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29 aprile 2012
di monsignor Ezio Morosi
n grande teologo parla del matrimonio come di un “secondo tempo” dell’amore. Il primo tempo è il fidanzamento. Il matrimonio non è soltanto la realizzazione dell’amore immediato che unisce l’uomo alla donna, ma la loro lenta trasformazione a contatto con l’esperienza della realtà. Il primo tempo dell’amore non scorge ancora pienamente questa realtà. L’esuberanza dei sensi e del cuore, la circonda d’incanto ricamandole intorno una trama infinita di sogno. Soltanto grado a grado si fa strada, di mano in mano che l’uno coglie nell’altro e la sa accettare, la consuetudine, l’insufficienza, la debolezza. Questo secondo tempo sopravanza di tanto il primo quanto la persona ha raggiunto la maturità del cuore che semplicemente si dona.
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Il racconto di due tifosi che hanno vissuto la tragedia davanti al televisore e poi hanno reso omaggio al calciatore con la loro presenza allo stadio. Immagini che non dimenticheranno presto
Il sorriso del «MORO» DI
MARTINA BONGINI
ilenzio, raccoglimento, partecipazione, solitamente te li aspetti entrando in una chiesa; questa volta sono la perfetta descrizione di uno stadio, lo stadio dell’Armando Picchi di Livorno che martedì 17 aprile ha rivolto l’ultimo saluto ad uno degli ultimi giocatori arrivati in città; un ragazzo giovane, che in punta di piedi è entrato nello spogliatoio della nuova squadra e che ha lasciato il segno con il suo silenzio, la sua grinta e il suo sorriso, Piermario Morosini. Livorno ha perso un suo “bimbo”, sconosciuto a molti ma oggi nei pensieri di tutti, come spesso accade in queste occasioni. La storia del “Moro”, la sua lotta quotidiana con una vita che lo aveva visto crescere forse troppo in fretta, portandogli via gli affetti più cari, una vita alla quale però sorrideva sempre perché nonostante tutto sapeva di essere amato. Un insegnamento che in particolar modo i tifosi porteranno nel cuore, che non dimenticheranno, perché Piermario ha perso la vita sul campo con la maglia amaranto. Riccardo e Gianluca, sono due di loro, due ragazzi che sabato scorso seguivano la loro squadra del cuore in televisione quando all’improvviso i loro occhi hanno visto che qualcosa non quadrava «subito» ci racconta Gianluca «ci siamo accorti che la cosa era grave, non era un semplice malore, ma inconsciamente non pensavamo al peggio». «Dai volti dei compagni e degli avversari abbiamo capito che la cosa era
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piuttosto grave - continua Riccardo - subito, la televisione, la radio, i siti internet mandavano aggiornamenti sullo stato di salute di Piermario, fino a quando purtroppo abbiamo ricevuto la notizia che non avremmo mai voluto ricevere». Quella notizia che in poche ore ha fatto non soltanto il giro d’Italia, fermando tutti i campionati di calcio, ma che ha raggiunto tutto il mondo. I tifosi ma soprattutto la città di Livorno, si sono stretti intorno ai giocatori, ai familiari di Piermario, «la sera stessa, ci siamo sentiti in dovere di stare vicino ai ragazzi, che per lo più sono ancora giovani, magari lontano dalle loro famiglie, dagli affetti proprio come lo era il “Moro” e che si sono improvvisamente trovati a dover combattere con il dolore della morte di un proprio compagno di squadra». «Vedersi morire accanto un tuo amico, in campo, mentre stai giocando aggiunge Riccardo - credo sia un dolore inspiegabile. Le loro facce, i loro occhi gonfi, lo sguardo perso nel vuoto e la testa bassa mentre scendevano dal pullman che li riportava dalla trasferta di Pescara, sono immagini che porteremo dentro di noi per molto tempo». Dal sabato pomeriggio migliaia sono state le persone che in qualche modo hanno voluto ricordare, conoscere, la storia di questo giovane ragazzo «non solo noi tifosi ma anche famiglie che magari allo stadio non vengono, nonni, bambini, tutti insieme hanno voluto salutare Piermario», «le tifoserie delle altre squadre hanno partecipato al nostro lutto -
L’intervista della Radio Vaticana a monsignor Giusti
Se la vita è vissuta con Gesù nel cuore... Non siamo supereroi, bisogna avere il coraggio di affrontare i propri limiti, ma chi segue la via dell’amore non ha paura degli «scontri», sul campo e nella vita
presegue Gianluca - di fronte alla morte non ci sono colori che dividono, tutti indossiamo un’unica maglia, quella della sofferenza». «La commozione e il raccoglimento di quasi ottomila persone allo stadio martedì scorso non sono possibili da raccontare racconta Riccardo - il lungo silenzio, in segno di rispetto e di ringraziamento al momento della benedizione della salma da parte del Vescovo e le sue parole semplici e dirette hanno
