VINCENT VAN GOGH
al
di Isabella Michela AffinitoINNANZITUTTO l’uomo Vincent Van Gogh, poi l’artista, ha posseduto in vita una dignità oltremisura e non solamente perché nato sotto il Segno zodiacale del primo Fuoco dell’Ariete (con l’Ascendente nel Segno d’Acqua del Cancro), così combattivo e poco riflessivo, appassionato, frettoloso e spesso dagli atteggiamenti grossolani.
La sua massiccia produzione artistica, di ottocento dipinti e incalcolabili disegni, la si deve a più o meno dieci anni del suo lavoro assiduo, l’ultima decina d’anni di vita dell’artista che voleva semplicemente ricevere il riscontro favorevole degli altri, non tanto il plauso quanto la buona vicinanza umana in base a quello che aveva potuto realizzare fra mille difficoltà.
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All’interno:
Raffaele Mucilli, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 6
Bene, Podestà, un’Europa in meno, di Giuseppe Leone, pag. 8 Maria Gargotta, Memorie d’autunno, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 10 Angelo Spina, Verrà la luce, di Antonio Crecchia, pag. 12 Notizie, pag. 20
Libri ricevuti, pag. 23
Tra le riviste, pag. 23
RECENSIONI di/per: Domenico Defelice (Myosotis, di Gabriella Frenna, pag. 14); Domenico Defelice (Unter Den Linden, di Enrico Giacovelli, pag. 16); Manuela Mazzola (Lavinium, la città dei Laurenti, a cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello, pag. 17); Manuela Mazzola(Perdonare per essere perdonati,diMarcello FallettidiVillafalletto, pag. 18); Claudio Vannuccini (Amici di ieri, amici di oggi, di Isabella Michela Affinito, pag. 19).
Inoltre, poesie di: Isabella Michela Affinito, Mariagina Bonciani, Domenico Defelice, Salvatore D’Ambrosio, Graziano Giudetti, Giovanna Li Volti Guzzardi, Lucio Zaniboni
La sua dignità oltremodo ferita forse fu una concausa dell’infelice conclusione dovuta a lui stesso (?),poichénonavevavendutonemmeno un quadro da quando aveva cominciato all’età di quasi trent’anni a dedicarsi alla pittura e costantemente doveva chiedere al fratello più piccolo di lui di quattro anni, Theo, mercante d’arte, il sussidio per mantenersi.
«[…] Eppure, mio caro fratello, c’è questo che ti ho sempre detto e che ti ripeto ancora una volta con tutta la serietà che può provenire da un pensiero costantemente teso a cercare di fare il meglio possibile, te lo ripeto ancora che ti ho sempre considerato qualcosa di più di un semplice mercante di Corot, e che tu per mezzo mio hai partecipato alla produzione stessa di alcuni quadri, che, pur nel fallimento totale, conservano la loro serenità.» (Dalla sua ultima incompiuta lettera del 27 luglio 1890, che gli fu trovata in tasca dopo essersi sparato. Inserita nel volume Lettere a Theo di V. Van Gogh, Biblioteca della Fenice, Ugo GuandaEditoreS.p.A. diParma, Anno 1984, pag. 358).
È tuttora difficile inquadrare il pittore di Groot Zundert, un villaggio nel mezzo della zonastepposadelBrabanteinOlanda,alivello
dipersonalitàperchéverosimilmentefuaffetto da epilessia e/o schizofrenia, tuttavia, è certo che Vincent Van Gogh, dagli occhi verdi e i capelli fulvi, visse con un “masso” gravoso nell’animo indicibile, una ‘spada di Damocle’ ancestrale se si considera che, astrologicamente parlando, teneva nella sua Casa Dodicesima in Gemelli (quella delle prove esistenziali da superare moralmente e materialmente, dellasolitudineedellerisorseinterioridelsoggetto) tre pianeti dominanti come Marte, Nettuno e Giove, i cui aspetti sfavorevoli non hanno fatto altro che rendergli l’esistenza all’insegna dell’aggressività dovuta al pianeta rosso, dio della guerra, Marte, della sfortuna con Giove contro e dell’approdo al nulla in connessione alla sconfinatezza di Nettuno.
«[…] egli era un Ariete e come tale tendeva alla semplicità in ogni sua manifestazione, cercava un rapporto diretto con le cose, si esprimeva con la genuinità di cui sono capaci soltanto i rappresentanti del primo segno zodiacale. Agli occhi del profano, come noi, la sua pittura è di presa diretta, schietta, non viziata da estetismi barocchi ma neanche purgata da una frugalità saturnina. Probabilmente è per questo motivo che un quadro
di Van Gogh affascina subito chi lo guarda e piace al profano come all’intenditore. Da ultimo ci piace osservare il peso che ebbe nella sua pittura l’uso del colore giallo, colore analogicamente collegato al segno del Sagittario dove il maestro olandese aveva la Luna al momento della nascita.» (Dal fascicolo Psicologia e Zodiaco Scuola di Astrologia by Longanesi & C. Periodici S.p.A. di Roma, Anno 1981, pag. 46).
Ci vorrebbeun capitolo aparteper spiegare che cosa ha rappresentato per Vincent il colore giallo dal giallo limone al giallo cadmio impastati con la terra di Siena per le chiassose corolle dei suoi moltissimi Girasoli, coi quali arrivò persino ad identificarsi a cominciare dalla “Casa Gialla (maison jaune)” affittata da lui nel 1888 ad Arles, Sud della Francia, vista come una possibile dimora location per artisti intenti al miglioramento della concezione pittorica e al collettivo confronto. Come primo ospite collega chiese al fratello Theo d’invitare Paul Gauguin, il pittore marinaio, magari per dividere in due le spese e per progredire entrambi artisticamente, e della stessa palazzina con l’appartamento suddetto,diquattro stanze,da lui presoin affitto nefeceun veridico quadro, olio su tela, datato proprio 1888.
«Mio caro Theo,/ ho pensato a Gauguin, ed ecco, se Gauguin vuol venire qui, c’è il viaggio di Gauguin e ci sono i due letti o i due materassi, che in questo caso dobbiamo assolutamente acquistare. Ma dopo, siccome Gauguin è marinaio, è probabile che arriveremo a farci il mangiare da noi. E con lo stesso denaro che spendo per me solo, vivremo in due. […] Non puoi mandare di che vivere a lui in Bretagna e a me in Provenza. Ma puoi trovare conveniente che si divida fra di noi, e fissare una somma diciamo di 250 franchi al mese, e inoltre e al di fuori del mio lavoro avere un quadro di Gauguin. Non ti sembra che, purché non si superi tale somma, ci sarebbe perfino un vantaggio?» (Dal volume Lettere a Theo di V. Van Gogh, BibliotecadellaFenice, Ugo GuandaEditoreS.p.A. di Parma, Anno 1984, pagg. 274 275).
Il destino di Vincent Van Gogh iniziò e proseguì in maniera discontinua e improvvisata di anno in anno, perché non c’era una meta precisa da seguire e perché formatosi sulle ceneri del ricordo del fratellino, suo omonimo, nato e morto un anno prima della sua nascita che, invece, avvenne il 30 marzo 1853.
Figlio di un pastore calvinista, Theodorus Van Gogh, Vincent avrebbe voluto seguire le orme paterne completando gli studi di teologia presso l’università di Amsterdam iniziati nel 1877, ma al termine del trimestre fu respinto talché giudicato inadatto per diventare evangelizzatore; nonostante ciò, fu mandato nel 1878 nella regione mineraria di Borinage nel Belgio, a predicare nella più assoluta austerità a gente ignorante e povera. Vincent andò oltre la semplice mansione di predicatore libero, infatti, si immedesimò del tutto nelle sofferenze spirituali e materiali di quella gente che viveva della misera paga da minatore e condivise quello che aveva con loro, fino ad imbruttirsi fisicamente; in testa aveva scolpiti i personaggi dell’eterna perdizione dei romanzi di Fëdor Dostoevskij e desiderava annullarsi, anima e corpo, per riscovare la vera umanità perduta. Intorno a lui, purtroppo, correvano voci di disappunto fino ad essere denunciato alle autorità e verso la fine del 1880, all’età di ventisette anni, dopo aver ricevuto dei soldi dal fratello Theo, lasciò tutto e partì per Bruxelles alla volta di voler diventare pittore.
Quando mostrava simpatia per una donna lui si dimostrava impacciato, rozzo, non piaceva anzi faceva repulsione e lui non capiva il motivo, soffrendo moltissimo. Sulle sue telecominciò amettereprofili di genteumile, avrebbe voluto diventare un artista contadino, lui che ammirava enormemente le opere del pittore francese Jean François Millet e realizzò: Donne che portano sacchi di carbone (1882), I mangiatori di patate (1885), Un paio di scarpe (1887) dove una pariglia di scarpe, appunto, con stringhe e dalla pelle consunta rappresentarono per lui la sintesi del percorso esistenziale svolto nel
‘camminare all’indietro’, senza gloria e senza denaro.
