mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti (annuo, € 40; sostenitore € 60; benemerito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 21 (Nuova Serie) – n. 7 - Luglio 2013 € 5,00
40, PORTATI BENE! Pomezia-Notizie, Auguri! di Aurora De Luca
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A nostra rivista letteraria, diretta da Domenico Defelice, compie quarant’anni di vita, quarant’anni di nascite letterarie, quarant’anni di stupefacenti colpi alla mediocrità. Quarant’anni sono una vita lunga, non priva di fatiche e cadute né, d’ altro canto, di soddisfazioni e conquiste, cui solo il Direttore può dar voce. Ma conoscendo almeno un poco la rivista e cercando di leggere, per quanto possibile, un uomo come il Direttore, è facile sapere che da nessuno dei due avremo una sola parola in più, che vada a lodare il lavoro “da muratore” che c’è dietro la costruzione di una grande casa. Perché Pomezia-Notizie è questo : una grande casa; come una grande casa essa accoglie, essa cura. Avendo quindi a cuore questo loquace “silenzio”, andiamo a leggere
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All’interno: Mozart: Le nozze di Figaro, di Ilia Pedrina, pag. 7 Luigi Fontanella, Disunita ombra, di Fabio Dainotti, pag. 12 Don Eleuterio Gazzetti nel ricordo di Defelice, di Luigi De Rosa, pag. 16 La funzione consolatrice della parola poetica, di Elio Andriuoli, pag. 18 Vito Console, di Leonardo Selvaggi, pag. 21 Carlo V e di Francesco I in un dramma di Elena Bono, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 24 Luci dalla Capitale: Non tutto è perduto, di Noemi Lusi, pag. 28 Zhang Xueliang, intrighi d’amore, di Ilia Pedrina, pag. 30 I poeti e la Natura (Salvatore Quasimodo), di Luigi De Rosa, pag. 33 Notizie, pag. 47 Libri ricevuti, pag. 51 Tra le riviste, pag. 52
RECENSIONI di/per: Anna Aita (Nel bosco, sulle orme del pastore, di Imperia Tognacci, pag. 35); Silvana Andrenacci Maldini (Francesco, mio figlio, di Tito Cauchi, pag. 35); Silvana Andrenacci Maldini (Prime emozioni, di Tito Cauchi, pag. 37); Giuseppe Anziano (Il gallo, di Vincenzo Rossi, pag. 37); Tito Cauchi (Scaramazzo, di Rossano Onano, pag. 38); Aldo Cervo (Angeli violati, di Marialuisa Santonicola, pag. 39); Mariano Coreno (Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Domenico Defelice, pag. 39); Antonio Crecchia (Dal cuore, di Elena Mancusi Anziano, pag. 41); Giuseppe Crapanzano (Le mie due Patrie, di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 42); Elisabetta Di Iaconi (Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Domenico Defelice, pag. 43); Giovanna Li Volti Guzzardi (Nel bosco, sulle orme del pastore, di Imperia Tognacci, pag. 44); Maria Antonietta Mòsele (Nessuno può restare, di Gianni Rescigno, pag. 44); Maria Antonietta Mòsele (Il coraggio dell’amore, di Anna Aita-Angelo Ambrosino, pag. 45); Maria Antonietta Mòsele (Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Domenico Defelice, pag. 45).
Lettere in direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 52 Pomezia a 5Stelle, di Domenico Defelice, pag. 55
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Laura Catini, Mariano Coreno, Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Elisabetta Di Iaconi, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Nazario Pardini, Leonardo Selvaggi
e ad ascoltare altrove, tra le righe e negli occhi della rivista, e del nostro caro Direttore. Gli occhi di entrambi sono monologhi dotti. Già questo ci arriva come un insegnamento, un consiglio per la vita: siate capaci di leggere dentro! La rivista non è sola. Spesso accompagnata dal “Croco”, essa diventa una comitiva di voci; il Croco è un quaderno letterario, infatti, che porta con sé l’ anima di quello scrittore-poeta che voglia parlare e, a sua volta, ascoltare e farsi leggere
dal pubblico di Pomezia-Notizie. Un pubblico davvero vario e ampio, che supera persino i confini nazionali, per raggiungere mete oltreoceano, quelle mete che, nell’immaginario infantile, stanno “a testa in giù” dall’altra parte del mondo. Ho incontrato questa “leggenda letteraria” così per caso – quel che si dice incontro del destino - attraverso un’altra rivista “Tribuna letteraria” che, nelle ultime pagine, riportava il bando di un tale concorso “PomeziaNotizie”. Perché no? E così fu. Un racconto
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breve lasciato a gareggiare nella sez. E “Il pomo e la sua porta”, fu il mio Buongiorno. Avevo sedici anni ma non dimenticherò mai la felicità provata quando scoprii il racconto pubblicato per intero nel numero di settembre 2006. Da li seguirono anni di apprendimento, di collaborazione e lavoro di lima, che il direttore ha avuto cuore di elargirmi, senza reticenza e gelosia. E questa è una spudorata lode! Perché ricordo questo : quando ringraziai il direttore per il premio, egli mi disse che non dovevo farlo, che mi era dovuto in quanto meritevole; da questo ne viene che, essendo tutta Pomezia-Notizie meritevole di lode, le mie parole possono suonare esattamente così, ridondanti di complimenti. Se, in breve, io debba dare una definizione di tutto questo, e di ciò che tutto questo ha finito per trasferirmi, proprio come fosse un fluido, citerei queste parole: “La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane” (Pablo Neruda) Ritengo si possa trasferire in una certa misura alla scrittura e quindi all’impegno che
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investe gli scrittori. Questa è la cura che, entrando giovanissima nella casa del Direttore, mi è stata generosamente concessa. Pomezia-Notizie ad Maiora! Aurora De Luca *** Caro Domenico, quarant’anni sono davvero tanti: è l’intero arco di una vita lavorativa! Ma a “PomeziaNotizie” non facciamo gli auguri per un felice pensionamento, al contrario, auguriamo di proseguire ancora a lungo sulla strada intrapresa… E nell’occasione del suo quarantennio vogliamo congratularci con te per l’ attività svolta, sempre con intelligenza e solerzia, in tutti questi anni e complimentarci per i risultati di tutto rilievo raggiunti nel campo della diffusione della cultura letteraria. Auguri, dunque: di lunga vita alla rivista e al suo direttore di un proficuo lavoro, foriero di ottimi frutti, come quelli già in passato conseguiti. Un augurio affettuoso, Liliana Porro e Elio Andriuoli *** E-mail dell’undici giugno, da Melbourne, Australia: Carissimo Domenico, POMEZIA-NOTIZIE 40 anni! è un record che pochissimi possono mantenere, e con un successo sempre incredibile, dappertutto; è davvero un miracolo. Hai saputo creare una magica, preziosa, straordinaria, sublime, creatura, che ha dato tanta emozione e tanta gioia a tantissimi amici-lettori di questa grandiosa Rivista, che ha affascinato, incantato e ammaliato tutti, per gli interessantissimi contenuti di alta letteratura, che ha saputo donare per 40 stupendi anni. Auguri a te e a POMEZIA-NOTIZIE dal più profondo del cuore, che Dio vi benedica entrambi... Giovanna Li Volti Guzzardi *** E.mail del 21.06.2013 da Mariagina Bonciani di Milano:...Penso, però, che non sia troppo tardi per farti gli auguri per il quarantesimo, QUARANTESIMO !!!. anniversario della tua bella ed interessante rivista POME-
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ZIA-NOTIZIE, per la quale ho già avuto modo più di una volta di complimentarmi con te per la sua gradevolezza sotto tutti gli aspetti, di forma e di contenuto. Posso solo aggiungere una cosa: peccato non averla conosciuta prima! Gradisci quindi le mie più vive felicitazioni ed i miei auguri per altri, almeno, quaranta anni. Molto cordialmente, Mariagina *** Siamo contenti che, a porgere gli auguri alla rivista per il quarantesimo compleanno, sia la nostra giovanissima collaboratrice Aurora De Luca, nata nel 1990. Lei - come l’ ancor più giovane Laura Catini (1992), che inizia la collaborazione da questo mese - rappresenta il futuro, tutto da vivere e da scrivere, mentre noi il passato racchiuso nelle migliaia di pagine del nostro mensile, alcune quasi ingiallite. 40 anni! Senza pubblicità, senza contributi d’alcun genere, aver raggiunto un simile traguardo non sembra poca cosa, qualche qualità Pomezia-Notizie la deve possedere. A nostro avviso, è la semplicità. E’ la modestia. Niente carta di lusso, niente foto ricercate, ma un’attenzione costante al contenuto, sullo stile di certe riviste universitarie americane, stampate, a volte, su carta riciclata e quasi d’imballaggio. Semplicità e modestia, ma anche un pizzico di ironia rivolta verso i potenti e quegli scrittori e poeti schizzinosi che arricciano il naso perché abbagliati dalle riviste patinate, sgargianti di colori, cariche di pubblicità, belle, belle, ma... vuote come zucche! Pomezia-Notizie nasce formato tabloid nel luglio 1973, come testata locale, con un occhio rivolto alla cronaca cittadina e l’altro sbarrato sulla cultura all’interno del territorio nazionale e nel mondo. Già sul numero uno (in attesa di registrazione) dava spazio a una conferenza dell’italianista scrittrice e poetessa (di Argenteuil) Solange De Bressieux che poi ha curato la Redazione francese dal dicembre 1978 al dicembre 1990 - e ospitava poesie di Nerina Pericoli e di Maria Elena Di
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Stefano (entrambe di Roma), “Pensieri e sentenze” di Eleuterio Gazzetti (di Sozzigalli di Soliera, Modena) e, dello stesso, la riproduzione dell’opera pittorica “Bramo dissolvermi”. Neppure nata, insomma, già si sollevava dalla quotidianità della cronaca per spaziare nel cielo della poesia e dell’arte. E, da allora, non c’è stato numero senza la sue belle pagine culturali. Ha contribuito a far conoscere migliaia di poeti e di scrittori, di pittori, di critici (anche musicali) e pubblicato a puntate anche un intero romanzo. Questa sua veste, questo suo formato e questa sua impostazione si concluderanno nel gennaio 1990, allorché, se non avessimo rivoluzionato il tutto, avremmo definitivamente chiuso. Ricordiamo, tra le firme di questo primo periodo: Matilde Fondi Caccia, Ingeborg Fettinger, Robert Miller, Giuseppe Brandone, Vincenzo Caputo, Maria Grazia Lenisa, Adriana Nobile Civirani, Luigi Muccitelli, Franco Saccà, Vincenzo Mascaro, Giuseppe Benedetto, Umberto Di Stilo, Fernanda Regalia Fassy, Ester Monachino, Benedetto Bru-
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gioni, Maria Saracista, Ada Capuana (che ha curato la Redazione romana dal luglio 1976 al dicembre 1990), Guido Gori, Francesco Conci, Paul Courget, Nicola Napolitano, Nicola Iacobacci, Giorgio Bárberi Squarotti, Ettore Alvaro, Domenico Cutrì, Raffaella Frangipane, Nino Ferraù, Loretta Bonucci, Walter Nesti, Andrée Marik, Mariana Costescu (che ha curato la Redazione rumena dal maggio 1981 all’ottobre 1987), Rudy De Cadaval, Luis Cayetano Fiorenza (che ha curato la Redazione argentina dal gennaio 1979 all’ottobre 1987), Andrea Vespa, Domenico Destito, Salvatore Calleri, Guy Agenor, Felice Conti, Orazio Tanelli (che ha curato la Redazione USA dal giugno 1982 al dicembre 1990), Enzo Bruzi, Rosario De Crescenzo, Mariinha Mota (che ha curato la Redazione brasiliana dal novembre 1983 all’ottobre 1987), Amerigo Iannacone, Carmelo Rosario Viola, Ugo Masetti, Leonardo Bosco, Leucio Di Biase, Claude Le Roy, Vincenzo Ciallella, Laura Biondo Balzarini, Lucianna Argentino, Elena Montanelli, Vincenzo Rossi, Maria Pia Gasparini, Guerino d’ Alessandro, Enrico Ferrighi, Arturo Esposito, Ignazio Drago, Silvio Bellezza, Salvatore Porcu e tantissimi altri, tutti importanti, anche per il grande amore che hanno portato al mensile con gli scritti e, quando possibile, con un piccolo contributo economico. Le Redazioni non erano di facciata, ma reali; Con Solange De Bressieux abbiamo redatto anche la bella antologia al femminile franco-italiana Fiori di Francia e d’ Italia; a Ciudadela, in provincia di Buenos Aires, Luis Cayetano Fiorenza ha curato la pubblicazione del nostro Doce meses con el amor (12 mesi con la ragazza), nella sua traduzione e con revisione di Salvatore (Amerigo) Caputo; a Roma, Ada Capuana - pronipote del grande scrittore siciliano Luigi Capuana - ha organizzato anche tanti incontri, letture, dibattiti... Quante battaglie abbiamo combattuto e annotato e non solo della nostra città! Contro gli incidenti stradali (“Basta, con il sangue sull’asfalto!” - settembre 1973);
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sulla cura preventiva dei tumori (stesso numero); sulla donazione del sangue (“Corpo Nazionale Volontari del Sangue” - ottobre 1973); sulla ecologia (“Moriremo soffocati dall’ immondizia?”, stesso numero); sulla educazione stradale; sulla scuola; sullo sport (“Tavola rotonda sullo sport a Pomezia” marzo 1974); sui trasporti (“Siamo stufi! settembre 1974); sull’alimentazione (“Congresso mondiale sull’Alimentazione” - dicembre 1974); sulla Formazione professionale (“I C. F. P. in lotta” - gennaio 1975 - ricordiamo lo scandalo e le proteste per un cartello esibito in uno sciopero, cartello da noi disegnato e che rappresentava i soldi della Regione Lazio versati in un grosso water, cioè, non utilizzati con criterio ed elargiti a gestori corrotti)... Una testata, la nostra, dunque, mai appiattita su un solo tema, perché sensibile a tutto ciò che coinvolge e condiziona l’uomo. Testata coraggiosa, senza peli, che ai potenti non li ha certo lisciati, anzi! Nel 1992 nascono i Quaderni Letterari Il Croco, oggi giunti al numero 111.
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Il 1993 è l’anno della svolta. Per evitare la chiusura definitiva, causa i costi sempre in aumento e le esigue condizioni economiche, abbiamo deciso di azzerare tutto, ridurre il formato a quello attuale e abbandonare completamente la cronaca. E’ l’inizio della Nuova Serie, con la quale il mensile si trasforma in una vera e propria rivista letteraria, a carattere internazionale, pur mantenendo la testata originaria per non perdere il suo patrimonio storico. Pochi anni di rodaggio e il prestigio di Pomezia-Notizie sale a un tale livello da venire riconosciuta come “The Best News Magazine of the Year” nel 1999 dalla IWA (International Writers Association, USA) e come “The International Best Poetry Magazine of the Year 2007” dalla International Poetry Traslation and Research Centre (World Poets Quarterly - Multilingual, Cina). Ai vecchi collaboratori, si affiancano i nuovi, tra i quali è doveroso menzionare: Flavia Lepre, Teresinka Pereira (che cura la Redazione USA), Vittoria Corti, Andrea Bonanno, Teresio Zaninetti, Giulio Palumbo, Dennis Kann, Brandisio Andolfi, Novella Casadei, Adriana Mondo, Ferdinando Banchini, Tito Cauchi, Peter Russell, Krishna Sinivas, Franco Calabrese, Antonio Piromalli, Enrica Di Giorgi Lombardo, Leonardo Selvaggi, Daniele Giancane, Liliana Ugolini, Adriana Scarpa, Carmelo Mezzasalma, Liana De Luca, Vittoriano Esposito, Ettore Mingolla, Silvana Folliero, Silvana Andrenacci Maldini, Elena Milesi, Kathleen Raine, Luigi Amendola, Pasquale Licciardello, Pietro Seddio, Gabriella Frenna, Susan McCaslin, Tom Scott, Aleramo Hermet, Ferruccio Bruggnaro, Dinah Monisty, Carmine Chiodo, Elisabetta Di Iaconi, Marina Caracciolo, William Cookson, Angelo Manitta, Dante Maffia, Peter Jackson, Giancarlo Vigorelli, Santino Spartà, Giovanna Li Volti Guzzardi (referente per la vasta Australia), Laura Pierdicchi, Francesco Fiumara, Davide Puccini, Franca Alaimo, Imperia Tognacci, Giacomo Luzzagni, Domenico Cara, Leonello Rabatti, Mauro Decastelli, Giuseppe Anziano, Pasquale Matrone, Maria Antonietta Mòsele, Fabio Dainotti, Anna
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Ventura, Lucio Zaniboni, Sandro Allegrini, Sandro Angelucci, Giuseppe Leone, Adolf P. Shvedchikov, Biplab Majumdar, Anna Aita, Guido Zavanone, Mario Landolfi, Margherita Faustini, Giorgina Busca Gernetti, Elena Bono, Antonia Izzi Rufo, Ilia Pedrina, Luigi De Rosa, Rossano Onano, Franco Campegiani, Pietro Civitareale, Emerico Giachery, Giovanni Dino, Serena Cavallini, Nazario Pardini, Andrea Masotti, Paul F. Georgelin, Innocenza Scerrotta Samà, Eraldo Garello, Carmine Manzi e centinaia di altri ancora, ai quali chiediamo scusa per la mancata citazione. Non li riteniamo inferiori, anzi! Nella traversata del deserto, in cui si affaticano oggi le riviste letterarie, sono indispensabili tutti i portatori d’acqua; se la nostra ancora sopravive quante son nate e morte dopo pochi numeri! , lo si deve a loro ed è a loro che va il nostro grazie incondizionato e la nostra stima. Non possiamo citarli tutti perché non possiamo fare di questo numero solo un lunghissimo elenco di nomi. Domenico Defelice
ALLELUIA DEL ...PROGRESSO! Inaugurata a Mancasale di Reggio Emilia la nuova stazione Mediopadana della Tav. Utilizzando il treno superveloce, un reggiano raggiunge Bologna risparmiando la bellezza di 10 minuti. Lo stesso reggiano, per raggiungere Mancasale pagando la navetta, impiega 34 minuti. Cosa vuoi che sia, quando si parla di progresso. Rossano Onano La Tav è fatta per lunghe distanze, per le brevi non vale. Sono i collegamenti che la fanno sembrare una lumaca. Perder lasciate, allora, la navetta, risparmiate il denaro; manca-ndo le strutture di contorno, viaggiate, o Reggiani, come prima, quando ancora manca-va Manca-sale! Domenico Defelice
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NELLE 'NOZZE DI FIGARO'
DI MOZART UN CHERUBINO TUTTO 'RIGON-PETRIS'. di Ilia Pedrina OZART e la Spagna. E Figaro è di Siviglia, in Spagna. Ed è la prima volta che Mozart, in queste 'nozze' del Figaro, già barbiere di Siviglia, 'ha voluto fare i fuochi d'artificio', come ci dice bene il Direttore d'Orchestra Giovanni Battista Rigon, che affianca il regista dell'opera, Primo Antonio Petris, nell'incontro con il pubblico, prima della 'prima'. Ma Figaro è nato come personaggio di Beaumarchais: allora alla prima edizione moderna de 'Le nozze di Figaro' sulla falsariga di quella data al Teatro Fondo di Napoli nel Marzo del 1815, il Teatro Olimpico di Vicenza è stato prestigiosa scenografia fissa, all'interno della quale il Petris ha lavorato in pieno accordo con il maestro concertatore e direttore G. B. Rigon, per tutti 'Titta'. Ed è lo stesso regista che l'anno scorso, con lui, ha messo in scena 'Il ratto dal serraglio', con i loro risultati eccellenti per il pubblico e per la critica: perché, ormai, qui si deve parlare al plurale, data l'efficacia di una sintesi di passione e di altissima professionalità che fa intraprendere a questi due e di certo a chi li segue, un'avventura sempre sorprendente ed inedita all'interno dell'evento legato alla XXII Edizione de 'Le Settimane Musicali al Teatro Olimpico', opera palladiana di pregio. In questo viaggio che porta in scena delle 'nozze' nuove, si fa per dire, ci sono tutti, cantori e musici, coristi e loro guide, sia della partitura che dell'ambiente circostante: “... Alla disamina della partitura rintracciata nell'Archivio del Conservatorio di San Pietro in Maiella, base dell'imminente esecuzione vicentina, appare evidente che la prospettiva interpretativa si rifarà più intimamente alla versione napoletana del 1815 al Fondo, nella quale la parte del Conte appare ricondotta alla chiave di basso
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in linea con la prima esecuzione viennese. Tuttavia, al di là dell'uno e dell'altro interprete, la caratteristica saliente della proposta vicentina è rappresentata dal fatto che gli innumeri recitativi intercalati ad arie, duetti e insiemi, sono accompagnati non al consueto cembalo, ma dagli archi dell'orchestra secondo un costume napoletano - in verità mutuato da Parigi – al quale si atterrà lo stesso Gioacchino Rossini... La partitura, giuntaci mutila, è stata completata grazie alla collaborazione di alcuni allievi del biennio del Conservatorio di Napoli, che hanno integrato l'accompagnamento dei recitativi nel primo e secondo atto secondo il modello del terzo e del quarto sotto la guida vigile dei loro docenti e l'approvazione del maestro Rigon...” (Mozart e la Spagna - Settimane Musicali al Teatro Olimpico XXII Edizione, Giorgio Appolonia, 'Le Nozze Nobilitate', pp. 38-39). La prima viennese, come ci ricorda lo studioso Appolonia, è del 1786: allora se Figaro è creatura innanzi tutto del suo autore letterario, quel francese di Parigi, certo Pierre Augustin Caron de Beaumarchais, che scrive 'Le mariage de Figaro', commedia messa in scena a Parigi il 27 Aprile 1784 e che ne vive di tutti i colori, come il nostro Da Ponte, del resto, allora la regina Maria Antonietta d'Austria ed il suo consorte Luigi XVI riescono a metterci ancora 'il naso', prima che la lama della ghigliottina, qualche anno dopo, si affili sulle loro teste senza discrezione, en plein air, così questo spettacolo si potrà dare senza pagare il pedaggio del biglietto, affinché nella società ci sia riforma e senz'altro prima che il testo legato a Figaro possa passare per le mani del Da Ponte stesso, curioso e trasgressivo la sua parte, e del musicista Wolfgang Amadé Mozart. Figaro l'ha inventato lui, il de Beaumarchais, c'è nel suo testo letterario, come protagonista importante di una trilogia che il regista Petris ha illustrato nell'incontro all'Odeo del Teatro Olimpico, prima della esecuzione originale. Egli ha inteso sottolineare con spontaneo vigore che il tracciato del Beaumarchais è ben articolato e complesso: parte da 'Le Barbier de Séville, ou la Précaution inutile' (1775), pas-
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sa attraverso 'La Folle journée ou le Mariage de Figaro' (1778), per arrivare a 'L'Autre Tartuffe ou la Mère coupable' (1792), testo conosciuto da pochi. Denominatore comune ai tre lavori il tema ardito della famiglia, della sua struttura semplice e complessa, perché insieme territorio del sociale e del sessuale, che son contenuti assai differenti tra loro, l'uno pubblico e l'altro privato, appunto, territori nei quali parecchie cose vanno e non vanno. Le classi sociali sono in fermento, l'autorità monarchica, per quanto illuminata sia, è sempre autorità che seleziona alleanze e percorsi sulle teste di tutti, allora quei 'tutti', che sono la moltitudine, si fanno guidare dai così detti 'uomini liberi' e le teste di chi non serve, servono a poco e si fanno rotolare giù senza discrezione. L'arroganza dell'invenzione di un così particolare strumento del diritto quale è la ghigliottina, deve far sostare un poco il pensiero sul concetto di 'fraternità', perché quegli altri due, dell'uguaglianza e della libertà, sono di certo sempre e comunque più flessibili, elastici, a misura di governi e di zone geopolitiche di riferimento. Il 'povero' Caron, che ha raggranellato non poca pecunia vendendo con il suo collaboratore Beaumarchais, dal quale erediterà il titolo, armi oltre Atlantico, di certo ai Nordisti -ma in quell'epoca c'è da dire che anche Voltaire aveva un buon conto in banca, frutto di certe alleanze per portare i neri dall'Africa, loro terra natia, all'America, loro terra di lavoro forzato, che libera, nobilita e realizza, chi muore muore, durante il tragitto, chi vive, vive ma il grande Voltaire aveva il diritto di percepire un 'tanto' per ogni 'testa', perché il suo conto non si assottigliasse pericolosamente e perché già molti avevano insegnato che il predicare è diverso dal 'razzolare', l'andazzo va continuato a maggior gloria di chi se ne sa servire -, il 'povero' Caron de Beaumarchais, dico, si fa promotore nel costituire a Parigi una Società dei Filosofi a pieno titolo, per curare le opere di Voltaire, dopo aver dato vita ad una Società per i Diritti d'Autore delle opere drammatiche, sagge pennellate e scelte d'immagine, queste sue!
