La Settimana - n. 25 del 4 luglio 2010

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Sabato 10 Luglio ore 10.30 Via del Seminario, 61 57122 Livorno tel. e fax 0586/210217 lasettimana.livorno@tiscali.it Notiziario locale

Direttore responsabile Andrea Fagioli Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983

MESSA IN SUFFRAGIO DI MONSIGNOR UGUCCIONE RICCIARDIELLO alle ore 10.30 nella cappella del camposanto della Misericordia sarà celebrata la Santa Messa in suffragio di mons. Uguccione Ricciardiello nel primo anniversario di morte

4 luglio 2010

DON ZAMBERNARDI AVEVA 96 ANNI

L’ADDIO ALL’ULTIMO ABATE DI MONTENERO A lui si deve l’attuale struttura del Santuario e n’è andato in una calda mattina di giugno, nella sua Montenero, don Giuseppe Zambernardi, l’ultimo abate del Santuario della Madonna delle Grazie. Si è spento a 96 anni accudito a Villa Mayer (dove risiedeva da alcuni anni) proprio da quelle suore della Congregazione delle Piccole figlie di San Giovanni Gualberto da lui stesso fondata nel 1975. Grossetano, classe 1914, l’abate Zambernardi è stato una vera autorità nel suo incarico a capo del monastero di Montenero: dal 1959 come priore e dal 1962 al 1971, in qualità di abate. Nel 1971 fu poi eletto Abate generale della congregazione vallombrosana dell’ordine di San Benedetto e si trasferì a Vallombrosa. A lui si devono tutti i principali interventi che in quegli anni hanno trasformato i locali intorno alla basilica in luoghi di accoglienza per i sempre più numerosi pellegrini che si recavano – e si recano tutt’ora – in visita alla madonna di Montenero, patrona della Toscana. Il chiostro di san Giovanni Gualberto con la farmacia e la rivendita di oggetti religiosi, la cappella dei ceri votivi, le grotte, la foresteria monastica, il rimboschimento della collina, la biblioteca, la cappella del crocifisso, le nuove gallerie degli ex voto, le strutture che sovrastano il santuario per le passeggiate e la meditazione nel verde dei pellegrini, sono stati il frutto dei suoi anni alla guida di Montenero. Ma anche il suo impegno in campo civile, con il contributo alla realizzazione di viale del Tirreno e del piazzale Giovanni XXIII e la costruzione della chiesa dell’Apparizione nella frazione di Ardenza. Anche il prestigio della congregazione è cresciuto in quegli anni, grazie alle sue qualità intellettuali e alle sue conoscenze: l’abate Zambernardi era tenuto in grandissima considerazione tanto che era spesso chiamato a tenere esercizi spirituali e conferenze in tutta Italia. Numerose le sue pubblicazioni. Ed anche il sagrato di Montenero, sede di numerosissime iniziative culturali e religiose, era diventato in quegli anni una voce che si levava alta, culturalmente e religiosamente, sopra Livorno e sopra tutta la Toscana. Con lui se n’è andato un lungo pezzo di storia della città e della frazione collinare. Un tratto di vita luminoso che ha saputo portare grande prestigio sia alla congregazione vallombrosana sia alla città.

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BREVE BIOGRAFIA Nato a Santa Caterina (GR) il 15 marzo 1914 Professione solenne nella congregazione vallombrosana il 15 ottobre del 1937 Ordinato sacerdote dal Servo di Dio Cardinale Rossi, nella basilica di Santa Prassede a Roma, il 9 luglio del 1939 Dal 1940 al 1956, rettore del seminario monastico al santuario di santa Maria di Montenero (Livorno) Dal 1956 al 1959, priore della millenaria Abbazia di santa Maria di Vallombrosa (FI) (di questi anni e nel successivo sessennio da abate generale, i numerosissimi lavori di restauro dell’abbazia e dei locali adiacenti. Di questi anni la costruzione della chiesa di san Giovanni Gualberto al Saltino) Nel 1959 fu nominato priore di Montenero L’8 settembre del 1962 la sua nomina ad abate di Montenero fu benedetta solennemente dall’allora vescovo di Livorno, Mons Emilio Guano. Eletto abate generale della congregazione vallombrosana il 2 luglio del 1971 (fino al 1977). In questi anni fece eseguire numerosi lavori di restauro dell’Abbazia di Vallombrosa. Grazie al suo enorme impegno religioso e culturale, anche in occasione del XI centenario, riportò in tutta Italia il nome e il carisma di San Giovanni Gualberto. Con la suora Madre Immacolata Kossuth, il 9 luglio del 1975 fondava la Congregazione delle Piccole figlie di san Giovanni Gualberto

«Senza rete, nella splendida avventura del sacerdozio» ome i poeti nel tempo del bisogno: i preti e i religiosi, in questo mondo senza segni eloquenti, «servono a schiudere orizzonti, a segnalare “la patria”». Così, citando Heidegger, monsignor Bruno Forte ha parlato di recente della vocazione sacerdotale nel nostro tempo. E a parlare col domenicano Daniele Drago, a poche ore dalla sua ordinazione presbiterale avvenuta il 26 giugno scorso nella chiesa dei Sette Santi, si ha una conferma della giustezza delle parole del vescovo di Chieti-Vasto. Perché fra Daniele, 34enne livornese, ti scompiglia per la docile sicurezza con cui ti dischiude il suo orizzonte attraente. Un “poeta” che di Dio sa restituirti un’irresistibile bellezza. «Il Signore è un seduttore – dice fra Daniele – e affascina talmente tanto che non gli si può resistere. Vale mollare tutte le proprie resistenze di fronte alla chiamata, che è il più grande atto di misericordia che il Signore possa fare». Letti i titoli dei giornali di questi giorni, fra Daniele ci sorride su. Di lui hanno scritto che un avvocato ha preso i voti. «Questo piace al mondo – commenta – fa sensazione qualcuno che lascia tutto per seguire Dio: ma è difficile far capire che non si lascia proprio niente, e anzi che si trova tutto: non c’è dono più grande che spogliarsi di tutto per servire». E non pare affatto casuale che la tua ordinazione sia stata celebrata a pochi giorni dalla conclusione dell’anno sacerdotale. «Tutt’altro. Anzi, il desiderio era proprio quello di poterla celebrare all’interno dell’anno sacerdotale. Poi motivi di studio mi hanno impedito di conciliare le date, ma mi sembrava

