mensile (fondato nel 1973)
Direzione editoriale: Via Fratelli Bandiera, 6 Tel. 06/91.12.113 00071 POMEZIA (Roma) Fondatore e Proprietario: DOMENICO DEFELICE e Mail: defelice.d@tiscali.it Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogniautore siassume la responsabilità dei propri scritti Manoscritti,fotografie ealtro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/ Anno30(NuovaSerie) n.11 Novembre2022
N°22dellaSerieonline
Se la Sinistra italiana non intende studiarlo a fondo, legga almeno qualche sua opera GAETANO SALVEMINI
di Domenico Defelice
SI può dire che il Governo Meloni non abbia ancora iniziato a lavorare e già viene osteggiato a destra e a manca; anzi, Fratelli d’Italia avevano appena ricevuto notizia di aver vinto le elezioni, e già il ventisei settembre grandinavano le critichee le preoccupazioni, le certezze d’incapacità del Centrodestra, il pericolo che venisse a mancare la libertà, che venissero tolti i diritti civili, che ci trovassimo da un momento all’altro sottounnuovofascismo. Poi, proteste corali; scritte sui muri con minacce di morte e stella a cinque punte; manifesti con richiamo a piazzale Loreto. Letta, addirittura, non contentandosi di spargere ansie e paure in tutta Italia, è corso in Germania ad esprimere i suoi timori e ad annunciare che “la destra divide il Paese”, sfiorando il ridicolo e la quasi denigrazione del Paese con quell’allarmato e certo “avvio della destra incendiario”. E perché? Perché alle presidenze della Camera e del Senato sono stati eletti Ignazio La
ISSN 2611-0954
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All’interno:
Casa Balla, di Isabella Michela Affinito, pag. 5 Andrea Piscopo, compagno di viaggio, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 9 Imperia Tognacci, per ove viaggiano i poeti?, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 12 Rocco Salerno, la femminilizzazione dell’angelo, di Carmine Chiodo, pag. 14 Rosario Antonio Mollace, Il “camper” volante, di Giuseppe Leone, pag. 18 Riflessioni sulla poesia di Gianni Antonio Palumbo, di Giusy Carminucci, pag. 20 Ricordo di Brandisio Andolfi, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 23 Anna Manna, di Lorenzo Spurio, pag. 25 Leone D’Ambrosio, Teorema elementare, di Tito Cauchi, pag. 28 Notizie, pag. 35 Tra le riviste, pag. 38
RECENSIONI di/per: Antonio Crecchia (La meta è partire, di Imperia Tognacci, pag. 31); Domenico Defelice (I Savoia Acaia, di Marcello Falletti di Villafalletto, pag. 32); Manuela mazzola (Ardea la città dei Rutuli, a cura di Giosuè Auletta e Zuccarello, pag. 33); Gianni Antonio Palumbo (La meta è partire, di Imperia Tognacci, pag. 34).
Ai collaboratori, ai lettori, di Domenico Defelice, pag. 42
Inoltre, poesie di: Isabella Michela Affinito, Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Rocco Cambareri, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Graziano Giudetti, Lucio Zaniboni
Russa e Lorenzo Fontana, che sono, per la nostra Sinistra, due pericolosi fascisti, degni di venire assassinati e possibilmente appesi a testa in giù, come è capitato a suo tempo all’odiato Mussolini. <<Per i tanti Enrico Letta scrive sul blog “Popolo Sovrano” Fausto Carratù, da noi riportato in altra pagina la democrazia è uno “sfregio. Finché il popolo vota lui, è democrazia, ma se il popolo vota chi non la pensa come lui, è sfregio>> .
Questa nostra è una Sinistra infantile, eternamente immatura, bueche si arroga il diritto di dir cornuto all’asino; spocchiosa, detentrice, a suo dire, del bene assoluto, mentre gli altri son tutti male enefandezze. Non si rende conto, invece, d’essere fascista al par del fascismo che dice di combattere, ciò che aveva ben capito lo scrittore comunista Antonio Pennacchi; il fascista e il comunista hanno
solo colore diverso, ma non credo e comportamenti; della libertà, della giustizia, del rispetto dell’individuo, <<Un fascista o un comunista scrive Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini , (…) affrontano questi problemi con il fine nascosto di trovare vantaggio dai difetti di certe istituzioni democratiche per distruggerle>> la citazione e le altre che seguono son da noi tratte da Canaglie e Galantuomini, un’analisi storica che lo scrittore molfettese, morto di recentedopoesserestato investito da una macchina, ha pubblicato nel 2015 con le Edizioni Movimento Salvemini . Tra i tanti saggi presenti in questo corposo volume di oltre seicento pagine, il più curato e sentito è
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quello su “Gaetano Salvemini, l’incorruttibile”, suo zionatoaMolfetta(Bari) l’ottosettembre 1873 e morto a Capo di Sorrento il sei settembre 1957. La nostra puerile Sinistra farebbe bene ad approfondirlo o, almeno, leggere qualche sua opera, perché sui diversi fascismi Gaetano Salvemini avevaideechiarissime: <<noi siamo schierati fra un totalitarismo di sinistra e un totalitarismo di destra: minacciamo di essere schiacciati non più dal totalitarismo di sinistra come nel 1948, ma dal totalitarismo di destra, che non riuscì a prevalere nel 1953 e prevarrà probabilmente alle prossime elezioni generali>>. Totalitarismo di destra e di sinistra: non uno solo, dunque, ma due e uno uguale all’altro.
La Sinistra italiana deve ancora imparare a <<cooperare colla maggioranza criticandone quelli che a noi sembrano errori>>; deve sapere <<accettare la situazione di minoranza>> quando alle elezioni vincono gli altri, <<prendere atto di questa situazione e agire di conseguenza, cioè opporci alla maggioranza e non scansare la lotta, coll’affermare che il Paese non vuole saper di seguirci per la nostra strada. In questo momento non ci segue: spetta a noi convincerlo che ci deve seguire>> . Lottare per diventare maggioranza, insomma, non delegittimare l’avversario ad ogni piè sospinto e denigrarlo, minacciarlo, agitare magari la piazza.
Gaetano Salvemini ha riserve nei confronti di Giuseppe Mazzini, ma non lo ha mai denigrato, sbeffeggiato, anzi, <<lo ammira per il senso religioso del dovere, per la certezza dell’avvento di un regime
democratico, per la fede nel progresso, per l’assoluto disinteresse nelle sue azioni e, più di tutto, perché le dure lezioni della realtà non lo hanno mai piegato>>
<<Salvemini fu vero Maestro perché nei giovani seppe destare e alimentare l’amore per l’onestà morale e, col suo esempio, insegnò la rigida coerenza tra pensiero e azione>> Democratico integerrimo, sapeva distinguere anche i limiti della democrazia, da preferire, comunque, ad ogni dittatura, affermando che <<L’esperienza ha dimostrato che gli elettori raramente scelgono i migliori. Di fatto, essi scelgono normalmente i mediocri, a volte scelgono perfino i peggiori individui della comunità>> .
Insomma, aleggereSalvemini, lanostraSinistra salottiera, spocchiosa avrebbe tanto da guadagnare in maturazione, per diventare finalmente vera forza di garanzia di libertà e di crescita per il Paese il nostro del quale, essa si serve di continuo solo per sciacquarsi la bocca, definendosi, orgogliosamente quanto ipocritamente, coscienza e unico e vero modello morale. Pomezia, 25 ottobre 2022
Domenico Defelice
Santiago si dilata di occhi e un balenìo s’inerpica di luci.
Ma io sono altrove, desto, là presso scintille di focolare, sirena che nel buio mi chiama.
È là l’insonne cuore, nel chiaro natìo, che affiora come lucciola.
Infine dormo navigando con la luna di Calabria.
Rocco Cambareri
Da: Assonanze e dissonanze, Pellegrini Editore, 2004
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STRANIERO
Dalla casa all’universo e ritorno” a cura del MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in occasione dei 150 anni (nel 2021) dalla nascita dell’artista torinese e vissuto a Roma, Giacomo Balla (1871 1958), fino al 31 dicembre 2022
CASA BALLA
di Isabella Michela Affinito
NEGLIanniNovantadelsecoloscorso vennero a mancare definitivamente le due figlie signorine eredi del pittore, scenografo, arredatore e quant’altro lo vide indaffarato nell’arte decorativa in genere, Giacomo Balla, anch’esse pittrici: Luce, chiamata in un primo momento Lucia (1904 1994) ed Elica (1914 1992), ambedue nomi di chiara derivazione futurista, brave divulgatrici del credo artistico paterno sia attraverso le sue memorie scritte, sia nel ricostruire l’evoluzione professionale con le opere paterne in ordine cronologico.