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Il pubblico che ha ascoltato il regista Petris non si è lasciato scappare una virgola, perché le cose che egli ha detto sono state decise, storicamente vere, socialmente valide ad approfondire proprio il risvolto del rapporto tra famiglia e società, relazioni tra i sessi, seduzione ed intrighi, intrecci della sorte e della volontà, ambienti di natura e di interni, temi e problemi dell'educazione sentimentale e sociale. Il tutto condito d'ironia sapientissima, perché se il Conte d'Almaviva, per avere la Rosina di turno, deve allearsi con Figaro, che è barbiere, senza tanto pensare ormai più alla sua classe sociale inferiore, allora i due saranno sullo stesso piano ed il Conte con lui andrà ad 'espugnare' la fortezza, che è Rosina stessa, promessa all'anziano di vaglia, don Bartolo, per questioni di 'figliolanza sana'. Figaro fa le cose fatte bene ed una volta sposato con Rosina, il Conte vuole far felice il suo 'amico', donandogli per il matrimonio con la bella Susanna una stanza da letto, tanto vicina alla camera della Contessa Rosina, se farà 'din-din', quanto, sagaciamente, a quella del Conte, se farà 'don-don'. Espugnata e sposata Rosina, che diventa Contessa, una volta per tutte, il Conte si organizza altrove, ed in casa c'è Susanna, che è bella e di classe sociale inferiore: a questo proposito c'è un diritto feudale che può essere cancellato, per far bella figura, e poi, a bella posta ripristinato, per la sua bella figura, quella della giovane Susanna, intendo. Ma in scena entra Cherubino, il Cherubino di Beaumarchais-Rigon-Petris: in questo spettacolo tra gli artifici di una scenografia palladiana sempre bellissima, Cherubino è artificiale, gomma da masticare in bocca, il cui aroma di fragola arriva fino alle prime file del palcoscenico; Cherubino è tolto al suo tempo per essere del nostro, andatura da 'rap', berretto di lana in testa e panni trasandati, in perfetta sintonia con i ritmi della partitura mozartiana; Cherubino è isolato ed autistico perché fa solo ciò che vuole, auricolari compresi, e quando si tratta di mimare all'erotica, insiste in questo linguaggio per attirare la tensione verso il sesso fine a stesso: altri scopi, più socialmente virtuosi ed utili, zero. Ripeto:
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Cherubino è artificiale, non ha più desideri e fremiti d'intelletto d'amore, ha solo pulsioni e loro gestualità, che di seduttivo hanno ben poco. Allora è attraverso Cherubino, ben interpretato dal mezzosoprano Margherita Settimo, in netta contra-dizione con le Arie che riesce a provocare in Figaro ('Non più andrai farfallone amoroso / Notte e giorno d'intorno girando / Delle belle turbando il riposo / Narcisetto Adoncino d'amor...' - Atto I, Scena VII, op. cit. pag 61-) o che intona egli stesso ('Voi che sapete / che cosa è amor... -Atto II, Scena II, op. cit, pag. 65-) o ancora che suscita in Susanna, perché la Contessa s'accorga bene del giovinetto ('Mirate il bricconcello / Mirate quanto è bello / Che furba guardatura, / Che vezzo, che figura! / Se l'amano le femmine / Han certo il lor perché... -ibid. pag 67- ), che il Petris vuole essere spietato perché è contro la famiglia che ironicamente, lucidamente, freddamente vuole lanciare i suoi strali, giustificatissimi. Ed anche quando il Conte, che, con ottima immedesimazione, ha assunto i panni dell'imprenditore tutto giacca e cravatta e la voce del vicentino bassobaritono Luca Dall'Amico, minaccia il giovin perdigiorno e di fatto lo intende mandare sotto le armi, non c'è traccia per Cherubino di problema di sorta o di preoccupazione, tanto per lui fa lo stesso, dato che la guerra si può portare avanti ai videogiochi! E' lui la figura centrale del contrasto che dilata l'ironia del messaggio e sconvolge volontariamente ed intenzionalmente il pubblico, mantenendo una tenuta d'opera compatta ed intensissima, e questo è il risultato di una profonda intesa tra il regista Antonio Petris e il maestro 'Titta' Rigon: perché è lui, è quest'ultimo che ci deve 'stare', che deve accettare che una partitura, così famosa e nel cuore di tutti, sia alla base ed alla sommità di considerazioni dure inviate al nostro tempo, messaggi politici che passano e sedimentano e sono la cifra di uno stile a due, a tre, ai molti che vi hanno partecipato e che qui non cito per ragioni di spazio, accordo operativo già pienamente articolato nella versione de 'Il ratto dal serraglio', in scena a Vicenza, nello stesso contesto, un anno fa.
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Il Conte d'Almaviva, ci insegna Petris, alla fine del 'Barbiere' aveva quasi promesso il cambiamento di rotta di una società abbastanza ipocrita e maschilista, sposando Rosina, che era il polo d'attrazione sessuale, del suo cuore e dei suoi desideri; nelle 'Nozze' è chiaro che questa promessa, che doveva portare con sé anche il conseguente, innovativo, ruolo della donna, nella famiglia come nella società, non è stata mantenuta ed il Conte è ancora alle prese con 'donnesche imprese', senza tanto andar fuori casa. Allora è all'intrigo e all'intrigo d'amore che viene lasciato spazio, perché è proprio questa la trama che accende l'invettiva e che ha al suo servizio fantasia consolidata: ma qui non siamo tra le aure ferraresi di cui si è nutrito, anche se per poco, Torquato Tasso, innamorato della Bendidio e da lei schernito senza pietà, un rifiuto che avrà come risposta una grande sofferenza segreta e sfiancante. Figaro, che ha panni e voce del basso baritono Filippo Morace, insuperato, soffre anche lui la sua parte, ma non certo come Torquato, e si affida allo sfogo ristoratore, perché una giovane coppia di amanti che si baciano incessantemente sulla scena, ascolti, orecchie ben aperte: “…. Aprite un po' quegli occhi Uomini incauti e sciocchi, Guardate queste femmine, Guardate cosa son! Queste chiamate dèe Dagli ingannati sensi, A cui tributa incensi La debole ragion, Son streghe che incantano Per farci penar Sirene che cantano Per farci affogar. Civette che allettano Per trarci le piume, Comete che brillano Per toglierci il lume...” (Mozart e la Spagna-Settimane Musicali al Teatro Olimpico, XXII edizione, pag.
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106) Ma loro, i giovani amanti, non certo previsti nella partitura e che hanno bocche solo per baci e coccole, se ne infischiano dell'Aria di Figaro e delle sue parole senza tanto senso e se ne vanno scocciati ed infastiditi fuori scena, ad amarsi da un'altra parte, perché in questi casi la prevenzione non fa testo e gli avvertimenti non hanno mai luogo a procedere. Ma a Figaro, al solo ipotizzare Susanna, la soprano lirico leggero Giulia Bolcato, vicentina, tra le braccia del Conte, si sono aperte le tende di un desiderio preda del dubbio, che è cosa sottile e costante come goccia che scava la pietra stessa. Allora gli occhi sono proprio quelle tende che vanno spalancate a far entrare luminoso ragionamento sulle cose del cuore, perché è la ragione che viene annebbiata e soggiogata, indebolita di fatto, per far accogliere nella carne, nel corpo, nel cuore dell'uomo queste forme belle di donna. Qui, nelle 'Nozze' mozartiane, il personaggio della Contessa, interpretata dalla bella Giacinta Nicotra, soprano, che si allea con Susanna per burlare il Conte, che vuole altre 'dita tenerelle' rispetto a quelle della sposa, che sono già di fatto e di diritto sue, è figura centrale anche nella partitura, nella quale viene cambiata la tonalità di avvio dell'Aria 'Dove sono i bei momenti...', per sottolineare il passaggio dalla tristezza di un ferito abbandono al delinearsi di un progetto di riscatto della propria dignità femminile. Perché è il Conte d'Almaviva che, ora marito, ha provocato quelle ferite: egli, l'imprenditore arrogante, che minaccia in camera da letto la moglie se solo si azzarda a nascondere un amante in qualche stanzetta adiacente, e che dunque non deve mai perdere, in casa come in borsa, deve 'obtorto collo' cedere: si faccia una gran festa per i futuri sposi Susanna e Figaro, sostiene, quasi con rabbia ed il Coro attacca, brandendo però cartelli con scritte sarcasticamente attualissime e sovversive: 'W il family day', oppure 'Io sono la nipote di 'Titta', e ancora 'W le politiche familiari', 'Il matrimonio è felicità', 'La famiglia è indissolubile'....
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“ DUE CONTADINE ...Amanti costanti, seguaci d'onor cantate, lodate Si saggio signor. A un dritto cedendo che oltraggia, che offende, Ei casta vi rende ai vostri amator. CORO Cantiamo, lodiamo...” (op. cit. pag. 102). Il Coro, vivace ed attualissimo per costumi e voci, è quello dei Polifonici Vicentini, sotto la guida del maestro Pierluigi Comparin, con la 'reporter' che scatta onde immortalare gli eventi, ed il diritto, lo si capisce bene, è quello definito 'jus primae noctis', per dar soddisfazione 'territoriale' al padrone delle cose e delle persone di casa: la prima notte della giovane deve essere del Conte, non del marito.... Ecco che allora, superata la soglia del diritto, le due figure femminili, la Contessa e Susanna, sono insieme nella creatività dell'improvvisazione e della trama dell'intrigo: qui l'obiettivo e lo scopo sono ben chiari e condivisi e le due si destreggiano ad arricchire di note il contesto, per burlare senza pietà il Conte e per dargli una lezione di stile. Il bello ed il vero, in quest'opera, sono proprio alla fine, quando le nozze, quelle di Figaro sono già avvenute. Il mio Amico, durante l'intervallo breve alla fine del II Atto, mi ha detto, nel parco adiacente al Teatro, che sarà nel corso del IV Atto la vera resa dei conti, perché la vicenda ha intrecci assai forti ed è duro articolarli insieme, nell'elaborazione orchestrale e nell'azione scenica armonicamente: alla fine dell'esecuzione ha ammesso che questa è stata una interpretazione 'decorosa'. E il 'Titta'? E' corpo pieno e maestria orchestrante senza paragoni, nulla lasciando al caso e tutto articolando con la sua immedesimazione professionalissima, investigando in curiosa avventura senza posa nelle opere come questa, fin nelle sue radici, nei loro suoni, nella competenza esecutive di chi li produce e ri-crea, come nel cuore di chi lo ascolta: egli
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incarna, occhi e mente sulla partitura, che ormai gli appartiene, piroette e fantasmagorie di fusione, con il risultato orchestrale che tutto lo circonda, spettacolo pieno nel suo essere 'energia musicale condivisa'. Ilia Pedrina
UN RAGGIO DI SOLE Un raggio di sole mi ha trafitto il cuore e grondante di luce la ferita non si chiude. Scendono giù versi senza tregua e tamponarli non serve a niente, è emorragia irreversibile che crea una malattia incurabile. Come fare o mio Signore a guarire questo mio cuore trapunto da un raggio di sole? Ho provato a chiudere la ferita con una grande emozione, ma niente da fare, i versi gocciolano senza poter trovare una soluzione. 14 – 5 – 2013 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! Le forze politiche continuano a ciurlare nel manico per la riforma della Costituzione, perché alcune vorrebbero non modificarla affatto, altre solo a proprio uso e consumo. Ma la Carta del 1948 va rivista e senza indugio. “Tutte le Costituzioni sono rivedibili - afferma l’art. 27 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1789) -, perché nessuna generazione ha il diritto di assoggettare alle sue leggi le generazioni che seguiranno”. Domenico Defelice
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FRANCESCA Francesca mi parlava sulla rena infuocata dal sole dell’estate. Mi parlava del mare, della vita, delle colline verdi che accendevano i loro abbrivi in cuore al blu del cielo. Mi diceva Francesca dei suoi sogni, della sua casa candida assediata da boschi e girasoli. La campagna l’aveva dentro il cuore. E la vedeva anche in quel mare inquieto e sconfinato ci si sperdeva libera -. “E’ verde il mare come la mia avena”, mi diceva Francesca. E delle assenze mi parlava: di quella di sua madre. Del dolore, del pianto, ma dagli occhi, schegge di rara giada, le schizzavano le parole non dette. Poi un bel giorno mi raccontò di un sogno - le tremavano le labbra e ed i pensieri -: “Fui rapita e trasformata in una nube bianca. Fui trasferita in cielo in compagnia del brillio delle stelle e dell’azzurro. Sì!, proprio là restai tutta la vita; fra l’assenza dei mali e dei dolori; spersa nell’aria pura dell’eccelso”. Un giorno il sole a picco dell’agosto forava l’ombrellone. Ed io attendevo. Mi mancavano già i sogni, le parole, il suo tremore, le mosse sensuali delle labbra, quei gesti di fanciulla un po’ innocente, disposta a rovesciare sulla rena calda d’estate – l’anima serena e il suo futuro. Mi mancava Francesca. Mai più la vidi. Mi dissero di lei… Realizzò il suo sogno. Volò in cielo. Un’altra stella in più in cuore all’azzurro. Od una nube bianca che volteggia libera, Francesca, verdi gli occhi, color di cioccolata la sua pelle. 10/06/2013 Nazario Pardini
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LUIGI FONTANELLA
DISUNITA OMBRA di Fabio Dainotti ’ uscito per i tipi di Rosellina Archinto l’ultimo libro di poesie di Luigi Fontanella, Disunita ombra (pagine 119, euro 12.50). Barberi Squarotti ha indicato nel viaggio il tèma sempre presente nella poesia di Luigi Fontanella; il viaggio, effettuato sui più comuni mezzi di trasporto, luoghi privilegiati degli incontri, diviene anche figurazione della vita. E significativamente nel libro, suddiviso in varie sezioni, la prima, su cui qui principalmente ci si sofferma, è intitolata “Luoghi e persone”. Luoghi attraversati e persone incontrate dall’autore nel corso dei suoi incessanti spostamenti tra l’America e l’Italia.
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Nella poesia intitolata JFK si trovano in nuce tutti o quasi i motivi della silloge. Ci sono i viaggiatori, i “barbari”, che arrivano a frotte, sordi, assordanti, inquieti. E torneranno alle loro contrade per “posare le loro ossa scontente”. Chi è scontento, è anche solitamente inquieto. Ecco, la parola tematica della poesia è “inquieti”. In questa prima sezione le occorrenze delle parole che rientrano nel campo semantico dell’ansia sono numerose, in maggior numero rispetto a qualsiasi altro termine, esclusi ovviamente quelli connessi al viaggio. Nell’ Angelo della neve leggiamo, ad esempio: “Scesi / giù sino al porto/ cercando ansiosamente neppure io so che cosa. E in Ciutat vella: “sento attorno a me il miracoloso/ inquietante sbattere d’ali/dei mille gabbiani che da Palau del mar si rincorrono,/a frotte sterminate inseguendosi/ lungo il molo Colom, e ci accompagnano/ famelici e frementi/verso la Rambla de Mar”. Dove l’ansia trapela, oltre che dall’aggettivazione, anche dal moto incessante, evidenziato dall’uso prevalente dei
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verbi di movimento. Gli stessi spettacoli naturali non sfuggono a questa impressione: sono per lo più mossi; le nuvole sono viste in un movimento che è una fuga, le onde del mare sono agitate e addirittura in lotta tra loro, in Stony Brook Arbor, dove troviamo anche il verso di forte rimando interiore: “il moto ondoso non trova requie”. In Dittico praghese i personaggi, l’io lirico e la sua accompagnatrice, si muovono in una Praga sconvolta dalla pioggia e dal maltempo: “l’interminabile Zitnà, schiaffeggiata dall’ acque, strada equivoca e inquietante”. L’inquietudine si traduce nella fuga, come quella della ”timida cameriera”, che “subito fugge via,/come impaurita o minacciata/ da chissà quale forza misteriosa. //Ogni cosa, ogni persona vicina/ogni figura/ sembra allontanarsi in cieca vertigine/fuga del tempo/fuga di ombre e del passato…”. E nell’Angelo della neve già citato “quella mattina sferzata dal vento/e dalla neve che non accennava a diminuire.” E ancora : “Corrono sulle cime innevate fasce di nebbia.” I fasci di luce non si limitano ad attraversare un ambiente, assumono anche contorni minacciosi: “Un fascio di sole/ taglia la stanza tutta”. Oppure: “Stamattina a Praga il sole spiove/a tagli accecanti” Il verbo tagliare o i suoi deverbativi ritornano sette volte in queste prime pagine. Se l’inquietudine è un tratto distintivo di questa poesia, allora la ricerca della pace ne sarà l’inevitabile corollario. Già nella prima pagina troviamo “un grande bisogno di calma”; e, a p. 35: “Mi ha sempre colpito la calma di certi treni di periferia”; ancora: la “Moldava/fiume del destino, scorreva/placida” e a p. 41: “l’acqua verde”, umanizzandosi, “riposa”. In Versiliana la parola “pace” ricorre ben tre volte nel brevissimo giro di pochi versi. Anche l’io lirico si definisce, con felice espressione ossimorica, “perenne avventizio” e perciò simile ai viaggiatori, anzi ai barbari,
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che, in JFK, invadono l’aeroporto. Ma marca una sostanziale diversità da loro: tale sua peculiarità consiste nel suo continuo “documentare”; per sconfiggere l’ansia bisogna lasciare una traccia di sé, del proprio passaggio sulla terra; questo potrà avvenire se si riuscirà a documentare la propria esperienza del mondo e delle cose: “Ed io perenne avventizio, non sono forse un po’ come loro se non in questo mio inesausto raspare, e intrepido documentare?” Dove la parola- rima “documentare” è collocata da sola a fine di verso, un verso quindi univerbico alla maniera di Ungaretti, che si ispirava al concetto di durata teorizzato da Bergson. E la sua opera è definita inesausta, intrepida. C’è quindi qualcosa di eroico in questo tentativo del poeta di sottrarre alla rapina del tempo, quasi proustianamente, i luoghi, le persone che il caso gli fa incontrare nel corso delle sue peregrinazioni. Quindi mentre il viaggio di tanti viaggiatori inconsapevoli può essere visto come un insensato muoversi, motivato da inquietudine, ansia, e non portare alcun rimedio, perché un giorno i turisti riporteranno in patria le loro ossa scontente, il viaggio del poeta è giustificato dalla sua funzione nel mondo. Anche il poeta, dunque, vive in quella che Auden ebbe a definire l’età dell’ansia ; anche lui come tutti sta sospeso ai margini dell’ abisso, “sul baratro del vuoto”, per usare le sue parole; ma c’è un filo invisibile a cui aggrapparsi, qualcosa che possa esorcizzare il pensiero della morte. Questo qualcosa è il regesto, il registro su cui registrare tutto ciò che vede; egli si definisce un regestatore. Ed ecco, ad esempio, che, in calce alla poesia JFK, viene riportato con esattezza il luogo, l’aeroporto Kennedy, la data, addirittura l’ ora. Siamo al diario di bordo; significativamente Luigi Fontanella ha intitolato una sua opera Diario di viaggio. “Di quanti aeroporti sono stato regestatore di efemeridi”, afferma il poeta nella primissima pagina del libro.
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Funzionale all’attività di regestatore è il vedere. D’altronde la radice del verbo vedere è in greco la stessa della parola storia. Un altro aspetto che si potrebbe analizzare è quindi il punto di vista. Sebastiano Aglieco giustamente osserva nella prefazione che New York è “sempre descritta… dalle finestre della casa”. Una volta un critico ebbe a dire di Carducci che il mondo lo aveva conosciuto guardando dalla finestra del suo studio. Ebbene spesso nei versi di Luigi Fontanella la specola alta è quella indicata nella prefazione. Citiamo solo a p. 41: “E si resta- viso sul vetro- a guardare”. Ma c’è un’altra situazione cara al poeta. Spesso l’io lirico si sorprende a osservare seduto, in disparte, scene in movimento. Nella bellissima poesia già citata, Volksgarten , il poeta osserva un nugolo di bambini, impegnati in una danza aerea e leggera che fa pensare a certi quadri di Matisse: “ bambini…/ Si rincorrono festosi in un angolo/del parco, come danzanti al suono/di questa pianola, lievi ed effimeri/come le bolle di sapone/che si stanno soffiando/gaiamente tra loro”. Altrove il poeta osserva uno sciame di giovani che schiamazzano, o due innamorati che si baciano. L’atteggiamento di chi dice io nel testo richiama da un lato l’Esterina di Montale, osservata da uno della razza di chi rimane a terra. Abbiamo, d’altro canto, una situazione analoga in Ricordi di scuola di Giovanni Mosca. Dove l’io narrante è un maestro che accompagna i suoi scolari in gita. I bambini sciamano incontenibili, mentre lui è come bloccato, sopraffatto dalla piena dei ricordi, che urgono dentro e quasi gli impongono di fermarsi, appoggiato alla ringhiera, per poterli rivivere, assaporare, analizzare. Non è estranea a questo atteggiamento la presa di coscienza di un salto generazionale, di una differenza tra generazioni; ad es. in Maschi di San Diego l’io lirico osserva con occhio giudicante la “carne smargiassa”di giovani, che “bevono chiassosi dentro e fuori i pub”. Perché questa registrazione sia valida, per-
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ché possa effettivamente sottrarre l’opera dell’autore al destino di oblio che attende gli altri, “i barbari”, si deve però fare ricorso e appellarsi all’autorità di complici e modelli: ed ecco una caratteristica importante di Disunita ombra : la letterarietà. In molte poesie le citazioni o le allusioni sono ben evidenti e volute. L’opera di Luigi Fontanella si può leggere dunque a diversi livelli. Innanzi tutto il Nostro non disdegna di collocare versi di poeti a guisa di epigrafe. Mi ha colpito la citazione da Leopardi: “Già tutta l’aria imbruna”, per tre ordini di motivi: perché è anonima, è messa tra parentesi, è scritta in corsivo. L’autore dello Zibaldone teorizzava l’infinità del desiderio e la brevità del piacere; di qui la noia. La noia, d’altra parte, è la sgradita compagna di Norbert nel Bertgang, il poemetto che è collocato nell’ultima sezione del libro. Leggiamo a p. 16: “La vita è un continuo desiderio o uno scarto / infinito”. Ma il grande Recanatese è anche il poeta dell’ infinito e dell’indefinito. Leggiamo in Volksgarten :“camminiamo in mezzo a roseti infiniti/che Emma fotografa uno per uno/ minuziosamente…”, dove l’aggettivo “infiniti” risalta ancor più dall’antitesi che si viene a creare con l’avverbio “minuziosamente”. E pochi versi più giù: “D’improvviso/mi distrae il suono leggero/di una musica indefinita” (forse/d’una nascosta pianola nel verde)”; qui la poetica dell’indefinito si sposa alla teoria del suono che proviene da una località indefinita. Pascoli fece tesoro di questa teoria. Basterà citare il “non veduto borgo montano” dell’ Ora di Barga. Ancora: “ Si ode , di lontano”. Sempre nel Sabato del villaggio abbiamo “Odi lontano”. Ancor più pregnante l’ espressione “chissadove”, presente nella Pioggia nel pineto di D’Annunzio, e cara a Luigi Fontanella, che la usa anche in Versiliana, dove la letterarietà giunge al suo vertice. La Versilia è infatti luogo cantato e celebrato da molti poeti. Qui la pace ( e ritorniamo al binomio ansia-pace) è invocata per ben tre volte con movenze carducciane. Carducci scrisse “de la Versilia che nel cor mi sta” .
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Qui però sono riprese movenze carducciane tratte da un’altra composizione, esattamente dal sonetto Traversando la Maremma toscana . Il verso carducciano“Pace dicono al cuor le tue colline” sembra riecheggiato da Fontanella: “Pace/dice al cuore l’albero generoso”. Nella Versilia è poi ambientato l’Alcyone di D’Annunzio, a cui sembra rifarsi l’immagine degli ulivi che “ si stagliano…di lontano (ancora la poetica del lontano e indefinito) in tutto il loro sacro lucore”. Viene in mente, infatti, La sera fiesolana, in cui si parla dei “fratelli ulivi/che fan di santità pallidi i clivi”. L’aggettivo “sacro” del testo di Fontanella corrisponde alla “santità” del modello, mentre il sostantivo “lucore”richiama l’aggettivo “ pallidi”. Neppure gli animali sfuggono all’ inquietudine, a questa ‘puntura dell’eterno assillo’, che sembra spingere incessantemente ogni essere vivente e interessare ogni aspetto del mondo naturale. Tra gli animali un ruolo importante ricoprono i gabbiani, che, nel nostro immaginario, sono animali misteriosi. Chi non ricorda la poesia di Cardarelli: “Non so dove i gabbiani abbiano il nido/dove trovino pace”. Anche nei versi del Nostro il gabbiano non ha nido, anzi ha fatto “dell’aria/aperta la sua dimora”. Ancora in Versiliana , “un uccellino / forse chiama un altro sperso chissadove”, dove l’indeterminatezza dell’espressione “chissadove” aggiunge un alone di mistero a questi esseri intermedi tra la terra e il cielo. Ma c’è di più: un’intera sezione è intitolata “Animali”. Son tutti esempi di fedeltà, altruismo e dedizione: quello della cavalla al compagno cieco in Sherwood - Jayne Field: “Ho sentito il lieve suono di un campanello…/ Proveniva dall’altro animale: una cavalla /un poco più piccola. Alla sua cavezza un campanellino/che permetteva al suo compagno cieco/di sapere dove lei si trovava/e così di seguirla…//La femmina ogni tanto ritornava sui suoi passi/controllando di continuo il suo compagno/che non appena udiva il cam-
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panello/docilmente si muoveva verso di lei”. Fedeltà eroica fino all’abnegazione e al sacrificio di sé troviamo nelle altre due composizioni: nella prima,l’attaccamento alla propria casa-barca del cane Athos, che non accetta l’idea di abbandonare la sua nave e, dal rimorchiatore che lo sta traendo in salvo, “si getta in acqua, mare in tempesta, arranca verso la sua Jolly amaranto, ma non ce la fa: un’onda più alta lo sommerge per sempre.” Nella seconda, il maschio della cicogna si erge come estremo baluardo e fa schermo col suo corpo per fermare la corsa impazzita di un’auto uscita di strada,“eroico difensore/ del suo nido”. Forse il messaggio che ci arriva da questi esseri ‘semiparlanti’ è questo. Per affrontare il mistero della vita e l’enigma che si cela nella metafora della poesia (“le metafore parlano per enigmi”, dice Aristotele) bisogna essere “intrepidi”. “L’enigma, infatti, secondo Giorgio Colli, citato da Luciano Parinetto, nella introduzione a un’ antologia delle poesie della Dickinson, impone un rischio mortale, come sa Omero, che, secondo una leggenda, perì per non aver risolto un enigma. Con l’ enigma, ne va della vita.” Fabio Dainotti
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Poi la vita, il lavoro, altre Regioni ( ma quella mia Liguria, sempre, nel cuore). Stavolta ci sono anch'io, qui ed ora. Dopo una vita nel mondo della scuola eccomi ritornato, per vivere il tempo indefinito che mi resta, continuando a cantare d'amore. Gli abbocchi e i guizzi crèmisi nella vasca a zampillo tra i falangi, la gazzarra felice degli uccelli fra i rami più alti dei pini, due gabbiani solenni che planano lungo il torrente San Francesco, a Rapallo, in un vociare di anatre, sotto il vibrante viadotto di un'autostrada sospesa sul mare. Certe giornate di Liguria, nonostante le amare assurdità del mondo, potrebbero essere, ancora, fatate. Luigi De Rosa
Luigi Fontanella - Disunita ombra - Rosalina Archinto - Pagg. 120, € 12,50
(poesia letta l'8 giugno 2013 al Recital di Borgio Verezzi (Savona) dei poeti del “Gatto Certosino” di Genova, Associazione presieduta da Rosa Elisa Giangoia)
LA “MIA” LIGURIA
L’ANIMA MIA
( Dopo lunga e travagliata navigazione sono arrivato al punto di partenza ) Nel mattino dell'adolescenza e nei tormenti della giovinezza, a Loano e all'isola Gallinara, sulla roccia cosparsa di ciuffi e di piccoli tronchi scabri scolpiti nel cristallo dell'aria, cantai l'ebbrezza della solitudine, sopra una nave di roccia immobile nell'azzurro fluttuante.