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Il livornese fra Daniele Drago ordinato presbitero ai Sette Santi. «Il Signore è un seduttore: non si può che mollare tutto e seguirlo» importante poter coronare un cammino lungo 9 anni proprio nel periodo in cui papa Benedetto XVI ha invitato a riflettere sul dono del sacerdozio». Nell’omelia conclusiva dell’anno sacerdotale il Papa ha sottolineato, tra l’altro, che il sacerdote è segno dell’audacia di Dio perché «ad esseri umani affida se stesso». «Sono parole tanto vere quanto belle. Perché mostrano il mistero della gratuità dell’elezione da parte di Dio. Perché Israele – “il popolo dalla dura cervice” – è stato scelto come popolo per la Rivelazione? Perché, allo stesso modo, il Signore ha scelto me per poterlo servire in modo del tutto particolare? Sono segni dell’audacia di Dio, che sa di poter scrivere diritto sulle righe storte. Mi ricordo ancora le prime parole di Benedetto XVI il giorno della sua elezione: “nonostante la nostra insufficienza – disse – ci ha chiamato a collaborare alla sua vigna”. Ecco, ci scorgiamo insufficienti, miserevoli per alcuni versi, ma nonostante questo sentiamo la fiducia enorme che Dio a riposto in noi». Certo è che per i sacerdoti questo è un periodo assai difficile. Il Papa lo ha sottolineato affermando che c’era «da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto».

L’ORDINAZIONE AI SETTE SANTI

«A Livorno ho coronato il mio sogno» «Il prossimo futuro? Farò la spola tra il convento di Bologna, dove mi è stata affidata la cura della gioventù domenicana e Roma, dove completerò gli studi in diritto canonico all’Università Pontificia». E Livorno? «Bisognerebbe che venisse riaperto un convento domenicano…». Fra Daniele Drago in città però ci è voluto tornare fortissimamente per coronare il sogno della sua ordinazione sacerdotale: è qui, tra le panche dei Sette Santi Fondatori al tempo di padre Lorenzo Tanganelli e tra i banchi del Sacro Cuore, che è cresciuta la sua vocazione sacerdotale. E per l’ordinazione nella sua parrocchia, accanto al parroco don Ordesio Bellini, c’erano monsignor George Frendo, vescovo ausiliare di Tirana-Durazzo, dell’Ordine dei predicatori domenicani della Provincia San Pio V di Malta e fra Riccardo Barile o.p. Priore della Provincia San Domenico in Italia. In più un fiume di amici livornesi, ma anche i tanti conosciuti negli anni di noviziato tra Napoli e Bologna. «È un evento paradossale: viene indetto un anno nel quale la Chiesa sosta sulla grazia ricevuta col sacramento del presbiterato e nello stesso arco di tempo l’immagine del sacerdote viene sconquassata con l’irruzione di uno dei peccati più abominevoli. Se tutto ciò è permesso è sicuramente per un bene più grande: sottolinea la necessità di radicarsi ancor di più in Cristo. Nello stesso tempo ci fa capire che davvero la Chiesa è una comunità di redenti, di salvati, di persone che ricercano la misericordia di Dio. Non una comunità di perfetti». Cerchiamo ora di spiegare il tuo percorso. Come hai nutrito la tua vocazione? Quali momenti? Quali incontri? «È stato un percorso progressivo, anche se penso che il germe in me ci sia sempre stato. La vocazione l’ho nutrita prima con la partecipazione ai sacramenti e alla realtà parrocchiale, poi, in modo particolare, con la lettura. Mi sono innamorato di San Tommaso e della sua Summa Teologia. È anche grazie a questo libro che ho deciso di buttarmi senza rete in questa splendida avventura». In questi anni hai sempre avuto a che fare con molti

giovani. Perché, secondo te, c’è sempre più paura verso scelte di vita radicali e definitive? «Non credo si possa dire che fanno paura scelte che hanno il sapore dell’eternità, ogni volta che si ama si è sempre proiettati verso una progettualità e una durevolezza. Avverto semmai un’incapacità di mantenersi perseveranti verso le scelte fatte: spesso ci si ferma ai primi ostacoli coltivando l’utopia che un matrimonio o una vocazione sacerdotale preservino da ogni infelicità. Ma mi dà speranza vedere tanti giovani che, contrariamente a quanto emerge dai media, continuano a cercare Dio. Per questo, specie in questi tempi, c’è bisogno di tanta preghiera. Lo diceva chiaro una bella figura di sacerdote che sto riscoprendo in questo periodo, quella di Ildefonso Schuster. Una volta disse ai seminaristi della sua diocesi milanese che gli chiedevano una parola di speranza: “Sembra che il demonio sia entrato nelle nostre discoteche e nei nostri stadi e non tema il chiasso e il frastuono delle luci e dei rumori. Ma di fronte alla preghiera del santo ancora si spaventa”» g.d.m.


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