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Direttore responsabile Andrea Fagioli
Perché sempre la Bibbia? Una povera donna aveva l’abitudine di portare sempre con sé, nei suoi spostamenti, una grossa Bibbia. Non se ne separava mai. La gente la prendeva in giro: "perchè sempre la Bibbia? Ci sono tanti altri libri che potresti leggere!". La donna, imperturbabile, andava per la sua strada, indifferente agli scherni. Un giorno si trovò circondata da un nutrito gruppo di schernitori. Allora, sollevando la sua Bibbia in alto sul suo capo, disse con un grande sorriso: "E’ vero, vi sono molti altri libri che potrei leggere, ma questo è l’unico che mi legge!" (Marie BALMARY)
Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983
olo chi entra nella Scrittura dal di dentro, con generosità e fiducia, con la costanza di chi non Sparole si stanca, accompagnato dal silenzio che favorisce il raccoglimento, può comprendere le di questa donna. Perché dicono che non si è confrontata con un libro fra i tanti, ma con
30 gennaio 2011
una Parola e uno sguardo da cui si è sentita interpellata, compresa, riconosciuta.Vista la determinazione e il coraggio con cui testimonia la sua esperienza, si può affermare che ne è valsa la pena. Per noi, è lo stesso?
Tra media e mondo ecclesiale ci vorrebbe una sana collaborazione, un’alleanza strategica per far emergere valori e dare voce vera (l’ambone non basta più) a preti e laici
S. Francesco di Sales PATRONO DEI GIORNALISTI Tutto corre, sempre più rapidamente. Anche la notizia resta tale per poco, cancellata... divorata da quella successiva l 24 gennaio si ricorda S. Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, Antonello Riccelli, stimato giornalista, cattolico impegnato, presidente dell’Unione cattolica della stampa (UCSI), ci offre una riflessione sulla comunicazione dei nostri giorni: uno scenario in continuo cambiamento a cui in molti devono adeguarsi.
I
UN NUOVO SCENARIO In questi vent’anni di lavoro giornalistico ho visto cambiare parecchie cose. Di sicuro oggi si è concluso quel processo che ha messo la televisione al centro dell’universo mediatico. La riprova ce la fornisce il Censis: appena qualche mese fa infatti certificava che nove italiani su dieci sono utenti abituali della tv. La crescita di internet, nel frattempo, ha moltiplicato le possibilità di accesso all’informazione (che però non tutti sono ancora in grado di sfruttare), mentre la nuova tecnologia digitale ha favorito la cosiddetta «convergenza». Il risultato è che si può vedere il telegiornale su internet e si può leggere il giornale (con le foto e i disegni a colori) sul proprio computer portatile. Lo scenario che abbiamo di fronte, dunque, è radicalmente cambiato. E non è soltanto una questione di «mezzi». Perché l’evoluzione dei mass-media porta con sé una trasformazione del linguaggio, degli stili, dei codici della comunicazione. IL SENSO DELLE COSE Tutto corre, sempre più rapidamente. E anche la notizia resta tale per poco, superata, addirittura divorata e cancellata, da quella successiva. Nell’era della tv «all news» e dei siti internet di informazione scompare quella fissità a cui eravamo
Con gli occhi rivolti al cielo
limitata, possono servire ma di certo non bastano. A questo proposito può essere utile ricordare l’esperienza di San Francesco di Sales, che nella Savoia del Seicento inventò i «foglietti» settimanali e i primi «manifestini» e adeguò ai tempi che cambiavano (già allora) le forme di comunicazione tradizionale. Non è forse uno stimolo alla Chiesa di oggi, perché ritrovi anche creatività e innovazione nel modo di presentarsi e farsi conoscere?
I giornalisti cattolici siano testimoni coerenti abituati, e che era scandita dai tempi del giornale (al mattino) e del telegiornale «unico» (alla sera). C’è uno spazio ridotto per l’approfondimento, mancano talvolta le verifiche necessarie, noi giornalisti si «produce» molto e abbiamo molto meno tempo per pensare. Abbandonate il vecchio e affascinante cliché del giornalista-detective e provate ad immaginarvi la figura (certo meno poetica) di un giornalista al computer, che vede sul monitor tutto ciò che gli succede attorno e poi ne fa una selezione per i suoi lettori e telespettatori. La cosa ovviamente non è senza conseguenze per il pubblico, inondato da una cascata di informazioni che si
di Eleazar
rincorrono e non si sedimentano mai. Svanisce persino il senso di una notizia: il giornalista non ha potuto farlo emergere, il cittadino non ha potuto afferrarlo. Comprenderete bene dunque che il grido d’allarme che lancia la Chiesa (ma non è l’unica a farlo) è giustificato. Serve però uno scatto in più: occorre agire anche sul fronte dell’educazione, bisogna far sì che la gente sappia discernere i contenuti e decodificare i linguaggi. In fondo bisogna produrre degli anticorpi, in una società che, soprattutto attraverso la comunicazione, impone dei modelli sbagliati e pericolosi, altera la rappresentazione della realtà, marginalizza il
contributo che la stessa chiesa può dare. ENTUSIASMI E CHIUSURE Nel mondo ecclesiale registro spesso due atteggiamenti opposti rispetto alla comunicazione moderna: un entusiasmo esagerato (per cui ogni iniziativa ha senso solo se viene amplificata e in fondo quel che conta è «esserci») e una chiusura a riccio, come se la presenza dei mass-media fosse sempre troppo invadente e negativa (e dunque meglio tenerli alla larga). Penso che si tratti di un errore, nell’uno e nell’altro caso. Non si può fare un’azione pastorale incisiva solo con il giornale o la tv, e non si può nemmeno farne più a meno. Ci vorrebbe insomma una sana