E pensare che, sempre astrologicamente trattando, in Casa Decima in Ariete, il settore riservato alla realizzazione personale rispetto alla società e il potenziale esito positivo da raggiungere, Vincent aveva il Sole (quel giallo solare divenuto protagonista assoluto dei suoi quadri) quale posizione, si potrebbe dire, tra le più fortunate a garanzia d’un risultato lavorativo straordinario e in qualche modo dopo la sua morte è andata proprio così, grazie alla volontà dell’uomo che fino all’ultimo credette nella benevolenza del destino,oltre aquello dellepersonemalgrado le delusioni e i rifiuti a iosa ricevuti.
Il fratello Theo morì a trentatré anni, a soli sei mesi di distanza dal suicidio (?) di Vincent esuo figlio, il nipotedi Vincent,Vincent Willem Van Gogh (1890 1978), divenuto un agiato ingegnere collaborò per l’edificazione nel 1963, aperto al pubblico nel 1973, del Museo Van Gogh di Amsterdam che custodisce tuttora parte dell’immenso patrimonio artistico e letterario (sono esposte più di settecento lettere vergate dall’artista perlopiù al fratello) del pittore in vita, purtroppo, mai amato e da tutti sottostimato!
Isabella Michela Affinitodisgregata o bloccata, l’ultima sua lettera mai imbucata con gli aggettivi migliori e i pensieri peggiori. Non disse che sullo sfondo della sua vita non c’era più il mandorlo fiorito e che non credeva più che il vento pettinasse l’erba quando non c’era da portare scompiglio altrove. Non disse che non riusciva a dipingere i cipressi come li vedeva il suo cuore, perché i cipressi sono alberi pazienti riservati remoti e impassibili, mentre lui li ritrasse impazienti d’aspettare l’eternità. Non disse d’essersi disamorato del giallo (sarebbe stata una bugia) e intanto ripiegò la lettera per Teo in attesa d’altre frasi da scrivere l’indomani al ritorno dal suo solito giro!
Isabella Michela Affinito
Eppure, acquosi discorsi interiori riversò sui campi intravisti nella loro esaltazione: campi di fragranze e colori, campi pronti per la mietitura, campi d’incoercibile turbanza.
Eppure, Vincent non disse tutto con la pittura rimasero frasi interrotte per una pigrizia creativa, per una coscienza
“Le parole che Vincent non disse…”
RAFFAELE MUCILLI ARMONIE: LE FORME DELLA MATERIA
di Salvatore D’AmbrosioLA materia, sia essa pietra, marmo o legno, contiene già come affermava il Buonarroti, quelle forme e quelle armonie che la sapienza tecnica dell’artista riesce a fare venire alla luce.
E nel momento in cui le armonie contenute in essa ne vengono tratte, la materia perde il suo apparente silenzio.
Accade allora così che un marmo di Carrara, una pietra della Majella o un marmo di Vinchiaturo, si animano di oggettività per il tramite dello scalpello di Raffaele Mucilli.
“È l’armonia che cerco nella materia”. Questo ripete come un mantra lo scultore Raffaele Mucilli.
L’arte è il più alto dei linguaggi umani, e lo è in quanto è la riparazione, come dice Freud, dell’imperfezione e della parzialità dello spiritocontemporaneo.Percuiciò cheappareun groviglio e una casualità a volte anche non gradevole, assume un senso e un nome nel caos dell’innominato.
Accade allora che le forme che l’artista Mucilli disegna nel marmo, nella pietra o nel
legno, hanno la perfetta armonia del cerchio richiamando senza dubbi le sinuosità femminili.
E chi più della donna con le sue forme non è che portatrice di armonie?
Ecco che il frammento anatomico, attraverso i movimenti pulsionali delMucilli, raggiungono la struttura tattile che diventa immanenza materiale.
Anche se l’estetica dellesueopere è connotata da una formalità astratta, a ben vedere nell’attenta visione dei marmi e dei legni, cogliamo invece rimandi a corporalità, concetti di famiglia o elevazioni dal significato fallico, che ritroviamo soprattutto nelle opere in legno.
Cerca l’artista abruzzese, come Antoine Poncet, l’aureo equilibrio. E quando racchiude il suo mondo di armonie in un cerchio ne èconsapevole,perciò gli incastri devono rispondere a precise esigenze estetiche e funzionali.
Ma nello stesso tempo devono esprimere, seppure nella loro astrazione, convincente concretezza.
La circolarità in cui egli muove le opere, suggerisce la pace della sensualità dell’abbraccio femminile che è cosa scontata, ineludibile, vitale e inalienabile.
Si potrebbe cadere nella faciloneria accusandolo di ovvietà maschile per il corpo della donna.
Ma anche Marina Abramovic ha fatto uso del suo corpo come emblema di un’alta significatività artistica.
È la costante modernità e la sempre attualità delle forme femminili, che fin dall’antichità ne ha reso certi i significati che resistono anche nell’arte contemporanea.
Il sapere artistico del Mucilli ha superato il concetto del linguaggio delle figure, mentre
l’inconscio è forte di una precarietà che gli consente di rappresentare un soggetto come tensione, come contraddizione, come una costellazione dove visibile e invisibile non si annullano in un’unità superiore mirabilmente conciliata, ma piuttosto in uno stilema figurativo complessivo e plurale.
Nei suoi lavori coesistono mille voci che producono un’altra memoria, un diverso orizzonte del Logos e del Mythos, un’altra storia estetica nella quale s’inscrivono passato e presente.
Il silenzio dellamateriaalloraparla. La pietra diventa goccia d’acqua che si aggroviglia adaltregocce,chepartendodalluogodell’inconscio e attraversando l’ombra della metafisica, ci restituiscono visioni di corpi femminili raggiungendo l’orlo estremo dove il possibile e l’impossibile si toccano.
È stesso l’artista che attraverso l’intitolazione delle opere, evidenzia agli occhi dell’osservatore ciò che già di per sé la materia dice.
Ecco che allora cristallizza nel cerchio di pietra tre elementi che si completano tra loro come una famiglia (fig. 1).
O ancoradà eloquenza, nel titolo ”origine”, alla scultura in legno che si alza in una curva
verticalità (fig. 2).
Se aggiungiamo poi la tecnica nel trattare lamateria, oracon lapresenzadi superfici ruvide, ora con superfici lisce e levigate come può essere un fondoschiena femminile (fig. 3), basta poco per riconoscere in quei marmi o in quei legni quelle “armonie” che lo scultore si è prefissato di rappresentare: ben conoscendo l’enigma dell’eterno che entra nel divenire.
Salvatore D’AmbrosioCOSA POSSO FARE!
Oggi è un altro giorno, ieri era lo stesso, non capisco più la differenza, tutti i giorni sono uguali,, mi guardo in giro, ma sono svuotata e vedo solo malinconia, la tristezza mi avvolge, mi fa compagnia. Cosa posso fare! Penso sempre che son sola, ho perso il mio compagno e mi sento morta anch’io, niente mi distrae, leggo e mi addormento, cammino e mi manca il respiro, guardo la TV e dormo, vado al computer, ho tanti amici con le loro poesie, mi svago con i dolci versi, ma ora mi manca la fantasia, scrivo per il mio amore qualche bella poesia, sono sempre versi tristi pensando al nostro grande amore, versi ammantati di dolore. Siamo stai insieme 60 anni, mi sento stretta tra le sue dolci mani.
8 2022
Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.) AustraliaCARMELO BENE, GIUDITTA PODESTÀ
OVVERO
UN’EUROPA DI MENO di Giuseppe Leone
PARAFRASANDO Un Amleto di meno di Carmelo Bene, definirei l’Unione Europea un’Europa di meno, cioè un’organizzazione economica e politica che sisottraeaidiritti doveridigovernare,peressere qualcosa di meno, un’Europa che non c’è: un’associazione di Stati sotto il comune cappello della Banca Centrale Europea.
Non eraquestal’EuropaUnitasognatadai padri costituenti. Dal sogno di un’Europa federalista a questa Unione Europea, minimalista, ne passa. Noi, oggi, invochiamo un’Europadi più, un’Europa politica, gli Stati Uniti d’Europa, ora che sullo sfondo torna a farsi vedere lo spettro dell’Europa delle nazioni o, se non peggio, un continente sotto l’Ombrello della Nato.
Forsequest’Europa, così com’èstatapensata, non risponde ad alcuno degli ideali dell’immediato passato. L’aveva pensata
Mazzini e l’avevano pensata i padri costituenti (da Silone a Altiero Spinelli, Silvio Trentin, Ernesto Rossi, ecc.) già durante il secondo conflitto mondiale. Ma non se ne fece nulla. Caduta l’Unione Sovietica nel 1991, già l’anno dopo, il capitalismo s’è presentato a Maastricht per costruire un’Unione Europea fondata sull’Euro.
Ma questa è un’altra Europa.