In quel momento la casa del maestro Balla,
dove aveva vissuto creando fino all’ultimo, in via Oslavia 39B nel quartiere Della VittoriaaRoma, fu chiusaesolopiùtardi nel2004 è stata oggetto dell’attenzione del Ministero della Cultura e non soltanto, cosicché nell’odiernoèstatafinalmenteresavisitabile, grazie alla cura prestata dal MAXXI Museo Nazionale delle arti del XXI secolo della capitale, come appartamento officina personalizzato fino all’inverosimile dall’allora artista padrone di casa Giacomo Balla: dalle avveniristiche pareti dipinte delle varie stanze agli abiti maschili e femminili, agli oggetti, agli utensili da cucina, alle mattonelle del bagno e via dicendo.
Dopo la morte accidentale, per una caduta da cavallo a soli trentaquattro anni, di Umberto Boccioni, braccio destro del teorico del movimento Futurista, il poeta Filippo Tommaso Marinetti, il testimone passò a Giacomo Balla divenuto faro di riferimento del gruppo degli artisti, tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, dediti a portare avanti i propositi sottoscritti nel primo Manifesto del Futurismo del febbraio1909,abbracciantei motivi e i ritmi aleggianti nell’aria del nuovo secolononchémessaggeri dei tempi innovatori. «[…] il Futurismo la cui stessa denomina-
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zione si contrappone esplicitamente a “Passatismo” stabilì un’intransigente difesa della modernità, difesa che si identificava con le più spettacolari manifestazioni della società moderna, cioè la macchina, la velocità, il movimento, l’energia, la violenza. Il primo manifesto si esprimeva già con spirito esaltato: “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.» (Dal 9° volume Grande Enciclopedia De Agostini Storia Universale dell’Arte, Il XX Secolo, Istituto Geografico De Agostini S.p.A. di Novara, Anno 1997, pag. 398).
La preparazione culturale e artistica di Giacomo Balla originò in territorio piemontese, ove nacque il 18 luglio 1871, sotto il Segno zodiacale del Cancro con l’Ascendente in Bilancia abbinamento Acqua Aria per una personalità segnata da grande senso estetico, dall’armonia innata, dalla predilezione per le simmetrie, la raffinatezza, la genialità; i suoi genitori facevano parte della normalità sociale senza pretese, col padre, Giovanni Balla, chimico industriale con l’hobby della fotografia che infuse nel figlio l’amore per il violino. Ma perduto il padre prima dei dieci anni, al posto del violino scelse di seguire gli studi artistici più tardi presso l’Accademia Albertina. Fece conoscenze importanti e determinanti come quelle con lo scrittore Edmondo De Amicis autore del libro Cuore e Giuseppe Pellizza da Volpedo, il pittore divisionista e del celeberrimo Il quarto stato del 1901.
Avendo appreso dal padre le nozioni di fotografia per Balla rappresentarono le fondamenta della successiva sua ricerca pittorica in seno al Futurismo, soprattutto quando si trattò d’immettere nei suoi lavori artistici il senso della dinamicità e di trasferire il valore univoco del pigmento colorato dal divisionismo al geometrismo astratto nel realizzare le varie Compenetrazioni iridescenti, poi, opere articolate da linee e forme eloquenti d’ampio respiro cosmico, come Mercurio passa davanti al Sole (in ricordo dell’esperienza dell’ecclissi solare parziale realmente accaduta nel novembre 1914), Linee spaziali + luce del 1919, Scienza contro oscurantismo del 1920.
A proposito di cosmicità Giacomo Balla anche appassionato d’astronomia ha beneficiato per l’intera sua esistenza di un importante stellium (raggruppamento di pianeti) costituito dal Sole (indipendenza raggiunta e appoggi di persone influenti), insieme alla Luna (frequenti cambiamenti di residenza), a Mercurio (professione legata ai viaggi) e a Urano (creatività unita alla tecnica, alle sperimentazioni, alle idee improvvise) in Casa Decima, tra il Segno del Cancro (grande importanza per la famiglia) e quello del Leone (protagonismo e dovizia), che gli valse l’accreditata riuscita professionale artistica oltre i confini nazionali talché la Casa Decima nel cerchio dello zodiaco rappresenta «[…] in teoria il massimo punto raggiungibile e questa sua ubicazione di eminenza è filtrata nelle varie falde interpretative della tradizione traducendosi in successo.» (Dal libro Lezioni di astrologia La natura delle Case, di L. Morpurgo, I Manuali Longanesi & C. di Milano, Anno 1983, pag. 215).
Una personalità la sua cosiddetta “baciata dalla favorevole combinazione astrale”, per cui fattosi apprezzare come pittore futurista arrivò a firmarsi FuturBalla dapprima con Umberto Boccioni suo ex allievo, con Carlo Carrà, Gino Severini, Mario Sironi, Luigi Russolo, Enrico Prampolini, Fortunato Depero, in seguito il suo lavoro concomitante verso altre forme d’arte lo portò a ideare capi d’abbigliamento, oggetti, mobili, ispirati sempre alla dinamica corrente cui faceva parte: i fiori futuristi nel giardino taorminese di Casa Cuseni; giocattoli, arredi, mobili, oggetti e le scenografie per il balletto Feu d’artifice di Igor Stravinskij dell’aprile 1917, andato in scena al Teatro Costanzi di Roma. S’impegnò a decorare la casa della marchesa Luisa Casati e una sala della Casa d’arte Bragaglia di Roma.
Addiritturacollaboròallarealizzazionedella pellicola cinematografica Vita futurista del registaArnaldoGinna,perchéoramailacorrente del futurismo aveva avviluppato, tramite la divulgazione di anno in anno dei numerosi Manifesti specifici, tutti i settori sociali: dalla
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scultura all’architettura, al cinema, alla moda, alladanza, allaletteratura, alla grafica, allacucina, alla politica, etc.
Prima di giungere in Via Oslavia, Giacomo Balla visse fino al 1926 in una casa-studio (ex convento) all’angolo formato da via Porpora e Via Paisiello a Roma, e faceva lezioni sulla tecnica del Divisionismo (dipingere con pennellate di colori puri accostati insieme senza mescolarli) prima del furore futurista.
Uno scherzo del destino volle che nel 1926 venisse sfrattato dalla casa studio di via Porpora e che per ben tre anni rimase ospite del mecenate Aldo Ambron aValleGiulia. Fuun periodo di lievi stacchi dalla vena futurista, probabilmente il maestro Balla, per il quale il nido domestico doveva necessariamente appartenergli in riferimento al suo Segno natio del Cancro dall’indissolubile legame materno e protezione familiare, nel suo caso occupato da importanti pianeti come Giove e Urano, ebbene, si sentiva smarrito ed estraneo dove si ritrovò a stare e scivolò spontaneamente nella pittura figurativa del suo precedente periodo d’esordio.
Ecco perché quando nel 1929 prese possesso dell’appartamento, non propriamente grande, di Via Oslavia a Roma, non ci volle molto, grazie anche all’ottima collaborazione delle figlie, a farlo “a sua immagine e somiglianza” decorandolo da cima a fondo e nelle differenti declinazioni dell’arte applicata, rendendolo così scrigno vivente della sua lunga militanza artistica e palpitante d’elementi innovativi e sorprendenti, dai colori anche forti audacemente accostati insieme con gusto sopraffino se si considerano quei tempi a ridosso della Seconda guerra mondiale.
In un suo quadro del 1945, Noi quattro allo
specchio, compaiono lui, che è già un uomo attempato sorridente coi molti pennelli fra le mani e i pantaloni a grandi quadri, le due figlie giovani disinvolte nell’atto di darsi da fare nel medesimo studio e la moglie, l’ex sarta Elisa Marcucci (sposata nel 1904) sorella del pittore arredatore Alessandro Marcucci chefu amico in gioventù diBalla, quale signora discreta e ammiratrice del bellissimo ‘trambusto’ familiare attorno.
Giacomo Balla fu attivo fino al marzo 1958, quando morì a ottantasette anni nel ‘chiasso’ cromaticamente accogliente della sua amatissima casa di via Oslavia, ch’è stata il suo vestito migliore da lui ritoccato giorno dopo giorno e indossato amorosamente per quasi trent’anni!
