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Francesco Faggiano

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Giovanni Canali

Giovanni Canali

Il Feomelanismo

Genetica, classificazione e prospettive ornicolturali

testo di FRANCESCOFAGGIANO, foto M. PICCININI, B. ZAMAGNI, S. LUCARINIG. D’ELIAeM. CENZON

La genetica delle mutazioni (1ª parte)

Introduzione Siamo soliti definire come feomelanico il fenotipo di uccelli che palesano “apparentemente” nel piumaggio solo melanina color ruggine, comunemente indicata come feomelanina e tecnicamente riferibile ad un pigmento di natura peptidica nella cui molecola è inglobata cisteina (che è un amminoacido contenente zolfo), elemento che determina la colorazione dal castano al rosso ramato fino al giallo zolfo. Ma quanto la dicitura “feomelanismo” è corretta? Quale mutazione produce un fenotipo così caratteristico? E soprattutto: tale fenotipo è veramente dato solo dal l’incapacità sopraggiunta di produrre eumelanina? A tal proposito, le livree feomelaniche sono tutte uguali o esistono differenze che dobbiamo considerare nelle nostre scelte selettive, prescindendo dalle caratteristiche della specie? Spinto da queste incertezze e dalle tante curiosità che il ventaglio di specie interessate da feomelanismo presentano, ho cercato, anche grazie all’interazione e il confronto con diversi colleghi, di approfondire e capire attraverso il mondo scientifico i meccanismi genetici e funzionali del feomelanismo e farne un quadro organico da poter applicare al variegato panorama ornitologico. Vi anticipo che da quanto emerso in questa mia ricerca, riferita ai fenotipi feo, che più specie presentano, possiamo ipotizzare che probabilmente abbiamo troppo sommariamente compresso col solo termine “feo” (phaeo per la specializzazione del canarino di colore) queste varietà. Per questo, l’approfondimento riportato potrebbe servire a confermare o meno ciò che è veramente un feomelanismo rispetto a ciò che può essere considerato un feomelanismo e suggerirci come dovremmo realmente orientarci nella selezione di questi tipi, che non sono e non possono essere tutti uguali.

DM topazio, all. Piccinini

Carpodaco feo a disegno orlato, all. Zamagni

Famiglia ibrida di DM x D. Codalunga topazio, all. Lucarini

Determinazione genetica del feomelanismo In passato si era soliti affermare che un gene è “l’istruzione per produrre una proteina”. Questo è ancora vero, ma oggi si sa che esistono anche pezzi di DNA (geni)che giocano importanti compiti anche se non si occupano di produrre direttamente le proteine, ma ne regolano la produzione o la funzione. Conoscere i meccanismi di produzione e regolazione di processi come la pigmentazione melanica nel piumaggio è importante in ornicoltura, per comprendere ed orientarsi al meglio in un settore sempre più complesso quale è la selezione degli uccelli domestici; ecco perché sono andato a ricercare il fenomeno genetico che ci può spiegare il feomelanismo. Nel mondo della genetica accademica, uno dei loci più studiati relativi alla melanogenesi e, guarda caso, legato all’insorgenza di fenotipi feomelanici, è quello del gene MC1R (primo recettore della melanocortina), che codifica per il recettoredi un ormone detto melanocortina (il gene produce una proteina che ha funzione di recettore per l’ormone ipofisario indicato con sigla MHS). La melanocortina è una molecola secreta dall’ipofisi che stimola i melanociti a produrre eumelanina attraverso l’enzima/recettore MC1R, che è quello che va incontro a mutazioni. Questo gene (MC1R che produce la proteina omonima) è oggetto di numerose mutazioni di diversa tipologia, alcune delle quali comportano una ridotta funzionedel recettore, ovvero il recettore trasmette male (poco o niente) il messaggio dell’ormone melanocortina al melanocita. Come conseguenza, il melanocita non produce eumelanina e si ha un fenotipo caratterizzato da pelle chiara e annessi cu-