L’anima mia è la mia più vicina e ogni giorno mi segue con amore e dedizione e viviamo povera una vita fatta di dolore e di speranza ma siamo luce. Loretta Bonucci
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DON ELEUTERIO
GAZZETTI, PITTORE E POETA, NEL RICORDO DI DOMENICO DEFELICE di Luigi De Rosa
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L Croco n° 111, supplemento al n° 5, maggio 2013, della rivista mensile Pomezia-Notizie, quaranta pagine riccamente illustrate, è stato dedicato, dal Direttore Domenico Defelice, a Eleuterio Gazzetti. Dal 1954 parroco di Sozzigalli di Soliera (Modena), sulle rive del fiume Secchia, don Eleuterio, nato nel 1917, ordinato sacerdote in piena guerra mondiale ( nel 1944), è rimasto fino alla morte a Soliera, terra del lambrusco e di tenaci agricoltori. Poeta per natura e artista autentico, forte e dotato anche di senso pratico, ha provveduto non solo ai bisogni religiosi della sua parrocchia, ma anche a quelli materiali, esercitando con maestria la pittura figurativa. Ha partecipato con sue opere a molte Mostre collettive, ma ne ha tenuto anche una ventina di “personali”, vendendo quadri a una media di un milione, un milione e mezzo ( di lirette di non molti anni fa...). Regolarmente “catalogato” nel Bolaffi, negli Amici del Quadrato, etc.
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Domenico Defelice, che fin da giovanissimo era appassionato non solo di letteratura e giornalismo, ma anche di pittura come critico d'arte, talent scout e operatore culturale, ne ha studiato l'opera fin dal 1964, per più di trent' anni, l'ha seguita e favorita col suo gusto e la sua sensibilità di critico , di recensore e di presentatore al pubblico. Egli avrebbe voluto curare la pubblicazione di tutta l'opera gazzettiana, sia letteraria che pittorica, ma ostacoli imprevisti sono sorti a vanificare questo progetto. Comunque Defelice è sempre stato un tenace, e non molla. Ancora ritiene che l'intera opera di don Gazzetti, un “prezioso materiale”, debba essere data alle stampe per salvarla dall'oblìo. Questo suo prezioso saggio-raccolta su don Gazzetti si articola in quaranta pagine suddivise in tre “Parti” ( il saggista e il pittore, Il poeta e lo scrittore, Le lettere). Mentre le prime due parti fanno conoscere al lettore la vita, l'ambiente geografico e storico in cui si svolse la vita del sacerdote-artista, la Terza riporta le lettere intercorse fra Defelice e don Gazzetti, divenuto negli anni un affettuoso amico di Domenico e della sua famiglia ( la signora Clelia e i bimbi). Ma non si tratta di un vero e proprio epistolario-carteggio fra il critico e il pittore, o fra
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due poeti che si scambiano impressioni e giudizi sui rispettivi libri. Qui le lettere sono...a senso unico, perché sono tutte di don Eleuterio indirizzate e spedite a Defelice. Di quest'ultimo ce n'è una sola, indirizzata all'Ill. Scrittore don Eleuterio Gazzetti. E' in data 8 ottobre 1971, ed è l'unica minuta conservata (peccato!). Ma anche da questa unica lettera di Domenico , nonché dal contenuto e dal tono di tutte quelle di don Eleuterio, si può ricostruire l'atmosfera e il gusto di un intero periodo della “nostra” vita. Non sono poi passati che ...una quarantina d'anni, eppure vi si ritrova tutto un mondo che ...in buona parte è cambiato. Questo omaggio di Domenico Defelice è affettuoso e generoso. Le quaranta pagine del “Quaderno” sono impreziosite da illustrazioni a colori e in bianco e nero, quasi tutte di dipinti di don Gazzetti. In copertina campeggia una foto a colori con i due amici ( scattata
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nello studio della Canonica di Sozzigalli il 18 settembre 1972) sullo sfondo di una parete tappezzata di quadri, e tra libri e riproduzioni d'arte su un tavolo. C'è da immaginare quale stupenda opera risulterebbe la pubblicazione in unico volume di tutte le opere letterarie e di pittura del sacerdote artista, curata da Domenico Defelice e illustrata graficamente dai dipinti di don Gazzetti. Tra quelli riprodotti in questo “Croco”, per esempio, possiamo ammirare i caldi e intensi colori di una “Natura morta” del 1970, di una “Malinconia”del 1965, di un “Dopo la spannocchiata” del 1971 e di una “Madonna con bambino” del 1985. Luigi De Rosa Pag. 16: Eleuterio Gazzetti: Campi mietuti, 1970 - olio su tela 80 x 60. Qui a fianco: Eleuterio Gazzetti: Il pianto delle Pie Donne, 1972 - olio su tela 40 x 60.
NEW YORK, NEW YORK! a Riccardo Carnevalini Milano Da New York giungeva la tua voce emozionata. Raccontavi d’un Parco dalle acque verdi, di fenicotteri e zampilli ed oche a navigare. Sei rientrato oggi portandoti una scatola che, aperta, si trasforma: al centro, il lago-stagno, la ferrovia all’intorno, nel deposito della stazione una locomotiva d’antan, del tempo degli Apaches. Sei ancora elettrizzato. Racconti del volo e delle hostess, di alberghi e di saluti e okay okay! Mi sembri ormai un bambino navigato. Domenico Defelice 14.05.2013
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LA FUNZIONE CONSOLATRICE DELLA PAROLA POETICA
LEOPARDI, ZIBALDONE, I, 351, 1 di Elio Andriuoli
S
CRIVE Giacomo Leopardi in un passo dello Zibaldone: "Hanno questo di proprio le opere del genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ... servono sempre di consolazione, raccendono l'entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta", La poesia cioè, come tutta l'arte, "apre il cuore e ravviva". Tutto ciò appare particolarmente evidente per la poesia leopardiana, la quale, benché contenga una concezione desolata della vita e del mondo, racchiude in sé una grande virtù consolatrice, per il vagheggiamento della natura, che vi è sempre affettuosamente presente, e per la forza del sentimento che esprime. Basta leggere A Silvia, Il passero solitario, La sera del dì di festa, Le ricordanze, Il tramonto della luna, La quiete dopo la tempesta, ecc. per rendersene conto. Trattandosi di poesie molto note, riteniamo inutile fare qui citazioni da esse. Ma non soltanto alla poesia leopardiana si attaglia il pensiero succitato, bensì a molte altre poesie di autori che hanno avuto una visione pessimistica dell'esistenza e tuttavia, per la robustezza e l'incisività della loro voce, schietta ed intensa, riescono ad avvincere e a conquistare il cuore di chi li legge. Ciò è vero innanzi tutto per Camillo Sbarbaro, un poeta che più di altri espresse una concezione desolata della vita e un sentimento di sofferta estraneità nei confronti del genere umano; ma che più di altri appare delicato e commosso nelle sue poesie (oltre che in molte sue prose), come accade nei versi che qui riportiamo, nei quali palese è il contrasto
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tra apertura e chiusura al mondo e alla vita: Talor, mentre cammino solo al sole e guardo coi miei occhi chiari il mondo ove tutto m'appar come fraterno, l'aria la luce il fil d'erba l'insetto, un improvviso gelo il cor mi coglie. ... Perché a me par, vivendo questa mia povera vita, un'altra rasentarne come nel sonno, e che quel sonno sia la mia vita presente. Come uno smarrimento allor mi coglie, uno sgomento pueril. Mi seggo tutto solo sul ciglio della strada, e carezzo con man che trema l'erba. (Talor, mentre cammino solo al sole da Pianissimo) Vi è qui una dolorosa concezione dell'esistenza, ma vi è anche la stupita percezione della natura e dei suoi doni, visti con sguardo affettuoso ed aperto: il che è ciò che maggiormente affascina in questo poeta. Ora tutto ciò è vero anche per altri poeti del nostro Novecento, come Eugenio Montale, Cesare Pavese, Giorgio Caproni (specie l'ultimo), per non fare che alcuni dei nomi più noti. Che cos'è che affascina in questi poeti, tanto da far sì che in essi il significante assuma la funzione del significato? E' la netta freschezza delle sillabe, la calibrata novità della parola, il ritmo e la segreta armonia. Si legga da Montale: E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. (Meriggiare pallido e assorto, da Ossi di seppia) Tendono alla chiarità le cose oscure,
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si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture. (Portami il girasole ch'io lo trapianti, da Ossi di seppia) Bene non seppi fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. (Spesso il male di vivere ho incontrato, da Ossi di seppia) Qui ciò che più colpisce è il contrasto tra la negatività dei contenuti, che ricalcano l'irrazionalismo e lo scetticismo del filosofo Giuseppe Rensi (del cui insegnamento Montale non era stato ignaro), e il forte timbro della voce, alta ed intensa. Così è anche per la musica fonda e pacata di certe pagine di Cesare Pavese, intessute su di un ritmo del tutto diverso, ma ugualmente godibili (pur nel sentimento di desolata tristezza che esprimono), come queste di Lavorare stanca, col loro andamento lento e maestoso, che evoca quello dell'esametro classico: Nel ricordo compaiono le grandi colline vive e giovani come quel corpo, e lo sguardo dell'uomo e l'asprezza del vino ritornano ansioso desiderio: una vampa guizzava nel sangue come il verde nell'erba. Per vigne e sentieri si fa carne il ricordo. La vecchia, occhi chiusi, gode immobile il cielo col suo corpo d'allora. ... Per le vigne distese la voce del sole aspra e dolce sussurra nel diafano incendio, come l'aria tremasse. Trema l'erba d'intorno. L'erba è giovane come la vampa del sole. Sono giovani i morti nel vivace ricordo. (La vecchia ubriaca, da Lavorare stanca)
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Raggiunta è qui la compiutezza del dire, come raggiunta è nei versi che seguono, sempre tratti da Lavorare stanca: Sono rimasti uva e pane sul tavolo bianco. Le due sedie si guardano in faccia deserte. Chissà il solco di luna che cosa schiarisce, con quel suo lume dolce, nei solchi remoti. ... Più diffusa del giallo lunare, che ha orrore di filtrare nei boschi, è quest'ansia inesausta di contatti e sapori che macera i morti. (La cena triste, da Lavorare stanca) Nonostante la sua profonda diversità dalle precedenti, considerazioni analoghe possono farsi per la poesia dell'ultimo Giorgio Caproni, quello de Il muro della terra, Il franco cacciatore, Il Conte di Kevenhuller, in cui, seguendo i lampeggiamenti e le intuizioni di un discorso a-logico, conseguente alla perdita delle coordinate spazio-temporali, il poeta giunge sull'ultima frontiera, dove però non trova Dio, ma il gelo del nulla: Avevamo frugato fratte e sterpeti. Avevamo fermato gente - chiesto agli abitanti. Ovunque solo tracce elusive e vaghi indizi - ragguagli reticenti o comunque inattendibili. Ora sapevamo che quello era l'ultimo borgo. Un tratto ancora, poi la frontiera e l'altra terra: i luoghi non giurisdizionali. L'ora era tra l'ultima rondine e la prima nottola. Un'ora
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già umida d'erba e quasi (se ne udiva la frana giù nel vallone) d'acqua diroccata e lontana. (L'ultimo borgo, da Il franco cacciatore) Questi uomini che avevano invano frugato fratte e sterpeti, senza nulla trovare se non tracce elusive e vaghi indizi, paiono costituire come l'allegoria di un'umanità stanca e delusa, che invano va alla ricerca del Trascendente, senza però trovarlo. Il contenuto è quanto mai drammatico ed esprime uno stato d'animo di oscuro tormento; eppure il discorso estremamente musicale, creato delle spaziature e dagli stacchi che isolano le parole; i periodi rapidi e concisi; l'andamento sicuro e nervoso, nascente dai frequenti a-capo, generano un estremo godimento estetico, che va ben oltre la negatività del significato, lasciando stupiti e ammirati. Il dolore, la disperazione, il sentimento del nulla si trasformano dunque in questi poeti, come dice Giacomo Leopardi, per il magistero dell'arte, in poesia e talvolta in grande poesia, che rallieta nel profondo e rischiara. "E lo stesso spettacolo della nullità, è una cosa in queste opere, che par che ingrandisca l'anima del lettore, la innalzi, e la soddisfaccia di se stessa e della propria disperazione": sono ancora parole del Leopardi, che alle precedenti fan seguito, e com'è evidente contengono uno dei passi più significativi e profondi del suo Zibaldone. Elio Andriuoli
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DUBBIO Musica, dolce amica, opera di compositori immortali, musica grande, eseguita da interpreti eccezionali, musica conservata in centinaia di audiocassette … Immagini di lontani viaggi fatti in compagnia di persone amate, immagini e filmati emozionanti per bellezza o ricordi, o divertenti e conservati in centinaia di video … Suoni e immagini collezionati nel corso di una vita per riviverli in vecchiaia quando il corpo non potrà più viaggiare … Suoni e immagini ancora tutti o quasi da catalogare, mentre continua la raccolta e manca il tempo per poterlo fare … Tanto c’è ancora che interessa, tanti gli impegni e le amicizie che reclamano il mio tempo … La vecchiaia - forse è ancora lontana. Mariagina Bonciani Milano
COCCINELLA AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! Nel 1977 un Enrico B (Berlinguer) ha sostenuto il Governo di soli democristiani di Giulio Andreotti; oggi, un altro Enrico (Letta), guida un Governo in tandem con un altro B (Berlusconi). Alleluia! Alleluia! Ma c’è del miglioramento e dell’avanzamento a Sinistra? Domenico Defelice
Una chiazza là, una qua, rossa color dell’amore, nera, piccoli punti, tenera, vola leggera, visione di vivacità, giornata leggera. Laura Catini Roma
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Ricordo di un bibliotecario:
VITO CONSOLE di Leonardo Selvaggi I NDIMENTICABILE la figura di Vito Console, valido bibliotecario della Nazionale di Torino. Lo vedo ancora nella sala dei cataloghi venire incontro dall’aspetto alacre e la schiettezza di sempre. Dal 1964 al 1998 il suo servizio, prestato con continuità costante, con prestezza e nel suo muoversi schietto di sempre, sembrava che gli fosse connaturato, ricordando le sue qualità di animo generoso, semplice, con una disponibilità che veniva dal suo intimo con immediatezza e quella passione che gli dava un senso di praticità, di prontezza doverosa verso i compiti assegnatigli. Lo si vedeva dappertutto, in un tutto insieme con l’Istituto, quasi si confondeva la sua figura con i cataloghi bibliografici. Un lavoro minuto di revisione, di attenzione, fatto di confronti, di richiami. Le schede dalla sua mano venivano rettificate, ordinate con le dovute correzioni. Del suo lavoro aveva fatto ragione di vita. Veniva fuori una scheda perfetta da mettere al posto di quella difettosa, dopo le necessarie integrazioni. Lo si vedeva sempre con una o più schede in mano, frettoloso, di qua e di là, nei magazzini librari, in sala di consultazione. In tutti i reparti lo si incontrava; la scheda bibliografica costituisce sempre il punto di partenza per le ricerche di materiale di studio. Tutta la consistenza libraria si riporta al catalogo. Vito Console è il bibliotecario attorno a cui ruotano le varie operatività della Biblioteca. Il suo lavoro di sostituzione, di rifacimento di schede consentiva al lettore di avere una più sicura corrispondenza con l’opera relativa. Vito Console è stato un operatore metodico e competente: suscitava nei colleghi simpatia, rapporti di benevolenza. Ha sostenuto con piena convinzione l’importanza del catalogo cartaceo, anche dopo che si è instaurato l’uso del computer. Le schede devono riportare tutti gli elementi costitutivi per dare co-
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me in una sintesi, attraverso il titolo e tutti i dati bibliografici espressi una chiara rappresentazione del volume. Le schede, in gran parte riviste, si vedevano rinnovate e si fissavano nella mente, diversamente da quello che si verifica davanti al computer, noi osserviamo qualcosa di labile che sfugge, in diafana presenza. II Un bibliotecario, Vito Console, attaccato alla tradizione, niente di artificioso, ma concretezza. Anche il lettore si voleva vicino ai libri con amore per giornate intere, seduto nella sala a studiare, a prendere note, a sfogliare le pagine come per ripassare nella mente le parti di cui aveva preso già gli essenziali contenuti. Vito Console rispondeva bene con impegno partecipativo alle reali attese dei frequentatori della Nazionale di Torino. Dai cataloghi alle informazioni bibliografiche correva un unico legame. Vito Console con ansia e una certa soddisfazione rispondeva alle richieste dei lettori; dal catalogo per soggetti e per titoli ai magazzini librari si faceva guida premurosa, quasi con un fare emotivo. Si accompagnava con lo studioso per un subitaneo collegamento tra le schede catalografiche e la consultazione delle bibliografie nazionali e internazionali e di vari altri strumenti di informazione. Una complessa esperienza professionale quella di Vito Console che si faceva conoscenza integra e organica. Un bibliotecario che riassumeva le varie attività di servizio funzionanti in Biblioteca. La sua praticità lo faceva amico di tutti i colleghi e di tanti frequentatori dell’Istituto, insomma un vigile collaboratore senza presunzione, considerata la sua persona dotata di senso di comprensione, oltre ad essere animato da cordialità e da modi semplici: caratteristiche che alla stessa Biblioteca davano vantaggio per un suo ottimo funzionamento. Al Direttore riusciva spesso difficile poterlo rintracciare. Poteva essere nel settore acquisti, parlando con l’ addetto operatore delle opportunità di riempire dei vuoti presenti in alcune collezioni o nei magazzini, questa volta per accertarsi che
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fosse presente proprio il volume descritto nella scheda. Vito Console nei suoi giri non aveva soste, era il bibliotecario che di rado si vedeva seduto al suo posto. III I suoi anni di servizio, trascorsi alla Biblioteca Nazionale di Torino gli avevano arricchito le inclinazioni natie: con la benevolenza e la remissività si combinavano le ottime qualità di servitore dei Beni librari, disciplina, rigorosità, l’abitudine alla esattezza, oltre che alla riflessione e fermezza di idee che manifestava e sosteneva con ostinata insistenza. Tutto amore e orgoglio di appartenere a un grande Istituto di cultura. Aveva acquisito di certo una professionalità completa di tutti gli elementi. Queste doti delineavano chiaramente la figura di un bibliotecario apprezzato, il suo carattere bonario non mancava di una certa propensione all’espressione vivace e scherzosa che lo portava ad essere soprattutto di grande spontaneità. L’immediato rapporto che creava con i lettori e la capacità di saper dare assistenza nelle ricerche bibliografiche lo rendevano subito a prima vista un entusiasta e appassionato operatore della Nazionale. In virtù di quanto detto, Vito Console ha contribuito molto alla crescita dell’utenza, tenendo a cuore, con la presenza di protagonista, lo sviluppo delle attività bibliotecarie di un Istituto per storicità fra i più prestigiosi di Torino. Nel passaggio dalla vecchia sede di via Po a quella nuova di piazza Carlo Alberto Vito Console si trovava acquisite ricche conoscenze di carattere generale, necessarie per dedicarsi agli specifici lavori di informazione bibliografica e a una più sistematica applicazione nei compiti di revisore dei cataloghi. In una sede moderna ci si dedica con più abilità e modi adeguati, considerato l’arricchimento ritenuto necessario di più ampi strumenti di ricerca, sistemati con razionalità in sale spaziose e atte ad una funzionalità ed efficienza di migliorati servizi al pubblico. IV Vito Console, nel ricordare la sua amata e
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benvoluta persona, lo vediamo con più padronanza nell’esercizio delle sue funzioni. Dà il meglio di sé, con senso di piena responsabilità, con una prontezza più doviziosa a servizio degli utenti. Le schede si fanno infinite, considerato che la Nazionale di Torino è la quarta per importanza come consistenza libraria in Italia. I cataloghi si amplificano in relazione alla ristrutturazione delle sale di consultazione e l’aumentato volume di nuovi acquisti librari. Il lavoro ai cataloghi si raddoppia, si raffina, si qualifica; si dà una più manifesta importanza al patrimonio librario, strumento primo di documentazione. La Nazionale di Torino nella nuova sede ha una più aperta vitalità, l’utenza si è amplificata, i servizi hanno più snellezza, superando limitazioni e modalità divenute antiquate. Più unitarietà, più rappresentatività nell’ambito della cultura torinese. Una Biblioteca per un pubblico più esigente in periodi felici per l’intera città. Vito Console con le sue prestazioni, che non cambiano, è in sintonia piena con operatività più intensificate. In primo piano il rapporto con il pubblico, fondamentale nell’ ambito della crescita delle funzionalità e dei compiti specifici di promozione culturale. Vito Console un bibliotecario che si inquadra bene nell’ambiente di un Istituto moderno con strutture più adeguate, senza mai disancorarsi da quelle forme tradizionali che ne costituiscono lo spirito e l’aspetto di autenticità che danno stimolo, progresso, esemplarità per le evoluzioni culturali. Abbiamo in mente le figure di bibliotecari illustri e geniali bibliografi del passato, appassionati che vedevano gli Istituti come una seconda casa, frequentati fino a tarda sera. Ricordiamo i lettori di alcuni decenni addietro, trascorrevano lunghe ore nelle sale in piena serenità con amore verso il libro, visto come alimento necessario, corroborante in tempi morigerati, ordinati con assiduità nelle occupazioni, non li abbiamo oggi, si legge poco, si è superficiali, annoiati e poco inclini ad istruirsi. Nelle Biblioteche, oggi un pubblico di passaggio, sbrigativo, non vuole vedere il libro, è ingombrante e dà fatica, si chiedono le fotocopie. Il libro non è
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più visto come strumento spirituale soprattutto, per rendersi migliri nei rapporti sociali, più preparati in campo professionale. Il compianto Vito Console l’abbiamo sempre vicino, come lui vediamo la Biblioteca sempre nell’aspetto del più importante Istituto di una città, tutte le strade dovrebbero portare ad essa, vitalità primaria, umanizza, avvia processi evolutivi, con sana proficua passione per la cultura, che aprono cammini di progresso civile. Leonardo Selvaggi L’AQUILONE Non ho mai avuto un aquilone. Ora, che sono adulto, non mi si addice più: oggi questo vento non è mio, appartiene ai ragazzi i quali hanno la giusta età per goderselo, per sorridere, gridare felici con gli occhi rivolti al cielo, alla vita, al sole ed alla speranza del primo amore forse già nascosto nel campo fra l’erba e le viole. Mariano Coreno Melbourne - Australia
IL TUO PENSIERO
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"Buonasera !!! " Sei grande, Papa Francesco! Sei arrivato "dall'altro mondo" sulle ali del sorriso e ci hai conquistato con la tua Semplicità. Contagio C'erano le stelle nel cielo della sera, bel tempo preannunciavano. Nuvole nere al mattino e pioggia in arrivo. Pure le stelle hanno imparato a mentire. Antonia Izzi Rufo GRAZIE BUON DIO Grazie buon Dio per il nuovo giorno che mi doni. Grazie buon Dio per tutto ciò che mi hai donato. Grazie buon Dio dei malanni che addolorano la mia vita e avvivano l’amore che ho per Te mio Dio. Loretta Bonucci
Il tuo pensiero che non mi abbandona oggi sei tu che forse ti fai presente a me non più nel sogno, ma al mio fianco mentre cammino per la strada verso casa.
Triginto di Mediglia, Mi
E al mio rientro sento che insieme a me anche tu sei rientrato e qui presente resti con me. Mariagina Bonciani Milano
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LE FIGURE DI CARLO V E DI FRANCESCO I IN UN DRAMMA DI
ELENA BONO di Liliana Porro Andriuoli
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NA personalità di spicco nelle nostre lettere contemporanee è certamente quella di Elena Bono, una scrittrice che si è dedicata, e sempre con notevole successo, sia alla poesia e alla narrativa che al teatro e alla saggistica. Esordì inizialmente con un libro di poesie (I galli notturni, Milano, Garzanti, 1952), cui seguirono, a soli due anni di distanza, un dramma (Ippolito, Garzanti, 1954) e, dopo altri due anni, un libro di narrativa: Morte di Adamo (Garzanti, 1956; Recco, EmmeE, 1988), una raccolta di otto racconti a sfondo biblico, di cui il primo 1
è quello che dà il titolo al libro . E, con un ritmo non molto dissimile, Elena Bono proseguì nel corso degli anni la sua attività letteraria scrivendo lavori sempre di notevole livello, di cui il più recente, L’ erba e le stelle (Recco-GE, Le Mani), ha visto la luce nel novembre del 2011. Non della sua poesia né della sua narrativa ci vogliamo qui occupare, bensì di uno dei suoi testi teatrali più significativi, anche per l’ importanza dell’argomento trattato, e cioè del dramma in sette scene, Saga di Francesco I e 2
Carlo V . 1
Morte di Adamo contiene anche un racconto lungo di notevole importanza: “La moglie del procuratore”, che costituisce un vero e proprio romanzo, il “vertice” del volume. 2 Recco, GE, Le Mani 2005. In realtà a Carlo V la Bono aveva dedicato già nel 1971 un atto unico, El entierro del Rey (Seppellire il Re), apparso quell’anno su “La Fiera letteraria" di agosto e successivamente nel volume I Templari (Recco, GE, Le Mani 1986), insieme a La grande e la piccola morte e Andrea Doria, ritratto di Principe con gatto. Il monarca asburgico viene qui rappresentato nel momento in cui, ormai stanco e sfiduciato, nel silenzio del monastero di San Yuste, nell'Estremadura, fa il bilancio della sua vita, prima di presentarsi
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In questa Saga, come in molti precedenti lavori, la Bono tratteggia Carlo V non esclusivamente nella dimensione di uomo di stato o di azione di eccezionale livello, quale egli fu nella vita, ma lo fa risaltare essenzialmente nella sua più schietta umanità, rappresentandocelo nel momento in cui, sul punto di compiere il passo estremo, fa un bilancio del proprio vissuto. L’imperatore asburgico è infatti qui colto allorché, circa un mese prima di morire, avverte di dover rendere conto del proprio operato a Colui che sa essere di gran lunga il più potente. Con sottile abilità letteraria l’autrice rappresenta il dramma vissuto da quest’uomo il quale, malgrado sia stato capace di costruire un vasto impero, è ora del tutto incapace di trovare una giustificazione agli errori commessi. Come altrove, anche in questa pièce la Bono ci offre l’occasione di una profonda riflessione su quei valori, eterni ed universali, che riguardano tutti noi, proprio in quanto semplici uomini. Veniamo dunque al dramma e seguiamolo nel succedersi dei vari accadimenti. Fa da sfondo la situazione politica della nostra penisola che, malgrado lo splendore raggiunto in campo letterario e artistico (posto dalla Bono in giusto rilievo, con la comparsa sulla scena di Michelangelo, dell’Aretino e di Tiziano Vecellio e con il richiamo nel testo a Leonardo, Dante e Petrarca), è ancora, al contrario di altri Stati europei, ben lontana dal raggiungimento dell’unità nazionale. Ed è appunto ciò che la rende un paese aperto alle brame espansionistiche dei governanti stranieri, nella fattispecie di Francesco I e Carlo V, che se la contendono. La prima scena si svolge nella tenda, “sfarzosa di arazzi e broccati”, del re francese, il quale viene ritratto dall’autrice in gaia e frivola conversazione con “la Trivulzio”, una dama lombarda, che si auto-definisce “fedele
dinanzi al Giudice Supremo. Il titolo Seppellire il Re sta a significare che dobbiamo estirpare la superbia dai nostri cuori se vogliamo trovare la vera salvezza.
