in Copertina Intervista a Carlo Petti di Dario Colombo di Chiara Lupi
Quando il lavoro collaborativo diventa motore di innovazione
U
scire dal perimetro della gestione documentale e ragionare in ottica di reingegnerizzazione dei processi collaborativi. Un approccio un po’ ‘visionary’ – così come gli americani intendono il termine
– per un’azienda che quando è nata, nel 1995, aveva un nome che già la proiettava nel futuro: DocFlow. Allora il workflow, la gestione dei flussi documentali così come la intendiamo oggi, era ancora lontano. Ma il mercato si è andato affermando nella direzione esatta che il fondatore e Presidente dell’azienda Carlo Petti, che intervistiamo in queste pagine, aveva disegnato. Mi piacerebbe se raccontasse cos’è l’azienda, oggi, ai nostri lettori… DocFlow, più che un’azienda, è un nucleo di innovazione il cui focus è l’ottimizzazione dei processi collaborativi. Siamo 50 professionisti totalmente dedicati a questa attività e questo fa di noi uno dei più significativi competence center su scala nazionale e, probabilmente, su scala europea. L’innovazione di cui siamo portatori è anche il frutto del confronto con i nostri clienti, la maggior parte dei quali medie e grandi aziende, con una forte propensione alla sperimentazione e all’innovazione. Innovare in tempo di crisi non è facile... La crisi che ci ha travolto, una crisi prima finanziaria e poi economica, ha avuto come primo impatto una pesante riduzione di tutti i budget destinati all’innovazione. Nel nostro Paese non siamo molto bravi a ridurre i costi fissi mentre i costi variabili vengono tranciati di netto. E tra questi rientrano le spese dedicate all’innovazione. Quindi? Quindi succede che nella maggior parte delle imprese i budget informatici vengono impegnati per la gestione delle attività correnti. Ci si occupa della gestione e si tralascia lo sviluppo. Oltretutto, non va trascurato il fatto che la crisi finanziaria, che poi è diventata crisi economica, si è innestata in una lunga fase di crisi del settore informatico la cui origine è probabilmente da ricercare negli investimenti in tecnologie troppo spesso non finalizzati ai risultati. Una situazione drammatica dal punto di vista finanziario ma ancor più grave per la percezione generata negli utenti e nelle direzioni aziendali che hanno progressivamente sviluppato una disaffezione per l’informatica, considerata sempre più spesso un costo da tagliare.
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Come si è arrivati a questo? È in gran parte colpa nostra. Gli operatori dell’informatica hanno trascurato che era fondamentale trasmettere il concetto che l’informatica facilita l’innovazione. Se questa motivazione viene meno, o non viene percepita correttamente, si raggiungono le derive che tutti noi stiamo vivendo. L’informatica è diventata un costo da tagliare, ma noi operatori siamo chiamati a un esame di coscienza. Perché tagliare le spese legate all’informatica significa chiudere le porte all’innovazione. Non sarà che alcune tecnologie non vengono considerate ‘core’? Ecco l’equivoco. I nostri interlocutori possono ipotizzare ad esempio che il ‘documentale’ – se parliamo delle nostre soluzioni – non serva. Ma etichettare le nostre soluzioni sotto il cappello di gestione documentale è riduttivo e fuorviante. Perché noi ci occupiamo in realtà della reingegnerizzazione dei processi collaborativi delle imprese, processi che sono rimasti in larga misura immutati da 30 anni a questa parte. Equivoci a parte, se parliamo di innovazione, siamo sicuri che il CIO sia l’interlocutore più sensibile? Devo ammettere che, al di là di eccezioni che ci hanno portato a relazionarci con CIO illuminati, siamo spesso costretti a cercare i budget e i clienti al di fuori dell’It. Il problema risiede nel fatto che il CIO è schiacciato dal quotidiano, è completamente dedicato alla gestione delle attività