Textile design | Eleonora Trivellin

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eleonora trivellin

Textile Design Elementi di base


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


eleonora trivellin

Textile Design Elementi di base


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

Ad Alessio, come sempre.

in copertina Tela doppia alternata. Armatura e rincorsatura, schizzo

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo

Tutto il materiale scritto è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 4.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare l’autore, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Le immagini utilizzate rispondono alla pratica del fair use (Copyright Act, 17 U.S.C., 107) essendo finalizzate al commento storico critico e all’insegnamento.

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2019 ISBN 978-88-3338-076-6

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Prefazione Giuseppe Lotti

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Introduzione Elisabetta Cianfanelli

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Esercizi di stile su un’arte utile

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Bauhaus e tessitura

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Il valore della superficie

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Pattern, texture, ripetizioni

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Le montature del telaio

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Il lavoro manuale come strumento per pensare

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Regole della natura e dell’artificio

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Immagini della natura e dell’artificio

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Per comporre

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Jeans, un tessuto orientato Per trasformare Nuove frontiere della ricerca a cura di Elisa Matteucci, Margherita Vacca

88 93 113

Bibliografia 127


la semplicità è la da ottenere a questo limite dell’esperien del genio. 6

textile design • eleonora trivellin


cosa più difficile o mondo; è l’estremo nza e l’ultimo sforzo introduzione

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George Sand



Textile Design Elementi di base

eleonora trivellin



prefazione Giuseppe Lotti

Università degli Studi di Firenze

Textile design e oltre… Il testo di Eleonora Trivellin unisce tematiche che da sempre caratterizzano il lavoro di ricerca e progettuale dell’autrice. L’attenzione per il prodotto tessile come campo di sperimentazione progettuale: una tradizione che dal lavoro delle Avanguardie Storiche, attraverso il lavoro di designer storici come Giò Ponti o Ico Parisi, arriva fino alle realizzazioni contemporanee ad esempio nel settore di tappeti, dai fratelli Bouroullec; il tutto in una continua alternanza tra produzioni industriali ed artigianali, a tutta la produzione di Nanni Marquinia, con l’autrice che unisce riflessione teoriche a sperimentazioni dirette iniziate negli anni del liceo ed arricchite nel tempo da mature competenze progettuali. In un’unione di competenze in genere difficili da trovare, con progetto e capacità realizzative che in questo, come in altri settori, si sono progressivamente allontanate. L’interesse crescente per le tematiche della sostenibilità da intendersi nel senso più ampio del termine: gli aspetti di natura ambientale, nella consapevolezza che tra i settori quello del tessile e della moda risultano tra i più inquinanti, con una visione allargata a tutte le fasi del processo ed un focus sui recenti metodi e strumenti dell’economia circolare; il valore del lavoro — tradizionalmente di donne (viene il mente il Bauhaus alle cui studentesse era riservato solo questo lavoro…, ma anche il lavoro sul tessile delle donne del Magreb come spinta ad acquisire un crescente ruolo nella famiglia e nella società; la valenza culturale — dietro il tessile si ritrovano storie di vita (basta pensare a Fatema Mernissi ed alle sue descrizioni di donne Marocchine al telaio; alle canzoni che accompagnavano il lavoro delle donne sarde; ma anche i simboli apotropaici e di difesa dal malocchio presenti in tanti telai tradizionali. Ma anche il prodotto tessile come base di azioni di basic design, in quanto supporto bidimensionale adatto a sperimentare forme, textures e colori; un tema, quello del basic, di grande attualità alla luce della trasformazioni degli strumenti tradizionali del progetto e dei necessari e dibattuti adeguamenti della disciplina. Con la concretezza del lavoro tessile che può aiuta-


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re gli studenti e i giovani designers ad acquisire la fisicità delle cose, del materiale come argine ad ‘un eccesso di virtualità’. In tutto ciò il libro di Trivellin si dimostra estremamente attuale fornendo un contributo a tematiche che sono al centro del dibattito e sperimentazioni contemporanei, attraverso la creazione di una trama che tiene insieme storie, argomenti, visioni; pratiche, forme e materia.


introduzione Elisabetta Cianfanelli

Università degli Studi di Firenze

Il valore del non finito Il tessuto è definito come un semilavorato perché per essere utilizzato, nella maggior parte dei casi, necessita di altre lavorazioni — appunto — che ne definiscono forma ed uso. Nel suo stato non-finito ci possiamo vedere diverse letture. Artisticamente il termine richiama subito la modernità della tecnica michelangiolesca e la libertà di lasciare a chi guarda la visione creativa per completarla. A Firenze esiste il Palazzo Nonfinito così chiamato perché per varie vicende molti architetti ci hanno lavorato ma nessuno lo ha completato; sicché, benché siano chiari i contributi di ognuno, la paternità è di molti: una coprogettazione, co-design, quello che sempre accade oggi nella filiera della moda e non solo. Per tornare al tema di questo libro e al tessuto vedo in particolare due elementi di particolare interesse: • il sottolineare il linguaggio elementare che sconfina nell’astrazione progettuale e nella dimensione teorica; • la dimensione di semilavorato, di non finito che sembra la più adatta per innescare processi di innovazione. Tra questi due registri il primo che sconfina con l’elementarità,e il secondo che rappresenta spesso il punto di partenza dell’innovazione più spinta, si sviluppa tutto il linguaggio tessile. Il mondo delle applicazioni delle superfici tessili è vastissimo: dal biomedicale all’architettura, dal restauro alla moda, dai veicoli all’agricoltura. E questa trasversalità è un elemento che favorisce trasferimenti e innovazione. Esistono però, come il testo ben evidenzia, degli elementi di base che si riscontrano in tutti questi settori e che permettono di approcciare il tema con una solida conoscenza. Riportare l’attenzione su quelli che sono gli elementi comuni a tutte le applicazione del tessile, e anche gli elementi di base delle prime fasi progettuali del design, è utile sia da un punto di vista didattico sia per potere impostare ricerche sull’argomento.


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Il tema della complessità non è il focus di questo testo, tuttavia, inevitabilmente, l’autrice affronta il tema e lo declina secondo quelli che sono i temi più attuali: dalla ricerca dei materiali e dei processi in grado di ridurre gli impatti ambientali di uno dei settori produttivi più inquinanti, all’applicazione degli e-textile capaci di indirizzare le applicazione e le forme dei prodotti finali. Il testo è un ulteriore contributo dell’autrice all’argomento sul quale da sempre si confronta sia da un punto di vista teorico che pratico (molte delle immagini provengono da prototipi tessuti nel suo laboratorio) e sul quale ha dato anche in passato apporti importanti. Calenzano, 27 agosto 2019


introduzione

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textile design. elementi di base

Tessuti a mano Lino cotone, canapa

Il testo nasce per esprimere i principi della progettazione tessile che possono essere utili anche negli altri settori del design. Principi elementari in grado di indirizzare la ricerca di una logica del progetto. La scelta di fornire solo pochi accenni alla tecnica tessile ritenuti indispensabili per la generale comprensione non dipende dal fatto che non si ritenesse indispensabile tale conoscenza, ma perché questo poteva in parte esulare dal principale obiettivo. Inoltre, per chi volesse approfondire l’argomento tecnico, oggi il libro non è forse lo strumento più adatto essendoci mezzi sicuramente più efficaci, basti pensare alla realtà mediata. Dalla consultazione online è stato possibile avere un’ampia panoramica su come sia possibile declinare il tema tessitura oggi: da chi propone di tessere usando un calzascarpe come spola, alle piattaforme attraverso le quali è possibile inviare i propri progetti tessili e farli eseguire né più né meno come si eseguono progetti grafici. Tutto questo è complicato, e forse neppure così utile, restituirlo attraverso un testo. Il fatto che sull’intreccio e sulla tessitura sussistano quelle che in un precedente testo avevo chiamato ‘Diverse progettualità’ è ribadito in modo chiaro dalla rete che documenta in efficacemente il fatto che si intreccia in svariati modi e spinti diverse motivazioni che partono da esigenze professionali, terapeutiche, affettive che difficilmente possono essere circoscritte ma che rappresentano una realtà interessante che merita di essere considerata. Anche la varietà della realizzazione di telai con materiali e oggetti diversi è assai varia: tavolette di cartone o legno, cornici, scatole, cassette… Tutti questi strumenti sono compatibili con un primo approccio al mondo della tessitura che però il più delle volte si ferma alla realizzazione di un intreccio scarsamente progettato. Sembra piuttosto chiaro che molti di questi esempi non possono far parte di uno studio scientifico rivolto alle pratiche progettuali e produttive ma rivestono un interesse che per molti aspetti pur esulando dal mondo del design, con esso riesce a dialogare soprattutto quando si affrontano temi come la trasformazione della società, la sostenibilità sociale e l’autoproduzione anche a scopo non professionale.


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Ho verificato che un buon tutorial può essere molto più efficace di un libro per quanto riguarda l’apprendimento degli elementi di base della tecnica (dall’orditura, dalla montatura del telaio, all’esecuzione degli intrecci di base). Ciò che né un libro né un tutorial possono dare è il confronto con l’artigiano, con il maestro, con l’esperto tessitore. Ho potuto apprendere la tecnica tessile da insegnanti molto preparati ed ho avuto libri completi ma che non restituivano tutto quello che avevo imparato direttamente. Tuttavia mi è sempre sembrato una sforzo ingiustificato cercare di compilare un testo con l’ambizione di inserire tutta la sapienza della tecnica tessile per i motivi asseriti sopra ed anche perché sarebbe risultato ancora una volta un testo incompleto; inoltre, progettando e tessendo da qualche decennio, penso che la conoscenza tecnica di tutti i possibili intrecci codificati sia fondamentale ed indispensabile anche solo per dialogare con gli operatori del settore, tuttavia, è vero anche che approssimativamente il 90 % dei tessuti sono eseguiti con l’intreccio a tela. Il mio apprendimento è partito da un approccio applicativo per poi arrivare, tempo dopo, ad astrarre gli elementi di composizione a carattere teorico che interessano non solo l’ambito tessile. La proposta che ho cercato di fare si direziona in senso opposto rispetto al personale percorso di apprendimento che ho svolto: partendo dai principi generali del comporre, desunti dalla tessitura, si arriva agli elementi di applicazione. Questo approfondimento verrà svolto cercando di inserire il minimo riferimento alla tecnica tessile che potrebbe restituire la stessa complessità di un testo matematico. In effetti, sistema binario, soluzioni perfette, restrizioni di metodo sono criteri comuni con questa disciplina e molti studi e applicazioni del mondo informatico partono proprio dal linguaggio tessile. Non si è voluto comunque neppure astrarre a tal punto la pratica tessile facendola corrispondere a funzioni matematiche, ma più semplicemente cercare di mostrare che la maggioranza degli elementi alla base della progettazione tessile, possono essere utili anche in altri settori progettuali e che questo ambito esprimendosi con un prodotto planare, strutturale e formale — se non decorativo — raccoglie gli elementi di base del comporre. Un linguaggio fatto di elementi semplici che, combinati tra loro possono generare soluzioni sempre diverse. Quando ho cominciato ad impostare questo testo, avevo pensato di illustrare i parallelismi tra grafica e arti tessili ma successivamente, pur nella similitudine tra i due settori per la natura planare e per l’uso di elementi modulari (stampa a caratteri mobili che spesso viene associata alla tessitura come tecnica protoindustriale), appariva una limitazione e una forzatura visti gli elementi di diversità.


textile design. elementi di base

Le parti di questo testo sono state organizzate in modo da esprimere, come già accennato, un percorso di avvicinamento progressivo più che dalla teoria alla pratica dall’astrazione alla concretezza. I primi cinque capitoli si occupano di quale possa essere il ruolo delle superfici nel progetto di design e quali siano elementi basilari che molto spesso hanno elementi comuni con il mondo naturale. A seguire ho inserito una sezione di immagini che illustrano l’idea di modularità espressa a parole nelle pagine precedente. Si tratta della selezione di una serie di scatti che ho archiviato negli anni proprio in virtù di questo mio interesse. Successivamente ho raccolto quelle che, in un primo momento, avevo chiamato Azioni preliminari ma che in realtà sono già azioni fortemente riferite al processo progettuale. Quanto misura? quanto deve essere? dove deve arrivare? Sono domande che definiscono il progetto come lo definisce la scelta del materiale, l’ordine degli elementi e l’orientamento nello spazio e all’interno del ‘campo’ di progetto. In questa sezione si illustra il significato che possono avere in ambito tessile le azioni prescelte e come le si esercitano da un punto di vista pratico. Segue poi una parte dedicata alla trasformazioni (o deformazioni?) che spesso imponiamo al progetto e come questi siamo anche da considerarsi una buona pratica formativa per non accontentarsi mai del primo risultato elaborato. Ho poi inserito alcuni Box dove affronto temi non del tutto coesi con il testo ma coerenti con l’argomento: una sorta di approfondimenti tematici. Infine la sezione delle proposte tessili innovative che a me e alle curatrici della sezione (Elisa Matteucci e Margherita Vacca) ci sono apparse interessanti tra le numerosissime proposte oggi esistenti. I criteri di selezione hanno voluto spaziare dalla ricerca al prodotto finito fino all’offerta di servizio cercando di avere un’attenzione particolare alle esperienze di sostenibilità inserite nelle logiche di economia circolare secondo anche lo spirito ed i metodi portati aventi dal Laboratorio di Design per la Sostenibilità del Dipartimento di Architettura nel quale svolgiamo attività di ricerca. Introdurre alla complessità del mondo tessile, costituito da microelementi tutti connessi tra loro che sembrano avere scarso significato se esaminati singolarmente e capire, quindi, quanta progettualità caratterizza la realizzazione tessile e di come questo possa essere considerato un insegnamento basilare anche per gli altri ambiti progettuali, è l’obiettivo che mi sono posta.

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INSERIRE IMMAGINE A TUTTA PAGINA


esercizi di stile su un’arte utile

Rug tessuto a mano trame di ghinea strappata e ordito in fibre miste

Le strutture della tecnica tessile, sviluppate migliaia di anni fa, sono rimaste pressoché inalterate e permettono infinite variazioni ed interpretazioni creative in un ‘ambiente’ di regole molto restrittive: una sorta di alfabeto, che ha portato ad elaborare quello che può considerarsi un vero e proprio linguaggio. La tecnica non può quindi essere considerata un limite alla creatività ma, al contrario, nell’osservazione delle regole e nell’adattamento ai vincoli uno stimolo alla disciplinata ricerca progettuale. Riservare una particolare attenzione alla tessitura rispetto ad altre lavorazioni è dovuto principalmente ad una passione personale che ha permesso di approfondirne due motivi di particolare attrazione tanto da potere acquisire il valore di indirizzi metodologiche: • presenza di schemi primigeni chiari e vincolati, • natura bidimensionale dei prodotti tessili. È possibile, quindi, interpretare la tessitura come una sorta di abaco di componenti elementari prevalentemente astratto capace di esprimere l’essenza delle regole compositive riferibili ad una spazialità planare. I diversi contributi teorico critico che hanno evidenziato l’alta dignità di quelle che sono state definite, secondo i contesti e i periodi storici, arti minori, arti utili, arti applicate e arti industriali, evidenziano l’imprescindibile legame tra una componente tecnica e una creativa dove la seconda non può pensarsi sviluppata in autonomia dalla prima1. Secondo alcuni teorici lo stretto rapporto tra esecuzione e progetto creativo ha fatto supporre che le arti utili si siano sviluppate in tempi più remoti rispetto a quelle che soddisfano la sola componente spirituale. Tra coloro che hanno contribuito all’elaborazione di questa tesi occorre citare Gotfried Semper che nel suo Der Stil in den Technischen und Tektonischen Kunsten2 considera la tessitura come l’arte primigenia in assoluto. In essa egli ha saputo leggere Il testo che forse, meglio di altri approfondisce in maniera sistematica l’argomento è Bologna Ferdinando, Dalle arti minori all’industrial design, Roma.Bari, Laterza, 1972, pp. 310. 2 La versione consultata è Lo stile, Laterza Roma-Bari, 1992. 1


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Paul Klee, Vocal Fabric of the Singer Rosa Silber 1922,Acquarello e inchiostro su tessuto, MoMa New York

pagina a fronte Cannellato per ordito da 4 Armatura derivata dalla tela tessuta su telaio a mano

alcuni elementi strutturali frutto della necessità esecutiva, che hanno assunto un valore estetico, non solo nell’ambito di questa tecnica ma anche in altre categorie costruttive. Sembra vero, comunque che attraverso i due elementi principali schematizzati in precedenza, e cioè la presenza nella tessitura di schemi chiari e vincolati e la natura bidimensionale dei prodotti tessili, è stata organizzata una sorta di sintassi capace di esprimere le diverse strutture del comporre.


esercizi di stile su un’arte utile

Indagare la natura bidimensionale porta da un lato a considerare l’assenza o la poca matericità che, forse, per questo attributo, può dialogare in modo più semplice con l’espressione caratteristica di questo tempo e cioè il digitale (per certi versi quindi una dimensione reale ma non materica), dall’altro è la dimensione che esprime di per sé una bassa complessità e che permette al designer di dominare il progetto con un minore numero di strumenti. In qualche modo, quindi, forse con una certa arbitrarietà, si cerca di attribuire al textile design il valore di un linguaggio compositivo di base. Se ripercorriamo la storia della didattica del design grafica e tessitura sono state spesso ambiti nei quali si sono fatti confrontare gli allievi con una minore esperienza progettuale e solo in tempi più recenti hanno acquisito maggiore importanza. L’esempio più noto e significativo è il laboratorio di tessitura del Bauhaus dove Klee e Itten hanno insegnato e dove hanno elaborato le loro teorie a partire da quelle esperienze. In en-

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Tela doppia tubolare in quattro sezioni Filati lana 100%

pagina a fronte Tela doppia alternata. Armatura Nella parte in basso la rincorsatura per eseguire l’intreccio su telaio a otto licci

trambe i casi, però, si è sentita la necessità di astrarre dall’applicazione tessile i risultati dei propri studi nei quali il contesto di partenza è rimasto parzialmente in ombra. Non è forse un caso, quindi, se da due ambiti del design che esprimono la dimensione planare e quindi una semplicità linguistica, si siano sviluppati processi di serializzazione prima che in altri settori: molti considerano l’invenzione della stampa a caratteri mobili l’inizio della serializzazione e della produzione industriale; altri preferiscono vedere questo inizio nella concezione stessa dell’artefatto tessile dove il processo di riproduzione modulare si esprime nella struttura e negli effetti. Che l’intreccio tessile ortogonale con i suoi codici e le sue infinite possibilità di variazioni possa esprimere un metodo in parte trasferibile ad altri tipi di progettazione forse è stato in parte chiarito, ma cosa rende questo processo definibile come ‘Esercizi di stile’? Qualche anno fa questo titolo fu preso in prestito da Raymond Queneau strutturando percorsi didattici che vertevano sugli elementi di base del design e sulla rappresentazione, e che avevano alcuni elementi comuni con ciò che viene qui descritto. Partendo dal disegno dal vero di un elemento naturale, in genere ortaggi, frutta, conchiglie e crostacei, gli studenti erano portati a fare alcune variazioni sull’elemento disegnato: uso di un solo colore compatto, un numero limitato di colori compatti, tratto uniforme, tratto continuo, scala di grigi, bianco e nero compatto. Dalle variazioni venivano individuati gli elementi di forza del soggetto che poi venivano interpretati in chiave proget-


esercizi di stile su un’arte utile

tuale. L’interpretazione poteva seguire un percorso formale, strutturale, funzionale e partiva dalle considerazioni esplicitate attraverso il percorso grafico. Il parallelo con il lavoro lo scrittore francese, in un primo momento, era sembrato suggestivo. In questo specifico contesto, è opportuno domandarci, vista anche l’importanza del prestito, se tra la tessitura — che su una base strutturale costante produce risultati diversi col variare dei diversi elementi costitutivi dell’artefatto (colori, strutture, materiali) — e l’esercizio letterario — che sul un testo arbitrario applica delle strutture consolidate — ci possano essere delle analogie. Forse il parallelismo non è poi così evidente. C’è però ancora una questione di metodo da prendere in considerazione. Come ci ricorda Umberto Eco il gioco letterario rigorosamente casuale mette il relazione la regola e il gioco l’imprevisto con la struttura consolidata senza procedere “in modo meccanico, ma tiene d’occhio, per così dire, anche le esigenze dell’orecchio”3. E con questo riferimento alla percezione sinestetica ci permette di dire che il progetto della superficie che, per molti versi, si assimila alla composizione grafica, e quindi anche alla composizione del testo nella pagina, tiene d’occhio anche le esigenze della mano.

