La Settimana - n. 6 del 14 febbraio 2010

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VENERDÌ 26 FEBBRAIO AL CENTRO CULTURALE DIOCESANO

LA FIGURA DI DON ANGELI Via del Seminario, 61 57122 Livorno tel. e fax 0586/210217 lasettimana.livorno@tiscali.it Notiziario locale

Direttore responsabile Andrea Fagioli Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983

ssere sacerdote nel Lager. Attualità dell’esperienza di don Roberto «febbraio EAngeli» è questo il titolo della conferenza che si terrà venerdì 26 alle 17.30 nel Teatro del Centro Culturale Diocesano (Via delle Galere, 35). Relatore sarà il professor don MAURILIO GUASCO, Ordinario di Storia del pensiero politico contemporaneo alla Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università del Piemonte Orientale. Alla conferenza sarà presente il Vescovo. Sono previsti interventi di: Giorgio Kutufà’, Presidente della Provincia di Livorno; Monsignor Paolo Razzauti, Vicario per il Territorio; Laura Bandini, Presidente dell’ Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea; Elisa Amato, Dirigente U.S.P. Introduce e modera: Enrica Talà, dir.Ufficio Scuola della Diocesi ; «Centro Studi Roberto Angeli»

14 febbraio 2010

L’INTERVENTO DI ZAMAGNI

ETICA ED ECONOMIA, CONFLITTO O COMUNIONE? l tema «Etica ed econoInione? mia, conflitto o comuAlla luce dell’enci-

DI FLAVIA

MARCO

a conferenza sul tema dell’aborto e sul valore della vita, primo appuntamento della «Settimana per la vita» ha risposto davvero alle aspettative dei partecipanti. Il vescovo Simone Giusti ha aperto la conferenza portando alla cittadinanza livornese le scuse di Dino Boffo che ha preferito non intervenire a causa della riapertura mediatica delle vicende che lo hanno riguardato. La parola è passata poi a Chiara Domenici, moderatrice dell’incontro, che ha introdotto e presentato i due relatori. Il professor Antonio Oriente, ginecologo e ostetrico vice presidente dell’Associazione medici ginecologi cattolici, ha raccontato l’esperienza della sua conversione che lo ha portato soprattutto ad interrogarsi sulla sua professione di medico tanto da diventare, da convinto abortista, fervente difensore della vita. La commozione che ha provocato in tutti coloro che erano intervenuti non ha impedito di cogliere il messaggio profondo di un’umanità che desidera riappropriarsi della vita, in una cultura sempre più decisa a negarla. Cuore del suo intervento , il suo proponimento, che egli stesso ha definito il suo testamento spirituale: «Mai più morte fino alla morte». Commozione e partecipazione anche nelle parole del primario di pediatria dell’ospedale di Livorno, Edoardo Micheletti, che ha iniziato il suo intervento ringraziando il Vescovo per aver incontrato i medici con l’iniziativa del «Tavolo dell’oggettività» in ospedale, aiutandoli a capire l’importanza dell’ascolto ed ha poi continuato sottolineando le sfide cui ogni giorno è sottoposto un medico, sempre sul confine tra legalità e responsabilità morale. Soprattutto, ha precisato, in quei casi in cui, purtroppo, si richiede un accompagnamento del bambino dalla malattia grave fino alla morte, per cui il dialogo con la famiglia diviene essenziale. Il professore ha presentato anche una panoramica sulla situazione attuale delle famiglie a Livorno, descrivendone la criticità sia sul piano affettivo, sia su quello economico ed il con-

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tinuo bisogno di ricorrere all’assistenza ospedaliera, nonostante le risorse pubbliche siano sempre più carenti. Le toccanti testimonianze dei due professori hanno stimolato domande e riflessioni nella platea: l’ammiraglio Rosati ha voluto contribuire alla discussione mettendo in evidenza come anche nel suo lavoro sia fondamentale, nelle scelte più difficili, affidarsi ad una voce che proviene dall’alto e che necessita di un orecchio che sappia ascoltarla. Altri interventi ed altre domande hanno stimolato il dibattito sulla legge 194 la quale è risultata, dalla testimonianza del dottor Oriente, decisamente disattesa per quanto riguarda il rispetto dei tempi utili (una settimana) per la consulenza e la riflessione della donna che richiede l’interruzione di gravidanza: Una consulenza che dovrebbe proporre soluzioni alternative all’aborto e un accompagnamento nei confronti della donna. È stato fatto anche riferimento alla condizione di povertà non solo materiale, ma soprattutto morale e culturale che spesso incide pesantemente sulla decisione di abortire: spesso anche la diagnostica prenatale crea nelle donne e nelle coppie fattori di ansia non indifferenti e influisce sulla decisione di interrompere la gravidanza. Tutto questo, però, ha continuato, il dottor Oriente, non deve spaventare bensì spingere tutti i cristiani ad unirsi per mettere a frutto i diversi doni personali in modo da poter portare avanti la cultura della vita. Il Vescovo ha concluso l’incontro evidenziando la centralità che in questi casi riveste l’antropologia, il modo di pensare l’uomo, mettendo in guardia da tutti coloro o da tutti quei soggetti che vogliano erigersi giudici e legislatori di vicende che non sono di loro competenza, quale è stato l’agire della magistratura nei confronti dei Eluana Englaro. La settimana della vita riserva ancora molti incontri nei quali potranno essere approfonditi questi ed altri temi, ma soprattutto in cui anche i cristiani potranno confrontarsi e prendere coscienza dell’impegno che il mondo chiede oggi a loro.