Eppure, anche oggi, come nei lontani anni Quaranta, ci sarebbe stata un’Europa degna di essere sperimentata, fresca di teorizzazione, come ce l’ha additata, non molti decenni fa, un’intellettuale con l’apostrofo. Penso a un’idea di Europa, quale è emersa da un progetto di Giuditta Podestà, da lei esposto in un suo saggio del 1990 dal titolo Le chiavi dello scrigno, dove la studiosa prospetta un’Europa Unita nel segno della letteratura comparata, edificata sopra un vasto mosaico di spaccati che indicano l’identità di Europa attraverso le metafore celate nei singoli popoli, in tipici individui, in casi eretti a simbolo, in una circolarità unificatrice. Ne cita 14: l’Hispanidad Eterna; l’Irlanda come mito; la dimensione del teatro nell’insularità britannica; la scommessa intellettuale del razionalismo francese nell’interpretazione di Renè Marill Albérès e l’Umanesimo delle virtù teologali di Charles Moeller; la realtà del corpo e del corporeo nella “Meditazione milanese” di Carlo Emilio Gadda; Il non finito kafkiano e gli inizi della nuova era; Giuseppe Mazzini e la critica letteraria. Tensione ideale e dimensione europea; la dimensione del corpo nel Medioevo egli affreschi italiani del sec. X eXI; TeodoroProdromo, la suasatira nella Bisanzio del XII secolo e gli albori di una rinascita; Battistina Vernazza, mistica aristocratica nella Genova rinascimentale; un monumento storico restaurato: il convento di Santa Maria la Vite a Olginate, documento e metafora di una vicenda umana; Il Centro Internazionale di Studi Lombardi e la sua attività europeistica; L’immagine della Germania negli incontri Ceislo (1983-1990).
Sono, queste, le tessere sulle quali la Podestà fa scorrere la sua Europa Unita, nella
direzione del comparatismo, le cui ricerche, a sua detta, hanno fornito “una documentazione inoppugnabile sull’affinità del fondo culturale e dei caratteri spirituali comuni nella civiltà dei popoli europei” avendo già all’attivo “una vera storia degli scambi spirituali, delle correnti letterarie comuni, di prestiti e di anticipi, di restituzioni, di mediazioni, di recezioni attraverso i secoli, di immagini relative ai singoli paesi, secondo le categorie della storia, della letteratura, dell’estetica, della filologia, della psicologia individuale e dei popoli.
Questa sì che sarebbe stata un’Europa politicamente unita, coniata sulla cultura dei suoi popoli piuttosto che giocata a testa o croce con monete di un Euro.
Giuseppe LeoneFoto di pagina 8: Giuditta Podestà, docente di Letteratura Comparata.
POESIE DI LUCIO ZANIBONI
1) Si intendeva di significati e significanti, masticava gerundi e condizionale; questo ultimo per lui era essenziale, aveva un processo in corso, sperava gli scontassero la penale.
2) Donna gentile, aperta agli altri, affettuosa la signora Liliana. A chi aveva bisogno apriva la sua casa.
Al commiato col sorriso presentava il conto, non era un affronto: di professione faceva la puttana.
3) Forse ripensando: domani come ieri, giorni destinati al tramonto, rotti dal singhiozzo di un sole morente.
Domani come ieri la spalliera di rose, alcune in boccio altre al confine,
infine tutto in un gorgo e i fantasmi della notte.
4) Si è levato un canto, un ubriaco forse, tu gli dai ascolto. Il delirio si calma ora tace poi riprende: Il mondo è nostro, dice la canzone e il refrain ripete: ancora nostro. Quanto di questo mostro Il t e m p o ancora ci appartiene?
5) Si, la vita, le hai creduto come un figlio alla madre; hai seguito le sue strade rette, curve, a giravolte con la bussola impazzita, tutte quante senza uscita. È un dedalo la vita?
Lucio ZaniboniDa: I giorni della Ferriera, Allprint Edizioni, fresco di stampa.
IO SONO UN’URNA
Io sono un’urna che con amore assiduo custodisce al riparo dal tempo vecchi ricordi e storie del passato che sovente riaffiorano.
E basta un suono, basta una parola o un paesaggio e all’improvviso riaffiorano ricordi ormai sopiti.
Io sono un’urna che come reliquie conserva persone, cose e eventi del passato che in me trovano vita e rivivranno finché quest’urna non verrà spezzata.
29 luglio 2022
Mariagina Bonciani MilanoMARIA GARGOTTA: MEMORIE
D’AUTUNNO
di Liliana Porro Andriuoli
LA storia di un ritorno alle origini, con il quale si ricongiungono la fine e l’inizio di un’umana avventura, potrebbe definirsi il nuovo romanzo di Maria Gargotta, Memorie d’autunno, in cui la protagonista Sophia fa ritorno da Palermo a Napoli, città dove era nata e nella quale aveva trascorso la sua giovinezza, per recuperare proprio quel passato che ormai ha dimenticato.
Erano trascorsi trentacinque anni da quella partenza e molte cose erano accadute da allora; ma oggi che una grave malattia l’aveva colpita e minacciava di cancellarle per sempre la memoria, un medico le aveva consi-
gliato di andare alla ricerca della propria giovinezza, per ritrovare se stessa e forse ottenere la guarigione desiderata.
Sophia aveva compiuto in tal modo un viaggio a ritroso nel tempo, tornando ad abitare nel suo appartamento del Vasto, un quartiere di Napoli ormai in decadenza e mal frequentato, ma nel quale aveva ritrovato Arianna, l’amica dei suoi anni giovani.
Il fatto veramente straordinario è però che nelle vie di Napoli Sophia incontra anche Elios, il giovane scrittore greco, conosciuto durante gli anni universitari, che ella aveva amato e con il quale ora riannoda la sua relazione con lo stesso ardore di un tempo.
L’Elios che Sophia incontra non è però una figura reale, bensì è solo il frutto della sua immaginazione; una proiezione del suo inconscio, con la quale s’intrattiene e parla, credendolaunacreaturaveracomequellache aveva conosciuta ed amata. (Una figura, quella di Elios, che presenta una certa analogia con Giuditta Guastamacchia, la protagonista de I fantasmi sono innocenti, il precedente romanzo di Maria Gargotta, quantunque la figura di Giuditta abbia in quel romanzo una ben diversa importanza e possieda quindi una ben diversa statura rispetto a Elios).
Nel riandare al proprio passato Sophia rivive così gli anni dell’Università, con la loro felice scoperta di un mondo nuovo e con le sollecitazioni della contestazionestudentesca che lo avevano accompagnato. Ricontempla ora quegli anni con «gli occhi della nostalgia», rivivendone lo slancio e l’ardore: a tanto tempo di distanza però le mani a tratti le tremano e la sua mente vacilla, non essendo ormai più la stessa di allora. Ancora tuttavia si entusiasma per i sogni di ieri e per tutte le sue favolose attese.
Nei suoi colloqui con Elios, ora fortunosamenteritrovato,Sophiaparlasoventedelloro amore di un tempo e ricerca le ragioni della sua partenza da Napoli, che l’aveva allontanata da lui. Era stata, quella della sua partenza per Palermo, una decisione presa avventatamente, più perun impulso improvviso
che in seguito ad una saggia ponderazione; e le sue conseguenze avevano poi segnato tutto il restante corso della sua vita. Elios, è vero, nonaveva fatto nullapertrattenerla, masi era comportato così per lasciarle la piena libertà di decidere del proprio destino.
Tornando ora a Napoli, Sophia ritrova non solo il suo amore giovanile, ma ritrova anche lasuacittà,neisuoiaspettipiùtipiciesegreti: perché anche quello per la sua città natale era stato per lei un amore struggente. E così, attraversando i vicoli di Napoli, Sophia va alla ricerca del proprio passato, muovendosi avanti e indietro nel tempo e recuperando frammenti di ricordi che a poco a poco riaffiorano alla sua mente.
Elios, come lo vede Sophia, è «folle e logico, sognatore e pragmatico, capace di ascoltare e di raccontare e poi amante di silenzi quieti, che non vogliono essere disturbati». Sophia invece è «una ragazza strana, solitaria e poco interessata a ciò a cui è interessato il mondo», sicché Elios può dirle: «vivi questi momenti, in cui siamo insieme, e non farti troppe domande, non pensare a ciò che sarà, a cosa è stato», raccomandandole pertanto di «vivere nel presente».
L’analisi che la Gargotta fa della personalità di Sophia è molto sottile, specie allorché si sofferma sulle sue contraddizioni, come quella riguardante la sua partenza da Napoli, avvenuta con sofferenza e soprattutto senza un’effettiva convinzione. Una partenza che era stata poi la causa della sua infelicità.
C’è in seguito l’acuirsi del male, che conduce alla morte Sophia, anche se intramezzato da una breve ripresa, durante la quale ella compie il recupero del suo passato. Tale morte avviene a Napoli, su di una panchina di via Caracciolo, alla presenza del mare, che qui acquistail valorediunvero epropriopersonaggio.
Sophia va comunque incontro alla morte con fermezza, dopo aver vinto le sue paure e con la consapevolezza di aver ritrovato in Elios la ragione della propria vita e quindi il proprio riscatto.
Un libro scritto con scioltezza e freschezza
di stile questo di Maria Gargotta, la quale sa guardare a fondo nell’animo del suo personaggio, come già aveva fatto nei suoi libri precedenti, e con quel tocco di intima umanità che da sempre la contraddistingue. «L’amore aiuta a vivere e a durare, / l’amore annulla e dà principio»: sono questi due versi tratti da Primizie del deserto di Mario Luzi, con iquali il libro si chiude: ed appare quanto mai significativo che con essi abbia fine una storiachehapersottotitolo Una vita d’Amore (e oltre), quasi a voler significare che l’Amore, quello vero, è ciò che ci introduce nell’Eternità.