correnti e questo lo porta a guardare con fastidio all’innovazione che, ai suoi occhi, porta con sé attività ancor più complesse da gestire e per le quali non ha risorse. Se lei fosse un CIO, cosa farebbe? Se oggi fossi un CIO ripenserei in maniera molto profonda al futuro del mio ruolo. E mi rimboccherei le maniche per tagliare i costi correnti con la finalità di trovare risorse per fare vera innovazione. Anni fa avevo coniato l’espressione ‘burocrati dell’informatica’ per etichettare una categoria assai diffusa di manager che giocano in difesa, mantenendo al meglio, secondo loro, quel che c’è senza fare innovazione. Oggi più che mai è importante uscire dal perimetro del ruolo. E sostituire la ‘I’ di Information con la ‘I’ di Innovation. Buoni propositi. Ma nella bufera che ha travolto il nostro Paese, come se la cava DocFlow? In uno scenario in cui tutti i vendor hanno arretrato le loro
posizioni, noi siamo rimasti stabili. Una stabilità da leggersi come un successo. Non abbiamo sviluppato un numero elevato di nuovi progetti ma realizzato molte evoluzioni delle nostre applicazioni: un indicatore importante a conferma della strategicità che rivestono. Se i nostri clienti investono per incrementarle e farle evolvere, significa che sono veramente essenziali. Un’evoluzione dalla tecnologia all’applicazione, potremmo dire… Sempre per riprendere il termine ‘visionary’, noi siamo l’azienda che nel 2000, quando la vendita di soluzioni documentali era preponderante, aveva iniziato a sviluppare quelle applicazioni che poi Gartner ha definito CEVA (content enable vertical application). Già allora avevamo chiara la visione dell’evoluzione dell’architettura tecnologica: oggi infatti il documentale, il Bpm, non sono che piattaforme sulle quali poggiano le applicazioni. E tutti i grandi player stanno virando verso questo approccio, dalla tecnologia all’applicazione. Un nuovo approccio che sarà anche il frutto di una situazione contingente particolare… In America questa situazione è stata definita ‘new normal’ nel senso che la crisi non è di stampo ondulatorio; ci troviamo di fronte a un ridimensionamento e sarà difficile recuperare il terreno perduto. Quale il senso della definizione americana? Il mondo è cambiato, ci dobbiamo confrontare con una ‘nuova normalità’ e dobbiamo attrezzarci partendo da questa presa di coscienza. Ma cos’è questo nuovo normale? Come dicevo, una presa di coscienza. Per capire è necessario partire da lontano. Oggi viviamo un’era post industriale e non ci dobbiamo dimenticare che nell’era industriale la costruzione del valore era la risultante di capitale e lavoro. Era forte l’organizzazione per prodotto, e questo faceva sì che la forza lavoro potesse essere indistinta. Ecco, io credo che in questo ‘new normal’ per costruire valore sarà indispensabile poter contare sul contributo dei singoli individui. Cosa fare dunque se per costruire valore dobbiamo stimolare il lavoro individuale? Innanzitutto una massiccia innovazione, radicale, liberando risorse da dedicare allo sviluppo. Nelle imprese, oggi, i cosiddetti knowledge worker svolgono gran parte delle attività senza essere supportati dall’informatica, gestiscono il loro lavoro con applicazioni per la gestione della poSistemi&Impresa N.6 - agosto/settembre 2010 - 7
in Copertina sta elettronica. Chiaro sintomo della carenza di tecnologie nell’area specifica dei processi collaborativi. Innovare dunque i processi collaborativi. Con quale obiettivo? L’obiettivo è innovare per ottimizzare le risorse. Non tanto quindi ridurre il personale – ridurre il personale per aumentare il profitto è una visione masochista, la priorità deve essere costruire il lavoro e non remunerare il capitale, senza lavoro non c’è capitale. Ma forse ce ne siamo dimenticati – ma liberare risorse da dedicare allo sviluppo. Attenzione però all’equivoco: innovare non vuol dire omologare, investire