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suddita degli Sforza” . Nonostante fossimo all’alba del giorno della battaglia di Pavia, decisiva per il destino dei due monarchi, Francesco I non si mostra per nulla preoccupato: è convinto infatti, come gli è stato preannunciato in sogno, di essere acclamato “Duca di Milano prima di sera”. Solo nel momento in cui un messo reca la notizia che nel campo nemico è arrivato il temibile “Marchese di Pescara con i suoi dannati archibugieri”, sembra per un attimo incrinarsi l’ atmosfera di festa che aleggia nella tenda; immediatamente però le parole del re: “Vino, vino, musica! Allegria, amici! Honneur et gloire! Et victoire!” riportano la serenità tra i presenti. Diverso è invece il clima che regna nella tenda del sovrano avversario, dove Carlo V, in compagnia di pochi intimi (fra cui la zia, la tutrice Margherita d’Austria ed il suddetto Marchese di Pescara), sta cercando di riposare. Il suo sonno è tuttavia molto agitato perché, come di frequente gli avviene, è turbato da un terribile sogno: si rivede “bambino”, nel giorno del suo compleanno, nell’atto d’ implorare l’affetto della madre (Giovanna la Pazza) la quale, completamente fuori di senno, non si accorge minimamente della presenza del figlioletto e continua a parlare con il marito (Filippo il Bello), già morto e imbalsamato. Un ricordo dolorosissimo per il piccolo Carlo, che ha continuato a tormentarlo anche da adulto. Allo squillare delle trombe di guerra egli però, immediatamente si leva ed incita il suo esercito all’azione: “Alla battaglia, alla vittoria, nel Santo nome di Cristo! Ad maiorem gloriam Dei!”. L’esito della battaglia sarà sfavorevole al re francese, ritratto nella terza scena dalla Bono mentre, nella torre dell’Abbazia della Cervara, affida a un frate del convento una missiva per la madre, recante la celebre frase: “Tout est perdu sauf l’honneur”. Un momento parti3
In realtà i Trivulzio non resteranno a lungo legati agli Sforza, perché, ben presto dimentichi dell’aiuto ricevuto nell’ascesa sociale della loro famiglia, passeranno al servizio dei re di Francia.
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colarmente difficile è questo per Francesco, costretto ad accettare le umilianti condizioni del Trattato di Madrid, con la rinuncia, tra l’ altro, al Ducato di Milano e a qualunque rivendicazione sul Regno di Napoli; e per di più obbligato a lasciare i suoi due figli come ostaggi in Spagna. Quarta scena. Corre l’anno 1527 e siamo a Roma, nello studio di Vittoria Colonna, mentre all’esterno i “Lanzichenecchi” stanno mettendo a ferro e a fuoco la città (sono i terribili giorni del “Sacco di Roma”). La nobildonna, sempre molto attenta alle sorti dell’Italia, e in particolare a quelle di Roma, sta implorando il “novello Cesare” affinché intervenga e faccia cessare quel massacro, ma Carlo dichiara apertamente la sua impotenza di fronte a quelle truppe scatenate e ingovernabili e chiede a sua volta alla potente dama di ottenergli da Papa Clemente “un’udienza molto segreta”. Breve, ma plateale e di grande impatto visivo, è la quinta scena, nella quale, a Bologna, dopo l’incoronazione di Carlo a “re d’Italia” (1530), il corteo papale e quello imperiale, entrano in Chiesa “tra squilli di tromba e rullio di tamburi”. Fra le acclamazioni della folla netta si distingue la voce dell’Aretino che chiede di fare largo al “più grande dipintore di questo secolo”, Tiziano Vecellio, colui che immortalerà nelle sue tele la gloria del sovrano asburgico. Contrasta qui con l’ atteggiamento beffardo e dissacrante dell’Aretino il comportamento riservato del grande pittore, che l’ Aretino intende presentare a tutti i costi a Carlo V per introdurlo nell’ambiente di corte. Differente è il registro usato dalla Bono nella scena successiva, la sesta, quella che rappresenta il fulcro di tutto il dramma. È l’ agosto del 1558 e siamo nel monastero dei Geronimiti di Yuste, nell'Estremadura (Spagna), dove colui che una volta era stato l’arbitro delle sorti di mezza Europa, si è ora ritirato, stanco e deluso, in attesa di presentarsi al cospetto di Dio, (Carlo morirà infatti il 21 settembre dello stesso anno). Il sovrano asburgico avverte l’esigenza improrogabile di fare un bilancio delle proprie
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scelte, di cui solo ora sente tutta la gravità. Se da un lato infatti è orgoglioso di aver dedicato le sue energie alla costruzione di un grande impero cristiano (“Io volevo unificare la terra, sì… ma per il trionfo della nostra santa Fede”), dall’altro è consapevole di essere stato spinto nel suo operare da un’insaziabile “sete di potere” piuttosto che da un’autentica Fede. Così come si accorge dei molti errori commessi, che ora più che mai turbano la sua coscienza: i “compromessi coi luterani”, “le cose che non seppe risolvere” e quelle “che non seppe prevenire” (“Augusta … Smalcalda, il sacco di Roma”); ma soprattutto i “no”, quei “molti no al Papa”, il cui ricordo ora terribilmente lo angustia. Efficacissimo è il modo con cui la Bono conduce la scena: a tali riflessioni il sovrano giunge infatti attraverso un dialogo, che è quasi una confessione, con Fra Mansueto, un umile converso che funge da giardiniere del convento di Yuste: un uomo semplice, un “contadino”, ma dotato di una fede autentica, quale solo i semplici posseggono. La Bono dimostra una particolare sapienza scenica nel presentarcelo, dal momento che egli, pur con un linguaggio rozzo e approssimativo (parla infatti esclusivamente in dialetto), riesce a far breccia nel cuore di un uomo come Carlo V, del quale sa intuire il dramma profondo ed al quale in qualche modo sa anche recare conforto. Il dialogo che si instaura tra Carlo e il frate dà luogo ad una sorta di complesso plurilin-
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guismo, che viene sfruttato dall’autrice con notevole abilità, dato che esso rivela non soltanto il diverso ambiente sociale in cui i due personaggi hanno vissuto e agito, ma anche la loro diversa psicologia e la loro diversa visione del mondo. Il dramma spirituale del sovrano asburgico viene infatti messo in evidenza con grande risalto proprio dal netto contrasto fra la concezione della vita del “rozzo contadino”, tanto avvezzo alla miseria da considerare il peggiore peccato quello di riuscire a placare i morsi della fame (“La bocca la bocca, sempre la bocca! Più me ne mandò la bocca allo sprofondo che tutte le peccata messe assieme”) e quella di Carlo, sempre schiavo della sua prepotente “sete di potere” (“Il potere. Il trono. Voler sedere su un trono, e almeno col cuore non potersene staccare”). Pur nella sua rozzezza però Fra Mansueto ha delle profonde intuizioni e scopre alcune grandi verità, come quella che, chiunque detenga il potere, nulla mai potrà cambiare nella vita della povera gente: perché, egli pensa, “qualche buggero ci deve pure star seduto” sul trono. Non c’è d’altra parte un Padre Priore che comanda anche in convento? Ed “allo pollaio non ci sta domine gallo?”. Non si può mica “cangiare lo mondo”. Una filosofia spicciola, la sua, che lo porta a concludere: “A esso gli è toccata la mala ventura di nascere re. E che colpa tiene esso, poverello? A tutti poteva toccare”. Sarà appunto questa sua disarmante sempli-
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cità e questa sua incrollabile fede a convincere l’Asburgo a recitare insieme a lui l’ “Angelus a Nostra Donna”, “che è madre santa e tutta buona” e ad affidarsi fiducioso all’ onnipotenza di Dio. E nella preghiera con l’umile converso il grande sovrano troverà l’estremo conforto e la speranza del perdono divino: in una parola troverà la pace dell’anima. Nell’ultima scena assistiamo al distacco dal mondo di Carlo: il re è in coma ed ha accanto il confessore; inizia così serenamente il viaggio che lo condurrà “alle rive di Dio”. Il dramma, come sempre avviene in Elena Bono, è storicamente ben documentato e ben ambientato, specie per quanto concerne gli avvenimenti dell’Italia: i riferimenti agli Sforza, a Vittoria Colonna, al Marchese di Pescara, al grande ammiraglio genovese Andrea Doria (che, essendo sulle prime alleato dei Francesi, avrebbe dovuto liberare Francesco dalla Cervara), all’Aretino e al Tiziano contribuiscono a fornire maggiore concretezza ed attendibilità alla figura di Carlo V, la quale emerge particolarmente compiuta dallo scavo psicologico della sesta scena. Qui come altrove, appare inoltre di grande efficacia il linguaggio adoperato dalla Bono per far parlare i suoi personaggi tanto diverso da uno all’altro; così come appare matura la sua arte di rappresentazione degli eventi e come appare acuta la penetrazione psicologica dei protagonisti, i quali assurgono a figure emblematiche dell’intera umanità. Liliana Porro Andriuoli
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DESIDERIO DI VIVERE Desiderio di vivere quando la mente si muove liberata con avida corsa, come il vento che passa su tutte le cose sibilando tra le parti lontane. Oltre il nemico spazio misurato che chiude il possesso degli oggetti individuali. Desiderio di unione, di stare in mezzo alla folla senza il contatto dei pochi che fa sentire la prigionia del corpo. Senza paese per non avere le tombe degli antenati; con i capelli spettinati correndo per tutte le strade. Senza denaro per non conoscere il povero che ha il sedere ricucito di toppe. Né l’ansia di vincere macchierà di sangue le contese: nemico è il traguardo che segna la fine alle ossa stanche di lotte. Desiderio di vedere il viso chiaro delle persone frementi d’amore, per distruggere l’ipocrita faccia dell’uomo che odia e ci fa morire. Leonardo Selvaggi Torino
SPLENDORE
A pag. 26: la poetessa e scrittrice Elena Bono
SALENTO Dolce, sospirato luogo soave è il mio Salento, dove tutto tace nell’ondeggiar del mare, dove pensier fuggono via al ruggir del [vento maestoso, dove i raggi del sol donan rugiada alla pelle, ove le strade son trafficate dal gioco innocente dei bambini e dal mercante che grida l’ultima offerta e la vita scorre così lentamente e serenamente Laura Catini
Facevo il girotondo al ritmo dell’antica filastrocca. Stretta alla cara mano, salivo sul cavallo della giostra e galoppavo lieta. Nei miei disegni coloravo il mondo con le vivaci tinte degli esaltanti giorni che vivevo. Quella fu vera gioia, ma si esaurì nell’arco di un sospiro. Quello fu lo splendore che avvolse la mia infanzia di magia Elisabetta Di Iaconi Roma
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Luci dalla Capitale NON TUTTO È PERDUTO... di Noemi Lusi→
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ONTANA è la primavera dalle strade affollate di una capitale indaffarata, presa da quella voglia di fare che è necessaria per sbarcare un lunario sempre più difficile da fronteggiare. Il vento soffia freddo e sembra quasi che il sole non debba mai a tornare a splendere sulle complesse situazioni che appaiono personali, ma appartengono ad una collettività sempre più preoccupata. Anche nei casi più fortunati, si cammina pensando non a ideali di libertà o a speranze di un radioso futuro, ma cercando di far quadrare conti che spesso proprio non possono tornare. Si incastrano cifre, si compongono puzzle che vedono entrate ed uscite corrispondere soltanto perché si prova e spesso disperatamente si riesce a far collimare importi e date, assemblando pranzi e cene disponendo di comprare là dove si sa che lo sconto è maggiore, impiegando il tempo non ad ammirare il paesaggio romano, set naturale di bellezze artistiche, museo all’aria aperta fruibile da chiunque voglia restarne affascinato, ma passeggiando fra supermercati alla ricerca della promozione di turno. Diversa la situazione di chi è costretto a spostarsi in macchina. Si continua ad elucubrare, fra un giornale radio e l’altro, ascoltando agghiaccianti fatti di cronaca resi meno terrificanti soltanto dall’assurdità di taluni pubblici commenti spesso ad essi connessi, frenando in modo talvolta pericoloso soltanto per potersi accertare di che cosa riporti la scritta, non sempre grande e visibile, del cartello che indica il prezzo della benzina in prossimità dei distributori, ricordando con nostalgia non un’infanzia trascorsa o un amore passato, ma la campagna pubblicitaria che prevedeva un prezzo del carburante concorrenziale durante il weekend, sognando, quindi, quella fila che ci si sentiva intelligenti nel fare perché permetteva di risparmiare durante la settimana. Questi i problemi di chi sta bene, di chi a
fine mese guadagna uno stipendio medio, di chi ancora può permettersi il lusso di potere, attraverso la preoccupazione ed un vero e proprio lavoro di cesello, equilibrare la propria situazione, facendo corrispondere il budget con tutto ciò cui deve far fronte. Molto diversa è la situazione di chi invece è tanto giovane da sentirsi sempre inadeguato, di colui che presentando il proprio curriculum si sente dire che non va bene perché non ha sufficiente esperienza e non può essere assunto proprio perché non ne ha. Più complessa ancora è quella del ragazzo cui è stato rinnovato un contratto a tempo determinato e che sa già che proprio a causa di questa anelata conferma in servizio sarà presto di nuovo disoccupato. Grave e pesante la condizione di chi, ormai adulto, sente parlare del problema dei giovani e non può non essere consapevole del fatto che se il nostro paese rende difficile lavorare a vent’anni, toglie ogni speranza a chi, ancora nel pieno delle forze, viene considerato da non incentivare, per età. Rari i sorrisi spontaneamente elargiti nelle strade di una capitale che pure di mancanza di entusiasmo e voglia di fare non ha mai peccato. Eppure si cammina e si procede con rassegnata, affannosa sopportazione, sperando sempre che il domani riservi una sorpresa che, dentro di noi, sappiamo sarà difficile che arrivi. E’ in questo clima che, a volume altissimo, automobili consumano l’asfalto urbano con potenti megafoni che strillano nomi di persone che dovrebbero costituire la soluzione, fare la differenza o fornire un’alternativa. E’ in
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questa atmosfera che grandi cartelloni, tutti a colori, primeggianti nel loro interrompere la linea del paesaggio locale, del centro o della periferia urbani, vedono personaggi, noti e meno conosciuti, legare la propria immagine ai concetti più disparati, da quello di ‘trasparenza’ a quello di ‘amore’, promettendo ad alta voce, in cambio del consenso, rispetto della cittadinanza ed onore al merito. Montagne di carta inneggiante a questo o quel candidato soffocano le cassette delle lettere degli onesti cittadini che sarebbero ben felici di potersi orientare in modo certo verso una persona di propria fiducia, eletta proprio da loro e convincente per storia pregressa. Un caos di fogli e dati che permette, dunque, al collega di tanti anni fa di mandarci email, non in maniera diretta, ma attraverso la conoscente di turno che possiede il nostro indirizzo, facendo presente che il proprio figliolo si candida e che senz’altro possiamo fidarci della sua integrità morale. In un mare di contrastanti e non sempre attendibili informazioni, occupati come siamo a darci da fare per raggiungere l’impossibile e colmare l’ incolmabile, spesso la notizia dal sapore un po’ casalingo fa breccia nell’animo di chi proprio vorrebbe credere in qualcuno. E’ mezzanotte e venti di sabato 25 maggio 2013 e mentre scrivo e spero in cuor mio di essere riuscita a trasferire con efficacia quanto si sta vivendo giorno dopo giorno nella capitale, è un sms ad interrompere per un secondo la mia concentrazione. E’ di uno sconosciuto, o meglio di qualcuno che sicuramente non conosco personalmente, ma deve aver avuto, chissà come, il mio numero di telefono da ‘altri’ che mi ritengono ‘fidata’ e politicamente dalla loro parte. Si rivolge a me con tono confidenziale, chiedendomi sostegno, ricordandomi che il 26 e 27 maggio sono vicini e dicendomi che cosa esattamente devo fare. Per fortuna mi ringrazia in modo convincente. Allora l’impressione che si ha, che garbo, tatto, decoro, rispetto, misura, eleganza, galanteria, stile e sostanza vadano scomparendo è errata. Dunque non è tutto negativo
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come sembra. Forse possiamo sperare. Mentre scriviamo, siamo prossimi alla fine del giuoco*. Confidiamo nel poi… Noemi Lusi * Al ballottaggio si sono confrontati Gianni Alemanno e Ignazio Marino. Ha vinto Marino. (ndr)
CONTRO LE LUNE Ho sempre chiara, padre, la tua immagine; i nostri sogni, il cielo: prevedere dure gelate a divorare pane, piogge future ad annullare semi; e brezze, e folate affilate a recidere illusioni mai appagate. Eppure si aspettava primavera immaginando anche il suo profumo nel suono nemico dell’urlo invernale. E’ sempre chiara, sì!, la tua visione: tronco schiesato da lame forgiate dal tempo; fronda sfrascata da inverni ribelli; idea appesantita da troppe lune piene. Sì!, ti rivedo ancora qui con me, padre immolato, a regalarmi odori d’erbe offerte alle frullane lucide di sole. Sai, padre! Qui non ci sono più terre feraci disposte a dare vita a querce generose; fronde feconde ad ospitare nidi da allevare. Sulla tue terre crescono le case abbracciate fra loro come pietre di cava sopra storie destinate a finire. Chiedo solo al cielo, a qualcuno, non so a chi – che mi mantenga in seno la tua voce, che mi mantenga in cuore il tuo sorriso, il tuo sagrato profumato d’erba, e la tua voglia, maledetta voglia, di seminare sogni anche nei giorni più neri della notte. Contro le lune. 13/06/2013 Nazario Pardini
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ZHANG XUELIANG E SOONG MEILING: INTRIGHI D'AMORE ALL'ORIENTALE? di Ilia Pedrina
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OME ho promesso a me stessa, agli Amici di Pomezia Notizie, ai curiosi di tutto il mondo che hanno intelletto d'Amore, il parlare di Zhang Xueliang, prima che la biografia su di lui scritta dal grande storico ebreo Aron Shai venga tradotta in Italiano, è diventato un impegno concreto e il primo oggetto di ricerca sul campo, talora spendendo energie sulle fonti storiche, talaltra incontrando personalità della cultura Cinese, che si lascino coinvolgere da questo argomento e talaltra ancora, base questa di ogni mia intrapresa, scavando tra le righe del testo di Shai, vero interprete illuminato e preparatissimo della figura reale e dello spessore spirituale di Zhang Xueliang, oltre che di tutto il contesto storico nel quale sono accaduti gli eventi in questione. Entriamo nel vivo della vicenda. Alla pagina 68 del suo testo trovo scritto e cito in traduzione: “In questo stesso giorno carico di eventi, Zhang inviò un telegramma a Song Meiling (nota al di fuori della Cina come Soong Meiling o Madame Chiang), la moglie di Chiang Kai-shek, spiegando i motivi pregressi della sua ribellione contro il suo maestro e guida. Zhang spiegò con chiarezza che Chiang sarebbe rimasto in Xi'an in stazionamento temporaneo in maniera tale che egli avrebbe potuto riconsiderare tutta la sua politica pienamente. Promise che i cospiratori non avevano alcuna intenzione di usargli violenza morale o fisica. 'La mia coscienza è limpida', scrisse Zhang, e lo posso mostrare in piena luce del giorno. Signora, dovete sentirvi tranquilla, e se desiderate arrivare in Xi'an, siete invitata a farlo.'” (A. Shai, 'Zhang Xuelliang-The General Who Never Fought- ed. Palgrave Macmillan, UK, 2012, pag. 68, trad. di Ilia Pedrina).
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Questa è la prima volta che l'Autore nomina Soong Meiling, partendo dal momento più tragico della vita di Zhang Xueliang, quello del rapimento del Generalissimo, avvenuto il 12 Dicembre 1936: ed è infatti questa drammatica vicenda a consentigli ora, quasi con l' intuito dello scrittore di testi in 'suspense', di portare l'attenzione del lettore su questa avvincente figura femminile, dopo aver ben delineato nel dettaglio quella del Giovane Maresciallo nelle pagine pregresse, bello e curatissimo nell'aspetto, guida militare rispettata dai suoi 400.000 soldati, giocatore d'azzardo, amante delle belle donne, con moglie e concubina. Per i curiosi che hanno intelletto d'amore e desiderio di verità, lei, Soong Meiling o Mei -ling, occupa un posto assai rilevante anche in Internet, il grande oceano mediatico dove si può trovare di tutto! Veniamo a sapere che nasce sotto il segno dei Pesci, per l'astrologia occidentale, il 5 Marzo 1898 e morirà pochi anni fa, nell'Ottobre del 2003, ultracentenaria, a New York; è conosciuta anche come Madame Chiang Kai Shek, Presidentessa della Cina Continentale perché moglie di lui cioè semplicemente Madame Chiang. Una ricca documentazione fotografica ci mostra lei ben disposta all'obiettivo, che sa storico ed in atteggiamenti di una semplicità attraente e carica di suggestione, al punto che vuoi saperne sempre di più. Tra di esse ne scelgo due, la prima, quella con lei seduta che guarda 'divertita' il fotografo ed ha tra le mani, lo si legge benissimo a lettere cubitali, il giornale dell'epoca con la scritta 'COMPLETE SURRENDER', vale a dire la resa incondizionata del Giappone dopo il bombardamento spietato su Hiroshima e Nagasaki – non ci sarebbe niente di che andare orgogliosi...-; l'altra è colta mentre lei di profilo guarda un punto vuoto in basso, busto elegantemente disegnato e fasciato in veste nera alla 'cinese', succinta ad affilare meglio la silhouette, capelli neri raccolti sulla nuca, a far risaltare il collo sottile (fonte: www.chinadaily.com). La sua famiglia è ricca ed il padre è già introdotto alla cultura ed
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alla religione protestante, per avere certo ottimo accesso alle prospettive che in questo campo offre l'Occidente (così come accade oggi per i ricchissimi e non solo di Cina!), soprattutto per quanto riguarda la preparazione delle sue tre figliole, argomento per un recente film di successo sulle tre sorelle Hakka: egli le manda a studiare negli Stati Uniti e la piccola Soong deve fare esami speciali per essere ammessa, perché non ha ancora l'età. Chi vuol saperne di più, si metta in azione, mentre io tra le ricerche correlate, che vanno ad approfondire il materiale fotografico citato e che si possono investigare, vado subito alla foto in piccolo, bellissima, del Generale Zhang Xueliang, detto 'il Giovane Maresciallo', nato il 3 Giugno 1901, sotto il segno dei Gemelli, per l'astrologia Occidentale e morto, come ben sappiamo ad Honolulu, nelle isole Hawaii, nell'Ottobre del 2001. Il sito su di lui è ricco anche di documentazioni dirette e di fonti storiche dell'epoca e lo si vede giovane generale in azione, alla guida del suo grande esercito e poi ancora mentre spiega, intervistato ai giorni nostri, che aveva ricevuto l'ordine di non resistere ai Giapponesi, mentre stanno invadendo il Giappone, nel 1931, ordine di Chiang Kai-sheck, che è il suo Comandante e Presidente di Cina: i suoi ordini non si discutono. Poi ci sono proprio le immagini del rapimento del Generalissimo, alla fine del 1936, con la notizia che si è diffusa su tutto l'orbe terracqueo e con Soong Meiling ripresa a fianco del marito, sorridente e di profilo, perché questa vittoria, la liberazione del marito a cui non era stato torto nemmeno un capello, è tutta sua! Ma con loro, verso la sua futura, insospettata prigionia, su quell'aereo da Xi'an a Nanchino, c'è anche lui, c'è Zhang Xueliang. Generale dal cuore tenero? Playboy impenitente sotto croci e stellette e panni di divisa militare? Giocatore d'azzardo anche con le cose della Storia, perché l'importante è la sfida? Droga e donne belle e vita notturna, con strategie di guerra e tattiche lasciate all'improvvisazione? Quando si andrà a leggere il
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testo di Aron Shai, nella traduzione italiana, allora queste ipotesi andranno via via ricevendo risposte convincenti. Ma noi sappiamo già che agli inizi del 1933, prima di partire per l'Europa, nel corso di una stretta pratica medica che lo aveva riabilitato dalla dipendenza della droga, aveva incontrato i Ciano ed aveva dato per loro un ricevimento in grande stile e si era invaghito di lei, di Edda Ciano, incurante dei commenti e delle critiche degli altri delegati diplomatici: a Zhang piaceranno le belle donne, sempre... Ma torniamo ora a Zhang e a Soong, a questi due amanti silenziosi, che tutto si tengono dentro dei fremiti che portano a condurre all' azione della seduzione fisica e degli ulteriori comportamenti a due ed approdi, sempre anelati e reiterati: essi hanno intrecciato la loro lunghissima vita su piani e con modalità che sfidano l'immaginazione, argomenti questi che anche in Occidente hanno ricevuto giusto risalto nella cultura letteraria e poetica perché, per averne un'idea, basti pensare a quanto ha scritto Dante per Beatrice, il Petrarca per Laura e, negli scambi epistolari Eloisa per Abelardo e molto altro ancora. Intanto, sulla fonte Internet citata, tanti i particolari storici messi in rilievo, tanti i video, con lui, Zhang Xueliang, ripreso giovanissimo, mentre balla vestito all'occidentale o siede a tavola in divisa, pensoso tra i suoi militari, quasi in atteggiamento di preghiera, o mentre guida l'esercito del padre, Zhang Zuoling, o mentre è al fianco del Generalissimo e questo viaggio è affascinate perché ci permette di entrare nel vivo di epoche e luoghi e protagonisti ben al di fuori della nostra esperienza quotidiana. Ma cosa significa essere Cinese, da ieri a oggi e per quanto concerne tutti noi, domani? Per certi aspetti Zhang Xueliang potrebbe essere elemento centrale, ponte culturale e filosofico tra Oriente ed Occidente, per penetrare più a fondo il confucianesimo quando entra in contatto, nel cuore e nella mente dei protagonisti, a modificare scelte, prospettive e relazioni, perché i soggetti si convertono al Cristiane-
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simo. Abbiamo già ipotizzato, nei lavori precedenti, che Chiang Kai-shek, convertito al Cristianesimo da Soong, la sua terza moglie, nel 1931, non abbia tenuto fede alla parola data a Zhang Xueliang, suo braccio destro, circa il portare la lotta forte contro i Giapponesi interrompendo la persecuzione dei Comunisti Cinesi, in fondo e prima di tutto Cinesi: quando si cambia religione, ma il confucianesimo non è una religione, allora si acquisisce anche quell'arroganza visibile agli atti che ti mette nella posizione del giusto e del giusto amministratore della giustizia, nella certezza che Dio stesso illumina i tuoi pensieri e le tue scelte. Questa figura bella di giovane orientale mi ha preso le vene e i polsi, perché il suo mondo interiore è stato la segreta sede di coraggio, di pazienza tollerante e scevra da giudizi, di emozioni diverse dalle nostre, non solo perché lui è Cinese, ma prima di tutto perché legate alla sua perdita della libertà e ad uno stato permanente di prigionia forzata, quando le possibilità di scegliersi percorsi di vita sono state tranciate di netto. Ed in effetti, a ricordare bene quanto ci dice lo storico Shai, Zhang e Soong si erano conosciuti negli anni '20, ad una festa e lei non era ancora sposata con il Generalissimo e portava con forza in libertà e disinvoltura messaggi di vita e di cultura d'Occidente, che lasciavano sempre una forte traccia. Dopo il rapimento di Chiang Kai-shek, dopo la sua liberazione per la festa di Natale del 1936, dopo il voltafaccia di lui, del Generalissimo, che ora potrà liberamente imprigionare per sempre Zhang Xueliang il ribelle, come riprendere in mano la propria vita e darvi un senso? Basterà la conversione al Cristianesimo al quale quasi lo obbligherà la stessa Soong? Basterà lo studio della Dinastia Ming, per andare a ritroso nel tempo e capire le radici del potere e dell'Ubbidienza al Potere? Basteranno le orchidee e la sottile dipendenza che creano se le segui e dai loro da bere e questi straordinari fiori ti ricompensano con la loro bellezza? Gli anni passano e la sua prigionia permane sicura e cer-
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ta, mentre la corrispondenza con Soong, per volere di lei, deve avvenire in lingua inglese, lingua che lui non conosce bene, perché proprio non emergano i sentimenti più profondi e più genuini, altra tortura alla 'cinese' appunto, voluta da lei, da Soong Meiling, che si sente ora regina del suo cuore, che ha fatto cedere perché anche la libertà spirituale gli è stata in questo modo ristretta. Per questa via la sua coscienza verrà contratta, leggerà i libri 'sacri' che lei gli metterà a disposizione e si sentirà, come Paolo di Tarso, il più grande dei peccatori. Allora, tante le fonti, tanti i documenti, ma niente si dice del legame tra i due, poco si capisce del succedersi dei fatti perché siamo di fronte a testi essenziali e riassuntivi, ancor meno si può argomentare su responsabilità e connivenze: allora fidarsi del testo storico di Shai è cosa veramente buona e giusta, dal punto di vista della ricerca e della verità sugli eventi e sulle fonti, sempre consultati con precisione e quindi ben attendibili. Intrighi d' amore all'orientale? Vedremo, quando avremo messo mano sui pensieri, sulle poesie, sui dipinti del Giovane Maresciallo e quando avremo potuto dargli il posto che merita nella corrente poetico- letteraria del Realismo Lirico. Ilia Pedrina COME LA TERRA Come la Terra intorno al Sole l’Universo intero ruota intorno a Te. Tu sei la Terra nuova e i Cieli nuovi. Nel tuo Giardino verdeggia ogni pianta ed ogni filo d’erba; gli animali tutti si trastullano, anche quelli estinti sulla Terra da millenni. Non una sola Creatura manca. “Tu sei padrone del Tempo - dice Papa Francesco -, noi del momento”. Tu la Casa incrollabile sei, alla cui porta busserò tremante anche se certo della Tua clemenza. Domenico Defelice
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I POETI E LA NATURA - 21 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
LA NATURA NELLA POESIA DEL SICILIANO SALVATORE QUASIMODO ( 1901-1968)
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alvatore Quasimodo nasce a Modica (Ragusa) il 20 agosto del 1901. Suo padre è un modesto capostazione, soggetto a continui trasferimenti per motivi di servizio. Il piccolo frequenta, quindi, le scuole elementari un po' qua un po' là per la Sicilia. Finché nel 1908, dopo il disastroso terremoto, il padre viene mandato a Messina per riorganizzare la locale stazione. A Messina, all'Istituto Tecnico Iaci, Salvatore consegue il diploma di geometra. Ma non può iscriversi ad Ingegneria per mancanza di soldi. E' costretto, anzi, ad emigrare dalla Sicilia per cercarsi un lavoro che gli consenta di vivere. Dopo avere ricoperto vari incarichi precari, viene assunto nel Genio Civile, e presta servizio prima a Reggio Calabria ( 1930) poi ad Imperia ( 1931), e a Genova , dove conosce Camillo Sbarbaro e collabora attivamente al-
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la rivista “Circoli”. Nel 1934 ottiene il trasferimento a Milano, ma un capufficio lo dirotta a Sondrio. Nel 1938 lascia per sempre il Genio Civile per dedicarsi interamente alla Letteratura. Nel 1941 viene nominato professore di Letteratura italiana al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Terrà questo incarico per ventisette anni, fino alla morte, avvenuta a Napoli, pochi giorni dopo essere stato colpito da un ictus mentre si trovava ad Amalfi. (Aveva già subìto un infarto poco tempo prima, mentre era in viaggio attraverso la Russia). Per brevità di spazio, posso solo accennare alle sue Opere principali. Ricordo la sua prima raccolta di poesie, Acque e terre (Edizioni di Solaria, Reggio Calabria 1930) e la sua seconda, Oboe sommerso ( Circoli, Genova 1932). Seguono Ed è subito sera (Mondadori, Lo Specchio, Milano 1942), Con il piede straniero sopra il cuore (1946) poi ridenominata Giorno dopo giorno ( 1947). Fra il 1949 e il 1958 escono le sue raccolte di poesia civile La vita non è sogno, Il falso e il vero verde, La terra impareggiabile. Nel frattempo, si rivela un eccezionale studioso e traduttore dei classici. (Famosi i suoi Lirici greci) Conseguirà numerosi Premi letterari, tra cui : nel 1950 il San Babila, nel 1953 l'EtnaTaormina, nel 1958 il Viareggio, nel 1959 il Nobel per la Letteratura. “Acque e terre” è ispirato dalla Sicilia, terra natale dovuta abbandonare all'età di diciotto anni. Contiene poesie bellissime, tra cui la celebre Vento a Tìndari : “ Tindari, mite ti so fra larghi colli pènsile sull'acque delle isole dolci del dio, oggi m'assali e ti chini in cuore. …........................
