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Prefazione

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Introduzione

Introduzione

Paolo Felli

Insieme ad Antonio e Romano, nel 1976, abbiamo fondato il CSPE “Centro Studi Progettazione Edilizia”, non solo uno studio professionale, ma un’esperienza di vita, che ha creato un modo comune di affrontare le tematiche dell’architettura per la collettività, puntando alla più alta qualità possibile dei risultati, nella consapevolezza del controllo dei costi e della funzionalità dei progetti, frutto della nostra comune ricerca e amicizia. Sto ancora elaborando il dolore per la perdita dei miei due amici e soci, consapevole del ruolo che sono chiamato a svolgere nel passaggio di testimone alla nuova generazione di ricercatori nell’area della tecnologia e dell’architettura. Voglio ricordare che abbiamo realizzato due percorsi diversi in memoria delle due figure, che rispecchiassero le loro specifiche caratteristiche umane e professionali, come architetti e docenti. Per Antonio, così legato al rapporto diretto con i suoi studenti, abbiamo scelto la strada del concorso a premi per 10 giovani architetti che, nella propria Tesi di Laurea, avessero svolto progetti di qualità Architettonica nell’area tecnologica. L’iniziativa ha avuto un’ampia e significativa partecipazione a livello nazionale, consentendo un utile confronto fra le varie strade del progetto percorse nei nostri atenei. Ad esso

è seguita l’esposizione di progetti vincenti, prima nella sede espositiva del comune di Cesena, dove Antonio era nato nel 1937 e dove sono stati realizzati diversi dei nostri progetti, e poi presso il Centro Espositivo del nostro Dipartimento di Architettura di Firenze. Per Romano, costantemente attento alle innovazioni, è stata invece scelta la strada di un convegno, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Firenze, che ha chiamato a discutere colleghi e studiosi sul tema “Formazione, Ricerca e Innovazione nella gestione del progetto di architettura”. Sono seguite a questa iniziativa altre occasioni in ricordo di Romano, come il premio promosso dalla SITdA (consegnato il 3 settembre 2018 presso il Campus Palermo), l’iniziativa di una residenza per studenti universitari a suo nome ed ora un libro, che si pone come contributo sul ruolo svolto da Romano nel definire, sviluppare e applicare i temi cari alla tecnologia in architettura. Per me è ancora difficile riuscire a leggere con distacco questi quarant’anni bellissimi di lavoro e di vita comune, durante i quali il confronto tra tre personalità diverse, è stato il terreno fertile per far crescere, sviluppare e migliorare le proposte, le ricerche e le idee sui metodi di progettazione. Molti colleghi ci hanno spesso chiesto come sia stato possibile rendere stabile e continuo un rapporto di stima e di fiducia reciproca dopo tutti questi anni, quando, anche studi associati di grande prestigio, non sono riusciti a darsi la stessa stabilità nel tempo.

Sono convinto che per dare un senso a questa riflessione possa essere utile raccontare com’è nato il nostro studio, o meglio il Centro Studi, e come sia stato possibile questa costanza, in una visione a lungo condivisa. Penso che queste mie parole possano far piacere sia a Romano che ad Antonio e dare continuità al nostro comune impegno. Il rispetto reciproco e la fiducia, che nel tempo sono via via cresciuti grazie al continuo confronto e la condivisione di obiettivi, sogni ed idee comuni, sono gli elementi che hanno dato e permesso la coesione del nostro studio consentendo anche, nel contempo, un reciproco spazio di libertà ed autonomia, come ad esempio per Antonio è stato il suo amore per Cesena e per la pittura, per Romano il suo impegno per lo sviluppo e l’incremento di collaborazioni e scambi a livello internazionale e per me l’impegno nel sociale. Vorrei quindi, come presentazione di questo libro, raccontare due momenti significativi del mio rapporto con Romano, molto più giovane di me e Antonio, come lui stesso ricordava in un convegno organizzato a palazzo Vegni, quando ancora speravamo che potesse vincere la sua battaglia contro la malattia. Ma procediamo con ordine. Insieme ad Antonio avevo condiviso corsi ed esami della Facoltà di Architettura di Firenze quando le Scuole di Architettura in Italia erano solo sette e quella di Firenze, sotto la guida di Raffaello Fagnoni, aveva riunito figure significative

fiorentine, come Gamberini, Ricci, Savioli e Detti, e anche prestigiosi docenti di diverse provenienze come Quaroni, Benevolo e Eco. Il momento iniziale in cui prendemmo possesso, nel 1966, sotto la guida del nostro maestro Pierluigi Spadolini, dello studio in Piazzale Donatello 29, fu per promuovere la presentazione della candidatura di Firenze alla ventunesima edizione delle Olimpiadi, programmate per l’anno 1976 come reazione dei fiorentini ai danni provocati dall’alluvione del ‘66. Il Centro Studi Territoriale, così si chiamava il nostro raggruppamento, vedeva come responsabili, sotto la guida di Pierluigi Spadolini, Antonio Andreucci, Pierguido Fagnoni, Guido Ferrara e Francesco Re, oltre a me stesso. Il grande stanzone, otto per otto, che ci ospitò era la realizzazione di un modello per studi per artisti voluto dal Comune di Firenze nei primi del Novecento, una convenzione molto innovativa, della durata di 100 anni, in cui i proprietari si impegnavano a realizzare i progetti tipo redatti dal Comune avendone la proprietà, con l’impegno però di affittarli ad artisti. Ci trovammo così in mezzo a pittori, scultori e qualche architetto, che veniva accettato per il suo riferimento all’Accademia di Belle Arti che, negli anni precedenti alla formazione della facoltà, coinvolgeva anche l’architettura fra le sue discipline. L’ambiente di lavoro, uno spazio in cui potevamo mettere tavoli, tecnigrafi e stendere i nostri elaborati cartacei sui pia-