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Eco Umberto, Introduzione, p. XI in Queneau Raymond, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, ed. 6, 2011, pp. 320.

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Esercizi di studio della forma e del segno Corso di Laurea in Disegno Industriale Corso di progettazione I

Questo approccio non rigoroso può forse aprire soluzioni o letture nuove. La radice etimologica di testo e tessuto, è la stessa, e veicola il significato di intreccio. Ed è interessante sottolineare come entrambi siano in grado di generare infinite soluzioni partendo da un limitato numero di elementi. Ma, superando il riferimento letterario sono i due termini — esercizio e stile — che ci interessano particolarmente sempre riferiti all’ambito in esame: il primo, esercizio, ci rimanda proprio all’apprendimento tacito che vedeva come principale luogo di riferimento la bottega artigiana: una formazione, un addestramento ripetitivo alla base di tutte le abilità manuali che, nel caso del tessile, si rafforza attraverso gli schemi modulari delle strutture di intreccio. Il secondo, lo ‘stile’, fu risemantizzato da Gio Ponti, che ne fece il nome di una delle sue riviste e lo rese sinonimo di buon design. Questo processo fu attuato grazie alla particolare attenzione del progettista per la produzione delle manifatture, anche con impronta ar-


esercizi di stile su un’arte utile

tigiana, rispondendo ad esperienze progettuali che avevano l’obiettivo di semplificare forme e linguaggi partendo da esigenze estetiche prima che produttive. Ed è questo la sfaccettatura di stile che piĂš ci interesse analizzare. Esercizio come mestiere e stile come attitudine al valore della ricerca estetica sono gli elementi guida di questo percorso.

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BAUHAUS e tessitura I laboratori sono stati l’anima del programma del Bauhaus e il laboratorio tessile pur essendo stato quello che può vantare la più lunga attività, non ha ricevuto l’attenzione che forse avrebbe meritato. La sezione tessile è stata frequentata quasi esclusivamente da donne che accedevano a questa disciplina per spostarsi poi su altre. Inoltre se si analizza un arredo come una poltrona o una sedia alla struttura viene dato un valore superiore che al rivestimento. La sezione tessile era vista come il passo successivo alla formazione di base: una disciplina che non si esprimeva come completamente a se stante, un’attività creativa non completamente indipendente. È interessante trattare, anche se brevemente quella che può essere definita ‘la questione femminile’. Tradizionalmente Le attività tessili nel mondo sono sempre state eseguite o da uomini o da donne ma mai donne e uomini contemporaneamente. Il programma del Bauhaus si proponeva di superare questa spartizione sessista perseguendo l’obiettivo di formare professionisti con abilità estetiche e tecniche. All’interno dei laboratori erano presenti i maestri di forma responsabili della teoria e del progetto creativo e dei maestri di mestiere che insegnavano la tecnica. I criteri di ammissione alla scuola non prevedevano nessuna distinzione tra uomini e donne e le domande di ammissione di queste ultime furono inizialmente di gran lunga


introduzione

superiori rispetto a quelle degli uomini. Il consiglio dei docenti istituì un Dipartimento femminile e nel 1920 lo stesso Gropius propone una rigida selezione soprattutto per le donne. In quell’anno su 137 nuovi iscritti 59 furono donne. Dopo il corso preliminare le ragazze venivano indirizzate nei laboratori di tessitura, rilegatura e ceramica. Pochissime riuscirono a frequentare laboratori di pittura, falegnameria o metalli. Il laboratorio tessile era una sorta di rifugio per le studentesse del Bauhaus anche perché nel 1922 Rilegatura chiuse e la sezione Ceramica si presentava ancora ostile all’inserimento delle donne. Nel laboratorio tessile esisteva poi una difficoltà che era quella dell’apprendimento delle tecniche che non potevano essere assimilate in modo istintivo o secondo liberi tentativi ma prevedevano l’applicazione di una disciplina. Qui le esperienze di Itten, e ancora più di Klee, approfondivano i temi dei corsi preliminari dove gli studenti erano liberi di esplorare nuove forme e materiali ma, al tempo stesso, a differenza di altri laboratori, persisteva un approccio generico se si escludeva l’apprendimento di tipo tecnico proprio per la mancanza di competenze specifiche dei maestri di forma. L’adesione al laboratorio tessile non era quindi per molte studentesse proprio spontanea. Le studentesse erano di tre tipi: coloro che erano di passaggio e che dopo la scuola non intrapresero nessuna attività artistico professionale; coloro che frequentarono la sezione ma che poi si sono dedicate ad altro come Ré Soupault regista cinematografica e fotografa; le vere appassionate che fecero della tessitura la loro professione. Nel laboratorio tessile si rese visibile e si concretizzò il passaggio da lavoro artigiano a progetto per l’industria. Significativa è in proposito la frase di Anni Alberts: L’artigiano è oggi escluso dal grande processo di produzione industriale; il designer invece gli appartiene. (Weltge, 1993, p. 97)

Il laboratorio che con i propri prodotti negli anni di Weimar avevano contribuito al bilancio della scuola sposta, precocemente rispetto agli altri settori, la sua attenzione decisamente sul progetto per la produzione di massa senza però rinunciare per quanto riguarda la formazione didattica, alla conoscenza delle tecniche artigiane manuali. Oggi il processo tecnico meccanizzato non è ancora abbastanza evoluto da consentire le stesse possibilità creative della tessitura manuale e, siccome questa è essenziale alla crescita di una persona, noi lavoriamo soprattutto sul manuale; perché solo il lavoro sul telaio manuale dà sufficiente libertà di sviluppare un’idea da un esperimento all’altro. (Gunta Stölzl in Weltge, 1993, p. 97)

La tecnica esecutiva industrializzata si è molto evoluta permettendo molte più possibilità creative; ma ciò non toglie che il passaggio della progettazione attraverso la tecnica manuale rimanga in molti casi valido e auspicabile.

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il valore della superficie

Panno in lana Filato bouclé e cardato

Il termine tessuto, in relazione al mondo materiale, costituisce frequentemente la superficie esterna di corpi e cose andandone a vestire, o rivestire, e definire le forme: dal derma, alle cortecce, agli artefatti tessili. Secondo Gottfried Semper l’arte tessile è da considerarsi l’arte primigenia non solo perché da essa tutte le altre arti hanno derivato tipi e simboli, ma soprattutto perché soddisfa uno dei più importanti principi costruttivi e cioè quello del rivestimento (Semper, 1863). In questi termini la tesi risulta essere molto affascinante e, seppure l’intuizione sembri nascere dall’osservazione prevalente dell’artefatto architettonico, egli illustra poi il principio anche attraverso altri materiali naturali e artificiali quali pelle, corteccia di albero, pelliccia, caucciù fino, appunto, alle strutture tessili. Un ulteriore sviluppo si ha passando dal concetto di rivestimento a quello di superficie (Riegl) come struttura bidimensionale autonoma in quanto nel costruito esistono due parti in contrasto tra loro: la prima definisce lo spazio e la seconda i limiti dello spazio. Il progetto della superficie non riguarda quindi solo gli elaborati bidimensionali, perché il progetto di elementi concepiti per piani e non per volumi sta avendo una crescente attenzione grazie anche alle sempre più estese superfici mutevoli ed interattive dai device agli abiti, alle architetture che permettono trasmettere diverse sensazioni in virtù dei cambiamenti di intensità di luce, di colori, di immagini. Tale fenomeno, secondo Paul Virilio, è l’espressione della terza dimensione della materia — l’informazione — accanto alla massa e all’energia: Bisogna considerare la materia come informazione? Evidentemente si: la pietra è informazione ma questo approccio alla materia ci fa perdere, forse, il contatto fisico1.

L’informatica ha influito quindi ben oltre il mezzo andando a incidere sulla parte del prodotto. E non solo nell’ambito della informazione /comunicazione. Questo capitolo è stato elaborato partendo dall’articolo Tessuto: matrice di superfici evolute, MD Journal, n.1,2016, pp.42-53. 1 http://www.caffeeuropa.it/attualita/66filosofia-virilio.html


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Falda intrecciata Ordito in cotone e trame ricavate da vecchi tessuti di cotone stracciati

In ambito tessile si agisce sulla costruzione di supporti materici che usano questa caratteristica per esprimere la natura della superficie. Se nel primo caso infatti la superficie materiale o immateriale è un supporto che viene trattato e l’insieme dei due elementi genera il prodotto finale, nel design tessile la superficie è struttura e in molti casi non è possibile distinguerla dall’effetto della superficie2. L’interpretazione riduttiva della tesi di Semper ha attribuito al rivestimento un prevalente carattere decorativo-ornamentale rispetto a quello materico-strutturale andando a suggerire, in modo non sempre esplicito, una corrispondenza tra superficie e percezione visiva. Dalla metà dell’Ottocento è possibile documentare che gli studi sulla composizione bidimensionale dell’ornamento valorizzano sempre più frequentemente temi riferibili alla standardizzazione e alla serialità, caratteristiche queste, tipiche, anche se non esclusive, del linguaggio tessile. Se è vero, infatti, che l’attenzione per lo standard e la serie diventano temi comuni a tutti gli ambiti della progettazione artistica, riferendosi agli intrecci, tale attenzione porta ad indagare quelle che possono essere considerate le regole basilari della logica del comporre e che trovano nel pattern la rappresentazione più rilevante. 2 Molti trattamenti di rifinizione sono in grado di trasformare l’aspetto del tessuto e di non rendere così univoco il rapporto struttura-superficie. Anche una semplice follatura può essere un grado di nascondere la struttura tessile che costituisce l’intreccio. (se è il caso approfondire)


il valore della superficie

Numerosi sono gli studi teorici a testimonianza di questa interpretazione che mira alla ricerca della struttura generatrice dell’ornamento3; un esempio è il lavoro di Lewis F. Day The Anatomy of Pattern (1887). In fin dei conti, la texture cioè la sensibilizzazione uniforme di una superficie piana (Munari, [1968], 1993, p. 19), secondo quanto definito da Munari4, può essere la trasposizione su molti supporto di attributi estetici/comunicativi propri degli intrecci: quasi che il tessuto, cessando di assolvere il ruolo di rivestimento, lasciasse memoria della sua natura nelle superfici esterne degli oggetti: l’astrazione dell’involucro attraverso un effetto di superficie. Questo effetto non viene trasmesso soltanto da una percezione visiva ma anche aptica e sonora, come avremo modo di sviluppare più avanti. Ciò detto, espressioni quali tattilità visiva, acquistano uno specifico significato esprimendo un approccio sinestetico dove, comunque, l’occhio prevale sulla mano, sono da ripensare in funzione di una reale polisensorialità. Proprio in tal senso, nel testo transdisciplinare La pelle del design, le superfici sono interpretate come “la sede della gestione e della creazione dei nuovi significati della materia, il territorio reale dove passa l’innovazione” (Fiorani, Dal Curto, Passaro, 2010, p. 67). Questa lettura è sviluppata in modo specifico alle superfici tessili nello scritto contenuto nel catalogo della mostra Textile Vivant che si è svolta alla Triennale dall’11 settembre al 9 novembre 2014 dove Eleonora Fiorani sostiene che il tessuto è da intendersi sempre più come una vera e propria seconda pelle e, in modo specifico all’interno del contesto abbigliativo, rappresenta una superficie complessa dove le diverse specificità estetiche, funzionali e comunicative, si integrano (Fiorani, 2014). A questa visione dettero inizio i designer italiani degli anni Settanta che, per primi, mostrarono un interesse nuovo nei confronti della superficie come valore conoscitivo capace di mettere in comunicazione l’esterno con l’interno e di considerare le cose non solo per ciò che esse sono ma anche per ciò che esse appaiono. Scrive Andrea Branzi, uno dei protagonisti di quella stagione: Non è un caso che sia stato proprio il Nuovo Design Italiano durante gli anni Settanta a proporre una nuova interpretazione, oltre che tecnica, del tessile. Esso infatti si faceva portatore di questa diversa attenzione verso tutti i valori superficiali dell’ambiente, dove ‘superficiale’ non vuol dire soltanto decorativo, ma al contrario significa valore conoscitivo nuovo, che a partire dalle superfici permette di realizzare una nuova interfaccia con questo, una nuova e completa forma di conoscenza della realtà. (Branzi, 1991, p. 7) Per un orientamento generale sul tema si veda Gombrich,1984, in particolare pp. 83-114. Gyorgy Kepes mette in relazione la texture al progresso tecnologico generatore di una nuova ricchezza di superfici frutto della civiltà meccanica e dei nuovi materiali. Contemporaneamente ad essa riconosce un impulso sensorio ricco di qualità tattili (Kepes, 1944, p. 166) 3 4

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In poco più di un secolo, quindi, anche l’analisi teorica riconosce al linguaggio tessile una complessità espressiva e comunicativa che sembra concretizzarsi con pienezza nelle esperienze contemporanee le quali, sempre più frequentemente, riescono a travalicare i tradizionali ambiti di applicazione alla ricerca di continue trasformazioni. Sembra proprio essere il mutamento la cifra più caratteristica del tessile contemporaneo. In qualche modo quindi ci si avvicina al concetto di superficie come interfaccia, cioè come superficie di scambio di informazioni, di energie, di comunicazione. La superficie mette in comunicazione l’esterno con l’interno, il fuori con il dentro. In uno scritto non proprio recente ma per molti aspetti ancora attuale, Gui Bonsiepe definisce l’interfaccia come l’ambito centrale verso il quale si orienta l’interesse del disegnatore industriale [ed essa] rende accessibile il carattere strumentale degli oggetti e il contenuto comunicativo delle informazioni. (Bonsiepe, 1995, pp. 264)

Secondo Daniela Calabi progettare texture vuol dire considerare, sempre in proiezione progettuale, la loro valenza di interfacce, ponendosi tra chi guarda ed interagisce e l’essenza stessa degli artefatti. Va da se quindi che quando l’oggetto è superficie come accade nel caso degli abiti, l’oggetto è un artefatto con il prevalente carattere comunicativo. (Calabi, 2003, p. 60)

Il valore della superficie sia essa reale o virtuale ha avuto nuove attenzioni negli ultimi anni. Esse hanno riconquistato un’autonomia trasponendo caratteristiche teoriche e pratiche dal virtuale al reale. In modo specifico contestualizzando l’affermazione al campo tessile quelli che apparivano limiti di un contesto progettuale adesso possono essere considerate risorse. Il tessuto può avere molti attributi tecnologici e biologici in sé capaci di caratterizzarlo in modo evidente e in grado di indirizzare decisamente il prodotto finale in ambito comunicativo.


pattern, texture, ripetizioni

I tre termini assunti come titolo non sono usati in modo esclusivo in campo creativo visivo; essi si ritrovano con frequenza anche nella musica, nella letteratura, o nelle discipline scientifiche. Il significato che assumono è tuttavia affine a descrivere entità spaziali dove esiste una struttura continua ed omogenea, potremmo dire con assenza di vuoti. Questa è la caratteristica fondamentale della texture, del pattern degli elementi ripetuti senza soluzione di continuità. Il primo significato di texture si riferisce alla distribuzione dei fili nel tessuto (Hazon), in modo esteso alla struttura e alla sua percezione. Questa percezione può essere visiva o tattile e quindi la texture interessa la sensorialità. Secondo la definizione data da Del Curto, Fiorani e Passaro la texture è la caratterizzazione visiva e/o tattile di superfici derivanti dall’interazione di una moltitudine di piccoli elementi. Può essere naturale, cioè non indotta dall’intervento dell’uomo, o artificiale, casuale, quindi non legata ad alcuna regola, o geometrica, che segue una legge più o meno regolare[…]. L’occhio vede oggetti con una superficie sensibilizzata o texturizzata e ne riconosce la natura. Allo stesso modo, la pelle riconosce le variazioni presenti sulla superficie e ne ridisegna mentalmente il profilo. Ogni tipo di grana, zigrinatura, tessitura trasmette un significato. (Del curto, Fiorani, Passaro, 2010, p. 138)

Possiamo condividere questa definizione e vederla in qualche modo anche affine a quella che Munari esprime nel testo Design e comunicazione visiva citato in precedenza. Il termine pattern, in questo contesto, trova il suo corrispondente italiano più vicino nel modello come matrice di una serie o, in modo più specifico, ‘modulo’ come unità ripetibile (Hazon). Possiamo dire che pattern e modulo (module sia in inglese che in francese) esprimono un tratto in condivisione. Pattern riguarda la struttura compositiva partendo appunto dall’entità elementare; modulo quella dei rapporti dimensionali. Nell’analisi della superficie tessile queste due componenti sono ugualmente significativi e vanno a rappresentare proprio quei due mondi che compongono il fare in generale: il design e l’esercizio della pratica esecutiva. E sembra utile a questo punto ricordare che nell’anali-


Combinazione di intrecci per maglieria Padiglione tendenze Pitti Filati gennaio 2014

si che Ferdinando Bologna propone nel suo testo Dalle arti minori all’industriale Design (…), scrive che anche in epoca rinascimentale, dove l’atto progettuale di natura teorica ha trovato la sua prima e completa valorizzazione, questo non è mai entrata in conflitto o andata a detrimento dell’esercizio e della pratica e che l’alto artigianato non ha prediletto il pezzo unico rispetto alla serie. Vista in quest’ottica, la ripetizione, trova una corrispondenza visiva e concettuale tra l’azione e il risultato e queste due componenti, sembrano sovrapporsi e rafforzarsi nell’ambito tessile dove l’azione fattuale e il risultato sono fondati proprio sul ripetere.


pattern, texture, ripetizioni

Leggere la qualità di un prodotto artistico artigianale o industriale indipendentemente dal fatto di essere pezzo unico o multiplo è, tutto sommato, una conquista piuttosto recente ma che fa interpretare percorsi progettuali impostati su serie o su elementi modulari come a strade che possono dare oggi risultati ancora inesplorati1. Se, quindi, tra le principali caratteristiche del design e dell’esecuzione tessile, c’è la ripetizione sembra, a questo punto, è necessario introdurre il tema del modulo questione assai complessa anche perché la sua definizione ha a che fare con il canone e la proporzione, della cultura classica occidentale. La ricerca di unità formali pre-progettate ed, eventualmente, prefabbricate, implica, da un lato, la progressiva riduzione della molteplice varietà delle forme e, dall’altro, la determinazione di uno o più metodi di associazione e combinazione delle forme stesse, ciò che dà luogo a una precostituita metodologia della progettazione. Il problema del modulo e della modulazione concerne, in gran parte, la teoria delle proporzioni, ma interessa anche direttamente il problema della progettazione, in quanto fissa un dato di partenza, il modulo come forma o come virtualità della forma, e un sistema di riporto e sviluppo del modulo stesso nella totalità e unità dell’artefatto (EUA vol. XI 60-61).