Aspro è l'esilio e la ricerca che chiudevo in te d'armonia oggi si muta in ansia precoce di morire; e ogni amore è schermo alla tristezza, tacito passo al buio dove mi hai posto
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amaro pane a rompere.”
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ALLA MAMMA
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Ma il cuore del poeta, alla fine, riesce a trovare anche nella Natura del Nord una vena di consolazione, pur se fragile e temporanea. Si veda la poesia Già la pioggia è con noi: “ Già la pioggia è con noi, scuote l'aria silenziosa. Le rondini sfiorano le acque spente presso i laghetti lombardi, volano come gabbiani sui piccoli pesci; il fieno odora oltre i recinti degli orti. Ancora un anno è bruciato, senza un lamento, senza un grido levato a vincere d'improvviso un giorno.” Appare evidente che se all'inizio la Natura, come in D'Annunzio, specie quello de La pioggia nel pineto, tende ad identificarsi con l'uomo (anche se, in Quasimodo, con l'animo più che col corpo) in seguito il linguaggio col quale Quasimodo si misura con la Natura è quello che lo avvicina ad Ungaretti e a Montale, cioè l'Ermetismo. Rileggiamo, anche, la lirica Specchio : “ Ed ecco sul tronco si rompono le gemme un verde più nuovo dell'erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato sul fosso. E tutto sa di miracolo; e sono quell'acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c'era.” Il poeta autentico, grande o piccolo che sia, non usa parole trite e ritrite, ma ne usa di sue, personali, per mezzo delle quali la Natura e il mondo che ci circonda sembrano nuovi, inediti. Il poeta si meraviglia anche delle cose di cui la massa non si accorge e non si cura. Egli, come uomo, vive nell'oggi, ma la sua cura non è tanto quella di essere à la page con i tempi, bensì quella di vivere nell'aspirazione dell'eterno. Luigi De Rosa
Non sei morta perché stanca di vivere. Sei morta perché dopo aver pregato per giorni mesi ed anni hai voluto andare in Paradiso con gli Angeli ed i Santi tuoi cari amici tutti quanti! Ora, la tua stanza vuota odora ancora di te, dell’amore che hai dato a me. Mariano Coreno Melbourne, Australia
TU LUCE Sei come il vento che soffia, poi si placa, sei come il mare che bagna gli scogli, poi [retrocede, come le truppe che dichiarano guerra poi si [ritirano, come la porta che si apre, si chiude e ciò che [ è dietro non si vede più, come l’arcobaleno che splende multicolore, [ poi sparisce, basta, ora soffia sempre, bagna sempre, si apre la porta e a un tratto luce, tu. Laura Catini AVVISO Ricordiamo ai Collaboratori di farci avere, per la pubblicazione, solo materiale assolutamente inedito, mai apparso altrove e se, poi, verrà inviato ad altre riviste, di citare Pomezia-Notizie, così come è stabilito chiaramente in testata. Siamo stanchi di vedere lo stesso scritto contemporaneamente su diverse Testate. Non è corretto, oltre che indelicato. Grazie!
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(Disegno di Serena Cavallini)
Recensioni IMPERIA TOGNACCI NEL BOSCO, SULLE ORME DEL PASTORE Edizioni Giuseppe Laterza, 2012 - Pagg. 80, € 10 Sempre più profonda e vera la poesia di Imperia Tognacci - Tutto il poemetto "NEL BOSCO, SULLE ORME DEL PASTORE" è pervaso dalla nostalgia, dai ricordi del passato, in un percorso bucolico carico di profumi e di rimpianti. Giunti ad una certa età non ci si ritrova più o, meglio, non si ritrovano più quelle abitudini, quei riti, quelle celebrazioni che conferivano ai giorni una sorta di stupefacente magia. Ed è proprio questo che Imperia Tognacci vuole recuperare in questo suo attraversare i sentieri della vita vissuta; una poesia dolcissima nella quale anche una foglia racconta i suoi trascorsi. E tornano nei versi, con il "sospiro del tempo", il crepitio di un camino acceso, l'odore dei rami che si consumano, il borgo delle passeggiate di fanciulla, la musica dell'onda e nenie e speranze antiche quando "immortale mi pareva il tempo/ nell'abbraccio della sera per la corale/preghiera del ringraziamento". Le stagioni avanzano, considera l'Autrice e, dopo l'inverno, ecco ritorna il sole nelle stanze immalinconite dal buio ristagnante. Ma come penetrerà la sua luce in un corpo segnato da una lunga vita? Sarà mai in grado di riportare nell'anima, anch'essa stanca, sogni e nuovi proponimenti? Le immagini sono, come in tutte le raccolte poeti-
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che della nostalgica Autrice, fascinose, cariche di malia: "Cammino tra luci che prismi/di materia attraversano e rifratte/ all'infinito risplendono". Torna la nota modalità lirica per ricamare forme di "sbiadite memorie": il profilo di un uomo che stringe tra le labbra una pipa; il camino (uno dei ricordi più cari e più vivi della nostra Autrice) che schizza riverberi nel cristallo di un bicchiere; la clessidra, ormai svuotata "e senza suono di passi"; l'invincibile solitudine. Eppure, tra sentieri mai più ritrovati "l'arcano di un raggio filtra/ il cuore del bosco". Poi, l'incontro: "Chi è quel vecchio che sembra/ indossi i colori del bosco..."? È il pastore Aristeo con sulle spalle "un'offerta per il cielo": un agnello. "Qua! è, Aristeo,", chiede la poetessa; "il mistero/ delle note dei tuo zufolo,/ che irrompono nel buio/ dei tempi e nelle quali baluginano/ miti e leggende antiche?". Pochi versi ed è già suggestione. Tante verità ritornano tra i giochi della natura, nei suoi momenti più radiosi come in quelli più bui. In ogni attimo del percorso, in ogni verso, in ogni rigo si compie l'incanto di un'Autrice fuori dal comune che non ha pause e lascia senza respiro il lettore tant'è fitta la progressione poetica delle immagini. Impossibile non subire l'incanto di versi gentili come: "Dall'antico lavatoio, stagnante/ acqua sgocciola sulle ciglia/ stupite d'erba appena nata"? E ancora: "Consumati calzari in passi, / che, muti, calpestano la notte/ e spariscono nei gorghi di fiumare, tra remota polvere di consunte cose,..." Va avanti così la rappresentazione di Aristeo, ricca d'incantesimo e carica di simbologie, prima fra tutte quella del Buon Pastore, che guida le sue pecorelle, nutrendo amore e sentimenti di protezione verso una natura da cui l'uomo si è troppo allontanato. Non sono più, i suoi, sentimenti puliti d'amore ma altre forze lo sorreggono e lo spingono al male. Ed ecco il congedo di Imperia Tognacci dopo ¡1 meraviglioso iter, il suo lasciarci tra i languidi sussulti di voci del bosco, in una luce che si fa sempre più viva con il crescente cader delle foglie: "Se non mi perfora l'anima lo scavo/ dei pensiero, non sento/ alle caviglie la catena/ degli anni, ma pulsioni/ d'immenso a cui mi attrae/ un misterioso magnetismo". Anna Aita
TITO CAUCHI FRANCESCO MIO FIGLIO U.M.E., Anzio (Roma) 2008, Pagg44, € 7,00 Desideriamo intitolare il conosciutissimo volume Francesco mio figlio, di Tito Cauchi, come S.O.S. Bullismo. L’ampia prefazione del Poeta è un saggio
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sulla morte, meritevole di approfondimento. Alcune delle composizioni della rassegna sono state estrapolate dalla Rivista mensile Pomezia-Notizie 1997 – Altre dal Croco P.N. 1988/1998. Nella prima di copertina del libro si nota la riproduzione dell’opera Maternità, olio su tela cm. 40x50 dell’Artista Giuseppe Franzé. Nella quarta si legge la biografia parziale di Tito Cauchi e di Francesco Scerbo, la cui morte risale al 22 novembre 1995. I genitori dell’adolescente sono collaboratori dell’Ass.ne S.O.S. Onlus Bullismo. Il volto femminile del dipinto Maternità è riportato a pag. 13, e a pag. 39 si nota il bimbo che sugge il latte dal seno materno. Le riproduzioni sono entrambe ingrandite. In un’altra pagina, spicca la chitarra, strumento e simbolo che domina la casa-rifugio dell’ appassionato quattordicenne. Nelle poesie di Tito Cauchi oltre al titolo delle composizioni, si evidenzia tra parentesi, il sunto del loro contenuto poetico (sintesi di tragedia, coro della gente, eccetera). In Italia, U.S.A., Francia, Australia, letterati di vaglia, hanno giudicato positivamente le liriche del Nostro. Per ricordare Francesco, ragazzo in gambissima, vittima del bullismo, bisogna sottrarlo all’oblio. Cercare la luce è la caratteristica dell’Autore che antepone il bene degli altri all’egoismo, all’ interesse, alla falsità dei rapporti interpersonali. Alle soglie del 3000 non si riesce a comprendere come la gioventù possa ancora continuare a drogarsi, ad uccidere per invidia il coetaneo intelligente e laborioso. Il Nostro, genitore a sua volta, prova il grande dolore di padre per la morte dello studente, immedesimandosi nei genitori e nella stessa vittima, che così diventa FRANCESCO MIO FIGLIO. Immagina che il martire, nel momento estremo della vita, dica: “papà non essere crucciato, sorridi/ ama il giorno, ama il tramonto/ i colori, il mare, i suoni./ Addio, mamma, papà, vi voglio bene”. La notizia del FANCIULLO STRAZIATO, dai binari del treno, si propaga giungendo alla madre “e intanto le voci si fanno strada/ le stanno addosso s’ attaccano ai piedi/ alla testa, alle mani, ghermiscono il corpo// ristagnano pietrificate fondendosi/ tutt’insieme in un solo sofferto/ prorompente fiato ‘è lui’!”, la tragedia si è compiuta. In ANIMA INTEGRA: “E solo gli occhi che lo generarono/ riescono a comporre e a vedere/ elevarsi tutta la sua anima integra.” CIGOLA IL CANCELLO “s’apre la porta/ e tu non ci sei. Ammutoliti sono/ il pianoforte, la chitarra, l’ aria.” Ma lo scomparso è: “abbarbicato per urlare/ ‘io ci sono’. Emergo, mi asciugo/ e mi conforto perché tutto// vive con me/ dentro di me./ Mi rivedo, ci rivediamo” grida IO CI SONO e più avanti: “La
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mia stella sei tu mamma/ l’astro polare sei tu papà/ la mia luce starà su di voi”, in FIRMAMENTO. Tito Cauchi immagina l’adolescente già innamorato, pronunciare AMORE MIO: “In una vana illusione dico/ e subito celo le mie parole/ dietro uno standard my love”, con semplici parole perché alla sua ispiratrice dice NOI CI AMIAMO: “Noi siamo uniti per mano tutto il mondo abbracciamo/ parole banali ci rivolgiamo/ ci basta perché ci amiamo.” Ma giunge il Santo Natale, La realtà è penosa… Francesco non può festeggiarlo con la famiglia: il primo NATALE MUTO “è riempito/ del ticchettio del vecchio pendolo/ dello scroscio della pioggia sui vetri/ la calza dell’anno prima/ appesa al camino in attesa”. IL Nostro capta la sensibilità del ragazzo riconoscente alle cure e all’amore dei genitori, in un altrettanto silenzioso dialogo, conservandone una IMMAGINE GIOVANILE: “Interrotta fu la mia vita gioiosa/ ma sappiate che grazie a voi/ fu tanto copiosa.” Si può immaginare che gli scolari rispondano, all’ APPELLO SCOLASTICO con un presente. Francesco non è assente provvisoriamente, perciò uno fra i compagni, “non senza nodo alla gola// prende posto posandovi un fiore/ e così uno dopo l’altro/ ognuno rispondendo Presente!”. Mentre il compagno rievocato esorta NON PAURA MA AMORE perciò “Una targa sia testimone/ di un nome e di un monito.”, tenga viva la memoria di coloro che non sono più fra noi; il martire ha meritato il Paradiso. Commentando: “Il tuo cuore dava il maltolto/ con la gioia del tuo sorriso/ ma se ne è appropriato il paradiso.”, UN SORRISO IN PARADISO. Noi sappiamo benissimo cos’è la solitudine… Ma la memoria è vita, insieme all’Autore diciamo che ne facciamo comunione, “tanto più toccante quanto è la capacità/ di donazione agli altri”, DONARE PER VIVERE. Ci si può rianimare nella valle assolata, cogliendo il sapore di un frutto, ma rimane l’ acerbo in bocca, perché il frutto appena colto, è marcio. L’armonia dell’Universo è poesia musicalissima, non solo per la costruzione dei versi, ma soprattutto per le danze al suono di cetra e lira, - così bene descritte. Il Poeta vuole avere FEDE, quindi è MENDICO DI LUCE. “Supplice sono io, mendico sono io/ ed io solo posso raccattare da me/ la luce del mio cammino.” Anche UN SORRISO NON COSTA NIENTE “non impoverisce chi lo fa/ arricchisce chi lo riceve.” Tito Cauchi chiude la rassegna poetica rammaricandosi di non poter confortare Francesco. Improvvisamente, con prepotenza, Egli sente scendere sul proprio viso una lacrima (per tutte le vittime). Silvana Andrenacci Maldini
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TITO CAUCHI PRIME EMOZIONI Ed. Le Petit Moineau, Roma 1993, Pagg. 64, Lire 10.000 La prefazione di Prime Emozioni è di Tito Cauchi, autore della silloge. Egli ha creato un Canzoniere d’Amore con le Muse: Poesia, Pittura, Musica. Lirismo, eros, sentimento, avvolgono di luci inebrianti le proprie giovanilissime composizioni. Studi recenti, classici, donano stile di costruzione e di immagini ai componimenti. Pertanto si è invogliati all’analisi linguistica, fonetica, morfologica dell’opera. Una ridda di fiori profumati sotto il cielo stellato o sotto i raggi del sole, rende i versi toccanti e originali. Le fanciulle che turbano i sogni dell’ innamorato sono molte, più o meno accondiscendenti. Il Canzoniere d’Amore – è il caso di dirlo – onora soprattutto la Signora Cauchi, alla quale è dedicato il libro. Il Nostro sussurra: AMORE COME VITA: “La terra può vivere senza sole/ i pesci senza il mare/ gli alberi senza la terra/ e l’uomo senza l’amore?”. No, infatti Tito è amato ed ama! Silvana Andrenacci Maldini
VINCENZO ROSSI IL GALLO Edizioni Cronache Italiane –Salerno Per non smentire la sua indole bucolica e testimoniare, ancora una volta, il suo amore per il mondo degli animali, Vincenzo Rossi, il poeta del Cimerone, associa ai suoi compagni di scorribanda, di cui ha trattato in scritti precedenti,cioè ai cani Lola, Ulisse, Garibaldi, Achille, nonché al famigerato Gattone un altro rappresentante della fauna, il gallo, che con la sua voce tonante s’impone autorevolmente nel pollaio. Nella sua raccolta “Il gallo” che fa parte della Collana Poeti Contemporanei num. 158 e che comprende sei racconti –Ciccillo — Il gallo di Gesù — Il gallo di Leopardi —Il gallo di Platone — Il gallo del colonnello Giuliano Montone —Il gallo di Giacinto —frutto di sue esperienze personali e degli studi classici, Vincenzo Rossi, attraverso il tema di un semplice animale, il gallo, trova modo di affrontare e discutere argomenti di natura sociologica e sociale, già oggetto di riflessioni e approfondimenti, collegati tra loro da un palpito unico che ispira tutto lo scritto. Accanto a temi esistenziali che riemergono attraverso semplici riflessioni che mostrano la loro complessità , trattati e sorretti da puntiformi scheg-
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ge speculative ---vedasi Il gallo di Gesù — Il gallo di Leopardi — Il gallo di Platone ---, non mancano certe aperture di autobiografismo sentite quasi come una lettura della memoria e come esplorazione dell’animo che scopre se stesso. Parole e ricordi della vita passata, anche se sfocati e sbiaditi dagli anni, sono sempre vivi e palpitanti nella gioia e nel dolore, nella tristezza e nella speranza., in quanto fanno parte di noi stessi, impressi come sono nell’ intimo della coscienza.. Infatti, anche attraverso il racconto, lo scrittore scende nell’intimità delle cose, apre il suo sguardo alla luminosità di vasti orizzonti e cerca di conciliare l’amore col dolore, il senso dell’amarezza e dell’ abbandono con quello della speranza, raggiungendo esiti di grande rilievo, perché nell’animo del poeta non viene mai meno la fiducia nel domani. Il linguaggio è privo di retorica e il fraseggio non è mai contorto, ma lineare con qualche preziosità stilistica. Ad un’analisi più puntuale della raccolta, dei tre racconti, di derivazione classica, prescindendo dal Gallo di Gesù, in cui V. Rossi, nel ricordare le parole di Gesù a Pietro, al quale dice che quella notte, prima che il gallo canti, egli lo rinnegherà tre volte, vuole sottolineare che anche a lui è capitato di non ricevere aiuto da chi, promettendoglelo è scomparso “come nebbia al sole”, e dal Gallo di Platone, compreso nel “Convivio”, uno dei dialoghi platonici, tradotti e pubblicati nell’opera “Platone poeta”, in cui l’autore, nel sostenere che la filosofia platonica del mondo iperuranio è tramontata e che Platone è essenzialmente poeta, rileva che il canto del gallo, al termine del dialogo, è rimasto sempre vivo nella sua memoria, significativo è il Gallo di Leopardi, “Il cantico del gallo silvestre”, ultimo delle venti Operette Morali scritto nel 1824,con cui si conclude la raccolta, che comprenderà altre quattro operette scritte successivamente. Il gigantesco gallo selvatico, che vive tra la terra e il cielo, col suo canto potente, nell’invitare gli uomini a destarsi e a riflettere sul senso della vita prima di sprofondare in un sonno perpetuo, vuole ammonirli a considerare il mistero dell’esistenza umana, il senso angoscioso della vita, la fatale infelicità dell’individuo. Dei tre racconti, di derivazione autobiografica, a prescindere dal Gallo del colonnello Giuliano Montone, medaglia d’ oro al valor militare, conosciuto dal padre sull’argine dell’Isonzo, durante la prima guerra mondiale, che, invitato al matrimonio dello scrittore, gli aveva regalato un bel gallo, opera di un rinomato artista ed esposto sul comò di casa, non saprei dire quale degli altri due sia più bello se “Ciccillo” o “Il gallo di Giacinto”, l’uno che ricor-
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dava il passato, Ciccillo, con cui l’autore, decenne, incantato dal suo canto e dalla policromia del piumaggio, incominciò giocare e a portargli cibo speciale e che venne donato, a sua insaputa al veterinaio che aveva salvato la vita a Balluccia, la cavalla baia, l’altro che ricordava il presente, “Il gallo di Giacinto”- Camillo- e che gli richiamava alla mente la sua caduta nella vasca da bagno e la sua lunga infermità, del quale soleva ascoltare a mezzanotte per tre volte il suo “chicchirichì”, ognuno con sette note, gallo, che, destinato a morire il 13 giugno, la festa di San Antonio, era stato comprato dallo scrittore e salvato dalla morte. Non credo che con l’elogio del gallo si esaurisca la serie..Siamo in attesa di nuovi sviluppi. Giuseppe Anziano
ROSSANO ONANO SCARAMAZZO Genesi Editrice, Torino 2012, Pagg. 200, € 15,00 Dalla bandella di copertina di Scaramazzo, apprendiamo che l’autore, Rossano Onano, è medico psichiatra, emiliano nato nel 1944, e ha pubblicato una quindicina di opere. Curatore della raccolta in argomento è Sandro Gros-Pietro, il quale dice che essa ripropone componimenti, integrati da inediti, per conferire un “autoritratto” dell’autore. Scrittore che si unisce alla “denuncia del disagio dell’ intellettuale” moderno, il cui linguaggio diventa frammentario e irregolare (da cui il titolo); diretto più a “immaginismo” che alla immagine. Interpreto: una specie di innesti psicologici, di matrice inconscia (cita così, autori famosi come Ezra Pound, Thomas S. Eliot, Italo Calvino, Wolfgang Goethe, Henri Bergson, Joseph Conrad). Assicura comunque, che Onano non affligge ma diletta, alleggerendo gli aspetti tragici della vita. In chiusura, sono riportate due precedenti prefazioni dello stesso Gros-Pietro, entrambe, mi sembrano, dello stesso indirizzo e di pari tenore. Lo scrivente si ritrova nella lettura, avendo recensito alcune opere precedenti su Pomezia Notizie (Il nano di Velàzquez, nov. 2007; Ammuina, apr. 2010; Mascara, nov. 2011; La bellezza di Amanda, marzo 2012; oltre al saggio Onano desnudo, apr. 2010, di Veniero Scarselli). Così pure nei versi, liberi da regole formali, anche di grammatica; nei contenuti onirici, o di un malessere, con toni ora seri, ora comici; alcune volte martellanti con il refrain. Espongo in modo sequenziale. Rossano Onano apre con ‘Mascara’ il cui incipit è: “Non era azzurro il mare, né cupo”. I pensieri evocano una realtà variegata apparentemente sconnes-
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sa, i cui emblemi sono Cagliostro, la Torino Lingotto, il filosofo Plotino, il Mongolo, l’antica città di Zenobia in cui immagina di impersonare Pammo in un combattimento: “facevo lazzi, sconce ammonizioni/ perché la morte intorno fosse lieve” (pag.26), o immagina le gesta di un “bucaniere”. Proseguendo troviamo la ‘Preghiera di Cane Pazzo’, indiano a cavalcioni di un bisonte, reso sacro per castrazione, perché egli venga soccorso: “Tu, Manitou, che mi allontani la vulva/ enorme della donna che ammalia i bisonti” (31). Sul solco del monito evangelico, la voce poetante invita, chi è senza peccato, a scagliare “la prima raffica di kalashnikov”; il vicino Oriente suggerisce l’Odalisca che si concede, fingendo di non esserci; mentre l’assunzione del Tegretol combatte il virus dell’aids. I versi sembrano susseguirsi come una coacervo di oggetti, che per suggestione richiamano altro, come uno scannatoio, un bazar, l’esorcista e un’indemoniata; anonimi o noti come Valentino, Versace, Piero della Francesca, Gotama Siddarta, Guglielmo Embriaco, San Giovanni d’Acri, San Gerolamo, il compianto Marco Pantani, Marco Polo; o luoghi come Genova, la Maremma, la “Affrica”, l’Oriente. Ritroviamo don Diego de Acedo che è il ‘Nano di Velazquez’; Jane e cita che si contengono Tarzan, Marylin [Monroe]; indici statistici del controllo di qualità della vita; la mongolfiera, la papessa Giovanna e la ‘Bellezza di Amanda’ [Lear] nelle attrattive simile ai Bronzi di Riace; passeggeri di una nave che vomitano e soffrono coliche; mentre la Giustizia langue. Ritroviamo la ‘Ammuina’ (disordine) di una ciurma, al tempi degli ultimi Borboni, a Napoli, al passaggio di “Garrubaldo”. Si evocano l’anima di Nastagio degli Onesti che uccide dodici spose, l’ attrice Monica Bellucci nella pineta di Classe, Alissa più volte citata nel contesto di un incesto con il padre; si assiste al lungomare ligure, a Federico Fellini e Tonino Guerra durante un copione; problemi idraulici e risorse idriche con rigurgiti e dolori al colon traverso; la favorita di Akbar, le diversità culinarie, Gesù e i Dodici Apostoli, tra cui Tommaso detto Didimo che “sogna una passera”; una più che variegata umanità di una storia infinita che si conclude con il sorriso di Eva. Giunti fin qui, spero di essere stato fedele al testo di Rossano Onano; ma devo confessare che io, lettore, sono alle prese con l’individuazione delle situazioni prospettate; incapace di cogliere l’aspetto dilettevole di cui in prefazione. Rimango con congetturare sui significati di titoli e contenuti che denotano confusione, sregolatezza, maschera, deformità, ambiguità; e altro ancora, in allusioni e metafore. Mi chiedo quanto autorizzi la libertà creativa,
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ormai così diffusa, da prevalere sulla poesia di puro sentimento; forse un messaggio sociale: la solitudine, in una molteplicità di facce, riproporsi per individuare la propria. Tito Cauchi
MARIALUISA SANTONICOLA ANGELI VIOLATI Editrice UNI Service, marzo 2011 Il romanzo si colloca, sul piano temporale, tra le due guerre dello scorso secolo, con le ultime trame che scantonano negli anni immediatamente successivi al crollo del Fascismo. Teatro delle vicende narrate è un piccolo centro contadino del basso Volturno con le aspettative di vita e coi pregiudizi tipici delle Comunità rurali del Sud. La mentalità che vi predomina è quella del peggiore maschilismo, ovvero quella del marito violento, del padre padrone che impone il suo protervo spadroneggiare in casa, senza lesinare in sevizie e percosse. Luogo di ritrovo per la gente del paese è una cantina, dove regnano sovrani il pettegolezzo, l’ indiscrezione, la maldicenza, la calunnia, i soliti gratuiti apprezzamenti di sfaccendati sul conto delle donne di passaggio; dove ci si lascia andare al vizio del gioco e del vino fino all’ubriacatura. In tale contesto di sottocultura, di sguaiataggine, di quotidiane prevaricazioni la narratrice intesse la trama del romanzo nella quale spicca per arroganza, spudoratezza, per squallore morale la figura di Nicola Crispano, un dongiovanni dalla cui condotta deplorevole deriveranno difficoltà e sventure di cui saranno vittime i suoi familiari – gli angeli violati del titolo – dalla moglie Alida da lui seviziata e percossa più e più volte, che morirà di parto a seguito di una laboriosa gravidanza nata da un rapporto extraconiugale, a Mariella – il personaggio psicologicamente più complicato – che dopo aver perso l’innamorato, un soldato tedesco di nome Albert caduto sotto le bombe americane, si piega a un matrimonio senza amore con tale Federico, figlio di contadini veneti migrati nel Sud perché assegnatari di terreni a destinazione agricola. Dopo quel matrimonio la donna concepirà due figli: il primo, di sesso maschile, dal marito, uomo avvezzo – anche lui – a sbornie da vino oltre che inadempiente ai doveri coniugali; il secondo – una bimba che chiamerà Anna – da un nobile, il marchesino Giorgio, conosciuto presso una famiglia dove per alcun tempo la donna ha lavorato. Delle due creature Mariella, sempre più turbata e combattuta da opposti sentimenti, in profonda crisi di identità, rifiuta la prima mentre accetta la seconda.