ni e sulle pareti, affascinò sia me che Antonio e terminato l’incarico per le Olimpiadi, decidemmo con Spadolini di dedicarlo ad attività promozionali di ricerca e di partecipazione a concorsi di Architettura. Da qui nasce il primo nome: Centro Studi, per svolgere attività di ricerca applicata, aperta e interdisciplinare, difficilmente presente in quegli anni all’interno degli spazi della facoltà, dove la ricerca universitaria si svolgeva nei numerosi istituti monodisciplinari (‘turris eburnea’) legati alla singola cattedra, con pochissima disponibilità al confronto interdisciplinare, che era invece la strada che noi volevamo perseguire. Nella sede di Piazzale Donatello, trovarono occasione di incontro e lavoro diversi docenti e scuole di pensiero, allora assistenti di Spadolini, come Pierangelo Cetica, storico primo assistente di Spadolini, ma anche Mario Zaffagnini, Graziano Trippa, Carlo Rocco Ferrari. Il confronto si estese quasi naturalmente anche ad altre realtà universitarie particolarmente vive in quel periodo nel campo dell’Architettura, quali il gruppo romano intorno a Ludovico Quaroni, nel cui ambito mi piace ricordare Antonio Quistelli, Salvatore Dierna e Franco Carrer, e il gruppo di ingegneria a Bologna, sotto la guida del prof. Fernando Clemente, ricordo in particolare Leonardo Lugli, Maurizio Mari, Luisella Gelsomino, Alberto Corlaita, Giovanni Crocioni e Carlo Monti. Ricordo mattinate, giornate intere di dibattiti, anche polemici, che continuavano nelle cene organizzate nel giardino

dello studio, sulle diverse risposte da dare al tema del concorso a cui stavamo partecipando, il Concorso Internazionale per la sistemazione dell’università di Firenze, in cui presentammo una nostra proposta, molto articolata dal titolo “Per lo studio di una struttura Universitaria”, sotto la sigla “Sistemi Congiunti tre”, che faceva riferimento alle tre sedi coinvolte: fiorentina, romana e bolognese. La nostra proposta, pur non presentando una soluzione formalmente definita ma un metodo per legare i vari sistemi che interagiscono, suscitò grande interesse all’interno del mondo Universitario e molti giovani, soprattutto laureandi e neo laureati, si affacciarono così al Centro Studi, tra questi Romano, appena laureato. Lo ricordo partecipare come protagonista agli altri due impegni del nostro Centro Studi, sempre sul tema delle strutture universitarie: il concorso-appalto per l’Università di Cosenza e la stesura del bando per l’Università di Salerno. Romano si era laureato giovanissimo nel 1970, a soli 23 anni quando in quel periodo, chi riusciva a farlo a 24/25 anni sembrava già un’eccezione e dimostrò, partecipando ai lavori del gruppo, non solo di aver afferrato il senso delle linee guida dettate dai maestri, ma di essere in grado di portare lucidi approfondimenti e connessioni con ambiti di ricerca interessanti anche in altri settori disciplinari, conquistandosi sul campo rapidamente un ruolo di leader. Quando nel 1975 definimmo con Spadolini di concludere la collaborazione che mi aveva visto impegnato nel ruolo di

capo studio, decidemmo con Antonio e Romano di fondare il nostro studio, riprendendo i locali e mantenendo il nome di “Centro studi” a cui aggiungemmo “Progettazione Edilizia”. Progettazione Edilizia e non Architettura, perché era nostra intenzione di riuscire a fare architettura lavorando nel campo dell’edilizia per la collettività (tema particolarmente sentito negli anni Settanta). La lunga cavalcata nel tempo del nostro studio appare nei testi degli Autori di questo libro sull’opera di Romano; penso possano essere utile riferimento per gli studiosi, e non è mio compito, essendo troppo coinvolto, commentarli. Questo dunque era il clima nel quale ebbe inizio il nostro studio e la lunga collaborazione e profonda amicizia con Romano, ma vorrei soffermarmi su un altro momento, più recente, che ricordo con commozione. La felicità di Romano il giorno che il lavoro, fatto con i suoi collaboratori di TESIS, sul tema delle residenze per studenti universitari, fu presentato nell’aula magna della sede di Palazzo Vegni del nostro dipartimento. Romano, che mi volle accanto per tutta la durata del convegno, era felice non solo per la correttezza e la novità della gestione del processo, lungo e faticoso, da lui guidato, ma soprattutto per i risultati di alta qualità dei progetti realizzati, vincitori del concorso che era stato indetto dal Ministro della Pubblica Istruzione. Romano è stato, a partire dal 2005, il coordinatore e la guida dell’intero processo, su scala nazionale, per la realizzazione

di residenze per studenti universitari ai sensi delle leggi n. 338/2000 e 388/2000, processo iniziato con la formulazione dei requisiti minimi, proseguito con l’individuazione dei metodi per organizzare le richieste dei finanziamenti da parte degli atenei e la gestione degli appalti, e affiancato dal monitoraggio delle diverse fasi, in modo da ottenere la massima garanzia della qualità architettonica nei tempi programmati. Questa credo sia stata per Romano l’esperienza più significativa e gratificante. Nel concludere questa mia prefazione al libro voglio augurarmi che esso contribuisca a fare emergere non solo la lucidità del pensiero di Romano, ma soprattutto la forza intellettuale e morale con cui ha gestito le collaborazioni e i confronti, anche con altre discipline. Questo deve restare al centro del suo insegnamento e sono certo che su questa linea il gruppo di giovani ricercatori che con lui si sono formati, potrà conseguire risultati significativi.

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