La Settimana - n. 10 del 14 marzo 2010

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SABATO 20 MARZO A MONTENERO

Per i cattolici impegnati in politica UN MOMENTO FORTE PER RIFLETTERE INSIEME

Via del Seminario, 61 57122 Livorno tel. e fax 0586/210217 lasettimana.livorno@tiscali.it Notiziario locale

Direttore responsabile Andrea Fagioli Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983

14 marzo 2010

nità politica dei cattolici e legittimo pluralismo. Per una cultura «Criteri Udella mediazione politica nella fedeltà al messaggio evangelico. per la coscienza del cattolico impegnato in politica», è questo il titolo del prossimo incontro del Vescovo con tutti i politici presenti nel territorio della Diocesi. Un vero e proprio ritiro quaresimale per riflettere e approfondire insieme a monsignor Giusti sul significato del proprio impegno per il bene comune. Il programma prevede il ritrovo a Montenero alle 9.00 e l’inizio con la Messa e la Lectio Divina presieduta dal Vescovo a partire dal Vangelo del giorno, alle 10.00 ci sarà la meditazione di don Enrico Giovacchini (presidente dell’Opera Toniolo di Pisa ) che terminerà alle 11.00 con un momento di preghiera insieme e la recita dell’Angelus. Tutti coloro che a diversi livelli sono impegnati nelle cariche politiche del territorio sono invitati a partecipare.

MERCOLEDÌ 17 MARZO IN VESCOVADO

Terza assemblea del Progetto culturale i terrà il 17 marzo la terza assemblea Strattadel Progetto Culturale diocesano. Si di un incontro, presieduto dal Vescovo, al quale sono invitati tutti i membri della varie commissioni del Progetto Culturale. Nel prossimo appuntamento ogni commissione sarà chiamata a portare un contributo di riflessione su alcuni situazioni fondamentali per la vita di chi abita il territorio diocesano, alla luce dei principi che emergono nell’ultima enciclica «Caritas in Veritate». Il lavoro delle diverse commissioni sarà poi raccolto in un documento che sarà consegnato al Vescovo come frutto maturo di una riflessione comunitaria su temi di rilevanza cittadina, quali, ad esempio, il progetto di costruzione del nuovo ospedale. L’assemblea avrà inizio alle 21 presso il Salone del Vescovado

DI

FLAVIA MARCO

al 1999, quando il Comune di Livorno finanziò un progetto educativo a tutela dei minori destinato a dei gruppi di etnia Rom residenti al Cisternino, un piccolo gruppo di volontari partito dalla parrocchia dei Salesiani si occupa dei bambini e delle famiglie Rom aiutandole nell’inserimento scolastico, sanitario e lavorativo. Nei primi mesi del 2009 una stretta collaborazione tra il vescovo Simone Giusti e l’assessore alle Politiche Sociali Alfio Baldi, a seguito anche della tragedia in cui morirono quattro bambini Rom, ha dato vita ad un nuovo progetto per il potenziamento delle strutture di accoglienza per «persone senza fissa dimora». Tale disposizione delle autorità è stata raccolta dalla Fondazione Giovanni Michelucci che da 28 anni è impegnata nella costruzione di politiche e azioni dirette a promuovere la convivenza con le popolazioni Rom, la loro inclusione urbana e sociale ed il rispetto della loro perenne condizione di minoranza linguistica e culturale. La Fondazione ha stilato, nel 2008, un programma per l’inclusione delle famiglie Rom presenti sul territorio comunale. Abbiamo voluto renderci conto delle difficoltà e dei successi incontrati in questo anno dagli operatori della Fondazione affiancati a quelli di altre organizzazioni locali quali Caritas Livorno, Comunità di Sant’Egidio, Associazioni salesiani, ecc. che già operavano dal 1999 conoscendo meglio le problematiche specifiche del territorio livornese, ed

D

abbiamo così intervistato l’architetto Massimo Colombo in qualità di responsabile e di coordinatore delle azioni della Fondazione Giovanni Michelucci. A seguito dell’incarico ricevuto, ha spiegato l’architetto, è nata la figura dell’operatore che si è occupato dell’emergenza abitativa riguardante due insediamenti Rom l’uno in via del Levante, l’altro al campo nella località Cisternino. Per quanto riguarda il primo insediamento l’operazione principale è stata quella di fornire un accompagnamento sanitario: la situazione, infatti, si era rivelata disastrosa, soprattutto per quanto concerne la salute delle donne e dei bambini. In particolare sono stati seguiti, e tuttora lo sono, due casi di bambine nate con gravi malformazioni, l’una con grande un angioma, l’altra microcefala, entrambe operate dall’ospedale di Livorno e dal Meyer di Firenze. È stata tentata anche, ha continuato Massimo Colombo, la regolarizzazione dei documenti e del lavoro cercando di slegare le persone dall’elemosina o dal lavoro nero ma qui il problema si fa più complicato in quanto la maggior parte dei Rom facenti parte di questo insediamento sono rumeni e spesso tornano per lunghi periodi nel loro Paese di origine per cui la regolarizzazione del lavoro senza la garanzia di un residenza non facilita affatto la stipulazione di alcun tipo di contratto. Più organizzata e più radicata è l’opera compiuta nel campo al Cisternino grazie soprattutto, ha sottolineato Massimo Colombo, alla stretta collaborazione con la Caritas Livorno nella persona di Mauro Nobili.

Successi e difficoltà del progetto portato avanti dalla Fondazione Michelucci e dalla Caritas Livorno

I GRUPPI PRESENTI IN CITTÀ

TRA PREGIUDIZIO E VERITÀ a quasi trenta anni la città di Livorno vede la presenza di un popolo che, però, ancora non D conosce, non apprezza, che talvolta non vorrebbe

Qui è stato possibile attuare un accompagnamento abitativo, ovvero è stato possibile far sì che una famiglia ricevesse un appartamento; l’associazione ha vinto, poi, un bando di concorso per l’accompagnamento lavorativo delle famiglie Rom cioè borse di lavoro che permettono ad alcuni di poter svolgere un lavoro regolare. Un altro bando di concorso, poi, ha fornito aiuto economico ad una donna Rom che già abita in un appartamento. In generale, dunque, secondo le parole dell’architetto Massimo Colombo, il progetto sta prendendo lentamente forma, le istituzioni si sono notevolmente sensibilizzate riguardo all’argomento anche se le risorse economiche sono sempre limitate. Il problema sorge piuttosto, sostengono ancora dalla Fondazione, quando spostiamo la nostra attenzione sulla popolazione livornese e sul rapporto che questa mantiene con i Rom: freddezza e pregiudizio sono la cifra del sentire e l’anticamera della chiusura nei confronti di un popolo che ormai, nonostante la nostra cecità, vive sul

territorio livornese da quasi 30 anni, che dunque è decisamente residente nella nostra città e che, anzi, potrebbe essere l’occasione per rinvigorire quello spirito positivo di accoglienza che ha permesso la nascita di una civiltà da un manipolo di galeotti, di prostitute e di senza tetto. La «livornesità» altro non è se non l’esperienza comune dell’accoglienza da parte di una terra di persone ormai respinte da tutti gli altri territori e la presenza stanziale di queste popolazioni Rom, allora, dovrebbe essere uno stimolo non soltanto per approfondire la storia, la cultura, la ricchezza che queste si portano dietro ma anche per conoscere e rivivere l’originalità della cultura livornese nella maniera migliore: vivere l’accoglienza e l’apertura verso l’altro per creare una nuova civiltà, piuttosto che leggerla sulle numerose ricerche storiche su Livorno che invadono i banchetti dei libri di tutte le feste popolari ma che restano sepolte sotto gli alti strati di polvere dell’autocompiacimento e dell’orgoglio per una storia che però potrebbe anche non appartenerci più.

neanche vedere. Il nome è cambiato ma il pregiudizio no: sono gli zingari, i nomadi, i Rom, il popolo invisibile e nello stesso tempo troppo ingombrante. Tanta e troppa ancora l’ignoranza che regna intorno a uomini, donne e bambini dei quali pensiamo di sapere già tutto, passato, presente e futuro per cui «non verrà mai nulla di buono da loro», «stacci alla larga» e tutto ciò che li relega nelle baraccopoli che suscitano in noi tanta indignazione. Eh sì! Li relega, perché il popolo Rom non vive originariamente nelle baracche ma in case come la nostre se non fosse che nell’ex-Jugoslavia le case non ci sono più e non ci sono neanche i soldi per mantenere quelle rimaste in piedi. La difficoltà di accogliere tali popolazioni ha dato vita a legislazioni che hanno creato i cosidetti “campi Rom” che, oltre a separare dal resto della città, hanno accostato diverse etnie e culture dando adito a pregiudizi e generalizzazioni. Secondo un’indagine della Caritas diocesana di Livorno la nostra città vede la presenza di più etnie Rom riconducibili a due gruppi: abbiamo i Rom provenienti dalla ex Jugoslavia che risiedono a Livorno da quasi 30 anni e che, dunque, non possono essere definiti nomadi nel senso proprio della parola; sono circa 50 persone e vivono su un terreno agricolo di loro proprietà nella località Cisternino. L’altro gruppo è composto, invece, dai Rom rumeni, bulgari e macedoni i cui rappresentanti sono giunti in Italia dopo il recente ingresso della Romania nell’Unione Europea. Questi ultimi non sono nomadi, nel loro Paese di origine erano popoli stanziali e qui, in Italia, da tre generazioni abitano lo stesso luogo, in case fornite dallo Stato, mandano i bambini a scuola e gli adulti lavorano. Se confrontiamo la situazione livornese con quella nazionale e toscana troviamo che l’immigrazione in città è inferiore ai rispettivi livelli medi (3,8% contro 6,8% della Toscana e 8,1% dell’Italia – dati Dossier 2006 – Caritas italiana, Migrantes e Caritas Roma) e che la città è ancora a “«misura d’uomo», le problematiche non sono relegate nella periferia ma sono ben visibili e percepibili da tutti. Questo permette ed invita ciascuno ad impegnarsi affinché l’integrazione e la stima tra popoli diversi possa nascere e crescere dando vita a progetti sostenibili che contrastino l’emarginazione ma anche a semplici ma fondamentali atti personali di riflessione, di conoscenza, di amicizia, di disponibilità verso l’altro, verso una cultura molto antica e ricca, ma purtroppo poco conosciuta. F.M.


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