Isabella Michela Affinito
“La mano del violinista” (Omaggioalquadro,oliosutela, La mano del violinista del 1912, di Giacomo Balla)
La musica non c’è ma di mani molte, le stesse che escono dalla posa statica per continuare a strofinare le corde del violino. In fondo è solo una mano sinistra sciolta, vibratile, disposta a non rimanere inerme che dialoga nell’ambito d’una tela italiana, la realtà della scienza tra Futurismo e scomposizione dei colori. Una mano che interpreta la sua parte e molte altre ancora, che sale che scende invertendo le clausole delle note: una mano elegante da uomo contornata dal polsino
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bianco che trasmette rigore sulla bilancia acustica. Anatomia irrisoria che inizia e termina con la mano sinistra di cui non si conosce la vera dimensione né oggettiva, né umana!
Isabella Michela Affinito
N.B.: La summenzionatapoesia appartienealla silloge “Una Raccolta di Stili 16° volume”, Carta e PennaEditoredi Torino, Prima edizioneSettembre 2016, Prima ristampa Luglio 2017, Edizione fuori commercio, pagg. 80.
PROCESSIONE (Tsunami)
Tutti i giorni la stessa processione: un trenino di granchi velocissimo sgamba all’indietro parallelo al mare. Solo oggi Pasquetta scomparsi; avranno stramangiato anch’essi, ieri. Mi piace da sempre, da ragazzo, venire al mare la mattina presto quando, spente le stelle, c’è nell’aria un momento di strana sospensione.
Anche stamani si rinnova il rito: potrebbe forse non levarsi il sole? Qualche volta lo sogno, come sogno una luna gigante, vicinissima. Poi l’alba reifica i miraggi e il mare stende fino all’orizzonte la sua liquida coltre sopra gli incubi.
Il mare, insonnolito, si stiracchia. Che pace aprire gli occhi a un nuovo giorno galleggiando su un’isola sperduta... anche se stamani ho avuto un lieve capogiro, alzandomi.
Il cielo è terso ma il mare è imbronciato. Eh, cosa c’è? Una sgrullata per i tiratardi... le conchiglie si scrollano la sabbia granchi isolati corrono in disordine. In lontananza il mare si rincalza
come per impazienza su se stesso. Qui sottocosta l’acqua risente nella pancia tesa d’una sorta di grande piattonata che ammutolisce gli occhi ai nativi.
No, è passato, è stato come un sogno, solo un forte rifiato dell’oceano. Ho un lieve capogiro da stamani; o forse è solo la testa pesante ieri sera abbiamo fatto tardi e stento un po’ a tenere gli occhi aperti. Una nave ch’era sullo sfondo ora è vicina come per miraggio.
Ma cosa accade, cosa sta accadendo? L’onda si ritrae come il Mar Rosso scodellando l’isola in plateau. ...e l’orizzonte sembra più vicino... Noi siamo come un’onda che trascorre: una riga tracciata nel nulla. Ehi, quel rimbocco, quell’increspatura quell’onda che s’arriccia eeh! quel surf sì quella, quello sembra... o Dio! quello è proprio l’oceano che tracima...
Sulla spiaggia non c’è un solo appiglio le barche sfarfalleggiano stupite oh, oh sì! quello che sormonta alto quanto una casa di otto piani è l’ORIZZONTE che ci corre incontro alla velocità d’un aeroplano... I nativi sgambano a ritroso... Aah! Un sipario sigilla mare e cielo l’avvento precorre la distanza come l’inghiottitoio la cascata... adesso e qui sì, ora ora lo sento lo spazio tempo è ridotto a un solo evento!
Da cinque giorni rivolto cadaveri. Mi guardano con facce conosciute ignari di questo contrattempo: sì, a nostra e forse a loro insaputa, i morti se non sogno ci somigliano tutti.
Corrado Calabrò
Da La scala di Jacob, Ed. Il Croco/Pomezia Notizie, 2017
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ANDREA PISCOPO COMPAGNI DI VIAGGIO di Liliana Porro Andriuoli
COMPAGNI di viaggio è il titolo di un volumetto di Andrea Piscopo, un medico che lavora in Hospice, «una struttura di ricovero residenziale per il trattamento delle cure palliative1» di coloro che vengono comunemente definiti «malati terminali». È un medico, Andrea Piscopo, che ha concepito questo suo lavoro come una missione, alla quale si è dedicato con passione e profondo sentimento di umanità, trattando sempre i malati con cui è venuto in contatto, anche se non più destinati a guarire, con estremo rispetto e disponibilità: forse più precisamente con umana partecipazione; oltre che, ovviamente, con la competenza e la
professionalità richieste da un medico in quelle circostanze.
InquestosuolibroPiscopocipresentadieci malati che sono stati da lui curati fino al momento estremo della loro vita; fino a quando cioè, come si dice volgarmente, hanno emesso «l’ultimo respiro». E ci racconta, comedicePasqualeGiustiniani nellasualimpida ed esaustiva presentazione, «dieci storie di vita, dieci storie d’intimità, di passioni, di sguardi, di amicizie tra ammalati, famiglie di riferimento e operatori personali, che non soltanto dimostrano come si possa allungare la quantità di vita di persone altrimenti spacciate», ma forse, e soprattutto, ci spiega come si possa dare a quei loro ultimi giorni «una diversa qualità».
Lediecipersonechecivengonoquipresentate sono molto differenti tra loro, ma sono tutte molto ben caratterizzate e schiette nel loro presente come, d’altra parte, anche nel loro passato.
Si inizia con Ciro Russo, un barbone alto 1 metro e 90, dallo sguardo vivace, che è stato raccolto ai margini di una strada da un’ambulanza del 118 e ricoverato in Hospice. Affetto daun gravetumorepolmonare, apparetuttora geloso della sualibertà edimostra ancora una sua indomita fierezza.
Quando gli è possibile: e praticamente quando non è ricoverato in Hospice, mantiene la sua vecchia abitudine di «dormire all’aperto, guardando le stelle: oggi qua, domani là», sempre in luoghi diversi. Vive così con dignità lo stato avanzato della sua malattia, che purtroppo progredisce «in maniera rapida e severa».
1 Una cura si definisce palliativa quando non è volta a raggiungere l’obiettivo della guarigione completa da una malattia, ma tende a combattere i
Il secondo è Crescenzio, il «venditore di San Giuseppe», un paesino del Monte Somma, dove il giovane si recava ogni mattina per portare i capi di abbigliamento e la biancheria da vendere al mercato. Inizialmente Crescenzio si arrampicava faticosasintomidivenuti ormai refrattariadaltri trattamenti clinici. (Wikipedia)
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mente «sulle montagne di Avellino», pedalando con forza sulla sua bicicletta; successivamente si era potuto permettere l’acquisto di un’auto e alla sua attività, che si andava ingrandendo, si era associato anche il fratello. Si era poi sposato ed avevano avuto tre figli.
Quando la malattia lo colse aveva dovuto abbandonare il negozio aperto con il fratello, che costituiva l’unica fonte di reddito familiare. Ora purtroppo si è dovuto arrendere anche al male, ma il dolore odierno gli è mitigato dal ricordodei giorni felici cheun tempo ha vissuto; così come per i familiari il dolore per la sua scomparsa «è mitigato dal ricordo eccezionale della sua tenerezza».
El Said, il guerriero, non è italiano: è un malato albanese, dall’aspetto indomito, che è venuto a morire in Italia, dove si trovano ormai da tempo la moglie e le figlie, le quali, fedeli alle proprie tradizioni, ora intonano in coro per lui una vecchia nenia funebre in albanese. Egli aveva preferito restare da solo in Albania, seguitando a vivere in un paesino nonlontanodaTirana; soltanto all’ultimo, allorché le sue condizioni di salute si erano ulteriormente aggravate, è venuto in Italia e si è unito alla famiglia.
La nipotina, che è molto affezionata al nonno, insiste per poterlo vedere per l’ultima volta, ma a causa della pandemia ciò le viene negato. L’unico desiderio del povero Said che invece viene esaudito è quello di poter mangiare ancora una volta un ricco piatto di maccheroni con polpettine. Un desiderio apparentemente inessenziale, ma che pur tuttavia ha rappresentato un momento importante della sua vita in Italia: il momento di inizio di un «dialogo» con il medico che l’aveva in cura nell’Hospice Anche se, a causa della differenza di lingue esistente fra i due, quel «dialogo» è rimasto sempre un «dialogo» a monosillabi, da quel momento ha avuto inizio fra i due sicuramente un rapporto umano diverso. Said, infatti, non si mostrava più diffidentecomei primi tempi, con il medico, ma stava cominciando a mostrargli la sua gratitudine «per le cure e l’assistenza che [da lui
costantemente] riceveva».