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La storia, alquanto complessa, nella quale si può cogliere persino una concezione fatalistica dell’ esistenza, annovera tra quelle emergenti tante altre figure, tra le quali vanno segnalate, per il ruolo importante che svolgono nell’economia del narrato, quelle di Antonella, di Gina e di Vincenzo, fratelli di Mariella, e del piccolo Giuseppe, fratello anche lui, ma per solo ramo materno, essendo stato concepito da Alida durante gli incontri adulterini avuti col pescatore Salvatore, sposato anche lui, e con figli. Le vicende umane dei protagonisti s’intrecciano con quelle belliche, complicandosi maledettamente dopo l’8 settembre 1943 a seguito dell’armistizio e della conseguente occupazione tedesca. Il bilancio – per così dire – consuntivo del tutto è fallimentare: Antonella sposa un siciliano e dopo qualche tempo emigra oltre oceano, Vincenzo muore per una ferita ricevuta da una scheggia di bomba, Gina si fa suora e Mariella, dopo altre turbolenze interiori e relazionali finisce per accettare quel matrimonio sbagliato verso il quale l’aveva spinta il destino e si rassegna a vivere per i figli e per il fratello Giuseppe quasi a mo’ di espiazione per gli errori commessi. Il lavoro della Santonicola, sul piano strutturale, ingloba elementi di scuola neorealista e del romanzo psicologico, segnalando una apprezzabile gestione dei flussi narrativi che animano la vicenda nel suo complesso. L’impianto linguistico espressivo pone il lettore di fronte a delle soluzioni lessicalmente coraggiose ben rappresentando l’ ambientazione essenzialmente plebea del narrato, per salire poi decisamente di tono nelle concitate pagine finali. La recensione sarebbe tuttavia incompleta e poco credibile, se non rilevassi con rammarico una revisione troppo frettolosa delle bozze. Troppe le virgole sfuggite alla battitura e lasciate poi in libertà, talune delle quali, arroganti non meno del Crispano, di cui si diceva in apertura, si son preso spesso l’ arbitrio si scalzare il punto fermo collocandosi – esse! – al suo posto. Aldo Cervo
DOMENICO DEFELICE ELEUTERIO GAZZETTI CANTORE DELLA VALPADANA Edizioni Il Croco, I quaderni letterari di PomeziaNotizie, maggio 2013 “Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana” è senza meno, una pubblicazione interessante. Il Gazzetti è nato Magreta di Formigine, provincia di Modena, il 30 giugno 1917, da famiglia operaia. Secondogenito di nove figli sicuramente passò l’
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infanzia in una difficile situazione piena di ostacoli. Fortuna che la madre, donna forte e coraggiosa, seppe avviarlo nella strada giusta onde poté terminare gli studi filosofici e teologali. Eleuterio Gazzetti si è distinto come pittore, saggista, scrittore, poeta e come sacerdote (ordinato il 25 marzo 1944 da S.E. Mons. Cesare Boccoleri, arcivescovo di Modena). Uomo di fede, al servizio della Chiesa, colto e gentile, ha fatto tanto bene aprendo sempre la finestra e la luce della speranza a tutti quelli che lo hanno avvicinato in un momento storico particolare con le devastazioni e le ferite della guerra nel cuore della gente. A noi Eleuterio Gazzetti interessa molto come poeta, poiché come poeta fa parte di quel periodo positivo del dopo Pascoli e del dopo D’ Annunzio, quando la poesia rompeva la vecchia tradizione per sposarne una nuova piena di incertezze ed esperimenti; ma con senso realistico della propria esistenza indirizzata più ad un intimo rapporto con la collettività. Riportiamo qui una poesia, selezionata da Domenico Defelice, PER UN PICCINO: “ Sono di tutti il più piccino,/ ma dir voglio il sermoncino;/ voglio anch’io dimostrare/ che i piccini sanno amare./ Gesù bello, dolce amore,/ t’offro il mio piccolo cuore/ e se ho fatto un po’ il folletto,/ d’ora in poi sarò un ometto./ Benedici a tutto il mondo/ e chi soffre fai giocondo;/ benedici a la tua Chiesa,/ vieni sempre in sua difesa;/ ed a me fa questo dono:/ d’esser sempre bravo e buono./ Ben Ti voglio e Ti vorrò/
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con Te sempre resterò!“ Ammirevole questa volontà di stare con Gesù e di raccomandare al Signore i poveri, i deboli, quelli meno fortunati. Sono versi composti con la metrica e con la rima e ci fanno ricordare la gentilezza e la passione religiosa di Iacopone da Todi: “ Figlio, questo non dire:/ voglio teco morire,/ non me voglio partire, / fin che mo m’esce ‘l fiato.“ Certo, lo stile è diverso, il linguaggio è diverso; ma non è diversa la melodia, il suono e la forza religiosa. Il tutto come suono delle campane che spinto dal vento si diffonde nei campi fino alle colline. Invece, come scrittore, lo possiamo apprezzare attraverso le lettere che fanno parte della medesima pubblicazione, curata con accortezza ed amore dal nostro Direttore, Domenico Defelice. In una di queste lettere, leggiamo: “ Il mio grande nemico è la mancanza di tempo; essendo parroco innanzitutto e per giunta tenendo la consulenza letteraria, e nelle ore libere e di vena il pennello in mano per sporcare qualche tela, le ore, ma che dico, i giorni e i mesi volano come i missili. Da tempo ho terminato “ I CANTI DELL’ANIMA “. Avrei necessità di qualche settimana di tempo e di voglia per rivedere il volume, che ho già promesso e combinato di stampare presso l’Editore Rebellato di Padova, da un anno, ma non ce la faccio.“ Il tempo tiranno, il problema di tutti quelli che scrivono! E come dice Defelice: “L’anima ferita mai trova pace, perché si arrovella di continuo nel cercare di squarciare il mistero che la circonda. Troverà quiete soltanto nella fede, ma, per giungere a un tale traguardo, è necessaria la concorrenza tra ragione e
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rettitudine“. E grazie alla fede ed all’amore per Gesù, il Gazzetti ha seminato bene ed ha tagliato traguardi prestigiosi riscuotendo ammirazione e successo come parroco, pittore, poeta e scrittore. Con lui, con il ricordo della sua pittura e della sua poesia, il “ cantore della Valpadana “ continua a farsi sentire. Mariano Coreno Melbourne - Australia Immagini di pag. 40: Eleuterio Gazzetti - Gesù Nazzareno - olio su tela (30 x 40) e Paesaggio, 1973 - olio su tela (30 x 40).
ELENA MANCUSI ANZIANO DAL CUORE Poesie DPNET sas - Salerno, 2013 Elena Mancusi, autrice ben nota per aver pubblicato in passato pregevoli libri di poesia, sia in lingua che in vernacolo, si ripresenta al pubblico con una corposa raccolta di versi dal titolo già di sé stesso ampiamente significativo e indicativo della sorgente limpida e feconda della sua versificazione. Chi ha avuto modo di conoscerla e frequentare la sua scrittura poetica può affermare con tutta franchezza che c'è in lei una disposizione innata, naturale, alla poesia, al canto, alla elevazione dell'anima ai cieli puri dell'Infinito, per assecondare la sua "sete d'Assoluto". Il recente libro "dal cuore"..., dedicato a Giuseppe ed Alessia, i suoi "nipoti adorati", si compone di due parti: "Anima pura" e "Si sveglierà la gente", facilmente distinguibili fra loro per una diversa impostazione delle tematiche trattate. Nelle prima parte, infatti, la Mancusi evidenzia "i paesaggi interiori, la meditazione introspettiva e il rispetto per la vita che ad ogni alba rinasce"; nella seconda dà ampio spazio alla sua "indignazione - umana e civile - per il dolore e la solitudine dell'uomo, per le umiliazioni e lo strazio di chi è condannato a peregrinare, ma anche l'incitamento a reagire, a trovare in se stessi la forza di dire no al Male". La prefazione, affidata alla penna di Vincenzo Rossi, esplora ad ampio raggio il mondo poetico della poetessa salernitana e ne testimonia il suo "totale abbandono all'emozione che genera incanto e poesia". La sua capacità di "eternare" gli attimi più eloquenti della sua vita, risaltano già nelle prime due poesie scritte in occasione della nascita di Giuseppe e Alessia. Sono poesie di alta ispirazione e di classica compostezza, che riverberano i profondi teneri e gioiosi moti dell'anima della poetessa nell'atteso ed emozionante "incontro" con i neonati.
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Al sorgere di ogni vita nuova, la poetessa si accende di giovanile entusiasmo; la sua anima "vola in alto", tocca il cielo delle stelle, si riempie di luce, di estasi, si abbandona alla melodia della parola e dà vita ad una sinfonia di note liriche che esaltano la vita, la grandezza, la bellezza e l'armonia dell'universo, la continuità della Sostanza unica nel tempo e oltre il tempo "nell'eterno fluire" e generare "giorni, mesi anni luminosi /da dividere come l'ostia consacrata". Ma i momenti da eternare, per Elena Mancusi, sono anche quelli che, indelebili, fanno parte della memoria, dei ricordi, della vita vissuta, a partire dalla lontana infanzia, quando "il cielo chiaro del mattino" le "cuciva addosso il rosa dell'ibisco "; sono quelli remoti che visse nella veste di sposa e madre, di viandante nel tempo indomabile, "pellegrino dell'Universo" che vive tra "assillo e illusione" e impara, giorno dopo giorno, che "vivendo si muore". La consapevolezza della brevità e precarietà della vita, l'uscita di scena di "cari volti" e "nomi" che hanno parlato e rallegrato il suo cuore, sono anch' essi istanti che s'illurninano al prodigio della poesia, e tracciano solchi di tristezza nell'anima travolta dalla tempesta della vita che, simile ad una tempesta di vento, tutto trascina con sé, corrompe, fino a disperderne ogni traccia. Note di acuta malinconia si levano vibranti, dolci ed austere dalle corde tese dell'arpa poetica di Elena Mancusi. La parola, dalla significatività linguistica chiara e inequivocabile, acquista dignità musicale dentro ritmi lenti, sommessi, quasi sospirati, fluiti "dal cuore" per dare corpo e sostanza ad una visone della vita che scorre dentro ombre e lampeggiamenti, sulle ali del tempo, in un flusso irreversibile, che non si ripete. Ad essa è concessa di conoscere ad una ad una le tappe del suo inarrestabile cammino, di spandere il suo primo vagito all'alba, di cogliere i colori vivi dell'aurora, di sorridere e gioire al mattino, di caricarsi di sogni, speranze, pene e fatiche a mezzogiorno, cogliere frutti maturi nel meriggio, sostare pensosa in attesa del tramonto... "S'invecchia, sai.../ È la notte che incalza / e tu sei ombra /d'un cuore roso dal tempo..." Punctus dolens, quello della vecchiaia che avanza ineluttabilmente e consuma impietosamente "la festa della vita". La luce che dava sogni all'infanzia e alla giovinezza si affievolisce. "S'addensa il vento della sera". Il presentimento del buio, delle tenebre, della notte, del nulla è il fantasma nero che impregna di sé i versi della Mancusi: "...più s'avvicina il buio / più s'allontana l'ultimo chiarore... // Vedo... il giorno farsi notte / e l'aria farsi gelo / nel deserto".
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Tuttavia, il forte equilibrio psicologico, il senso del dovere come forma mentis che dirige a fini nobili ed elevati pensieri e azioni, l'attaccamento al mondo delle relazioni affettive, umane e culturali, le impongono il coraggio di continuare a calcare la scena letteraria, a non lasciarsi irretire dalla fuga dei giorni, dall`oltraggio degli anni", ma di rimanere in vigile attesa del richiamo della Musa che l'ha accolta nel suo "splendido mondo senza confini" e l'ha nutrita con "l'incanto dei giorni", cascate di entusiasmo, prorompente vitalità, fine sensibilità, sapienza, creatività e maestria: qualità emergenti dalla lettura dei suoi versi. Sul piano formale, la Mancusi ama privilegiare il colloquio interiore, rivolgersi ad un interlocutore che può essere di volta in volta 1'alter ego, il marito, il figlio, la figlia, i nipoti, l'amica che, come lei, è dotata di particolare disposizione in campo artistico. Quindi, alla genesi del canto, vi è spesso un'esigenza profonda ad aprire un discorso con un "tu", che nei momenti di più alta ispirazione e di intenso raccoglimento può essere anche Dio, al quale non è ignota la lingua materna della poetessa: "Chest'anema è tutta nu silenzio / e aspetta pe' parlà si vene Dio". Si configura così un'aspirazione religiosa che non è soltanto nostalgia delle origini della propria storia, quando "fioriva nell'anima il colore / con l' euforia febbrile / che dava luce ai sogni dell'infanzia", ma rinnovamento e innalzamento continuo, ininterrotto dello spirito dentro la norma morale che ha nei Vangeli e nella creatività il richiamo più possente a seguire le strade alte del cuore: quelle che meglio permettono di intravedere e vivere "l'armonia perfetta del Creato". Antonio Crechia
GIOVANNA LI VOLTI GUZZARDI LE MIE DUE PATRIE Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012 Giovanna Li Volti Guzzardi è una persona impegnata nella vita, nel sociale e, in particolare, nelle attività culturali. Dirige, in modo magistrale, l’Accademia culturale internazionale Alias ( Accademia Letteraria Italo - Australiana Scrittori), da lei fondata nell’ormai lontano 1992, che permette a numerosissimi poeti e scrittori, di tutte le parti del mondo, di farsi conoscere da una platea tanto ampia e ricevere, altresì, premi veramente importanti ed ambiti. Anche la nostra Giovanna Li Volti Guzzardi, esprime i suoi sentimenti in prosa e in versi e le sue opere sono molto apprezzate. La sua silloge “ Le Mie Due Patrie”, solo per fare
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un esempio, si è classificata quarta nel concorso “Città di Pomezia” dello scorso anno 2012 ed ha ricevuto numerose recensioni, alcune delle quali già pubblicate nel Periodico mensile Pomezia-Notizie, del mese di marzo 2013. Nelle poesie in essa raccolte, emergono, in modo chiaro e forte, quei sentimenti naturali ed eterni che ormai molti stanno per perdere. Sentimenti che siamo anche soliti definire “Valori”. Valori forti, valori veri, valori fondamentali che fanno parte del DNA di ciascuno e che ognuno si porta dentro. In tali poesie, il “ Valore” che emerge con più forza, è quello dell’amore per la terra ove la nostra poetessa è nata: la Sicilia: “ terra piena di colori”, ma anche di ricordi. “Sicilia bella del mio cuore, quanti ricordi mi passano per la mente, …”, e questi ricordi spesso sono anche fonte di tristezza: “ vorrei cantare e gioire con te, invece son lontana e mi struggo pensandoti”. “Se penso a te Sicilia mia le lacrime diventano un mare e il mio cuore un aeroplano che vola da te dall’alba al tramonto”. Da giovane, infatti, Giovanna Li Volti Guzzardi, come hanno fatto tanti e tanti, ha lasciato la propria terra, tanto bella e piacente, quanto povera e senza futuro, per cui ha deciso di emigrare, in cerca di un lavoro, di avventura e di un futuro migliore. “Avevo venti anni e sognavo l’avventura, ma un’avventura così lontana non l’avrei mai immaginata”. Ma l’ “Australia, terra bellissima, grandiosa, stupenda, favolosa”, ha immediatamente catturato il cuore della nostra protagonista che se ne è innamorata subito, trascorrendo in questa nuova “Patria” gli anni fulgidi della giovinezza. “ Quanti anni son passati… non li conto più tanto facilmente”. Ma alla fine, non ti senti del tutto soddisfatto, c’è qualcosa che ti rimugina dentro: i ricordi della fanciullezza, i vecchi cari amici d’infanzia, i propri cari, il viale dove si era soliti passeggiare, i profumi caratteristici della terra di Sicilia, il ricordo della patria amata e mai dimenticata, la bellezza e musicalità della propria lingua, che fanno di controcampo a tutto ciò che si è avuto in questa nuova terra di Australia, considerata una seconda patria, per il benessere conquistato, per la semplicità nel potere avere tutto, la possibilità di realizzare ogni desiderio e ogni sogno. Tutte cose meravigliose, pagate, però, a caro prezzo, il prezzo lancinante della lontananza. Infatti: “Più gli anni passano, più ancora ti penso e vorrei esser lì a passeggiare sul viale con tanta gioia e allegria nel cuore, senza morire di dolore”. Ma cosa si può fare ormai? La nuova terra è di-
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ventata la nuova patria, amata in modo altrettanto intenso. Come dimenticare, infatti, la felicità con la quale si sono vissuti tutti questi lunghi anni trascorsi nella terra di Australia? La nostra protagonista ha insegnato la lingua italiana a tanti bambini, rimanendo per questo ancor più legata alla sua terra natia, ma ha, anche, imparato l’inglese, per cui, ha potuto fare propri i contenuti culturali di questo altro popolo. In lei, pertanto, si dibattono due amori, altrettanto forti, ma comunque diversi tra loro. Come sono forti ma diversi l’uno dall’altro l’amore che una donna prova per la propria madre e l’amore che questa prova per la propria figlia. Il primo ricorda la vecchia o prima patria: l’Italia e, in particolare la Sicilia, con i suoi profumi, i panorami bellissimi, il caldo particolare e il freddo mite, ed ancora: i colori caldi della terra natia, i monti e il mare turchese. Il secondo rappresenta la seconda e nuova patria: L’Australia, con i suoi profumi diversi, con i suoi colori diversi, con le distese interminabili, i grattacieli, il lavoro sicuro, il benessere. Liriche, poesie, versi, scritti di getto, che esprimono sentimenti immediati, genuini, semplici, comprensibili non solo da coloro che sono costretti a vivere simili realtà, nelle varie parti del mondo, ma anche da coloro che non si sono mai allontanati dal proprio luogo natio. E, alla fine, stando così le cose, a chi ti puoi rivolgere per avere un valido aiuto nel superare tale difficile situazione, se non all’ “Essere Supremo”, al “Signore della Vita”? “Oh mio Dio aiutami Tu… dammi la grazia di tirarmi su!” Proprio così, perché Dio è grande, e la speranza è l’ultima a morire. Giuseppe Crapanzano
DOMENICO DEFELICE ELEUTERIO GAZZETTI CANTORE DELLA VALPADANA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013 Ancora un saggio illuminato, tratto da un epistolario gelosamente conservato, che è un vero e proprio stralcio di storia del periodo che va dagli anni sessanta alla fine dello scorso secolo. Riguarda prevalentemente la provincia modenese e la capitale. Dalle lettere emergono a tutto tondo le biografie dell’artista, Don Eleuterio Gazzetti, nonché quella di un giovane Domenico Defelice, prima preoccupato e in cerca di un’occupazione, poi sposo, poi padre, poi conosciutissimo letterato. Egli,
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entusiasta dei dipinti e delle opere poetiche dell’ amico sacerdote, le recensisce su varie riviste e le cura personalmente, recandosi nella vecchia canonica di Sozzigalli di Soliera. Sullo sfondo, personaggi dell’epoca (l’onorevole Amendola, il cardinale Lercaro, Nino Ferraù, Solange de Bressieux). Domenico Defelice riferisce anche sulle numerose mostre di pittura di Don Eleuterio apprezzate in tutta Italia e fonte di notevoli guadagni che il reverendo destinava alla canonica, a opere di beneficenza e all’Istituto S. Giuseppe. Alcuni dei quadri più celebri del Gazzetti sono riprodotti su questo interessante Croco. Sappiamo che la quotazione delle opere, variava da un milione e due milioni e mezzo di lire. Chi legge fantastica e si immerge nella atmosfera di quella amicizia intellettuale, nonché in quegli spiragli di cronaca, dai quali spesso si costruisce la storia di decenni di vita italiana. Elisabetta Di Iaconi ↓Eleuterio Gazzetti - Crocifissione, olio su tavola 30 x 15.