Per ora questa accezione del termine ci è sufficiente; non è necessario ampliarlo nel significato di misura del tutto. Ci interessa, in questo ambito, come porzione elementare che, nella sua iterazione, è capace di costituire un tutto. Secondo il vocabolario Treccani della Lingua italiana modulo diminutivo di modus, dal latino misura, significa In genere, misura, forma, esemplare, che si assume come modello a cui attenersi, o come elemento fondamentale secondo il quale determinare o proporzionare le misure di un insieme; unità elementare costitutiva di un insieme, detto appunto ‘modulare’1, formato dalla replica (lineare, superficiale o spaziale) di quell’unità secondo date regole di simmetria e scansione2.

Si tratta quindi della parte più piccola che ripetuta secondo diverse leggi costituisce la conformazione della superficie. Nella grafica, non di rado, lo spazio relativo alla progettazione è un campo finito; così come lo sono gli spazi di dialogo delle interfacce. Non è così per la progettazione tessile che con maggiore frequenza tratta linee e superfici illimitate. Per questo motivo il concetto di modulo come unità ripetibile risulta di grande importanza. 1 Superata la stagione della fiducia nel componente edilizio in grado di ridurre i costi, i tempi di lavorazione tipica degli anni ’70 dello scorso secolo soprattutto rivolta alla produzione edilizia, oggi la progettazione attraverso un abaco di componenti o la composizione di moduli ha riacquistato un forte interesse soprattutto in relazione col custum design dove la definizione dell’ultima fase del progetto viene eseguita dall’utente utilizzatore. In pratica il progettista mette a disposizione degli strumenti e termina il proprio ruolo in una fase precedente a quella che si è avuta fino a questo momento. 2 <http://www.treccani.it/vocabolario/modulo/> (12/18).

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Safari Divano componibile modulare, 1966. Designer Archizoom

pagina a fronte Libreria Cloud 2004. Designer Ronan e Erwan Bouroullec

In merito a questo possiamo introdurre due tipi di modulo: il modulo strutturale e il modulo visivo, il primo legato al concetto di Pattern e il secondo al concetto di texture. Riferendoci a quello che abbiamo affermato essere il modulo visivo Eugenio Battisti alla voce Ornato dell’EUA, scrive: Risulta evidente che uno studio puramente astratto dei singoli motivi ornamentali, isolati dal loro contesto storico e semantico e classificati in una sorta di tipologia sistemica universale, non avrebbe, in se, un’autentica giustificazione critica, tuttavia, esistono, soprattutto nei manuali rassegne tipologiche non prive di una certa pratica utilità di orientamento. (EUA vol X 260)

È immediata la riconoscibilità di motivi di derivazione tessile tra quelli nominati tecnico-architettonici: Cordone, intreccio, traforo, scanalatura, corona e risega. Dai motivi tecnici e naturalistici risultano derivare le astrazioni dei motivi geometrici. Le realizzazioni tessili permettono, come le altre lavorazioni artigianali, di fabbricare elaborati compiuti e finiti come tappeti o arazzi che possono essere pezzi unici o elementi di serie (assimilabili alla stampa artistica di multipli numerati) oppure artefatti dove un elemento modulare viene ripetuto n volte in modo teoricamente illimitato dando origine ad un semilavorato che necessita di ulteriori fasi di lavorazioni per poter trovare un utilizzo. In tutti e due i casi ci riferiamo in genere a realizzazioni eseguite con tessiture ortogonali;


pattern, texture, ripetizioni

in tutti e due i casi abbiamo tue tipi di elementi che si vanno a sovrapporre nello stesso elaborato: il modulo strutturale e il modulo visivo. Il modulo strutturale trova una sua più specifica applicazione nel rapporto di armatura definibile come il numero minimo di fili e di trame necessario per comporre la struttura tessile e indica secondo quale sequenza i fili di ordito e trama devono essere intrecciati. Tale modulo può avere poco o molto a che fare con quello che poi sarà l’effetto finale dell’artefatto: gli arazzi medicei e i taffetà hanno la stessa struttura di intreccio ma diversissimo effetto finale.

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Prove di stampa serigrafica Campionatura su tessuto jeans

pagina a fronte Esempio di rapporto continuo Tessuto stampato

Le armature fondamentali sono tre e rappresentano tre distinte concezioni di superficie: la tela, la saia o spina, il raso. Si tratta di tre schemi che hanno generato tre famiglie di intrecci e che, nel loro insieme costituiscono i tessuti semplici cioè formati da un ordito e una serie di trame, dove i fili di ordito non si sovrappongono mai completamente tra loro e così le trame, mentre si sovrappongono fili di ordito con trame e viceversa. In questo modo abbiamo sue sole possibilità di posizione tra i due elementi: o l’ordito passa sopra la trama o la trama passa sopra l’ordito: è importante ribadire che non sono sovrapposti più di due elementi e cioè un filo di ordito e una trama. Proprio per la sua natura. I diversi intrecci si rappresentano con un linguaggio binario fatto di quadretti pieni e vuoti, bianchi e neri. Tali rappresentazioni però non sempre sono sufficienti a illustrare la complessità di una superficie tessile che il alcuni casi si struttura come la sovrapposizione di superfici. È il caso dei tessuti composti e dei tessuti operati cioè formati da più serie di orditi e/o di trame per aiutare la comprensione della loro struttura si possono usare delle sezioni o delle rappresentazioni tridimensionali. Il rapporto di armatura nei tessuti semplici, cioè composti da una serie di fili di ordito e una serie di trame, viene ripetuto secondo uno schema continuo cioè senza interruzioni nel senso della larghezza e della lunghezza iterando il modulo per traslazione. Meno frequente è la riproduzione del rapporto speculare o simmetrico


Ci soffermiamo sui tre intrecci principali e sui loro vincoli. La tela è l’intreccio più comune, più solido, con il più piccolo modulo strutturale. Due sono i fili che si muovono con una evoluzione diversa, e due sono le trame che si muovono secondo un’evoluzione diverse. È un tessuto che non ha rovescio ed è in assoluto l’intreccio più solido. È quindi il più facile intreccio da eseguire e quello che ha bisogno di telai più elementari per realizzarlo in quanto sono solo due le famiglie di fili che si muovono in modo diverso.


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Esempio di rapporto saltato Tessuto stampato

pagina a fronte Esempio di rapporto speculare Tessuto stampato

La seconda famiglia è quella delle saie o spine tessuti che mostrano la prevalenza di ordito, in genere sul diritto, e di trama sul rovescio. Le legature tra trama e ordito definiscono linee parallele che si sviluppano diagonalmente e che, secondo le disposizioni di lavorazione possono originare a varie disegnature date dalla ripetizione del modulo in modo speculare. Il modulo più piccolo dei tessuti a spina prevede tre elementi in ordito e tre in trama che possono poi essere aumentati fino a quando il filo sciolto (definito briglia) non diviene troppo lungo. Aumentando i punti di legatura cioè ingrossando le linee parallele e diagonali, possiamo arrivare ad avere intrecci senza rovescio che prendono il nome di batavie. L’ultima famiglia dei tessuti semplici è quella dei rasi. Anche qui abbiamo la prevalenza di ordito da un lato e di trama sull’altro lato ma, a differenza delle spine i punti di intreccio o di legatura sono disposti in modo che la percezione della superficie sia più uniforme possibile. La costruzione del raso non è intuitiva e il modulo non può essere incrementato di un’unità come avviene per le spine. Si ha, infatti raso da 5 cioè con un modulo composto da cinque fili di ordito e cinque trame, raso da 8 come intrecci perfetti3. 3

Il raso ritenuto perfetto, cioè quando si ha un tessuto dove i segni di legatura non determinano un disegno, si ha


pattern, texture, ripetizioni

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Esempio di rapporto piazzato Prada collezione autunno inverno 2019/20

In genere si associa alle tre famiglie di intrecci i tre principali materiali da tessitura: in ordine cotone, lana e seta. Il cotone associato alla tela va a costituire tessuti solidi e resistenti; la struttura a spina eseguita in lana ne esalta la morbidezza, il raso di seta è un grado di esprimerne la massima lucentezza. Abbiamo accennato al rapporto di armatura e di come questo rappresenti l’unità basilare per le tre famiglie di intrecci. Non è detto però che il modulo cromatico coincida con quello strutturale: possiamo avere una tela che ha un rapporto di armatura di due fili per due trame che ha un rapporto di colore in ordino di 64 fili di cui 32 bianchi e 32 neri determinando una rigatura e una trama uniforme. Si tratta quindi di due famiglie di elementi progettuali che si vanno a sovrapporre e ad integrare. L’intreccio viene indicato con il tipo di armatura e il tipo di montatura del telaio; l’ordine con il quale si devono succedere i colori si indicano le note di orditura e le note di tessimento. Generalmente esiste un rapporto numerico tra il rapporto di armatura e il rapporto di colore affinché questi possano susseguirsi in modo compatibile (una sorta di minimo comune denominatore). quando unendo i quattro punti di legatura più vicini si può disegnare un quadrato ed un rombo. Questo avviene per il raso da 5 e per il raso da 8. La costruzione di un raso è la più complessa dei tre tessuti semplici deve considerare la grandezza del rapporto (fili e trame) e lo scoccamento ossia il modo di posizionare i punti di legatura nell’armatura. Il raso da cinque si scocca in tre: si mette un punto di legatura 8ordito sopra la trama) e si contano tre trame sopra la legatura. Sulla terza trama spostandosi sul filo di ordito adiacente sulla destra, si mette un’altra legatura e si continua per tutti i fili dell’armatura. Il raso da 8 ha scoccatura 5.


pattern, texture, ripetizioni

Spesso il rapporto di armatura, se si tratta di tessuti semplici e dal rapporto piccolo è un sottomultiplo del rapporto di colore. Seppure il nostro focus è quasi esclusivo sul textile design in relazione agli intrecci ortogonali, sembra necessaria almeno una nota sulla ripetizione delle disegnature nei tessuti stampati. Come è accaduto per la tipografia, l’evoluzione tecnica della stampa su tessuto è stata molto evidente negli ultimi decenni. Se nella tessitura i disegni sono ottenuti attraverso l’intreccio di orditi e trame, qui abbiamo un supporto sul quale secondo i diversi procedimenti di stampa, vengono impresse delle forme bidimensionali colorate. Nelle tecniche di stampa tradizionale la grandezza del modulo del disegno è subordinata all’attrezzatura (quadro per serigrafia, sviluppo del rullo da stampa…). Con la stampa digitale il disegno pur continuando ad avere vincoli per quanto riguarda l’altezza, sono stati superati per la lunghezza dipendente solo dallo sviluppo del file di stampa. È vero però che la consuetudine e l’uso dei tessuti prevedono una disegnatura che si ripeta e sia riconoscibile soprattutto nel capo di abbigliamento e quindi non tutte le possibilità tecniche sono facilmente applicabili all’atto pratico. Possono fare eccezione i disegni isolati su fondo omogeneo. Se il disegno si sviluppa su una superficie di tessuto che ha un lato del disegno inferiore all’altezza della pezza, i criteri di ripetizione sono essenzialmente tre: • Rapporto continuo o all over ottenuto dalla traslazione del modulo in orizzontale e in verticale; • Rapporto saltato ottenuto con la traslazione in verticale e, nella riga di moduli successiva lo slittamento di mezzo modulo in modo che gli angoli non coincidano più su rette orizzontali ma solo sulle verticali, oppure traslazione in orizzontale e, nella riga di moduli successiva lo slittamento di mezzo modulo in modo che gli angoli non coincidano più sulle rette verticali ma solo sulle orizzontali. Viene usato molto nell’arredamento dove la percezione del disegno si osserva su stoffe distese; • Rapporto speculare ottenuto per ripetizione su un asse di simmetria orizzontale, verticale, su entrambi le direzioni e anche su altri assi. Infine il • Rapporto piazzato è un rapporto isolato che non prevede ripetizioni e che si relaziona alla forma del prodotto finito.

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Le montature del telaio Un telaio in genere porta un numero di licci variabile da 2 a 24 e più. I licci sono cornici sulle quali sono inserite le maglie all’interno delle quali sono passati i fili. Il movimento dei licci determina l’intreccio. Il rimettaggio o rincorsatura consiste nel passare i fili di ordito nelle maglie dei licci. Partendo dall’armatura e calcolando il numero dei fili che si muovono diversamente tra loro — tecnicamente si dice fili ad evoluzione diversa — possiamo sapere quanti sono il numeri di licci necessari per eseguire una certa armatura. Esaminiamo l’armatura a tela. Il numero di fili ad evoluzione diversa è due e quindi sono necessari due licci. Ipotizziamo di avere un ordito di cento fili quale sarà l’ordine con il quale devo rincorsare?


introduzione

• Il primo filo andrà sulla prima maglia del primo liccio; • il secondo filo sulla prima maglia del secondo liccio; • il terzo filo sulla seconda maglia del primo liccio; • il quarto filo sulla seconda maglia del secondo liccio e così via avendo, avendo infine sul primo liccio tutti i fili dispari e sul secondo liccio tutti i fili pari. Tutte le armature derivate dalla tela e cioè i cannellati per trama e per ordito regolari e irregolari e le stoie regolari e irregolari possono essere eseguite con un telaio a due licci. Con il rimettaggio descritto precedentemente non tutte le armature citate possono essere eseguite. Solo i cannellati per ordito regolari e irregolari possono essere realizzati con una montatura dove i fili dispari stanno sul primo liccio e i pari sul secondo. Il cannellato per ordito si ottiene accostando ai due diversi punti pieni altri punti pieni simmetricamente oppure no come se si ‘stirasse’ l’armatura in verticale. All’atto pratico vuol dire che nello stesso passo ovvero con la stessa alzata, si inseriscono più di una trama secondo le indicazioni dell’armatura stessa. Quindi ci sono più trame accostate che si muovono con la stessa evoluzione. Nel caso del cannellato per trama lo ‘stiramento’ avviene in senso orizzontale e sono i fili di ordito vicino che si trovano a lavorare con uguale evoluzione. Ipotizziamo di avere il più piccolo cannellato per trama dove i fili di ordito lavorano a coppie e di volerlo eseguire con un telaio a due licci: • il primo filo viene infilato nella prima maglia del primo liccio; • il secondo filo nella seconda maglia del primo liccio; • il terzo filo sulla prima maglia del secondo liccio; • il quarto filo sulla seconda maglia del secondo liccio; • il quinto filo sulla terza maglia del primo liccio e così via. In questo caso i fili che hanno uguale evoluzione sono montati sullo stesso liccio. La stesso tipo di rimettaggio può essere usato per eseguite le stoie che sono ‘stirate’ sia nel verso dell’ordito che della trama. Nel caso della tela e del cannellato il rimettaggio può essere definito seguito; nel caso del cannellato per trama e delle stoie si definisce ridotto. Nel caso abbia a disposizione un telaio da otto licci invece che da due come mi dovrei comportare? Se monto il telaio con un rimettaggio seguito posso eseguire la tela e tutti i suoi derivati con la stessa montatura? E quali sono le eventuali altre armature che posso eseguire?

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Per montare un telaio ad otto licci infilerò: • il primo filo nella maglia del primo liccio; • il secondo filo nella prima maglia del secondo liccio; • il terzo filo nella prima maglia del terzo liccio • il quarto filo nella prima maglia del quarto liccio • il quinto filo nella prima maglia del quinto liccio • il sesto filo nella prima maglia del sesto liccio • il settimo filo nella prima maglia del settimo liccio • l’ ottavo filo nella prima maglia dell’ottavo liccio • ricominciando poi col nono filo sul primo liccio Per rendere compatibile la mia montatura con l’armatura ripeto l’armatura quattro volte Per eseguire la tela alzo tutti i licci dispari passo la trama; cambio il passo alzando tutti i licci pari e passo un’altra trama e così via. Nel caso del cannellato inserirò nello stesso passo il numero di trame indicate. Per eseguire un cannellato per trama da 4 devo fare muovere il primo ed il secondo filo insieme, e il terzo e il quarto insieme. Il numero dei fili del rapporto è quattro e il numero dei fili del rimettaggio è otto. Quindi su questa montatura ripeto il rapporto di armatura due volte. Questo porterà ad avere le seguenti alzate: 12

56 34

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Per una stoia da quattro le alzate diventeranno: 12 12

56 56 34 34

78 78

Capito questo è facile capire che quando vado a rincorsare un telaio è bene che calcoli il numero dei fili da ordire in relazione al numero dei licci e che ripeterò l’infilatura ‘seguita’ dal primo all’ottavo liccio ripetuta tante volte fino all’esaurimento dei fili. Il rimettaggio seguito esprime una ripetizione che obbedisce alle leggi della traslazione sia per il rapporto di armatura che per il rimettaggio. Con questa montatura è possibile eseguire molte armature diagonali e il raso da otto, l’unico raso con armatura perfetta assieme a quello da cinque.


introduzione

Quindi con un telaio a otto licci posso eseguire la maggior parte degli intrecci dei tessuti semplici. Per quanto riguarda gli intrecci diagonali illustriamo la saia da quattro, la saia da otto. Entrambi i casi hanno un solo punto di legatura per filo all’interno del rapporto e quindi sono armature con un diritto e un rovescio fortemente differenziati dove da un lato prevale la trama e dall’altro l’ordito. Seguendo lo stesso metodo usato per costruire i cannellati dalla tela possiamo aggiungere punti pieni in contatto a punti pieni fino a non avere più la prevalenza di trame e orditi ed avere un tessuto senza rovescio come è stato già accennato; è il caso delle batavie. Saie e batavie regolari e irregolari hanno le nervature che si sviluppano in diagonale o da destra verso sinistra o da sinistra verso destra. Esiste la possibilità di eseguire una spina spezzata. Nel senso orizzontale basterà cambiare la successione dei licci alzati. Nel senso verticale posso muovere i primi quattro fili con andamento da sinistra verso destra e i secondo quattro fili da destra verso sinistra. Il rapporto di armatura viene ripetuto secondo le leggi della rotazione. Ho quindi i fili montati su alcuni licci che lavorano in modo uguale il liccio 2 e 8 lavorano insieme, come il 3 e il 7, e il 4 e 6. Se applichiamo la rotazione all’infilatura il disegno complessivo eseguito tramite la specchiatura di una parte diviene composto da 14 fili e non da 16 perchè vengono eliminati i fili doppi sull’asse di inversione perché determinerebbero un’imperfezione nel tessuto.