tanei rossastri, perché la cellula non riceve il messaggio ormonale “pro-

duci eumelanina”. Quindi il melanocita rimane potenzialmente capace di produrre eumelanina, ma non la produce perchè non riceve il messaggio dal recettore che è guasto. Dobbiamo ricordare però che la pigmentazione melanica è un processo che interessa più geni, alcuni dei quali non sono significativamente influenzati dal gene MC1R. Questo permette anche di superare, almeno in parte, il defaulteumelanico determinato da questo tipo di mutazione, permettendo una seppur artefatta sintesi di melanina scura. Rimane comunque il fatto che l’MC1R è una delle proteine chiave (diremmo la più importante), tra quelle coinvolte nella regolazione del colore della pelle e degli annessi cutanei di mammiferi e volatili (peli e piume). Si trova sulla membrana plasmatica di cellule specializzate note come melanociti, che producono il pigmento melanico attraverso il processo di melanogenesi. Funziona controllando il tipo di melanina prodotta e la sua azione nel melanocita è quella di “interruttore” per la produzione dell’eumelanina. Quando attivata dall’ormone ipofisario, l’MC1R blocca la produzione di feomelanina e avvia una complessa cascata di segnali all’interno del melanocita che porta alla produzione dell’eumelanina. Questo ci fa dedurre che il melanocita produce “fisiologicamente” solo feomelanina se non interviene la stimolazione ipofisaria su MC1R. Dobbiamo ricordare che è certo che nei mammiferi il recettore possa anche essere “antagonizzato” dal peptide di segnalazione Agouti (leggi livrea selvatica), tecnicamente responsabile della dislocazione delle melanine, che riporta la cellula a produrre la sola feomelanina anche in presenza di melanocortina. In alcuni mammiferi la natura della segnalazione Agouti attraverso MC1R è pulsante e produce il caratteristico pattern di bande alterne giallo e nero (Feo ed Eu) osservabile sulla maggior parte dei peli nei mammiferi selvatici, che ha funzioni protettive per gli UV e mimetiche. In alcune specie, (e probabilmente an-

che in molti uccelli), di contro, la segnalazione Agouti non è di natura pulsante, ma la sua azione di riattivazione della feomelanogenesi a scapito della produzione eumelanica è limitata a determinate regioni, cioè ha un’azione “a zone”. Con molta probabilità è questo il meccanismo che ci dà aree di pigmento feomelanico negli uccelli, come ad esempio la mantellina nel gallo domestico, la guancia nel diamante mandarino e il petto del diamante di Gould, tutte aree in cui, anche se apparentemente abbiamo una pigmentazione feomelanica, in realtà esiste una seppur accennata stratificazione delle due tipologie melaniche, che vede l’eumelanina nella parte bassa, terzo inferiore della piuma o pars plumacea,e la feo nei due terzi superiori. Nei mammiferi, ad esempio, l’azione a zone del gene Agouti è particolarmente evidente nei cavalli, dove il mantello baio ha zampe, criniera e coda nere, ma un corpo rossastro. Per conoscenza va riportato che una notevole eccezione a quanto descritto sono i capelli umani, che non sono né fasciati né striati, quindi si pensa che siano regolati esclusivamente dalla segnalazione MC1R e non vi sia il gene Agouti a dare regolazione ritmica o a zone della colorazione melanica. Ricapitolando, la proteina MC1R è un regolatore o fattore determinante per la quantità e il tipo di pigmenti melanici sintetizzati dai melanociti; peraltro, regola sia la pigmentazione basale che la risposta abbronzante indotta dai raggi UV. La se gnalazione MC1R avvia e aumenta la sintesi di eumelanina, stabilendo il rapporto tra eumelanina e feomelanina. Inoltre, migliora il trasferimento dei melanosomi per aumentare la deposizione di melanina nei cheratinociti. Ricordando che sia l’eumelanina che la feomelanina derivano dalla ciclizzazione sequenziale e dall’ossidazione del l’ammi noacido tirosina, dobbiamo evidenziare che i primi due passaggi della biosintesi melanica sono condivisi tra i due percorsi, con la conversione della tirosina in DOPA e quindi in DOPAchinone da parte dell’enzima tirosinasi. L’eumelanogenesi e la feomelanogenesi divergono solo dopo la formazione del DOPAchinone. Si deduce che, quando il recettore MC1R non funziona nel melanocita, la molecola precursore delle eumelanina può diventare, o meglio, diventa feomelanina. Altri enzimi oltre alla tirosinasi sono necessari per la sintesi della eumelanina; come sappiamo, dipendono da altri geni e possono essere soggetti anch’essi a mutazioni. Generalizzando, però, possiamo affermare che difetti in altri enzimi implicati nella pigmentazione producano fenotipi ipomelanotici, come le varie forme di albinismo. Sebbene il controllo del passaggio del pigmento tra eumelanina e feomelanina sia regolato da molteplici fattori tra cui il pH dell’ambiente cellulare e i livelli di tirosinasi e l’assetto ormonale, la presenza della proteina MC1R funzionale è necessaria per una sintesi efficace e ordinaria di eumelanina. Il recettore della melanocortina, MC1R, è una proteina altamente polimorfica (può presentare molti alleli) e nell’uomo molte delle varianti con perdita di funzione di questo recettore sono associate al “colore dei capelli rossi”; per similitudine e verifica succede la stessa cosa nei volatili. Il grado di funzione dell’MC1R è correlato all’entità del fenotipo feomelanico, caratterizzando gli individui con varianti del rutilismo. Gli effetti di MC1R e della sua funzionalità sulla pigmentazione basale sono uguali sia nei modelli umani che in quelli animali. Ad esempio, il colore del mantello murino (dei topi) è fortemente influenzato dalla segnalazione MC1R, come chiaramente si evidenzia dalle variazioni nel colore del mantello associate alle mutazioni MC1R. I topi con la mutazione gialla recessiva(mutazione del locusdi estensione, o “estensore delle feo”) producono un MC1R non funzionale e come risultato mostrano un colore del mantello feomelanotico, perché la proteina MC1R non attiva la produzione delle eumelanine. Al contrario, un aumento dell’attività MC1R (leggi aumento di sensibilità del recettore o sua iperattività) è stato riscontrato nei cosiddetti fenotipi scuri (recettore iperattivo) ed è associato ad un aumento della sintesi di eumelanina e ad un colore del mantello più scuro. Da quanto