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IMPERIA TOGNACCI NEL BOSCO, SULLE ORME DEL PASTORE Edizioni Giuseppe Laterza, Aprile 2012. € 10,00 Sono una cara amica da molti anni, di questa grande Poetessa e Scrittrice Imperia Tognacci, ho sempre seguito con tanta ammirazione tutte le sue pubblicazioni, tutte le sue poesie, recensioni, e scritti vari, pubblicati sulla nostra Rivista POMEZIA-NOTIZIE. Ho tanto apprezzato la sua recensione fatta a IL CROCO “LE MIE DUE PATRIE”. Ho letto ogni suo scritto e l’ho conservato nel bosco del cuore, per tutte le grandi emozioni che è riuscita a creare con la sua verve colma di creatività, specialmente nei suoi versi in romanesco. Imperia Tognacci, un nome illustre della letteratura contemporanea italiana che ci fa onore. Che dire di questo stupendo Poema “NEL BOSCO, SULLE ORME DEL PASTORE?” Sono versi sentiti dal profondo, che allacciano la natura alla vita, in un contesto reale con l’eco del creato: “Per sentieri smarriti/ e in dirupi risuona l’urlo di morte/ e attraversa il mondo.” Imperia ama poetare insieme con la natura in una melodia di foglie e rami, in un pulviscolo lucente tra i boschi. Una nenia di gioie e dolori, un canto appassionato tra il presente e il passato con i battiti del cuore all’unisono con il verde che calpesta: “Là, dove il ricordo stringe il volo.” Ogni verso avvince e lega chi legge alle pagine, che rimane estasiato da ciò che la nostra Autrice magistralmente racconta. Nella prima parte di questo magico verseggiare parla la natura con tanta tristezza: “Sulla zolla che era tua,/ tetra si distende l’ombra/ del cemento. Una nota eri/ dell’umana melodia.” Nella seconda parte di questo prezioso poemetto, parla il Buon Pastore: “Come le mie pecore conoscono/ il mio richiamo, così io ascolto/ la voce del “Buon Pastore”/ e come io custodisco il mio gregge,/ il suo Verbo custodisce il mondo/ “Egli è la porta dell’eterno ovile.” Continua il lungo viaggiare tra i boschi con la luce della luna e delle stelle, con la fede che dà il coraggio di andare avanti nella quiete e pienezza dell’esistere. Un viaggio nel tempo con i ricordi che brillano o piangono nel sussurrare del vento. Imperia Tognacci, ancora una volta ci ha stupito con la sua fantasia che non ha limiti, l’azzurro del cielo, il verde dell’erba e degli alberi, il Buon Pastore che protegge le sue pecorelle, la sua poesia che arriva al cuore e lo dirige verso l’orizzonte abbagliante di luce, che come le foglie profuma di rugiada e splende nell’infinito mare della speranza,
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per abbracciare il futuro in un mondo nuovo e dimenticare il dolore e la solitudine, in perfetta sintonia con Dio che rinnovella la natura e la vita. “Di nuovo/ mi perdo nell’autunno./ Ritorno tra l’oro degli alberi,/ le folate di vento, l’umida terra./ In silenzio, raccolgo, foglia, il tuo tempo.” La sua avventura tra i boschi, tra i castagneti e i ruscelli ricordando dolori e ansie ha affascinato il lettore, il Buon Pastore che la guida in un mondo di luce, ha consacrato la Nostra Autrice una magica creatura. Con questo poema, Lei, resterà per sempre nell’ anima e nella mente di chi ha avuto la gioia di poterlo leggere. Imperia, mia dolcissima Autrice, il tuo libro sarà presentato in sede, tra i nostri amici che amano tanto l’Italia e la nostra madre lingua italiana, e ti augurano ogni bene e infiniti successi e che il “Buon Pastore” ti benedica e ti dia un radioso abbraccio da tutti gli amici dall’Australia. Giovanna Li Volti Guzzardi Melbourne, Australia
GIANNI RESCIGNO NESSUNO PUÒ RESTARE Genesi Editrice, 2013, pagg.120, € 15,00 “Nessuno può restare” è l’intensa raccolta di poesie di Gianni Rescigno, accompagnata dai giusti apprezzamenti di Giannino Balbis che la vede come un personalissimo racconto del cuore e dell’ esistenza fino ed oltre l’orizzonte terreno; da Franca Alaimo che ne sottolinea l’attesa dell’al di là, e da Fulvio Castellani che afferma: se “nessuno può restare” sulla terra, la Poesia – e specie questa -, invece, sì. L’immagine di copertina, che ha lo stesso titolo del libro - dedicato alla moglie Lucia “di giorno la mia ombra/ di notte la mia stella” - ci mostra una coppia che, “fra terra e mare”, osserva il rosso tramonto, aspettando “che la sera/ prenda il giorno e l’ addormenti…”. Tutte le liriche sono profuse dell’incanto del ciclo vitale nella Natura – così nell’uomo e nel Poeta –: il suo nascere, risplendere e poi attendere la fine, sorretti tutti dalla speranza e dall’amore. Mi piace molto “Ginestra”, perché molto positiva ed affascinante, che vi invito a leggere per prima. Al Poeta, in questa sua età più che adulta, riaffiorano spesso i ricordi, specialmente i più belli, quelli d’amore: “Capitava a sera sotto i salici:/ si consumava l’amore coi baci.// Da un pezzo/ s’erano fermate le ore alle campane./ E la luna dava giorno ai pipistrelli./Da te partivano i pensieri/ che per rag-
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giungerla s’aggrappavano / ai raggi delle stelle.” Ora, che egli è rimasto solo, “senza la tua voce”, dice: “Sono ancora con te/ dopo aver attraversato il tempo/// Ero e sono con te:/ pace e sconforto,/ di sera passo dietro al sole,/ di mattina corsa dietro al giorno.” Ora, “Il cielo preferisco/ guardarlo a mezzanotte./Qui finiscono e qui fioriscono/ i viaggi dei pensieri”. A volte, egli si chiede se la vita è solamente un sogno; e, rispondendo a se stesso, ci svela: “Infine scopri: sei restato con le cose/ che non hanno parola e ti parlano.//Infine sai: nessuno ti vede/ sei soltanto la tua anima/ in giro per il mondo.// Infine capisci: incontrerai l’ora a cui non hai mai pensato/ e ti porterà tutto l’amore/ che non hai mai avuto.” “Nessuno può restare” in questa terra, ma l’attesa è serena, al pensiero di raggiungere l’amata e Dio. Poesie molto originali, ricchissime di felici immagini – ora chiarissime ed evidenti, ora velate, ma ugualmente comprensibili come quelle sulla morte – in cui il Poeta ci apre la sua anima, il profondo del suo cuore. Maria Antonietta Mòsele
ANNA AITA - ANGELO AMBROSINO IL CORAGGIO DELL’AMORE RCE Multimedia, 2012, pagg.302, € 12,00 E’ giunto alla seconda edizione il volume di Anna Aita e Angelo Ambrosino “Il coraggio dell’amore”, di cui già conosciamo tutta la prima parte (da me recensita su Pomezia-Notizie di ottobre 2006) – e qui rimasta intatta - che racconta la morte del figlio di Angelo Ambrosino nel 1995, dovuta non solo al grave incidente stradale con la moto, ma all’incuria e all’incompetenza dei medici: un dolorosissimo fatto di malasanità, avvenuto nell’ospedale San Paolo di Napoli. In seguito a questo evento, Angelo si iscrive, come volontario, sia al “Tribunale per i diritti del malato”, sia all’AVO ( volontari ospedalieri) prodigandosi con i malati ed ottenendo, per gli stessi, molti benefici da vari Enti. In questa successiva opera, vediamo aggiunta un’ interessante Appendice, in cui Angelo Ambrosino, partecipa, sempre come volontario, anche a “Cittadinanzattiva” – di cui diviene Presidente Regionale - ottenendo una sede e molti servizi in aiuto ai malati e ai loro famigliari. Ricco di iniziative che gli vengono dal cuore, riesce a far aderire al volontariato non solo amici e conoscenti anche professionisti, ma pure studenti e studentesse di alcuni Istituti Superiori della città: tutti preventivamente preparati con brevi corsi specifici. Purtroppo, non tutto fila liscio, in quanto si infil-
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trano interessi personali di alcuni volontari contro di lui, tanto che, ignaro di ciò che gli sta accadendo intorno, si vede arrivare una lettera dalla Segretaria Nazionale di “Cittadinanzattiva” con la sospensione- prima temporanea, poi definitiva -del suo ruolo sia di Presidente Regionale, sia, poi, di semplice volontario. Inutili le telefonate, le lettere e il recarsi nella sede di Roma, davanti alla quale fa addirittura lo sciopero della fame e della sete, e poi viene anche ricoverato in ospedale. La sua richiesta di rientrare in “Cittadinanzattiva” non fu mai più ascoltata. Intanto, passati alcuni anni, e grazie al consiglio di molti suoi amici, egli istituisce una nuova Associazione onlus di volontariato puro “Salute & Ambiente per i diritti del malato”, sempre presso l’ ospedale San Paolo. E’ un nuovo fiorire di importanti iniziative, ed un nuovo sperimentare altri fatti positivi, per sé e per altri volontari, che lo risollevano alla grande dalle gravi ingiustizie subìte. Nel libro sono riportate testimonianze di stima e di solidarietà per Angelo, indirizzate a lui e alla Segretaria Nazionale di “Cittadinanzattiva”, da parte di volontari, studenti, medici, sindacalisti e da Anna Aita che si è prestata, con cura e con piacere, a stendere questo suo secondo scritto, a presentarlo e a farne conoscere i pro e pure i contro del Volontariato. Maria Antonietta Mòsele
DOMENICO DEFELICE ELEUTERIO GAZZETTI CANTORE DELLA VALPADANA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013 Il quaderno letterario di Pomezia-Notizie “Il Croco” di maggio 2013 pubblica “Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana”, scritto da Domenico Defelice il quale delinea la figura di sacerdote, poeta, scrittore e pittore di don “Erio” Gazzetti (classe 1917), e ne pubblica una serie di lettere indirizzate
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a se stesso – prima a Roma, poi a Pomezia - quale testimonianza dell’intensa collaborazione amicale fra di loro. “Penna e pennello”: saggista e pittore, ma soprattutto prete, e parroco di Sozzigalli di SolieraModena, è don Erio. Molti i suoi scritti pubblicati, tra i quali le raccolte poetiche “Arpa in Valpadana”, “La voce dell’ uomo” e “Melodie di cornamuse”; l’imponente lavoro
storico (di 300 pagine) “Vescovi, abati della diocesi di Modena e Nonantola”, già recensito dal Defelice, “Pensieri e sentenze”, “Quae utilia sunt” e molti altri, con i quali partecipava a Concorsi letterari, anche vincendo Premi, essendo i suoi scritti di alto livello. Ma tante sue opere, in prosa e in versi, rimangono inedite, per cui meriterebbero o la pubblicazione, oppure l’istituzione di un archivio consultabile dal pubblico. Poiché durante la guerra del ’44 la canonica venne distrutta, don Gazzetti si è adoperato con tutte le sue doti, anche artistiche, a volerla ricostruire: a tale scopo, si è impegnato a creare una molteplicità di opere pittoriche (più di 2 mila!) di ottima fattura e qualità, altamente valutate da esperti critici d’arte, ad esporle in molte Mostre personali in varie città – oltre che nella Mostra permanente nel suo ufficio e a venderle al prezzo di stima, così da riuscire nel suo intento, addirittura facendo costruire anche l’ asilo. Defelice definisce impressionista e simbolista lo stile delle opere, i cui soggetti trattano della natu-
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ra, del sociale, del sacro e del civile, usando anche il figurativo. L’ultima parte di questa rivista è dedicata alle Lettere che don Erio ha scritto, dal 1964 al 1998, a Defelice: è una corrispondenza di <affinità elettive> sia per scambi di idee sul loro lavoro letterario ed artistico, sia per consigli e correzioni, sia per recensioni reciproche su molte Riviste letterarie e su importanti giornali, sia per relazioni con altri scrittori ( Franco Saccà, Raffaella Frangipane, Nino Ferraù, Solange de Bresseux, ecc.), sia per segnalazioni di Mostre e Presentazioni varie. L’opera “La voce dell’uomo” gliel’ha fatta stampare Defelice. Si incontreranno, per scambievoli conferenze, sia a Roma che a Sozzigalli. In questi scritti, appare anche l’amicizia e la vicinanza umana dei due, specialmente per quanto riguarda la vita personale e famigliare di Defelice, sicuramente corrisposta da lui stesso a don Erio. Inoltre, ci appare un ampio quadro della realtà letteraria, culturale ed artistica, lunga un trentennio. Maria Antonieta Mòsele Immagine di pag. 45: Eleuterio Gazzetti - Adamo ed Eva, 1948 - olio su truciolato 24,20 x 18,60. Qui a fianco: Eleuterio Gazzetti - Susanna nel pomario (Libro di Daniele, cap. 13), 1965 olio, tondo su truciolato, 30 x 24,50.
Ê PROPRIO COSÌ Se fa caldo cerco l’ombra; se fa freddo cerco il sole. Durante il giorno lavoro, durante la notte riposo. Se ho fame mangio, se ho sete bevo. E’ così ogni giorno ed ogni notte fino al momento dell’inevitabile morte. Mariano Coreno Melbourne Australia
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D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE Presentazione libro a Cava - Giovedì, 23 maggio, al Social Tennis Club di Cava de’ Tirreni, in via M. Garzia, 2, Carlo Di Lieto dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ha presentato Disunita ombra, un libro di poesie di Luigi Fontanella, ordinario di lingua e letteratura italiana presso la State University di New York, edito quest’anno da Archinto, con prefazione di Sebastiano Aglieco. Le poesie sono state declamate da Peppe Basta; Fabio Dainotti, presidente della Lectura Dantis Metelliana, ha dialogato col poeta. Tra i libri di poesia di Fontanella, che è anche critico, narratore e drammaturgo, ricordiamo L’angelo della neve, apparso nel mondadoriano Specchio nel 2009. “Disunita ombra, scrive Paolo Lagazzi in quarta di copertina, raccoglie il lavoro recente di una delle voci più vive e autentiche dell’attuale poesia italiana. Spaziando dal respiro lungo del petit poème en prose, alla colloquialità prensile del racconto in versi, dai timbri di una moderna elegia della memoria al battito verticale ed epifanico delle accensioni improvvise, Luigi Fontanella ci accompagna con i suoi versi tra i luoghi, le persone, le emozioni e gli eventi della sua vasta esperienza. Disunita ombra sa parlare in modo indimenticabile delle paure, dei desideri e dei sogni dell’uomo scisso e sofferente di oggi.” *** UN FALSO? - Riceviamo la seguente lettera inviataci da Roma il 21 maggio scorso: Gentile direttore/la ringrazio di avermi fatto pervenire Pomezia Notizie, interessante e preziosa come sempre, da me gradita. Ma nel dare una scorsa a detta rivista,
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ho avuto la sorpresa di trovare un pensiero dedicato a Silvana ed a Ennio Maldini, a mio nome./Io non l’ ho né scritto, né firmato. Di chi è il falso?/E mio desiderio esserne informata!/Con l’augurio di ulteriori e futuri successi porgo i miei saluti Pasqualina Cavacece Conte Gentile Signora, la nota in questione, apparsa sul numero di aprile c. a., è stata inviata da Silvana Andrenacci Maldini. Poiché ci risulta che siete amiche, fateci sapere come stanno realmente le cose. La faccenda, comunque, non può che recarci amarezza. Saluti. D. Defelice *** MATRIMONI - Domenica 21 luglio 2013 - ore 15,30 - presso la Basilica di Santa Trinita di Firenze, Alessandro & Caterina (3,74 mt slm), per toccare Il Cielo con un dito. Non tutti hanno bisogno di volare. Dopo la cerimonia, Alessandro Iannitto (nipote del nostro direttore) e Caterina Perri festeggeranno il loro matrimonio assieme agli amici ed ai parenti presso l’antica Fattoria di Paterno, Località Paterno, Montespertoli - Firenze. Auguri stratosferici agli Sposi e alle loro Famiglie. Martedì 30 luglio 2013, alle ore 17, nella chiesa S. Maria di Loreto a Reggio Calabria, matrimonio tra Simona Vita (nipote del nostro direttore) e il giovane Roberto Zema. A Simona e Roberto, che, dopo la cerimonia, intratterranno parenti e amici presso “Villa Etoile” di San Leo (Reggio Calabria) e ad entrambe le famiglie degli sposi, le nostre più vive congratulazioni ed Auguri. *** CURRICULUM VITAE DI LAURA CATINI Nata il 25 dicembre 1992 a Roma. Fin da piccola si appassiona all’arte e inizia a sfruttare le proprietà dei pastelli e le molteplici sfumature che questi possono offrire. Alle elementari realizza il suo primo dipinto su tela e nell’anno 2002 le viene conferito il primo premio di disegno del concorso “Evviva Tiberino”. Alle medie segue l’insegnante di arte che accanto allo studio teorico, affianca lezioni pratiche di disegno; frequenta il corso di pittura su vetro, scrive il testo della canzone rap “La guerra non è amore ma solo distruzione”, presentata per un progetto studenti all’auditorium di Santa Cecilia, realizzando parte dell’immagine che accompagnava il testo. Frequenta la sezione di minisperimentazione di lingua inglese e storia dell’arte presso il Liceo classico Luciano Manara e, nel 2011, si diploma con la tesina “Qu’est que c’est le Surrealisme?”. Grazie all’insegnante di storia dell’arte, Laura Testa, riesce a proseguire e intensificare la sua passione per la materia che definisce come “la sua mis-
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sione” e si avvicina al Surrealismo e in particolar modo a Salvador Dalì, di cui segue le mostre correnti. Attualmente, frequenta con passione il corso di Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico e Contemporaneo all’Accademia di Belle Arti di Roma che le consente di dedicarsi anche all’aspetto pratico dell’arte. 2008-2011: Il 30 aprile 2011 espone, per la prima volta, presso la sede dell’ente Regionale “Roma Natura”, con il patrocinio dell’ ex Municipio di Roma XVI, attuale XII, in collaborazione con Centro Studi sul paesaggio, la mostra di quadri e poesie “Quando la vita, la natura, l’ uomo e i suoi sentimenti si fondono con l’ arte”. Successivamente diventa socia del Centro Studi sul paesaggio. Ha presentato le sue poesie in Via del Governo Vecchio, il 27 maggio 2009. Il 9 dicembre 2009 arriva tra i primi classificati alla sezione giovani del “XXIII Premio Laurentum per la poesia” e viene premiata con la poesia “O special sentimento” al Teatro Valle da Pino Insegno; l’evento è ripreso dalle telecamere di Roma1, Sky 860 e in streaming su www. premiolaurentum.eu. Durante il liceo ha scritto numerosi articoli per il giornale on-line “Dalla scuola” tra cui: “la discriminazione”, pubblicato anche da “Reporter per un giorno”; “Chi ha paura del buio?”, pubblicato nell’aprile del 2009 nella sezione ambiente della rivista Zainet in collaborazione con Andrea Sorrentino, Serena Mosso, Marco Boriglione e Livia Baldinelli. Negli anni 2008 e 2010, in occasione della cogestione, ha tenuto il corso di pittura su vetro e mosaico a tempera e si è interessata al sociale, partecipando al mercatino per Emergency, il 16 dicembre 2009 nella sala teatro del Regina Pacis e per Amnesty International, il 29 dicembre 2009. Il 27 maggio 2011, presso la sede ESA-ESRIN, ottiene, in collaborazione con Andrea
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Sorrentino e Marco Boriglione, il primo premio da “Giornalisti nell’erba” per l’articolo “Né prima né dopo: è ora il momento!” e viene nominata coordinatrice della redazione del giornale on-line gNe della regione Lazio. Ha scritto articoli e poesie, alcuni dei quali pubblicati sul giornalino d’istituto del liceo, come: “La rassegnazione”, “Reminescenze”, “La sofferenza”, “L’ amicizia”, “O special sentimento”, “Tu luce”, “Il pensiero”, “La discriminazione: l’ handicap dell’ uomo” e la sintesi a puntate del romanzo incompleto “L’incontro sotto le tenebre”. Segue il mondo della moda con la rivista Marieclaire, dalle cui pagine ha tratto spunto per alcuni suoi disegni che ne inquadrano le modelle. Una grande passione, la danza, che coltiva da piccola, l’ha portata ad esibirsi al teatro Vascello, al Gran Teatro e, con il corso di danza, tenuto dall’ insegnante-coreografa Sabina Domanico, al Teatro Manzoni, allo spettacolo “Danza sotto le stelle” presso il museo Explora e il 24 giugno 2012, al teatro Ambra. Il 6 dicembre 2010, ha partecipato al Gr1 ragazzi, diretto da Laura Pintus, presso Saxa Rubra, intervistando due giovani autrici di Fantasy: Marta Marat e Sarah Campi; il 20 dicembre 2010, leggendo una sua poesia nella puntata del “Sostegno a distanza”; il 10 gennaio 2011, per la mostra “Gioventù ribelle” e per la celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, parlando delle eroine del Risorgimento. Il 15 novembre 2011, viene pubblicato online su giornalistinellerba.it, l’articolo “Malagrotta, un tira e molla di trent’anni a discapito dell’ ambiente”, scritto con Andrea Sorrentino, Jules Benveniste; Nel 2012 L’8 gennaio 2012, scrive l’ articolo “Malagrotta la storia continua…purtroppo”, scritto con Andrea Sorrentino. Il 14 maggio 2012, partecipa alla diretta delle ore 13.35 di Gr1 Ragazzi
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con la conduttrice Laura Pintus. A tale puntata, è invitata in qualità di giovane giornalista in erba dall’ideatrice-direttrice di Giornalisti Nell’erba e giornalista professionista, Paola Bolaffio e insieme sono intervistati anche gli altri giornalisti: Andrea S46orrentino, Francesca Zanobbi, Mattia Leonardi, Eric Barbizzi e, attraverso rete telefonica, Claudia Cusimano, per presentare il progetto, le inchieste e commentare notizie sull’ambiente, come ci racconta, prima e dopo l’esperienza, il giornale online gNe. Il 25 maggio 2012, a Villa Mondragone, sede di rappresentanza dell’Università Tor Vergata a Monte Porzio Catone, in occasione dell’evento “Giornalisti Nell’erba - segnali dal verde”, la giornata nazionale di gNe che ingloba numerosissimi eventi su ambiente, scienza, giornalismo e innovazione; svolge il ruolo di staff e speaker, moderando le Arene (Sala del Teatro e Sala del Giardino), intervistando astronomi, giornalisti, ingegneri, ecodesigner, reporter, ricercatori come Giuseppe Greco, Fabrizio Zucchini, Paolo Mondini, Alfredo Macchi, Giovanni Mazzitelli, Sergio Lupi, Emanuele Martinelli e Giuseppe Mazzitelli e, inoltre, con altri giovani giornalisti nell’erba, rivolge un’intervista al sottosegretario all’ambiente, Tullio Fanelli. Si occupa infine dell’ufficio stampa con la giornalista Ilaria Romano. A tale giornata, segue l’ articolo di resoconto, pubblicato online sul sito di gNe il 28 maggio 2012, dal titolo “Ecco perché credo che i giovani abbiano qualcosa di speciale, colorano il nostro futuro di verde”. Attualmente è impegnata con l’Accademia e si sta orientando verso nuovi modi di vedere l’arte, scaturiti dallo studio sull’arte contemporanea e in particolare da artisti come Pistoletto e la sua concezione del “Terzo Paradiso”, Niki de Saint Phalle e il suo “Giardino dei Tarocchi”, Yves Klein e la sua “percezione del colore blu” e Jeff Koons e il suo “Rabbit”, Nito Contreras con la sua mappatura mentale e fisica, scoperto durante gli studi di antropologia culturale con la docente Lidia Reghini di Pontremoli, nonché da Sol LeWitt, De Maria e Paladino e dalla più grande istallazione di arte contemporanea, sita nella Metropolitana di Napoli. Ha scritto un breve saggio “Caos e Eros: arte e filosofia a confronto” come testo d’esame per il corso d’Estetica, tenuto dal docente Dario Evola. Ha presentato, durante il panel discussion #nonsolochat del 14 dicembre 2012 di Giornalisti nell’erba 7 del progetto “Per meglio dire ambiente” (ciclo di panel su ambiente, giornalismo e comunicazione per studenti e docenti di scuole medie, superiori e università, realizzato con il contributo e la collaborazione della Commissione europea – Rappresentanza in Italia), alle ore 12:10, presso la sede della Rappresentanza in Italia della
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Commissione europea, in Via IV Novembre 149, “Cosa significa essere smart? Open data, comunicazione digitale e cultura digitale”. Nel 2013 ha partecipato al comitato scientifico, con la ricerca sulla chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, per la conferenza “Roma fuori pista”, tenutasi con la cattedra di Beni Culturali e Ambientali e, la partecipazione dell’autore del libro, Andrea Barbati, l’8 maggio alle ore 10:30, presso l’Accademia di Belle Arti; ha collaborato, nell’ambito di un progetto presentato da Carlo Bozzo, docente di scenografia presso l’ Accademia di Belle Arti, alle scene di “Miracolo in città”, adattamento, curato da Attilio Marangon, da “Miracolo a Milano” (tratto da “Totò il Buono” di Cesare Zavattini e diretto da Vittorio De Sica), con la regia di Roberto Gandini, scene di Paolo Ferrari, costumi di Loredana Spadoni e musica di Roberto Gori, con il laboratorio integrato Piero Gabrielli, in scena al Teatro Argentina dal 2 al 5 maggio; ha preso parte a una visita didattica a Siracusa con Marco Nocca, docente di storia dell’arte antica, storia e teoria della scenografia, problematiche del restauro nell’arte contemporanea e museografia all’ Accademia per comprendere in modo pratico come vengono tutt’ora utilizzate le parti che formano la struttura del Teatro Greco, come viene montata la scenografia, e per assistere alle tragedie presentate: L’Edipo Re e L’Antigone. Da quest’ esperienza nasce, durante il viaggio di ritorno in treno a Roma, la stesura del testo di “Isabella, la Bella” (breve storia di un trono minacciato e ritrovato con intreccio d’ amore a lieto fine e dialoghi in rima); come membro dello staff, per il secondo anno, di Giornalisti nell’erba, durante la giornata “Meno per meno fa più” di Giornalisti nell’erba, a Villa Campitelli a Frascati, ha collaborato nella sala stampa, scrivendo due articoli, rilasciati dopo gli interventi e le interviste agli esperti: “Lo stile dell’articolo di cronaca”, relativo al workshop di Marco Fratoddi, direttore di “La Nuova Ecologia”, editorialista di “Europa” e insegnante di “giornalismo e nuovi media” all’Università di Cassino e “Laboratorio pensa con le mani”, basandosi sull’esperienza del laboratorio di tinkerin, di Adriano Parracciani, realizzato da WeBot, progetto di robotica educativa, e dall’associazione Nonsolociripà. Ha, inoltre, realizzato delle foto sull’evento, pubbliche sul sito online e preso parte ai whorkshop della giornata: “C’è articolo e articolo” della giornalista Ilaria Romano, “Lo zainetto 2.0: cosa metterci di essenziale” di Paolo Aghemo, esperto di didattica multimediale ed elearning, “Ambiente, norme e leggi sconosciute” di Tullio Berlenghi, ambientalista ed ed esperto di Diritto ambientale, “L’essenziale nella/della lingua” di Francesca Dragotto, linguista e docente a Tor