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il lavoro manuale come strumento per pensare

Tessuto multimateriale canapa, lino, pelle di vitello intrecciato con armature a tela e a saia

L’importanza dell’abilità manuali è fondamentale come in tutte le realizzazioni di quelle che ci è piaciuto chiamare arti utili e così anche per la tessitura. Ferdinando Bologna, riferendosi al trattato di Leon Battista Alberti De Re Aedificatoria, in merito alla componente teorica e pratica delle arti e della loro gerarchizzazione scrive: Si trova espressa la convinzione che alla bellezza dei prodotti artistici concorrono senza distinzioni di grado, anzi integrandosi dell’unità del risultato secondo le funzioni proprie di ciascuna, tanto l’attività ideativa dell’ingegno, quando l’operazione tecnico-pratica dalla mano, quanto le caratteristiche naturali delle materie messe in opera (Bologna, p. 19).

Lavoro d’ingegno, abilità manuale e caratteristiche dei materiali concorrono quindi alla realizzazione degli oggetti belli. L’abilità esecutiva nella tessitura artigiana, costituita e affinata tramite una sensorialità prevalentemente visiva e tattile, pur essendo mediata da una macchina importante come il telaio, rimane sempre fondamentale. Il rapporto tra materia e mano ha subito una mediazione sempre più significativa: utensile, macchina, strumento digitale, rappresentano un allontanamento costante della mano dalla fisicità. E questo può essere ritenuto valido per tutte quelle lavorazioni che hanno visto sostituire strumenti ed utensili con macchine che hanno portato sempre maggiore ausilio al lavoratore nella produzione. Possiamo chiederci allora se i tre elementi espressi da Bologna possono considerarsi ancora validi o se, invece l’abilità manuale ha perduto la propria originale importanza a favore della crescente sviluppo tecnologico e poi digitale. Se questo per molto tempo — e in parte anche oggi — si è creduto essere l’indirizzo dominante, non è da dimenticare che la mano non è la parte fisica dell’uomo che mette in pratica il pensiero è qualcosa di molto più complesso che la macchina non può sostituire se non facendo a meno di quello che possiamo definire l’espressione tattile. “Tra la mano e la mente” scrive Focillon “le relazioni non sono quelle, semplici, che intercorrono tra un padrone ubbidito e un semplice servitore. La mente fa la mano, e la mano fa


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Confezione di un cappello Azienda Grevi Mode Signa (FI)

pagina a fronte Tessuto multimateriale Cotone, poliestere, tessuti stracciati e ridotti in trame, armature a tela e a saia

la mente. […] In gesto che crea esercita un’azione continua sulla vita interiore. La mano sottrae l’atto di toccare alla sua passività ricettiva, l’organizza per l’esperienza e per l’azione insegna all’uomo a dominare l’estensione, il peso, la densità, il numero. Nel creare un universo inedito, lascia ovunque la propria impronta. Si misura con la materia che sottopone a metamorfosi, con la forma che trasfigura. Educatrice dell’uomo, lo moltiplica nello spazio e nel tempo”. (Focillon, 1943, p. 130) Il gesto è un moltiplicatore di conoscenza e un strumento di pensiero confermando quanto affermato da Anassagora per il quale l’uomo è più intelligente degli animali in virtù delle mani. La mano, amplifica ed estende il proprio significato anche a tutti i suoi prolungamenti cioè gli utensili e strumenti (e qui può stare la risposta alla domanda che avevamo posto in precedenza). Ma quando questi smettono di diventare prolungamenti e diventano un elemento estraneo e non più funzionale all’accrescimento intellettuale? La risposta che alcuni studiosi si danno, è che l’ausilio rimane organico all’insieme mano-strumento


introduzione

fino a quando l’uomo riesce ad intervenire e a modificare anche con piccole innovazioni incrementali il proprio utensile di lavoro. Lo strumento è una cosa che dovrebbe essere intellegibile e accessibile a chi la usa richiedendo, al tempo stesso, un impegno attivo per essere adoperato: l’utensile richiede esercizio per il suo uso (Crawford 2009).

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Come abbiamo introdotto in precedenza, l’abilità manuale si conquista con l’esercizio che è fondamentale nelle professioni del fare. Un tempo variabile ma necessario per apprendere il rapporto che può crearsi tra mano e materia. Se i tempi di produzione sono lunghi succede che il progetto abbia la possibilità di svilupparsi, almeno in parte, contemporaneamente all’esecuzione: più tempo è dedicato all’esecuzione, più tempo può essere dedicato al pensiero progettuale e alle variazioni, agli aggiustamenti, ai miglioramenti che la lentezza del lavoro consente. Con l’accorciamento dei tempi di esecuzione, non sempre il pensiero riesce ad essere in modo convincente più veloce dell’azione e viceversa perché le due cose non sono scollegate e le abilità fisiche supportate dalle macchine non sempre hanno avuto uno sviluppo sinergico. Nella produzione artigiana la lavorazione porta frequentemente alla modifica del modello per migliorarne la fattibilità, la funzionalità, o l’aspetto e questo processo può andare avanti anche in fase di produzione dove i pezzi pur essendo della stessa serie hanno impercettibili differenze. Diverso è infatti il discorso in ambito industriale dove l’uso della macchina non è stata più uno strumento ma il fulcro della lavorazione. La cultura industriale ha avuto tra le conseguenze, quella di incrementare l’importanza della cultura del progetto: e con questa ha dovuto fare i conti anche l’artigianato perché pur essendo vera l’affermazione per la quale la produzione artigiana produce prevalentemente in serie (cfr. Branzi p.22), con l’avvento della macchina la progettazione diventa una fase quasi sempre completamente separata dall’esecuzione anche quando questa è eseguita artigianalmente. In merito alla tessitura si può evidenziare una peculiarità e un suo stare naturalmente a cavallo tra quelli che sono i tipici processi artigianali e quello che è la produzione industriale. È necessario, infatti una fase autonoma dall’esecuzione che possiamo definire anche imprescindibile dove si decidono alcune costanti che durante l’esecuzione non potranno essere cambiate come la lunghezza dell’ordito, il colore dell’ordito, il titolo dei fili dell’ordito, l’infilatura del telaio. Ci sono poi alcuni elementi che il tessitore-artigiano può decidere e cambiare secondo la propria sensibilità e il proprio obiettivo progettuale. Una nuova saldatura tra progetto ed esecuzione che per certi versi recupera antichi valori, è l’esperienza dei makers e dei fab lab. Per quanto riguarda l’aspetto puramente fattuale il maker con l’artigiano, che fonda la sua competenza sull’abilità manuale, hanno poco o pochissimo in comune.


il lavoro manuale come strumento per pensare

E se con l’esecuzione tramite stampanti 3D si è in gran parte perduta la pratica del ‘fatto a mano’, si è però recuperato un rapporto più fluido tra progetto e realizzazione, fasi in genere riferibili alla stessa persona o gruppo di persone proprio come avveniva nella pratica dell’artigianato tradizionale. È forse questo il motivo che permette a chi lavora con queste tecniche il sostantivi ‘artigiano’ davanti all’aggettivo ‘digitale’ e a riferirsi a modelli di produzione sostenibile non solo da un punto di vista economico ma anche sociale. In merito alla qualità progettuale riscontrata in alcune di queste esperienze, sembra necessario un approfondimento con una impostazione design oriented.

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le regole della natura e dell’artificio

Una pagina dal testo di Adolf Portman

Scrive Paolo Portoghesi: La nozione di modularità è un attributo della mente che prevede lo scenario naturale e, in modo particolare, la forma della vita. La civiltà umana, nel diventarne coscientemente partecipe ha dimostrato il loro rapporto di appartenenza e di interrogazione nei confronti della natura. (Portoghesi 2003, p. 16)

Anche secondo quanto riportato sopra, le superfici naturali possono rappresentare una sorta di ‘guida’ a quelle che, per certi versi, sono da considerarsi delle imitazioni o, meglio, delle interpretazioni creative. Nella morbidezza di un muschio, nella scabrosità di una corteccia di pino, possiamo ritrovare alcune matrici non solo visive ma anche tattili e olfattive. L’aspetto della superficie non rimanda solo al materiale di cui è costituito nelle sue caratteristiche estetiche e funzionali, ma è in grado di suscitare sensazioni ed emozioni che nascono dall’esperienza individuale e dalla cultura condivisa. Tra le regole della natura che per il comporre tessile ci possono apparire di interesse ci sono quelle relative al trattamento superficiale e alla ripetizione degli elementi. Secondo quanto viene messo in evidenza da Ernest Gombrich esiste una preferenza osservabile, nel nostro percepire, per le configurazioni semplici, le linee rette, i cerchi, e altri ordini semplici e noi tendiamo a scorgere tali regolarità, più che le forme casuali quando ci scontriamo col caotico mondo esterno. (Gombrich, 1984, p. 16)

È evidente, anche da una osservazione non troppo attenta, che le manifestazioni della natura ordinate sono numerosissime dagli spicchi di arance, alle squame dei pesci ai petali dei fiori. Più avanti, sempre Gombrich: La nostra percezione è messa all’erta dal contrasto tra ordine e disordine esistono ampie prove del fatto che questo principio si applica ovunque nella natura vivente. Infatti i disegni distintivi esibiti dalla flora e dalla fauna nel mondo suggeriscono che debba esserci un qualche vantaggio per l’organismo nell’emergere di certi pattern visibili. (Gombrich, 1984, p. 26)


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E proprio qui è opportuno citare le teorie sull’importanza dei pattern naturali elaborati da Adolf Portman. Lo zoologo, biologo e antropologo svizzero nel suo testo La forma degli animali, dedica un’attenzione particolari al loro aspetto esteriore evidenziandone il significato comunicativo ed estetico. Questo, oltre a non essere casuale, e ad avere una complessità bio-strutturale non inferiore a quella degli organi interni, risulta con essi in relazione per la trasmissione degli stimoli dall’esterno verso l’interno e viceversa. La disposizione delle varie parti all’interno del pattern complessivo risulta così perfetta che è impossibile pensare sia frutto del caso: ci troviamo di fronte a una struttura che si sviluppa secondo un piano ben preciso come qualsiasi organo vitale… Nelle farfalle il disegno complessivo può costituire un vero e proprio pattern, che fa l’effetto di un quadro. I biologi parlano di “disegno totale”, di un organo visuale. (Portmann, 2013, pp. 112-113)

Ciò che colpisce è la regolarità delle strutture naturali che dimostrano l’esistenza di leggi o criteri molto rigidi; e tali criteri sono spesso costruiti su pochi o pochissimi elementi e sulle loro variazioni. Nella descrizione delle variazioni della colorazione delle punte dei peli di alcuni animali che ne fa Portmann mette in evidenza proprio le minime diversità capaci però di trasmettere uno spiccato senso del colore, della morbidezza, della bellezza. Accanto allo stupore estetico viene introdotta un altro importante ragionamento: per comprendere le penne o il pelo nei minimi dettagli della loro struttura, non possiamo far altro che assumere che l’esterno non serve soltanto alla conservazione della vita ma sia anche e specificatamente strutturato in vista di occhi che lo guardano (Portmann, 2013, p. 19).

Siamo quindi nel campo del visibile che però non ha come scopo principale quello di provocare un effetto mimetico con l’ambiente circostante ma quello di comunicare con esso. In qualche modo si suggerisce l’esistenza di un problema anche strutturale che può riferirsi a quegli studi che, sotto in nome di biomimesi, partono dallo studio di strutture naturali per trasferirne i principi in progetti di innovazione tecnologica. Riprendiamo adesso il tema della scomposizione della superficie in forme modulari o, anche, con una o più forme ripetute più e più volte riescono a coprire il piano senza nessuna sovrapposizione o lacuna. In questo caso si parla di tassellature. Le forme, i tasselli, in genere sono poligoni regolari o irregolari o forme a questi riconducibili. L’argomento superficie e tassellature o tassellazione ha portato all’osservazione della superficie esterna degli esseri viventi animali e vegetali dove si ha la copertura di superfici senza sovrapposizioni (la piega è un movimento della superficie ma non una sovrapposizione) e senza lacune. Le pelli tuttavia, non hanno spesso una struttura di forme ripetute regolarmente.


le regole della natura e dell’artificio

Tuttavia le eccezioni come la pelle dei rettili, le squame dei pesci, la struttura delle pigne, la struttura esterna del frutto di ananas, producono quel senso di meraviglia di cui si parlava sopra. È interessante sottolineare che il modulo strutturale e il modulo cromatico, quando esiste, si muovono secondo criteri che non hanno una relazione comprensibile ad una prima analisi come può avvenire tra struttura e colore negli intrecci. Questi elementi riproducono uno schema di tassellazione regolare che lavora sulla regola della traslazione dove la forma del tassello più frequente è quella del rombo. Si nota poi che la struttura di rotazione riguarda più frequentemente la struttura morfologica interna più che la superficie e che vengono percepite come tali quando vengono sezionate (pomodoro, kiwi, arancia…). Tali esempi, quindi, seppure possono rivestire un certo interesse generale non riguardano in modo specifico la superficie, nostro tema in questo contesto. Gli schemi modulari usati per la copertura delle superfici hanno schemi che in parte riproducono quelli naturali, e spesso come accade in natura la ripetizione è la forma più economica per ottenere un certo tipo di effetto. Proprio partendo dall’organizzazione naturale e dalla ripetizione dell’organismo e di parte di esso, possiamo riferirci alla serialità dei semilavorati e dei prodotti finiti. In un periodo dove scienza e arte cercavano analogie tra le proprie conoscenze, Charles Blanc poeta e critico d’arte, individua dieci categorie di ordine suddivise in due gruppi di cinque dove nel primo ci sono regole più stringenti, nel secondo regole che hanno relazione con le prime ma che hanno forma più debole. Le forme forti sono: ripetizione, alternanza, simmetria, progressione e confusione. Sull’introduzione dell’ultimo termine, che sembra la negazione della premessa stessa del lavoro Blanc scrive: Sebbene l’ordine sia la legge sovrana dell’arte decorativa, la confusione può anche svolgere un ruolo utile nell’ornamento e persino entrare in azione come equivalente dell’ordine stesso.

E prosegue con un bel disordine è spesso un effetto d’arte (Blanc 1877, p. 26).

Blanc sostiene che la ripetizione c’è la ricerca degli elementi noti che rendono comprensibile a chi guarda l’artefatto sviluppando una sorta di rassicurazione. L’autore allega degli schemi grafici alla sua teoria che aiutano a spiegarne il senso. La prima è associata ad una greca, la seconda all’alternanza tra triglifi e metope dove le metope contengono sempre elementi diversi tra loro, per la simmetria un capitello corinzio, per la progressione il frontone di una tettoia dove le onde si susseguono sempre più ampie dai vertici estremi fino al centro, e per confusione allega una veduta di arte giapponese.

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Tra le regole della natura non si può tralasciare quel rapporto, caro a tutta la cultura classica e non solo, che ha preso il nome di divina proporzione o piÚ comunemente di sezione aurea e con essa anche le proporzioni musicali che oltre che per gli intervalli di suoni sono stati messi in pratica anche per progetti di spazi e superfici. Tuttavia queste relazioni sembrano avere una maggiore importanza nelle composizioni pittoriche piÚ che nel design planare. Al contrario, nel product design funzionalista abbiamo alcuni esempi di applicazione di questo rapporto dai prodotti di Dieter Rams disegnati per la Braun ad alcuni prodotti Apple.


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Immagini della natura e dell’artificio

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Nel design dei tessuti ogni elemento costitutivo è da ritenersi elementare e solo nelle reciproche relazioni acquista complessità. Nel processo esecutivo, anche quando si tratta di produzioni artigianali, spesso, le azioni sono nettamente separate tra loro e questo fatto ha permesso un agevole trasferimento dalla manifattura artigiana a quella industriale. La fase progettuale è conclusa completamente quando si comincia ad eseguire il tessuto. Le azioni che definiscono le fasi progettuali non sono così diverse da quelle che riguardano le progettazione di un qualunque prodotto di design; l’aspetto planare della tessitura porta a evidenziare forse gli elementi di base che spesso mettiamo in atto in modo istintivo ma che risultano essere fondamentali per arrivare ad un elaborato sensato. Cosi sono state scelte le tre azioni che rappresentano l’approccio al progetto da un punto di vista dimensionale, gerarchico e spaziale. A partire dai primi manuali di progettazione troviamo elementi costanti; nel libro III del De Architectura la misura è alla base della costruzione dei tipi architettonici, così come la posizione degli elementi nello spazio, il loro orientamento e il concetto di gerarchia che si esprime nell’ordine (di sequenza di grandezze, di sequenza temporale ecc.). E così nei successivi trattati e manuali che non riguardano solo l’architettura. Sono state queste tre le azioni basilari e fondamentali che prima di altre devono essere considerate per dare seguito ad ogni scelta progettuale. Misurare L’importanza della misura è in parte già stata messa a fuoco quando è stato affrontato il tema della modularità e in parte questo tema viene ripreso partendo proprio da quell’azione scientifica sulla quale si svilupperanno alcune forme di conoscenza. Misurare è un’attività antichissima alla base di ogni processo scientifico, praticata anche inconsapevolmente fin dalle origini di ogni civiltà1. 1 Prima di organizzare un vero sistema di misure si sono dovute superare difficoltà di diverso genere; basti pensare infatti che fino alle soglie della contemporaneità, si sono spesso adottate misure lineari diverse secondo gli ambiti d’uso


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Il concetto di misura parte dal confronto di due grandezze omogenee ma si sviluppa in modo anche più complesso nel trasferimento del concetto vitruviano di ‘commutatio’ corrispondente al termine greco ‘symmetria’2 e cioè un processo compositivo basato sulla ripetizione di una misura privilegiata, dei suoi multipli e delle sue frazioni. Ora, se noi, nel testo vitruviano, sostituiamo la parola ‘fabbrica’ alla più generica ‘opera’, del resto, già presente nel testo, in una prospettiva storica, possiamo ritenere il termine trasferibile anche alle opere di design: La composizione delle (fabbriche) dipende dalla simmetria, le regole della quale debbono perciò essere ben note. Nasce questa dalla proporzione, la quale in greco si dice αναλοϒια ed è la corrispondente di misura fra una certa parte dei membri di ciascuna opera e l’opera tutta: dalla quale corrispondenza dipende la simmetria: quindi non può (fabbrica) alcuna dirsi ben composta se non sia fatta con simmetria e proporzione, come l’hanno le membra di un corpo umano ben formato […]. Anzi le regole della misura, le quali sono necessarie in tutte le opere, la presero pure dalle membra del corpo; tali sono il dito, il palmo, il piede, il cubito, e poi le distribuirono in un numero perfetto che i greci chiamano τελειον. (Vitruvio, Libro V, Capo I)

Da ciò possiamo vedere l’origine della modularità come elemento mensorio e costruttivo e di relazione tra il mondo artificiale e naturale. Su questa impostazione compositiva si è basata gran parte dell’arte e dell’artigianato occidentale considerata essenziale per esprimere un processo creativo che poneva l’uomo al centro dell’universo noto. Seppure la misura che si relaziona all’aspetto fattuale non diverge dalla misura scientifica, esprime però, ben altra esigenza. Il braccio, misura lineare usata in Italia fino all’epoca prenapoleonica e accomunabile al cubito classico, interpreta da un lato esigenze di lavorazione e dall’altro la necessità di misurare con il proprio corpo il lavoro in esecuzione. Il tema è stato centrale per tutto il razionalismo e non solo per la costruzione dello spazio ma, ugualmente, per la costruzione degli oggetti. In questo senso il Modulor lecorbusieriano può essere interpretato come il connubio tra razionalità illuminista, rappresentata dalle misure astratte del sistema metrico decimale, e le misure antropometriche attestanti la relazione col mondo classico. (architettura, carpenteria, tessitura ecc.). Inoltre ancora in piena epoca storica abbiamo più di un caso che testimonia la disomogeneità tra unità di misura e oggetto della misura. La parola acro, ad esempio, indicante in origine un terreno senza recinto, venne usata per identificare la superficie arabile in un giorno da una coppia di buoi. Quindi la misurazione non si attuava in base all’estensione, ma alla lavorabilità strettamente connessa, poi, al rendimento: un terreno compatto veniva arato più difficilmente, ma avrebbe poi reso sicuramente di più rispetto ad un terreno più incoerente che richiedeva una lavorazione meno faticosa. La misura, oltre ad essere alla base di ogni processo scientifico, vanno considerate essenziali per il commercio. 2 Symmetria non intesa nella corrispondenza biunivoca delle parti, quasi come sinonimo di speculare.