molto per rendere le aziende tutte uguali. Anzi, è esattamente il contrario. Abbiamo assistito a un fenomeno di ‘sappizzazione’ selvaggia. Ma modelli importati tout court vanno bene per gestire attività standardizzate. Altrimenti si corre il rischio di annullare i vantaggi competitivi insiti nel lavoro delle singole persone. Perdendo valore. Il risultato sarà magari un’azienda che potrà essere gestita da chiunque, ma sarà anche un’azienda qualunque. E voi, cosa fate? Da dieci anni sosteniamo che non bisogna imporre agli utenti un modo di lavorare ma aiutarli a lavorare meglio, supportati da una tecnologia che migliora la qualità del lavoro. Persino il CEO di SAP è arrivato a questa conclusione dichiarando che è importante che le persone lavorino nel modo che è loro congeniale. Ma solo oggi Jim Hagemann Sanbe arriva a questa conclusione. DocFlow aiuta i Knowlegde worker a lavorare meglio, a fare efficienza liberando tempo da dedicare ad attività di sviluppo. In questo senso il nostro approccio è ‘visionario’, perché già da molti anni abbiamo individuato un cammino metodologico che si sta rivelando giusto. Un
cammino che presuppone una grande innovazione che non significa, come dicevo, importare modelli standardizzati e omologare, ma supportare le persone affinché facciano al meglio il loro lavoro nel modo che sanno fare. A complicare lo scenario, oggi, c’è la velocità. Tutto cambia in modo veloce, le aziende devono anche essere particolarmente reattive… Per reagire con tempestività agli stimoli dei mercati le aziende devono puntare sulle proprie forze, che sono le persone. Omologare l’azienda riducendo costi e togliendo valore non può essere una strada percorribile. Oggi le organizzazioni devono capitalizzare il loro patrimonio di conoscenze e non puntare alla competizione sul piano dei costi. E competere importando modelli altrui, come ho già detto prima, è molto poco lungimirante. Quale la vostra risposta? Non esistono più le condizioni per fare progetti colossali in tempi indeterminati, con ritorni indefiniti. Ora lo scenario deve chiudersi nell’arco dell’esercizio, in questo ‘new normal’ è tutto più difficile. Con le nostre infrastrutture tecnologiche – il BPM, l’ECM e l’Enterprise Application Integration – risolviamo problemi specifici dell’utente aiutandolo a lavorare meglio e liberando il suo tempo. La nostra visione architetturale, sulla quale poggiano installazioni che i nostri clienti utilizzano da molti anni, è molto solida. Bene, su questa base, abbiamo sviluppato i ‘Quick Hits’, interventi mirati che portano risultati tangibili in tempi rapidi. Può spiegarci meglio? Intervistiamo i responsabili di funzione e individuiamo situazioni migliorabili. Ci sono processi che vedono coinvolti molti profili, anche importanti. E i nostri interventi non impattano in maniera violenta sul modello organiz-
DocFlow e Sda Bocconi danno vita a un Laboratorio per fare innovazione nell’area dei processi amministrativi Il documento elettronico come strumento facilitatore nella gestione dell’attività amministrativa e dei flussi informativi aziendali è cresciuto, sia per le evoluzioni normative che ne hanno determinato una maggiore diffusione, sia per la comprensione da parte delle imprese dei vantaggi connessi al suo utilizzo. La diffusione dello strumento non è sempre stata accompagnata, tuttavia, da una piena comprensione delle sue potenzialità. In realtà i potenziali impatti connessi a tali strumenti sono molto più ampi; la digitalizzazione dei documenti può diventare occasione di ridisegno dei processi, in particolare dei processi ad alta intensità documentale, modificando la gestione dei flussi informativi sottostanti. Partendo da questi presupposti il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di identificare le condizioni di massima potenzialità dei tool di digitalizzazione dei documenti, i potenziali impatti connessi all’implementazione di detti strumenti e le fasi critiche nel processo di implementazione. Un vero e proprio ambiente di sensibilizzazione finalizzato alla divulgazione di casi di eccellenza. www.docflow.com
