hotel Royal (cartolina degli anni Trenta del Novecento).
Fig. 5 Il Parco del Quisisana (cartolina degli anni Cinquanta del Novecento).