LE PAROLE DEL GIORNALISTA RENZO MARMUGI
Un segno di croce che ha unito credenti e non credenti n discorso breve, da stadio. Monsignor Simone Giusti, il vescovo, accompagnato dal vicario mons. Paolo Razzauti, ha benedetto ieri la salma di Piermario Morosini prima della partenza U del feretro verso Bergamo dove domani si terranno i funerali. Un religioso silenzio per un funerale laico. Dentro un “Picchi” riempito da ottomila persone in un martedì qualunque. Tutti commossi, muti, non volava una mosca. Una grande dimostrazione di maturità, come, quando vuole, Livorno sa dare. E questa era un’occasione da non perdere. E’ stato un abbraccio forte, intenso, intriso di significati. «Noi siamo nati per vivere – ha detto il vescovo - nati per la vita e non per la morte. Solo con l’amore si può vincere la morte e quindi accogliere e accettare la sofferenza. Piermario, in coloro che hai amato tu sei vivo per sempre, in coloro che hai amato tu sarai per sempre. E ora tu raggiungerai i tuoi cari, salutato anche da questa città che ti ha apprezzato e voluto bene. Vai, accompagnato da tutta la nostra gratitudine. Buon viaggio». Un messaggio di commiato pieno di speranza, più che di dolore. La certezza, per un credente come è stato Piermario Morosini, che una volta superata la morte saremo tutti uniti per l’eternità. Monsignor Giusti ha pronunciato queste brevi parole in un’atmosfera di raccoglimento assoluto. E alla fine, al momento di benedire la salma, il segno della croce è stato qualcosa che ha unito anche i non credenti. Seguito da un applauso lunghissimo, incessante, prolungato fino al momento di veder uscire dallo stadio quella Mercedes metallizzata con le spoglie del “Moro”. Il coronamento più bello a una cerimonia asciutta, composta, misurata. Senza retorica e senza eccessi. Semplice ma al tempo stesso bellissima.
toccato il cuore dei presenti ed hanno lasciato il segno». «Difficile sarà ritornare allo stadio, perché quelle immagini rimarranno impresse nelle nostre menti credo a vita, ma purtroppo dobbiamo andare avanti, consapevoli che il “Moro” è morto con la maglia amaranto indosso, un ragazzo che ha lottato fino alla fine nella vita e in campo». «Per chi non è tifoso forse questo non ha molto significato - confessa Riccardo - ma per noi ha un valore importantissimo, anche se qui a Livorno è rimasto poco tempo, nei nostri cuori non ci abbandonerà mai». Livorno spesso viene citata per i molti difetti che ha, ma a fronte di tutto ciò manifesta sempre un gran cuore e una grande generosità e tutto questo affetto e riconoscimento lo dimostrano; a Morosini probabilmente sarà dedicata la gradinata dello stadio, ma la cosa più importante è che durante le prossime partite saranno raccolti fondi per l’acquisto di defibrillatori per i campi minori perché come Gianluca e Riccardo tengono a sottolineare «una vita salvata è più importante di una vittoria sul campo, ed è necessario che le strutture dove i nostri ragazzi giocano siano il più sicure possibili».
lla morte di Morosini la Radio Vaticana ha A dedicato diversi servizi, tra questi anche un’intervista a monsignor Giusti, che è possibile ascoltare cliccando sul link disponibile sul sito diocesano (www.diocesilivorno.it). Il giornalista Luca Collodi, ha chiesto al Vescovo come questa morte in diretta abbia colpito molto più di tante prediche: «La morte, quando prende un giovane, sano, e per di più mentre gioca a pallone, è qualcosa di sconvolgente. La morte è un tabù di quest’epoca: nessuno ne parla, non si riflette più sul senso della vita, ma invece è un tema da affrontare. Bisogna dirlo chiaro e soprattutto ricordarlo ai giovani, che la medicina può allungare la vita ma non vince la morte. Però c’è una strada per vincere la morte: è quella dell’amore, è quella insegnata da Cristo». Morosini ha fatto notizia anche per le vicende umane di grande sofferenza che ha vissuto, ha ricordato Collodi nell’intervista: «Sicuramente – ha risposto monsignor Giusti - quella di questo ragazzo è una testimonianza importante e significativa: nonostante il grande dolore che si portava dentro si impegnava per i familiari, per i più deboli, frequentava i campeggi parrocchiali; ha dimostrato come, con Gesù nel cuore, si possa affrontare la sofferenza e continuare a vivere nella gioia. Gesù nel cuore non è un’idea è una presenza vera, viva, che cambia la vita. Noi non siamo supereroi, abbiamo dei limiti e i ragazzi questo se lo devono ricordare. Ma occorre avere il coraggio di affrontarli i propri limiti. Pier Mario non aveva paura sul campo come nella vita, perché ha seguito la vita dell’amore». ALTRI SERVIZI A PAGINA 5 DEL FASCICOLO REGIONALE