Un altro degli ospiti della struttura dove lavorava il dottor Piscopo è stato Giuseppe, detto il Califfo (e siamo al quarto incontro). Giuseppe era un grande conquistatore di donne: viveva a Capri, facendo di giorno il piastrellista e distribuendo di notte baci e abbracci alle sue donne, «attratte dal suo fascino latino». Era un grande «affabulatore», arte con la quale incantava le sue prede. In Hospice partecipava assiduamente anche alle attività della palestra, dove era più facile incontrare l’ambiente femminile.
Ci informa Piscopo che negli ultimi giorni il respiro di Giuseppe «cominciava a diventare sempre più corto e faticoso. E lui, con lo sguardo smarrito, sembrava chiederci di stargli vicino, sicuro della nostra amicizia».
Giancarlo era un ex funzionario comunale affetto da una grave neoplasia. Veniva assistito dalla moglie, che aveva ricevuto il dottor Piscopo a casa e gliel’aveva affidato. Giancarlo era una persona mite e riservata: «sembrava immobile nella sua ormai rassegnata contezza di essere un malato perso e senza speranza». Gli avevano asportato una grossa neoplasia allo stomaco, ragione per cui gli avevano aperto lapancia, che ora sembrava un cratere.
Ma una mattina, allorché il dottore era entrato nella sua stanza aveva manifestato un desiderio: poter fumare una sigaretta. Era stata quella la prima volta che il dottor Piscopo aveva sentito parlare Giancarlo e l’interpretò come un buon segno! A quella richiesta fece infatti dopo poco seguito un’altra: quella di un «caffè preparato dalla moglie». Sentiva il desiderio di riprendere una sua vecchia abitudine: quella che gli aveva permesso di sbrigare il suo lavoro anche durante le ore pomeridiane.
«Lasperanzaelavogliadivivereerano tornate nella testa di Giancarlo», così come erano ritornate in quella degli altri componentidellafamiglia, tutti alleggeriti dalminor numero di impegni che, grazie all’intervento dell’hospice, non gravava più ora sulle loro spalle.
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Estroverso era invece il sesto degente, Pasquale, l’amico di tutti, sempre attorniato da molte persone che gli volevano bene e che lo chiamavano Lillo. Aveva uno sguardo dolce ed era sempre gentile con tutti. Lillo gestiva un ristorante nella zona flegrea, cui aveva badato sino all’ultimo. Sempre simpatico e spontaneo dava a tutti l’impressione di parlare con un amico di lunga data: «Era un uomo di altri tempi, che aveva fatto dell’accoglienza il valore aggiunto della sua vita».
È deceduto in una fredda notte di febbraio, ma pochi giorni prima era riuscito a comunicarci il suo senso di gratitudine per le nuove terapie antidolorifiche che praticavamo nel nostro Hospice e che lo liberavano dalla sofferenza del dolore che lo aggrediva costantemente.
Matteo faceva il camionista e guidava i grandi Tir. A causa delle sue precarie condizioni di salute, in seguito allo stato avanzato della malattia, aveva ormai smesso da anni di viaggiare sul suo «Tigre». Ora doveva trascorrere molte ore della giornata collegato ad una macchina dal momento che i suoi polmoni, ormai asfittici, non gli consentivano più di scambiare ossigeno: «anche pochi passi lo facevano cadere in una grave crisi respiratoria».
Di animo gentile, aveva sempre parole di gratitudineper tutti coloro chelo assistevano. Aveva avuto ancora un anno di vita, ma «a marzo», scrive il dottor Piscopo, «nella coda dell’inverno, una telefonata concitata della moglie mi comunicò che Matteo se ne era andato».
Giunto all’Hospice quando mancavano pochi giorni al Natale, Nandino (e siamo all’ottavo ospite) era ancora giovane e tutto dedito alla famiglia. Era gracile di costituzione ed aveva «un volto smunto» ed «un torace esile». Cercava di dare il minor fastidio possibile. Sene andò inpuntadi piedi, cosìcome era venuto, lasciando per ricordo a ciascuno di coloro che l’avevano assistito, un «gadget di metallo».
Olimpia aveva lo sguardo provocante di una vamp e «sembrava camminare sul set di
un film di Fellini». Era stata un’insegnante di inglese e si ravvivava tutta se qualcuno le si rivolgeva parlando in questa lingua. Ricordava nel portamento la «Gradisca» di Amarcord. Collaborava attivamente alle cure che le venivano proposte. È uno dei malati dell’Hospice che si ricordano più volentieri.
Da ultimo conosciamo Tobia, il poeta, dai «grandi occhioni su un viso scavato», con un corpo tanto esile da poter contare le ossa dello scheletro. Faceva il fioraio e parlava con entusiasmo del suo lavoro: era lui a consigliare i clienti nella scelta dei fiori da comprare a seconda dell’occasione e della persona a cui erano destinati. Aveva un animo gentile e tutti lo avevano in simpatia. Ha lasciato di sé un grato ricordo.
Qui termina la serie dei malati di cui parla il dottor Piscopo nel suo libro, tutti emergenti con la loro netta individualità che li contraddistingue e che ce li fa amare: uomini tra gli uomini. E chiara emerge anche la meritoria attività dell’Hospice, nel quale Andrea Piscopo lavora (Hospice Villa Arianna Hospital) per rendere meno doloroso il distacco dal mondo di coloro che di volta in volta gli vengono affidati. Ed è certo un lavoro che si contraddistingue per il sentimento, grandemente meritorio, di alta umanità che lo conduce.
Liliana Porro Andriuoli
ANDREA PISCOPO: Compagni di viaggio (La Valle del Tempo editrice, Napoli 2022, pagg. 50, € 6,00)
CENERENTOLA
Cenerentola può ritenersi soddisfatta, ha trovato il suo principe partendo dalla cenere. Io non ho fate che mi sfiorino con bacchette magiche, non contatti col potere. Ho soltanto questi versi che l'anima scolpisce. Mi allaccio bene le scarpe per non rimanere a piedi nudi.
Lucio Zaniboni Lecco
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IMPERIA TOGNACCI PER DOVE VIAGGIANO I POETI?
di Salvatore D’Ambrosio
IL poemetto in undici capitoli, come ha preferito nominare le composizioni Imperia Tognacci, è un appello a salvare la poesia.
Salvare la poesia per salvare l’umanità, la quale invoca amore e pace ma non sa da dove cominciare. Allora la cosa da fare immediatamente, dice il poeta, è che deve esserci il desiderio di viaggiare, di andare altrove, inseguire un sogno con la consapevolezza che La meta è partire.
Tenendo ben presente anche, che una meta non sarà e non può mai essere definitiva.
Questo Wanderlust della Tognacci, come in On the road di Kerouac, non è tanto la voglia di un viaggio quanto quella di un incontro tra due persone gemellari: Eva = Poeta Imperia.
E l’incontro deve dare forma a una concezione poetica che sia verità, concretezza, avventura.
Non deve, però, avere una forma piatta come la propongono oggi i nuovi mass-media.
Si evince anche che la Tognacci non vuole insegnare, ma imparare, vuole modificarsi, colloquiare con i miti e le muse del passato per tornare a essere quella Eva che scioglie tutti i grumi e le zavorre del tempo. Una Eva Donna che può essere fonte di ispirazione poetica, ma che è anche poeta che vuole vestire il tempo di una nuova inusitata luce. La quale proietterà una nuova sconosciuta ombra.
Quante donne la storia ci ha consegnato cinte dell’alloro poetico: si chiede.
La risposta le viene da Psiche, che è un vocabolo greco che significa anima, e quindi è la sua anima che consapevolmente sa della storia della donna nei secoli.
La sente come grande presenza Imperia e ci colloquia, per tutto il poemetto, con la sua Psiche.
Ma oltre che dall’ Anima, la Poetessa è forte anche della Ragione per cui questa idea di viaggio è connotata anche da due pulsioni.
La sistole che sta nell’andare alla ricerca della libertà e del giusto riconoscimento dell’esperienza letteraria e poetica. E la diastole che sta nel tornare all’origine: a quell’Eden perduto, a quella innocenza dalla quale ripartire forti dell’esperienza degli errori commessi. Con la volontà di un allontanamento da una marcia indietro. Ma soprattutto con l’entusiasmo di un andare verso una meta che abbia una luce nuova capace di riattrarre.
Lucidamente Eva Tognacci sa che non si cambia la nostra esistenza, che nessuna malia devierà il nostro percorso. Ma sa anche che cerchiamo qualcosa che è già in noi e che nasce con noi: perché è in noi dall’ancestrale.