asserito, cade con certezza l’idea che sotto l’eumelanina dei mantelli più scuri ci sia feo che non si vede.

Il nido di canarini phaeo, all. D’elia

Carpodaco feo a melanina centrale, all. Cenzon

Il gene Agouti nella determinazione di aree feomelaniche e non solo Nei mammiferi la proteina di segnalazione per il mantello Agouti, ovvero selvatico, funziona come un inibitore MC1R competitivo, prevenendo efficacemente il legame della melanocortina con MC1R e inibendo l’attivazione del messaggio di sintesi dell’eumelanina e promuovendo così la sintesi della feomelanina. Inoltre, Agouti funziona come un agonista inverso per diminuire la segnalazione basale di MC1R e inibire l’eumelanogenesi. La proteina di segnalazione Agouti era nota per promuovere un fenotipo di rivestimento feomelanotico prima che fosse de terminata essere un trasmettitore di retto di MC1R. È espresso nella papilla dermica del follicolo pilifero, dove funge da segnale paracrino (diffusore del messaggio di modifica della fisiologia solo della cellula dov’è presente) per regolare il colore dei peli. Nella pelliccia di alcuni animali, il locus Agouti viene espresso transitoriamente per creare bande alternate di feomelanina ed eumelanina sul fusto del pelo, il che si traduce in un mantello mimetico. Ci sono comunque più fenotipi del mantello dipendenti dall’espressione alterata dell’ Agouti. La capacità del gene Agoutidi promuovere un fenotipo feomelanotico dipende comunque da un MC1R funzionale che deve andare a occupare per inibire il messaggio della melanocortina. L’effetto inibitorio di Agouti sulla produzione di pigmento eumelanico, tuttavia, è visto con o senza stimolazione concomitante della melanocortina; questo suggerisce che gli effetti di Agouti su MC1R non siano completamente spiegati attraverso la prevenzione del legame con la melanocortina. Ciò significa che il gene Agouti induce feomelanismo anche a prescindere dal’inibizione che determina sul recettore nei confronti della melanocortina. Il legame della proteina Agouti a MC1R porta a una diminuita attività della tirosinasi basale e diminuzione dei livelli di tirosinasi e altre proteine correlata alla tirosinasi, prevenendo l’eumelanogenesi ed influenzando anche ulteriori percorsi di segnalazione di MC1R tra cui i processi di proliferazione e migrazione melanosomica. Nel topo e altri mammiferi, mutazioni del gene Agouti (mutazioni moganoe moganoide, due mutazioni che scuriscono) sono associate a fenotipi melanotici, simili a quelli osservati in una mutazione che causa la perdita di funzione dell’Agouti e un guadagno di funzione per mutazione di MC1R (mutazione che fa funzionare di più e meglio il recettore). Le mutazioni ipermelaniche non hanno effetto sui livelli plasmatici di melanocortina e tirosina, ma, impedendo al gene Agoutidi interferire con il messaggio di produzione eumelanico, realizzano mantelli più scuri anche in virtù del fatto che tutto il DOPAchinone è trasformato in eumelanina. Deduciamo che la perdita di funzione dell’Agouti determini un’aumentata funzione della melanocortina sul recettore MC1R semplicemente perché manca il suo antagonista; questo determina un aumento della produzione delle eumelanine e del tempo durante il quale viene prodotta. Quindi il gene Agouti, attraverso un fenomeno di antagonismo localizzato del recettore MC1R, produce la pigmentazione feomelanica perché blocca il messaggio eumelanico; attualmente non si riportano mutazioni la cui modifica funzionale induca miglioramenti della sintesi feomelanica, riportabili nuovamente solo a disfunzione del recettore MC1R, unico vero responsabile del feomelanismo. È però interessante osservare come probabilmente livree melanotiche negli uccelli, in virtù di come funziona il recettore MC1R, confermino nei volatili la presenza del gene Agouti, perchè quando funzionante produce mantelli composti da feo e da eu proprio grazie alla particolare interferenza dell’Agouti con MC1R, mentre quando Agouti non funziona produce un “aumento di attività eumelanica” dando mantelli ascrivibili ad esempio all’onice/grigio/guancianera, che oggi sappiamo essere presente, oltre che nel canarino, rispettivamente nel Diamante mandarino, nel Diamante codalunga e nel passero del Giappone, specie che,