e seria collaborazione con gli operatori della comunicazione, un’alleanza strategica (seria e rispettosa) per far emergere dei valori, per far conoscere delle attività, per dare voce vera (l’ambone non basta più!) a preti e laici. Per realizzare questo obiettivo è necessario conoscere a fondo possibilità, limiti e rischi dei diversi mezzi, bisogna tenere conto che comunque ci sarà una «contaminazione» (inevitabile) dei contenuti, e non si possono mai ignorare gli effetti che produrrà una determinata notizia. Non si può neppure pensare di «fare tutto da soli», con un giornale, un sito, un «social network». Questi sono strumenti parziali e spesso hanno una diffusione
GUARDARE IN ALTO In questa festa del patrono, però, può far bene anche a noi giornalisti alzare un po’ gli occhi al cielo, almeno per una volta. Ci aiuta soprattutto a scoprire i nostri limiti: culturali, umani, etici. Troppe volte siamo al centro dell’attenzione, e ci crediamo noi stessi gli artefici delle notizie. Gonfiamo il petto e pensiamo che i destini del mondo (e della città) passino da noi, dalla nostra penna o dal nostro microfono. Dimentichiamo che il nostro ruolo è quello di raccontare la realtà con attenzione e rispetto. Pecchiamo di superbia, talvolta ci sostituiamo persino al fatto, alla notizia. Ma se la nostra è una funzione di straordinaria importanza (e di grande impatto sull’opinione pubblica) va svolta come una missione. Per i giornalisti cattolici, scrive il Papa, questa responsabilità è ancora più pesante. Serve capacità di dialogo con il mondo laico (in cerca di «valori condivisi»), è necessaria una testimonianza coerente di vita («senza etichette ma di sostanza»), non sono ammissibili compromessi sui valori importanti. Non è un impegno da poco. Antonello Riccelli
il seminario di studi PER I CATECHISTI TOSCANI
La catechesi si fonda sull’esperienza di Cristo onsignor Giusti, presidente della Commissione Episcopale Toscana per la dottrina della fede e M la catechesi interviene al seminario di studi a Cortona, aperto agli operatori della catechesi di tutta la regione. Ecco alcuni passi del suo intervento. «È necessario– afferma il Vescovo inquadrare il lavoro degli operatori della catechesi nel più ampio dibattito attualmente in atto nelle Chiese che sono in Italia ma anche in molti settori della vita civile, sulla questione educativa». «I documenti del Papa – continua - come quelli della CEI sono abitualmente dei perfetti sconosciuti per la grande maggioranza degli operatori pastorali, al massimo ne hanno sentito parlare qualche volta in parrocchia o a qualche incontro diocesano, alcuni possono anche averli acquistati ma letti interamente e studiati quasi mai. Solo pochissimi, preti e religiosi compresi, ne fanno oggetto
di attento studio per cui abbiamo sovente un Magistero Pastorale indicante scelte importanti ben lungi dal venire attuate nella maggior parte delle parrocchie e aggregazioni laicali, italiane. C’è il rischio che ciò avvenga anche per gli Orientamenti Pastorali CEI per il decennio 2010-2020 “EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO “che delineano una svolta profonda nella pastorale italiana: l’educazione al centro dell’azione di ogni Chiesa Locale. Ciò significa il primato di Dio, grande educatore del suo popolo e la necessità di saper educare attraverso esperienze dove s’incontra il Signore e non solo attraverso occasioni dove si viene a sapere qualcosa su di Lui». «C’è un cambio pastorale molto importante- sottolinea monsignor Giusti - si rimane nell’alveo di una educazione centrata sull’esperienza ma si sottolinea a differenza degli
anni ’70 dove permaneva ancora diffusa a livello popolare, l’evidenza della presenza di Dio, l’esigenza di un primo annuncio del Vangelo capace di condurre alla conoscenza di Gesù Cristo e alla fede in Lui, ciò potrà accadere se il primo annuncio condurrà la persona ad una esperienza personale con il Signore ed ad un affidamento pieno a Gesù. S. Agostino afferma: Molti sono gli ascoltatori, ma non tutti persuasi di ciò che si dice; si convincono solo quelli a cui Dio parla nell’intimo. Ma egli parla nell’intimo a coloro che gli fanno posto; e fanno posto a Dio quelli che non ne lasciano al diavolo. Oggi come ieri, l’evangelizzazione avviene solo quando la persona cerca e fa esperienza della presenza amorevole di Cristo». Gli Orientamenti Pastorali pongono al centro del loro argomentare una domanda precisa: come accade che un
uomo diventa cristiano? «La risposta – assicura il vescovo Simone - è univoca: se incontra Cristo! La conversione è frutto di un evento personale bello e sconvolgente: l’esperienza di Dio. È sempre stato e sarà sempre così . Non è sufficiente per la parrocchia parlare di Gesù o fare riti cristiani, deve far incontrare Cristo.“Vogliamo vedere Gesù!”. È il desiderio di ieri e di oggi . E i cristiani di oggi, come i discepoli di Gesù, ieri , debbono saper condurre a Gesù. Questa svolta pastorale richiede educatori che siano dunque formati, ma prima di tutto testimoni di ciò che hanno “visto e udito”e che abbiano una buona capacità progettuale perché l’educazione richiede un pensato processo educativo». c.d.