Il poemetto è una cosmogonia dell’origine dell’universo poetico, con un carattere mitico religioso.
È anche l’urgenza di un riconoscimento
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della sua identità di Eva/Poeta.
Non a caso in tutta l’opera usa questo sostantivo al maschile e mai al femminile.
Sta in questo il suo progetto, che tende a collocare con una grande determinazione la propria personalità e identità di riconosciuto Poeta.
Incontriamo nel percorso, però, anche una Psiche (l’anima), che si ribella ed esorta a uscire dallo stereotipo del poeta rassegnato alle abitudini, alle antiche costumanze e che getta i canapi alla prima bitta, al primo porto sicuro. Protetto.
Fermarsi, impantanarsi non porta a nulla: bisogna invece smetterla di far considerare Eva origine di tutte le colpe, ignorando la sua preziosità e ciò che invece vale.
Nell’accezione greca Psiche significa anche farfalla Capacità dunque di volare, viaggiare lontano. Andare. La farfalla un insetto all’apparenza fragile, in realtà è instancabile e fa viaggi anche di 4000 chilometri per raggiungere il luogo dove riprodursi, per non lasciare il mondo senza la sua presenza.
Un poco come la poesia, a cui basta anche una fragile apparenza per dire grandi verità.
La storia dell’umanità, dunque, è nelle mani dei poeti che spesso però sono ancorati, stretti in ricordi antichi e galattici e non si accorgono che banchettano con il Nulla.
Non si accorgono che si sono cuciti addosso un vestito di vanità che interrompe la linfa che gli scorre dentro, che abbatte e strapazza nei suoi venti il sogno di rigenerazione che pulsa nel cuore.
Mettere da parte la vanità dunque e scoprire, al richiamo della Luce Suprema, la tua inconsistenza fatta di fango, di argilla.
In queste undici stanze poetichevi è tutta la passione e soprattutto l’amore che la Tognacci ha profuso in questo suo percorso di vita poetico.
È palesemente anche la metafora del suo essere donna poeta, che nel gioco delle mutazioni avverte il rifiorire di nuova linfa.
Non nasconde la sua fragilità e chiede aiuto alla poesia, affinché la consegni all’eternità. Ma basterà; non basterà. Sarà sufficiente è
utile portare con sé in quel viaggio, iniziato nelle materne acque e che proseguirà in quelle del predominio di Caronte, l’ultimo libro di versi?
Se non è servito a nulla in vita, potrà interessare al traghettatore antico?
L’amarezza di questa constatazione viene però surrogata da una visione, da una speranza o forse da una certezza di potere essere finalmente parte di una dimensione nuova nella quale proseguire il viaggio: che si fa, questa volta, futuro.
Ma avrà anche questo viaggio, e ci sembra di sentirel’accoratorammarico interrogativo, una sua vanità, una sua inutilità?
Salvatore D’Ambrosio Imperia Tognacci: LA META È PARTIRE, Genesi Editrice 2022, € 15,00
DIAMANTE OPACO
E sono qui con i miei anni diventati tanti, troppi ormai. Avevo voglia dell’attesa. Che rifiorisse di nuovo il glicine, per il suo profumo che si confondeva al tuo.
La mia pena è che ho sempre atteso troppo. Ho rimandato tutto nella certezza di una luce che colorasse di rosa le vette dei boschi; le nuvole in arrivo.
Vestivo una camicia bianca, che è rimasta così: senza nessuna macchia. Sono stato un granello di sabbia immobile. Nessun vento ha potuto alzarmi per portarmi altrove.
Salvatore D’Ambrosio Caserta
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Avviso importante AI LETTORI AI COLLABORATORI pag. 42
ROCCO SALERNO LA FEMMINILIZZAZIONE DELL’ANGELO IN GIUSEPPE SELVAGGI
di Carmine Chiodo
GIUSEPPE Selvaggi (Cassano Jonio, Calabria, 29 agosto 1923, viveva e lavorava a Roma) ha una varia e interessante personalità artistica: giornalista, saggista, critico d'arte, poeta. Come poeta è ormaientratonellaletteraturanazionaleedha avuto lodevoli riconoscimenti dalla critica più qualificata. Un poeta che ha radici "ioniche" e che non ha mai rinnegato lesue origini calabre come ben dimostra la sua fertile e appassionata opera di organizzatore culturale nella regione.
Il libro di Rocco Salerno, chiaroeben strutturato criticamente, è un'ottima guida alla poesia selvaggiana e, per fare nostre le parole di Antonio Piromalli, "il lavoro di Salerno si svolge, con precisione critica, tenendo conto della psicologia profonda di Selvaggi, greco
biblica attenta ai significati e all'aldilà delle cose e degli eventi". Inoltre Rocco Salerno mette a fuoco, raccolta dopo raccolta, le caratteristiche tematiche e stilistiche più importanti che mostrano l'iter del poeta. Lettura strettamente testuale e testocentrica, questa del Salerno, che evidenzia i punti cruciali della poesia di Giuseppe Selvaggi facendone constatarei continui sviluppinel tempo. Inoltre serrato, continuo è il dialogo con gli altri interpreti, numerosissimi, della poesia dell'autore di Fior di notte. Il Salerno con sensibilità e istituendo calzanti ed idonei raccordi con altri poeti e scrittori, tenendo anche conto degli aspetti della ricca e fermentante arte di Selvaggi, perviene ad un commento o meglioaunadelineazionecriticabencentrata dei versi selvaggiani afferenti alle raccolte Fior di notte (raccolta che ha visto la luce nel '41 e che ha avuto tante ristampe e studi critici), Canti ionici e Corpus. E qui vengono fatti raffronti tra le varie situazioni liriche, isolate tematiche, voci, immagini, metafore: un approcciochecipermettediconoscerel'evoluzione della poetica di Selvaggi e i suoi nuclei fondamentali su cui poggiano le tre raccolte di cui sopra. Orbene, nella "Premessa per una guida di lettura" il critico fissa i motivi che lo hanno spinto ad occuparsi di Giuseppe Selvaggi, motivi "che vanno ricercati nella Poesia e nella sua matrice "jonica", senza per questo delimitarla in un'area geografica, che affonda le radici culturali e religiose in un dissidio ebraico cristiano".
Dario Bellezza in una nota che si legge alle pagine 43 44 del libro coglie molto bene la fisionomia del lavoro che stiamo esaminando: "libro che nasce in primis dall'amore per la poesia, congiunto ad un altro amore, più struggente ancora, se possibile, quello, austero e sublime, per la Calabria. Infatti sia Selvaggi che Salerno sono calabresi, e calabresi di una parte della Calabria principesca e antica: la terra fatale di Jonia, dove la Magna Grecia prese i suoi slanci più fervidi e amorosi" (p. 43).
Comunque l'analisi del Salerno parte da Fior di notte con il suo mito della Notte e del
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nudo che sono fortemente connessi sì da essere un solo "respiro", la "notte corpo". Questa prima raccolta è un inno all'amore, alla vita, e grazie alla poesia e solamente ad essa in un mondo divenuto commercio, dove "sono sogni/le innovazioni" "e tutto è avviato/aivortici inesauribili dello scambio", "a un poeta è lecito sognare il ritorno di un Eden"(P. DeSeta); ed èin "questadirezione" suggerisce Salerno "che ha avuto ragione la riproposta di Fior di Notte" (p. 24).
Nellerestantipaginedell'attentolibro viene delineata una mostra antologica della poesia di Selvaggi con poesie che fanno parte delle tre raccolte che abbiamo già menzionate. E a tal riguardo il critico annota che "le poesie scelte per questa mostra antologica sono in relazione al discorso che si è venuto affrontando, e cioè: l'amore visto come espansione dell'essere nell'universo, come corporale necessità d'esistere, fonte primigenia di vita libera, gioiosa esperienza anche attraverso l'esplosione dei sensi, attraverso la purezza della carne ("se la carne è in amore/io sono puro" canterà Selvaggi)" (p. 49).
Convincenti sono pure le pagine dedicate a poesiecomeMezzogiorno aRoma, Duenella città, Il congedo, solo per richiamare qualche titolo.
Dopo Fior di Notte è la volta dei Canti Jonici ("Il limpido sudore d'esistere", raccolta che "allarga il respiro di quell'amore universale suggellandolo di una maggiore tensione emotiva e lirica") (p. 68). Anche qui l'interprete fa una analisi esauriente di testi quali Piazza di Spagna e Semaforo, Biglietto d'amore, Le ali di Psiche: di queste liriche sono colte le valenze tematiche e metaforiche oltre che le immagini e i miti, le atmosfere, la cifra stilistica. Orbene, di questa raccolta viene messo in risalto lafisionomiadell'animaedel corpo, "visti come gioiosa esplosione dei sensi e grido di purezza".