Carpodaco feo a saturazione completa, all. Cenzon

ibridate tra loro in presenza della mutazione considerata, hanno prodotto figliolanza mutata. In particolare, è di recentissima scoperta l’allelicità tra il DM guancianera e il codalunga Grigio, grazie all’ibrido del signor Matteo Ciuffreda, di cui parleremo nel prossimo articolo. Altra mutazione che potrebbe essere considerata come indizio della presenza del gene Agouti quale responsabile della localizzatore dei pigmenti melanici, è la mutazione pettoarancio del Diamante mandarino, che teoricamente, lasciando invariato il colore di fondo, sostituirebbe nei disegni (lacrima, zebratura, banda pettorale e scacchi della coda) l’eumelanina con la feomelanina, cosa che in realtà avviene completamente solo su base bruna, mentre nei grigi tale sostituzione sembrerebbe intermittente. Ovviamente, quanto sopra riportato va considerato nell’insieme e semplicemente come mie deduzioni o meglio ipotesi, fatte sì su indizi e confronti, ma basate sulla sola consapevolezza che generalmente, ma non sempre, i fenomeni genetici e le mutazioni ad essi correlabili sono gli stessi tra mammiferi ed uccelli e l’osservazione trasversale può spiegarci il perché delle cose.

Il feomelanismo in ornicoltura Abbiamo visto come nei mammiferi e negli uccelli esista una proteina (recettore MC1R) situata nella membrana dei melanociti (le cellule che producono le melanine) che capta il segnale dell’ormone ipofisario (MHS) e induce la cellula a produrre l’eumelanina. Da quanto sopra riportato, dovremmo definire feomelanismo ogni mutazione a carico di questo recettore, che determina una disfunzione responsabile di non trasmettere al melanocita l’informazione che lo induce a produrre eumelanina. Ogni-

qualvolta il recettore non riesce a trasmettere il messaggio ipofisario “pro-

duci eumelanina” al melanocita, il fenotipo derivante va considerato e classificato come una “forma di feomelanismo”, anche in casi dove tale difetto di trasmissione è parziale come nel topazio. Nella realtà dei fatti, pur essendo oggi classificati a livello scientifico, diversi alleli ipofunzionanti del recettore, come ebbi modo di scrivere già 20 anni or sono nel mio libro “Mutatis mutandi”, edizione FOI, pare che nessuno di questi determini realmente un’incapacità totale dello stesso di indurre la produzione di eumelanina. Per questo, dobbiamo accettare che in tutti i “feomelanici” sia presente comunque una variabile percentuale residua di eumelanina e di questo abbiamo riscontro anche dall’osservazione microscopica, ad esempio di piume dei Passeri del Giappone rossobruni, dove si evidenzia chiaramente ancora abbondante presenza di granuli ovoidali di eumelanina, che si differenziano dalla feo perché questa si presenta come piccoli granuli (un terzo circa di quelli eumelanici bruni) di forma sferica e di colore giallo/arancio. A dire il vero, quando una quindicina di anni fa ho avuto modo di osservare al microscopio le piume di più specie, solo nella guancia del Diamante mandarino (nella varietà grigio/classico) ho riscontrato esclusivamente feomelanina. Consapevolezza che andrebbe forse considerata più attentamente nella stesura degli standard di molte specie. Altra importante informazione da considerare attentamente è il fatto che la quantità di feomelanina prodotta nella pigmentazione di un mutante feomelanico è variabile a seconda della forma allelica considerata, sapendo oggi che il gene responsabile del feomelanismo può mutare in diverse forme. Ripetendomi, ricordo che per metà del processo produttivo la melanogenesi è unica per le due tipologie di pigmento e che solo la comunicazione dell’ormone MHS trasmessa dal recettore al melanocita orienta questa cellula a produrre velocemente eumelanina. Quando questa informazione è mancante o artefatta (perché il recettore funziona male a causa di una mutazione), la sintesi feomelanica non rimane invariata e a volte (generalmente) subisce addirittura un aumento, perché il processo di melanizzazione è regolato da un complesso meccanismo multifattoriale di tipo reostatico e assoggettato (con certezza nei mammiferi e per deduzione anche nei volatili) all’azione del gene Agouti. Ov-

