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Angelo Spina, Verrà la luce, di Antonio Crecchia, pag
by Domenico
Una nuova espressione di fede religiosa, di amore per la vita e per il prossimo di Mons.
ANGELO SPINA VERRÀ LA LUCE
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di Antonio Crecchia
VERRÀ LA LUCE, raccolta poetica di mons. Angelo Spina, Arcivescovo Metropolìta di Ancona-Osimo dal 14 luglio 2017, si apre con la prefazione di Pasquale Di Petta e la presentazione di Vincenzo Di Sabato, scrittori e operatori culturali molisani di tutto rispetto.
È la prima volta che mi occupo di questo notevole personaggio molisano, “uomo di lettere e convinto portavoce di Dio”, come afferma Di Sabato; e lo faccio ben volentieri, anche per quel pizzico di orgoglio meridionalista e per la curiosità che mi rende disponibile a conoscere più da vicino i talenti creativi della mia regione.
Lo spirito farisaico, rapinatore e dissacratore della irrazionalità e conflittualità planetaria, la guerra assurda e brutale che sta martoriando e riducendo in cenere l’Ucraina, ci autorizzano a credere che, oggi, “viviamo la cultura del disastro”, che stiamo andando verso la dilatazione dell’apocalisse che infiamma quella regione d’Europa: è quanto ci fa intendere mons. Spina dettando l’esergo, con la convinzione che “la poesia” andando “oltre” gli spettri del male, “sa cogliere i processi di crescita che avvengono ordinariamente nel silenzio e nell’intimo segreto per una dimensione che sale verso l’alto”.
Assistiamo passivi e fortemente preoccupati agli orrori e alle crescenti infamie di una guerra che, mai come oggi, ci fa conoscere la potenza e prepotenza demoniaca di governanti superbi, feroci e spietati, veri e propri nemici dell’ordine instaurato da Dio con la creazione.
Annuncio di conforto e di consolazione il titolo, “Verrà la luce”, ossia la redenzione, per effetto dell’azione divina sull’uomo sprofondato, oggi più che mai, nell’abisso della superbia, irrazionalità e corruzione, accecato dal fumo acre e denso dei ceri accesi in onore della folta schiera dei falsi ed effimeri dèi della modernità.
Libro autobiografico, in cui l’eletto Autore cala, nelle pagine, interamente se stesso, vi imprime i caratteri della sua interiorità, i momenti significativi di una vita offerta al servizio di Dio, della Chiesa e della comunità sociale. Indubbiamente, questo andamento autobiografico, caldamente riflessivo, dà alla versificazione una suggestione rasserenante, un’indicazione precisa di come l’uomo di autentica fede, in cammino per le vie e i luoghi più disparati di questo mondo, avverte ovunque e sempre, il richiamo del “silenzio”, magico momento per magnificare la presenza illuminante del Signore, a rinnovare l’impegno a seguirLo sui sentieri di “luce che continua / a risplendere nelle tenebre della vita”.
Sono annotazioni diaristiche, brevi, ma dense di spiritualità e significatività dettate da una innata disposizione a guardarsi dentro per meglio vedere e comprendere quell’oltre a cui tutti siamo costantemente relazionati nell’esercizio delle nostre funzioni quotidiane.
Al nostro poeta non manca la vocazione riflessiva del filosofo, incline alla determinazione di concetti che siano guida sicura “a salire in alto”, con l’anima e il pensiero, nello sforzo di penetrare “il mistero della luce”.
Poesia catartica, rigenerante, insinuante il
modello della ragione e dello spirito contemplante, senza cadere nel misticismo fine a se stesso, che assorbe la totalità dell’essere e lo condiziona a un rapporto dualistico che esclude la partecipazione solidale al processo evolutivo dell’umanità che vive nelle angustie e nelle tribolazioni, negli affanni e nei dolori, in un mondo “malato” di superbia, egoismi e indifferenza…
Il seme della speranza, quale “forza della vita”, germoglia e propaga vigorose radici d’amore, umiltà e perdono, doni della grazia divina, ali leggere dell’essere “per volare nel cielo / eternamente”. Ed è una speranza affidata non tanto alla benevolenza di Dio, quanto piuttosto al ravvedimento dell’uomo, alla sua rinascita, liberato dal “male regnante”, accogliendo gioiosamente la Luce della fede che “forte / illumina dentro gli spazi reconditi”.