Alla terza raccolta Corpus è dato come titolo La femminilizzazione dell'Angelo "che sprigiona un mondo mistico e simbolico" (p. 7). Con Corpus si chiude il "ciclo" della stagione poetica di Giuseppe Selvaggi.
Rocco Salerno dedica molte pagine a Corpus perché questo libro è importante non soltanto in quanto è stato composto "in piena maturitàmaancheperchéè densodiprofondi significati allegorici erispondeperfettamente
così dominato, controllato com'è a un equilibrio tra mondo formale e contenutistico. Lo ritiene importante ancora per il fatto di esserepieno di richiami magici, mitici, folcloristici, religiosi (e non è una casualità, ma c'è una ragione profonda che va ricercata nelle radici e nella formazione spirituale del poeta, una formazione che sta a cavallo tra la religione ebrea e quella cristiana) per cui il mondo poetico favoloso, pur discostandosi certamente da questi mondi e moduli, in essi tuttavia s'affonda e si eleva"(p. 80).
Corpus è una biografia dell' interiorità e gli elementi naturali come il fulmine, la pioggia, il lampo, ilsereno,il sole"spezzato dalnero", sono la "folgorazione di questa vicenda interiore, di questo miracolo della vita rinnovata d'amore, sono le oscillazioni dell'animo terrestrechetentanoil cieloesiconfondono con
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quelle del celeste, della creatura, che, mediante la grazia della parola e del corpo, visto come adorazione, come scala per arrivare al Creatore, panteisticamente si trasumana e aspiraad esserequasi lo stesso respirodi Dio; gli elementi naturali sono, cioè, note sinestetiche, lampeggianti di questa vita in continuo balenio"(p. 87). Quindi "un lampo sulle nostre bocche reca il sereno"; "nel sole spezzato dal nero di rapide ali notturne/sento i falchi predatori scoprirci dal cielo/e buttarsi sul silenzioso grido d'arresto". Naturalmente anche per Corpus son fatti persuasivi raffronti con testi appartenenti ad altre raccolte. Così, per limitarci a un solo esempio, anche in questa raccolta torna l'acqua (parte dominante dei Canti Jonici); torna pure il fiume che, come per la poesia Biglietto d'amore diventa d'oro, diventa il fiume della giovinezza, della vita; e ancora appare il mare che è certo un richiamo alla terra natale, al paese. Torna ancora il sogno che è la vittoria sul "sonno" da intendersi come la "sola cieca passione o come desiderio della carne ingannatrice" (p. 93) e per finire ricompare la sete (di Fior di Notte), la conoscenza del viaggio dantesco "visto alla luce della speranza, della fede, della certezza cristiana, torna la nascita di
Dio, come ogni uomo in amore, sulla mano di ogni donna": "Finché non crolla l'architrave/Dio tornerà bimbo in ogni mano di donna".
Dopo una attenta analisi di Corpus, Rocco Salerno giustamente conclude che in questa raccolta Giuseppe Selvaggi "attinge alla Poesia senza aggettivi ed entra nel novero dei poeti" (p. 103).Tutto sommato lo studioso fa sua la tesi di un italianista e filologo d'eccezione: Mario Marti che così ha scritto di Corpus, appunto: "Libro compatto, affascinante, nuovo", superiore a Fior di Notte e ai Canti Jonici; un libro prosegue a scrivere il Marti che non può essere ignorato dagli storici e dai critici del contemporaneo (...) Vorrei tentare una definizione: che il tuo libro ambisca ad essere una sorta di Vita nuova nel nostro tempo; di un tempo, cioè, in cui si comincia acredere chela vitasiaidentificazionedi spirito e materia, di energia e di plasma, alla sua più lontana, remotissima origine. Corpus, appunto" (p. 103).
ChiudeilpregevolevolumediSalerno"Immagini e notizie su Giuseppe Selvaggi": una serie di notizie afferenti alla vita e all'opera del poeta, e poi una accurata e ben nutrita bibliografia che registra le principali monografie (quella di Andrea Coscarelli, di Pietro De Seta, di Gilda Trisolini, di Giuseppe Grisolia, di Giovanni Sapia, di Antonia Fyrigos, ecc.) e gli studi e gli interventi critici (quelli di Piromalli, Pasquale Tuscano, Alberto Frattini, Donato Valli, Dante Maffia, Gaetano Marinò, solo per citarne alcuni).
Sostanzialmente, grazie a questo lavoro coscienzioso di Salerno, possiamo accostarci alla poesia di Selvaggi e sentirne le singole voci, i vari sviluppi, i piani, le situazioni. Ed ecco e li citiamo nella loro interezza i versi di Racconto d'amore (fanno parte di Corpus) che ci danno il segno più vivo della poesia di Giuseppe Selvaggi: "Sulla testa corona di aria e capelli/ogni piega degli abiti era una gemma/con ombre di rose nelle tinte placate./Persino le mani quasi coperte dalle trine/ornate da agili giri di minute perle./Le dita lunghe, alterne, inanellate, tutta sciolta
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negli abiti camminavi/sorgente dei sensi e delle cose belle./Ognuno desiderava il tuo sguardo/ma si fermava allarmato dinanzi a tanto fulgore./Io che ti amo nel segno sotterraneo della vita/ti presi per mano portandoti nel prato segreto. /Fu lento il bacio vestiti tu ed io/entrando nella stupefatta resa. /Ti spogliai ad uno ad uno di tutto/sino al limpido nudo sul verde dell'erba, /i denti bianchi nel socchiuso della bocca/i capelli e il pelo riflessi dal tenero sole./Appresi che lo splendore era in te come sei./Non osai toccarti oltre l'impegno d'amore/di vederci in tanto sereno/anche nei giorni nuovi, ogni giorno, dopo la morte".
Si compie in modo meraviglioso la "femminilizzazione dell'angelo".
E per capire la statura poetica di Selvaggi ci sia permesso di esibire una ennesima citazione di suoi versi, come i seguenti: "Dammi la gioia di esistere/o destino a me assegnato/e la gioia dammi di morire/sapendo che la morte è esistenza. /Ora pace e purezza ai miei giorni/con tutto l'amore del corpo".
E' proprio con Corpus che Selvaggi ritrova se stesso e il suo mondo, e perciò a nostro avviso questa raccolta è stata preparata nel tempo dalle precedenti.
Orbene, la poesia di Selvaggi trova il suo culmine in Corpus in cui pulsa una "vita nuova" come "lo splendore, lo sguardo della donna che diventa fulgore dinanzi a cui ognuno si ferma allarmato".
Carmine Chiodo
Rocco Salerno, La femminilizzazione dell'angelo nella poesia di Selvaggi, Roma, Edizioni Moloch,1990, L.15.000
AL CRISTO DI LEPANTO
Cristo che a Lepanto un dì, nella battaglia, spostasti il capo per schivare, dall’alto della croce inalberata sulla nave, il proiettile nemico, a Te ci rivolgiamo perché oggi di un miracolo più grande Ti imploriamo. Da quella croce dove per salvarci,
salisti un giorno, oggi discendi e col Tuo Santo Spirito riporta la luce e la saggezza in quelle menti che ottenebrate da sete di potere ed in balia del Male ci minacciano senza pietà, creando morte e distruzione.
7 ottobre 2022
Mariagina Bonciani Milano
S’E’ FATTO GIORNO
S’è fatto giorno e ancora non è notte per chi ha vegliato lavorando o scrivendo poesie. S’è fatto giorno e ancora attende il sonno chi ha vegliato pensando e scrivendo poesia.
4 giugno 2022
Mariagina Bonciani Milano
SENSO NON SENSO
Facciamo conto ci sia senso nel non senso di questo tempo. Nati non foste per viver come bruti. Bruto aspettava Cesare al Senato. Il pugnale era già affilato. Bisogna sempre aspettarsi il peggio quando si cammina controsenso, qualcuno procede in senso inverso. Ogni regola ha le sue eccezioni. Il sole ridea calando dietro il Resegone, mentre Carducci pescava un granchio. Il non senso si affaccia alla finestra di un senso che sorride all'alfabeto sfogliato come un fiore.
Lucio Zaniboni Lecco
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AVVISO IMPORTANTE a pag. 42
ROSARIO ANTONIO MOLLACE
Il “CAMPER” VOLANTE di Giuseppe Leone
QUANDO il mio caro amico, Rosario Antonio Mollace, autore della fiaba Lello e Lella e il camper magico, edita da L’Impronta Sant’Olcese nel luglio 2022, mi spedì il testo per leggerlo, nella lettera di accompagnamento chiariva anche le ragioni di questa sua composizione.
“Indubbiamente annotava la mia è un’età piuttosto insolita per scrivere delle fiabe, ma l’ho scritta perché chiacchierando con Manuelami harimproverato chedabambina non le avevo mai letto una fiaba e ripensandoci bene aveva ragione. Così per farmi perdonare, a distanza di molti anni, ho pensato di scriverne una che è stato il mio regalo di Natale dell'anno scorso. Manuela insegna in una scuola elementare di Genova ed è piaciuta molto ai suoi alunni”.
Sono parole che non dimentico facilmente, ma che ritrovo, prima, in un aforisma di Manuela rivolto al padre, posto a mo’ di esergo già nelle primissime pagine: Se non sei mai riuscito a leggere una fiaba, devi riuscire a scriverla; e poi andando avanti nella lettura del testo in un rimando al sistema logico di Ludwig Wittgenstein: Quanto può dirsi, si può dir chiaro.
Persino intorno a ciò che più fa soffrire, come può essere la perdita di un figlio in età ancora giovanissima. Inutile dire che lo scrittore non sia stato male consigliato, né da Manuela,quandolospronaverso questaprovadi scrittura; né, su di un piano più puramente astratto, dalla logica del linguaggio del filosofo austriaco.
E così l’autore, come per magia, che non aveva mai letto una fiaba a sua figlia, eccolo incominciare a scriverla, ambientandola tra prati, laghetti e fiori di un pianeta al di là del nostro sistema solare.
E vi riesce pure, finendo, non solo per saldare un debito che mai sperava di poter restituire, ma anche per muoversi disinvoltamente in un ambito mai conosciuto prima. Vi rivelaqualitàevirtùnarrativeinsospettate, rigore logico e gusto letterario, linguaggio semplice ed essenziale a un tempo, stile elegante e sobrio.
Ne guadagna la fiaba, rigenerandosi, questa volta, senza il suo abituale C’era una volta, un incipit che invitava a distinguere il tempo della civiltà dal caos primitivo, in uso ancora per tutto l’ottocento, poi in qualche modo eluso nel novecento da Gozzano, Calvino, Rodari e da pochi altri. Di contro, ora, questamessaapuntodeltempounicodiMollace, che scorre tutt’intorno alla sua realtà, a partire da Manuela (Lella nel testo), a Lello, che, da grande, avrebbe voluto fare l’ingegnere; alla cagnetta Miki, alla maestra Ebe, a nonno Ciccio, nonno Massimiliano e nonna Giovanna. Il tutto relativo all’universo famigliare dello scrittore.
Quello che più sorprende, allora, sfogliando le sue 76 pagine, con prefazione di
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Rina Leone e puntualmente corredate di sfavillanti illustrazioni ad acquerello o pochi tratti di matitadi ChiaraNavone, èchequesta esperienza letteraria di Mollace è l’opera prima di un autore da sempre votato a interessi verso il mondo tecnico scientifico.
Tuttavia una tale provenienza non gli impedisce di cimentarsi con stati d’animo e riflessioni che oscilleranno d’ora in poi fra “anelito d’infinito e impellente necessità spirituale”.
Il tutto per comporre una fiaba si badi non una favola. Una favola non sarebbe certo servita al loro caso, il suo senso morale non avrebbe per nulla giovato né agli obiettivi dell’autore, né a quelli di sua figlia. Come i sogni e le immagini, anche le fiabe, si sa, incrementano la ricerca di contenuti simbolici e di significati inconsci.
Come avviene ora in questa sua prima creazione artistica dove lo scrittore si muove con passo leggero tra mondi lontani, col desiderio sempre vivo di cogliere profumati fiori di campo. Non per caso ama perdersi nei dolci ricordi, intenerirsi ai colori e sapori che lo riportano all’infanzia lontana. Sente come pochi l’accorato rimpianto del mondo perduto, le mutevoli sensazioni che si accompagnano al succedersi delle stagioni e il ritmico pulsaredellanatura:dallepiccolegemmeche si gonfiano sui rami, al prodigioso trascolorare delle albe e dei tramonti, allo sfavillio della luce meridiana, agli spazi sconfinati del cosmo, al fascino misterioso delle stelle. Nel tutto che ci circonda, con l’antenna sottilissima della sua sensibilità, percepisce bagliori d’infinito, che se non bastano ancora per recuperare la serenità perduta, sono almeno un motivo per bene sperare contro le interminabili insidie del dolore.
E non solo, anche per conferire spirito poetico e ricerca filosofica alla fiaba di uno scrittore che scopre la propria vocazione letterariasoloinetàmatura, aseguitodi vicende dolorose che hanno sconvolto la sua vita, condannandola all’angoscia più desolante.
E in effetti, il lettore non troverà in questo libro né il romanzo, né la storia, e i ricordi
personali, se ci sono, sono trasfigurati nell’economiadellafiabastessa, mascoprirà, con sua grandesorpresa, che l’autore nel frattempo si è liberato anchedella suaesperienza successiva al tragico evento, che ha rivissuto con le idee e i sentimenti di allora.
Dunque, un testo elegiaco e lirico a un tempo, questa fatica letteraria di Rosario Antonio Mollace, che esibisce nella fantasmagorica cornice della fiaba; e, non certo, per sua istintiva e innata vocazione, quanto per aver accettato, dietro consiglio della figlia, la sfidadi trasformareil mondoinfondamentalmente buono, cosa che l’autore ha puntualmente fatto riscrivendo la pagina più triste della sua vita in un componimento da cui emana riscatto e salvazione, fino a per dirla con Montale
“cangiare in inno l'elegia; rifarsi; non mancar più.
Potere
simili a questi rami ieri scarniti e nudi ed oggi pieni di fremiti e di linfe, sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti un riaffluir di sogni, un urger folle di voci verso un esito; e nel sole che v'investe, riviere, rifiorire!”
Giuseppe Leone
Rosario Antonio Mollace: Lello e Lella e il camper magico, Fiaba con Illustrazioni di Chiara Navone, Edizioni L’Impronta Sant’Olcese, 2022, Euro 24.00. Pp. 76
In sala bar strimpella un’orchestrina ritornelli antichi, natali cronache suggella e infanzie e gioventù divelte; dentro rose palpebre un’iride s’annuvola, è d’un vecchio franto d’attese e d’anni. Tra il cordame si rimescolano sonnambuli amori poliglotta.
Rocco Cambareri
Da: Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983
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Riflessioni sulla silloge POESIA IN CINQUE MOVIMENTI E DUE CONGEDI del poeta
GIANNI ANTONIO PALUMBO di Giusy Carminucci
PROPRIO come accade in musica, i “Cinque Movimenti” hanno un Preludio, cioè l’indicazione di andamento, di movimento dell’intera composizione: in riferimento al tempo di esecuzione, un preludio musicale è generalmente un brano piuttosto breve, di solito senza una forma codificata, collocato all’inizio dell’esecuzione di un’opera o di una sua parte. Originariamente, era proprio un breve brano suonato in maniera estemporanea, prima dell’esecuzione del pezzo vero e proprio. Si pensa che sia
nato, probabilmente, dalla naturale tendenza di ciascun musicista di “scaldare” il proprio strumento suonando alcune note, prima di iniziare. E così, magistralmente, il Poeta, Gianni Antonio Palumbo, affida ad un Preludio forma e sostanza di quello che sarà, nel suo svolgersi, l’intera silloge.
L’incipit del libro “Poesia in cinque movimenti e due congedi” di Gianni Antonio Palumbo è, quindi, affidato ad un poemetto con cui il Nostro apre ad una rappresentazione in sé conclusa, delineata più che dalla solennità, da una ricerca di eleganza e finezza, dettata dal gusto del particolare. I toni dell’epillio sono quelli del Cantico, che, nella sua peculiarità, rammentano certe composizioni di De André. E, in un quasi monologo, si svela come poesia/denuncia d’apertura. (Lo chiama, infatti, Preludio) “Dove sono le donne di Auschwitz?(…) E dove siamo noi che non morimmo/ e siamo vivi a stento/ per la vergogna che coprì le nostre case?”
L'incarnato della parola è l’essenza dello sguardo del poeta che, con mani d’argilla e sangue d’inchiostro, impasta versi, accenti e arcani, lasciandoli, poi, germogliare lungo le tracce profonde del comporre.