vero, non esiste realmente un inter-

ruttore on-off, che stabilisce quale dei

due pigmenti vada prodotto in un dato momento, ma solo un orientamento di intensità delle due sintesi

(meccanismo probabilmente sfruttato nella selezione del DM ino per ricolorare

DM topazio e D. Codalunga feo, all. Piccinini

la guancia), perché le molecole di DOPAchinone presenti nel melanocita devono essere trasformate in uno dei due pigmenti. Peraltro, essendo la sintesi delle eumelanine funzione anche di altri fattori come ad esempio la condizione sessuale, l’esposizione ambientale nonché l’azione di altri geni che condizionano il messaggio del recettore per la sintesi eumelanica, è automatico pensare che comunque parte del DOPAchinone sia trasformata in eumelanina anche nei feomelanici. La conferma di quanto asserito la ritroviamo ad esempio nei Passeri del Giappone “rossogrigio” alias feomelanico-onice, argomento che tratterò nel prossimo articolo dedicato ai “melanotici”. È oggettivo, ad esempio, che nel Diamante codalunga e nel Padda, dove sappiamo non esserci dimorfismo sessuale, nei feomelanici i maschi raggiungono intensità e saturazione dei pigmenti melanici più spinti (e più scuri) delle femmine, che appaiono così più vicine all’idea estremizzata e forse artefatta di feomelanismo, secondo cui in questi soggetti dovrebbe esserci solo feomelanina, ma così non è e probabilmente non può essere. A tal proposito, ricordo che i migliori canarini phaeo sono per l’appunto femmine, in virtù della maggiore carica di feo già nel tipo base. Gli approfondimenti tecnici e l’evidenza dei fatti ci spingono però a superare questi esercizi teorici e a considerare i dati di fatto che sono in primo luogo la riscontrata allelicità multipla del recettore MC1R, che produce diverse forme di feomelanismo che possono spaziare da un blocco quasi totale della sintesi delle eumelanine, associato al mantenimento dell’ordinaria quantità di feo prodotta e la sua normale distribuzione periferica sulla piuma, a forme molto conservative della funzione, come il topazio, in cui è preservata un’alta produzione di eumelanina. In ornicoltura abbiamo fringillidi, estrildidi, ploceidi e probabilmente anche psittacidi interessati da forme diverse di feo-