Nelle foto: in alto un momento della celebrazione in cattedrale (foto di Roberto Manera); qui sopra il dottor Micheletti e il dottor Oriente durante la conferenza

L’omelia del Vescovo nella giornata della vita: l’uomo non è creato per la morte

La vita è un bene «indisponibile» a domanda primordiale dell’uomo, quella che lo sconvolge e, nello stesso tempo, lo spinge a cercare, ad indagare, ad inventare è stata al centro della giornata di domenica ed ispira tutta una serie di incontri che si svolgeranno in questa settimana: come può avere senso la vita quando questa è sempre insidiata dalla morte? È questa la pietra di scandalo sulla quale l’uomo inciampa e da cui si sviluppano molte delle questioni oggi più controverse nel campo dell’etica. Il Vescovo, in cattedrale, alla presenza delle aggregazioni laicali, ha parlato proprio del progetto divino sull’uomo dal quale scaturisce tutta la concezione cristiana della vita, della morte e della dignità umana: «La morte non entrava nel piano di Dio. Essa è entrata per l’invidia del maligno, per il peccato dell’uomo: è l’anticreazione, un tentativo di autodistruzione dell’uomo perché con esso l’uomo tronca i suoi legami con la fonte stessa della vita, il Dio, il Vivente per eccellenza». In tutta la Bibbia Dio appare come «il Padre da cui ogni vita procede» ed in Cristo è «il Verbo di vita per cui ogni cosa esiste», «risurrezione e vita», «il pane di vita». Il Figlio, dunque, è venuto a comunicare la vita e, sottolinea il Vescovo, si potrebbe dire che il messaggio cristiano si concentra nella scoperta che «chi partecipa al Cristo, partecipa alla vita». Dopo la risurrezione di Cristo, chi crede vede la morte come un passaggio ad una vita senza fine, ben diversa dalla prospettiva razionalistica per cui la morte sembra dover essere accettata per il fatto di essere «naturale», mentre sperimentiamo che la natura dell’uomo è proprio quella di rifiutare la morte. Il cristiano, ha spiegato il Vescovo, ha una doppia valutazione della morte: «è tremenda, terribile, perché è il prezzo del peccato e contro di essa tutto il nostro essere si ribella» ma essa è anche «una porta aperta sui cieli nuovi e sui mondi nuovi che abbatte la fragile parete e ci permette di gettarci nella braccia del Padre». Il nucleo del discorso pronunciato dal Vescovo in occasione della giornata per la vita riguarda proprio la sua centralità nel progetto creativo di Dio: «La vita precede il creato e l’uomo: egli è reso partecipe della vita per un gesto di amore libero e gratuito di Dio» per cui «la vita è un bene indisponibile; l’uomo lo riceve, non lo inventa, lo accoglie come dono da custodire e dar far crescere, non può manipolarlo come fosse sua proprietà esclusiva. La vita umana viene prima di tutte le istituzioni: lo Stato, le maggioranze, le strutture sociali e politiche, precede anche la scienza e le sue acquisizioni». Di qui scaturisce anche la riflessione sull’antropologia per cui «la persona realizza se stessa quando riconosce la dignità della vita e le resta fedele, come valore primario rispetto a tutti i beni dell’esistenza che conserva la sua preziosità anche di fronte ai momenti di dolore e di fatica». La felicità dell’uomo, ha proseguito nella sua omelia, dipende da una condizione fondamentale, dalla quale nessuno può prescindere: il rispetto della vita. «Nessuno, infatti, potrà conquistare la libertà e la felicità oltraggiando la vita, sfidandola impunemente, disprezzandola, sopprimendola, scegliendo la via della morte». Il Vescovo, poi, ha concluso la sua omelia con una frase che può accompagnare tutti in questa riflessione: «Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità rispetta, promuovi, afferma la vita sempre e ad ogni costo». F.M.