La varietà dei temi e delle occasioni che hanno determinato il ricorso alla parola poetica ci danno le coordinate esplorative di un’anima attiva, vitale, operosa, insonne, in perpetuo movimento e improvvisi raccoglimenti, ansiosa di toccare mete alte, fisiche e spirituali, dalle quali poter guardare, con occhio nuovo e incantato, le rotte che portano “al cielo”, “oceano di pace”.
Fede, vita, cielo, amore, pace, speranza, luce… sono le categorie primarie, solide e incrollabili, della logica poetica di mons. Angelo Spina, complementare alla sua logica pastorale, orientata a promuovere la ricerca e il raggiungimento della “via vera della vita”, quella che porta all’incontro definitivo con il Padre, al suo amoroso, eterno “abbraccio”.
Verrà la luce. Libro avvincente e convincente, che si snoda in un lungo percorso temporale (per l’esattezza: dal 27 novembre 2009 al 24 febbraio 2022, “inizio dell’invasione russa in Ucraina", e si risolve in una maestosa rappresentazione di un vissuto personale lungo le coordinate degli eterni valori, religiosi, morali e civili, attraverso l’osservanza dei quali l’essere umano attinge alla infinita Luce, “dove / la tenerezza di Dio / e la sete dell’uomo / si incontrano”. Per sempre.
Sul piano della comunicazione linguistica e dell’espressione poetica, mons. Spina, provetto intellettuale aduso ad esporre in pubblico con avvedutezza e sobrietà il proprio pensiero, si avvale sapientemente di una pluralità di strumenti stilistici, che avvalorano di fine garbo la complessità semantica e danno senso concreto alla versificazione, sempre condotta su pressanti stimoli psicologici a prova di fede, serietà e ferma convinzione nella presenza del fuoco d’amore di “quell’altro Sole / che sempre illumina” e dispiega nel perpetuo divenire la potenza vitale della sua divina attività creatrice, fonte di stupore, bellezza e meraviglia.
Antonio Crecchia
UNA SCIA DI FEDE
Di quel sereno canto che l’alba del giorno mi trasfonde e m’induce a volgermi al cielo, tremulo si rende il mio vivere per quel battito divino che ogni giorno mi soccorre.
E mi si compiace il sole al sereno sguardo che annulla l’onda remota del dolore che ravviva in me la dolce brezza.
Oh, sì, rammento i giorni bui, il minimo raggio delle persiane tinte di verde scialbo, e colgo l’antico pianto della luna che s’inarca al fioco passo. Alcun pianeta smarrisce le mie orme, sicché nel palmo stringo la scia di Fede che serba di me l’anima nuova nel rifugio che piega all’amor di Dio.
Graziano Giudetti
(da 46° Edizione Rassegna Internazionale di Pittura – Città di Mottola 2011/2012)
Recensioni
GABRIELLA FRENNA
MYOSOTIS Omaggio a Giacomo Leopardi in occasione del 190° anniversario della pubblicazione de: “Il sabato del villaggio”
Presentazione e commenti di Luigi Ruggeri; in copertina e all’interno, a colori, numerose riproduzioni dei mosaici di Michele Frenna; Magi Edizioni, 2021, pagg. 84, € 10,00
Libro di versi di Gabriella Frenna, accompagnati da commenti di Luigi Ruggeri, che vogliono omaggiare, nel contempo, il grande poeta di Recanati e i poetici mosaici di Michele Frenna, padre della poetessa.
Gabriella Frenna, più che alla resa artistica, mira, con i suoi versi, a rendere testimonianza ai lavori del padre, sul quale, da anni, “Una ricca letteratura si sta realizzando”, come informa Ruggeri, grazie al contributo di critici come Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Tito Cauchi, Leonardo Selvaggi e molti altri, ognuno dei quali ha messo in risalto la passione e l’amore del Maestro agrigentino per la famiglia, i luoghi stupendi, fascinosi e ricchi di storia della sua Sicilia, la fede. Le poesie di Gabriella e Michele Frenna – scrive ancora Ruggeri –“ sono un chiaro esempio di scrittura e arte testimoniale della cultura siciliana in tutte le sue sfaccettature”; “Per Gabriella coltivare la poesia vuol dire anche costruire la pace e per questo essa stessa si è fatta costruttore di pace alla sequela del padre la cui arte musiva ha saputo rappresentare emozioni producendo opere di grande bellezza capaci di indurre l’uomo all’autodeterminazione per lottare contro tutte le forme di violenza”. Concetti che sono espressi dalla poetessa spesso, in modi diversi
ma sempre con chiarezza, come in “Inno alla pace”: “Un inno alla pace, all’amore di Dio propagano le opere dell’artista musivo. Ha divulgato mirabili sentimenti d’amore, ha svelato l’incanto di paesaggi maestosi. Ha trasmesso emozioni, il suo sguardo d’amore donato dal buon Dio ai piccoli e umili cuori”.
Questi alti sentimenti hanno dominato il Maestro specie dopo la morte della sua primogenita Rosanna, effigiata in molte opere, divenuta simbolo di come la vita sia dono di Dio e perciò va spesa solo nel far del bene e nel difendere e proteggere l’intero Creato. E Gabriella s’è interamente votata a questa missione, scrivendo e valorizzando le opere paterne senza badare di curare e perseguire estetismi personali.
Sempre con le stesse Edizioni e sempre in quasi simbiosi con Gabriella, Luigi Ruggeri ha pubblicato nel 2022 il corposo saggio (204 pagine): I mosaici di Michele Frenna: arte da cui filtra la luce dell’Infinito. Nel 10° anniversario della morte (5 Ottobre 2012). I due volumi si compendiano, e perché rivolti allo stesso artista e perché, in entrambi, a dominare sono i mosaici nella loro bellezza compositiva e nello splendore delle cromie (più di venticinque nel libro di Gabriella; almeno un centinaio in quello del Ruggeri).
Dopo una breve, agile “Storia del mosaico” - arricchita da altrettanti brevi medaglioni sui “Principali artisti musivi” (Gaudì, Klimt, Sironi, Funi, Campigli, Morigi Berti) -, Ruggeri dà una panoramica dei mosaici di Michele Frenna, evidenziando, anche lui, i tre temi fondamentali che hanno sempre ispirato l’artista siciliano: la famiglia, i luoghi - che, poi, non sono che “luoghi nell’arte” -, la fede. “Il tema dell’affetto familiare è ricorrente nell’arte di Michele le cui passioni – scrive Ruggeri – sono dominanti nei mosaici che la rappresentano perché ad essa ha continuamente fatto riferimento nel corso della sua vicenda umana perché luogo degli affetti personali e intimi”. Frenna è stato sempre al servizio del prossimo, “tutta la
sua esistenza” è stata “vissuta nell’amore”.
Michele Frenna ha usato il mosaico per esprimere tutto il suo interiore; esso “corrispondeva a un’etica di vita, una visione di armonia e dei contrasti che afferrava la bellezza di qualcosa che semplicemente è, ed esiste. L’obiettivo è sempre stato quello di osservare, nel mutamento dell’istante luminoso, le variazioni cromatiche che l’oggetto artistico subisce a causa della luce” .
La fede è espressa in opere che richiamano il volto di Cristo, la sua nascita, la sua Passione; nei tanti santi. Nelle immagini mariane, Frenna versa a piene mani tenerezza e luce. I mosaici “Madonna”, “Madre di Dio”, “Maria”, non sono solo devozionali, ma armonia di colori e fonte sprigionante amore. Quello che ci colpisce di più e ci convince – anche perché fuori dagli schemi rappresentativi usuali – è “Madre di Dio”, dove il verde del copricapo si sposa delicatamente al rosso vivo
della veste che s’intravede e a quello più ombroso delle labbra, il tutto amalgamato armonicamente al marrone dei capelli e al lago dai toni cangianti dello sfondo. Un’opera che contrasta con la cupezza de “L’Annunciazione”, perché questa vuole rappresentare il mistero, mentre la prima è realtà e fonte da cui è nata la vera Luce del mondo.
La famiglia non poteva non sposarsi con la fede, entrambe abbondantemente rappresentate nei mosaici frenniani, tra cui citiamo “Nascita di Gesù”, “Sacra famiglia”, per finire con la famiglia universale, rappresentata in “Un mondo di pace”, il “mosaico di tante razze” - come auspicato da Papa Francesco -. “culture e popoli uniti nel nome di Gesù!”. Pomezia, 12 settembre 2022
Domenico Defelice
ENRICO GIACOVELLI
UNTER DEN LINDEN
Romanzo, Editrice Yume s.r.l., 2021, pagg. 232, € 15,00
Romanzo di due mondi che si incrociano e si fondono, pur nella distanza di millenni: quello dell’antico Egitto e quello dello scorso secolo, distintosi per guerre e ferocia, il 1900, ricco “di cosebelle e di cosebrutte, di crimini e di incanti, di giorni pieni di allegria”; le crudeltà, però, sembra abbiano superato le gioie e perciò “in fondo è stato un secolo triste”. In realtà, il Novecento è stato secolo orribile al par degli altri vissuti finora dall’umanità, compresi quelli della dominazione e della civiltà dei faraoni, a uno dei quali Enrico Giacovelli lo raffronta; secoli che a noi possono sembrare meno bestiali, attenuati, solo perché su di essi è trascorso tantissimo tempo, che li ha filtrati e levigati. Affresco vasto e lastricato di tremila e cinquecento anni quello adombrato dallo scrittore in Unter Den Linden, “mille vicende tragiche di ieri e di domani –come leggiamo in quarta di copertina -, trentacinque secoli di storia e di storie, (che) si sono intrecciati e si intrecceranno per portare a un attimo di leggerezza e felicità”.
Racconto ad ondate nel mare del tempo, dunque, lungo le acque, le spiagge del Nilo e quelle del lago Wannsee, nel vortice di atrocità passate e presenti; affresco orrido che lo scrittore tiene sempre sotto controllo e che alleggerisce con un linguaggio ironico, leggero, sfottente, stacchi sapienti e chimerici e altrettante riprese.
Umanità eternamente belluina; devianze e depravazioni; selezione della razza, gulag, camere a gas, olocausto; un Hitler scialbo e pazzo e un Faraone deforme; amori e passioni; bellezza e sesso; Nefertiti e Annabella; uno “scarabeo blu che trafigge il tempo”, “dai magici poteri”; extracomunitari di ieri – gli ebrei che hanno reso ricco e potente l’Egitto - e di oggi, sfruttati dal ricco Occidente; il Muro di Berlino innalzato, poi diroccato e quasi rimpianto, perché, a ben pensarci, per molti ha rappresentato il leopardiano colle, con al di là il sogno, l’infinito, e perciò naturale che, oggi, ci sia “già chi propone di ricostruirlo, mattone su mattone, per non dimenticare”; realtà odierne e antiche; civiltà sepolte, scavi archeologici e scavi interiori; realtà e finzione ed altro ancora, il tutto aggrovigliato e nel contempo chiaro; una tensione continua per 227 pagine; una specie di sogno “egizio-antico e tedesco-moderno” di felliniana atmosfera. Dovunque e sempre “L’odore minaccioso dei morti insepolti (che) si confonde con quello del gas fuoriuscito dalle tubature”; dovunque e sempre città spianate, ieri come oggi - in Ucraina per esempio, nazione che troviamo pure accennata, come accennato è il suo grano che ha sfamato e sfama il mondo.