Canarini phaeo mosaico rosso, all. D'elia melanismo, ovvero mutazioni del recettore MC1R che, non più in grado di comunicare esattamente l’informazione ipofisaria al melanocita, determina un’inibizione variabile della sintesi eumelanica e modifiche quantitative della produzione della feo. Ad esempio, nel canarino di colore abbiamo fissato sia la forma che consideriamo essere il vero feomelanismo sia l’allele indicato, secondo il nostro modo di denominare le varianti geniche, come topazio, dove il residuo eumelanico è notevole. Stessa situazione la ritroviamo nei lucherini europei e per traslazione un po’ in tutti gli Spinus americani, dove però la situazione è complicata dalla tipologia ancestrale delle melanine, che vede pressoché assente la feo nei classici, condizione che determina fenotipi artefatti rispetto all’attesa e di difficile interpretazione condivisa. Mentre interessante è il caso del Carpodaco messicano, dove sono presenti due alleli del feomelanismo propriamente detto, per cui nel primo tipo, considerabile come classico feo, il deposito feomelanico non è né amplificato (non vi è aumento quantitativo) né esteso (ovvero dislocato in aree della piuma non di naturale pertinenza). Nel secondo tipo, definibile “feo amplificato”, di contro, purtroppo misconosciuto e quasi estinto perché “rigettato”, la feomelanina risulta appunto sia amplificata, cosa che apprezziamo per la maggiore saturazione del pigmento, che estesa, perché presente anche nella porzione centrale della piuma, dove normalmente non c’è. È ovvio considerare che in questa seconda forma, anche se non in modo chiaramente distinguibile, sia presente molta eumelanina bruna, paragonabile alla condizione del Passero del Giappone rossobruno, laddove mai denominazione fu più adeguata. Un’attenta riflessione ci porta anche a considerare che probabilmente sia nel canarino che nell’organetto è oggi realmente fissata questa seconda tipologia di feomelanismo, che ci viene svelata dal fatto che in entrambe le specie solo i soggetti feomelanici a base bruna presentano il caratteristico vuoto centrale, ovvero il disegno a perle bianche che, per la verità, nell’organetto si ha anche in combinazione col il “perlato” che determina la perdita di eumelanina centrale su testa e dorso. Negli estrildidi abbiamo attualmente sia la mutazione topazio, caratterizzata dal colore marrone molto scuro dei disegni che nel tipo classico sono neri (vedi calotta del padda e bavetta del diamante codalunga), sia una forma di feomelanismo più tipico dove, come detto, si evidenziano sia l’amplificazione che l’estensione della feomelanina, ma anche in questo caso i disegni neri appaiono marroni e non ruggine, cosa ottenibile solo in ceppi selezionati appositamente, che però palesano una perdita generale di saturazione. Tornando al feomelanismo che va a sostituire le eumelanine, chi conosce ad esempio il Padda sa bene che il dorso del tipo classico non potrebbe mai pre-

sentare l’abbondante presenza di feomelanina apprezzabile nei topazio e nei feo, perché apparirebbe un dorso brunastro e non grigio bluastro. Stessa cosa la deduciamo osservando un codalunga classico, dove sulla testa apprezziamo un deciso colore grigio, che non potrebbe esprimersi in presenza della feomelanina che osserviamo nei mutati topazio e ancor più nei feo. Nel Diamante mandarino oggi, grazie alle prove di ibridazione conseguite dal giudice ed esperto di genetica Sergio Lucarini, sappiamo che la varietà topazio è realmente un feomelanismo in quanto ha dato ibridi mutati in accoppiamento con un codalunga feo, mentre sappiamo che quelli chiamati storicamente “feo” non appartengono a detta tipologia di mutazioni. Attualmente, unico caso probabile di allele dominante del recettore che determina il feomelanismo (MC1R) è quello presente nel Passero domestico, dove si sviluppa un fenotipo caratterizzato da pigmentazione rossobrunastra della porzione esterna delle piume. Ricordo che anche nel pollo domestico esiste la stessa mutazione, detta pyleo meglio “collo oro bianco dominante”, dove su un fondo quasi candido si poggiano aree feomelaniche.

Conclusioni Vent’anni fa pubblicai con la FOI, grazie all’intuizione del grande Presidente Cirmi, il mio libro che cercava di trattare in modo trasversale la genetica delle mutazioni del colore degli uccelli che alleviamo, proponendo in modo un po’ pionieristico quello che forse oggi è la base di una conoscenza sicuramente più ampia che, però, come nel caso del feomelanismo, ci pone davanti a riflessioni importanti su come orientare e cosa chiedere dalla selezione che nella quotidianità operiamo nei nostri aviari e che poi i giudici, in sede espositiva, sanciscono con i loro giudizi. Proprio in una delle tante chiacchierate fatte con gli amici della specializzazione EFI, cercando conferme e conoscenze utili a scrivere questa prima monografia per I.O., il maestro Ficeti, la cui memoria è patrimonio fondamentale per noi tutti, riportava come già trent’anni fa si discutesse di ciò che oggi affermiamo sul rutilismo e il fatto che in fondo, a volte, la conoscenza genetica fa solo da supporto alla selezione fenotipica, ma non ne sancisce i presupposti, che rimangono doverosamente ancorati all’aspetto più appariscente del soggetto, allorquando questo è stabile, ripetibile e coerente con la denominazione, che per questo deve essere più attinente possibile alla varietà che appella. Approfitto per ringraziare della collaborazione Gianni Ficeti, Giovanni Canali, Sergio Lucarini e, per le importanti immagini, Bruno Zamagni, Massimo Cenzon, Manuele Piccinini e l’amico di sempre Giuseppe D’elia.

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