Di molto interesse appaiono in tutto il contesto certe descrizioni dei tesori di Napoli, come quella del quadro del Caravaggio raffigurante Le Sette opere della Misericordia, situato nell’omonima Cappella, o quella della statua del Cristo velato nella Cappella Sansevero.
Il libro termina con una Postfazione di Francesco D’Episcopo, nella quale quest’insigne critico ci fornisce una chiave di lettura del romanzo, definendolo «un diario à rebours e in progress di un sentimento, di una passione, che è talmente entrata nelle fibre più intime e intense del corpo e dell’anima della protagonista, dadiventare vera sostanza di vita».
Quantunquequestopiù recentelibrodi Maria Gargotta non possa definirsi un libro autobiografico fortemente vi s’avverte la presenza dell’autrice, la quale trae sempre l’ispirazione dal proprio vissuto per meglio penetrare nell’animo dei personaggi, così come s’avvertelapresenzadei luoghiamati: l’amatissima città di Napoli e la Sicilia, regione d’origine della famiglia paterna.
Un libro importante dunque, anche per lo studio psicologico che vi è compiuto, e che costituisce un nuovo tassello cheviene ad aggiungersi agli altri pregevoli romanzi che Maria Gargotta ci è andata donando in questi ultimi anni.
Liliana Porro Andriuoli MARIA GARGOTTA: Memorie d’autunno (Editore Rogiosi, Napoli, 2019, € 14,00)
di Antonio Crecchia
VERRÀLA LUCE, raccoltapoeticadi mons. Angelo Spina, Arcivescovo Metropolìtadi Ancona Osimo dal 14 luglio 2017, si apre con la prefazione di Pasquale Di Petta e la presentazione di Vincenzo DiSabato,scrittori eoperatori culturali molisani di tutto rispetto.
È la prima volta che mi occupo di questo notevole personaggio molisano, “uomo di lettere e convinto portavoce di Dio”, come afferma Di Sabato; e lo faccio ben volentieri, anche per quel pizzico di orgoglio meridionalista e per la curiosità che mi rende disponibile a conoscere più da vicino i talenti creativi della mia regione.
Lo spirito farisaico, rapinatore e dissacratore della irrazionalità e conflittualità planetaria, la guerra assurda e brutale che sta martoriando e riducendo in cenere l’Ucraina, ci autorizzano a credere che, oggi, “viviamo la cultura del disastro”, che stiamo andando verso la dilatazione dell’apocalisse che infiamma quella regione d’Europa: è quanto ci fa intendere mons. Spina dettando l’esergo, con la convinzione che “la poesia” andando “oltre”gli spettri del male, “sa cogliere i pro-
cessi di crescita che avvengono ordinariamente nel silenzio e nell’intimo segreto per una dimensione che sale verso l’alto”.
Assistiamo passivi e fortemente preoccupati agli orrori e alle crescenti infamie di una guerra che, mai come oggi, ci fa conoscere la potenza e prepotenza demoniaca di governanti superbi, feroci e spietati, veri e propri nemici dell’ordine instaurato da Dio con la creazione.
Annuncio di conforto e di consolazione il titolo, “Verrà la luce”, ossia la redenzione, per effetto dell’azionedivinasull’uomo sprofondato, oggi più che mai, nell’abisso della superbia, irrazionalità e corruzione, accecato dal fumo acre e denso dei ceri accesi in onore della folta schiera dei falsi ed effimeri dèi della modernità.
Libro autobiografico, in cui l’eletto Autore cala, nelle pagine, interamente se stesso, vi imprime i caratteri della sua interiorità, i momenti significativi di una vita offerta al servizio di Dio, della Chiesa e della comunità sociale. Indubbiamente, questo andamento autobiografico, caldamente riflessivo, dà alla versificazione una suggestione rasserenante, un’indicazione precisa di come l’uomo di autentica fede, in cammino per le vie e i luoghi più disparati di questo mondo, avverte ovunque e sempre, il richiamo del “silenzio”, magico momento per magnificare la presenza illuminantedel Signore, arinnovarel’impegno a seguirLo sui sentieri di “luce che continua / a risplendere nelle tenebre della vita”.
Sono annotazioni diaristiche, brevi, ma dense di spiritualità e significatività dettate da una innata disposizione a guardarsi dentro per meglio vedere e comprendere quell’oltre a cui tutti siamo costantemente relazionati nell’esercizio delle nostre funzioni quotidiane.
Al nostro poeta non manca la vocazione riflessiva del filosofo, incline alla determinazionedi concetti chesiano guidasicura“a salire in alto”, con l’anima e il pensiero, nello sforzo di penetrare “il mistero della luce”.
Poesia catartica, rigenerante, insinuante il
Una nuova espressione di fede religiosa, di amore per la vita e per il prossimo di Mons. ANGELO SPINA VERRÀ LA LUCE
modello della ragione e dello spirito contemplante, senza cadere nel misticismo fine a se stesso, che assorbe la totalità dell’essere e lo condiziona a un rapporto dualistico che esclude la partecipazione solidale al processo evolutivo dell’umanità che vive nelle angustie e nelle tribolazioni, negli affanni e nei dolori, in un mondo “malato” di superbia, egoismi e indifferenza…
Il seme della speranza, quale “forza della vita”, germoglia e propaga vigorose radici d’amore, umiltà e perdono, doni della grazia divina, ali leggere dell’essere “per volare nel cielo / eternamente”. Ed è una speranza affidata non tanto alla benevolenza di Dio, quanto piuttosto al ravvedimento dell’uomo, alla sua rinascita, liberato dal “male regnante”, accogliendo gioiosamente la Luce della fede che “forte / illumina dentro gli spazi reconditi”.
La varietà dei temi e delle occasioni che hanno determinato il ricorso alla parola poetica ci danno le coordinate esplorative di un’anima attiva, vitale, operosa, insonne, in perpetuo movimento e improvvisi raccoglimenti, ansiosa di toccare mete alte, fisiche e spirituali, dalle quali poter guardare, con occhio nuovo e incantato, le rotte che portano “al cielo”, “oceano di pace”.
Fede, vita, cielo, amore, pace, speranza, luce… sono le categorieprimarie, solidee incrollabili, della logica poetica di mons. Angelo Spina, complementare alla sua logica pastorale, orientata a promuovere la ricerca e il raggiungimento della “via vera della vita”, quella che porta all’incontro definitivo con il Padre, al suo amoroso, eterno “abbraccio”.
Verrà la luce. Libro avvincente e convincente, che si snoda in un lungo percorso temporale (per l’esattezza: dal 27 novembre 2009 al 24 febbraio 2022, “inizio dell’invasione russa in Ucraina", e si risolve in una maestosa rappresentazione di un vissuto personale lungo le coordinate degli eterni valori, religiosi, morali e civili, attraverso l’osservanzadei quali l’essereumano attingeallainfinita Luce, “dove / la tenerezza di Dio / e la sete dell’uomo / si incontrano”. Per sempre.
Sul piano della comunicazione linguistica e dell’espressione poetica, mons. Spina, provetto intellettuale aduso ad esporre in pubblico con avvedutezza e sobrietà il proprio pensiero, si avvale sapientemente di una pluralità di strumenti stilistici, che avvalorano di fine garbo la complessità semantica e danno senso concreto alla versificazione, sempre condotta su pressanti stimoli psicologici a prova di fede, serietà e ferma convinzione nella presenza del fuoco d’amore di “quell’altro Sole / che sempre illumina” e dispiega nel perpetuo divenire la potenza vitale dellasuadivinaattivitàcreatrice, fontedi stupore, bellezza e meraviglia.
Antonio CrecchiaUNA SCIA DI FEDE
Di quel sereno canto che l’alba del giorno mi trasfonde e m’induce a volgermi al cielo, tremulo si rende il mio vivere per quel battito divino che ogni giorno mi soccorre.
E mi si compiace il sole al sereno sguardo che annulla l’onda remota del dolore che ravviva in me la dolce brezza.
Oh, sì, rammento i giorni bui, il minimo raggio delle persiane tinte di verde scialbo, e colgo l’antico pianto della luna che s’inarca al fioco passo.
Alcun pianeta smarrisce le mie orme, sicché nel palmo stringo la scia di Fede che serba di me l’anima nuova nel rifugio che piega all’amor di
Dio.
Graziano Giudetti (da 46° Edizione Rassegna Internazionale di Pittura Città di Mottola 2011/2012)
passione e l’amore del Maestro agrigentino per la famiglia,i luoghi stupendi,fascinosiericchidi storia della sua Sicilia, la fede. Le poesie di Gabriella e Michele Frenna scrive ancora Ruggeri “ sono un chiaro esempio di scrittura e arte testimoniale della cultura siciliana in tutte le sue sfaccettature”; “
Per Gabriella coltivare la poesia vuol dire anche costruire la pace e per questo essa stessa si è fatta costruttore di pace alla sequela del padre la cui arte musiva ha saputo rappresentare emozioni producendo opere di grande bellezza capaci di indurre l’uomo all’autodeterminazione per lottare contro tutte le forme di violenza”. Concetti che sono espressidalla poetessaspesso,in modi diversi
Recensioni
GABRIELLA FRENNA MYOSOTISOmaggio a Giacomo Leopardi in occasione del 190°anniversariodella pubblicazionede:“Ilsabato del villaggio”
Presentazione e commenti di Luigi Ruggeri; in copertina e all’interno, a colori, numerose riproduzioni dei mosaici di Michele Frenna; Magi Edizioni, 2021, pagg. 84, € 10,00
Libro di versi di Gabriella Frenna, accompagnati dacommentidiLuigiRuggeri,chevoglionoomaggiare, nel contempo, il grande poeta di Recanati e i poeticimosaicidiMicheleFrenna,padredella poetessa.