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Forse per più lungo tempo che in altri settori le manifatture tessili hanno impostato le proprie regole mensorie sull’antropometria. Si è parlato della dimensione teoricamente illimitata delle pezze di stoffa ma nella dimensione della larghezza è proprio il braccio l’unità di misura: la distanza dal gomito alla punta del dito medio, quella distanza che permette di inserire la mano nel passo aperto del telaio non solo per lanciare la navetta ma anche per intervenire sui fili dell’ordito per riannodarli, in generale, mantenerli. Si distingueva il ‘braccio da seta’ e il ‘braccio da lana’3,o anche genericamente il ‘braccio da tessitore’4 rispetto al braccio per le altre misurazioni. Una delle più importanti distinzioni tra la produzione artigianale e quella del modello industriale fordista è proprio che nel primo caso l’utensile-macchina si dimensiona sulla persona nel secondo caso sulle esigenze della produzione. È una distinzione importante che porta a riflettere sul rapporto uomo lavoro e su come ogni forma di standard sia andata profondamente ad influire non tanto sul prodotto finale, quanto sulle tecniche di lavorazione. L’artigianato ha l’uomo al centro di ogni fase di produzione e di utilizzo, mentre l’industria vede prevalere il consumatore sul lavoratore. La produzione contemporanea evoluta che si riferisce al modello Industria 4.0 lega strettamente le tecnologie abilitanti alle imprese manifatturiere presentando un cambiamento epocale paragonabile a ciò che è accaduto agli inizi del secolo scorso. Le tecnologie che incidono sui processi di lavorazione e sulla natura dei prodotti modificano non solo la vita degli individui ma soprattutto gli equilibri della società, principalmente in relazione a quali potrà essere il ruolo del lavoro nel futuro. Il lavoratore non è un semplice esecutore ma interagisce con la macchina, che impara con l’uso, e il consumatore comunica con l’impresa avendo la possibilità di interagire con la produzione; con quali conseguenze non siamo ancora in grado di prevederlo. Proprio in virtù dei nuovi metodi di produzione, anche nel settore tessile si stanno sviluppando servizi capaci di fornire tessuti stampati ed operati: il designer invia il file e, seguendo un percorso di verifica, mette a punto il proprio tessuto sugli standard produttivi scegliendo poi supporto o tipo di intreccio da eseguire, colori e quantità. Con l’uso delle nuove tecnologie è possibile con una discreta facilità di perdere il carattere standardizzato e di essere personalizzato secondo le esigenze e le volontà del cliente.

Il braccio da lana veneziano misurava 0,683396 m e il braccio da seta veneziano misurava 0,638721 m. Il braccio da tessitore era in uso a Roma prima dell’introduzione del sistema metrico decimale e corrisponde a 0,636140 m. 3 4

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Tessitura a mano di un velluto riccio e tagliato Fondazione Arte della Seta Lisio

Ma la possibile unicità del prodotto artigianale non sta solo nella diversità del prodotto finale ma anche dai differenti parametri di lavorazione di una manifattura rispetto ad un’altra. L’osservazione dello strumento/macchina telaio per la realizzazione di tessuti operati5, cioè con superficie a disegni, conferma quello che è stato scritto fino ad ora e cioè che fi-

5 Per l’esecuzione dei tessuti operati, volendo realizzare disegni ampi che prevedano più di 24 fili ad evoluzione diversa, si usano macchine Jacquard o similari in grado di portare anche più di 1000 fili che si muovono secondo un’evoluzione diversa. I tessuti operati più noti sono i damaschi, broccati, la tela doppia operata, il broccatello, il velluto operato, il lampasso. Damaschi, broccati possono essere eseguiti con telai anche molto più semplici con effetti di opera il più delle volte molto geometrizzati.


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no a quando l’uomo interagiva in modo attivo con la macchina le dimensioni dei prodotti realizzati sono state determinate da quelle del lavoratore6. Se queste sono le misure che trovano corrispondenza con il mondo della visualizzazione bidimensionale, esistono altre dimensioni che caratterizzano la progettazione e l’esecuzione tessile delle quali troviamo con più difficoltà corrispondenze in altri contesti. Tali grandezze, che qui andiamo solo ad introdurre, influiscono in modo determinante sulla densità e sulla ‘grana’ della superficie. Si tratta del titolo del filato e della riduzione cioè il numero a cm dei fili in ordito, del peso. Queste grandezze sono tra loro collegate: più grosso è il filo, meno unità ci sono in un cm. Il titolo indica il grado di sottigliezza del filato e si esprime attraverso un rapporto tra lunghezza e peso o viceversa. I diversi sistemi di titolazione dipendono dalla natura del materiale e dal paese di lavorazione Il titolo espresso come rapporto tra unità di lunghezza e unità di peso (peso fisso e lunghezza variabile) è riferito ai materiali a fibre corte come lana, cotone e viene identificato come sistema inglese, francese e chilometrico. Più alto è il titolo, più sottile è il filato. In genere il peso fisso di riferimento è di un Kg e il numero espresso dal titolo indica quanti km di filo sono stati ottenuti da quel filato. Il titolo espresso come rapporto tra unità di peso e unità di lunghezza (lunghezza fissa e peso variabile) viene definito anche come sistema italiano e si applica alle fibre continue sia a quelle naturali come la seta, sia a quelle artificiali come il nylon. La titolazione dei filati ritorti si esprime con un rapporto (un filato di lana 60/2 indica che è composto da due fili del titolo 60 che equivale ad un filato del 30). Il pettine è un elemento fondamentale del telaio che serve a distanziare in modo uniforme i fili di ordito. Si trova sulla cassa battente ed è l’elemento vicino al tessitore e che ha il compito di accostare le trame tra loro. Il pettine è composto da denti e la densità di questi elementi determina lo spazio tra un filo e l’altro e quindi la compattezza o meno dei fili. Il pettine misura la densità dei denti con un rapporto che indica il numero dei denti in 10 cm. 35/10, 80/10 e si legge trentacinque in dieci, ottanta in dieci. La riduzione indica la densità del fili per unità di misura lineare ed è definita dal tipo di pettine che viene usato e da quanti fili vengono inseriti nei denti. Il peso del tessuto dipende dalla densità dei fili e dal tipo di filati 6 Il passaggio avviene in modo graduale il primo con l’introduzione della navetta a volo che prevede sempre l’intervento dell’uomo ma senza che questo sia in relazione alla lunghezza del braccio, poi il trascinamento meccanico del tessuto sul subbio, fino ai telai automatici dove l’uomo a al massimo la funzione di controllo.

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Impettinatura di un telaio manuale

Ordinare Una delle elementari forme di ordine è l’allineamento che Semper definisce come il più primitivo prodotto artistico la prima manifestazione tangibile del senso del bello, che aspira a realizzare l’espressione dell’unità attraverso la molteplicità, molteplicità che si uniscono in una forma euritmica e al tempo stesso emergono come moltiplicazione dell’unità a cui l’allineamento si riferisce. (Semper, 1982, p. 52)

I chicchi di vetro su un cordoncino sono un esempio di allineamento che in genere avviene con elementi della stessa forma o di forme diverse regolate da un ritmo che costituisce un modulo. Questo tipo di ordine ha lo scopo di tenere assieme le unità senza necessariamente suggerire un verso o una direzione di sviluppo. Allineare è una delle azioni più caratteristiche della tessitura che possiamo vedere alla base della composizione planare: linee accostate che generano superfici, forme che si ripetono e si incastrano tra di loro secondo il principio della tassellatura. Il senso dell’ordine domina in tutta quella che è il comporre tessile e in buona parte del design. Per quanto riguarda il tessile ci sono alcuni elementi strutturali che influiscono su quelli che poi sono gli effetti. La successione delle forme e dei solidi geometrici nello spazio ha influenzato molto, soprattutto in alcuni periodi storici come la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, la costruzione delle forme. Molti sono stati i teorici dell’ordine e, alcuni studi, se acquisiti senza una eccessiva rigidezza, possono suggerire indirizzi di approfondimento anche oggi. Riferendoci all’opera di Blanc citata nel capitolo precedente, accenniamo solo al caso della palmetta greca che nella sua composizione lineare interessa l’alternanza e la simmetria. Lo studio di Riegl sull’argomento parte dall’osservazione dei tappeti orientali per poi trovare l’origine di questa decorazione negli artefatti della Grecia antica. La ripetizione del motivo non era quindi spiegabile, secondo Riegl, con la lettura tecnico materialista che ne aveva data Semper, ma soprattutto per una questione culturale dove la forza dell’abitudine ha potuto tramandare trasformare in modo lieve e progressivo, forme delle quali dal fiore di loto, all’arabesco, possiamo coglierne gli elementi comuni. Comunque sia possiamo dire che le due visioni di Semper e Riegl si completano a vicenda e entrambi rappresentano le basi alla lettura degli elementi compositivi delle superfici.


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Ben successiva è la classificazione degli ordini compositivi elaborata da Wolfang von Wersin particolarmente applicabile al mondo del tessile. La sua principale distinzione è tra gli ‘ordini chiusi’ espressi tramite simmetrie speculari o rotatorie e ‘ordini seriali’ rappresentati tramite sequenze ritmiche illimitate fondate sul principio di traslazione. Risulta esplicativa una tavola del libro Das elementare Ornament und seine Gesetzlichkeit di Wolfang von Wersin riportata ne Il senso dell’ordine di Ernst Gombrich ([1979], 1984, pp. 96-97) dove, a quelle che l’autore chiama ‘forme base’, possono essere associate, in questo contesto, alcune strutture tessili elementari. Attraverso una griglia vengono visualizzati in verticale tre sequenze: semplice, alternata e incrociata ognuna delle quali è resa attraverso forme lineari e forme isolate. In orizzontale sono rappresentati tre tipi di variazioni (variazione I elementi arricchiti e ripetuti; variazione II combinazione di vari elementi ripetuti; variazione III arricchimento con vari motivi decora-

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Collane e orecchini Masai

tivi). Dall’incrocio degli elementi abbiamo la generazione di alcuni pattern che possiamo definire di base ma che potrebbero essere sostituiti da altre disegnature facendo così comprendere che seppure l’ordine bella composizione planare tessile appare rigido, infinite sono le sue varianti. Il concetto di ordine ha un importanza fondamentale anche e soprattutto nella pratica tessile. Esiste un ordine nell’orditura dei fili, ribadito nella conseguente infilatura e nell’impettinatura, e un ordine nell’introdurre le trame. Mantenere la sequenza, anche se si tratta di elementi uguali è fondamentale nello svolgimento per la buona riuscita del lavoro. Il primo filo che viene ordito non può essere condotto con il secondo o con il terzo anche se, questi elementi sono identici. Inoltre il primo filo di ordito è anche il primo filo ad essere infilato nelle maglie dei licci, e infine il primo ad essere infilato nel pettine. Nella tessitura ortogonale non sono previsti incroci tra i fili di ordito ma solo tra gruppi di elementi omogenei: trame con ordito. L’elemento si rafforza se i fili hanno un colore o un titolo diverso e che la loro sequenza definisce un disegno.


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L’ordine degli elementi di ordito è fondamentale in quanto è una delle prime azioni ad essere determinate e ciò non varia se la tessitura è svolta in ambito artigianale o industriale. Anche nella successione delle trame ha un’importanza paragonabile ma è l’ordito che definisce il generale ordine del lavoro e, conseguentemente è possibile affermare che nella tessitura l’ordine del processo esecutivo si legge anche nel prodotto. Almeno un accenno deve essere fatto anche alle falde tessili ‘disordinate’ e cioè il feltro e gli agugliati. A differenza della tessitura ortogonale e anche della maglieria dove il filato viene lavorato secondo un progetto preciso, nel feltro si parte dal pelo dell’animale in genera lana di pecora per produrre falde di spessore omogeneo compatte ed impermeabili. La compattezza è ottenuta con l’infeltrimento delle fibre le cui squame corticali si incastrano le une con le altre generando una superficie compatta. Orientare Il prodotto tessile è un prodotto fortemente orientato dove è chiaramente individuabile l’inizio e la fine del lavoro, il lato destro e quello sinistro, il diritto e il rovescio della lavorazione. Questi elementi favoriscono una lettura e l’interpretazione del prodotto capace di tenere conto del processo di lavorazione. Non è sempre evidente che in una superficie si riesca a leggere la parte alta e bassa e quella destra e sinistra. Tra le superfici planari i tessuti comunicano più facilmente il loro orientamento attraverso la struttura, la successione degli elementi, i margini. L’orientamento riguarda l’insieme dell’elaborato e il particolare nello spazio di riferimento come ci ricorda Semper: È evidente che […] le leggi della simmetria e della proporzione vengono applicate contemporaneamente e sotto un duplice aspetto: in primo luogo in considerazione del rapporto tra ampiezza e altezza, come pure della generale delimitazione lineare; in secondo luogo, in considerazione di ciò che sulla superficie viene rappresentato. (Semper, 1982, p. 65)

Ci sono anche teorie non sempre documentate nelle quali alla tessitura è dato il significato di metafora della creazione o come chiave per l’interpretazione del senso di orientamento della dimensione creativa: Filatura, binatura, orditura e tessitura hanno dato origine ai concetti di simmetria, ordine, numero e direzione. […] Secondo queste ipotesi l’attività tessile è servita come modello per capire ed ordinare l’universo, l’uomo avrebbe quindi ricevuto, dall’organizzazione del telaio e dalla lavorazione dei tessuti, gli stimoli utili per approfondire le conoscenze e ordinarle sistematicamente. (Guidotti, 2008, p. 6).

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Il popolo Dogon del Mali trasmette la leggenda per cui il ragno insegnò all’uomo le operazioni della creazione dove l’ordito rappresenta l’idea prima e l’ordine inalterabile, la trama, invece, la particolarità del divenire. La narrazione, sotto diversi aspetti, evidenzia analogie col mito della tessitrice Aracne che sfida Atena nell’arte della tessitura. Infine, l’antropologo Gian Paolo Gri, ricordando che il simbolismo tessitura-creazione è comune a molte culture, nel suo libro Tessitori di Carnia, scrive: La tessitura rappresenta la struttura dell’universo: l’ordito – statico – collega i mondi, gli eventi e le cose; la trama – dinamica – traduce il destino di ciascuno. Ordito e trama incrociano e fissano i contrari; l’andirivieni della navetta, che non torna mai nello stesso punto, anche se sembra, esprime insieme ciclicità e unicità7.

Questa appare ancora più radicale di quelle fino a qui riportate e, seppure l’affermazione non sia supportata scientificamente, ribadisce come l’elemento spaziale e la sequenza temporale siano anche simbolicamente leggibili nell’arte tessile. Cimose e frange segnano i limiti del tessuto. In particolare la frangia è data dai fili di ordito che non possono essere lavorati e segnano inizio e fine dell’ordito. In genere i fili vengono annodati acquistando la forma di nappe con caratterizzazione estetica. Cortine, festoni, coronamenti sono elementi che mantengono nel prodotto finito i segno della direzionalità esecutiva dell’elaborato tessile che è probabile derivino da elementi funzionali come l’annodatura dell’ordito al subbio. Sulle categorie diritto e rovescio nella lavorazione e nell’uso dobbiamo specificare alcune cose. Tra le tre famiglie di intrecci semplici una non ha rovescio e due presentano le due facce o superfici nettamente differenti dove da una parte prevale l’ordito e dall’altra la trama. In genere l’ordito è realizzato con filati più resistenti e preziosi e quindi nella maggioranza dei casi la prevalenza di ordito è sul diritto cioè sulla parte esposta del tessuto. Durante la lavorazione la parte visibile al tessitore è il rovescio in virtù del fatto che si cerca di ridurre al minimo i fili della lavorazione lasciandone a riposo il massimo numero di fili. In questo modo sul rovescio della lavorazione si avrà il diritto di utilizzo del tessuto e al tessitore rimane a vista la parte con la prevalenza di trame. Gli stessi criteri li ritroviamo anche nella lavorazione dei tessuti composti ma, soprattutto nei tessuti operati dove abbiamo l’accostamento e la sovrapposizione di diversi tipi di intrecci. Anche i tessuti operati eseguiti artigianalmente, in qualche caso, vengono tessuti con il rovescio alla vista del tessitore e questo per due motivi: Perché le mani durante la lavora7 Per il mito di Aracne si rimanda alle Metamorfosi di Ovidio VI Libro; per le altre interpretazioni cfr. Pompas R. 1994, p. 117.


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zione non sporchino il tessuto e per fare sforzare il minore numero possibile di fili di ordito. In questi casi viene usato uno specchio per controllare la resa del lavoro non esposto al tessitore. Tra questi fa eccezione il velluto tessuto a mano il cui pelo deve essere tagliato sul diritto. Oltre ad una faccia orientata per lavorazione possiamo avere un orientamento dato dalla rifinizione trattamento che può riguardare solo una delle due superfici. La lavorazione che esprime chiaramente il verso e quindi la differenza del basso dall’alto e la sequenza di lavorazione è il velluto: accarezzandone la superficie si ha una sensazione diversa se si procede dall’alto verso il basso e viceversa e si ha anche una diversa rifrazione luminosa se si espone il tessuto alla luce per i due versi: sensazioni simili a quando si accarezza e si guarda sotto una luce diversa il manto di un animale. Oltre all’orientamento del semilavorato in sé esiste anche l’orientamento del disegno. Tale disegno può essere definito dall’armatura, da una successione cromatica, o da tutte e due le cose. Tra gli ordini individuati da Blanc c’è la progressione che può essere rappresentata da un’armatura che progressivamente passa da effetto di trama a effetto di ordito. Il rapporto di armatura è dato da quel numero di fili e di trame necessario e sufficiente a rappresentare tutto il tessuto. Per eseguire il tessuto è necessario ripetere quello che in linguaggio meno tecnico possiamo definire modulo tante volte quante sono necessarie per ricoprire l’intera superficie. Nel capitolo 3 sono stati illustrati alcuni criteri di ripetizione che si riferivano in particolare al rapporto per disegno per stampa ed alcuni principi sono trasferibili anche alle ripetizione delle armature. Non esiste un solo modo per ripetere il rapporto sulla superficie. Per quanto riguarda gli intrecci tessili il più comune è sicuramente il rapporto continuo dove il rapporto di armatura viene traslato in orizzontale e in verticale sempre nella stessa posizione. In alcuni casi viene adottato il rapporto speculare cioè la riproduzione contrapposta e riflessa dell’intreccio che può diventare anche motivo decorativo. Composizione permette di ottenere un disegno simmetrico e visivamente esteso su una superficie doppia rispetto ad un disegno ripetuto attraverso la rotazione sull’asse verticale utilizzando però lo stesso numero di fili ad evoluzione diversa perché i fili sulla metà di destra lavorano in modo identico rispetto alla metà sinistra. Se la rotazione anziché su un solo asse avviene su più di uno, oppure su un angolo, per quattro volte si ottengono le armature raggiate.