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clica Caritas in veritate» è stato presentato dal professor Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, in un incontro, voluto dal Centro di prossimità e da Toscana Impegno Comune, che si è tenuto nel teatro dei Salesiani. Il professor Zamagni ha iniziato constatando che l’enciclica ha ricevuto un’enorme attenzione sia in Italia che all’estero, questo perché è una enciclica «nuova», la prima dell’epoca post-moderna segnata dalla globalizzazione. L’epoca in cui viviamo – ha continuato il relatore – è contraddistinta da paradossi: aumenta la ricchezza e nello stesso tempo aumentano le disuguaglianze tra i cittadini, infatti aumentano i sistemi produttivi di cibo, per cui si possono sfamare 12 miliardi di persone quando nel mondo ce ne sono 7 miliardi, ciò nonostante c’è ancora molta gente che muore di fame e quindi ciò non dipende dalla scarsità delle risorse. Poi c’è la questione della felicità, aumentando il benessere dovrebbe aumentare anche la felicità, invece all’aumento del reddito medio l’indice di felicità diminuisce, nei paesi europei il tasso dei suicidi aumenta di anno in anno, così come aumentano i divorzi segno che non c’è felicità nelle famiglie. È diffusa una «mentalità della separazione»: tra economia e sociale, tra lavoro e ricchezza, tra mercato e democrazia. Per quanto riguarda il primo punto ci sono coloro che producono con efficienza, che vogliono ottenere il miglior risultato e la massificazione del profitto; per coloro che non possono stare al passo, che non sono efficienti, ci pensa il sociale a perequare la ricchezza secondo il valore della solidarietà. È una separazione che è causa dei nostri mali, è frutto di una mentalità da dissociati, da schizofrenici. È allora necessario – ha continuato Zamagni – ricomporre l’efficienza con la solidarietà, o meglio l’efficienza nella solidarietà e la solidarietà nell’efficienza, per cui anche il volontariato deve essere efficiente. Riguardo la separazione tra lavoro e ricchezza, ricordiamo che Adam Smith diceva che è il lavoro umano a creare ricchezza, negli ultimi anni invece i mercati finanziari hanno insegnato che all’origine della ricchezza

c’è la speculazione. Si dimentica che il lavoro è fondativo della personalità, e successivamente, è anche produzione. Negare il lavoro vuol dire togliere la libertà, lavorare significa partecipare all’opera creatrice di Dio come dice la Genesi. Per quanto concerne la separazione tra mercato e democrazia, bisogna dire che il mercato non può prescindere dalla democrazia. Il mercato non può essere autoreferenziale e giudice di se stesso: dalla crisi attuale ci rendiamo conto dei guasti che questa concezione ha creato, perciò le regole non devono essere fissate dai mercati ma dalle assemblee democratiche. Cosa fare? Queste cose sono trattate nell’enciclica che dice: ciò che è stato separato torni ad unirsi. Su questo cammino dobbiamo basarci su tre principi: fraternità, giustizia, bene comune. Il principio di fraternità nasce in economia nel 1300 con i francescani, all’interno delle imprese. Fraternità vuol dire «riconoscersi nel volto dell’altro» e il modo per renderla palese si può attuare con una economia di comunione. La giustizia si basa su tre dimensioni: commutativa, basata sullo scambio; distributiva, per cui lo Stato attraverso la tassazione distribuisce gli introiti ai meno abbienti e contributiva, in quanto ciascuno di noi, essendo membro di una comunità, deve sentirsi «obbligato» al bene comune dell’intera comunità. Il bene comune poi non deve essere confuso con il bene totale, frutto di una «sommatoria» in cui uno degli addendi può essere annullato e la somma, vedi PIL, è quasi sempre positiva. Il bene comune deve essere visto come una «produttoria» in cui se viene annullato un fattore tutto viene annullato per cui non si può mai sacrificare il bene di qualcuno; non si potrà più dire: il malato terminale costa, togliamogli la spina, così miglioriamo il benessere degli altri! Quindi – ha terminato il relatore – nell’enciclica non c’è solo la denuncia dei mali e la loro origine, ma c’è anche una prospettiva di soluzione. La speranza, come dice S. Agostino, ha due figli, una è l’indignazione, la rabbia, nel vedere come stanno andando le cose, e l’altro è il coraggio che dobbiamo mettere per poter cambiare. La speranza cristiana ci darà dunque la capacità di cambiare questi nostri tempi. Gianni Giovangiacomo


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