Gabriella Frenna,più chealla resa artistica, mira, con i suoi versi, a rendere testimonianza ai lavori delpadre,sulquale,daanni,“Una ricca letteratura si sta realizzando”, come informa Ruggeri, grazie al contributo di critici come Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Tito Cauchi, Leonardo Selvaggi e molti altri, ognuno dei quali ha messo in risalto la
ma sempre con chiarezza, come in “Inno alla pace”:
“
Un inno alla pace, all’amore di Dio propagano le opere dell’artista musivo. Ha divulgato mirabili sentimenti d’amore, ha svelato l’incanto di paesaggi maestosi. Ha trasmesso emozioni, il suo sguardo d’amore donato dal buon Dio ai piccoli e umili cuori”.
Questi alti sentimenti hanno dominato il Maestro specie dopo la morte della sua primogenita Rosanna, effigiata in molte opere, divenuta simbolo di come la vita sia dono di Dio e perciò va spesa solo nel far del bene e nel difendere e proteggere l’intero Creato. E Gabriella s’è interamente votata a questa missione, scrivendo e valorizzando le opere paterne senza badare di curare e perseguire estetismi personali.
Sempre con le stesse Edizioni e sempre in quasi simbiosi con Gabriella, Luigi Ruggeri ha pubblicato nel 2022 il corposo saggio (204 pagine): I mosaici di Michele Frenna: arte da cui filtra la luce dell’Infinito. Nel 10° anniversario della morte (5 Ottobre 2012).Iduevolumisicompendiano,eperché rivolti allo stesso artista e perché, in entrambi,
a dominare sono i mosaici nella loro bellezza compositiva e nello splendore delle cromie (più di venticinquenellibro di Gabriella; almeno un centinaio in quello del Ruggeri).
Dopo una breve, agile “Storia del mosaico” arricchita da altrettanti brevi medaglioni sui “Principali artisti musivi” (Gaudì, Klimt, Sironi, Funi, Campigli, Morigi Berti) , Ruggeri dà una panoramicadei mosaici diMichele Frenna, evidenziando, anche lui, i tre temi fondamentali che hanno sempreispirato l’artistasiciliano: lafamiglia,iluoghi che, poi, non sono che “luoghi nell’arte” , la fede. “Il tema dell’affetto familiare è ricorrente nell’arte di Michele le cui passioni scrive Ruggeri sono dominanti nei mosaici che la rappresentano perché ad essa ha continuamente fatto riferimento nel corso della sua vicenda umana perché luogo degli affetti personali e intimi”. Frenna è stato sempre al servizio del prossimo, “tutta la
sua esistenza” è stata “vissuta nell’amore”.
Michele Frenna ha usato il mosaico per esprimere tutto il suo interiore; esso “corrispondeva a un’etica di vita, una visione di armonia e dei contrasti che afferrava la bellezza di qualcosa che semplicemente è, ed esiste. L’obiettivo è sempre stato quello di osservare, nel mutamento dell’istante luminoso, le variazioni cromatiche che l’oggetto artistico subisce a causa della luce”
La fede è espressa in opere che richiamano il volto di Cristo, la sua nascita, la sua Passione; nei tanti santi. Nelle immagini mariane, Frenna versa a piene mani tenerezza e luce. I mosaici “Madonna”, “Madre di Dio”, “Maria”, non sono solo devozionali, ma armonia di colori e fonte sprigionanteamore. Quello che ci colpisce di più eci convince ancheperché fuori dagli schemi rappresentativi usuali è “Madre di Dio”, dove il verde del copricapo si sposa delicatamente al rosso vivo
della veste che s’intravede e a quello più ombroso delle labbra, il tutto amalgamato armonicamente al marrone dei capelli e al lago dai toni cangianti dello sfondo. Un’opera che contrasta con la cupezza de “L’Annunciazione”, perché questa vuole rappresentare il mistero, mentre la prima è realtà e fonte da cui è nata la vera Luce del mondo.
La famiglia non poteva non sposarsi con la fede, entrambe abbondantemente rappresentate nei mosaici frenniani, tra cui citiamo “Nascita di Gesù”, “Sacra famiglia”, per finire con la famiglia universale, rappresentata in “Un mondo di pace”, il “mosaico di tante razze” come auspicato da Papa Francesco . “culture e popoli uniti nel nome di Gesù!”.
Pomezia, 12 settembre 2022
Domenico Defelicedi allegria”; le crudeltà, però, sembra abbiano superato le gioie e perciò “in fondo è stato un secolo triste”. In realtà, il Novecento è stato secolo orribile al par degli altri vissuti finora dall’umanità, compresi quelli della dominazione e della civiltà dei faraoni, a uno dei quali Enrico Giacovelli lo raffronta; secoli che a noi possono sembrare meno bestiali, attenuati, solo perché su di essi è trascorso tantissimo tempo, che li ha filtrati e levigati. Affresco vasto e lastricato di tremila e cinquecento anni quello adombrato dallo scrittore in Unter Den Linden, “mille vicende tragiche di ieri e di domani come leggiamo in quarta di copertina , trentacinque secoli di storia e di storie, (che) si sono intrecciati e si intrecceranno per portare a un attimo di leggerezza e felicità”.
ENRICO GIACOVELLI
UNTER DEN LINDEN
Romanzo, Editrice Yume s.r.l., 2021, pagg. 232, € 15,00
Romanzodiduemondichesi incrociano esi fondono,purnella distanzadi millenni:quello dell’antico Egitto e quello dello scorso secolo, distintosi per guerre e ferocia, il 1900, ricco “di cosebelle e di cosebrutte, di crimini e di incanti, di giorni pieni
Racconto ad ondate nel mare del tempo, dunque, lungo leacque,lespiagge del Nilo equelledel lago Wannsee, nel vortice di atrocità passate e presenti; affresco orrido che lo scrittore tiene sempre sotto controllo e che alleggerisce con un linguaggio ironico,leggero,sfottente,stacchisapientiechimerici e altrettante riprese.
Umanità eternamentebelluina; devianze edepravazioni; selezione della razza, gulag, camere a gas, olocausto; un Hitler scialbo e pazzo e un Faraone deforme; amori e passioni; bellezza e sesso; Nefertiti e Annabella; uno “scarabeo blu che trafigge il tempo”, “dai magici poteri”; extracomunitari di ieri gli ebrei che hanno reso ricco e potente l’Egitto e di oggi, sfruttati dal ricco Occidente; il Muro di Berlino innalzato, poi diroccato e quasi rimpianto, perché, aben pensarci,per molti ha rappresentatoilleopardianocolle,con aldilàilsogno, l’infinito,eperciònaturaleche, oggi,ci sia“già chi propone di ricostruirlo, mattone su mattone, per non dimenticare”; realtà odierne e antiche; civiltà sepolte, scavi archeologici e scavi interiori; realtà e finzione ed altro ancora, il tutto aggrovigliato e nel contempo chiaro; una tensione continua per 227 pagine; una specie di sogno “egizio antico e tedesco moderno” di felliniana atmosfera. Dovunque e sempre “L’odore minaccioso dei morti insepolti (che) si confonde con quello del gas fuoriuscito dalle tubature”; dovunque e sempre città spianate, ieri come oggi in Ucraina per esempio, nazione che troviamo pure accennata, come accennato è il suo grano che ha sfamato e sfama il mondo.
Daquestoaffrescograndiosoe comegiàaccennato straripante d’ironia, col pensiero ai conati di guerra che stanno avvelenando ancora una volta il cuore della vecchia Europa, nella speranza che si trovi presto il modo per arginarne la drammatica china, riportiamo la preghiera di “tutti i soldati del
mondo” e, quindi, anche degli ucraini e dei russi che, in questi giorni, nel diluvio delle bombe, continuano a scannarsi per la pazzia di certi “signori”. Pace, pace, pace, s’invochi in tutto il mondo; si mettano finalmente e per davvero fiori nelle roventi bocche dei cannoni. Smettiamo di massacrarci; amiamoci evangelicamente gli uni e gli altri, ricordandoci che siamo niente, neppure una manciata di polvere; godiamoci la bellezza sulla terra nel poco tempo che c’è dato vivere.