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Esistono poi altri metodi di ripetere i rapporti che sono riferiti principalmente a grandi disegnature che vengono realizzate o con tessuti Jaquard o con tecnica a stampa. Questi sono il rapporto saltato e il rapporto piazzato. Materiale Nei precedenti paragrafi si è cercato di analizzare alcune attività funzionali al textile design ma anche al design in generale. Azioni che vanno a costituire metodi e processi e che, per certi aspetti, rappresentano delle costanti: ad esempio l’azione di misurare pur cambiando l’unità di misura o l’oggetto della misurazione, si esprime sempre attraverso un confronto tra grandezze omogenee. Se poi, in generale, ogni scelta viene eseguita attraverso un confronto quella sui materiali segue un percorso un po’ diverso che ci permette di entrare in modo più specifico nel linguaggio del design. A differenza delle tre azioni precedenti, infatti, i materiali sono uno degli elementi più importanti per la rappresentazione e l’interpretazione del proprio tempo esprimendo l’aspetto attuativo del progetto. Essi manifestano qualcosa di complesso essendo spesso il frutto di scelte economiche e politiche che rappresentano basta pensare alle materie plastiche o agli ecomateriali. I contenuti creativi e culturali non possono che esprimersi in larghissima parte attraverso le qualità materiali dei prodotti e dei processi manifatturieri. Il medium (il materiale) diventa messaggio (Ricchetti 2017).

Le caratteristiche fisiche sono qualcosa di complesso e affrontare il contesto materico significa sovrapporre tra loro elementi sensoriali che fanno riferimento alla visualità ma anche, e non di meno, alla percezione. L’analisi delle superfici da un punto di vista fisico interessa i parametri della consistenza (durezza – morbidezza), della percezione termica, della scabrosità (liscio – ruvido) e del colore, tema che tratteremo separatamente anche se ha una componente materica. Un elemento che contribuisce alla definizione fisica della superficie è il tipo di intreccio. L’approccio ai materiali è cambiato in modo evidente negli ultimi anni anche in virtù del fatto che la maggior parte della produzione tessile è riferita alla moda seconda filiera industriale inquinante dopo quella petrolifera e prima filiera per il consumo di acqua. Capire quindi come possiamo contenere questi consumi ed agire nella direzione corretta è fondamentale. Il cambiamento degli stili di vita e dei modelli di consumo è una soluzione proponibile ma non può essere pensata come risolutiva e, al momento, può coinvolgere un numero


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di persone piuttosto ristretto. Più incisivo, invece, sembra riferirsi ad un modello sostenibile dove, introducendo nuove tecnologie è possibile ridurre gli scarti soprattutto sotto forma di materiali inquinanti, aumentare il materiale da riciclare, riusare materiali introducendoli nuovamente nella filiera produttiva. La riduzione dell’impatto ambientale non è quindi indirizzata soltanto alla produzione ma anche al mantenimento: è stato testato che un paio di jeans impatta più per la manutenzione che per la produzione. Pensiamo poi ai tessuti ingualcibili che abbattono i consumi energetici della stiratura ma che hanno bisogno di trattamenti nanotecnologici nella fase di produzione aumentando il consumo di energia in fase di produzione e l’immissione di microparticelle a fine vita. Solo da questi due esempi è facile capire che le sfide che riguardano i materiali tessili e non solo sono numerose e complesse. Se la fase progettuale deve necessariamente riguardare l’intero ciclo di vita del prodotto è necessario che la progettazione riguardi non solo l’aspetto materico – quello cioè legato al prodotto in senso più tradizionale – ma anche i servizi e soprattutto la comunicazione ad esso legata per permettere agli utenti di tutta la filiera di rapportarsi in modo corretto e conciliare salubrità ed ambiente. La classificazione dei materiali tessili impostata secondo la loro provenienza, e che divideva in materiali naturali, artificiali e sintetiche, ha un valore ormai scarsamente utile dal punto di vista ambientale. Il Made-By Environmental Benchmark for Fibres8 ha classificato le fibre secondo sei parametri per valutare quali siano i materiali più impattanti. I criteri sono: • l’emissione di gas serra; • la tossicità per l’uomo; • la tossicità per l’ambiente; • il consumo energetico; • il consumo di acqua; • il consumo di suolo; Le più comuni fibre sono state divise in cinque classi da quella più virtuosa, la A, alla più impattante, la E. Nella prima, la classe A, ci sono il nylon riciclato meccanicamente, il poliestere riciclato meccanicamente, lino biologico, canapa biologica, cotone riciclato, lana riciclata. Nell’ultima la viscosa di bambù il cotone convenzionale, il cupro, viscosa e rayon l’elastane, il nylon vergine e la lana vergine. 8

(https://www.commonobjective.co/article/made-by-environmental-benchmark-for-fibres)

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È evidente che il rapporto naturale/sostenibile non è così scontato. Parlare però di poliestere riciclato meccanicamente o di lana riciclata vuol dire ben poco perché una fibra può essere filata in modi diversi con mischie diverse dando origine a tessuti molto diversi tra loro. Se poi lo stesso materiale, sotto forma di filato, può essere lavorato e tessuto con molte armature diverse e rifinito in molti modi diversi ci rendiamo conto che da un lato non è così scontata la corrispondenza tra materia ed effetto visivo e tattile e dall’altra quante sono le possibilità progettuali che si presentano e che si possono attuare combinando i diversi elementi della fase progettuale. Sembra utile almeno accennare a quei materiali che non compaiono nel prodotto finale ma che vengono introdotti nella lavorazione solo per alcuni passaggi al fine di migliorarne la lavorabilità e che entrano comunque nella valutazione di impatto del ciclo di lavorazione. L’imbozzimatura è una sorta di incollaggio dei fili di ordito che ne aumenta la resistenza e la lavorabilità senza ridurne l’elasticità. Una volta eseguito il tessuto viene sbozzimato e il materiale recuperato per le imbozzimature successive: è durante l’eliminazione di queste sostanze che si ha il maggiore consumo di acqua. Le bozzime possono essere di quattro tipi: a base di amido, a base di CMC (carbossimetilcellulosa), a base proteica o sintetiche. La sfida più importante per i materiali tessili è proprio quella che riguarda la sostenibilità accanto a quella degli e-textile e ai tessuti interattivi sono in grado di relazionarsi al nostro corpo e ai nostri device. Vanno poi considerate le falde bidimensionali che, pur non entrando all’interno dei processi tessili rappresenta un settore parallelo perché come molti tessuti svolge funzione di rivestimento negli oggetti d’uso. Le falde derivate spesso da cellulosa sono proposte in sostituzione della pelle e grande interesse lo stanno acquisendo nei mercati dei consumatori che non utilizzano materie provenienti dal mondo animale. Il rapporto esistente tra filiera agroalimentare e tessile si ripropone anche nei consumi: così come si escludono gli animali dall’alimentazione si escludono dall’acquisto dei prodotti non alimentari. In merito alla ricerca di sostenibilità in più di un caso si è fatto riferimento a rapporti consolidati tra filiere produttive e si sono potenziati e migliorati i tradizionali rapporti tra filiera alimentare e abbigliativa. Lana, lino, paglia, fibra di cocco e di ananas sono scarti della filiera agroalimentare: una rilettura tecnologica di questi processi ha portato a mettere a punto l’utilizzo di scarti diversi da quelli usati tradizionalmente. Molti filati e falde vengono ottenuti da scarti alimentari vegetali valorizzandone la parte cellulosica.


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I semilavorati ottenuti dagli scarti della lavorazione delle arance, del vino, delle mele, delle proteine del latte, sono alcuni degli esempi che citiamo in quanto appaiono rappresentativi all’interno di questo approccio. La definizione di questi materiali non riguarda solo la composizione ma anche gli effetti tattili e visivi che introducono l’aspetto narrativo che un prodotto di questo genere è in grado di comunicare. Secondo la classificazione tradizionale, i materiali derivati da sostanze organiche sono definibili come artificiali ottenute cioè da materiale polimerico di origine naturale trasformato in fibra attraverso processi chimici e fisici. Tali processi appaiono virtuosi non solo perché trasformano lo scarto in risorsa ma anche perché permettono di non intervenire con coltivazioni su vaste aree di territorio come avviene invece quando si producono fibre vegetali tradizionali. La filiera tessile è sempre stata fortemente delocalizzata e se in passato questo ha dato occasione di incontri e di scambi commerciali e culturali, oggi questa caratteristica non esprime in prevalenza questi valori assieme alla ricerca della migliore qualità ma anche un impatto ambientale non sempre sostenibile ed eticamente giustificabile. La lana lavorata industrialmente viene prodotta quasi interamente in Australia e in Nuova Zelanda da animali allevati per l’utilizzo del pelo nella filiera laniera. In Italia le razze ovine sono allevate per il latte o per la carne ed in entrambi i casi richiedono di essere tosate due volte l’anno La loro lana essendo più corta e di qualità non eccellente diventa spesso scarto con un costo per gli allevatori quando nella peggiore delle ipotesi non viene smaltita illegalmente. In tempi recenti il tema delle lane autoctone è ritornato ad essere molto attuale. Il recupero e la valorizzazione di questa lana ha portato all’attivazione di progetti interessanti in diverse regioni italiane. Il Piemonte è stata tra le prime regioni a focalizzarsi sull’argomento. Attorno a Biella uno dei più importanti centri lanieri italiani, si sono cominciate ad organizzare raccolte di lane autoctone e tutte le fasi successive della filiera; filiera che, è giusto sottolinearlo, è parallela con la produzione delle lane pettinate biellese e segue altre lavorazioni. Riferibile a questa produzione e alla valorizzazione della razza sambucana quasi estinta, è nato un consorzio che valorizza i prodotti provenienti da questa razza di pecora rivitalizzando sul territorio delle valli un’economia diffusa. In Toscana il progetto Circular wool è risultato vincitore di un concorso internazionale finanziato dalla Comunità Europea. Esso riguarda l’utilizzo della lana rustica toscana, finora mandata al macero, per creare un prodotto desiderabile e utilizzabile industrialmente. In questo modo, si è voluto impiega-

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Modello di solido cromatico Designer Andrea Branzi, Massimo Morozzi, Clino Trini Castelli

re un materiale ‘povero’ a livello creativo e industriale, incentivare la ripresa economica degli allevatori generata dalla vendita di questa lana e arginare l’inquinamento dovuto a metodi di smaltimento illegali. Sono già stati testati alcune applicazioni del prodotto con incoraggianti risultati. Circular Wool nasce dalla collaborazione tra il mondo del design e dell’industria, andando ad utilizzare le ricerche e i risultati ottenuti dal centro per lo sviluppo industriale R.S. Ricerca & Servizi Srl e affidando la prototipazione dei tessuti ai creativi del laboratorio tessile Lottozero. Attualmente la ricerca si sta orientando verso la creazione di un Material Brand che quindi la valorizzazione non avvenga nella fase finale del prodotti ma nelle fasi preliminari. Un indirizzo di ricerca completamente diverso è quello dei tessuti intelligenti ai quali accenniamo soltanto alle loro caratteristiche. Queste superfici possono identificarsi, sotto molti aspetti, con la ricerche più attuali e con la necessità di continuo mutamento che caratterizza la nostra epoca.


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Se la sostenibilità dei tessuti trattati in precedenza si esprime in modo prevalente sulla essenza materica del prodotto, qui è l’aspetto sensoriale e tecnologico che domina le ricerche. Circuiti luminosi, che animano gli abiti, inchiostri conduttori, tessuti in grado di monitorare i parametri vitali ed interagire con essi, abiti che cambiano colore al cambiare dell’umore e della temperatura del corpo, tessuti che purificano l’aria o l’acqua,ed abiti che accettano una scheda SIM per effettuare chiamate senza telefono sono già una realtà e sono realizzati con l’introduzione di materiali metallici sotto forma di microfilamenti e di microparticelle. È forse importante considerare il contenuto tecnologico e funzionale questi artefatti può essere interpretato come una sorta di valorizzazione della sensibilità e della percezione umana. L’integrazione con il mondo artificiale si esprime quindi non solo attraverso l’intelligenza (artificiale) ma anche con la percezione e la sensibilità (artificiale): pelle mani e tutti i sensi non hanno un valore subalterno alle funzioni cerebrali. Proprio attraverso questo tipo di approccio è possibile considerare i contributi storici del design primario e delle più recenti riletture e sviluppi. Scrive in proposito Stefano Caggiano: non avrà più senso parlare delle rete come di qualcosa separato dalla realtà. Ciò comporterà la fusione – dapprima lenta, poi sempre più intima – tra il livello d’interfaccia, proprio dei terminali elettronici, e la pelle formale dell’oggetto, proprio della cultura del progetto, così che i fenomeni d’interfaccia non interesseranno più solo, come avviene oggi, gli occhi e le dita, ma l’intero spettro sensoriale umano, dal naso ai capelli fino alla sensibilità termica e cromatica. In questo senso, l’interfaccia sarà ‘estetica’ nell’accezione etimologica del termine, come aìsthesis quale esperienza sensoriale completa e pervasiva. Ogni finitura estetica dell’oggetto sarà cioè parte di una grande, articolata interfaccia oggettuale, a cominciare dai valori profondi della superficie ripensati a partire dal discorso interrotto del ‘design primario’9.

La valorizzazione della percezione sensoriale è proprio uno dei principali obiettivi del design primario. La conoscenza sensoriale considerata più utile e importante di quella cerebrale e la pelle naturale o artificiale, diventa l’elemento da valorizzare più di ogni altro10.

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(https://www.internimagazine.it/progetti/il-nuovo-design-primario/ consultato 4 /8/2019) Cfr. cap. 2.

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Jeans, un tessuto orientato La storia del jeans si sviluppa principalmente tra l’Italia e gli Stati Uniti e che sta scritta proprio nel suo nome. Rintracciare l’origine di questo termine significa conoscere gli elementi che hanno fatto nascere il primo e più diffuso prodotto di abbigliamento, progettato per l’industria. Forse l’unico capo del quale si apprezza l’invecchiamento, anche evidente, spesso dimostrazione di un legame emotivo tra l‘oggetto e chi lo utilizza. Tra questi due elementi, cioè tra massificazione e personalizzazione, si sviluppa il carattere dei jeans. Materia, colore e intreccio: cotone, blu e intreccio a ‘saia da tre’ sono gli elementi caratteristici del jeans, termine che, ormai è cosa nota, deriva dal nome della città di Genova. Da questo porto, già in epoca medioevale, passava il commercio del cotone e quello dell’indaco, colorante di cui se ne documenta la presenza fino dal 1140. Entrambe queste materie non avevano niente a che fare con le produzioni autoctone dei territori retrostanti il grande porto ligure, a conferma del fatto che l’industria tessile è sempre stata, fin dalle sue origini, fortemente delocalizzata.


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Genova, quindi, era uno dei maggiori scali marittimi della penisola da cui entrava: cotone africano, indiano e dell’Italia meridionale, nonché indaco proveniente sempre da India e Africa. Partiva poi, dallo stesso porto, il fustagno: tessuto intrecciato a ‘saia da tre’ molto resistente, che permette di avere una faccia della falda con prevalenza di ordito in genere filato più pregiato e colorato che si identifica come ‘diritto’, e una faccia, ‘il rovescio’, con la prevalenza della trama di filato con qualità più scadente meno ritorto e lasciato grezzo ottenendo così il miglior risultato cromatico e di compattezza al minor prezzo. Il termine fustagno, secondo molti, prende il nome da un sobborgo de Il Cairo, ElFustat, importante centro di lavorazione di questo tessuto se non addirittura, secondo alcuni, luogo di origine dello stesso. C’è anche chi sostiene che provenga da una parola di radice persiana e che poi si ritrovi sia nel latino con fustaneum che nell’arabo con fustan. Comunque sia, il fustagno genovese partiva soprattutto verso l’Inghilterra, e riuscì a prevalere per un ottimo rapporto qualità-prezzo su quelli lavorati a Milano e a Ulm. Tale tessuto nel luogo di importazione veniva proprio identificato con Jean anglicizzazione dei Genova. Questa stoffa non era prodotta solo nel colore blu, ma anche grezzo, marrone, grigio ecc. Quindi, l’operazione avvenuta in anni recenti di declinare il jeans in colori diversi dal blu, è da considerarsi un’innovazione con profonde radici storiche. La colorazione dell’ordito per contenere i costi era fatta solo sulla parte esterna del filato e questo spiega il fatto che la perdita di colore è assai più evidente nei punti di maggiore usura. Tali punti corrispondono alle maggiori sporgenze del corpo; ginocchia e soprattutto glutei; e la capacità di evidenziare questi punti del corpo in particolare nei modelli attillati, ha contribuito all’interpretazione del jeans come indumento trasgressivo. Se confrontiamo i jeans con i pantaloni da lavoro dei meccanici o dei falegnami nei colori blu o marrone, notiamo che anche questo è un fustagno, anche qui le trame sono di qualità più scadente dell’ordito, e pur essendo stati tinti in pezza, cioè con una tintura che avviene dopo la tessitura e che si considera piuttosto economica, il colore è penetrato su tutta la sezione dei fili e delle trame, e non solo sulla parte esterna dei fili come nei jeans Fino a qui abbiamo parlato di un tessuto di tipo comune che già prima di acquistare notorietà, grazie all’ingegno di Levi Strauss, quello che oggi chiamiamo jeans era usato per confezionare abiti da lavoro o abbigliamento destinati alle classi meno abbienti. Ne sono testimonianza alcuni dipinti del XVII secolo e anche alcuni abiti dello stesso periodo conservati a La Spezia e a Roma.

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Alcuni hanno voluto vedere nei pantaloni che indossava Garibaldi nello sbarco a Marsala nel 1860 proprio i precursori dei più famosi pantaloni americani. Ma la storia del blu jeans come prodotto di abbigliamento sappiamo che nasce nel 1873 con a concessione del brevetto n. 139.121. Jacob Davis, un sarto di origine lettone di Reno nel Nevada, inventò uno degli elementi più caratteristici del pantalone e cioè il rivetto di rinforzo nei punti di maggiore sollecitazione. Non avendo i 68 dollari necessari alla registrazione si mise in società con Levi Strauss, che produceva abbigliamento da lavoro dedicato soprattutto alle esigenze dei minatori cercatori d’oro. Se i primi pantaloni di Strauss furono confezionati in pesante tela Olona, successivamente fu usato un resistente fustagno di cotone dal peso di 9 once. Come capo da lavoro i jeans ebbero fortuna non solo tra i minatori ma anche tra gli agricoltori e gli allevatori. Lee e Wrangler saranno gli altri due marchi americani che contribuiranno ad affermare i prodotti sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.


introduzione

Lee produrrà i capi da lavoro per le truppe americane con un peso inferiore a 9 once, abiti che vennero apprezzati dai soldati e che adottarono come abbigliamento casual per il tempo libero, in particolare di questa azienda la salopette è il capo più noto. L’esercito americano nel secondo conflitto mondiale è il tramite più efficace per la diffusione in Europa dell’abbigliamento denim: sono i liberatori, sono gli eroi, sono coloro che trasmettono i valori della rinascita e del progresso.

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Fragile Fiber art. Tela doppia trattata consumata e slabbrata

In questa sezione cerchiamo di riflettere su quegli elementi che, una volta individuata la principale caratteristica del progetto, possono essere variati anche in modo significativo in funzione dell’obiettivo progettuali. Scegliere il materiale più adatto, mettere a punto le varianti di colore, verificarne la pesantezza e l’ esatte dimensioni della forme determina il successo o meno di un prodotto tessile e di un prodotto di design in generale. Quindi, una volta misurati gli elementi di riferimento in particolare lo spazio e le dimensioni delle forme della composizione, scelto il materiale con il quale realizzare il proprio progetto, definito l’ordine e quindi la logica del progetto, orientata il progetto nello spazio reale o virtuale e deciso quale tipo di ripetizione o meno si intende applicare, si verifica quanto fatto i precedenza applicando quelle che possono essere considerarsi delle vere variazioni sul tema (forse qui non è fuori luogo citare ancora quegli Esercizi di Stile citati in apertura del testo). Va chiarito comunque che la scelta di trattare in successione gli argomenti relativi al comporre e al trasformare è stata fatta solo al fine di arrivare ad avere una maggiore chiarezza espositiva: le due fasi infatti sono estremamente fluide e trasformare è una declinazione del progetto. Tuttavia talvolta può capitare anche che una volta definito il progetto si proceda a studiarne alcune varianti per verificarne la validità o per necessità di completezza dell’elaborato come avviene soprattutto con le varianti di colore e che le due fasi si susseguano temporalmente. I tre temi di questa sezione che riguardano le variazioni dimensionali e cromatiche, di densità non sono esaustive rispetto all’argomento ma appaiono come significativi per suggerire una modalità di indagine. Questi tre temi rileggono, in parte, e sotto una luce diversa ciò che è stato trattato nel capitolo precedente proprio a testimonianza della fluidità delle due parti. Il colore, tema che forse deve essere considerato a cavallo tra i due capitoli, può riferirsi sia al materiale sia all’aspetto simbolico e descrittivo in grado di orientare. Le variazioni dimensionali fanno riferimento alla pratica del misurare, il cambiamento di densità alle scelte materiche.


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pagina a fronte Tessuto stampato Fondo rosso turco e bianco ottenuto per scolorimento

Avendo concepito la tessitura come una giuda all’apprendimento dei principi di base per il design, qui si sono in alcuni casi verificati tali principi cercando di comparate le trasformazioni del mondo tessile e del design in generale. Il significato più importante di delle trasformazione è forse quello di respingere ciò che è scontato o previsto suscitando sorpresa. In ogni caso la trasformazione, esercitata come sforzo progettuale o come allenamento formativo, favorisce percorsi innovativi creando condizioni favorevoli per superare elementi fortemente condizionati dalle abitudini formali e d’uso. Infine se nella parte precedente si è voluto tenere l’argomento centrato sulla tessitura e sui generali principi, qui in alcuni casi, si cerca di mettere in evidenza, ciò che è stato dichiarato all’inizio del testo, come alcuni processi che la tessitura esprime quasi in modo didattico, sono poi riscontrati anche negli altri settori del design. Dal bianco al nero passando per tutti i colori Argomento di vastità sorprendente il colore può essere considerato uno dei principali materiali del design soprattutto italiano. Ferrari, Olivetti, Alessi, Kartell, Magis sono alcune delle aziende più famose per le loro scelte cromatiche. In più di un testo è stato sottolineato come il design italiano, fino dalla sua nascita, ha costruito il proprio successo sullo stretto legame tra prodotto e comunicazione. Un design narrativo e fortemente iconico dove il colore ha potuto giocare un ruolo essenziale in quanto gli è stato riconosciuto un valore non solo fortemente simbolico ma anche in grado di rafforzare l’espressione della poetica che alcuni oggetti trasmettono. Tra tutti Valentine di Ettore Sottsass è stato il segno di un epoca, un colore in grado di esaltare tutte innovazioni presenti nel prodotto: dalla forma, al materiale — l’ABS che non viene verniciato ma colorato in pasta —, alla leggerezza data non solo dalla scelta del materiale della scocca ma dalla riduzione generale delle parti metalliche. Valentine ha avuto una campagna pubblicitaria che può essere considerata un esemplare connubio tra prodotto e comunicazione dove la narrazione si sviluppa in modo fluido senza potere definire un preciso confine tra prodotto e comunicazione. La macchina per scrivere rossa segna, con altri oggetti della stessa epoca, l’affermazione del colore tra le cose, gli abiti e, più in generale in tutto il mondo artificiale. Segna uno spartiacque al di là del quale assieme al colore vengono introdotti i materiali plastici e il gusto per l’artificiale che diventa alla portata di molti se non di tutti. Segna la nascita della categoria dei giovani e dell’estrema fiducia nel progresso. Il colore tra gli anni ‘60 e ‘70 esprime il positivo carattere industriale che si materializza attraverso nuovi composti chimici.


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Tricia Guild Filati in lana

pagina a fronte Campagna pubblicitaria Valentine I testi della campagna pubblicitari sono stati scritti da Giovanni Giudici e da Luigi Fruttero. La grafica è di Roberto Pieraccini

Come ci illustra Falcinelli nelle prima parte del suo libro Cromorama l’industria e la produzione di serie hanno cambiato la percezione e il significato dei colori facendo acquisire il significato di artificiale nel senso migliore del termine. L’introduzione delle plastiche e quindi del materiale colorato in pasta con colori brillanti e uniformi stabilirà un binomi che ha profondamente cambiato le nostre vite e la percezione della realtà. Il tema colore è stato per secoli sviluppato prevalentemente in ambito artistico e nelle attività delle tintorie considerata una delle più vili attività anche se da ritenersi indispensabile per la produzione di preziosi tessuti operati in seta colorata e metalli preziosi. Già però nell’antichità e successivamente in epoca medioevale e poi rinascimentale, il colore non è mai stato una questione specificatamente tecnica ma anche simbolica dove l’elemento cromatico era portatore di messaggi in quanto tale. Col passare del tempo il colore ha arricchito la propria valenza significante e, parallelamente, l’aspetto tecnico di sostanza colorante, ha trovato grandi spazi di ricerca. Molti degli studi sul colore, che poi sono stati applicati al campo del design, partono in ambito pittorico, tessile, o grafico, comunque in ambito bidimensionale.


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Pied de poul Sciarpa in lana

Tra i primi studi completi con una impostazione contemporanea con carattere didattico ed impostati sulla cultura pittorica è da citare L’arte del colore di Joannes Itten. Il riferimento ad Itten è dovuto non solo per il suo lavoro da innovativo che aveva in sé l’approccio metodologico di carattere scientifico sviluppato in modo funzionale per l’applicazione alla progettazione, ma anche per il fatto che ha lavorato con costanza all’interno dei laboratori tessili non solo del Bauhaus ma anche Krefelt in Vestfalia, dove stese il primo manoscritto sull’arte del colore, e a Zurigo. L’opera di Itten è quella di un pittore che si è dedicato a fornire delle regole per il controllo della percezione visiva. Il testo è visto come un ausilio ad un approccio intuitivo all’uso dei colori che viene governato dagli occhi e dal cuore dell’artista: uno strumento per i momenti di debolezza. È interessante la breve analisi che l’autore fa all’inizio del testo di come i vari pittori usano, oserei dire progettano, il colore. Egli interpreta i diversi linguaggi pittorici come se si trattasse di veri e propri progetti bidimensionali di segno e colore ai quali attribuisce un valore didattico trasferibile in altre situazioni. La parte più significativa, e forse anche più applicabile alle diversi contesti progettuali, è quella che riguarda i sette contrasti. I contrasti sono considerati alla base della percezione


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perché i sensi valutano attraverso i confronti e gli effetti cromatici possono essere indeboliti o rafforzati dai colori con i quali vengono giustapposti1. Proprio per sottolineare che, accanto ad un aspetto teorico dell’opera ve n’è uno fortemente pragmatico, analizziamo alcuni elementi del Contrasto di chiaro e di scuro. Contrasto fondamentale per chi si occupa di tessuti e deve proporre varianti cromatiche su uno stesso disegno. Scrive Itten: Le differenze di luminosità creano grandi difficoltà ai disegnatori di stoffe, giacché come è noto, ogni motivo deve venir campionato in almeno quattro tinte diverse. Nel loro complesso le tinte devono preservare una certa affinità cromatica, e di regola i disegno devono ottenere pressoché l’identico effetto di contrasto su tutti gli sfondi. (Itten, 1982, p. 41)

In pratica significa che le quattro varianti di colore che vengono generate dal designer, (oppure da un computer) se riportate in scala di grigi devono risultare tutte e quattro identiche. Detta così sembra un’operazione piuttosto semplice ma questo non è l’unico vincolo da considerare. Infatti ogni variante ha la sua dominante che deve essere chiaramente percepibile di per se e nei confronti delle altre. Il contrasto di chiaro e di scuro ha come elementi fondamentali il bianco e il nero e l’autore ci dice che esiste un solo bianco e un solo nero assoluto rappresentati rispettivamente dal solfato di bario e dal velluto nero. In realtà l’applicazione del bianco e del nero, anche sotto forma di colore teorico assoluto, genera moltissime varianti come ricorda sempre Falcinelli: avevo un professore di graphic design che ci obbligava a dipingere moltissimi quadrati usando neri di vario tipo: tempera, carboncino, olio, acquarello, grafite morbida e grafite dura. E per farlo citava un manuale di pittura di Hokusai scritto nel 1895 secondo cui esisterebbero un nero vecchio e un nero brillante, un nero illuminato dal sole e uno scuro come l’ombra. Noi volevamo mettersi al computer ma lui insisteva: per diventare bravi grafici dovete prima colorare questi quadrati del maggior numero di neri possibile: lucidi e opachi, setosi e granulosi, brillanti e cupi. (Falcinelli, 2017, p. 41)

E la cosa si amplifica ancora di più se ci riferiamo al settore tessile dove la tintura può avvenire in fiocco, in filato o in pezza e il filato, anche se della stessa composizione può essere lavorato in modo diverso esponendo il colore alla luce in modo diverso; la stessa ricetta colore è difficile che produca lo stesso identico tono tanto che le tintorie identificano il bagno di tintura con un numero: solo il prodotto dello stesso bagno è sicuramente omogeneo. 1 Ricordiamo che essi sono: contrasto di colori puri; contrasto di chiaro scuro; contrasto di freddo e caldo; contrasto di complementari; contrasto di simultaneità; contrasto di qualità; contrasto di quantità.

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Wall hanging Tessuto in cotone e ryon Designer Anni Albert

Questo per capire che il nero, colore che sembra meno incline alle variazioni ha un gran numero di varianti. Da questo deduciamo che non è proprio possibile parlare semplicemente di giallo o di rosso e anche le classificazioni industriali (RAL, Pantone). Bianco e nero sono gli estremi del sistema cromatico, il contrasto più forte che possiamo pensare che esprima la massima distanza tra luce ed ombra. Alcuni esercizi di composizione bidimensionale suggeriscono agli studenti di eliminare tutti i mezzi toni e usare solo bianco e nero per la raffigurazione del soggetto. Se il supporto era o bianco o nero l’effetto straniamento risultava evidente sempre in bilico tra astrazione o figurazione dove però era l’occhio che ricomponeva tratti talvolta non del tutto comprensibili. Nella tessitura gli effetti di colore a contrasto sono codificati precisamente ed è interessante vedere come intrecci semplicissimi possano generare disegni di una certa complessità. Il più noto è il pied de poulle che con l’ordito ordinato con due fili di un colore e due fili dell’altro, e con le trame lanciate nello stesso ordine riesce a disegnare l’elemento positivo e negativo sempre uguale a se stesso. Gombrich ha chiamato questo tipo di effetto ‘controscambio’ ed ha evidenziato come si trovi in molti artefatti intrecciati soprattutto con materiale piatto come la paglia di varie piante. Ma oltre a questi esempi elementari, gli oggetti di controscambio hanno interessato anche artisti tra i quali Maurits Cornelius Escher che ha intrecciato diversi tipi di figure soprattutto animali è sicuramente più nota. In questo contesto risultano particolarmente interessanti, soprattutto per le influenze che hanno avuto sul design e sulla moda le opere di Victor Vasarely artista ungherese tra i fondatore della Op Art. Nel tessile e nella moda e, con cicli più lunghi anche nel mondo del design i colori vengono variati continuamente e capire le tendenze colori è un passaggio fondamentale per la definizione del prodotto. Accanto all’estremo mutamento esistono dei colori icona quasi per tutti gli stilisti, colori che prendono il nome dello stilista stesso: Rosso Valentino, Blu Lanvin, Rosa Schiaparelli, Bianco Biagiotti Giallo Versace, Arancio Hermess. La tintura, tecnica di colorazione di fibre, filati e tessuti è una azione di nobilitazione tra le più importanti per la qualificazione dei tessuti e molta ricerca si sta facendo per applicare processi più sostenibili essendo una delle fasi più impattanti. I processi di tintura di pelli e tessuti sono sempre stati fortemente inquinanti e l’attenzione verso le tinture naturali non è un approccio significativo per il miglioramento delle


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Variazioni di densità Intreccio un canapa e lana

condizioni attuali Tali tecniche infatti possono essere riferite soltanto a produzioni artigianali di piccola o piccolissima scala. L’introduzione di processi di tinture naturali è dettata sia dall’attenzione per la salvaguardia dell’ambiente che per la salute dell’uomo visto l’aumento delle dermatiti da contatto. Tra le criticità dei coloranti naturali c’è senz’altro la minore gamma cromatica ottenibile, il costo più alto, la minore solidità alla luce e, in alcuni casi, un impatto ambientale comunque non trascurabile. Queste sostanze sono sempre state un elemento di criticità se si ragiona con una logica di sostenibilità: In passato come mordente (preparazione della fibra alla tintura) proprio per ottenere una gamma di colori più ampia, venivano impiegati, accanto al cremortartaro e alla potassa, usati anche in cucina ed inenologia e sul quale non sembrano esserci controindicazioni sul loro uso, anche ossidi metallici altamente tossici, come il solfato di rame o il bicromato di potassio, il vetriolo di ferro. È facile quindi cominciare a comprendere che i processi di tintura prima dell’introduzione dei coloranti di sintesi non si presentavano comunque così sostenibili se, accanto


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all’uso delle sostanze tossiche poco sopra citate si aggiunge anche l’impoverimento del terreno dato da coltivazioni di erbe tintorie come il guado. Se la fermentazione delle urine è da considerarsi una prassi da tempo superata e con essa gli insani processi che ne derivavano, va ricordato, comunque, che qualunque tipo di tintura naturale prevede un consumo di acqua superiore a quello delle tinture di sintesi per le quali è sufficiente effettuare un solo bagno nel quale le sostanze disciolte vengono completamente assorbite dalle fibre che vengono tinte. Evidenziato, quindi, come per le fibre tessili, che naturale non è necessariamente sostenibile e neppure di biologico la soluzione ad oggi più credibile sembra quella dei coloranti biologici di sintesi che presentano assenza di tossicità in tutta la filiera, completa biodegradabilità, resistenza alla luce, allo sfregamento, al sudore, al lavaggio. Da compatto a rarefatto e viceversa La densità di un tessuto dipende dall’uso che se ne deve fare; uso non solo funzionale ma anche estetico-emozionale. Per un intreccio ortogonale gli elementi che determinano la densità sono quattro: • L’intreccio • Il titolo del filato • Il pettine • Il colore Anche cambiando un solo elemento tra i quattro è in grado di determinare significative variazioni al prodotto finale. Ottenere raggruppamenti di elementi uniformemente più o meno densi o avere densità diverse nello stesso tessuti dipende dalle variabili citate. Se i primi tre elementi si riferiscono ad una densità prevalentemente strutturale e tattile, il colore si riferisce ad una densità visiva e queste due qualità possono contraddirsi per creare un effetto di disorientamento o rafforzarsi vicendevolmente. Per quanto riguarda l’intreccio abbiamo in diversi punti fatto riferimento alla tela come all’intreccio più legato, più intensamente intrecciato e uniforme. Quando si tratta di rarefazione, una delle armatura che più di ogni altra rappresenta il concetto sono le etamine, tessuti dove i fili si raggruppano in alcuni punti aumentando la densità e lasciando dei vuoti. L’effetto è possibile in quanto sono contrapposte nell’armatura briglie di trama a briglie di ordito. Un tessuto realizzato con questo intreccio è la tela aida usata come base per lavori a punto a croce proprio per i piccoli buchi che facilitano l’inserimento regolare dell’ago.

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Poltroncina New Twist Designer Jean-Marie Massaud

pagina a fronte Poltrona di vimini Margherita Designer Franco Albini

Altro tipo di intreccio che esula dai tessuti ortogonali rientrando nei tessuti speciali è la garza o giro inglese dove ci sono due orditi uno che rimane sempre a riposo e uno che intreccia la trama una volta a destra e una volta a sinistra rispetto ai fili dell’ordito che non sviluppa movimento. Quando la rarefazione diviene molto accentuata si possono ottenere effetti di trasparenza in grado di valorizzare effetti di sovrapposizione in grado, quindi di permettere una percezione simultanea di diverse situazioni planari. Il pettine e il titolo del filato stanno tra loro in relazione e, in un tessuto ben eseguito, a parità di titolo tra trama e ordito, in un tessuto a tela, il numero dei fili a cm deve essere leggermente superiore a quello delle trame. Ciò non toglie che questa regola venga continuamente contraddetta intensificando o allontanando la frequenza dei fili per ottenere effetti assai diverse. Un ordito molto fitto permette alle trame di accostarsi di meno; al contrario un ordito povero permette alle trame di accostarsi molto e di non rendere visibile l’ordito come succede nella tecnica ad arazzo.