Da questoaffresco grandioso e – come già accennato - straripante d’ironia, col pensiero ai conati di guerra che stanno avvelenando ancora una volta il cuore della vecchia Europa, nella speranza che si trovi presto il modo per arginarne la drammatica china, riportiamo la preghiera di “tutti i soldati del
mondo” e, quindi, anche degli ucraini e dei russi che, in questi giorni, nel diluvio delle bombe, continuano a scannarsi per la pazzia di certi “signori”. Pace, pace, pace, s’invochi in tutto il mondo; si mettano finalmente e per davvero fiori nelle roventi bocche dei cannoni. Smettiamo di massacrarci; amiamoci evangelicamente gli uni e gli altri, ricordandoci che siamo niente, neppure una manciata di polvere; godiamoci la bellezza sulla terra nel poco tempo che c’è dato vivere. <<Fa’ che la guerra sia finita prima della vendemmia, di modo che si faccia il mosto tutti insieme, e poi si uccide il maiale per festeggiare, così poi viene natale e la sera canteremo davanti al fuoco. Fa’ che quando torno al paese trovo anch’io l’amore, come tutti questi che hanno chi gli scrive, e se poi loro muoiono a noi ci restano più ragazze di prima per farci l’amore e poi sposarci. Fa’ che con tutti ‘sti patimenti almeno dimagrisco un po’, che adesso peso quasi cento chili, sono grasso come un porco e quando torno le ragazze poi preferiscono quelli magri da starci sotto. Fa’ che arrivi presto il vaglia di papà, così per il mio compleanno posso andare a puttane, quest’anno tre me ne faccio in un colpo solo. Fa’ che non ci sia un’altra vita dopo questa, sono stanco di guerra, di guerre, ho i piedi che mi fanno male, nessuno che mi aspetta. Fa’ che arrivi presto il pacco con il formaggio, le noci, i calzini nuovi, la saponetta, due paia di mutande, un chilo di salame di cavallo o pure di asino, e i fichi secchi, e un calendario. Fa’ che questo è soltanto un incubo e io adesso mi sveglio nel mio letto, in riva al Reno, e c’è mia moglie che dorme, e gli uccelli fuori che cantano perché è già mattina. Fa’ che possa fare l’amore almeno una volta, una volta prima di morire, che poi se no mi tocca raccontare agli altri cose che non so, che gli altri mica mi devono prendere in giro, e se non fai l’amore da vivo poi non lo puoi più fare da morto. Fa’ che i signori che ci hanno mandati in questa guerra muoiano presto del peggiore dei mali, e le puttane delle loro mogli, e i figli, i nipoti, i parenti, di un canchero lento, che soffrano tanto prima di morire, e poi che siano maledetti per i secoli dei secoli, e a quei generali che stanno là dietro al caldo a bere champagne, che qualcuno gli spari nel culo e muoiano di morte lenta anche loro, appesi al filo spinato, e dopo non li seppelliamo nemmeno, e torniamo a casa, e non ci sono più re e imperatori ma siamo tutti uguali. Fa’ che stanotte si possa dormire una notte tranquilli e che tu, stella cadente, sia davvero una stella cadente e non la bomba che ci seppellisce tutti>>. Pomezia, 21 settembre 2022 GIOSUÉ AULETTA e MICHELE ZUCCARELLO (a cura di)
LAVINIUM LA CITTA' DEI LAURENTI
Alice Comunicazione Editrice, Pagg. 128, € 15,00
Lavinium – La città dei Laurenti, a cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello, rappresenta un itinerario a ritroso nella storia del territorio di Pomezia. Nell'introduzione s'immagina che la quercia di Pomona (oggi estirpata e che si trovava nella piazza della città) parli ai bambini, generazione del futuro affinché conoscano. Il termine conoscere deriva dal latino cognoscere, composto da cum, con e per mezzo e dal termine greco gnosi conoscenza. Dunque, si tratta di notizie o informazioni avute attraverso la comprensione dell’esperienza, divenute, poi, conoscenza e consapevolezza. La quercia parla della città di Laurentum/Lavinium e Pratica di mare, ossia la comunità dei Laurenti. Infatti, Pomezia porta con sé, al di là della sua facciata, una realtà segreta, nella quale c'è il borgo medioevale, l'area archeologica e il museo. Il viaggio intrapreso dagli autori è una rilettura del mito, cominciando da quello di Enea e alla riscoperta di un luogo così misterioso che può essere messo in luce quotidianamente dai continui ritrovamenti.
Per quale motivo è importante conoscere il posto in cui si vive? L'ambiente circostante è il risultato di incontri, intersezioni, di collegamenti, interrelazioni e movimenti. E' uno spazio di sovrapposizioni e co-presenze, nel quale coloro che vi abitano si radicano, ossia si inseriscono in maniera profonda e definitiva come in botanica le radici di una pianta.
E' proprio questo il messaggio che vuole lanciare il presente lavoro: scoprire il luogo in cui ci si è radicati con una partecipazione reale, attiva all'interno della collettività ed è il risultato di intenti comuni.
La redazione dei testi con le cartografie, i disegni e le immagini sono a cura di Auletta e Zuccarello, le pubbliche relazioni e il coordinamento della pubblicità di Eliano Stella, presidente de Il Convivio Artisti Lazio Latino – Pomezia/Ardea 2014.
Leggere, osservare e infine, visitare Laurentum/Lavinium/Pomezia fa conoscere la realtà di una storia ancora segreta e, finalmente, scoprire la vera Eneide di Virgilio.
Il libro si chiude con un ultimo messaggio della quercia che esisteva prima della città stessa e che augura: "Pace a chi entra, buona salute a chi parte".
Manuela Mazzola
MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO
PERDONARE PER ESSERE PERDONATI (1922 – Francesco Falletti di Villafalletto -2022)
Anscarichae Domus Accademia de’ Nobili Editore, 2022, Pagg 127, € 14,99
Perdonare per essere perdonati racconta dettagliatamente la storia della II Guerra Mondiale, ma soprattutto quella personale di Francesco Falletti di Villafalletto, padre del conte Marcello, autore del libro.
Francesco era un'anima umile, cordiale e speranzosa, sempre ottimista che non amava mettersi in mostra.
E se nel nome vi è un destino come dicevano i latini: Nomen est omen, allora Francesco, che vuol dire appartenente al popolo dei franchi o semplicemente franco, come la lingua franca, ossia uno strumento di comunicazione internazionale, una lingua straniera parlata tra persone di diversa lingua madre; così, appunto il protagonista, che ovunque si trovasse, è riuscito a dialogare e a comunicare nonostante la delicata e pericolosa situazione, facendosi sempre rispettare da tutti.
Ricordando i cento anni dalla nascita, il saggio, rivisita l'esistenza di un padre, ma anche semplicemente di un ragazzo, dividendola in tre periodi: dalla nascita al 1940, dal '41 al '58 e poi dal 1960 al 2015, anno in cui ha lasciato questa terra.
Un uomo che ha vissuto in un'epoca completamente diversa da nostra, eppure aveva una mente moderna; era aperto al mondo, alle diverse culture e lingue senza alcun pregiudizio: “La curiosità, l'interesse per una cultura nuova, completamente diversa, cominciavano a prendere piede nella sua mente e, più ancora nel proprio cuore, elevatamente sensibile: tanto da farne tesoro geloso, fino a sentirsi parte integrante di quel popolo che, i propri fratelli militari, avevano cercato di “condurre all'uso cristiano” come simpaticamente riferisce”.
Ogni giorno sentiva la mancanza della famiglia, a cui era legatissimo, e il desiderio di sapere cosa facessero nel loro quotidiano da cui era stato escluso drasticamente. Eppure non aveva perso la fede cristiana; soffriva per gli altri sentendosi impotente. La guerra aveva cambiato ogni cosa e anche se lontano dalla famiglia era rimasto un ragazzo solare e disponibile.
Il volume è arricchito da tantissime fotografie di Francesco, della madre, del padre, dei compagni, della moglie Olga e dei figli Lina, Marcello che ha ereditato la sensibilità e l'empatia e Claudio che possiede il suo stesso amore e rispetto per ogni essere vivente, inclusi gli animali.
“Anche in questo lavoro, – scrive nella prefazione Domenico Defelice - Marcello Falletti di Villafalletto si rivela critico e storico ferrato e onesto e, anche se in sintesi, ci squaderna sempre la situazione generale di quell'inquieto periodo nel quale si inseriscono le vicende”. L'autore, infatti, mostra al lettore la situazione in cui versava l'Italia e i soldati italiani, che altro non erano che ragazzi, affacciati alla vita con i loro desideri e sogni.
Marcello, rileggendo le lettere e i documenti, disvela aspetti che neppure lui conosceva: “Abbiamo scoperto un essere umano costantemente timorato di Dio, amante dei fratelli; ancor più disponibile a soccorrere quanti si trovavano in difficoltà e, facendolo sempre, con quello spirito di semplicità e facilità che non poteva mai sfuggire a nessuno. Proprio per questo, sulla pietra che ne custodisce l'eterno riposo, abbiamo voluto scrivere un semplice pensiero; facente parte del testamento spirituale che ci ha lasciato in eredità: “Vi amerò per