<<Fa’ che la guerra sia finita prima della vendemmia, di modo che si faccia il mosto tutti insieme, e poi si uccide il maiale per festeggiare, così poi viene natale e la sera canteremo davanti al fuoco. Fa’ che quando torno al paese trovo anch’io l’amore, come tutti questi che hanno chi gli scrive, e se poi loro muoiono a noi ci restano più ragazze di prima per farci l’amore e poi sposarci. Fa’ che con tutti ‘sti patimenti almeno dimagrisco un po’, che adesso peso quasi cento chili, sono grasso come un porco e quando torno le ragazze poi preferiscono quelli magri da starci sotto. Fa’ che arrivi presto il vaglia di papà, così per il mio compleanno posso andare a puttane, quest’anno tre me ne faccio in un colpo solo. Fa’ che non ci sia un’altra vita dopo questa, sono stanco di guerra, di guerre, ho i piedi che mi fanno male, nessuno che mi aspetta. Fa’ che arrivi presto il pacco con il formaggio, le noci, i calzini nuovi, la saponetta, due paia di mutande, un chilo di salame di cavallo o pure di asino, e i fichi secchi, e un calendario. Fa’ che questo è soltanto un incubo e io adesso mi sveglio nel mio letto, in riva al Reno, e c’è mia moglie che dorme, e gli uccelli fuori che cantano perché è già mattina. Fa’ che possa fare l’amore almeno una volta, una volta prima di morire, che poi se no mi tocca raccontare agli altri cose che non so, che gli altri mica mi devono prendere in giro, e se non fai l’amore da vivo poi non lo puoi più fare da morto. Fa’ che i signori che ci hanno mandati in questa guerra muoiano presto del peggiore dei mali, e le puttane delle loro mogli, e i figli, i nipoti, i parenti, di un canchero lento, che soffrano tanto prima di morire, e poi che siano maledetti per i secoli dei secoli, e a quei generali che stanno là dietro al caldo a bere champagne, che qualcuno gli spari nel culo e muoiano di morte lenta anche loro, appesi al filo spinato, e dopo non li seppelliamo nemmeno, e torniamo a casa, e non ci sono più re e imperatori ma siamo tutti uguali. Fa’ che stanotte si possa dormire una notte tranquilli e che tu, stella cadente, sia davvero una stella cadente e non la bomba che ci seppellisce tutti>>.
Pomezia, 21 settembre 2022
GIOSUÉ AULETTAe MICHELE ZUCCARELLO (a cura di) LAVINIUM
LACITTA' DEI LAURENTI
Alice Comunicazione Editrice, Pagg. 128, € 15,00
Lavinium La città dei Laurenti, a cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello, rappresenta un itinerario a ritroso nella storia del territorio di Pomezia.Nell'introduziones'immaginachelaquercia di Pomona (oggi estirpata e che si trovava nella piazza della città) parli ai bambini, generazione del futuro affinché conoscano. Il termine conoscere deriva dal latino cognoscere, composto da cum, con e per mezzo e dal termine greco gnosi conoscenza. Dunque, si tratta di notizie o informazioni avute attraverso la comprensione dell’esperienza, divenute, poi, conoscenza e consapevolezza. La quercia parla della città di Laurentum/Lavinium e Pratica di mare, ossia la comunità dei Laurenti. Infatti, Pomezia porta con sé, al di là della sua facciata,unarealtàsegreta,nellaqualec'èilborgomedioevale, l'area archeologica e il museo. Il viaggio intrapreso dagli autori è una rilettura del mito, cominciando da quello di Enea e alla riscoperta di un luogo così misterioso che può essere messo in luce quotidianamente dai continui ritrovamenti.
Per quale motivo è importante conoscere il posto in cui si vive? L'ambiente circostante è il risultato di incontri, intersezioni, di collegamenti, interrelazioni e movimenti. E' uno spazio di sovrapposizioni eco presenze, nel qualecoloro chevi abitano si radicano, ossia si inseriscono in maniera profonda e definitiva come in botanica le radici di una pianta.
E' proprio questo il messaggio che vuole lanciare il presente lavoro: scoprire il luogo in cui ci si è radicati con una partecipazione reale, attiva all'interno della collettività ed è il risultato di intenti comuni.
La redazionedei testi con le cartografie, i disegni e le immagini sono a cura di Auletta e Zuccarello, le pubbliche relazioni e il coordinamento della pubblicità di Eliano Stella, presidente de Il ConvivioArtisti Lazio Latino Pomezia/Ardea 2014.
Domenico DefeliceLeggere, osservare e infine, visitare Laurentum/Lavinium/Pomezia fa conoscere la realtà di una storia ancora segreta e, finalmente, scoprire la vera Eneide di Virgilio.
Il libro si chiude con un ultimo messaggio della quercia che esisteva prima della città stessa e che augura: "Pacea chi entra,buona salutea chiparte".
Manuela MazzolaMARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO PERDONARE PER ESSERE PERDONATI (1922 FrancescoFalletti di Villafalletto -2022) AnscarichaeDomusAccademiade’NobiliEditore, 2022, Pagg 127, € 14,99
Perdonare per essere perdonati racconta dettagliatamente la storia della II Guerra Mondiale, ma soprattuttoquella personaledi Francesco Falletti di Villafalletto, padre del conte Marcello, autore del libro.
Francesco era un'anima umile, cordiale e speranzosa, sempre ottimista che non amava mettersi in mostra.
E se nel nome vi è un destino come dicevano i latini: Nomen est omen, allora Francesco, che vuol dire appartenente al popolo dei franchi o semplicemente franco, come la lingua franca, ossia uno strumento di comunicazione internazionale, una
lingua straniera parlata tra persone di diversa lingua madre; così,appuntoilprotagonista,cheovunque si trovasse, è riuscito a dialogare e a comunicare nonostante la delicata e pericolosa situazione, facendosi sempre rispettare da tutti.
Ricordando i cento anni dalla nascita, il saggio, rivisita l'esistenza di un padre, ma anche semplicemente di un ragazzo, dividendola in tre periodi: dalla nascita al 1940, dal '41 al '58 e poi dal 1960 al 2015, anno in cui ha lasciato questa terra.
Un uomo che ha vissuto in un'epoca completamente diversa da nostra, eppure aveva una mente moderna; era aperto al mondo, alle diverse culture e lingue senza alcun pregiudizio: “La curiosità, l'interesse per una cultura nuova, completamente diversa, cominciavano a prendere piede nella sua mente e, più ancora nel proprio cuore, elevatamente sensibile: tanto da farne tesoro geloso, fino a sentirsi parte integrante di quel popolo che, i propri fratelli militari, avevano cercato di “condurre all'uso cristiano” come simpaticamente riferisce”.
Ogni giorno sentiva la mancanza della famiglia, a cui era legatissimo, e il desiderio di sapere cosa facessero nel loro quotidiano da cui era stato escluso drasticamente. Eppure non aveva perso la fede cristiana; soffriva per gli altri sentendosi impotente. La guerra aveva cambiato ogni cosa e anche se lontano dalla famiglia era rimasto un ragazzo solare e disponibile.
Il volume è arricchito da tantissime fotografie di Francesco, della madre, del padre, dei compagni, della moglie Olga e dei figli Lina, Marcello che ha ereditato la sensibilità e l'empatia e Claudio che possiede il suo stesso amore e rispetto per ogni essere vivente, inclusi gli animali.
“Anche in questo lavoro, scrive nella prefazione Domenico Defelice Marcello Falletti di Villafalletto si rivela critico e storico ferrato e onesto e, anche se in sintesi, ci squaderna sempre la situazione generale di quell'inquieto periodo nel quale si inseriscono le vicende”. L'autore, infatti, mostra al lettore la situazione in cui versava l'Italia e i soldati italiani, che altro non erano che ragazzi, affacciati alla vita con i loro desideri e sogni.
Marcello, rileggendo le lettere e i documenti, disvela aspetti cheneppurelui conosceva: “Abbiamo scoperto un essere umano costantemente timorato di Dio, amante dei fratelli; ancor più disponibile a soccorrere quanti si trovavano in difficoltà e, facendolo sempre, con quello spirito di semplicità e facilità che non poteva mai sfuggire a nessuno. Proprio per questo, sulla pietra che ne custodisce l'eterno riposo, abbiamo voluto scrivere un semplice pensiero; facente parte del testamento spirituale che ci ha lasciato in eredità: “Vi amerò per
sempre”.
Mi viene in menteil Santo Padrechenella lettera enciclica, Fratelli Tutti, dice: “Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e lesorelleeproporreloro unaforma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia edello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”. Dunque, anche Francesco, che porta il nome del poverello diAssisi e del papa attuale, lo ritroviamo e lo scopriamo in questo grande dono che è l'amore incondizionato per il prossimo.
Manuela MazzolaISABELLA MICHELA AFFINITO
AMICI DI IERI, AMICI DI OGGI… (Tra prosa e poesia)
BASTOGILibri, 2022, pagg. 156, € 14,00
“Amici di ieri, amici di oggi ...” di Isabella MichelaAffinito,èun librochealternapoesiaeprosa,
con sapiente naturalezza, seguendo un percorso cheinnalzal’amiciziaadun valoreprofondo.L’autrice inserisce in questo contesto anche personaggi a cui si sente legata e divi delle più diverse epoche. Rivolge a loro versi toccanti chene rievocano i trascorsi. La poetessa nel suo cammino non si limita unicamente agli esseri umani, il senso dell’amicizia per lei, si spinge anche verso cose inanimate e mostra sentimenti e parole verso un albero, verso l’Italia per la sua cultura, oppure per i segni zodiacali che forse ci guidano.
In tale ambito s’inserisce una poesia toccante a lei dedicata da Marina Caracciolo, sul tema dell’amicizia: “Se l’anima del mondo tu riguardi,/ se dipingi o scrivi o pur se parli,/ se attenta in opre altrui indaghi,/ mirabile esperienza è l’ammirarti!” (tratto da L’incanto di un nome).
Nella parte omaggi in prosa nella dedica a Gigi Proietti, approfondisce la vita dell’attore e con la poesia “La Roma di Giggi” l’autrice riesce a far trasparire, la romanità garbata con delicata passione.
“E non finisce mica il cielo” l’omaggio a Mia Martini, artista sola, ma libera come il sole tra la gente strana. Qui l’autrice gioca con le frasi tratte dalle canzoni dell’artista.
Ecosì con Anna Magnani, Federico Fellini ed altri non di minor fama, con la passioneche contraddistingue la sua ispirazione.
Tra i versi più significativi, non si può tralasciare la poesia “Gli alberi amici”. Un stralcio riportato di seguito, coinvolge come un respiro tra i profumi della natura: “Vedo gli alberi amici/che a distanza/ mi tendono le/ mani nodose./ Assorbono le/ Stagioni assieme/ all’acqua e poi/ Le dimenticano,/ perché nelle radici/ non c’è memoria.” “L’amico vero non ti guarda negli occhi, perché già conosce il tuo pensiero e la tua storia. ”Così l’autrice, in una sua citazione definisce in senso dell’amicizia.
Scrive, infatti, Marina Caracciolo nella prefazione: ”L'amicizia (come l'amore) sconfigge il tempo, supera ogni distanza, rende gli affetti inossidabili come l'oro e può creare una terrena eternità. Coloro che lasciano una traccia di sé al mondo, o anche soltanto nell'animo di chi li ha conosciuti, non scompariranno mai del tutto e non avranno vissuto invano”.
Il libro di Isabella Michela Affinito, “Amici di ieri, amici di oggi…” è un viaggio, dove la poetessa dimostra ammirazione per quanto ricevuto e lo traduce in amicizia, un sentimento che non conosce distanze, né tempo, ma solo una durevole riconoscenza.
Claudio VannucciniLA CITTÀ VICINA ALL’ACQUA
Mi sono perso un mondo, (non voluto, questo si, e poi perché mi avevano insegnato a non cercarlo) dove a comandare era il rosso del fuoco e il nero della notte che mangiava le case, i palazzi dei poteri, il bianco delle chiese e dei panni stesi, l’asimmetria dei vicoli con i portoni sfregiati dall’incuria dell’oblio. Riemergeva la città dell’acqua, solo quando i fuochi erano stanchi. Sbadigliavano allora di nuovo le guglie del Duomo, i campanili, le torri, le palme e il pino che faceva le cartoline belle.
I vicoli stretti lunghi bui illuminati dal variopinto intimo disteso, dicevano dove c’erano ragazze, e i maschi nel passare erano subito in quelle case
a sognare sconosciute braccia. La città tornava ed era viva, scintillante anche nei giorni senza sole. Il frastuono dei motori era mangiato dalle mille voci. La polvere che saliva verso il cielo, si perdeva nel vento che veniva dal mare, e la città profumava sempre. Poi una sontuosa chioma nera con un dieci sulla schiena fu l’ultimo imperatore, mentre saliva lentamente un altro mondo con i coltelli affondati nei petti prosperosi, i portoni con il segno dello spaccio, e il Santo che pure lui impara a dire no. Intanto sul terrazzo di un vicolo tortuoso, si cerca ancora il bimbo instancabile, che come uovo di Megaride si è nascosto e non si trova più.
Salvatore D’Ambrosio CasertaNOTIZIE
È MORTA ELISABETTA II D’INGHILTERRA L’otto settembre 2022, a 96 anni, è morta la regina d’Inghilterra Elisabetta II; a succederle èil figlio, col nomedi Carlo III. Una donna eccezionale, se non altro per il tempo lunghissimo trascorso sul trono, ma anche per aver sempre rispettato la democrazia e la costituzione inglese, e tenutasalda,nelpossibile,unafamigliaincuiscandali e lotte fratricide non sono mai mancati. Amata e stimata dai sudditi britannici e dalle comunità raccolte ancora nell’organizzazione del Commonwealth, in cui ci sono Nazioni importanti come il Canada,l’Australia ,oggiindipendenti,machefacevano parte del regno.
I media italiani hanno dedicato all’avvenimento spazi e tempi forse esagerati, neppure Elisabetta II fosse stata la regina d’Italia: interi quotidiani e per più giorni e giorni; trasmissioni televisive e dibattiti anch’essi per giorni interi. Tutto ciò dà l’idea
Una Testata sempre libera, dal 1973 riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Sostenetela e diffondetela!
POMEZIA NOTIZIE D. Defelice: Il microfono (1960)che, sotto sotto, l’opinione pubblica italiana, i dirigenti ei mediasontuttinostalgicidi avereal potere una sola persona che li guidi e li protegga. È vero, siam tutti per la democrazia, ma, sotto sotto, tutti siam nauseati e avviliti per questi merdosi partiti che ci guidano per modo di dire, che guardano a neppureunmetrodidistanza nonhannoe,perciò, non pensano al futuro , che hanno capi inetti e vaniloqui,polli,neppuregalli, chemirano solo all’interesse momentaneo, al proprio arricchimento, al potere, alla poltrona, alla quale sono abbarbicati come cozze allo scoglio.
La monarchia è roba di un passato medievale, di castellani nostalgici; siccome, però, il presente è quanto mai pessimo e coloro che ci dirigono inetti epuredisonesti chepensanopiù allebestie, icani, per esempio, che ai cristiani , inconsciamente, forse, tutti vorremmo al potere una donna come Elisabetta II, che anche amava cani e cavalli, ma ha saputo tenere unita una nazione molto meglio di quanto abbiano fatto i tanti nostri Presidenti e i tanti nostri capi di Governo che si sono alternati a valanga dall’inizio di questa nostra disastrata Repubblica. Si piange e si ammira Elisabetta II, insomma, e, adesso, si tifa tanto per re Carlo III, perché, sotto sotto, rappresentano la nostra aspirazione! Lo neghiamo, è vero, ci inalberiamo sece lo dicono, è vero, ma, sotto sotto, la nostra è un’autentica invidia!
Domenico Defelice
incolmabile. Alla Famiglia e ai parenti tutti, specialmente alla moglie Rosanna, ai figli Emanuela, Marco e Cristian, le nostre sentite condoglianze e il nostro affetto. Ifunerali, con un concorso di folla raramentevisto (chiesa epiazza Indipendenza strapiene; commozione generale e profonda), sono stati celebrati nella nostra Città, in San Benedetto Abate, alle dieci di sabato 10 settembre. Testimonianze sentite del parroco all’omelia e altre dal sagrato al termine della cerimonia funere; pagina veramente indimenticabile, per commozione e pathos, quella della figlia Emanuela, che qui di seguito riportiamo:
“Caro Papà, chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo dovuti trovare a scrivere queste righe per te, o almeno mai avremmo pensato di farlo così presto.
Sì, perché troppo presto te ne sei andato. Sei andato via proprio quando finalmente stavi pensando di staccare un po’ la spina dal lavoro ed iniziare a goderti un po’ di più la famiglia ed i tuoi affetti. Questo tempo non l’hai avuto, ma comunque la vita l’hai goduta a pieno e l’hai condivisa con tante, tantissime persone, quelle stesse persone che in questi 30 giorni hanno fatto squillare i nostri telefoni giorno e notte perché non potevano credere a quello che ti stava accadendo, perché volevano sapere come stavi e per dirci: “Date un abbraccio a Mario”… Beh, sappiate che ogni vostro saluto ed abbraccio noi glielo abbiamo portato.
ELISABETTA II
L’ultimo raggio dell’”evo moderno” si è spento.
Il vecchio “nuovo mondo” è ormai del tutto scomparso.
Più non resta che il mondo amaro e freddo dell’“evo futuro”.
8 settembre 2022
***
Mariagina Bonciani MilanoADDIO A MARIO VIGNAROLI Venerdì, 9 settembre, presso il Parco degli Ulivi di Pomezia, è morto, dopo una breve malattia, Mario VIGNAROLI, papà di Emanuela, moglie di Stefano Defelice; non aveva che 68 anni e ha trascorso l’intera vita lavorando, stimato e ben voluto da tutti, sempre con il sorriso franco, mai sguaiato sulle labbra; un uomo esemplare, che lascia un cordoglio
Questi 30 giorni sono stati così difficili, ognuno di noi avrebbe voluto alleviare un po’ della tua sofferenza e forse è stata proprio l’impotenza, il non poter fare nulla per te che ci ha devastati… Ma ti siamo stati sempre vicino e ti abbiamo coccolato ed abbracciato fino al tuo ultimo respiro. Ci mancherà la quotidianità, il non poterti vedere e sentire tutti i giorni.
Ci mancherà vederti con la tuta blu varcare la porta dell’officina, ci mancherà vederti arrabbiato su una testata perché se facevi un lavoro lo dovevi fare bene e per tempo; ci mancherà il suono delle tue martellate, il suono dell’antifurto che puntualmente non spegnevi mai, ci mancherà sentirti sbattere due volte il portone di casa, suono inconfondibile del tuo arrivo, ci mancherà vederti arrivare il martedì con il borsone del calcetto e discutere in campo per un passaggio sbagliato; mancherà il tifo per il Nonno al Trofeo Matusa, ci mancherà vedere il furgone blu parcheggiato sotto casa con lo zio che ti aspetta; mi mancherà farmi una corsetta con te; ci mancherà sentirti gridare per un gol fatto dall’Inter, ci mancherà vederti camminare mano nella mano con mamma, ci mancherà vederti uscire insieme il sabato sera con gli amici, ci mancherà vederti sdraiato sul tappeto, dopo una giornata faticosa a lavoro, a fare la lotta con i tuoi nipotini; ci mancherà vederti ridere, scherzare e ballare con gli amici di una vita; mancherà vederti il sabato e la domenica nell’orto o nel pollaio; ci mancherà sentirti dire: “A Stè c’ho sete, che dici, ci apriamo una birretta fresca?”; ci mancherà sentirti dire: “Oggi mi riposo” e dopo un’ora eri già a lavorare alle prese con qualcosa perché tanto fermo non ci sapevi stare; ci mancherà vederti sempre pronto a tutto e per tutti. Se bisognava andare a Parma, nelle Marche, a Testa di Lepre, tu eri già in macchina pronto ad andare, perché per te la famiglia ed i parenti erano fondamentali. Per alcuni sei stato uno zio straordinario, per altri un amico insostituibile, per noi sei stato un grande padre, che ci ha insegnato cosa sia la famiglia, il lavoro, il sacrificio, ma soprattutto l’onestà. Una volta ho sentito dire da un sacerdote: “Le persone quando ci lasciano è come se stessero in un’altra stanza… Non le vedi, ma ci sono”. Ecco, noi vogliamo pensare che sei ancora in officina, o a calcetto, o nell’orto o appunto in un’altra stanza. Non ti vediamo, non ti sentiamo, ma sappiamo che ci sei. Ciao Papà, ti vogliamo un mondo di bene”.
Emanuela VignaroliEmanuela ricorda, tra l’altro, l’artefice dall’onesto lavoro, il sorriso sempre sulle labbra. A noi, quel suo sorriso, onesto, mai sguaiato, è rimasto impresso, una sua vera nota distintiva, assieme, naturalmente, alla sua signorilità. Così intendiamo ricordarlo in questi versi:
FATTI DI TERRA E STELLA
Fatti di terra e stella, a tutti è dato ascendere al Calvario dove è salito Cristo. Nessuno può sottrarsi
Fatto di terra e stella il tuo fu crudele ed improvviso.
Artefice gentile e generoso fatto di terra e stella.
Dono prezioso la tua signorilità, la tua pacatezza ed il decoro, il tuo discretissimo sorriso. Fatto di terra e stella.
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ELEZIONI POLITICHE: FRATELLI D’ITALIA PRIMO PARTITO Le elezioni politiche del 25 settembre 2022 hanno decretato quello di Giorgia Meloni il primopartito d’Italia. Se, poi, lei verrà nominata Presidente del Consiglio e se il Centrodestra sarà in grado di governare per i prossimi cinque anni, è tutto un altro discorso: perché i suoi alleati, Forza Italia e Lega, sono entrambi al di sotto del 10% e covano invidia verso la Meloni, la quale, da un quattro per cento delle passate elezioni, è riuscita a portare il suo partito al successo di adesso; perché fra i tre ci sono stati e ci sono fibrillazioni e distinguo e perché il Centrosinistra non se ne starà con le mani in mano in una leale opposizione e data la natura che da sempre lo distingue, sarà capace di mobilitare la piazza e quant’altroper renderedifficilela vitadel Governo di Centrodestra.
Con Giorgia Melone, comunque, non c’è da aspettarsi il ritorno della dittatura, pericolo sempre enfatizzato dalla Sinistra per spaventare gli italiani,
Domenico Defelicesenzatenercontoche,selaDestraeFratellid’Italia son figli del fascismo,la Sinistradi oggi èfigliadel comunismo e chi non ha gli occhi foderati di prosciutto sa che tra fascismo e comunismo non c’è poi tanta differenza: entrambi dittatura sono! Giorgia Meloni è nata a Roma il 15 gennaio 1977 e ha fatto politica fin da giovane, militando nella destra, poi in Alleanza nazionale, nel Partito delle Libertà, per poi, infine, nel 2012, fondare Fratelli d’Italia. Suo marito (ma non sembra siano sposati) è il giornalista Andrea Giambruno; hanno una figlia: Ginevra, nata nel 2016. È Presidente del Partito dei Conservatori europei a partire dal 2020.
Domenico DefeliceLIBRI RICEVUTI
TRA LE RIVISTE
LUMIE DI SICILIA periodico on line diretto da Mario Gallo vialeBelfiore9 50144 Firenze e mail: mario.gallo.firenze@gmail.com Ecco i più importanti interventi del n. 165, agosto 2022: Giovanni Cammareri: Un trasporto dimenticato; Siriana Giannone: Le due Italie. Il confino luogo di villeggiatura;RosamariaRitaLombardo:MonteGuastella
IMPERIA TOGNACCI La meta è partire In copertina, a colori, “Psiche apre al sogno”, di John William Waterhouse; Prefazione di Francesco D’Episcopo, IntroduzionediMarinaCaracciolo, in seconda bandella intervento critico di Sandro Gros Pietro; Genesi Editrice, 2022, pagg. 92, € 15,000. Imperia TOGNACCI è nata a San Mauro Pascoli.ViveaRoma,dovesièdedicataall’insegnamento. Sempre lusinghieri gli apprezzamenti sulle sue opere da parte di critici di chiara fama. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi nazionali ed internazionali. È inserita in testi di storia della letteratura, di critica letteraria e in numerose antologie, ed è stata recensita su Riviste letterarie, quotidiani e periodici. Ha pubblicato, tra poesia, romanzi, saggi: “Traiettoria di una stelo” (2001), “Giovanni Pascoli, la strada della memoria” (2002), “Non diremai cosa sarà domani” (2002), “La notte di Getsemani” (2004), “Natale a Zollara” (2005), “Odissea pascoliana” (2006), “La porta socchiusa” (2007), “Il prigionierodiUshuaia”(2008),“L’ombradellamadre” (2009), “Il lago e il tempo” (2010), “Il richiamo di Orfeo” (2011), “Nel bosco, sulle orme del pastore” (2012),“Là,dovepiovevalamanna”(2015),Anime al bivio (2017), Il prigioniero di Ushuaia/El prisionero de Ushuaia (2021), Volli, e volli sempre… La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi (2021). Nel 2014, Luigi De Rosa pubblicailvolume“ImperiaTognaccieisuoipoemi in poesia e in prosa. Saggio monografico sull’opera della poetessa e narratrice di San Mauro Pascoli”. È presente in Antologie, Dizionari ontologici, Rassegne di critica e Storie della letteratura contemporanea. Numerosissimi e importanti i Premi.
I lamenti del Venerdì Santo; Marco Scalabrino: Rosalba Schillaci I vespri siciliani Scilla al chiaro di luna; Ignazio Poma: Così pregava il popolo trapanese; GiuliaPoliDisanto: LapoeticadiAnnaSantoliquido;SantoForlì:Escursionifluviali; InaBarbata: Afa; Domenico Trovato: Franco Battiato; Mario Gallo: I quattro picciotti; Elio Piazza: Operazione con… Chi cerca un amico Il barbiere musicista; Giovanni Ingrassia: Il dialetto dimenticato; Rosaria Rita Lombardo: “La pastorale di Nardu”; Luigi Nastasi: Iliade in siciliano, libro IV, parte prima.
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L’ERACLIANO mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1623. Direttore responsabile Marcello Falletti di Villafalletto Casella Postale 39, 50018 Scandicci (Firenze) e mail: accademia_de_nobili@libero.it Riceviamo il n. 294/296, luglio settembre 2022, dal quale segnaliamo,
intanto, il saggio d’apertura: “Teatro italiano e Accademia”, di Marcello Falletti di Villafalletto. Ecco, poi, l’intervista di Carlo Pellegrini a Mons. Amleto Spicciani;, la rubrica Apophoreta, curata dallo stesso direttore Marcello Falletti di Villafalletto, il quale recensisce i volumi: Balangero in cornice, di Enrico Bo e Cesarina Bo; Dante Alighieri Poesia e canto, musica e danza di Giuseppe Liberto; Clio, Conversazioni Letterarie, Italia Oggi, di Tito Cauchi; La verità delle cose negate,di IlariaParlanti; Dike, Diritti Incerti, Karma Esausto, di Tito Cauchi e, a firma di Fabiola Confortini: I Savoia Acaia, di Marcello Falletti di Villafalletto. Inoltre, Attività
accademica, Provvedimenti e nomine, Padre Abate Dom Agostino Maria Aldinucci osb Oliv (amante del silenzio, che parlava con gli occhi del cuore).
Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione o altro) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi,almassimo,entroletrecartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Si ricorda che Pomezia-Notizie si mantienesoloattraversoicontributideilettori. Per ogni ed eventuale versamento, assolutamente volontario: Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 00043585009 Il mensileè disponibilegratuitamente sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ Per chi vuole ricevere on line la versione pdf, versamento annuale di € 30.
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