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Il pettine determina la distanza dei fili per tutta l’esecuzione ed è possibile impettinare in modo non uniforme: in alcune sezioni a due fili a dente in altre a quattro addirittura saltando i denti per lasciare elementi d’aria nel tessuto ma fino ad oggi non sembra che la richiesta di cambiare riduzione durante la lavorazione dei tessuti abbia incoraggiato questo tipo di ricerca. Analogie si possono trovare con le lavorazioni del ricamo sfilato che, in alcuni tessitori, infatti si eseguono direttamente sul telaio Nella tessitura artigianale trame di diverso titolo e materiale vengono usate molto frequentemente. Si tratta di tessuti utilizzati in genere per complementi di arredo o accessorio moda in grado di arricchire non solo le qualità materiche ma anche la ricchezza visiva della superficie. Per quanto riguarda il concetto di densità relativo al colore a differenza che nelle grafica il bianco non ha mai il valore di fondo. Ogni elemento strutturale e cromatico va letto nell’insieme e non possiamo pensare al tessuto come ad una sovrapposizione di elementi anche se esiste un colore prevalente rispetto ad un altro. La densità tessile come fin qui è stata trattata è un concetto molto diverso dalla densità materica usata in senso lato nel design.

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Filati con diversi titoli e lavorazioni

In più di un caso, nel testo si è parlato del principio del rivestimento e facendo riferimento a questo è forse utile introdurre il tema dell’imbottito che nel design è la tipologia che con più pertinenza interpreta il tema della densità. È qui, infatti, che possiamo ricevere le sensazioni di duro e di morbido ma anche rigido ed elastico. La comparsa dell’imbottito e il suo largo uso risale alla seconda metà dell’ottocento quando, sotto l’influsso dell’esotismo orientale, gli arredi, e in particolare le sedute si arricchirono di imbottiture e cuscini tanto da arrivare a nascondere le strutture. Questo è quello che racconta Giedion nel capitolo Il regno dei tappezzieri nel suo L’era della meccanizzazione. Il trionfo quindi del rivestimento che si esprimeva anche attraverso tendaggi e tappeti. Non è forse corretto parlare di ricerca formale quanto piuttosto dell’interpretazione di un gusto dove la decorazione era più importante della forma e dove la morbidezza e comfort cominciano ad essere considerati anche in virtù dei nuovi comportamenti che permettono e che si riflettono sul vivere la casa e gli spazi privati in genere. Con la comparsa delle materie plastiche come elastometri, schiume poliuretaniche e spugne, pur non abbandonando materiali come il cotone, le fibre vegetali e la lana, si aprono nuove possibilità che permettono di realizzare forme definite se non addirittura modellate senza perdere la morbidezza.


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Tra gli arredi dove la scelta di materiale ha determinato la forma deve essere ricordato il pratone di Gufram realizzato in poliuretano schiumato a freddo e successivamente verniciato. In questo, come in altri esempi e tra questi la poltrona Up di Gaetano Pesce, è stato completamente superato il rapporto imbottitura/struttura. Le schiume a densità variabile hanno permesso di conformare profili e forme in modo completamente diverso dal precedente. Quanto il cambiamento delle forme abbia influenzato e continui ad influenzare i comportamenti è evidente e come questi reciprocamente influenzino le forme dell’arredo. Materiali che con facilità possono essere modellati e che non necessitano dell’uso di sostanze diversi per consistenza e comportamento. Un punto importante è quello del superamento della contrapposizione struttura / imbottitura nella costruzione degli arredi intrecciati dove l’intreccio non è un rivestimento ma struttura o elemento di riempimento e completamento. Tra i progettisti che prima di altri si sono confrontati con l’intreccio di fibre nell’arredo c’è Franco Albini del quale possiamo ricordare le sedute in vimini Gaia e soprattutto Margherita. Qui, in qualche modo, il concetto di densità si riavvicina a quello che abbiamo trattato per la densità tessile dove le fibre si allontanano o si avvicinano anche il virtù della loro robustezza e spessore. Recentemente il periodico Interni ha presentato alcuni arredi dove l’uso dell’intreccio è stato interpretato con materiali e forme non del tutto convenzionali. In quasi tutte le sedute illustrate si ha un telaio di metallo o legno al quale l’intreccio viene ancorato. Fa eccezione la Diamond armchair di Marcel Wanders che fa parte della collezione Objects Nomades di Louis Vuitton. Essa è realizzata in strisce di legno di faggio intrecciato che svolgono la funzione di struttura e riempimento. Jean-Marie Massaud in molti suoi lavori ha dimostrato interesse per gli intrecci sia metallici che con fibre vegetali dove in genere ha lavorato con un unico materiale; è il caso della AD Hoc. Nella poltroncina Neil Twist si ha invece l’uso di due materiali distinti: corda in poliestere per la seduta e lo schienale, tondino di ferro intrecciato per la struttura Riferendosi alla collezione Anatra per Janus et Cie disegnata da Patricia Urquiola la designer scrive “volevo trovare il perfetto equilibrio tra leggerezza e resistenza per tradurre il concetto di comfort in sedute dai volumi generosi e dalle linee avvolgenti” mettendo in evidenza la forza e la rarefazione che l’intreccio, nel caso specifico una rivisitazione del giro inglese. Sia Anatra che la collezione Canasta sono giocate sul fuoriscala ed evidenziano così come tra i due concetti i confini non siano così netti.

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Collezione Mangas. Tappeto Designer Patricia Urquiola

Da piccolo a grande e viceversa Tutte le lavorazioni di arte tessile aumentano la preziosità nella riduzione dei suoi elementi. Lavorare con fili sottili aumenta il tempo di lavorazione il dettaglio dell’opera e quindi il suo valore non solo estetico ma anche economico. In qualche modo il micro si opponeva al generale valore delle grandi dimensioni che ha caratterizzato molte delle produzioni storiche artigianali. Esiste un’analogia con alcune lavorazioni orafe che però, aggiungono la minuziosità alla preziosità del materiale. E se, nell’oreficeria la preziosità di ogni tipo di lavorazione dal micro al macro è sempre stata facilmente espressa dall’uso dei materiali preziosi, così non è stato per le arti tessili considerate per certi versi le arti umili proprio per una difficile comunicazione del proprio intrinseco valore. Ancora oggi una delle chiavi della ricerca tessile è la miniaturizzazione degli elementi legati in particolare alle prestazioni tecnologiche: micro sensori, micro fibre, nanoparticelle. La tessitura è una lavorazione che prevede piccoli e piccolissimi elementi che però possono andare a comporre grandi artefatti finiti. Per fare un esempio storico ci possiamo riferire ai grandi arazzi costituiti da sottilissime trame di seta in grado di riprodurre ogni dettaglio dei cartoni eseguiti dai grandi pittori come il Pollaiolo. La trasformazione delle dimensioni e delle disegnature ha riguardato l’intreccio in modo non molto significativo e si è espresso più chiaramente solo nell’ultimo secolo soprattutto con la tecnica della stampa. Ci sono stati anche esempi di giganteschi macramé che possono essere considerate vere e proprie sperimentazioni. Recentemente con la stampa è stato possibile realizzare grandi disegnature sia per arredo che per abbigliamento che si presenta coerente con le trasformazioni da una scala all’altra che si realizzavano anche in altri campi del design e che decontestualizzando l’oggetto rendendolo irriconoscibile e talvolta anche non usabile. Una tecnica che il design ha condiviso con la pop art. Nell’ambito della lavorazione tessili recentemente si sono avute ricerche di rilievo e tra queste va sicuramente ricordata la serie Mangas di Patricia Urquiola. Si tratta di una serie di pouf e tappeti concepiti come l’ingrandimento di elementi di maglieria dei quali mantengono alcuni elementi tipici (come la lavorazione dei polsini). Un’interpretazione che, oltretutto rompe la tradizionale forma rettangolare del tappeto proponendo una forma simmetricamente irregolare. Ad una dimensione artistica si riferisce invece il lavoro di Ivano Vitali che intreccia fili di carta di giornale la lui realizzati a maglia di dimensioni notevoli paragonabile a quella che viene chiamata la lana gigante.



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Collezione Mangas. Tappeto Particolare Designer Patricia Urquiola Maglia gigante in carta di giornale Artista Ivano Vitali

pagina a fronte Ristorante Shu, Milano Designer Fabio Novembre

Tra le opere di design più tipiche e note per la decontestualizzazione dimensionale ci sono il Joe prodotto da Poltonova — guantone da baseball progettato da Jonathan De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi — e il Pratone di Gufram di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso. Con il passaggio di scala si attribuisce all’oggetto una funzionalità diversa ma, soprattutto, un significato comunicativo completamente nuovo. Tra gli esempi più recenti Fabio Novembre adotta questa strategia a fini provocatori e soprattutto scenografici come nel ristorante Shu a Milano dove due enormi avambracci dorati sostengono il soffitto del locale. La pratica del fuori scala trova esempi anche più recenti e nell’editoriale di DiiD dedicato proprio all’argomento Off Scale, Tonino Paris scrive: L’impiego, secondo il ritmo esponenziale, di materiali e tecnologie di altissimo contenuto innovativo, di nuove funzioni, ha reso l’azione del design trasversale alla progettazione di


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oggetti d’uso e di architetture: i prodotti industriali e gli edifici sono divenuti il sistema di accumulo della più avanzata ricerca figurativa arricchendosi di una prestazione né utile né pratica, bensì superflua rispetto ai bisogni primari2.

Ciò che si distingueva il prodotto design dal prodotto architettura era proprio che il primo era concepito al di fuori di un contesto mentre l’architettura era per sua natura posta in un contesto fisso e preciso. La riflessione di Paris che uniforma le due scale progettuali porta a fare alcune considerazioni: Se è vero che i prodotto di design hanno la tendenza ad aumentare le proprie dimensioni col passare degli anni (dalle auto agli arredi e agli accessori moda) tale fenomeno non è de considerarsi irreversibili anche perché possono essere citati esempi in senso opposto: gli elementi dell’architettura classica sono stati miniaturizzati per essere inseriti in arredi e complementi ed oggi sono comuni le riduzioni delle dimensioni degli apparecchi illuminanti, dei diffusori di suono e in 2

http://www.disegnoindustriale.net/diid/off-scale-and-contemporary-landscape/

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Spanish Pavillon Shanghai Designer Studio EMBF

generale di alcuni apparecchi digitali…per non parlare poi della riduzione dimensionali degli spazi di vita. (Ibidem)

Proprio per questa contaminazione tra scale diverse in questo contesto sembra di un certo interesse osservare quando la pelle, il rivestimento sotto forma di pattern intrecciato ed ingigantito, è un grado coprire anche la dimensione architettonica, cioè una dimensione ben oltre quella di applicazione abituale dell’intreccio e del design e, con questa applicazione, definire lo spirito stesso del progetto come nello Spanish Pavillon per l’esposizione di Shanghai dello studio EMBT realizzato con pannelli di vimini intrecciato, nel Morpheus hotel a Machao di Zaha Hadid, nel Lace di Antonio Citterio e infine nelle sale da tè Ji-An & So-An & Gyo-An di Shigeru Uchida.


introduzione

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nuove frontiere della ricerca

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Manteco s.p.a.

Fatturato

71,9 milioni di euro

Sede

Montemurlo (PO)

Anno di fondazione

1943

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Produzione tessuti lana, lana riciclata, e altre fibre; sistema di tracciabilità controllato nell’intera filiera, processi di finitura certificati a basso impatto ambientale, mulesing-free. L’azienda produce collezioni eco-friendly caratterizzate da materie prime controllate. L’attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale si esprime anche nell’attenzione all’ambiente di lavoro dell’intera azienda. Nel 2019 Manteco ha ricevuto il premio Radical Green al festival della Geen Economy di Trento.

Materiali

Fibre naturali, Nylon, Tencel


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Lanificio paultex s.r.l.

Fatturato

7,9 milioni di euro

Sede

Agliana (PT)

Anno di fondazione

1974

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Filatura, tessitura, rifinitura tessuti in lana. Tutti i prodotti sono certificati Cardato Recycled, sono realizzati con almeno il 65% di materiale riciclato, sono prodotti all’interno del distretto pratese e hanno un minor impatto ambientale rispetto a tessuti che utilizzino fibre vergini, grazie al risparmio energetico ed al minor consumo di acqua.

Materiali

Lana, lana riciclata e altre fibre naturali.


nuove frontiere della ricerca

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Gruppo Colle s.r.l.

Fatturato

16,8 milioni di euro (2017)

Posizione della filiera

Prato e Pistoia

Sede

Usella-Cantagallo (PO)

Anno di fondazione

1952

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Tintura, trattamenti per mantenere inalterate le qualità naturali delle fibre e ovviare ai problemi causati dai tradizionali processi di tintura. Sono attuati sistemi di depigmentazione per estrazione del pigmento naturale scuro delle fibre animali, trattamento per l’eliminazione dei peli neri naturalmente presenti tra le fibre chiare, trattamenti per aumentare l’elasticità, la tenacità delle fibre e migliorare le performance durante il processo di filatura.

Materiali

Lana e altre fibre naturali, viscosa e fibre sintetiche.


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Beste s.p.a.

Fatturato

23,9 milioni di euro (2017)

Sede

Cantagallo (PO)

Anno di fondazione

1992

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Finissaggio dei tessili, degli articoli di vestiario e prodotti similari. La natura totalmente verticale del gruppo permette di controllare sia la progettazione tessile che l’elaborazione dei capi consente di strutturare i materiali già in funzione del loro utilizzo, ossia di pensarli o modificarli a partire dalle esigenze estetiche e di performance del prodotto finale. La disponibilità interna di macchinari come il taglio laser, le saldatrici tessili, i cesti di tintura e un sofisticato laboratorio di gestione del colore, consente di trasformare l’innovazione spostandola dagli aspetti di assemblaggio a quelli di finissaggio e trattamento in capo, dagli aspetti di confezione a quelli più attinenti alla natura dei materiali e viceversa.

Materiali

Fibre naturali, membrane impermeabili e traspiranti, tessuti speciali.


nuove frontiere della ricerca

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Pinori Filati S.p.a.

Posizione della filiera

Prato (PO)

Sede

Prato (PO)

Anno di fondazione

1980

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Preparazione e filatura di fibre tessili, protocollo 4sustanaibility per la riduzione delle sostanze chimiche nel sistema produttivo. La tecnica industriale di ricerca è fondata sull’impiego delle più moderne tecnologie e tecniche di lavorazione nel rispetto di un’approfondita e costante ricerca della qualità.

Materiali

Filati innovativi per la maglieria pettinata, denim riciclato.


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Piñatex

Fatturato

500.000 sterline

Posizione della filiera

Sudamerica, Londra

Sede

Londra

Anno di fondazione

1990 ca.

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Piñatex è un tessuto non tessuto ottenuto dalle fibre lunghe delle foglie di Ananas che sono resistenti e flessibili. Ha caratteristiche molto simili a quelle della pelle ma è un prodotto totalmente vegetale.

Materiali

Foglie di Ananas


nuove frontiere della ricerca

Orange Fiber S.r.l

Fatturato

400.000 euro (2016/2017)

Posizione della filiera

Catania

Sede

Catania

Anno di fondazione

2014

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

Estrazione della cellulosa da agrumi idonea alla filatura, creazione di filati e tessuti lavorati. Orange Fiber ha brevettato e produce il primo tessuto sostenibile da agrumi al mondo. Esclusivo, setoso e impalpabile, pensato per rispondere alle esigenze di innovazione e sostenibilitĂ della moda interpretandone la creativitĂ e lo spirito visionario.

Materiali

Sottoprodotti agrumicoli

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WOVNS

Fondatori

Dena and Chelsea Molnar

Sede

San Francisco, CA

Anno di fondazione

2016

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

WOVNS è una piattaforma online che realizza tessuti personalizzati. L’utente può caricare direttamente sul sito l’immagine della fantasia che desidera realizzare, selezionare il tipo e la quantità di tessuto necessario e le colorazioni. La piattaforma digitale Wovns ha sviluppato un processo di tessitura on-demand che consente ai progettisti di ordinare tessuti jacquard in piccole quantità fino ad un minimo di 91 cm di prodotto lavorato. Questo processo/ servizio interpreta l’ascesa della fabbricazione digitale, esaltandone le caratteristiche di rapidità e facilità di traduzione dal progetto digitale al prototipo/ prodotto fisico.

Materiali

Fibre naturali e sintetiche


nuove frontiere della ricerca

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Micro-Nutrient Couture

Fondatori

Emily Crane

Sede

Londra

Anno di fondazione

2010

Mercato di riferimento

Globale

Caratteristiche del progetto

Micro-Nutrient Couture nasce dalla volontà di ridurre a zero gli scarti derivati dall’industria della moda e diminuire l’impatto ambientale di questo settore, creando capi d’abbigliamento da materiali edibili. La designer mira a sviluppare una provocatoria alternativa alla ‘fast fashion’ garantendo capi d’abbigliamento che non sono semplicemente belli, ma possono anche rappresentare una fonte di nutrimento in situazioni ‘limite’. Il progetto si basa sulla creazione di prodotti per la moda a partire da tecniche utilizzate nella vita di tutti i giorni: Emily Crane cucina, fonde, coltiva e assembla abiti futuristici a partire da materiali naturali e commestibili.

Materiali

Gelatina, estratti e coloranti naturali, carragenina (gelatina ad uso alimentare), glicerina.


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Bisso marino

Sede di raccolta e lavorazione

Isola di Sant’Antioco, Sardegnae Mar Mediterraneo occidentale

Mercato di riferimento

Scarsa commercializzazione

Lavorazioni

Il bisso è una fibra tessile di origine animale, meglio nota come ‘la seta del mare’, ottenuta dai filamenti secreti da una specie di molluschi bivalvi marini (Pinna nobilis) endemica del Mediterraneo. Dal bisso si ricavavano pregiatissimi e costosi tessuti utilizzati sin dall’antichità; Il materiale inoltre ha spiccate proprietà terapeutiche ben conosciute dai pescatori, in quanto grazie alla sua potente proprietà emostatica era usato per la medicazione delle ferite che i pescatori frequentemente si procuravano con gli arnesi da pesca.

Materiali

Fibra tessile marina


nuove frontiere della ricerca

BLOOM algae foa

Sede

Meridian, Mississipi (USA)

Anno di fondazione

2015

Mercato di riferimento

Globale

Lavorazioni

È la prima schiuma a base vegetale ricavata dalla biomassa di alghe. Nello specifico, le alghe utilizzate trasformano in presenza di luce solare, l’acqua e agenti inquinanti disciolti in acqua in una biomassa vegetale rinnovabile che ripulisce l’ambiente e da cui è appunto possibile ricavare la schiuma BLOOM.

Materiali

Alghe marine

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Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Settembre 2019



La necessità di tenere sempre presenti gli elementi fondamentali della ricerca e della progettazione tessile e non solo, la consapevolezza di un crescente interesse verso i temi delle superfici e della progettazione planare, sono i due principali motivi che hanno fatto nascere il testo. Il design tessile con le sue regole restrittive e, contemporaneamente, con le sue infinite variazioni, può essere interpretato semplicemente come una palestra o come una metafora progettuale. Il testo è stato organizzato in modo da esprimere un avvicinamento progressivo più che dalla teoria alla pratica dall’astrazione alla concretezza. L’apparato iconografico, molte immagini del quale sono scatti dell’autrice, si presenta per certi versi come una lettura parallela che può suggerire percorsi di analisi o percorsi creativi. Eleonora Trivellin textile designer, dottore di ricerca in designer, svolge attività di ricerca all’interno del Laboratorio di Design per la sostenibilità dell’Università di Firenze. Su temi affini ha pubblicato Intreccio e Design (2013).

ISBN 978-88-3338-076-6

€ 18,00


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