La Settimana n. 17 del 9 maggio 2010

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SOLO L’AMORE SALVA «Solo l’amore salva» è questo il titolo del libro appena pubblicato da monsignor Giusti per le Edizioni Paoline. Il Vescovo lo ha presentato alla diocesi nel corso della seconda giornata di aggiornamento pastorale. «Mi piacerebbe – ha detto - che questo libro diventasse il sottofondo culturale dell’anno di riflessione che la diocesi condurrà verso la definizione di un progetto educativo diocesano». Nella seconda pagina presentiamo il libro ai lettori della Settimana.

Via del Seminario, 61 57122 Livorno tel. e fax 0586/210217 lasettimana.livorno@tiscali.it Notiziario locale

Direttore responsabile Andrea Fagioli Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983

9 maggio 2010

Le parole del vescovo alla messa del primo maggio

«Gli immigrati? Fondamentali per la nostra città» asta con certi luoghi comuni: «i lavoratori immigrati qui vengono soprattutto a dare, non a prendere: e per questo dobbiamo dirgli grazie». Monsignor Simone Giusti si rivolge così all’assemblea nella chiesa di Ss. Pietro e Paolo. Per il primo maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, sulle panche sono seduti tanti rappresentanti delle comunità immigrate (filippini, senegalesi, peruviani) e il messaggio del vescovo non potrebbe essere più diretto. «Non si gestiscono i fenomeni immigratori con la paura – attacca - né semplicemente con misure di polizia, ma con una nuova sintesi culturale».

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MENO LAVORO PER GLI ITALIANI? BUGIE. «Questa Eucarestia – dice Giusti - vuole essere un segno di accoglienza e gratitudine ai lavoratori immigrati. Perché contribuiscono non poco al benessere della nostra città». Il vescovo va controcorrente: «voglio subito sgombrare il terreno da alcuni equivoci – afferma nell’omelia - fra cui quello che gli immigrati tolgano lavoro agli italiani» e, tirando in ballo le statistiche che affermano il contrario, aggiunge: «occorre anzi affermare che essi svolgono lavori complementari e sono essenziali all’economia come ormai molti studi della stessa Banca d’Italia testimoniano». QUELLO CHE I PREGIUDIZI NON DICONO. Da ormai due anni la crisi economica rimbalza nelle cronache come un’ossessione giornaliera. Non c’è lavoro, le aziende chiudono alla spicciolata: l’etica del «si salvi chi può» rischia di far rimanere stritolati gli immigrati in un indifferenziato pregiudizio xenofobo. Ma il vescovo invita a guardarsi attorno: «il tasso di presenza di anziani nelle case di riposo della nostra città – osserva – è in forte calo. Se molti nostri nonni riescono a finire i loro giorni nel loro letto è proprio grazie a badanti e colf straniere». E ancora il mondo della scuola: «pensate – nota Giusti – a quante insegnanti mantengono il posto di lavoro grazie ai figli degli immigrati che ripopolano molte classi altrimenti

svuotate dal calo demografico degli ultimi anni». I CONTI PUBBLICI QUADRANO GRAZIE AGLI IMMIGRATI. Il vescovo va oltre, allargando l’occhio al quadro nazionale. «In un sistema economico come il nostro – fa notare in cui il tasso di dipendenza demografica è elevato e destinato ad aumentare notevolmente, il contributo di nuove forze, socialmente e professionalmente integrate, è e sarà di fondamentale importanza per il mantenimento degli equilibri macroeconomici e di finanza pubblica, per il funzionamento del mercato del lavoro, per la disponibilità di servizi alla persona». OGNI LAVORO HA UGUALE DIGNITÀ. Ecco perché quando si parla di lavoro non si possono usare due pesi e due misure. Per i cristiani non esiste un lavoro di serie A (degli italiani) e uno

di serie B (per gli immigrati). Il vescovo lo dice chiaro: «Nella prospettiva cristiana anche i lavori degli immigrati che svolgono solitamente le mansioni più umili, sono considerati avere uguale dignità». E il lavoro, ogni lavoro, per la dottrina sociale cristiana è sempre a servizio della persona umana. Mai il contrario: «Si tratta – conclude Giusti - di formare uomini che anche nel lavoro si implichino mettendo in gioco il senso profondo della vita, senza considerare l’ambito lavorativo come una parentesi di essa e senza neanche finire per assolutizzarlo, identificandolo con il valore supremo della vita stessa».

«Per i cristiani non esiste un lavoro di serie A (degli italiani) e uno di serie B (per gli immigrati)». Il vescovo lo dice chiaro: «Nella prospettiva cristiana anche i lavori degli immigrati che svolgono solitamente le mansioni più umili, sono considerati avere uguale dignità». E il lavoro, ogni lavoro, per la dottrina sociale cristiana è sempre a servizio della persona umana

LA «VOCE» DEGLI IMMIGRATI

«Ma la parità dei diritti sul lavoro è ancora un miraggio» guale dignità sì, ma la parità dei diritti (e dei doveri) tra lavoratori stranieri e italiani è ancora lontana. Parola di Nircia Shanlatte Moreta, presidente della Consulta degli Immigrati livornesi che ha accolto con grande favore le par o l e usate d a monsignor Giusti il prim o magg i o . Senza nella foto Nircia Shanlatte però Moreta nasconPresidente della consulta dere che degli immigrati c’è ancora tanto da lavorare. «Le parole di monsignor Giusti – dice Nircia - sono da condividere in pieno e per questo lo ringrazio. Anzi, mi piacerebbe poter approfondire con lui questi aspetti, magari organizzando un incontro che coinvolga la diocesi». Nircia, nativa della Repubblica Dominicana, è arrivata a Livorno nel 1991: «ho fatto tutto il percorso dell’immigrato-tipo – racconta – 5 anni nell’inferno della clandestinità, poi la regolarizzazione, infine il ricongiungimento familiare». Da qualche anno è presidente della Consulta degli immigrati, l’organismo consultivo di consiglio e giunta comunale istituito nel 2003. Osservatorio ideale per sviscerare dal di dentro i temi proposti dal Vescovo. «È verissimo che i lavoratori stranieri svolgono lavori il più delle volte complementari a quelli degli ita-

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liani. Anche se, proprio negli ultimi mesi, ci sono molte italiane che, per via della crisi, stanno accettando mestieri come la badante». Poi un appunto: «mi piacerebbe – osserva Nircia – che non si dimenticassero mai, come sottolinea il Vescovo, anche i sacrifici di noi immigrati. Pensate a quante donne straniere si prendono cura dei bambini italiani, col cuore strappato nel pensare ai loro bambini lasciati nel paese d’origine». Ma Livorno è davvero un’isola felice per gli immigrati? Sono davvero pochi i pregiudizi? «Qualcuno che esagera c’è sempre, ma forse meno che altrove. Quello che posso dire di sicuro è che rispetto a quando sono arrivata è cambiato moltissimo in termini di capacità di accoglienza di istituzioni e associazioni. Venti anni fa un immigrato arrivava e la città era totalmente impreparata. Oggi sa dove andare, c’è un coordinamento delle comunità straniere, una Consulta, e tanti altri organismi e associazioni di supporto». Ma sul fronte dei diritti dei lavoratori, qui come altrove, le disuguaglianze sono ancora lontane dall’essere colmate. «Anche qui però – osserva Nircia – ci sono segni di speranza. Con la nascita del movimento “Primo marzo 2010” immigrati e italiani stanno lottando assieme, in forma non violenta, per la parità dei diritti. Qualcosa di nuovo sta nascendo».


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