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Da sinistra: Carlo Petti, Maurizio Savoca, Francesca Di Bella, Vincenzo Cocciolo, Giuseppe Di Dio
zativo ma aiutano le persone, in poche settimane, a migliorare la qualità del lavoro. Si tratta di applicazioni che installiamo a valle di una analisi e facilitano il lavoro degli utenti, che diventano così i nostri migliori sponsor. E finalmente arrivano a percepire l’It come utile e strategico. Presso un cliente del settore food abbiamo installato ben 30 applicazioni, presso altri clienti oltre 20, a testimonianza dell’efficacia dell’approccio. Si tratta di applicazioni che ben riflettono la filosofia dell’’agire in piccolo e pensare in grande’. Una filosofia che ci consente di guardare con serenità al futuro. Non sarà che fino a ora ci si è eccessivamente focalizzati su efficienza e compliance trascurando innovazione e sviluppo? È vero, oggi la focalizzazione è massima su efficienza e compliance. In realtà conta la capacità di fare cose nuove e farle bene. E questo può verificarsi se si è in grado di elaborare la conoscenza insita nel gruppo di lavoro. Questo il nostro sogno: contribuire a migliorare l’efficacia del lavoro destrutturato, dove il capitale è insito nella conoscenza dei knowlegde worker di cui parlavo prima. Un fattore che vi ha aiutato in un percorso di innovazione continua è stato il fatto di esservi sempre misurati con competence center di grandi aziende e avere avviato collaborazioni con il mondo universitario… È così. Il confronto con grandi aziende che hanno una maggiore propensione all’innovazione rappresenta una forza propulsiva notevole. Siamo tenuti a conoscere le tendenze e proporre continuamente innovazione. Fondamentale anche il rapporto con le università: in particolare lavoriamo con l’università Bicocca per lo sviluppo della tecnologia dove abbiamo avviato ricerche sul text mining,
sul riconoscimento della semantica e abbiamo dato avvio a un laboratorio in collaborazione con SDA Bocconi (vedi box) per migliorare la gestione dei processi collaborativi in ambito amministrativo. Un laboratorio che ha anche l’obiettivo di intercettare le evoluzioni che può avere il vostro settore… È così. La specificità del laboratorio non è essere una progetto di ricerca ma un progetto per intercettare le evoluzioni, per cercare di dare una diversa lettura di ciò che viene spesso in modo riduttivo definita ‘gestione documentale’. Ci si è focalizzati per anni sugli aspetti normativi legati alla dematerializzazione; ora questi aspetti sono noti ed è arrivato il momento per concentrarsi su potenzialità e miglioramento che una gestione efficace di questi processi può portare con sé. È arrivato il momento di allargare lo sguardo. In questi anni l’attenzione è stata catalizzata dai processi transazionali, codificati. Ora è arrivato il momento di concentrarsi sui processi destrutturati o parzialmente codificati. Dove risiede la conoscenza che, se valorizzata, può dare nuovo impulso al business. Come vede il futuro un imprenditore come lei che ha l’innovazione nel dna? Da imprenditore sono per forza ottimista. Nondimeno, la mia visione non può che essere realista. La globalizzazione ha per ora portato una ridistribuzione della ricchezza con un nostro conseguente impoverimento e la crisi finanziaria ha fatto il resto. Il nostro sistema Italia deve far leva su ciò che noi italiani sappiamo fare. Dobbiamo investire sugli elementi distintivi che ci caratterizzano come la capacità di creare, progettare e innovare. E, da ottimista, sono certo saremo in grado di farlo. Anche con l’aiuto della tecnologia. Sistemi&Impresa N.6 - agosto/settembre 2010 - 9