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Vergata, “Verso un’ecologia del giornalismo, lo stile dell’articolo di cronaca” di Marco Fratoddi, “Film making a costo 0” di Emanuele Lucci, esperto di audiovisivo e Mario Savina, esperto in storia e critica del cinema, autore di testi cinematografici e teatrali; ha assistito all’evento del Forum PA, presso il Palazzo dei Congressi (nel 2012 era stata a Bologna a “Smart City Exhibition 2012”), partecipando al seminario della “letteratura e superamento del Digital divide” e, “Scuola Digitale: nuove didattiche, nuovi setting e nuove architetture”. *** PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA S. TERESA D’AVILA 2013 - XV Edizione 1)’Empire International Club, con il Patrocinio Morale di Enti Pubblici e Privati, indice la Quindicesima Edizione del Premio Internazionale di Poesia Santa Teresa d’Avila 2013, dedicato alla Patrona del Club, fondato nel 1980 per contribuire alla conoscenza e alla diffusione del Pensiero e della Spiritualità della mistica avilana Teresa di Gesù per promuovere con la poesia l’affermazione dell’ Umanesimo, della bellezza e della trascendenza. 2)Il concorso si articola in due sezioni: a) Poesia singola inedita; b) Volume edito di poesia. 2) Possono partecipare i poeti di età non inferiore ai diciotto anni, anche per tutte e due le sezioni, con versamento di €. 15,00 per il solo rimborso della spese di segreteria e per la pubblicazione di una lirica (inedita o estratta dal volume) fra i primi settanta classificati delle due sezioni, che darà diritto a ricevere una copia dell’antologia che sarà edita dalla prestigiosa casa editrice All’insegna dell’Ippogrifo. 3) La poesia inedita partecipante, in cinque copie, dovrà spedirsi su foglio di carta bianca, in massimo quaranta versi. Ogni copia andrà firmata con relativo indirizzo, numero telefonico, e-mail. Il libro edito va pure spedito in cinque copie firmate con relativo indirizzo e numero telefonico. 4) Sia per la sezione A che per la sezione B la quota di €. 15,00 (per sezione) potrà essere versata a mezzo assegno non trasferibile; o vaglia postale, o in contanti con allegate banconote (da €. 10,00 e da €. 5,00) allegati alle opere in busta chiusa intestate al Governatore dell’ Empire-Italia prof. Tommaso Romano, via Ercole Bernabei 51, 90145 Palermo. 5) Per la poesia inedita occorre allegare la seguente dichiarazione: “Dichiaro sotto la mia responsabilità che il componimento poetico è frutto della mia creatività”. L’Ente organizzatore si ritiene sollevato da qualsiasi responsabilità o pretesa da parte degli Autori. 6) I lavori inviati non verranno restituiti. Due delle cinque copie del volume edito verranno destinate ai Fondi Bibliografici, già istituiti, presso la Biblioteca Francescana di Palermo e presso la Biblioteca Comunale
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“Francesco Brancato” di Ciminna (PA). 7) Il termine per spedire le opere è tassativamente stabilito al giorno 15 settembre 2013. Farà fede il timbro postale. 8) I vincitori, i finalisti e tutti i selezionati per l’inclusione nell’Antologia, verranno informati sia via mail o via telefonica, del luogo, del giorno e – solo per i primi tre vincitori a sezione – della propria posizione nella graduatoria del concorso. I premi non ritirati personalmente resteranno a disposizione dell’Ente, ma il premiato potrà liberamente vantare il premio conseguito, nonché l’iscrizione quale Socio Onorario a vita dell’Empire. Notizie sull’Empire Club e il suo premio potranno leggersi digitando via internet: www.empirenotizie. blogspot.com. Il giudizio della Giuria e dei suoi Componenti è inappellabile e insindacabile. Per eventuali informazioni: Tommaso Romano cell. 3493896 419. Posta elettronica info@tommasoromano.it *** Presentazione della Silloge “dal cuore” di Elena Mancusi Anziano - Col patrocinio del “Parco Storico Sighelgaita”, del Comune di Salerno, dell’ Ordine dei giornalisti della Campania e con la partecipazione affettuosa delle Associazioni culturali “La Scaletta” e “Giustino Fortunato, il 7 Marzo u.s., nel salone del Circolo Canottieri di Salerno, al cospetto di un pubblico foltissimo e qualificato, è stata presentata la raccolta di poesie “dal cuore” di Elena Mancusi Anziano, condirettrice letteraria della “Scaletta”. Moderatrice della manifestazione, che si è avvalsa della partecipazione di esponenti della cultura e della politica salernitana—la prof/ssa Clotilde Baccari Cioffi, responsabile del “Parco Storico Sichelgaita”, organizzatrice dell’incontro, il prof. Rino Mele, docente universitario, la prof/ssa Eva Avossa, vice sindaco di Salerno, e del maestro brasiliano Carlos Parreira al pianoforte, è stata la dottoressa Mariella Anziano, giornalista RAI, che ha condotto l’evento con sicurezza e professionalità. La prof/ssa Baccari, nel suo intervento, ha sottolineato con parole sentite la valenza artistica dell’autrice, mettendo in evidenza non solo l’ ampiezza del respiro poetico della sua poesia, di profonda meditazione, dove i sentimenti acquistano un risalto notevole, in quanto espressione di quei fermenti intimi che hanno origine dal cuore, ma anche la sensibilità di donna, di sposa, di madre, di nonna (non per niente il libro, diviso in due sillogi “Anima Pura “ e “Si sveglierà la gente”, collegate tra loro da un palpito vivo, che è l’afflato lirico che vibra in tutte le liriche, è dedicato ai nipoti Giuseppe ed Alessia). La prof/ssa Avossa, nel portare il saluto suo personale e dell’Amministrazione Comunale, ha dichiarato, compiaciuta, di riconoscersi pienamente nei versi della Mancusi, sia quelli di natura intimi-
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stica come madre e come donna, sia quelli un cui la poetessa si apre all’universale, facendosi voce dell’ umanità dolente e dei suoi drammi, voce che si rinvigorisce nel sentimento dell’eterno e si apre a prospettive di speranza con la riscoperta dei valori consolidati della tradizione. In ultimo ha preso la parola il prof. Mele, che, dopo aver affermato che la poesia della Mancusi è una poesia profonda, colta, in cui si fondono armonicamente meditazione e discorso, caducità ed eternamento, di disarmante realismo, ha fatto una dotta disquisizione sulla lingua e ha concluso affermando che il linguaggio della Mancusi è elegante, raffinato, musicalmente perfetto. Negli intervalli tra i vari interventi l’autrice, insieme all’eclettico pittore Renato Ianniello, ha recitato alcune liriche che sono state apprezzate dai presenti per le emozioni e le vibrazioni che hanno saputo suscitare nei loro cuori, mentre il pianista brasiliano Carlos Perreira, alternandosi alla lettura delle liriche, ha eseguito magistralmente brani classici di Segovia e di Chopin. L’incontro culturale si è concluso tra scroscianti applausi per i protagonisti e per la condivisione dei sentimenti espressi. Giuseppe Anziano
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! Cani, gatti, conigli, pecore e montoni, con il vello o con gli... scarponi, possono viaggiare su ogni mezzo pubblico, avere accesso in ogni luogo. Alleluia! Alleluia! I diritti son diritti e debbono valere per tutti, non dati agli animali togliendoli ai... cristiani, i quali debbono fare slalom sui marciapiedi per evitare le cacche e non possono camminare sull’erba del prato senza insozzarsi! Domenico Defelice
E’ in fase di stampa il volume di ANNA AITA DOMENICO DEFELICE Un poeta aperto al mondo e all’amore Ed. Il Convivio - Pagg. 94, € 12,00 _______________ Anna Aita offre al lettore un volume in grado di soddisfare l’esigenza di approfondire un autore contemporaneo che ha fatto della poesia uno strumento di vita, un atto di riflessione e di contestazione contro i poteri marci. Angelo Manitta
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Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI AA. VV. - Mozart e la Spagna. Settimane musicali al Teatro Olimpico 2013 - Direttore artistico Giovanni Battista Rigon - XXII Edizione, 31 maggio - 23 giugno 2013, Vicenza, Teatro Olimpico Volume di grande formato di pag. 210, stampato su carta Passion 13, 150 gr. da C.T.O. Vicenza. Il volume contiene il libretto dell’opera Le nozze di Figaro, di Lorenzo Da Ponte, musicata da Wolfgang Amadé Mozart, numerose foto a colori, interventi a firma di Giorgio Appolonia, Paolo Birro, Lorenzo Arruga, Marco Lincetto, Lorenzo Zen. Da pag. 155 a pag. 180 le schede dei Protagonisti: Claudio Ambrosini (compositore), Giorgio Appolonia (critico musicale), Lorenzo Arruga (critico musicale), Silvia Bellani (pianoforte), Paolo Birro (pianoforte), Giulia Bolcato (soprano), Paolo Bonomini (violoncello), Mario Brunello (violoncello), Amedeo Cicchese (violoncello), Pierluigi Comparin (maestro del coro), Luca Dall’Amico (basso-baritono), Diego Dall’Osto (compositore), Danzar Cortese (danze barocche), Minni Diodati (soprano), Hannah Eichberg (violoncello), Angelo Foletto (critico musicale), Candida Guida (contralto), I Polifonici Vicentini, Monika Leskovar (violoncello), Claudio Levantino (basso-baritono), Matteo Liva (pianoforte), Federica Lotti (flauto), Andrea Lucchesini (pia-
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noforte), Piero Mioli (critico musicale), Filippo Morace (basso baritono), Marco Nateri (costumi), Giacinta Nicotra (soprano), Fiorenzo Pascalucci (pianoforte), Antonio Petris (regista), Stefania Redaelli (pianoforte), Giovanni Battista Rigon (direttore d’orchestra), Margherita Settimo (mezzosoprano), Giovanni Sollima (violoncello), Alberto Spadarotto, Sonig Tchakerian (violino), Massimiliano Tieppo (violino), Simone Tieppo (violoncello), Pietro Tonolo (sax), Alessandro Tosi (pianoforte), Beatrice Zanon (violino), Gian Luca Zoccatelli (tenore), I solisti dell’Olimpico, l’Orchestra di Padova e del Veneto. Infine, “La Storia” e “Hanno scritto di noi”, stralci di critica dal 1992 al 2012. (il volume ci è stato inviato da Ilia Pedrina, che ringraziamo di cuore). ** INNOCENZA SCERROTTA SAMÀ - Nel taciuto la gioia - Prefazione (“Il senso del silenzio”) di Giuseppe Panella e di Rossano Onano (“Interno barocco con gatto”); Postfazione (“L’estasi del taciuto che fa vibrare divinamente l’umano”) di Anna Balsamo; in copertina, a colori, tempera di Franco Manescalchi - Edizioni Polistampa, 2013 - Pagg. 64, € 6,00 -
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* IL CENTRO STORICO - organo dell’ Associazione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testagrossa. Direttore responsabile Massimiliano Cannata via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME) - Numero 4-5 (aprile-maggio 2013). In prima pagina: “Un new deal per salvare l’Europa dalla barbarie”, di Massimiliano Cannata. Segnaliamo: “La Beatificazione di Padre Pino Puglisi. La Chiesa di Palermo gioisce per il suo Martire”, di Rosalinda Sirni; “Una principessa a Mistretta”, di Francesco Ribaudo; “Percorsi letterari in Sicilia”, di Lucio Bartolotta; “Pietro Inzoli. Incisore, pittore, un artista nato a Mistreta”, di Lucia Graziano (particolarmente interessanti, anche, a volte per la carica di cruda realtà - si veda il “Disegno dal vero” di pag. 13 -, le riproduzioni in bianco e nero dell’artista).
TRA LE RIVISTE RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIALETTALE - Periodico trimestrale fondato e diretto da Salvatore Di Marco - via Veneto 16 - 90144 Palermo. N.° 1 (gennaio-marzo 2013, terza serie). Oltre all’Editoriale del direttore-fondatore, troviamo interventi e poesie di: Gian Luigi Bruzzone, Salvatore Di Marco, Gabriele Ghiandoni, Benedetto Di Pietro, Pietro Civitareale, Sergio Spadaro, Mariella Pisani, Angelo Guasoni, Luigi Bressan, Dante Cerilli, Maria Lancillotti, Vito Moretti, Salvatore Di Natale. * LA FORÊT DES MILLE POÈTES - dir. René Varennes - 13, Avenue Reignier - 03310 Neris Les Bains, Francia. Riceviamo il n. 65 (Fev-Mars 2012 - ma, forse, 2013), ricco di poesie e di colori. * BRONTOLO - mensile satirico umoristico culturale fondato e diretto da Nello e Donatella Tortora via Margotta 18 - 84127 Salerno. N° 211-212 (Mag.-Giugno 2013), sempre esilarante. Tra le firme, ance quella della nostra amica Giovanna Li Volti Guzzardi e di Andrea Pugiotto ed Elena Mancusi Anziano.
LETTERE IN DIREZIONE Ilia Pedrina 19.06.2013:
da
Vicenza,
del
Carissimo Direttore, eccomi a te da Vicenza, città martoriata e smemorante, mentre traccio queste impressioni a caldo nella penombra del Teatro Olimpico. Si è aperta la XXII Edizione dell'evento legato a 'MOZART E LA SPAGNA LE SETTIMANE MUSICALI AL TEATRO OLIMPICO' e ti invierò a breve il grande Catalogo, con il testo per intero de 'Le nozze di
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Figaro' di W. A. Mozart, che verrà presentato dal giorno 7 Giugno in poi, nella versione di Napoli del 1814, prima esecuzione in tempi moderni sotto la guida del maestro concertatore e Direttore Giovanni Battista Rigon, per tutti 'Titta' che già l'anno scorso avevo apprezzato senza riserve ne 'Il ratto dal serraglio', ma di questo ti dirò ancora e ancora, per delicato piacere anche della nostra preziosa comune Amica, la grande musicologa Marina Caracciolo. Si, qui c'è penombra e tra suoni e scenografia fissa di questo interno palladiano che non stanca mai di stupire, si è venuta a creare una malìa che pienamente confina con la fascinazione di tutti i sensi. Seguire 'FIGARO A SPASSO PER L'EUROPA', tema del concerto di stasera non è cosa facile, perché per l'Europa, che è fatta di nazioni, non è facile confrontarsi con la Spagna, là dove Arabi ed Ebrei hanno fatto e dato storia. Ben ci aveva avvertito il relatore Angelo Foletto, critico musicale di 'Repubblica' e docente al Conservatorio di Milano, introdotto dalla bella e curiosa violinista Sonig Tchakerian, che ora è qui, nel palcoscenico dell'Olimpico, ad esibire competenza tecnica e passione, a fianco del pianista Andrea Lucchesini e poi in trio con il violoncellista Mario Brunello; si lei, Sonig, chiome nere sciolte sulle spalle e seni d'adolescente, dolce ed amabile anche con il 'Titta', che è suo marito: per articolare tutto il programma di questa stagione è stato difficile elaborare un percorso quasi sotterraneo, adatto a chiarire, a portare alla luce quelle profonde connessioni che partono dalle danze popolari ed arrivano dappertutto, quelle ansie mimetiche, quella tensione che attrae infinitamente proprio verso le danze ed i temi della musica araba di Marocco, Algeria ed altre terre di confine, per via di mare, con la Spagna, da parte di compositori come Beethoven o Ravel o Castelnuovo Tedesco che non sono spagnoli: questa è terra di libertà d'espressione dei sensi tutti nella danza dei corpi e negli effetti ritmici e timbrici degli strumenti popolari, di giorno e di notte, per le strade ed i vicoli di tutte le periferie, da Siviglia a Cordoba, ad Almeira, ad Alicante e ad ogni altrove
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e se ci spostiamo indietro nel tempo, là, con il clima così propizio ed il profumo degli agrumi, dei fiori e del mare nell'aria, si poteva ben vivere all'aperto, per i popolani, dico, perché i ricchi, ben lo sappiamo, hanno sempre un tetto.... Tale intenso fluire di creatività ritmica ed emozionale è stato fermato da Carlo Magno e dai suoi uomini di fede a Poitiers e poi lo stato di Granada, a gestione araba, è stato messo alle strette e nel Gennaio 1492 anche gli Ebrei, che avevano portato il Medio Oriente qui, nella Penisola Iberica, sono stati cacciati o convertiti o massacrati! Variazioni queste sul tema della Bellezza e dell'Eros, che si inradicano nelle terre e nei cuori dei popoli, nelle loro menti e nei loro progetti, perché ci sia solo vita e vita felice, quando si confrontano con la Malvagità. Si, perché poi arriva, inesorabile, il Potere, a stanare la felicità là dove essa s'era ben nascosta, ad imporre, a reprimere, a deprimere, ad ammonire, a giustiziare.... Ma il linguaggio dell'Arte si libera da vincoli ed abbraccia e consola ed arricchisce. Così sta accadendo qui, mentre sono con te, a condividere le “Dodici variazioni in fa maggiore sopra 'Se vuol ballare', da 'Le nozze di Figaro' di Mozart” e scritte da Beethoven intorno al 1792-93, quando era poco più che ventenne -il prof. Foletto aveva spiegato che per Beethoven le 'Variazioni' come tipologia di composizione musicale, erano come un'ossessione ed è proprio vero che qui nell'esecuzione, la citazione mozartiana è spezzata dai due timbri differenti del pianoforte e del pizzicato del violino-: si tratta di lavorare dal passato al futuro, tra Conservazione e Profezia, e lui, il Ludvig, sceglie proprio l'espressione ironica 'il signor Contino' ed il tema correlato per portare avanti il suo discorso musicale contro i nobili, perché lui, il Ludvig è antiaristocratico, è giacobino la sua parte e senza avere la Spagna dentro, ha le concrete rivendicazioni di Figaro, dentro.... Poi è la volta di Ravel, con la Sonata in sol maggiore, sempre per violino e pianoforte, seguita, con questi due stessi esecutori, da una composizione contemporanea del Castelnuovo Tedesco 'Figaro, a Concert Transcription from
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Rossini 'The Barber of Sevilla'. Mi abbandono senza riserve a Gaspar Cassadò, tutto spagnolo nel sangue, ed il violoncellista Mario Brunello ci sta offrendo magistralmente una sua Suite per violoncello solo, con PreludiFantasia, poi Sardana, che è una danza, e poi ancora Intermezzo e Danza finale, composizione che ti arriva dentro e smuove nodi di accesa sensualità. Anche tu, carissimo, tu che sei della terra di Calabria, avrai da lontano, nelle tue radici passionali, la Spagna dentro, nel sangue e nel respiro. La serata si conclude con un insolito Ravel, un Trio in la minore per pianoforte, violino e violoncello, con danze dentro e ritmi intensissimi, in incrocio timbrico d'elevata e fantasiosa fattura, scritto nel 1914, poco prima che il Ravel si facesse a tutti i costi arruolare, quasi testamento musicale spirituale, perché quando ti metti al servizio dei potenti e vai alla guerra sai quando parti, ma non sai se e quando tornerai! Così ha pensato Ravel e così ha scritto questo pez-
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zo, per il suo funerale.... Si, perché Ravel non è solo il compositore di 'Bolero'.... Con queste emozioni nel cuore, certa d'esser capita perché tu, poeta e cantore della Bellezza e dell'Eros, ti porti addosso rime e ritmi, ti abbraccio. Ilia Ilia Carissima, ho ricevuto il meraviglioso Catalogo, del quale si dà conto nella rubrica dei libri, perché tale è a tutti gli effetti. La musica è, senz’altro, l’anima più adatta a rappresentare lo spirito di una terra magica, solare e anche drammatica come la Spagna, dove la Bellezza e l’Eros hanno sempre contrastato, nel modo più teatrale che altrove, con il Male - quel che tu definisci il Potere -, capace, spesso, di “stanare la felicità là dove essa s’era ben nascosta” ed “imporre” e “reprimere” e “deprimere”; in una parola: assassinandola. Io, che non sono un musicologo come la nostra carissima Marina, non so dire se Le nozze di Figaro sia l’opera che più riesca ad esprimere il concentrato di bellezza e anche di tensione che è stato, è e sarà, il popolo spagnolo. La Spagna di ieri e la Spagna di domani, perché le persone intelligenti sanno facilmente trovare un continuo tra il passato, il presente e il futuro, tra “Conservazione e Profezia”, come tu scrivi. Ma, mi torna il dubbio:è vero che Figaro è di Siviglia, ma tu ci vedi proprio una correlazione tra il carattere generale degli spagnoli e certi sbruffi ironici dell’ opera? Per me essa si attaglia meglio a quello di italiani e francesi. (Non che in Spagna sia mancato o manchi il comico! Basta pensare al Don Chisciotte... Un mondo, quello spagnolo, che, unico,
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assieme alle vastità del Brasile - e che contrasti forti in tutto, compresi paesaggio e flora e fauna -, nella mia giovinezza, costretta ad essere sedentaria per una infinità di ragioni, ho sempre sognato di visitare). Lasciandoti alle tue emozioni e alle tue armonie, ti abbraccia il... cantore (fosse vero!) della Bellezza e dell’Eros. Domenico Foto di pag.54: Sonig Tchakerian
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l giudizio, sul Movimento di Beppe Grillo, dei responsabili dei partiti presentatisi alle elezioni di maggio, era quasi sempre improntato al disprezzo: sono giovani, inesperti, cosa volete che facciano? Il popolo pometino - che non è stupido - ha pensato: saranno pure inesperti, ma lo saranno pure a rubare e, se anche loro avessero intenzione di delinquere, ci vorrà del tempo per imparare, mentre gli altri in ladreria son già espertissimi. Così, al ballottaggio, il 65% ha votato M5Stelle. Fabio FUCCI, giovane tecnico informatico è il nuovo Sindaco. Ha promesso di rivoluzionare l’Amministrazione - gravata da un debito di 150 milioni -, coinvolgendo i cittadini. Fucci ha iniziato a far politica dal 2007 nelle Associazioni e nel Volontariato. Ha nel programma l’abbassamento degli stipendi dei dirigenti, esagerati e oltre i parametri nazionali; limitare le spese (anche quelle telefoniche e postali) e le consulenze esterne; favorire le imprese dei giovani pometini e di coloro che intenderanno investire nel territorio; convincere i cittadini a fare proposte concrete all’ Amministrazione; dare nuovo impulso al litorale di Torvajanica; dare un decisivo impulso alla Cultura e al Turismo, in prospettiva fonti importanti di occupazione; rendere decorosa la città (se si guarda, per esempio, alle sue
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piazze, la prima idea della gente sarebbe quella di impiccare in loco chi le ha progettate e chi le ha approvate. Sono invivibili); incrementare la raccolta differenziata dei rifiuti. Pomezia-Notizie, se richiesto - può dare un fattivo contributo . Per quanto concerne, per esempio, le nostre strade, segnaliamo il pericolo dei grassi pini a ridosso di scuole e di abitazioni. In via Pier Crescenzi, di fronte all’ asilo, tra il 13 e il 15 giugno, è venuto giù un grosso ramo; nello stesso asilo, nel lato prospiciente via Virgilio, un grosso pino è completamente secco: cosa si aspetta a toglierlo, che caschi prima addosso ai bambini? Simili alberi andrebbero abbattuti e sostituiti da piante più adatte; non si può aspettare l’ imprevisto: a Napoli, il 10 giugno scorso, si segnala l’ultima vittima a causa della caduta i un pino: Cristina Alongi di 44 anni. Noi amiamo i pini, ma non possono stare , con la loro massa, in luoghi affollati. In piazza Indipendenza, il grosso albero di sughero, rappresentante la città, è completamente secco da due anni; in via Virgilio, per il 50% le piante sono sparite, perché seccate e non rinnovate... Di fronte al Palazzo Comunale, intorno alla fontana, esistevano ben 8 piante; ne son rimaste appena due e son sparite pure le cornici nelle quali erano piantate... Ecco la composizione della nuova compagine governativa: Fabio FUCCI, Sindaco; M5Stelle: Renzo MERCANTI, Mirella MONTI, Federica MERCANTI, Stefano ALUNNO MANCINI, Giuseppe RASPA (detto Grillo), Dario VITIELLO, Daniela SORRENTINO, Nadia CECCHI, Francesca STEFANOTTI, Salvatore PIGNOLOSA, Claudia PICCA, Nicola CASTELMEZZANO, Adriano VELLI, Francesca Romana MONNI, Adriano ZUCCALÀ. Opposizione: Omero SCHIUMARINI (candidato sindaco non eletto), Corrado CAPODIMONTI e Imperia ZOTTOLA (PD), Massimo ABBONDANZA (Forza Pomezia), Roberto MAMBELLI (PSI), Gianni MUGNAINI (Patto per Pomezia), Luigi CELORI (candidato sindaco non eletto), Luigi LUPO e Maria Rotonda RUSSO (PdL). Ed ecco la Giunta, i cui com-
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ponenti lavoreranno insieme, cioè, senza ruoli separati gli uni dagli altri: Elisabetta Serra, la più anziana, 49 anni, che assume anche la carica di vice sindaco; Veronica Filippone, 35 anni; Emanuela Avesani, 38 anni; Lorenzo Sbizzera, 32 anni; Giovanni Mattias, 37 anni. La vittoria di Fucci ha lasciato spiazzati i famelici che finora hanno spolpato la città. Commenti, secondo noi “pelosi” quelli di quasi tutti i partiti presentatisi alle elezioni di maggio; il più onesto ci è sembrato quello di Alternativa per la Città, facente capo a Maria Corrao: “La vittoria di Fabio Fucci al ballottaggio segna la voglia da parte dei cittadini (...) di rompere con il passato e con un tipo di politica che troppo spesso ha privilegiato l’ interesse di pochi”... Auguri, allora, Signor Sindaco. Aspettiamo fiduciosi di vederla all’opera. Parafrasando il Poeta: qui si parrà la sua nobilitate! E vigilino - quelli del Movimento - e con-
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AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori a inviare i testi composti con sistemi DOS o Windows su CD ad alta densità. I testi dovranno essere composti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione. Sul CD dovrà essere indicato il sistema, il programma e il nome del file. E’ comunque necessaria anche una copia cartacea del testo. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario). Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA PRECEDENZA. Per chi usa E-Mail: defelice.d@tiscali.it I libri, possibilmente, vanno inviati in duplice copia.
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trollino col fiato sul collo il personale amministrativo, che molti - non noi, non abbiamo prove -, a torto o a ragione, vogliono inefficiente e fortemente colluso con i maggiorenti e gli uomini meno qualificabili degli altri partiti. La base degli intrallazzi, che ha portato al dissesto della città, sta forse anche in questa connessione. Domenico Defelice Sopra: il nuovo sindaco di Pomezia, dott. Fabio Fucci
POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio