Compost 09

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Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Matteo Marsano Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Giacomo Bagni Paolo Bollero Davide Cedolin Davide Chicco Marco Giorcelli Carlotta Queirazza Emiliano Russo Paolo Sala Grafica e Impaginazione Matteo Casari Contatti http://compost.disorderdrama.org compost@disorderdrama.org Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci Arrivederci a CMPST #10 - [04.2009] 2 CMPST #9[02.2009]

Ci siamo rimessi in carreggiata. Finalmente. Possiamo ben dirci contenti di come si siano raddrizzate le cose. Abbiamo nuovi collaboratori che ci stanno dando una pluralità di punti di vista da non sottovalutare e, soprattutto, abbiamo in cantiere grandi cose. Un paio d’ore fa abbiamo firmato Statuto e Atto Costitutivo dell’Associazione. Fra poco saremo riconosciuti e abili, pronti a diventare un soggetto di riferimento per tutte le iniziative che riguardino il tanto vituperato mondo underground della Superba. Siamo prossimi ad entrare in doppia cifra con CMPST, stiamo per chiudere il secondo anno, e non vogliamo sbilanciarci in bilanci. Abbiamo gettato, negli ultimi anni, un gran numero di ami in questo stagno; non volendo credere al leit motiv di Big Fish, grandi pesci necessitano di grandi spazi, abbiamo puntato ancora su questa città. Un grande stagno che vive di emergenze, in uno stato politico di costante stasi dove, piuttosto che osare negli investimenti si preferisce acquisire luoghi di dubbio valore simbolico. Dove si fatica anche a pensare di poter gestire un luogo che possa al tempo stesso attirare e divertire un pubblico il più vario possibile, senza perdere di vista gli obiettivi culturali. Uno stagno dove aprono costantemente nuovi spazi, alla stessa velocità con cui i vecchi vengono messi da parte. Una città che ti obbliga, non tanto a mimetizzarti con la tecnica del camaleonte quanto a mutare forma per seguire quella dei contenitori. Una città in cui è impossibile pianificare, al massimo puoi rintuzzare e scavarti la tua stessa fossa. Dura e difficile, lo sappiamo, che ti esaspera fino alle soglie del mugugno, ma che ti libera la mente nel portarti, sempre vivo e vigile a sviluppare quelle bizzarre teorie ribadite da Bruce Lee e dai

suoi seguaci: Be Water, My Friend. Sii acqua, suggerito in una città di mare, è come una presa in giro, me ne rendo conto. Ma quella capacità del liquido di prendere la forma del contenitore, pur mantenendo forte la propria individualità è una caratteristica eccezionale che deve farci accettare una tale necessità. E l’acqua, quando la sommi ad altra acqua, si mischia e diventa sempre di più, sempre più potente. Rischiando pure la deriva ripetitiva e qualunquista che ci attende dietro l’angolo, voglio cogliere ancora l’occasione per ribadire: uniamoci e partecipiamo. Mettiamo da parte le pretese personali per arrivare a traguardi insperati. Crediamoci e diamoci speranza e forza insieme. Non è poi possibile che sia tutto così negativo, no? Viviamo in tempi duri, affrontiamoli e smussiamoli con la forza dell’acqua. di Matteo Casari


News News da http://cmpstr.tumblr.com

Le foto di copertina di questo numero sono di Gabriele Mantero Questo numero è stato reso possibile dai contributi del Benefit del 31/01/09 al Laboratorio Buridda con The Calorifer Is Very Hot, MangeTout, El Pelandro, June Miller e Protected By The Local Mafia, oltrechè dalle offerte raccolte. Disponibile anche un Pay Pal sul sito!

- Uscito a fine novembre il nuovo EP dei Japanese Gum. Without You I’m Napping si compra in formato cd-r o si scarica a offerta libera da www.japanesegum.net. Già linkati da umanuvem e recensiti su IndieEye. - Fuori anche il nuovo EP dei Dresda, anch’esso in doppio formato, cd-r o download gratuito dal sito di Marsiglia Records, www. marsigliarecords.it . Nel secondo caso, donando 2e su paypal, ricevete la copertina a casa. Nel giro di poche ore dalla pubblicazione arrivano già le prime positive recensioni su Italian Embassy e SeMiScrivi. - Ritornano anche i Vanessa Van Basten con il nuovo Psygnosis EP. Anche per loro c’è già una recensione importante (Onda Rock) e un’intervista su Rock.It. - Igor Muroni ha presentato questo mese a Roma e Parigi il suo nuovo progetto sonoro, Playtime. Per informazioni: www.igormuroni.com - Ex-Otago per ben due volte su Pronti Al Peggio. La nuova video-piattaforma di Vitaminic sbircia prima nella everyday life di Simone per poi riprendere tutto il gruppo in una serie di stravaganti performance in giro per Genova, dal Porto Antico ai vicoli, E ci scappa anche l’anteprima di un nuovo brano intitolato Costa Rica. Cercateli su prontialpeggio.vitaminic.com - Marti in studio. Dallo scorso 25 gennaio e per i prossimi due mesi Andrea & Co, se ne staranno in quel dei Wisselord Studios di Amsterdam per le registrazioni del nuovo album. Il disco sarà prodotto da Bob Rose della FOD Records e conterrà un paio di featuring oltre ad un’orchestra d’archi.

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Disorder Drama ht tp://w w w.disorderdrama.org 3 CMPST #9[02.2009]


Cronache Vere “C’è stato un momento in cui la scena indie genovese era veramente fantastica.“ Age / Salinas / Superdope / Loretta Intervista con Gianluca Morando di Giulio Olivieri

RUMORE IN MUSICA Per chi, come il sottoscritto, si affacciava al rock indipendente nell’immediato dopo-Nevermind gli Age erano il punto di riferimento cittadino per un certo tipo di suoni, quelli che arrivavano dalle varie scene e sottoscene americane e -in misura minore- britanniche e che si ritrovava sulle pagine dell’allora appena nato “Rumore” e sulle frequenze di StereoRai. C’è stato un periodo in cui li beccavi facilmente su un palco: il Circolo Matteotti e I Giustiniani, il Nessundorma e il Teatro Albatros, e naturalmente il Palace. E avevano pure un discreto seguito (non composto solamente da amici!) che li seguiva ad ogni concerto: c’era un perchè, gli Age dal vivo non perdonavano, aggressivi e melodici al tempo stesso. In una città dove si stavano appena sviluppano altre due corpose scene (quella reggae/ska e quella punk rock/h.c.) la (nemmeno tanto) piccola scena indie genovese seppe produrre un buon numero di valide band la cui eredità ancora persiste nei tanti progetti nati dallo scioglimento delle band che ne facevano parte: dagli Enroco ai Numero6 passando per Tarik1, Q, Senpai e gli appena ritornati Protected By the Local Mafia. Mi rendo conto che molta della musica cittadina di cui si parla in questa intervista sia oggi praticamente introvabile, e che quindi chi per motivi anagrafici non ha vissuto direttamente quel periodo non riuscirà sentire le band di cui si parla: è un peccato, molti di quei gruppi erano dannatamente validi... Beh, provate a frugare tra le cassette dei vostri fratelli maggiori, può essere che possa saltar fuori qualcosa di interessante... 4 CMPST #9[02.2009]

Allora, direi che è il caso di partire dall’inizio, cioè dagli Age. Mi sembra di aver capito che all’inizio eravate tu e Andrea Calcagno, vero? Come si è evoluta poi la formazione? E cosa ascoltavi all’epoca? Esattamente, tutto è iniziato nel lontano 1988: gli Age, nome che deriva dalle iniziali dei componenti, cioè Andrea/Gianluca/Enrico, sono nati in una giornata di primavera di ormai 21 anni fa. Da quel giorno, anzi, dal preciso istante in cui si sono formati gli Age, io e Andrea Calcagno (ora Tarick1) abbiamo iniziato a vivere solo e unicamente per la musica, mentre il terzo fondatore della band ha smesso quel giorno stesso di farne parte. Nel corso dei 14 anni di attività, gli Age hanno cambiato spesso formazione, ma la colonna portante del gruppo, quella che io e Andrea avevamo costruito, quella no, è riuscita a resistere fino alla fine. Ad esempio, dei musicisti che hanno fatto parte della storia degli Age non posso non citare Hole Francis (alias Francesco Fossa), chitarrista di singolare talento, decisamente portato per il noise. I suoi strumenti? Cacciaviti, bacchette, pezzi di ferro… Usava qualsiasi cosa pur di generare “rumore in musica”, per questo per molti anni è stato più che un componente, è stato un vero Age, come me e Andrea. E poi Fab J Morrey (cioè mio fratello Fabrizio Morando) che voglio citare non solo come ottimo batte-


Cronache Vere mi hai fatto, si è evoluta con la musica che ascoltavo, ma credo che l’elenco sarebbe un po’ lungo. Penso che, per farti capire come sono maturati gli Age nel tempo, bastino tre nomi, tre gruppi “magici” che mi accompagnano sempre: The Smiths, Pavement e Dinosaur Jr! Com’era la “scena” cittadina all’epoca? C’erano altre band con cui vi sentivate vicini o vi sentivate isolati? Se non erro tu hai suonato la batteria nel demo degli Husband, vero? C’è stato un momento in cui la scena indie genovese era veramente fantastica. A memoria mi ricordo gli straordinari Noisext, i Noo Squad!, i Codice Metropolitano, i Lo Fi Sucks! e i Laghisecchi. Senza dimenticare i giovanissimi Husband, per i quali, come hai giustamente sottolineato nella domanda, ho suonato la batteria nel demo. Mi è sempre piaciuto prestarmi come batterista agli altri gruppi, l’ho fatto anche per i Codice Metropolitano e, per un certo periodo, per i Noisext. Più tardi, forte di questa mia passione, ho fondato e suonato nel gruppo stoner Superdope.

Gianluca - ph:Baristo rista, ma come compositore di splendidi pezzi finiti in Cybercow e Mousefucker; in un certo senso è merito suo se gli Age sono maturati. Grazie a Paolo Sala (ora Senpai), il batterista metronomico che ha inciso con noi l’album EP Son of a big mistake, il salto di qualità è stato un gioco da ragazzi. E infine Marzio, l’ultimo batterista degli Age, è stato il più “underground” di tutti, e ci è capitato proprio nel momento più “underground americano” nella storia degli Age. La formazione, per tornare alla domanda che

Cybercow è stato uno dei primi demo cittadini che mi è passato tra le mani... All’epoca avere il demo su cassetta era il primo fondamentale passo, come vi sentivate? E ti capita mai di riascoltarlo? Lo ascolto spessissimo! Eccome! Adoro Cybercow, lo ricordo come un vero successo personale. Senza un demo in cassetta non si andava da nessuna parte, e Cybercow ha venduto ben 100 pezzi… Noi Age eravamo così fieri che abbiamo appeso in sala prove il premio come “Cassetta di platino”! Che tempi, altro che masterizzatore cd… Era tutto meno tecnico, più passionale, se vogliamo. Anche se, a livello musicale, il progresso tecnologica va considerato un immenso vantaggio, qualcosa di cui non si può più fare a meno. Cybercow contiene alcuni pezzi degli Age che amo alla follia, come And you talk e Conjuring Trick n.°1.

A quel punto dovrebbe già cominciare a delinearsi la Fottitopo, ti ricordi come iniziarono le cose? Certo. Tutto è iniziato con l’urlo Mousefucker di Wiz (alias Renzo Sala, ossia il produttore di Mousefucker) alla fine della traccia fantasma dell’omonimo cd (già, in Mousefucker c’è una traccia fantasma). Da lì la traduzione letterale all’italiano Fottitopo il passo è stato breve. Poi è partita l’idea delle serate musicali underground con concerti. Un’idea che, se mi è concesso esprimermi così, ha davvero spaccato! Ricordo, ai tempi degli esordi di Fottitopo, un tentativo di serata in un postaccio veramente nascosto dalle parti di Marassi. I gruppi sul palco dovevano essere Age e Laghisecchi. In teoria non avrebbe dovuto esserci anima viva, e invece la gente spingeva per entrare, c’era la coda all’ingresso. Si respirava nell’aria una voglia di cambiamento elettrizzante! Mousefucker fu una botta incredibile, e anche adesso a riascoltarlo lascia il segno: come arrivaste ad inciderlo? E -curiosità- quante copie ne avevate venduto? Mousefucker è stato la naturale conseguenza del successo ottenuto da Cybercow, e, musicalmente, la sua più potente e istintiva evoluzione. Credo che fosse innovativo, nel genere, se paragonato a quello che usciva in Italia. L’idea di fare un cd anziché un demo in cassetta è nata dalla felice constatazione che in molti cercavano la nostra musica, e la apprezzavano sul serio. Avevamo solo 20 anni, ed è stato complicato organizzare l’incisione, ma alla fine i risultati si sono visti, eccome! Abbiamo venduto tutte le 500 copie stampate. Il cd costava 15 mila lire. Il corriere che portava i cd dall’Austria ha suonato a casa mia alle 7 di mattina… Lo so che è un particolare irrilevante, ma non scorderò mai la gioia di spacchettare e aprire il primo cd degli Age, e soprattutto spararlo nello stereo all’alba. Fu un’emozione incredibile. Sempre su Fottitopo c’erano anche i Lo-Fi 5 CMPST #9[02.2009]


Cronache Vere “Era tutto meno tecnico, più passionale, se vogliamo. Anche se, a livello musicale, il progresso tecnologica va considerato un immenso vantaggio, qualcosa di cui non si può più fare a meno.” Sucks!, nei cui primi dischi avete suonate un pò tutti: come nacque la collaborazione? In maniera fortuita. Noi Age ci stavamo esibendo in un locale di Genova. Durante la cover di Two States dei Pavement, ecco che Pierpaolo Rizzo, il leader dei Lo-Fi Sucks!, si precipita incredulo in sala per ascoltarci: “possibile che a Genova circoli un gruppo che suona i Pavement?!”, deve aver pensato. Credo che all’epoca - o forse era solo una mia impressione - fossimo in cinque a conoscerli! Da quell’occasione è nata una serie di collaborazioni molto interessanti. Dal vivo ai tempi vi lasciavate andare spesso a improvvisazioni e sperimentazioni, e avevate una forte carica: c’è qualche concerto che ti è rimasto particolarmente memorabile? A dire il vero ce ne sono tanti. Un concerto che ricordo con grande emozione è stato quello al Palace di Nervi. Saltare addosso ad Andrew H (alias Andrea Calcagno) con la chitarra, a fine concerto, è stato incredibile! Conservo dei ricordi bellissimi anche dei concerti al Pop 2000 di Imperia e all’Italo Calvino di Varazze. Se non erro in quel periodo post-Mousefucker stavate lavorando a un altro disco in quartetto, poi mai realizzato: cosa è accaduto? Di quel disco doveva far parte anche la cover di The Passion Of Lovers dei Bauhaus che facevate dal vivo? Doveva uscire il nuovo cd per l’etichetta Lollipop di Catania, che - ovviamente - è fallita 10 giorni prima di mandare il cd in stampa… Fu una sfortuna tremenda! Ecco perché abbiamo deciso di produrre il cd solo per i nostri amici o chi lo richiedesse, in sostanza masterizzando le copie a chi le volesse, e chiamarlo Son of a big mistake 6 CMPST #9[02.2009]

Salinas dal vivo alla compianta Madeleine - ph: Giulio Olivieri E.P. (ovvero “E.P. figlio di un grande errore). A mio voluti anni per riprenderci, non scherzo. Ma alla avviso contiene due pezzi incredibili, cioè Whi- fine, ancora una volta, io e Andrea abbiamo te gray cat e Mind the grass. L’apporto di Paolo avuto le forze per ricominciare: l’elettronica e Sala alla batteria è stato fondamentale. In ogni l’idea che mi è venuta di usate il flanger alla caso The Passion of Lovers dei Bauhaus era pre- voce ci hanno dato nuovi stimoli. In generale i vista solo per le esibizioni live. fan non hanno apprezzato il nuovo sound degli Age, alcuni pezzi erano incredibilmente “acidi”. Lentamente avete cominciato ad inserire ele- Abbiamo tratto ispirazione da cose nuove. Ralph menti elettronici nel vostro suono, come è nata Macchio, l’ultimo cd degli Age, è stato concepila cosa? to quasi completamente in treno, l’ho compoLa delusione della casa discografica fallita è sto nella mia testa senza neanche abbracciare pesata tantissimo sull’umore del gruppo, ci sono una chitarra… Questo per darti un’idea di come


Cronache Vere siamo cambiati nel tempo. Sbaglio o è nello stesso periodo che parte la breve avventura dei Superdope, a conti fatti il primo gruppo stoner cittadino... Sì, come ti dicevo prima i Superdope erano un gruppo stoner davvero potente. Per dirla come l’ho vissuta, picchiavo sulla batteria come un forsennato! Dalle mie risposte si può pensare che io sia un batterista, ma in realtà, come ben sai, la batteria è il mio secondo strumento, al primo posto resta la chitarra e, ovviamente, la voce. Ai Superdope è toccata la stessa sorte degli Age, ovvero a un passo dalla produzione per un’etichetta… Puff, tutto svanito. Però ricordo con assoluto piacere il concerto di supporto agli americani Nebula e la nostra apparizione al Bloom di Mezzago. Nel frattempo con gli Age avevi finalmente inciso Ralph Macchio ed avevi dato vita alla Loretta: come nacque l’etichetta? La Loretta Record è stata un tentativo di smuovere le acque del mercato discografico indie. Ti posso assicurare che ho investito tutte le mie energie e i miei risparmi per far andare bene l’etichetta discografica, ma in Italia - è questa la conclusione cui mio malgrado sono dovuto approdare - pare che senza gli agganci giusti proprio non si riesca a farcela. Quello della Loretta, e la disillusione che ne è conseguita, è un capitolo che ho rimosso definitivamente. Dopo lo scioglimento degli Age hai messo su i Salinas, ad oggi il tuo ultimo progetto... Sì, dopo 14 anni di Age e un periodo di meritato riposo, ecco nascere i Salinas, un gruppo fondato con Renzo Sala, che considero, per affinità, il mio fratello di sangue. I Salinas sono nati quasi per gioco dalla volontà di suonare per divertimento, lasciando alle spalle tutte le delusioni di cui vi ho parlato prima che - volente o nolente - hanno profondamente inciso sulla mia vita musicale. Mi sono reso conto che suono innanzitutto per me, che in fondo l’ho sempre

La cover di Cybercow - Grazie a PittaSk8 fatto, e che l’approvazione del grande pubblico può passare anche in secondo piano se riesco a salvaguardare la mia coerenza musicale, il rispetto per quello che reputo - lo definisco così senza finta umiltà - il mio talento. È stata una scelta condivisa da Renzo, per questo abbiamo imbracciato la chitarra, ci siamo regalati due soprannomi divertenti per ispirarci ad atmosfere nuove, e abbiamo ricominciato. In modo nuovo, senza rancore. Semplicemente i Salinas sono tuttora la mia vita. Adoro il loro sound, la maniera naturale di comporre e arrangiare i pezzi, la semplicità con cui curiamo le melodie. Poi, un paio d’anni fa, è entrato il batterista Fabrizio (Fab degli Husband, ora Protected By the Local Mafia e Ex-Otago), un elemento essenziale per

la spinta live, nonché mio grandissimo e stimato amico. Siamo al terzo cd. E andremo ancora avanti. Proprio in questi giorni stiamo lavorando al nuovo album, e non posso anticipare nulla, ma se ne avete voglia, potete ascoltare e scaricare gratuitamente ad alta qualità tutti i nostri brani su myspace. Sempre su myspace alcuni nostri fan hanno aperto uno spazio di tributo agli Age: voglio ringraziarli di cuore, così come voglio ringraziare tutti voi. mys pa ce.co m /Ag etri b ute mys pa ce.co m /ba nd s a l i na s

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Export “ Il Porto è sempre stato un gran contenitore di idee e un magazzino virtuale di contenuti, le navi che arrivavano da tutto il mondo portavano non solo merci ma anche uomini e donne con i loro gusti e le loro musiche.“ Blindosbarra Intervista con Vittorio Della Casa di Simone Madrau

RITMATO E PROFONDO Una generazione nata e cresciuta nell’ambiente portuale che negli anni ‘60 tra gru, navi e container, accoglieva musica: quella che veniva dal mare, da altre sponde e altre culture. Vittorio Dellacasa c’era, e aveva le orecchie ben tese. Se così non fosse stato, Genova non avrebbe avuto i Blindosbarra: cinque dischi per dieci anni di ‘Funk e ContaminAzioni’; ritmi e grooves ‘pensati’, così come è ‘pensata’ la visione presente di Vittorio. Che vive di musica a 360° ed è rimasto un lavoratore instancabile: lo dice una lista di esperienze in giro per il mondo che, a dispetto degli inevitabili legami con il business, sembra averne accentuato l’essere propositivo. Anche nei confronti di una Genova che non ha mai dimenticato. A costo di sembrare ripetitivo, anche con te come già per Michele e Filippo negli scorsi numeri - parto dall’inizio e dunque dai Blindosbarra. Vi formate nel 1992, in un contesto particolare come quello delle posse. Il fenomeno black music in Italia è da sempre più legato ai centri sociali che ai locali veri e propri. Quali erano i posti-chiave per proporre questo genere di cose? Come era percepita la black music? Mah, non è stato facile per noi fare musica, quella musica, nel contesto che tu descrivi. I centri sociali sono stati parte del nostro crescere a livello live ma non sono d’accordo che fossero più legati ad un certo tipo di musica black di altri posti. Qui a Genova ad esempio lo ska e il reggae l’hanno fatta da padroni e hanno lasciato pochissimo spazio al re8 CMPST #9[02.2009]

sto. Non c’erano posti-chiave perché la cultura della black come la intendevano molti era percepita a livello di intrattenimento e non di impegno sociale. In Europa la black music è arrivata così, sotto forma di puro entertainment; e i valori del sudore, della lotta e della solidarietà si sono persi con il ballo. I Ridillo, ad esempio, suonavano un funkettino pop che li portava in giro per Festivalbar e feste di piazza mentre noi eravamo esattamente all’opposto. Ricordo che quando suonammo insieme ad un festival nel 1995 diventammo una specie di caso perché avevamo l’energia del rock con i groove del funk e finimmo per non parlarci per tutta la sera. Certo, erano altri tempi. Funk, ma poi perchè funk. Come e grazie a chi

hai avvicinato il genere? Quali dischi sono stati fondamentali per farti venire voglia di suonare? E come li hai reperiti? Il funk è uno stato della mente. E’ molto più di un genere musicale, è qualcosa che hai nel DNA e non ci puoi fare niente: ti sceglie, e quando cominci ad imbracciare uno strumento o a cantare ti viene quella roba li. Io, quando i miei amici andavano da Disco Club a comprare i Pink Floyd, compravo gli War. Li trovavo diversi: più vicini a come ero io, ritmati e profondi nelle loro parole. Come ti accennavo, il funk in Europa e poi in Italia non ha mai avuto un riferimento preciso: i dj radiofonici per la maggior parte andavano alla ricerca del consenso e quindi non passavano mai cose che non fossero ultratritate dai network americani o inglesi. Internet non era sicuramente quello che è oggi, e i soldi per comprare i dischi di importazione erano decisamente pochi. I dischi si ‘scoprivano’ quando qualcuno andava in Inghilterra e, al suo ritorno, gli amici copiavano su musicassette. Se dovessi citarti i dischi che mi hanno impressionato non basterebbe lo spazio di questa intervista. Mi limito a dirne uno su tutti, ovvero There’s A Riot Goin’ On di Sly & The Family Stone. Apprendo sbirciando qua e là che tutti i componenti della formazione originale dei Blindosbarra sono figli di portuali. Questo dettaglio spiega anche il modo in cui vi siete incontrati o è tutta una coinci-


denza? Non è affatto una coincidenza, e anzi è una cosa piuttosto normale nel contesto della Genova degli anni ‘60: uno scenario in cui più del 60% delle persone lavoratrici erano impegnate nel Porto. Allo stesso modo quindi non è una coincidenza che ragazzi che avevano respirato la stessa aria dei loro genitori avessero gli stessi interessi. Il Porto è sempre stato un gran contenitore di idee e un magazzino virtuale di contenuti, le navi che arrivavano da tutto il mondo portavano non solo merci ma anche uomini e donne con i loro gusti e le loro musiche. Molte di queste sonorità (soprattutto quelle africane e americane, quindi afroamericane) ci hanno influenzato. Poi c’era l’aspetto politico e sociale a cui tutti tenevamo molto: il Porto che lavora, quello di

chi suda e non quello degli imprenditori, è sempre stato contraddistinto da valori sociali molto forti. Noi eravamo insieme anche per questo motivo. Qualche anno dopo la prima line-up avete assoldato il buon Alberto ‘Bobby Soul’ De Benedetti. Considerando il curriculum che già allora il ragazzo aveva alle spalle, immagino che non abbiate dovuto fare troppi casting prima di sceglierlo. Ed è altrettanto facile supporre che vi conosceste personalmente già da prima. Bobby è come mio fratello, forse anche di più. Ci conoscevamo gia da prima dei Blindo, naturalmente, e tra me e lui c’è sempre stato un grandissimo rispetto e una grandissima stima sia da un punto di vista artistico che personale. Bobby secondo me

Export “La scelta di cantare in dialetto è nata più per caso che per scelta decisa anche se cantare in genovese, in quel momento, significava sicuramente molte cose.“

è l’unico che in Italia può rappresentare il funk nella sua immensa struttura, soprattutto non-musicale. Siamo molto diversi e qualche volta abbiamo discusso, anche animatamente, sulle scelte da fare: ma sempre con la consapevolezza che il fine ultimo fosse il bene. Ho imparato moltissimo da lui e credo che lui abbia fatto altrettanto: ci siamo sempre scambiati idee e abbracci quando era il caso. Ci sentiamo, lo seguo nelle sue cose; e non è mai detto che un giorno non ci si possa ritrovare per farne altre. Parte dei testi dei Blindosbarra è in dialetto genovese. Questa scelta è solamente connessa ad un discorso di appartenenza / estrazione sociale, o è almeno in minima parte il frutto di qualche contingenza? In fondo nello scenario nazionale di allora non erano pochi i gruppi che provavano ad inserire il dialetto in un contesto sonoro del tutto inedito in Italia. Forse il modo tutto italiano per sottolineare il connubio tra una musica dalle origini fortemente spirituali e le radici di un popolo? Trovo che il dialetto genovese suoni benissimo: è come l’inglese musicale, ha parole tronche ed è facile trovare frasi che da sole stanno in piedi e spiegano un concetto. La scelta di cantare in dialetto è nata più per caso che per scelta decisa anche se cantare in genovese, in quel momento, significava sicuramente molte cose: da noi c’erano i Sensasciou, ma la contemporanea esistenza di molti altri gruppi in altre zone d’Italia ci faceva sentire parte di un movimento, di un qualcosa che stava nascendo. Aggiungi che noi siamo nati con la New Tone, che è sempre stata un’etichetta world. Quanto alle radici, sai, io sono mezzo russo da parte di madre e quindi non so quanto valga.

Blindosbarra - La Memoria

A proposito della New Tone. Precedentemente su Compost abbiamo ragionato sul discorso ‘co9 CMPST #9[02.2009]


Export “La qualità media dei video musicali in Italia è molto cheap, più che le macchine mancano le idee“ municazione’ in quegli anni: oggi dispersiva perchè molto facilitata, ieri molto seria poichè difficile da concretizzare. Voi nel giro di un paio di anni siete passati dal nulla a New Tone e da lì alla BMG. Come ha funzionato, passo per passo, questa scalata al ‘potere’? Buste coi cd spedite in giro per l’Italia? Scambi di contatti con altri gruppi più esposti? Incontri fortunati ai concerti? Guarda, noi alla New Tone siamo arrivati grazie a Davide Ferrari di Echo Art, il quale lavorava con loro già da un po’. A loro l’idea nostra piaceva, e suppongo che il fatto, come dicevo, di essere un’etichetta world e non rock non sia stato casuale ai fini di questa scelta. Alla BMG invece siamo approdati dopo aver fatto centinaia di concerti e credo (ancora oggi non posso dirlo con certezza) perchè avevamo all’attivo due o tre brani ‘forti’. C’è anche da dire che il momento era effettivamente propizio anche a livello di industria musicale, oltre che per il fermento creativo di cui sopra: c’era la Black Out che stampava a nastro, e la BMG cercava cose nuove per affrontare il mercato alternative. Siamo stati contattati ad un concerto a Roma e da li siamo andati avanti. Siete stati una realtà importante. Per certo tra le realtà ‘alternative’ genovesi più emerse degli anni 90. Conseguentemente ne avete viste di grosse. Parliamo di produttori. In particolare due nomi che non sembrano scelti a caso, se è vero come è vero che nel curriculum di Ben Young figura la sacra triade del trip-hop (Portishead / Massive Attack/ Tricky) e in quello di Carlo Rossi il meticciato dei vari Africa Unite, Mau Mau e 99 Posse. Cosa ricordi di uno e dell’altro? Ben Young è stato illuminante per il suono e il mixing. Aveva (e ha ancora adesso che sta producendo robe soul in Inghilterra) una capacità tecnica incredibile nel saper tirare fuori la ritmica. Ha fatto una scuola importante con Massive Attack, con i quali anche noi abbiamo collaborato grazie a lui 10 CMPST #9[02.2009]

Blindosbarra live @ GoaBoa / Campi - ph.Matteo Casari e agli Almamegretta. Carlo invece è tutto un altro tipo di persona, più ‘produttore’: forse perché cura molto la parte vocale e quella melodica. Dovessi esprimere una preferenza sceglierei Ben, perché il suo suono è raro e non overproduced come a volte quello di Carlo. Anche i live vi gratificano. Il Primo Maggio del 1996 festeggiate i lavoratori in quel di Roma. Parliamo di una manifestazione spesso oggetto di critiche, non solo da parte della destra ma anche di certa sinistra pura e dura. Voi che ne conoscete i retroscena, come vi ponete sulla questione col senno di poi? Se c’è ancora una sinistra pura e dura, ti prego, presentamela. Ne ho bisogno.

A conoscerla! Mi riferivo semplicemente a una (micro)fetta di audience. Anche MTV Italia si è accorta di voi: avete suonato al primo MTV Day ufficiale del ‘98 e l’anno prima avete aperto per IL nome grosso, ovvero gli U2. Cosa mi dici in merito? Sono state esperienze ovviamente importanti e decisive per farsi conoscere. Il palcoscenico degli U2 era davvero di prim’ordine e noi non potevamo fare niente di meglio che esserci. Che altro dire? Ogni tanto un po’ di culo ha toccato anche noi. Perchè ho la sensazione che il vostro ultimo disco, Blue Monday People, autoprodotto, sia quello di cui andate più fieri? Sarà mica che lontani dalle labels si vive meglio?


te per avere una vita dignitosa e la musica intesa come produzione di dischi non mi interessava più. Non credo più nella produzione fine a se stessa. Un cd oggi possono farlo tutti, e se non c’è un progetto vero dietro le cose vanno a bagasce, per dirla alla genovese. Vivendo in questa città avara di solidarietà e supporto nei confronti di chi fa arte per sopravvivere, ho avvertito il bisogno di mettere in pausa la mia parte creativa.Un altro motivo ancora è da ricercare nella difficoltà di trovare una stabilità nel rapporto con il mercato. Esiste e bisogna tenerne conto, ma non a tutti i costi. Dopo tante domande sui Blindosbarra, parliamo un po’ anche di Vittorio. A cercare bene, in rete si trovano un po’ di cose. Tra le tante, salta anche fuori che sei collaboratore per la suddetta MTV e per All Music. Ohibò. Di cosa ti occupi di preciso? Sì, collaboro da quasi 10 anni con MTV per la quale gestisco lo stage dei live che vengono mandati in onda dall’emittente; e ho anche collaborato un po’ con All Music per una serie di concerti, anche questi poi trasmessi sul canale. Blindosbarra - Blue Monday People Hai ragione: è quello di cui andiamo più fieri, e proprio perché è quello che abbiamo fatto lontano da gente che non ha niente a che fare con noi. Prima di Blue Monday People ci siamo domandati tante volte cosa avremmo fatto e dove lo avremmo fatto. La risposta è stata quel disco lì. Ne vado particolarmente fiero perché non ci siamo posti alcun problema, nemmeno su quante copie stamparne. Ultimo disco, ma poi perchè vi siete sciolti? I motivi sono tanti, uno tra tutti la sopravvivenza. Proprio ieri parlavo con alcuni musicisti da tour e dicevamo che in Italia se vuoi e puoi permetterti di fare il rock’n’roll devi avere il culo parato. I dati lo confermano, e anzi ti basta guardare il pedigree dei vari gruppi che sono ancora oggi in giro dopo tanti anni. Ma come ti dicevo non è stato l’unico motivo: io ho cominciato a lavorare dietro le quin-

Già che parliamo di emittenti televisive: quello del videoclip mi sembra fosse un media caro anche ai Blindosbarra. VideoMusic se ne accorse, ed altronde erano tempi più ricettivi verso progetti di questo tipo. Ma tu cosa ne pensi della qualità media dei videoclip in circolazione al momento, paragonata a quella del decennio scorso? E’ come per la musica registrata: mancano le idee. Oggi si registra il video in digitale, le produzioni costano meno e se si hanno le persone giuste (direttore della fotografia, cameraman e regista) si ottengono risultati eccellenti. Quando facevamo i clip noi si facevano in pellicola, tutta un’altra storia, parliamo di professionisti che arrivavano dal cinema con una solida esperienza di shooting. La qualità media dei video musicali in Italia è molto cheap, più che le macchine mancano le idee: e quando mancano queste, nessuno strumento può sostituirle.

Export “Vorrei ricreare quel giro che negli anni 90 ci ha fatto sognare, insieme a tante persone, che qualcosa potesse veramente succedere in questa città.” guarda l’Italia. C’è qualcos’altro di cui ti occupi che Internet non segnala? Non ho cercato bene? Si, mi occupo di tante altre cose. Faccio il production manager nei concerti. Ho fatto lo stage manager per tanti anni facendo festival in giro per tutta Europa dove ho acquisito un’esperienza notevole. Produco dvd musicali e quello di cui vado piu’ orgoglioso è Immagine In Cornice dei Pearl Jam, un vero capolavoro di mix tra cinema e musica. Poi Red Hot Chili Peppers, Foo Fighters, Jamiroquai, Muse, Elton John per quanto riguarda l’estero. In Italia Pausini a San Siro, Ligabue, Elisa e quel che c’è. Lavoro moltissimo all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Asia. Organizzo una serie di festival di visuals in giro per il mondo con diverse realtà, mi occupo di sociale con progetti tra musica e disagio, continuo a scrivere musica e la metto lì per un giorno che non so. E poi studio, studio, studio in continuazione le modalità per sviluppare un’etica attività all’interno del business della musica. Non so se ci riuscirò mai. Visto che l’anno è appena iniziato: quali sono i sogni nel cassetto di Vittorio Dellacasa per il 2009? Mi piacerebbe lavorare di più nella mia città, dal momento che il 90% della mia attività si svolge al di fuori e non certo per colpa mia. :( Vorrei ricreare quel giro che negli anni 90 ci ha fatto sognare, insieme a tante persone, che qualcosa potesse veramente succedere in questa città. Ho un curriculum davvero importante e sulla base di esso vorrei poter dare il mio contributo, senza la politica, a qualcosa che in questa città manca. Un sogno per tanti giovani artisti. Più info sulle attività di Vittorio su myspace.com/blindosbarra

Totalmente d’accordo, e non solo per quanto ri11 CMPST #9[02.2009]


import “L’arte deve essere fastidiosa ti deve attirare, talvolta è più intrigante se non ti affascina immediatamente.“

Anna Daneri Intervista con Anna Daneri di Paolo Bollero

OFFICINA DELLE ARTI E’ il mio primo pezzo per compost. Non ho mai intervistato nessuno prima d’ora ma il fatto di conoscere già Anna Daneri mi facilita il compito. Con Anna abbiamo amici in comune e durante la chiacchierata scopro di lei molte cose: dai suoi trascorsi in gioventù al ruolo decisamente stimolante di curatrice di gallerie d’arte, dalle esperienze con artisti come Felix Gonzaez Torres, Hamish Fulton, Marina Abramovic all‘attività di prima curatrice della Fondazione Antonio Ratti di Como che ricopre dal 1995. Prima di parlare della tua attività presente parlaci de L’Officina, una storica esperienza di occupazione che suscita molta curiosità nella redazione di Cmpst. Si narra che tu abbia avuto un ruolo in questo progetto? In effetti si. Negli seconda metà degli anni 80 avevo già preso parte ad alcune esperienze di collettivi politici. Essendo nata a Bergamo durante il liceo ho partecipato alle Tribù Liberate, un collettivo che nella mia città radunava Anarchici, ex sessantottini, fricchettoni e organizzava concerti che davano voce alla musica punk dell’epoca tra cui Kina, CCCP, Wretched essendo collegati anche all’esperienza del Virus (Centro Sociale di Milano). Come sei arrivata all’Officina 12 CMPST #9[02.2009]

Sono venuta a Genova per frequentare l’Università di Lettere e ho partecipato con entusiasmo a quest’ iniziativa di autogestione senza mai arrivare al passo dell’appartenenza e del coinvolgimento politico. Da questo punto di vista vi erano molte diverse correnti che alla fine si sono sempre più separate per poi dividersi. Quale era l’obiettivo dell’occupazione dell’Officina. Il motore dell’occupazione era quello di attirare l’attenzione sul Centro Storico poiché in quel periodo erano in ballo i progetti dell’expo e che avrebbero determinato la speculazione immobiliare del quartiere. La chiesa dei Salesiani in via Madre di Dio era vuota e nei progetti sarebbe dovuta diventare una

Biblioteca inoltre si trovava nel Centro Storico ai confini con un precedente e lacerante intervento nel cuore della città storica: l’orrido Centro Dei Liguri. Ma mi ricordo che in quel periodo (seconda metà anni 80) il Centro Storico era considerato una sorta di buco nero in mano ai tossici dove chi vi entrava lasciava ogni speranza. Così era ed in fatti e il secondo obiettivo era anche di sottrarre il Centro Storico dalle mani dei drogati e via Madre di Dio era l’epicentro dello spaccio. In effetti il posto non era per nulla felice, parlaci dei concerti. Ahimé non ti posso aiutare sui concerti, la mia memoria è selettiva, portammo a Genova molti gruppi tra cui un gruppo Basco (Negu Gorriak ndr forse?) e le Officine Schwartz, penso per l’inaugurazione . Si me le ricordo sono un gruppo industriale italiano. Si tra l’altro essendo anch’essi di Bergamo “suonai” con loro per un periodo. Le virgolette sono d’obbligo perchè percuotevo bidoni


Import e cantavo/urlavo. Per un disco/spettacolo messo in scena nel 1988 presso un capannone della provincia di Milano Osvaldo Arioldi, la mente del gruppo, voleva mettere in scena i turni della produzione industriale, soltanto che ad alternarsi non erano gli operai ma musicisti. E tu che ruolo avevi? Suonavo il sassofono che scandiva i turni. Lo spettacolo si chiamava Re Magnum Dentaurum (salvo errori miei di trascrizione ndr); in seguito suonammo in cima al tetto del Leoncavallo nei periodi di sgombero. La musica del gruppo univa l’approccio industriale a cori di lotta infatti musicammo l’inno del Sudafrica in versione industriale. Torniamo all’Officina, che altro organizzavate? E che fine ha fatto? Il programma di autogestione dello spazio prevedeva rassegne di cinema, musica, produzione culturale. Gli spettacoli avvenivano nella navata centrale, sopra vi erano delle stanze dove alcuni vivevano soprattutto nei periodi di numerosi tentativi di sgombero. Verso la fine lo sgombero avvenne definitivamente probabilmente in un periodo di stanca quando ormai i sostenitori e i progetti erano sfilacciati e divisi in varie correnti contrastanti. Vi sono differenze con le attuali forme di occupazione? Direi di no: i presupposti sono gli stessi, forse

“Viviamo in un mondo di immagini che spesso non sappiamo leggere, presumiamo di saperlo fare ma sovente non abbiamo le conoscenze adeguate per comprendere quello che vogliono comunicarci. Questo paradosso si ripete nell’arte.”

è differente il contesto politico. Comunque anche allora se non venivi toccato era perchè non vi era volontà politica. Per te esistono affinità tra musica e arte? Io penso che i percorsi siano gli stessi anche se si manifestano in maniera differente. Spesso vi è un incontro e una contaminazione; ad esempio quando sono stata per un periodo a Berlino (87-88) e ho conosciuto gli Einsturzende Neubauten ho saputo che alcuni di loro (il nome non lo ricordo) erano compromessi con altre forme d’arte e uno di loro aveva una galleria d’arte. A Berlino in quel periodo tutto sembrava possibile e loro sono stati l’esempio più riuscito. Sì. Infatti sono stati uno dei gruppi più radicali e scomodi della musica rock e i titoli delle loro retrospettive - Strategies Against Architecture - sottolineano legame che loro sentivano fra musica ed altre forme di espressione artistica, elemento che si concretizzava anche suonando piloni delle autostrade o strumenti da loro costruiti. Ora che musica ascolti? Ultimamente non seguo molto la musica per mancanza di tempo e quindi non riesco ad aggiornarmi come vorrei. In questo periodo mi incuriosiscono gli Animal Collective. Cosa deve aver una opera d’arte per attirare il tuo interesse? L’arte deve essere fastidiosa ti deve attirare, talvolta è più intrigante se non ti affascina immediatamente. Spesso le opere d’arte con tutte le cose al loro posto, formalmente perfette e ben studiate ti affascinano inizialmente ma sul lungo periodo ti annoiano e comunicano poco. Il rischio dell’arte contemporanea talvolta sembra quello di essere un esercizio di stile senza un vera anima. Non ti sembra? Talvolta sì, è importante tener conto co-

Officine Schwartz a Bergamo nel 1990 munque che viviamo in un mondo di immagini che spesso non sappiamo leggere, presumiamo di saperlo fare ma sovente non abbiamo le conoscenze adeguate per comprendere quello che vogliono comunicarci. Questo paradosso si ripete nell’arte soprattutto ora che l’arte si manifesta in diverse forme talvolta immateriali (come le passeggiate / performance di Hamish Fulton), happenings, installazioni, video. Ma il mercato apprezza le nuove forme immateriali dell’arte? Sì. La questione principale è che, soprattutto in Italia, dove non ci sono strutture pubbliche super partes (come il British Council in Inghilterra) che ricercano e fanno crescere i giovani artisti, è il mercato ad avere un ruolo prevalente nella promozione degli artisti emergenti. Questo inevitabilmente si ripercuote sul formalismo che pervade l’arte giovane in Italia che, per avere visibilità, deve rispettare i canoni dettati dal mercato. Quindi il mercato si è adeguato alle nuove forme d’arte ma ne detta anche le linee guida? Sì e infatti l’obiettivo del corso superiore di arti visive della F.a.r. di cui sono curatrice è proprio invitare come ospiti artisti importanti che però sono indipendenti 13 CMPST #9[02.2009]


Import dia esponevano a Genova che risultava un punto di riferimento e laboratorio per nuove idee, ora la situazione è difficile perché il museo di Villa Croce ha buoni progetti ma poche risorse, mentre tra le gallerie Pinksummer è quella più spregiudicata e con una visione internazionale. Dal punto di vista musicale sembra più viva e dinamica. Da curatrice la mostra di Fontana Come ti è sembrata? Ritengo che l’allestimento abbia tradito la visone dell’artista sminuendo la potenza visiva delle opere disponendo i quadri su più livelli in una stessa parete. Inoltre ha relegato in secondo piano le installazioni spaziali che sono molto significative nel percorso artistico di Fontana. Come ti trovi A Genova? Bene, i miei famigliari lavorano e studiano qui, ma io sono spesso fuori per lavoro: è faticoso ma ti aiuta a evitare che la città ti risucchi nelle sue sabbie mobili.

Anna Daneri (dx) con Marjetica Potrc (sin) nel 2006 dalle regole del mercato, di creare un in- curatrice di molte mostre in Italia. Qual’è il tuo terazione con gli artisti emergenti parteci- approccio nel curare gli eventi. Oltre ad essere curatrice dei workshop panti al workshop e innescare un dialogo. della Fondazione Antonio Ratti curo diverse L’arte non può essere insegnata, l’unica mostre sia in Italia che all’estero. L’ultima è cosa che si può fare è innescare il dubbio attraverso il confronto con altri artisti guida. stata in Brasile, si intitolava Collateral e ricercava una connessione tra arte e cinema. Dalle esperienze e dai lavori nati dal workshop di tre settimane presso la fonda- Comunque il mio approccio come curatrice zione ricaviamo il materiale per le mostre è differente da quello del critico/curatore (cfr. Achille Bonito Oliva): io tendo ad avere dell’artista guida e degli artisti emergenti. una visione meno impositiva e quindi ad esQuesto è il principio base dei nostri corsi che sere un accompagnamento e un supporto a si rifanno alle esperienze della scuola di John Cage in cui c’è un dialogo fra il docente arti- quello che l’artista vuole dire. sta e gli allievi. Come è lo stato dell’arte a Genova? Negli anni Settanta molti artisti d’avanguarCuriosando su internet si apprende che sei 14 CMPST #9[02.2009]

In effetti è così. A Genova ogni cosa è faticosa, le iniziative spesso esistono ma si fatica a farle conoscerle: l’obbiettivo di Compost e disvelare i tesori e le potenzialità nascoste della nostra città. Congedandosi Anna mi lascia un nome che detiene molti particolari su L’Officina. Non lo rivelo, così mi rimane un asso nella manica. Forse un altro spazio su Compost è garantito poi si vedrà. F.A.R. non è un organizzazione militare antigoveranativa bensi l’acronimo Di Fondazione Antonio Ratti per maggiori info visitate www.fondazioneratti.org E su exibart troverete varie mostre di Anna Daneri Altri memorabili scritti dell autore/intervistatore poterete trovarli su www.blugenoa.net


Produzioni “Questo e non solo questo ci ha portato a lavorare diversamente. Per cui il titolo Spigoli si riferisce anche alla musica, è un disco più difficile rispetto agli album precedenti dove la melodia era sopra a tutto il resto.“ En Roco - Messymale - Headcreeps Intervista con Rocco Spigno e Francesco Conelli di Simone Madrau

SMUSSARE GLI SPIGOLI Dopo una faticosa gestazione del loro terzo disco, gli En Roco sono finalmente pronti per il loro ritorno. E pronti è dire poco: c’è entusiasmo, c’è voglia di dire e di fare. Lo si percepisce dai continui rimandi di Rocco e Francesco al loro presente, anche quando si prova a riassumerne i trascorsi. Tra cambiamenti ed evoluzioni, però, una cosa è rimasta immutata: la sincera passione verso la propria città. Partirei da quello che tutti vogliono sapere, ovvero il nuovo album degli En Roco. R: Il titolo dell’album è Spigoli, maturato una sera in sala prove a disco ormai registrato. E’ così intitolato perchè il processo di realizzazione è stato segnato da tanti problemi: difficoltà, spigoli appunto, che siamo riusciti ad affrontare. Forse in tutti questi ostacoli c’entra anche il fatto che siamo cresciuti a livello anagrafico e ci siamo scontrati con problematiche che non hai a vent’anni: hai un lavoro, hai altri tipi di responsabilità. Questo credo si sia andato a rispecchiare anche nella creazione vera e propria del disco: nella compo-

sizione, nell’arrangiamento, in studio ma soprattutto in sala. Il processo creativo, dunque, più che le fasi successive. R: Bè no, il processo creativo è sempre lo stesso nei fatti: Enrico o Francesco si occupano della composizione dei brani, dei testi, dell’idea di fondo e poi tutti e quattro ci si occupa di come il pezzo deve uscire. Casomai l’approccio è stato diverso, nel senso che prima c’era un discorso legato a una certa semplicità: la scelta dell’essere acustici, il violino quasi sempre presente in tutti i pezzi, un suono riconoscibile per chi

ci conosceva, il suono degli En Roco. Poi tutta una serie di circostanze ci ha portato ad avere dei cambi di formazione. La stessa Cecilia, il violino di cui sopra, ha smesso di suonare con noi anche se ha partecipato alle registrazioni, sia a livello di amicizia che fattivamente: ha lavorato a quasi tutti i pezzi insieme a noi. Nel momento stesso in cui lei ha deciso di ‘andarsene’, abbiamo stabilito che non avevamo più la necessità del violino sul piano compositivo quindi non abbiamo più preso nessuno. Questo e non solo questo ci ha portato a lavorare diversamente. Per cui il titolo Spigoli si riferisce anche alla musica, è un disco più difficile rispetto agli album precedenti dove la melodia era sopra a tutto il resto. F: E’ un disco in cui è più difficile arrivare ‘direttamente’ al pezzo. La scansione di ogni singola canzone è più ricercata. Non è una cosa consapevole, è venuta da sè. Aggiungi che non suoniamo più solamen15 CMPST #9[02.2009]


Produzioni non è uscita come l’avevamo in testa. Probabilmente la riprenderemo in futuro. E’ un disco cui siamo affezionati anche perchè abbiamo condiviso la registrazione delle canzoni con molte persone con cui non eravamo riusciti a fare cose prima. Ci sono tanti ospiti, tanti amici. A partire dallo stesso Matteo Casari, synth in Rompicapo. Ma anche Mario Pigozzo dei Valentina Dorme, Max Morales dei Numero6 al pianoforte, la suddetta Cecilia al violino, gli Aparecidos alle chitarre in Pelle E Ossa, TigerMilk (una ragazza cilena bravissima che fa i cori in un pezzo) e Richard Colburn dei Belle And Sebastian alla batteria in un altro pezzo.

En Roco - ph. Anna Positano te in acustico. L’influenza Headcreeps? F: In effetti in quest’ultimo cambiamento avverto un certo grado di colpevolezza. Sono l’elemento di ‘disturbo’ del gruppo. Bè l’elemento ‘fastidioso’ in un gruppo è quasi sempre una cosa positiva. R: Assolutamente. In realtà se vai a vedere quello che abbiamo fatto negli anni tutti veniamo da un giro rock. Sia io che Fra veniamo dal punk-rock. F: Il punk della LookOut ha mietuto vittime. 16 CMPST #9[02.2009]

R: Eh cavolo, sì, eravamo tra quelli, erano gli anni 90, eravamo dei bei ragazzi. F: Comunque, anche se alcune persone che hanno ascoltato il disco ci hanno già riconosciuto grosse differenze, io faccio fatica ad avvertirle. Ci sono, sì, ma per me non c’è stato uno stacco netto: è stata casomai una logica prosecuzione avvenuta giorno per giorno. Parliamo delle singole canzoni. R: Le canzoni sul disco sono 11. Eravamo partiti con l’idea di farne 12 o 13, alla fine ne abbiamo registrate 12 ma una l’abbiamo scartata perchè non ci convinceva,

Ricordo che Richard Colburn aveva messo i dischi al Milk qualche tempo fa. E’ stato lì che lo avete incontrato? R: Esattamente. C’era un progetto legato a questi nomi grossi che dovevano venire al Milk nel corso dell’anno che consisteva nel far loro registrare un brano insieme a un gruppo genovese musicalmente affine a loro. In realtà i nomi coinvolti alla fine sono stati solo due o tre, ma tra questi c’era appunto lui e noi eravamo i predestinati. F: E’ andata così: noi sapevamo che doveva venire e Sticca ci aveva detto che c’era la possibilità di incontrarsi e fare questa registrazione. Però poi non ne abbiamo più saputo niente. Poi, la notte prima dell’arrivo di Richard in città, mi arriva una chiamata di Sticca mentre tornavo a casa in macchina che mi dice: ‘domani vi vedete con Richard Colburn, fate quello che dovete fare’. R: E’ stata una giornata molto piacevole. Nelle due orette che abbiamo passato


Produzioni in studio abbiamo tirato fuori un brano su cui stavamo già lavorando per fatti nostri. Lui ascoltandoci si è messo a suonare con noi e se ne è uscito con un’idea di batteria che era totalmente diversa da quella che avevamo pensato ma al tempo stesso era così semplice, così bella, che alla fine è diventata la linea di batteria di quel pezzo. Sul momento abbiamo registrato una presa diretta e subito dopo le tracce di batteria suonate da Richard che abbiamo poi inserito nel disco. A parte questo siamo stati tutto il giorno con lui, siamo andati a mangiare insieme, lo abbiamo portato in giro per Genova in una splendida giornata di marzo. F: Richard è una persona molto gentile, cortese, semplice. Ancora adesso ci scriviamo regolarmente, ci risponde sempre. R: E’ nato un bel rapporto, chissà mai che non si riesca a combinare qualcos’altro insieme qualora ripassasse(ro?) di qua. F: Nel disco dovevano suonare anche i Father Murphy poi purtroppo per una serie di motivi non è stato possibile. R: Il fatto è che quando hai lo studio fissato per giorni o sei perfettamente organizzato o è dura, tanto più se si abita a 500 km di distanza. Sono sicuro che prima o poi riusciremo a farci qualcosa. I rapporti sono buoni, c’è molto rispetto e ammirazione. Vi siete conosciuti bazzicando la Fosbury, suppongo? R: No, il fatto è che abbiamo suonato al Mi Ami insieme. Poi sono andato a vederli una sera a Marghera. Suonavano insieme ai Grimoon, altro gruppo della Madcap che secondo me è una delle migliori realtà indipendenti in Italia. Poi ci siamo rein-

contrati più volte, anche qui a Genova e pian piano abbiamo parlato di questa cosa che come ti dicevamo non siamo riusciti a fare. Parlando di etichette? R: Il disco uscirà per la Fosbury in contemporanea con i Norman, gruppo di Treviso capitanato da Max Bredariol (Valentina Dorme, Artemoltobuffa). La distribuzione è Audioglobe quindi usciremo anche nelle varie Fnac ecc.. Siamo affezionati all’oggetto cd, ci tenevamo che uscisse in questo formato. Ma usciremo anche in digitale tramite Tomobiki Digital, costola digitale della Eclectic Circus. A livello di booking ancora non sappiamo, sicuramente da parte nostra faremo valere i contatti che ci siamo fatti negli anni. Eventuali videoclip? R: E’ ardua, per una questione meramente economica: siamo tutta gente normale che non può permettersi di investire in grossi budget. L’idea che ho io del videoclip in questo momento comunque è svincolata dal contesto televisivo. Se proponi un video a una rete televisiva non è detto che lo passino, anzi probabilmente non ti passano. Se mai decideremo di fare un video sarà quindi realizzato tra noi oppure sarà un video realizzato da qualcuno che abbia piacere di lavorare con noi senza velleità di finire in televisione. Influenze varie a livello creativo per questo disco? Ascolti che vi hanno portato in una direzione piuttosto che verso un’altra? F: La realizzazione del disco è stata molto dilatata nel tempo, quindi sono cam-

Enrico @ Fitz - ph. Matteo Casari biati anche gli ascolti e le influenze. Musicalmente posso dirti che il fatto di suonare più ‘rock’ rispetto al passato è probabilmente derivato dal mio interesse (tardivo, lo ammetto) per i Joy Division. Anche se il disco poi non suona affatto come un disco dei Joy Division: le idee rimangono le 17 CMPST #9[02.2009]


Produzioni “Mi rendo conto che avrei voglia di fare per conto mio tante cose. Ma come faccio? O faccio dieci gruppi diversi o faccio El Pelandro che fa quello che gli pare senza prepararlo.” nostre. Altro esempio: un pezzo in particolare suona ‘pesante’ però viene fuori da un momento in cui ascoltavo Revolver dei Beatles. Che non è certo qualcosa che definirei pesante. R: Credo che ognuno di noi quattro abbia un modo diverso di suonare, ciascuno influenzato dai propri ascolti che sono tutti molto diversi. Il bello sta nel cercare di metterli insieme. E’ una formula che poi dà vita alle cose più interessanti, un po’ lo dicevamo anche prima. F: Nella prima fase compositiva dei brani io ed Enrico siamo andati a vedere i Girls Against Boys a Torino, che non sono esattamente il primo gruppo che accosteresti a noi. R: A me piace molto la collaborazione tra Kieran Hebden e Steve Reid, ma anche Villalobos: tutte cose che non c’entrano un cazzo con noi. Mi rendo conto che avrei voglia di fare per conto mio tante cose. Ma come faccio? O faccio dieci gruppi diversi o faccio El Pelandro che fa quello che gli pare senza prepararlo. Comunque bene o male adesso avete le idee chiare su chi siete e dove andate. Ma all’inizio di tutto, quando sono nati gli En Roco, cosa avevate in mente di fare? R: Bè ognuno ha la sua storia musicale, come ti dicevamo prima: chi veniva dal 18 CMPST #9[02.2009]

punk-rock, chi dal grunge, chi dalla musica d’autore, ecc.. Enrico però si registrava i suoi provini su un quattro tracce, rigorosamente in acustico. A noi che all’epoca ancora eravamo gli Istmo, i provini arrivavano quindi così: acustici. Quando ci siamo ritrovati a ricominciare abbiamo optato per fare tutto in acustico perchè ci piaceva come suonavano quelle cose lì. Abbiamo inserito un violino perchè ci piaceva il violino ma non è che avessimo in mente qualche gruppo particolare, non è che conoscessimo per dire i Fairport Convention. Eravamo piccoli, non facevamo ragionamenti particolarmente ‘evoluti’: erano pezzi che nascevano con la chitarra acustica e ci piaceva che suonassero così. C’era anche una voglia di staccarci da quello che avevamo fatto fino a quel momento, dai vari Nirvana ecc.. Caso ha voluto poi che la nostra nascita coincidesse con questa esplosione del New Acoustic Movement: una bufala? Forse, ma tant’è: quello è stato l’inizio. Io in effetti non avrei mai pensato ai vostri dischi precedenti come figli di Nevermind o che altro. Vi ho sempre pensato come un gruppo a metà tra quella che può essere la scena cantautorale genovese e un indie-pop di scuola Belle And Sebastian. R: E infatti ci prendi in pieno: Enrico è sempre stato vicino alla scuola d’autore, anzi Enrico è un cantautore. A Genova l’aria che respiri ti riconduce alla canzone d’autore, o almeno a una certa canzone d’autore, quella che non si è svenduta negli anni. Anche se poi all’interno della scuola genovese ci sarebbero da fare dei grandi distinguo.

Q un paio di numeri fa disse che continuare a vedere i maestri del genere come un punto di arrivo anzichè un punto di partenza per fare qualcosa che suoni come l’’oggi’ è sbagliato, e meglio sarebbe fare il contrario per far capire che da 40 anni a questa parte a Genova è successo qualcosa. R: Ecco spiegato cosa intendevo. Sono totalmente d’accordo. A Genova poi ci sono state realtà di qualsiasi tipo, non solo cantautorale, che non possono essere ignorate perchè hanno segnato riferimenti importanti anche per il tipo di scena cui facevano capo. Ci sono stati i Detestor, ci sono stati i Sadist, ci sono stati i Blindosbarra, ci sono stati i Blown Paper Bags, ci sono stati i Kafka... Genova in sè è una città molto portata per la creatività, e lo è per tante ragioni: ragioni storiche, non nel senso di storia contemporanea, anche rinascimentale quando non medievale; ragioni geografiche perchè il fatto che sia una città di mare implica che abbia tante culture diverse e sfumature diverse; il fatto che sia una città chiusa, non tanto nel senso delle persone (una cosa a cui non ho mai creduto più di tanto) ma nel senso di una città difficile da scoprire in cui però ti addentri e quando giri l’angolo, senza aspettartelo, ci trovi delle cose stupende. Tutto questo concorre a sviluppare la necessità di fare delle cose: e non solo a livello musicale, perchè abbiamo moltissimo in tutti i campi della cultura. Molto di più forse rispetto ad altre città. Che Genova vi piaccia è evidente. La citate, esplicitamente e implicitamente,


Produzioni “Il fatto che (Genova) sia una città chiusa, non tanto nel senso delle persone (...) ma nel senso di una città difficile da scoprire in cui però ti addentri e quando giri l’angolo, senza aspettartelo, ci trovi delle cose stupende.“ in varie canzoni. In Niente Di Peggio campionavate addirittura un annuncio della stazione. R: Bè amiamo Genova in tutte le sue forme. Soprattutto nell’Unione Calcio Sampdoria che è comunque qualcosa che... Un atto d’amore fondamentale, capisco. Il calcio comunque è una cosa particolarmente sentita a Genova, molto più che in altri luoghi. R: E’ una città che sente fortemente la rivalità e che ha due maniere di seguire e tifare molto differenti. Come è diviso il tifo all’interno degli En Roco? R: Siamo un Ultras della sampdoria, un Quasiultras della Sampdoria, un milanista e uno a cui non gliene frega un cazzo. Scherzo, nessuno di noi è un Ultras. Progetti paralleli: Enrico ha i Bosio, Francesco gli Headcreeps. Rocco... è El Pelandro. Ma cos’è El Pelandro? R: El Pelandro, al di là delle cose che scrivo su Compost, è una presa in giro di se stessi, non esclusivamente legata al sottoscritto. El Pelandro è ‘chiunque vuol fare qualcosa lo fa’. In realtà ho in testa un bello split con le She Said What? che a settembre potrebbe essere fuori, o quantomeno l’idea c’è - poi vedremo. Ma a parte

En Roco live @ Rural Indie Camp - ph. Anna Positano questo musicalmente El Pelandro nasce da una prima idea chiamata 30 seconds take-away songs, ovvero: El Pelandro si presenta di fronte al pubblico e improvvisa delle canzoni sul momento. Il succo di El Pelandro è di non prepararsi le cose ma di farle. Punto. Il 2009 degli En Roco. R: Spigoli uscirà a marzo. Non avendo possibilità di concentrare la promozione in un unico periodo, i tempi dedicati a quest’ultima saranno dilatati. Gli En Roco hanno le loro vite e la loro passione: le portano

avanti cercando di fare quello che riescono a fare al meglio. Più date possibili, senza la foga di doverne farne 200. F: L’unica cosa importante, quella che abbiamo tutti in testa, è che abbiamo una gran voglia di suonare dal vivo.

Più info sugli Enroco myspace.com/enroco

su

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Oltre il Palco “Il mondo della musica underground (che va tra l’altro sempre più riducendosi) non è poi (ovviamente) in grado di fare investimenti pubblicitari e, spesso, comunica male con i media.“ Altera - PrecariArte - Carmine Intervista con Stefano Bruzzone di Giacomo Bagni

NIENTE STAND-BY

Colgo l’occasione della loro recente premiazione al M.E.I. e della pubblicazione di un nuovo indedito degli Altera nella compilation Arci Libertà e Musica, per intervistare Stefano Bruzzone, voce del gruppo e mente di un’altra miriade di progetti di cui cercherò di rendere conto in queste (poche per la mole delle iniziative in cui è coinvolto) righe. Iniziamo dalla base di qualunque intervista. Dovrei essere io a presentarti, ma la mole di cose in cui sei impegnato mi rende difficile chiuderti sinteticamente in un quadretto esplicativo. Mi facilito la vita e lo chiedo a te. Chi è e cosa fa Stefano Bruzzone? Mi vien da dire che è un “cane sciolto”... Dopo due lavori “normali” in ufficio e supermercato terminati (guarda caso) con due cause in Tribunale (finite bene – e non è un caso), si ritrova disoccupato e si mette di conseguenza a fare ciò che gli riesce naturale: suonare, scrivere, creare o organizzare situazioni o eventi. Da lì l’associazione Cantiere di Idee del Carmine. Mi sono poi reinventato come giornalista free lance: curo una rubrica di mia ideazione sulle iniziative gratui20 CMPST #9[02.2009]

te in città e dintorni per il sito e la radio del maggior quotidiano ligure, collaboro con un free press, un altro quotidiano ed un professionista della Comunicazione d’Impresa. Pensandoci su ci deve essere anche qualcosa di “insano”: se aggiungo a tutto ciò il cortometraggio su Don Gallo al Carmine nel 1970, la questione di Vico Testadoro in riferimento alla Maria della trattoria omonima, gli incontri di PrecariArte tra artisti e mondo del lavoro, il “ritorno” degli Altera, ecc. mi rendo conto che non son stato molto “fermo” negli ultimi mesi. In altre parole... un cervello che purtroppo non ha il pulsante “stand by”. Partiamo dal versante musicale: gli Altera. A fine 2008 siete stati premiati al

M.E.I per il vostro Canto di Spine, un disco datato 2001. Cosa è successo in questi sette anni? Come mai un disco presentatosi con una sfilza impressionate di patrocini, collaborazioni importanti e buone recensioni, è praticamente scomparso per tutto questo tempo dal panorama discografico nazionale? E’ stato chiaro già ad inizio 2002 che il disco non sarebbe stato minimamente supportato come si deve dal punto di vista promozionale. Ciò accade abitualmente per lavori “ordinari”, figuriamoci per un album di poesie rock… Abbiamo tentato con il produttore (Franz Di Cioccio – PFM ndr) un colpo di coda, con un remix curiosissimo ad opera dei Datura, ma non è stato possibile pubblicarlo. A quel punto, almeno per quel che mi riguarda è calata la notte. Tre anni di lavoro feroce e continuo… Con conseguenze (dal punto di vista della vita privata e del lavoro – abbastanza andati a rotoli) immaginabili. D’altronde dopo aver ideato e realizzato un mastodonte del genere, non puoi metterti pure a vendere tu i dischi. La fine che ha fatto Canto di Spine nel suo “piccolo” è emblematica rispetto all’industria discografica nostrana. Ora, anche grazie al Premio del MEI, forse si è


Oltre il Palco Versi in

Italiani forma

del ‘900 canzone

Questo è il sottotitolo di Canto di Spine, album del 2001, recentemente riscoperto e premiato al M.E.I. di Faenza con la targa Premio Speciale Suona la Poesia, “per essersi distinto come esempio di contaminazione artistica e per aver avuto il merito di avvicinare sempre più persone alla poesia”. In effetti mai prima di allora si era visto in Italia un tentativo cosi ambizioso come quello di trasporre in musica i versi dei grandi poeti del ‘900 (Pasolini, Montale e Ungaretti tra gli altri) Riprova di ciò sono la sfilza infinita di patrocini che questo progetto si era guadagnato e le numerose collaborazioni con musicisti importanti come Manuel Agnelli e Paolo Fresu, alle quali si aggiungono quelle con gli stessi poeti che hanno prestato i loro testi all’operazione. Tra questi merita sicuramente di essere nominata Alda Merini, coinvolta con entusiasmo nel progetto e pronta a prestare, oltre a voce e pianoforte, anche il suo corpo seminudo per la copertina dell’album. Purtroppo, nonostante la validità del progetto e la grande attenzione riscossa nei primi tempi, l’interesse verso questa piccola gemma della musica italiana è andato scemando, fino a chiudere il disco in qualche polverosa soffitta. Ora, anche grazie ai riflettori puntatisi sugli Altera dopo il M.E.I., qualcosa si sta muovendo e si aprono interessanti possibilità per il recupero di Canto di Spine. Questa volta non potete farvelo sfuggire.

aperto uno spiraglio per “salvare” il cd. Osservando più da vicino il disco mi viene da chiedere come vi sia venuto in mente di mettervi a cantare (e non recitare) i versi di alcuni dei più grandi poeti italiani (Montale e Pasolini tanto per fare due nomi). E’ un lavoro immane che, personalmente, mi spaventerebbe tantissimo. Ci venne molto naturale… Iniziammo da Shemà (Se questo è un uomo ndr) di Primo Levi, cantata in un concerto per il 25 Aprile alla Sala “Chiamata” del Porto e da lì, al ritmo di quasi un pezzo a prova andammo avanti. Qualcuno scrisse di “angelica spregiudicatezza”, forse non a torto. Allora eravamo molto incoscienti… Più che la parte artistica, di quel disco (peraltro non trascurabile, visto che si cantano testi di tutti i più noti poeti autori) fu un lavoro colossale la parte burocratico – organizzativa. Per qualsiasi partecipazione ed a qualsiasi titolo (autore, erede, casa editrice, immagine, ospiti, studenti, patrocini, ecc.) occorreva una liberatoria… c’è un raccoglitore pieno. Mi viene in mente il ritornello di Retrattile dei Marlene Kuntz… “Probabilmente… io meritavo di più”… 1998: gli Altera, in seguito all’esclusione del brano Merda d’Artista da una compilation della Fridge, mandano una lettera a Rumore (e a tutti i giornali musicali italiani?) denunciando le dinamiche malate della discografia indipendente italiana e scatenando un vespaio a livello nazionale. Di fronte a quali problemi vi eravate trovati? Negli ultimi anni è cam-

biato qualcosa? Guarda, dovevamo partecipare ad una raccolta con un brano che parlava di zrom e sinti (Santa gitana)… Tra l’altro noto che sono passati dieci anni e l’argomento integrazione è ancora tristemente d’attualità… Anzi, c’è stato un peggioramento evidente. Tornando alle beghe discografiche i tizi dell’etichetta, che si definivano “compagni”, appresero da me medesimo in una chiacchierata telefonica che stavamo preparando un nuovo pezzo per il nostro demo, che parlava della mercificazione dell’immagine di Guevara, affiancandola all’opera d’arte Merda d’artista di Piero Manzoni. Apriti cielo… Dissero che vendevano molto nei centri sociali e che temevano un altro effetto Disciplinatha… E quindi ci tolsero su due piedi dalla compilation. Oltretutto ovviamente dovevi dar loro denaro (acquisto copie “obbligato”). Pensa che paranoia… Per un demo… Per il resto negli ultimi anni eravamo… In esilio… Lavorando al Secolo XIX e a Radio 19 sei riuscito a farti un’idea del perché questi media, che pure dovrebbero essere locali, snobbino cosi tanto l’undeground genovese? In fondo aiutare la scena per loro potrebbe rivelarsi un grande investimento a costi veramente risibili. Tieni conto che si tratta di “collaborazioni esterne” e che quindi vivo e vedo tutto da un’ottica differente. Concordo sull’investimento; sospetto però che nelle redazioni si ritenga che i musicanti e il loro pubblico comprino poco i giornali. E il mondo della musica underground (che va tra l’altro sempre più riducendosi) non 21 CMPST #9[02.2009]


Oltre il Palco è poi (ovviamente) in grado di fare investimenti pubblicitari e spesso comunica male con i media. Finito di far l’avvocato del diavolo credo che occorrerebbe mettere intorno ad un tavolo un gruppetto di persone intelligenti e con qualche idea e ragionare anche su questo punto. Perché ad es. non creare una piccola struttura “leggera” che si occupi a costi minimi di rapportarsi con i media per tutto il “giro underground genovese”? Altra domanda, altro argomento. Ho scoperto con colpevole ritardo degli incontri PrecariArte da te ideati, che si proponevano di analizzare la vita degli artisti genovesi e i loro rapporti con il mondo del lavoro. Uno dei tre incontri previsti era dedicato alla musica e, se non ho capito male, si proponeva di affrontare il cronico problema della mancanza di spazi dedicati alla musica a Genova. Com’è andato? Si è riusciti a tirare su un dialogo costruttivo o è stato il solito mugugnare indistinto in cui spesso ci si perde in questa città? Avete trovato qualche soluzione nuova e praticabile? In realtà gli incontri partono dalla considerazione un poco surreale che “nessuno è più precario di un’artista”… si tratta in realtà di confronti tra artisti e controparte (es. musicisti e discografici) ad uso e consumo dei più giovani. Gli spazi erano una piccola fettina tra i temi trattati. A parte la scarsa presenza di giovani (c’è stato qualche problema

Altera - ph.Fenu&Reale organizzativo che ha impedito stampa e affissione delle locandine) a me l’incontro è parso interessante. Non capita spesso di ascoltare l’esperienza di Freak Antoni degli Skiantos o di Stefano Senardi (uno dei più importanti discografici italiani – ex presidente Polygram) per non parlare degli altri ospiti… Andrea Bruschi dei Marti, Monica Melissano di Suiteside records, Roberto Giannini di Metrodora.

“Qualcuno scrisse di “angelica spregiudicatezza”, forse non a torto. Allora eravamo molto incoscienti…“

Sempre leggendo il comunicato stampa di PrecariArte ho trovato un accenno a una stagione di concerti in preparazio-

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ne all’Utri Beach di Voltri. Quando contate di partire? Qualche anticipazione di carattere generale su quello che si sta pensando di organizzare? L’idea è quella di preparare uno spazio live adeguato sotto tutti punti di vista (palco, impianto luci, fonici, ecc.), fornendo ai gruppi più giovani una serie di consulenze e servizi gratuiti molto utili (dall’indirizzario completo di etichette, manager, agenzie, ecc.) all’inoltro di demo ad etichette partner con risposta in tempi ragionevoli, dalle riprese audio video, ecc. Ti assicuro che si tratta di una


Oltre il Palco “Gli incontri partono dalla considerazione un poco surreale che “nessuno è più precario di un’artista”… Si tratta in realtà di confronti tra artisti e controparte (es. musicisti e discografici) ad uso e consumo dei più giovani.“ roba totalmente inedita. Proprio per questo voglio esser certo che tutto fili prima di mettere in moto il pachiderma. L’avvio potrebbe essere a inizio marzo. Ma solo se ci saranno le condizioni. Passiamo a tutt’altro argomento: Il Cantiere di Idee del Carmine. Come nasce questa (ottima) iniziativa mirata a ridare vita al quartiere del Carmine? Come rispondono gli abitanti ai numerosi progetti che siete riusciti a mettere in piedi? Iniziative e ambizioni future? Tutto è nato da una frase di Manu Chao letta in un’intervista… Alla domanda “ritiene ancora valida la frase un altro mondo è possibile? ” lui rispose qualcosa tipo ”L’unico vero cambiamento oggi comincia dal tuo barrio, dal tuo quartiere, da ciò che ti è vicino”. Detto e fatto. Circa 25 eventi in poco più di un anno. Se a febbraio finalmente partirà la riqualificazione del Mercato comunale, semidismesso da anni, probabilmente non è un caso... Gli abitanti? Il Carmine è un luogo particolarissimo, che non ha una coesione sociale uniforme. C’è di tutto: molti lavorano fuori Genova, la chiesa conserva una certa influenza, ci abitano molti artisti (Bob Callero, Sergio Alemanno, ecc.), molti anziani e molti che comunque sembrano disinteressati a ciò che accade intorno. Da qui partì la storia “pubblica”

di Don Gallo, qui c’era qualche sede di Autonomia Operaia. E’ un luogo difficilmente decifrabile… Per il futuro l’idea è provare a dare.. Un futuro al borgo, in direzione delle arti figurative. Con il Cantiere avete esordito con l’evento Mi hanno rubato il prete, dedicata alle manifestazioni organizzate nel 1970 dagli abitanti del Carmine per sostenere Don Gallo, che ai tempi era stato allontanato dalla Curia. Come mai avete deciso di partire proprio da questo fatto? Beh, sicuramente è stato il fatto più importante accaduto nella zona nell’ ultimo mezzo secolo. Per giunta… Dimenticato. La vicenda finì su Le Monde, Panorama, Gente, sui quotidiani nazionali. Eppure il Carmine aveva dimenticato quei fatti. Ridare ad un quartiere un gran bel pezzo della sua memoria storica ci parve il miglior modo di cominciare. E già che siamo in tema da dove parte questa attenzione per Don Gallo? Ho notato che tra musiche, cortometraggi e la seconda edizione dell’evento citato al Carmine sembri avere una grande fascinazione per il suo personaggio. Ne ho un grande rispetto e stima. Non condivido tutte le sue posizioni e nemmeno il suo egocentrismo… È un uomo che ha lasciato e lascia tuttora semi importanti ed ha aiutato migliaia di persone, nonché salvato la pelle a un sacco di gente… Se fossi cattolico direi che è stato una benedizione per la città. E molti se ne accorgeranno tardi, come sempre.

che sulla web-tv PandoraTV è in cantiere un progetto incentrato sui videoclip musicali di cui tu sei parte attiva. Come ci sei finito dentro? Di cosa si tratta esattamente? Per caso, me ne parlò un amico giornalista. Il progetto PandoraTV libera la musica è un tentativo di riportare alla luce videoclip censurati o oscurati dalla tv... Prima sul sito di Pandora, poi sul satellite e se andrà bene anche su un pò di tv locali... I gruppi dovranno contattare la redazione genovese di Pandora (si sta definendo, io ne faccio parte) e fornire un link per mostrare il proprio lavoro... Torniamo a parlare degli Altera. Nonostante non abbiate più fatto uscire un disco vero dai tempi di Canto di Spine, tra un mini-tour in Romania con il poeta Bruno Rombi e la realizzazione delle musiche per il corto dedicato a Don Gallo siete sempre in movimento. Quali sono i prossimi progetti? Un disco di brani originali, aggressivo, provocatorio e… un po’ divertente. C’è un’idea di titolo: Cavallo di Troia… E poi rimettere in circolo Canto di spine. Quel disco ha ancora un sacco di strada da fare e di cose da dire. Capita l’antifona? Preparatevi a sentir parlare ancora degli Altera... Più info sulle loro attività su gruppoaltera.com

Parlando di musica e video, ho visto 23 CMPST #9[02.2009]


Ospiti “ Via di qui. Dove vuoi. Una dimensione di fuga, comunque tu la voglia vivere.“ Madrigali Magri / Bachi Da Pietra Intervista con Giovanni Succi di Daniele Guasco

BRILL ANTI ANNI ‘80 Quando mi sono trovato a sentire nel nuovo album dei Bachi da pietra I Suoi Brillanti Anni ‘80, canzone ambientata in una Genova oscura e minacciosa, mi è venuto naturale pensare di scrivere un’intervista per Compost con il cantante Giovanni Succi, che già con il suo vecchio gruppi, i Madrigali Magri, rientra tra i miei ascolti da molti anni. Ecco dunque una lunga chiacchierata su Genova, musica, parole, arte, azione e tutto il resto. Direi di iniziare questa intervista partendo da “I suoi brillanti anni ‘80”, uno degli splendidi brani contenuti in “Tarlo terzo”, terzo disco dei Bachi da pietra, in cui racconti una “Genova per noi” livida e malata, ma allo stesso tempo avvolgente per il protagonista della canzone. Come è nato questo brano? Cosa puoi raccontarci del tuo rapporto con Genova? Per gli abitanti del basso Piemonte (province di Asti e Alessandria) Genova è sempre stata il punto di fuga, l’altro da tutto fatto a forma di città sul mare. Punto di partenza per l’ipotesi di andare a far fortuna oltremare fino alla prima metà Novecento. Meta di gite trasognate in automobile negli anni del boom del dopoguerra e nella tradizione dei cantautori. Infine porto a tiro di fuga per andare a comprare la roba fresca di sbarco per le generazioni dell’entroterra tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta. Oggi non so: Genova e basta. Ri24 CMPST #9[02.2009]

mane un simbolo forte dell’altro, che per un piemontese è “quel mare scuro che si muove anche di notte non sta fermo mai” (volevo risuonasse chiaramente Genova per noi nella canzone) e porta al mediterraneo, alle isole, all’Africa... Via di qui. Dove vuoi. Una dimensione di fuga, comunque tu la voglia vivere. Il protagonista della canzone la vive nel modo peggiore, consumandosi in storie di merda sui ritmi patinati della musica da fighetti. Ma forse si rende conto che tutto potrebbe essere diverso oltre quel nero notturno. Genova per noi apre e chiude. Quando passi l’Appennino e ti lasci tutto quel torpore e la nebbia alle spalle ti accorgi che avevi proprio dimenticato che potesse esistere qualcosa di così limpido, tutta quell’aria sottile e odorosa, quella chiarità è un tonfo nel petto. Sei sulla soprelevata (nome evocativo e già esotico per noi foresti): un limpido transito in un sogno promettente. Tutto aperto il fuori, il mare, l’orizzonte e poi tutto chiuso il dentro: la città

che ti inghiotte, ti racchiude, ti nasconde, ti disperde in vicoli infiniti. E’ avara, non ti regala niente, tranne i sogni. Fondamentalmente oggi Genova rimane per me la città dei miei poeti preferiti del Novecento italiano, la città di Caproni su tutti... Ci ho abitato quattro anni, fino al 1996.

Si può quindi dire che hai passato a Genova gli anni appena precedenti alla nascita dei Madrigali magri. Quanto la città ha influenzato il tuo modo di fare musica? I MM nascono nel 1994, io stavo a Genova dal ‘92 e ci rimasi fino al ‘96. Suonammo un paio di volte in città. Alle Cappe Rosse, vicoli di zona Carignano: un posto talmente piccolo che la macchina del caffè rientrava nel microfono. E poi più tardi, verso il 2000, periodo Negarville, in quel locale a Caricamento di cui non ricordo il nome... Possibile fosse il Fitzcarraldo? Davanti al porto antico. Quello fu un bel concerto. Se non sbaglio aprirono per noi i Port Royal. Potrei sbagliarmi. Se erano loro, li preferisco adesso. Già nelle mail in cui progettavamo questa intervista sono usciti alcuni ricordi di gruppi genovesi del passato. Io in quegli anni ero poco più di un ragazzino. Cosa puoi raccontarci del panorama musicale e artistico genovese degli anni in cui ci hai vissuto? Abbiamo parlato dei Live, glorioso trio mo-


Ospiti torheadiano, che però risale almeno alla prima metà degli anni Ottanta, quando avevo circa sedici anni ero un metallaro incallito e stavo a Nizza Monferrato, quindi un decennio prima rispetto al mio periodo genovese. I Live per come me li ricordo erano davvero grandi, e cantavano in italiano (come agli Strana Officina: più unici che rari). Della scena metal ligure dei primi anni Ottanta indimenticabili anche i Vanexa: si dice che il riff di Princess Of The Night dei Saxon fosse stato barbato senza tanti scrupoli da un loro demo. Del periodo tra il ‘92 e il ‘96 quando stavo in città, ricordo invece i Laghisecchi che erano veri eroi locali. Nelle aule studio e nelle bacheche delle università le loro locandine non mancavano mai. Andavano fortissimo i Sensasciou in ambito raggamuffin in dialetto genovese; e poi ovviamente i mitici Lo-Fi Sucks! di Pierpaolo Rizzo, un talento che da anni tace. Ricordo Max Manfredi, che ho visto rispuntare di questi tempi e, a proposito di cantautori, un mio compagno di università che si chiamava Giorgio Marrapodi, suonatore di organi a canne, scriveva canzoni strampalate con una vena tutta sua... Chissà che fine ha fatto. Giorgio, se ci sei batti un colpo. Poi c’era Silvano (il cognome sfugge) della fanzine Psiche Out, molto diffusa nel giro internazionale punk hardcore, noise, no-wave o che altro dell’epoca: un mondo fatto di fanzines di carta, francobolli, flyer, fotocopie... Senza nostalgia, sembra una vita fa. Il web in dieci anni ha cambiato tutto. La rete però ha dato la possibilità di parlare a chiunque, se per certi versi questo rappresenta un bene, un privilegio che ci viene concesso e che è giusto sfruttare, da un altro lato abbiamo una saturazione sconclusionata dalla comunicazione secondo me. La musica stessa ha guadagnato molta visibilità grazie a internet, ma allo stesso tempo sta, sempre secondo me, correndo il rischio di diventare un prodotto usa e getta. Qual è il tuo

rapporto con il web? Un rapporto di saturazione dal momento che ci lavoro. Quindi dedico poco tempo al lato web del gruppo, giusto il minimo indispensabile… Quando stacco dal monitor preferisco fare altro. Il web in generale rende oggi più facile ai gruppi fittizi crearsi un minimo di popolarità fittizia. Questo fa si che tutti la vogliano, dal momento che è apparentemente facile, e quindi nascono gruppetti come i funghi. Ma è comprensibile, non è certo un male. Non lo è per loro, non lo è per noi suonatori ormai attempati. Non lo è per voi che scrivete di musica: anzi dovrebbe rendere più evidente la differenza tra l’acqua e il vino. Tra vino e vino.

I mezzi non cambiano la sostanza dell’essere, i sentimenti primari e le paure che ci agiscono: questa sostanza è immutata da svariate decine di migliaia di anni. Non la cambi con dieci anni di internet e cinquant’anni di televisione. La spina dorsale, il rettile interno e il buco del culo sono esattamente gli stessi e portano sempre gli stessi messaggi alle stesse aree cerebrali. Sullo scenario tragicomico del teatrino del mondo i comportamenti umani sono di una banalità e di una prevedibilità disarmante. Siamo macchine da quattro soldi che si credono prototipi di pregio.

Restando su Tarlo terzo, la cosa che più mi conquista di questo nuovo album è l’irruenza dei ritmi che muovono i brani senza andare a toccare l’intensità viscerale che mi fa apprezzare le canzoni dei Bachi da pietra. Quali altri obiettivi speri di raggiungere in futuro con questo progetto? L’obiettivo è il percorso. Nessun compromesso. Si vedrà dove arriveremo. Di certo tutti avremo fine. Di certo avremo lasciato un segno. Nei testi del disco nuovo si nota una maggior presenza di tematiche sociali e politiche, mi basta pensare a Fbd (fosforo bianco democratico). Quanto ti spaventa in mondo di oggi? Né più e né meno del mondo di ieri. Quindi siamo destinati a continuare a cadere negli stessi sbagli assistendo a una continua ripetizione orrori del passato? Oppure vedi una possibilità anche minima di miglioramento della situazione che ci circonda? Certo, vivere nel secondo dopoguerra del Novecento è assai più comodo che vivere anche solo all’inizio del secolo scorso; ma questo non cambia nulla dell’umanità dell’uomo.

Bachi Da Pietra live @ Brescia 25 CMPST #9[02.2009]


Ospiti Prima dei Bachi da pietra c’erano i Madrigali magri. “Malacarne” è uno degli album italiani che più frequentemente entra nel mio stereo, eppure non mi sono mai curato, a voler essere sincero, di cosa si muoveva il gruppo al di fuori della musica. Come vedi oggi quella esperienza? Quanto ha influito sulla tua musica attuale? Dopo dieci anni di madrigali magri sei rodato a sufficienza per lavorare con i bachi da pietra. Ai MM devo molto del mio presente, dal momento che sono una larga fetta del mio passato, dal 1994 al 2004. Nel bene e nel male, sono stati la mia prima esperienza musicale che possa dirsi adulta. Il fatto che non ti interessassero al di là della musica che facevano lo trovo anche sano. Del resto a parte la musica, non facevamo niente di speciale. A partire dai Madrigali magri la tua esperienza musicale è stata legata con quella della Wallace records. Sul sito dell’etichetta Mirko la descrive come “controcultura e antagonismo”, ti chiedo quindi una cosa che ho chiesto anche a lui: è ancora possibile oggi in Italia fare cultura di alto livello al di fuori dei canali istituzionali? Quanto della tua musica può rientrare in queste due parole? Si, è possibile e noi lo facciamo. Se sia ad alto livello non lo so ma di certo è cultura, dal momento che diamo voce a visioni del mondo. Due parole quali? Controcultura e antagonismo. Due considerazioni. Per fare controcultura in Italia un tempo occorreva la profondità di un Pasolini. Oggi è sufficiente non avere la faccia come il culo. Io e te che ne parliamo argomentando, aperti l’uno a comprendere l’altro, senza un vaffanculo, stiamo già facendo controcultura. Come vedi non è un grosso sforzo, non c’è da andarne fieri. Ma prima di capire il contro, bisognerebbe accordarsi sulla cultura. Quale cultura, non ce n’è una sola. La più diffusa? Allora possiamo individuarla 26 CMPST #9[02.2009]

facilmente. In Italia vige effettivamente un regime culturale forte unanimemente condiviso dalla stragrande maggioranza dei cittadini (cittadini si fa per dire, siamo un popolo di sudditi), un sentire comune profondamente nostro, scolpito nel DNA. La cultura dominante italiana credo sia riassumibile in alcuni capisaldi, provo ad abbozzarne un decalogo, nord sud isole comprese: 1. io sono più furbo, le regole sono per glia altri; 2. sarà sempre colpa di qualcun altro; 3. saranno sempre cazzi di chi viene dopo; 4. voglio il privilegio non il merito; 5. se non rubi sei un fesso; 6. se fai fatica sei un fesso; 7. se ti impegni sei un fesso; 8. basta avere i soldi non importa come; 9. non c’è futuro; 10. vaffanculo. Da questi punti si evince tra le altre cose quanto i valori più profondamente cristiani abbiano attecchito e siano radicati nel tessuto sociale. Oggi ragionano intimamente così i rappresentati del popolo e i boss di quartiere, i bambini dell’asilo e i rettori universitari, il manovale e il capitano d’industria, la signora del piano di sopra e l’impiegato del piano sotto, e lo dimostrano nel loro agire. Controcultura potrebbe essere fare il contrario? Prendendo atto del fatto che non siamo innocenti, cominciare a mettere in discussione noi stessi, ognuno su di sé, come agiamo, quali conseguenze provocano le nostre azioni, come pensiamo, come parliamo, cosa riserviamo a chi ci sta di fianco, cosa lasciamo al nostro passaggio, forse staremo facendo controcultura. Farsi delle domande e non essere un faccia di culo oggi è già più che sufficiente. Quindi se facciamo controcultura non andiamone troppo fieri. Facciamolo e basta, sperando arrivi un tempo in cui occorra un impegno più profondo.

Mirko Spino è uno che, oltre a farsi delle domande, oltre a non essere un faccia di culo, si impegna e paga di tasca propria per le cose in cui crede, traducendole in fatti. Dovrebbe essere una cosa normale. Nel nostro Paese è sicuramente contro-cultura. Altro nodo. L’arte, quando non è ideologica o utile, è antagonista in quanto arte. Diversamente è patetica e i posteri ne ridono. Nel termine ‘antagonista’ c’è la radice agone, disputa, lotta. Per come la vedo io, la lotta c’è, ma l’atre è una strategia difensiva, mai di aggressione. Una cosa a cui si è costretti dagli eventi e non ci si può tirare indietro. Come mio nonno diciottenne quando gli toccò di


Ospiti “Sullo scenario tragicomico del teatrino del mondo i comportamenti umani sono di una banalità e di una prevedibilità disarmante. Siamo macchine da quattro soldi che si credono prototipi di pregio.“ fare la prima guerra mondiale. Magari toccherà anche a noi un bel giorno una bella guerra inevitabile, giusta e sbagliata come tutte le guerre. Per me è già qui, è in atto: è l’arte, l’atto mentale che va oltre me stesso nel quotidiano, la cosa che tento ostinatamente senza fine utile, senza scopo pratico, senza Credo. Un logorio senza senso. Roba da fessi. Un arrovellarsi su cose inutili, che non ci paghi l’affitto e l’intervento di un idraulico. Non è obbligatorio, in questa guerra non c’è coscrizione. Dunque è una cosa che chi si sente ha il dovere di fare. Io mi sento. Non me ne compiaccio. Ne ho pudore. Ma sento il dovere. Mi è sempre piaciuto molto il tuo modo di cantare che sfugge all’ascoltatore alternando sussurri, normalità e grida, andando però a lasciare il segno con le parole dei tuoi testi. Che origini ha questo tuo approccio al canto? Canto. Con modalità che derivano ed esprimono la mia visione del mondo. Da qui forse la complessità nel definirlo. Io non me ne curo, di definirlo: lo faccio e lo giudico, lo gioco, lo rimetto in gioco, continuamente. Come la scrittura. Quando canto cerco di essere autentico, di non atteggiarmi, di non sfringuellare. Forse questa in fin dei conti è l’origine alla radice del mio approccio. I tuoi testi sono spesso molto letterari, particolarmente con i Bachi da pietra riescono a raccontare spesso delle storie coinvolgendo l’ascoltatore nel loro sviluppo, canzoni come veri e propri racconti. Dai importanza a una

veste narrativa dei brani? Come si è sviluppata questa anima letteraria? Definire letterari dei testi è come definire musicale della musica o cinematografico un film. Tu cosa intendi esattamente? Per qual che penso anche i testi di San Remo sono letterari, anche la tua lista della spesa è letteratura. Quindi lo sono a buon ragione anche i miei testi. Io inseguo a dire il vero sempre un risultato anti-letterario (quindi un tono che abbia il sapore dell’autenticità schietta, anti-lirico, in apparenza spontaneo, veloce e duro, medio-basso, evitando arcaismi di lessico e forma ecc.). Il lavorio per ottenere un simile risultato è letterario. Ma se sentissi puzza di letteratura stantia e dozzinale nei miei testi mi farebbero vomitare. Quindi li controllo molto, li analizzo, scompongo, rimugino a lungo. C’è un sacco di robaccia vetusta nell’italiano medio che te la ritrovi tra i piedi come niente. I miei testi cerco di tenerli puliti. Spesso mi viene attribuita, in positivo o in negato, la qualità dell’astrazione o cose come la “poesia dell’anima”. E’ buffo. Per assurdo se io ficcassi nelle canzoni frasi tipo “Amore mio mi sei nell’anima immensamente”, nessuno farebbe domande circa l’astrazione di questi versi: eppure in quel caso davvero io sarei fumoso, vago, vacuo, astratto e letterario, dozzinalmente letterario. (…Amore in che senso, mio in che senso, nell’anima dove, ecc.). Non è affatto scontato che chi scrive colga la differenza tra i termini astratto e concreto, o semplicemente, pur facendo un mestiere di parola, non dà troppa importanza ai termini che usa. Nel parlato questo accade meno meno ancora. Puoi avere la certezza del fraintendimento come parte fondante dell’atto comunicativo. Ci parliamo come se ci capissimo. Per tornare alla tua domanda (scusa se mi dilungo ma tu scuoti il vespaio..). Mi piace costruire per immagini. Il fatto che queste immagini lascino un margine all’immaginazione di chi le riceve fa parte del gioco della poesia. Ma non sono pigro al punto da lasciar fare

tutto agli altri. E per funzionare il gioco richiede comunque precisione. Non trovi “poesia dell’anima”, nel senso che non ti darò mai il bollettino dei miei stati d’animo, non trovi voli pindarici nei miei testi. Scritti alla mano ci trovi magari accostamenti inusuali o ambiguità grammaticali (con le quali mi piace giocare) ma se prendi gli oggetti sono oggetti umili, concreti, quotidiani, comuni, trovi personaggi concreti che fanno cose o vedono cose, in luoghi precisi, spesso nominati (luoghi non altisonanti), trovi immagini, visioni, sequenze. Cerco di essere chirurgico, preciso. Come si è sviluppata quest’anima letteraria? (Nota: tu chiami anima – termine vacuo - una cosa che per me è una prassi). Vivendo la vita. Cosa ti ha portato ad esprimerti come cantante/chitarrista e non in altre forme artistiche? Non ne ho idea. O forse ne ho troppe, troppo vaghe e non te lo so dire. Come non ho idea precisa del fatto per cui mi ostini anche a ricercare anche altre forme, come la fotografia. In passato il teatro. Spesso sono stufo di me e cerco diversivi. Provo a tradirmi. Lo faccio come posso. Forse troppa gente (a volte succede anche a me) perde l’abitudine a parlare delle cose, musica compresa, con semplicità e immediatezza, pacchi dorati per ogni oggetto, anche per quelli per cui sarebbe sufficiente un foglio di carta del giornale. Per me questo è un difetto che si può riscontrare fin troppo spesso anche nella musica e non solo nelle parole che provano a descriverla. Cosa ne pensi dell’attuale panorama musicale indipendente italiano? Non penso. Agisco. Più info sui Bachi da Pietra su myspace.com/bachidapietra

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Glocals “D’altro canto, almeno dal mio punto di vista, Genova è una città in cui bisogna un po’ scavare per trovare qualcosa, ma che comunque ha quella attitudine da “paesone” che a me piace molto.“ The Big White Rabbit Intervista con Max Sobrero di Cesare Pezzoni

SOLTANTO UN TECNICO? Musicalmente Max The Big White Rabbit Sobrero sta all’intersezione di tante diverse storie genovesi e non solo, e per questo è una voce privilegiata da ascoltare per raccogliere un po’ il senso di quello che è successo, di cosa è andato storto, di cosa bisognerebbe ripetere. La prima volta che ho conosciuto (meglio: intravisto) Max Sobrero, è stato in occasione di un concerto del mio gruppo in quella serata, che a suo modo a Genova ha fatto epoca, chiamata Borderline: una delle prime esperienze locali di rockteca con successo di popolo, giunta al culmine di quegli anni 90 in cui, bene o male, sembrava che, buoni o cattivi, i palchi in cui esibirsi sarebbero stati in ogni caso sempre di più: tesi rapidamente smentita da questa prima decade 2000 che, a fronte di un aumento complessivo della qualità dei prodotti musicali che escono da Genova, e di un complessivo infighettamento della città, ha visto in realtà contrarsi a dismisura il numero di luoghi dove esibirsi. Allora Max era un tecnico del suono. Tecnico di sala come si dice. Aveva un look vagamente darkeggiante e un fare polemico verso certi gruppi, non a torto spessissimo, che fecero sì che me ne ricordassi. L’ho rincontrato un paio di anni fa, a sei o sette di distanza da quella volta, divenuto da tempo ingegnere del suono per uno studio di produzione di musica, principalmente elettronica, seduti alla vecchia Madeleine, bevendo una birra con un amico comune. 28 CMPST #9[02.2009]

Allora aveva un fare dolcemente farneticante ai miei occhi, visto che continuava a parlare male o malissimo di tastiere ed elettronica, benché si trattasse al 90% di ciò che gli dava da mangiare. Sputare nel piatto in cui si mangia, si dice. Fino a che,

coerentemente, ha deciso di non mangiarci nemmeno più in quel piatto. Ed è così che si è liberata la sua anima da folkster: “io amo l’acustico veloce”, diceva. Ma anche lento, a giudicare dagli assaggi che abbiamo del materiale che sta producendo. Penso che questa piccola ricchezza biografica, segnata non tanto dagli eventi memorabili, quanto dalle esperienze autentiche e molto diverse nel mondo della musica, sia il motivo per cui abbiamo motivo di pubblicare questa intervista. Max è una figura di raccordo di tante cose, forse di diverse generazioni di musicisti, ma non solo: di locali, di vita notturna genovese, di scene. Quale è il percorso di Max Sobrero nella musica? Come hai iniziato? Il mio primo contatto con la musica è stato da bambino: mio zio era batterista e possedeva una splendida Sonor degli anni 60 (la batteria che attualmente utilizzo nelle registrazioni). Non arrivavo ancora ai pedali, perciò mi prendeva in braccio e suonava la cassa mentre io con le braccia facevo il re-


Glocals sto. Successivamente ho avuto un percorso simile a quello che hanno avuto tutti, gruppetti di cover, gruppi con materiale proprio e le solite cose. Ci ho messo qualche anno a capire che io non ero proprio tagliato per suonare con un gruppo in pianta stabile ed ho iniziato a lavorare da solo. Ho imparato a suonare chitarra, basso e piano (lo stretto necessario per fare quello che mi serve). In quest’ottica ho anche inizato a registrarmi da solo, un po’ per esigenze economiche, un po’ per il fatto, come ho detto prima, di non riuscire molto ad interfacciarmi con gli altri in fase creativa. In un certo periodo hai privilegiato l’aspetto tecnico e professionale della cosa, cosa ti ha spinto a questo approccio e cosa poi ti ha allontanato? Il fatto di essermi avvicinato alla registrazione domestica in tempi in cui il concetto di home studio a basso costo praticamente non esisteva mi ha costretto ad essere molto “creativo” riguardo ai metodi di lavoro. Inizialmente comprai (ovviamente usato) un Tascam PortalOne, 4 tracce a cassetta, sostituto poi da un Fostex R8 (li possiedo ancora entrambi) e decisi di utilizzare un pc per arrangiare le basi da riversare poi su cassetta aggiungendo chitarra e voce successivamente. Il mio pc era un 486 DX4 con su windows 3.1. per le basi usavo Protracker e Cakewalk Pro (che non aveva ancora le tracce audio). I risultati erano parecchio approssimativi ma ciò mi ha portato, negli anni a cercare sempre nuove soluzioni per ottenere un risultato credibile a “basso costo”. Successivamente studiando sintesi e fisica del suono mi sono sempre più dedicato al lato “tecnico” della musica tralasciando

la composizione. L’idea iniziale era quella di ricavarne un lavoro ma poi col tempo ho nuovamente sentito la necessità di comporre musica (occupazione notoriamente poco remunerativa) e sono di nuovo passato dall’altra parte... ma non del tutto. Chi ti conosce sa che nonostante una vita trascorsa tra le tastiere, hai in te un’anima da folkster. Addirittura direi da pre-war folkster. Come si spiega? Saturazione? Come accennavo prima, per un certo periodo ho cercato di trasformare le mie conoscenze in un lavoro, inizialmente come fonico da live, anche se non è proprio la mia attività preferita. Successivamente ho collaborato con un negozio di strumenti musicali, ed in seguito mi sono dato alla produzione vera e propria. Il problema è che ero finito a produrre house o comunque musica con pesanti influenze elettroniche.. devi sapere che a me i synth piacciono tantissimo a livello tecnico e di “smanettamento” in realtà la musica che ho sempre ascoltato di sintetico ha ben poco e non ho mai amato particolarmente l’elettronica, anzi…tutto il contrario. Per me la creazione di musica è strettamente legata al fatto di avere una chitarra al collo, quindi dovermi forzare a creare qualcosa con strumenti con cui non mi sento a mio agio (a livello compositivo) mi ha portato ad una sorta di saturazione. Quindi un bel giorno ho dato via tutte le macchine elettroniche che possedevo, e mi sono trovato un lavoro “normale”, in modo da poter scindere totalmente il mio lato creativo da quello lavorativo. E per ora direi che sta andando bene.. Anche se conoscendoti può sembrare pa-

radossale il tuo nome è legato alla produzione e soprattutto ad un certo tipo di elettronica. Come è Genova in questo senso? Se intendi l’elettronica pura (House, Thecno, Minimal eccetera) posso dirti davvero poco, nel senso che non la seguo molto, anzi, diciamo che ne ignoro quasi l’esistenza, so che a Genova ci sono diversi team di produzione che lavorano in quel settore e so che alcuni hanno anche un discreto feedback a livello internazionale. Ci sono senz’altro degli ottimi DJ che spesso sono coinvolti in questi team di produzione e che quindi lavorano molto nell’ottica di ciò che fa tendenza a livello mondiale, affidandosi poi a compositori molto validi, producono materiale ad un buon livello professionale. Ci sono poi diverse band che hanno un approccio dal mio punto di vista molto più interessante all’elettronica, nel senso che si affidano ad una struttura ed ad un line-up più tradizionale ma con un massiccio utilizzo di sintetizzatori e produzione elettronica: mi vengono in mente Tarick1, gli Ex-Otago e Rocktone Rebel/Eat The Rabbit, Kramers. Da quel punto di vista secondo me Genova può tranquillamente dire la sua nel panorama italiano e oltre. Sono Band che hanno un sound molto fresco e risultano molto piacevoli a livello di ascolto. Inoltre, integrando strumenti tradizionali riescono ad avere anche un notevole impatto quando si tratta di performance dal vivo. Che ti pare di Zenatron e di questo tipo di approccio? è produttivo? Ero nel team produttivo della prima compilation un paio di anni fa. Ed ha coinciso col mio allontanamento dalla “professione” anche se le due cose non sono strettamen29 CMPST #9[02.2009]


Glocals volume quindi non so dirti se l’esperimento abbia avuto successo o meno.

Max da myspace te legate…o forse si?? Comunque non ho ascoltato il secondo volume. Per quello che ricordo c’era dell’ottimo materiale su quella compilation. Il problema è che secondo me il formato “compilation” ha senso soltanto se lo si propone in un contesto che è ricettivo a questo genere di produzione. Ad esempio le compilation del Buridda nascono da tutta una serie di cose, i concerti, la gente che segue questi concerti e tutta una rete di persone che bene o male si sentono parte integrante della cosa. E’ un po’ come un album di fotografie di momenti condivisi da un gruppo di persone. Nel caso di Zenatron invece si tende ad utilizzare canali di distribuzione tradizionali che quindi rendono la cosa un po’ fine a se stessa. Poi, come ti ripeto, ho abbandonato il progetto prima che uscisse e non ho seguito lo sviluppo del secondo 30 CMPST #9[02.2009]

Il tuo nuovo progetto si chiama The Big White Rabbit. So che c’è anche qualcosa in uscita. Ci vuoi dire di più? The Big White Rabbit è un progetto nato diversi anni fa.. in realtà avevo iniziato a comporre materiale sin da prima di iniziare a produrre musica elettronica. Successivamente il progetto si era arenato, forse anche per i motivi di cui ti ho parlato prima ed è rimasto in stand-by per qualche anno. L’anno scorso, più o meno di questi tempi ho sentito di nuovo l’esigenza di scrivere musica ed ho avuto l’ispirazione a comporre nuovo materiale. Da ciò è nato Slaughterhouse, il primo album pubblicato a nome The Big White Rabbit ed il primo album che pubblico da solo. E quando dico da solo intendo che li dentro non ci ha messo le mani veramente nessuno all’infuori di me. E’ stato registrato in maniera piuttosto radicale, utilizzando soltanto strumenti reali, senza editing e suonando tutte le parti dall’inizio alla fine. Il risultato mi soddisfa parecchio anche se, come ha detto un mio amico sentendolo, si capisce che gli strumenti sono stati suonati tutti dalla stessa persona perché tutte le parti condividono lo stesso tipo di approccio. Quindi sembra che ci sia solo io, ripetuto per cinque volte, chiuso in una stanza con le mie idee. Effettivamente è così.. è un disco molto personale, forse troppo, ma è senz’altro venuto esattamente come lo volevo. Inizialmente il disco doveva essere disponibile gratuitamente su internet, più per mia pigrizia nel trovarmi un etichetta che per altro, successivamente però, tramite un amico che ha creduto nel progetto (Diego Banchero) sono entrato in contatto

con una piccola etichetta di Andria, in Puglia, che ha deciso di stampare un’edizione limitata del lavoro. Il disco dovrebbe uscire entro la fine dell’anno o nei primi mesi dell’anno prossimo. Non mi ispiro a qualcuno in particolare anche se in slaughterhouse si possono trovare riferimenti a tutta la musica che ho amato di più in questi anni: Pixies, Tom Waits, Nick Cave, David Bowie, Violent Femmes, Talking Heads. Vedremo mai The Big White Rabbit dal vivo? Probabilmente no, sto lavorando con amici di altre band Genovesi ad un live di presentazione del cd ma oltre a quello non penso di fare altri concerti nell’immediato. Il motivo principale è che non amo molto suonare dal vivo. Sono abituato alle tempistiche dello studio, dove generalmente si ha tutto il tempo di riflettere sulle cose che si stanno facendo e di prendersela con calma. Dal vivo le cose sono molto più frenetiche e ci sono dei ritmi che non mi si addicono moltissimo. Magari dopo il concerto di presentazione cambierò idea… Chissà. Tutta questa tua dualità elettronica-folk ha un corrispettivo nella classica dicotomia digitale-analogico. Tu che sei stato uno di quelli che a Genova ha cavalcato il digitale ora ti trovi a percuotere cordofoni. Pensi sia un percorso personale o sia legato più ad una controtendenza generale? Dopo tutto anche negli stati uniti un certo tipo di folk ha visto una rinascita recente… Per quanto mi riguarda è un percorso puramente personale.. ho notato anch’io però che non sono stato il solo ad averlo. Penso stia accadendo un po’ quello che è suc-


cesso negli anni 80. Inizialmente c’era grande entusiasmo per tutto ciò che le nuove tecnologie potevano fare per la musica; in quegli anni erano usciti I primi sintetizzatori a basso costo (DX7, Juno e simili) e le prime Drum Machine (TR808, 909, Lynn Drum) e ciò consentiva di esplorare nuovi percorsi creativi. Successivamente però ci si è stancati di quei suoni e si è tornati agli strumenti tradizionali. Generando poi negli anni 90 correnti musicali che hanno pesantemente influenzato tutta la musica a venire. Dalla Fine degli anni 90 con l’abbattimento dei costi per la registrazione domestica e l’avvento di computer sempre più potenti e di software sempre più creativi, molta gente ha scoperto un nuovo approccio alla musica basato sugli strumenti e sull’effettistica virtuale. Ora probabilmente attraverseremo una nuova fase di ritorno alle radici che però porterà in dote la nostra esperienza con le nuove possibilità date dall’era digitale. E’ più o meno il concetto di ciclicità della storia che si riflette anche nell’evoluzione della musica. Da quando sei passato dall’altro lato del mixer ti si vede molto più spesso ai concerti, che ti pare della situazione genovese a livello musicale-qualitativo? Si, è vero ho riscoperto il gusto di andare ad un concerto senza dover necessariamente preoccuparmi dei suoi aspetti tecnici. A Genova, e a quanto ho capito non lo penso solo io, c’è una delle migliori scene musicali d’Italia. Il livello qualitativo è in genere piuttosto alto e ci sono delle realtà musicali che meritano decisamente di essere ascoltate. Mi vengono in mente (in ordine sparso) 2 Novembre, Vanessa Van Basten, Stalker, Temple of Deimos, Cartavetro (non

perché mi stai intervistando), Blown Paper Bags. Per motivi tuoi sei spesso anche a Milano, la situazione è davvero così diversa? Cosa ci manca? Si, sono a Milano tutti i fine settimana ma non sono un gran frequentatore della scena musicale milanese. Per quello che ho visto la differenza sostanziale tra Milano e Genova sta nel fatto che loro hanno davvero molta scelta in termini di locali. Secondo me dipendere principalmente dalle dimensioni e dalla conformazione della città, decisamente diversa da Genova. Lì puoi avere un locale per ogni tipologia di pubblico e questo secondo me fa tanto. In più c’è il fatto che da noi si tende, a livello imprenditoriale, a preferire soluzioni aggregative più generaliste, come le discoteche e i disco pub, piuttosto che cercare di creare qualcosa in cui si possano esibire delle band. Capita spesso infatti che i nostri gruppi vadano ad esibirsi in locali dell’entroterra o della riviera piuttosto che in centro. Nasce così un problema di frequentazione: solo chi è realmente interessato si muove sino a Murta o Ronco Scrivia e quindi manca tutto il pubblico occasionale che secondo me in una città come Milano è quello che fa la differenza. Non è da trascurare il fatto che l’amministrazione comunale non ci ha sicuramente aiutati con le muove leggi sulla sicurezza che impongono la chiusura dei locali all’una ed in generale sembrano voler scoraggiare le persone dall’uscire la sera. Qual è la percezione di Genova che si ha fuori? Anche se essendo spesso a Milano mi

Glocals “A Genova, e a quanto ho capito non lo penso solo io, c’è una delle migliori scene musicali d’Italia. Il livello qualitativo è in genere piuttosto alto e ci sono delle realtà musicali che meritano decisamente di essere ascoltate.“ capita di vedere la ma città “da fuori” è difficile per me essere obbiettivo. Mi è capitato parlando con persone di altre città, di raccogliere le loro impressioni. Generalmente viene vista come una città molto bella geograficamente ed architettonicamente ma “pericolosa”.. conosco gente di Milano terrorizzata all’idea di ritrovarsi di notte nei vicoli. Inoltre lamentano tutti il fatto che ci sia poca vita notturna e in generale poche cose da fare. Da un lato può essere vero, soprattutto negli ultimi anni da quando locali simbolo della città hanno chiuso (Fitz, Panteka) o hanno cambiato target verso una clientela più “selezionata” (Madeleine). D’altro canto, almeno dal mio punto di vista, Genova è una città in cui bisogna un po’ scavare per trovare qualcosa, ma che comunque ha quella attitudine da “paesone” che a me piace molto. Da un punto di vista più romantico, a me non dispiace il fatto che alla fine siamo sempre gli stessi e che ad un concerto di solito ci si conosce tutti per nome e cognome. Capisco però che da un lato economico ciò possa essere poco incoraggiante.

Più info s ulle at tività di Max s u w w w. m y s p a c e . c o m / s l a u g hte r h o u 5 e 31 CMPST #9[02.2009]


Esperimenti “Devi farti delle domande, come potro’ far “vedere” quello che sta nella mia testa a chi ascolta?“

Vic Larsen / Dietotezeit / Rosas y Tulipanes Intervista con Luca Pagani di Davide Cedolin

GIUSTO E SVEGLIO Ciao Luca come stai? Molto bene, sto vivendo uno strano momento di pace, che non vuol dire per forza di tranquillità o non sofferenza. Ma, mi sento giusto, e sveglio.

Ti conosco da una decina di anni più o meno, è la cosa che mi ha sempre intrigato di te è la capacità a metterti in discussione su più fronti: artisticamente parlando hai sempre seguito un certo percorso musicale che ti ha portato ad avere esperienze in band come Dietotezeit (ho ancora una vecchia cassetta che mi avevi dato!) e Viclarsen, ma in parallelo hai comunque sviluppato progettualità legate a matrici sonore meno convenzionali, dal field recording contemporaneo, all’impro radicale, oltre che ad un’attenzione particolare per le contaminazioni tra arte sonora ed arte visiva, senza trascurare quella letteraria... Ti va di parlarci di quanto ed in che modo queste attività creative si muovono nella tua vita? 32 CMPST #9[02.2009]

Non mi è mai interessata la specializzazione. Forse in questo hanno avuto molto peso l’ascolto e la lettura biografica di musicisti come Miles Davis o Charles Mingus o Velvet Underground, persone interessate a moltissime cose della vita. Persone che si dedicavano allo stesso modo alla musica, alla pittura, alle donne, al cinema, alla droga. Mi piacciono le sorprese, le invenzioni, piu’ che le cose che risultano al primo impatto perfette. Certo, non posso sicuramente dire che il mio percorso sia stato facile, parli con il gallerista, e non sa niente di musica, parli con l’organizzatore di concerti e ti chiede cos’è il field recording, parli con il professore universitario e non capisce come mai suonavi punk. Comunque, sono riuscito ad incontrare in questo modo grandi persone con le quali ho parlato di idee, suggestioni, progetti. Ho camminato su un filo teso con sotto il vuoto, ma tutto questo confronto con tutti continua a lasciarmi ispirazioni e metodi per quello che voglio fare. Non ti capita di suonare e di pensare alle immagini di un libro? Credo che in moltissimi ab-

biamo questo tipo di suggestioni. Ti ho sempre dato il grande merito di avermi introdotto al post-rock in un momento ben differente da ora, c’erano ancora i GYBE!, i June of ‘44, The For Carnation... Al tempo ero veramente plasmabile e molti gusti sono cambiati nella mia vita, ma il legame con questo tipo di sonorità sentivo che non si sarebbe esaurito nè tanto meno affievolito e così è stato, anzi, se qualcuno oggi mi chiedesse quale panorama musicale degli anni ‘90 ti ha maggiormente influenzato, non avrei dubbi a parlare di post-rock o comunque di scene/situazioni affini/vicine, come quella di Chicago o Louisville. Che opinione hai nel 2009 a riguardo di come si sono evolute le cose? Eravamo alla ricerca di un nuovo modo di ascoltare e suonare il rock. Eravamo tutti molto interessati alla musica americana di quel periodo, che sembrava fresca, sincera, dai toni molto vari, malinconica, allegra, assurda, iperrazionale. Mi piaceva perché era data grande importanza alla composizione dei brani, sembrava musica studiata ma sensibile, e ogni strumento diceva davvero la sua. C’era spazio per ogni tipo di stile. Nello stesso disco ascoltavi, funk, free jazz, punk o musica da camera. Pote-


Esperimenti vi ascoltare un solo di batteria senza romperti i coglioni. Fu questo il cambiamento. Inoltre ero affascinato da alcune registrazioni, tipo June of 44, dove dove il suono aveva qualcosa di mistico e reale insieme, dove si “ascolta” davvero una stanza. E poi quelle storie di navi e marinai.. Oggi, in effetti, sembra che molti suonino con quelle influenze, specie a Genova e in Liguria. Lo trovo molto bello, infatti c’è davvero musica bella, come i Dresda, o - perdonami - Japanese Gum. Siete molto piu’ efficenti di come eravamo noi, con le idee piu’ chiare. Quando iniziai col primo cd di Viclarsen, c’era grande interesse e facilità di suonare in giro per l’Italia, forse, nonostante tutto è una cosa che non si è mai spenta. Siete solo capitati nel gran casino della quasi scomparsa del cd, della sua vendita. Restringendo il campo alla Liguria ed in particolar modo alle province di Savona e Genova, in questi anni hai mai avuto l’impressione che le cose si sarebbero potute muovere in maniera netta verso postrockismi vari? Band che hai visto nascere, crescere, morire, rinascere? A me oggi fa colpo trovare ancora, tipo nelle bacheche in università, annunci del tipo “gruppo postrock cerca batterista. gruppi di riferimento Mogwai, Tortoise, etc... Forse vuol dire che anche se a scoppio ritardato, certe band hanno lasciato il segno davvero... Penso proprio di si, il resto delle band (metal, rock classico, reggae) mi sembrano quasi in minoranza. Ho visto tanti ragazzi interessati alla musica, all’espressione, iniziare a suonare, impaurirsi, e andare avanti. Alcuni di loro, mi chiedevano, secondo te come si fa a fare quel brano o suonare in quel modo. Avevo sempre voglia di dirgli, ma fai quello che vuoi! Infatti, putroppo ci sono anche molte band con ottima strumentazione, che tecnicamente suona-

“Non vedo sinceramente anche molto rispetto generale per l’espressione e la cultura, anzi.“

Luca - ph.Seby Rossi no bene, ma poi? Non capisco davvero come mai tutte le volte che imparano un po’ di tecnica in piu’, devono mettersi a suonare delle cagate. La tecnica e lo studio devono avere degli obiettivi di massima, riuscire a rappresentare qualcosa che abbia senso, in un determinato momento o spazio (cd, live). Devi farti delle domande, come potro’ far “vedere” quello che sta nella mia testa a chi ascolta? Restando sempre in ambito locale, come pensi si stiano muovendo le file oggi? Dimmi una cosa che ti piace ed una che non puoi sopportare della situazione musicale ligure...

Ah, opss, associo questa risposta a quella sopra. In giro si narra di Genova come fulcro di un qualcosa che bolle e ribolle ma che non prende mai forma a livello [inter]nazionale. Come dire un eterno bruco in fase di metamorfosi... Molte volte, suonando soprattutto ai festivals, mi viene da pensare se le persone abbiano davvero voglia di incontrarsi. Nel senso, voglia di combinare qualcosa, ci scambiamo le liste dei locali, delle etichette, etc. E’ ancora così? Non credo. Non vedo sinceramente anche molto rispetto generale per l’espressione 33 CMPST #9[02.2009]


Esperimenti “Avevo sempre voglia di dirgli, ma fai quello che vuoi!“ e la cultura, anzi. L’altro giorno mi guardavano storto perché leggevo un libro, secondo loro, strano. Col tempo ti si affina la vista e la mente sui particolari delle cose. Non capisco piu’ questo modo di vivere con l’equivalenza sincerita’/maleducazione. Questa voglia di rompere i coglioni sempre, questo menefreghismo, tutto alla ricerca di una falsa sincerità, la sincerità della maleducazione. Al momento a cosa ti stai dedicando? Al momento ho quasi finito i montaggi di L’empire des signes. A proposito: mi hai accennato alla tua recente esperienza in Giappone, passandomi il tuo diario video-sonoro... Ti va di raccontarci qualcosa nel dettaglio? L’empire des signes è il risultato del mio viaggio in Giappone. Un progetto che volevo realizzare da tanto tempo, storie minimali di field recordings, immagini statiche, ispirandomi a L’impero dei segni di Roland Barthes e Ore giapponesi di Fosco Maraini, due libri sul Giappone. A Tokyo, Kyoto e Nara, si sono materializzate le immagini e i suoni di un paese dove la tua attenzione per le cose dovrebbe sempre essere massima. C’è una bellezza sconvolgente. Pieno di scenari misteriosi, apocalittici, comici, e niente sembra a caso. Camminando, ad un certo punto, si fa scoprire davanti a te la storia di un animale, di un luogo e, se ti volti, tutto è improvvisamente cambiato da quando ci sei arrivato, la luce, il paesaggio, i suoni, l’aria. Neisecoli,lanaturael’uomo,hannopartecipato con attenzione e studio continuo alla costruzione di un mondo di segni. Un mondo da leggere continuamente, con divertimento e costanza. Un mondo sempre asimmetrico, e quasi senza dio, o almeno con un dio di cui è facile ridere. Non è mai facile capire, in Giappone, se tutto avviene per caso, oppure è il risultato di un 34 CMPST #9[02.2009]

grande impegno. Forse non esiste veramente distinzione tra le due cose. Il suono di un treno che sembra riprendere il canto di un bambino, i corvi che all’improvviso sembrano parlare, il suono dei semafori è quello di uccellini, un sutra buddista incontra il suono di un aereo, lontano, chissadove, inizia una musica gagaku. Bikkirishita. Quanto pensi sia importante un link tra le varie espressioni artistiche a livello progettuale e performativo? Per me ovviamente è fondamentale, lavorare a teatro, con la musica o fare una mostra. Penso che sia una grande risorsa, poter parlare di Samuel Beckett, Marcel Duchamp o Bartok. Spesso ti viene in mente, ma se in quella pièce teatrale c’è quello spunto, quella tensione, quell’idea, quell’improvviso cambiamento di stanza, vuoi vedere che posso renderlo in musica? Molte volte, incredibilmente, a teatro si parla di musica, ad un concerto di teatro. Come adesso che ho scoperto L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, del 1958, dove un tizio registra tutta la sua vita su nastro. Spesso parlando con chi fa teatro, ad esempio, mi è capitato che mi facesse delle domande sul suono e la musica, che mi hanno fatto riflettere e capire. Domande e risposte che prima davo per scontate. Che rapporto hai con la politica? Mi interessa la politica. Leggo e ascolto di politica. Dovrebbe essere l’ambito dove nascono le idee sul nostro futuro, sul futuro della nostra vita insieme. Invece, no. Ad esempio, ascoltando il parlamento, si nota subito che è una fabbrica di leggi. Non di idee. L’Italia è mal messa, perché niente è assolutamente certo e, quindi, la furbizia è sempre in qualche modo auspicata e premiata. Non si tratta di coerenza, si tratta di un minimo di certezza delle cose, che serve a noi sfigati di non prendercela sempre in quel posto. Quello che si dice, il diritto. Questa melma italiana viene spesso giustificata perché

l’Italia sia il paese della libertà. Questa è una grande stronzata. Io non sono libero di studiare, sacrificarmi, spendere soldi, se davanti a me non c’è futuro, ad esempio. In Italia tutti i tuoi diritti cambiano e anzi si riducono continuamente, così il piu’ forte economicamente e/o mafiosamente, sarà sempre davanti a te. Vorrei vivere un mondo molto diverso, dove ognuno è attento a piccole cose, a non distruggere la natura, gli animali, gli altri. Mi piace chi si impegna per qualcosa, chi continuamente cambia strada per capire e capirsi. Ti ringrazio per l’intervista, concludi come preferisci.... Sono alla ricerca di spazi per L’empire des signes, luoghi d’arte, gallerie, etc.

l i s te nto c y.c o m / e m p i re d e s s i gnes.htm (per ascolti e immagini “L’empire des signes”) listentocy.com myspace.com/paganiluca


Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Dal punto di vista discografico il 2009 sta iniziano che è una meraviglia, qualitativamente parlando, alla facciaccia della crisi. *che palle questo, di nuovo con la crisi* Diamine, se lo ripetono ogni cinque minuti i telegiornali nazionali non posso ripeterlo anch’io ogni due mesi che c’è la crisi? Sapete cosa farà finire la crisi almeno per una settimana? Sanremo! Non ditemi che vi siete dimenticati che fra meno di un mese inizierà il festival che tutti odiano ma che poi si finisce sempre per sapere cosa è successo sopra e dietro al palco, un po’ come sapete che al Grande fratello quest’anno ci sono una tizia con delle tette enormi, uno slavo e un cieco, proprio come nella migliore tradizione della barzelletta italiana. Sanremo va ad aggiungersi a quella che è oggi la musica sulla televisione italiana (correggetemi pure nella seguente elencazione e fatevi i conti da voi sull’esito finale, mio malgrado non dispenso verità assolute): 1- X-factor, ossia dei tizi che cantano, lo guarda il mio coinquilino ma io non ho idea di cosa succeda a parte delle voci strazianti e un gruppo di mariachi che però non canta “Cielito lindo”. 2- Scalo qualcosa, visto cinque minuti questo sabato, parlavano di Gianni Morandi, ho cambiato canale. 3- Un programma “meraviglioso” che ho scoperto grazie a “Blob” in cui han girato il video di “Anima mia”, canzone che rispunta fuori ogni volta che in Rai non hanno un’idea. I Cugini di campagna devono

tenerli ibernati da qualche parte in sede. 4- MTV, che è come pestare uno che caga. 5- Fabio Fazio che saccheggia De Andrè con un po’ di cantanti (e non solo) complici realizzando uno show in prima serata per una persona che gli show in prima serata li odiava e anche parecchio. Sinceramente non mi vengono in mente altri programmi musicali, o presunti tali, ma il fatto è che almeno in seconda serata fino a qualche anno fa davano speciali sui cantautori, sui gruppi anni ’70, concerti jazz quando a Rai2 era permesse bere copiosamente sul posto di lavoro. Ora abbiamo questo, e sinceramente Sanremo potrebbe solo alzare il livello, o aumentare il macabro divertimento. Myspace Voyager di Paolo Sala F. Lunaire (The Disappearers) Not There - United Kingdom http://www.myspace.com/rathersurreal Fra i top friends del mio Myspace c’è un’icona che si sta dissolvendo. Fino a qualche mese fa quello spazio era occupato di volta in volta da diversi ritratti in bianco e nero di un giovane artista, calato in un mondo surreale e decisamente sinistro, popolato di fantasmi e strana vegetazione; ora al posto di questi ritratti c’è una sorta di nebbia lattiginosa, dalla quale si distinguono appena i sembianti di una persona, che urla nell’atto di scomparire nel nulla: questa persona, si intuisce, è l’artista di cui sopra. Il suo nome è, o meglio, era F. Lunaire; ora infatti non è altro che uno dei disappearers, coloro che scompaiono. Cliccando sull’icona si capisce come il processo di sparizione sia in realtà a uno stadio già molto avanzato. Sulla pagina si legge infatti: “Hi everyone,

F. Lunaire is dead, Long live F. Lunaire.” Florian Tanant, pianista, cantante e incredibile songwriter dalle origini che non sono riuscito a indagare, forse francesi, ma vivente a Londra e operante in quel circuito, dopo un EP a dir poco strepitoso uscito per la Stiff Records, “The Mondestrunken EP”, facilmente recuperabile su I-Tunes, ha deciso di non voler essere più F. Lunaire, per una serie di ragioni che spiega nel suo blog disappearers.com; però a me questo fatto proprio non va giù. Tutte le mattine mi collego a Myspace e controllo quell’icona, nel timore di trovarla un po’ più sbiadita, o di non trovarla più del tutto. Ma fintanto che resta, il mio invito e di precipitarvi ad ascoltare i pochi upload che “il fu F.Lunaire” ci ha lasciato sul suo player. Anche se a dire la verità il mio consiglio è di acquistare l’EP, per meno di 5 �, su I-Tunes. Verrete a contatto con un pop d’autore tagliente e abrasivo, impregnato di umor nero, lunare e lunatico, solidamente sorretto da riverberanti progressioni di accordi di pianoforte a coda, prodotto in modo asciutto ed essenziale, con basso e batteria che pulsano a pochi centimetri dell’orecchio e una chitarra che stride e frigge, ridotta quasi a ronzio disturbante. Ascolterete una voce rauca, quasi un rantolo malvagio, che interpreta melodie ostinatamente orizzontali (Tarantella for Your Tarantism) con testi feroci (The System of Objects) e onirici (Quantum Physics in the Sink), sempre pervasi da uno spleen apocalittico da fine del mondo. Infine, se il personaggio vi appassiona (a me appassiona moltissimo, l’avrete capito), vi consiglio di digitare “F. Lunaire” sul motore di ricerca di Youtube e di visionare i seguenti clip live: Josephine, La Lune, e le ICA Quiet Nights Sessions. Dopodiché ne riparliamo, e vediamo se sono solo io a essere dispiaciuto per il suo prematuro, spero temporaneo, ritiro dalla scene. 35 CMPST #9[02.2009]


Columns Sempre Combatte Con Le Ciabatte di Giacomo Bagni Lupo era un piccolo cane isterico che, nonostante la sua insolita amizia con il placido Hippo(potamo), passava le giornate ad abbaiare solitario, lamentandosi e insultando tutto e tutti. Si lamentava degli animali con troppe zampe e di quelli che non avevano abbastanza, inveiva in ugual modo contro ricchi, poveri e medioborghesi (era, a suo tempo, stato un fervente comunista, di quelli che odiano i padroni perché ontologicamente cattivi, i poveri cristi perché non si ribellano e i compagni perché non hanno capito niente di Marx: uno scissionista solitario insomma). Un bel giorno, dopo essersi ben riscaldato con una facile invettiva contro i giovani, decise di mettere a punto il mugugno ultimo, quello che gli avrebbe garantito di sbaragliare definitivamente la concorrenza al prossimo raduno dei L.I. (Lamentatori Insultanti), diventando cosi il più grande di tutti i tempi in questa difficile arte. Era un’operazione pericolosissima, che nemmeno Cornuto il triceratopo era riuscito, qualche era geologica prima, a portare a compimento, finendo addirittura per perdere la vita. E Cornuto era stato l’inventore del lamento professionistico. Lupo fece i gargarismi di rito e, deciso a farcela, diede inizio alla sua impresa più difficile: il M.I.O. (Massimo Insulto Onanistico), consistente nel piazzarsi davanti ad uno specchio ed ‘insultarsi violemente gesticolando con una mano, mentre l’altra deve rimanere impegnata nel massimo atto di amore verso se stessi. Amarsi e odiarsi contemporaneamente. Quasi impossibile anche per un consumato campione come Lupo. Tanto più che il M.I.O richiede anche un certo tempismo, potendosi considerare riuscito solo quando, al terminare dell’invettiva gesticolante (della durata minima di 15 minuti), corrisponde esattamente il “momento finale” dell’amore autoinflitto. Dieci minuti dopo averlo abbandonato nei pre36 CMPST #9[02.2009]

parati del tentativo Hippo(potamo), che era rimasto in zona per precauzione, senti un latrato angoscianteproveniredallacasadelsuoamico. Trovò Lupo riverso a terra e tremante, non si è mai capito se di piacere o di dolore. Lo aiutò a mangiare qualcosa per riprendersi e se ne andò, straziata dalla vista del suo ormai apatico amico. Ripresosi fisicamente Lupo non parlò mai più e si fece assumere come cameriere alla mensa dei Poveri Animali. Ad oggi nessuno sa cosa sia successo in quel bagno. Morale: meno pippe e mugugni, fanno male. This Ain’t No BBQ di Anna Positano Eccomi arrivata a Londra. Ho una bella casa, ancora non un lavoro ma ci sto provando, il College è qualcosa di INCREDIBILE, il quartiere in cui vivo, Hackney E5, è old school e mi piace tantissimo. A dicembre 2008 sono venuti a suonare i Cleckhuddersfax (o Clecky, come dicono qui) ed è stato un altro bel regalo firmato dall’ass. Disorder Drama: la casa in cui vivo appartiene al loro batterista e ai suoi fratelli. Non avendo idea di come funzionasse qui, temevo che le mie serate sarebbero state solitarie e con la pancia piena di tristi noodles precotti in monoporzione. E che nel giro di una settimana, a furia di cibo di merda, sarei diventata una mucca bulimica. Invece. I coinquilini e i loro amici, tutti vegetariani/vegani, mangiano super-sano. Anzi: mangiAMO supersano, insieme. Si prepara insieme. Non avrei potuto sperare di meglio. Il coinquilino giovane, che ha una band metallara chiamata Monkey Dungeon, stasera mi ha consigliato una colazione (presumibilmente domenicale) del tutto distruttiva per il fegato. Noi-casaParkin non mangiamo così, ma volevo rispettare lo stereotipo con cui leggiamo la cucina inglese. Per cui via col FRY-UP nella versione vegetariana (1 porzione) 2 uova 1 pomodoro un po’ di funghi (non chiedete quali, qui

hanno solo quelli piccoli bianchi che sembrano uova sode) 1/2 scatola di baked beans (si trovano al supermercato, son fagioli in salsa di pomodoro) 1 patata 1 cipolla Vi ricordo che è una colazione. Tutti gli ingredienti vanno fritti (a senso friggerei per ultime le uova, perché fredde non sono il massimo) a parte i fagioli, che vanno scaldati in un pentolino senza bollire. Il pomodoro va tagliato a metà e fritto da entrambi i lati. I funghi affettati passati nella stessa padella. La patata e la cipolla vanno grattuggiate crude tipo julienne per fare una cosa chiamata hash browns: bisogna asciugare molto bene tutta l’acqua prima di mettere nella padella tipo frittata (solo cipolla e patata). Le uova fritte, all’occhio di bue, sapete come si fanno. Mettete tutto nello stesso piatto e servite con un po’ di “HB brown sauce” (così mi hanno detto di scrivere. Mi sa che è una roba tipo mostarda di frutta ma orrenda come il marmite). Parte della comunità italiana da me frequentata è composta da Guglielmo (KC Milian), Saretti, Marco (To the Ansaphone) e la Fotografa Filippina. Con Saretti, il coinquilino giovane e alcuni Clecky lunedì 26.01 siamo andati a sentire i GI Joe e gli Hiroshima Rocks Around. Ci ho sballato. Al Cinema con Hipurforderai Il cinema è e deve essere prima di tutto intrattenimento, e il cinema d’intrattenimento per definizione (mia) è quello d’azione, genere cinematografico che s’è modificato più volte nel corso degli anni. Hipurforderai non pensa di dover stare a spiegare quanto fosse bello il cinema d’azione tra gli anni ’80 e ’90, l’età dell’oro per sparatorie, battute da duri, sbarbe in pericolo ed esplosioni. Diciamo che quella che segue è una riflessione sui contenuti delle


Columns pellicole attuali. Qualche mese fa è uscito il remake di “Death race”, e data la presenza di Jason Statham (“Crank!”, a proposito, è il miglior film d’azione degli ultimi anni, quindi garanzia di qualità) come protagonista sono corso a vederlo. Sono rimasto interdetto, non solo per l’affetto che provo per l’originale, ma per come il remake sia molto meno coraggioso, un’accozzaglia tra il maranza e il politicamente corretto. In “Death race 2000” del 1975, al di la della presenza di attori come David Corradine e un giovanissimo Stallonz Stallone, si raccontava di questa gara che si svolgeva senza nessun apprezzabile motivo in cui dei carri da carnevale (hanno un che di patetico effettivamente le “macchine della morte” a guardarle oggi) attraversavano gli stati uniti massacrando qualsiasi civile trovassero sul loro percorso. Le figure femminili del film, non solo erano delle gran sgnacchere, ma stavano sempre mezze nude, se non completamente nude per tutta la pellicola. Il tutto si muoveva in un’ottica totalmente immorale, ultraviolenta e incredibilmente divertente. Nel 1975. Nel nuovo “Death race” la corsa si svolge in un carcere, il premio in palio è la possibilità di uscire dalla galera, a crepare in modi assurdi (ma neanche troppo) sono solo i carcerati, di sbarbe non se ne vedono, o meglio quelle che si vedono sono più vestite di un esquimese e la trama è la solita stronzata col direttore (o meglio direttrice) del carcere cattivo. Confrontando le due pellicole ci si rende quindi conto che il cinema d’azione attuale si è trasformato in un’accozzaglia tamarra senza capo ne coda, privo di coraggio e ancora di più di fantasia - mannaggia agli effetti speciali (il già citato “Crank!” è una delle rare eccezioni). Ahimè non resta che accontentarsi, e magari andarsi a ripescare i vecchi classici. Detto questo vi sconsiglio caldamente di andare a vedere “The strangers”, perché è uno pseudo-horror talmente cagoso che

dopo un minuto è lo stesso regista a rivelare il finale, nel caso a qualcuno venisse il dubbio se alzarsi o meno e andarsene. Tra i film in sala l’unica decente che m’è capitato di guardare ultimamente è lo svedese “Lasciami entrare”, non un capolavoro ma un bel film, sempre se avete voglia di vedere un film sui vampiri talmente lento che al confronto una puntata di “Protestantesimo” sembra “Point break”. Non Sono Un Poeta di El Pelandro Ieri era guardarsi in faccia. Pugni o sorrisi. A d e s s o c ’è i l 2 . 0 . Oggi è una figata di merda. Screamazenica di Simone Madrau Screamazenica a sto giro non è di parola: niente Faccialibro. In compenso, oltre all’ormai consueto spazio Gonzo Dresda, ecco la rivincita di MySpace per bocca del suo paladino Tristan (un grazie al nostro Giulio ‘Intortetor’ Olivieri per la segnalazione). GONZO DRESDA Certo che un hamburger senza cipolle è come scopare... (pausa di evidente incertezza, pochi secondi che sembrano eterni) ...senza scopare! (Marco Dresda aka Naso, in quel del Checkmate, cercando di far notare la differenza tra il suo hamburger e quello del nostro Hipurforderai) Quando la gente muore io rido a stecca. (Daniel Dresda) SPECIALE TRISTAN ° X(FACTOR)-FILES (seguite i resoconti di Tristan sulla nuova edizione di X-Factor ogni lunedì sera sulla bacheca di MySpace - dopo ovviamente averlo ag-

giunto: www.myspace.com/ninodangerous) Ma cosa sono i Bastard Sons Of Dioniso??? Li avevo sottovalutati, lo ammetto. I QOTSA della valsugana! I Bastard fuori gara. Sono dei cani, perciò li amo. Ma fuori gara. Però li amo. Morgan non è più antipatico??? Che è successo?? Gioca col suo personaggio con più confidenza, e comunque fosse ancora fastidioso come lui solo sa, nel confronto con una cocainomane e una mestierante per forza ne deve uscire bene: lui è un musico, canta di merda e non ha mai scritto niente di memorabile, ma suona da dio e ha una sensibilità musicale vera. Peccato fosse insopportabile. Non so cosa sia successo ma, per ora, son d’accordo con tutto ciò che ha detto. Chi l’avrebbe mai detto che quel figliodipooh di Digeifrancesco sapeva fare qualcosa? Certo, a leggere da un gobbo quattro cazzate non ci vuole molto, ma è bravo: è nato il Pippobaudo dei 2000. Lei si gioca Roxanne, e si vede che sono anni di pub di provincia ma convince, lui i Negramaro. Li massacrerebbe, non fosse che forse massacrare i Negramaro è una litote, e vorrei mai ne uscisse un complimento. Poi acappella lei convince con Skunk Anansie, dev’essere la sua canzone del quore, si vede che c’è cresciuta, lui.. Biagio Antonacci??? Dev’essere la sua canzone del cuore e devono morire sia lui che Biagio. E ora quella nota espertona di musica di Simona ‘bonza’ Ventura sta eliminando Elisa: vergogna!!! Da segnalare l’ammutinamento del pubblico, che già aveva fischiato la nomination di Elisa alla fine della prima manche e ora per poco non uccideva la maledetta deficiente. Peccato (per l’eliminazione ma anche e sopratutto perchè non l’hanno uccisa, la bonzainomane). Questa recita dell’idea di rock deve finire, chi è rock lo sia, e chi lo fa come fosse un genere e non modo di essere e vivere si fotta. Ah, podio finale: 1) Bastard Sons Of Dioniso 2) Noemi 3) Daniele per essere obiettivi - ma Matteo perchè si fotta, l’obiettività. 37 CMPST #9[02.2009]


Comics

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Woolverine Un debutto per Guido e le sue avventure.


Arte

Alberto Valgimigli Di sè dice:“Non mi conosco affatto......Propendo per visualizzare i miei stati d’animo....Fisso Atmosfere.” E tra dipinti, illustrazioni e collage, il nostro ci mette del suo per creare un mondo psichedelicamente attivo, visionario e unico. Già citato nell’intervista con Glasnost, nonchè pubblicato da Grrrzetic in “Reperto 24”, è anche musicista, oggi in forze ai Contesti Scomodi. Dice niente “La Teoria Del Frigo Vuoto?” w w w.a l b e r tova l g i m i g l i . i t w w w. m y s p a c e.c o m / a l b e r t ova l g i w w w.f l i c k r.c o m / p h oto s a l b e r tova l g y w w w. my s p a c e.c o m / m i koto l a n d w w w.mys pace.com/contesti scomodii

39 CMPST #9[02.2009]



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