Il divenire poetico del Palumbo trascorre, variegandosi diversamente, e così la voce passa dall’accogliere arcaismi all’abbraccio significativo di espressioni straniere, che impastano suoni dal retrogusto antico, come rafforzativo di una accusa, che sembra trasformarsi in preghiera, rivolta ad una natura “matrigna”, che trasporta con sé l’etica di una vita. “Mare, che dissolvi e scorri,/ rendici l’anima che non abbiamo, / dacci la vergogna della nostra indifferenza, / culla quel silenzio inerte / a lacerarci il cuore./”
I versi suggeriscono un diverso modularsi del pensiero, che si fa voce in una codificazione musicale complessa che, da un lato, può sembrare un'operazione a freddo, quel tanto richiesto dal lavoro poetico che non è solo un fatto di sentimento, come appare in certi componimenti più tecnicamente “ostinati”, in cui il testo sembra concentrarsi più sul significante che sul significato, in una
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dimensione quasi ludica, in cui l’atto della scrittura non è mai puramente gratuito; dall’altra, però, lascia che la voce si faccia più emotivamente coinvolta, liricamente espressiva, e più immediatamente comunicativa.
Vi sono versi di una tristezza infinita “Relitti di un cielo reietto/ Stame di stagioni morte/ Senza storia né memoria. Non domandateci che cancerosa insania/ ci sconvolse ci tradì.”, versi che l’alchimia poetica, esuberante di energia, tinge di una improbabile vitalità.
Poi… si congeda, abbracciato al silenzio dell’Universo, dominato dalla voce di Dio.
Affidando “al respiro di un sasso”, storia sedimentata, la sentenza.
Per aprirsi, subito dopo, alla musicalità di tre Movimenti, intervallati da liriche, di cui è consigliata la lettura a chi ama perdersi e ritrovarsi nella realtà della mente e dei sentimenti.
Il primo movimento è dedicato alle “Variazioni Selenitiche”, dove descrizioni dettagliate di scenari terrestri si intrecciano a sensazioni lunari, analizzando, con soave durezza, la struttura tecnica di alcuni quadri di quotidiana realtà, lasciando sempre al lettore l’ultima parola. Così “ …sulle labbra di una notte” l’Autore mette a nudo un sentire interiore che, ispirato a fatti di cronaca ( la vicenda di Alan Berg) “(…) Io ho visto il Sole e uomini morire/ come muore un cane / sul ciglio di una strada” o di vita quotidiana “(…) Che ogni alba nuova è un nuovo amore”; o, ancora, legati a descrizioni poetiche di intime relazioni con la natura “Percepisco il richiamo del mare.” pare voler cercare, ma poi quasi negare quelli che Kant definiva i postulati della ragion Pratica:
“E m’illudo che sia eterna/ questa brezza della Notte/ tra i nostri pensieri.” O, in “Sul ciglio della strada” “E sono stata io stessa cane/ sul ciglio delle vostre strade”.
E la cangiante luna, qui, la fa da padrona, con i suoi moti e le sue influenze.
Nel Secondo Movimento: il “Nido Notturno”, il poeta include versi dedicati, più o meno velatamente, alla luce: a volte intesa come mero fenomeno fisico, a volte come impulso di vita, “A rubarmi i libri/ e insegnarmi la domenica/ tra le maglie disfatte/ di un giorno di noia.”; altre ancora come donna, capace di dare vita alla sua stessa vita “Luce è maternità/ di un pensiero sbocciato di sera”. Ritroviamo nelle liriche del secondo movimento tracce di stilnovistica pregnanza, dove a tratti l’anafora ne determina il senso “Tu fruga, bambina mia,/ fruga pure nel tuo paniere(…)/ Ma tu fruga ancora/(…) / Fruga a passo di danza(…)”, per sottolineare, quasiinformadi preghiera,larichiesta del Poeta a Lia.
Di meravigliosa bellezza la “Nenia Decembrina (A Maddalena)”,che culla le notti insonni di Maddalena, con delicate parole di rassicurante condivisione “( …) Conosco il segreto/ che non ti fa dormire. (…) Ora so/ perché tu temi il buio/ (…) Io ti dirò quali reami/ di luce il sonno schiuda/ che lame di smeraldo fulgano tra fiabe d’oro./(…)” e poi l’elegia connota gli ultimi versi della lirica, colorando di serenità il sonno della donna inquieta “Dormi serena./ L’alba nuova/ ti insegnerà il sentiero/ del ritorno a casa.”
L'immortalità dell’anima, come, nella lirica “Sul ciglio della strada”, “… E non c’è Dio/ e non c’è uomo/ che ci salvi”
Qui, certi componimenti sembrano tecnicamente più “ostinati”: il testo pare concentrarsi sia sul significato sia sul significante, lì doveper significantesicontemplalastruttura stilistica, che dona al testo la quintessenza della vita.
L’esistenza di Dio, “ in Radio Talk “Ed ero e sono disperato/ come questo dolore che implode, Barry, nelle dita/ e non ha storia”
Il liberoarbitrio,in“AProserpina”
Il terzo movimento è intitolato Geistliche Lieder, come la raccolta di 15 componimenti poetici di Novalis, pubblicata postuma. Il richiamo alla silloge è voluto. Per indicare la naturadellelirichepresenti inquestasezione, il poeta ci offre delle preghiere, che hanno la formadeisalmi,cheperloronatura,nonsono
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altro che dei canti: erano, infatti, in origine inni cantati, nei luoghi sacri, con l'accompagnamento di strumenti musicali.
Il Poeta esordisce nel Terzo Movimento con il richiamo ad un versetto del salmo 27(28), che poi il Nostro riprende, trasformando in inno, quello che nasce come canto. E chiude con una meravigliosa, accorata supplica, che il poeta chiama “Invocazione” ed è proprio una richiesta intonata alla commossa solennità propria della preghiera alla “Vergine delle rocce, (...) Vergine del martirio fuori moda (…) Vergine delle campane a lutto (…), Vergine del lutto che non ci riguarda (…), Vergine dei nostri odi inveterati(…), Madre delle stagioni”. E la preghiera si fa rifugio sotto la protezione della Madonna,non acaso invocatacomeVergine, per sottolineare la sua purezza, il suo essere senza macchia e per questo al di sopra del tempo, dei lutti, dei peccati quotidiani, dei cuori incapaci di amare e di amore, di chi svende il proprio candore ad un soffio di vento…
LagrandezzadiGianniPalumboènellasua immensa e poliedrica cultura, che lo rende compositore originale di versi dal sapore classico, ma dai confini legati ad una speciale contemporaneità.
Nelle “Conclusioni”, i versi del poemetto suggeriscono un modularsi del pensiero, che si fa vocein unacodificazionemusicalecomplessa. “Rosa semper rosa est, etiamsi in stercore dormiat”. Codificazione che, da un lato può risultare solo un’operazione richiesta dal lavoro poetico, in cui l’atto della scrittura non è mai “gratuito”; dall’altro, lascia spazio etempo ad unavocechesi fapiù emotivamente coinvolta, liricamente espressiva e più immediatamente comunicativa, rendendo il testo perenne.
Anche se alcuni versi non sono facili e non è facile cogliere il loro ritmo e il loro impasto musicale, questa silloge risulta essere una “chicca” per chi ama la letteratura, gli stili narrativi, la bellezza delle molteplici possibilità e capacità di espressione.
Giusy Carminucci
Da DODICI MESI CON LA RAGAZZA
di Domenico DEFELICE Traduzione in inglese di Aida Pedrina
SOTTO IL SOLE D’ESTATE
Vieni qui. Ascolta. Vorrei che il vento volasse tra le siepi addormentate e ricamarti sulle sue ali una canzone, una canzone di gemiti e sospiri per farti innamorare.
Non sfogliare le rose indifferente: lo sciupio dei petali è lo sciupio dei sogni.
Vieni qui. E mentre tu, con l’ago nelle mani fatate, trasformerai quei petali in corone, io col pennello, a sprazzi rossi, sotto il sole d’estate, fermerò sulla tela il sogno e il tempo.
UNDER THE SUMMER'S SUN
Come here. Listen. I would like the wind to fly through the sleeping edges and embroider for you on its wings a song, a song of sighs and whispers to make you fall in love.
Don't tear the roses uncaring: the waste of petals is the waste of dreams.
Come here. And while you, with a needle in your fairy like hands, will change those petals into crowns, I with the brush, with red splashes, under the summer's sun, will stop on canvas time and dream.
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POCO dopo l’alba di una mattina di settembre ultimo scorso, in silenzio lontano dai clamori, come gli era più piaciuto vivere, lo scrittore e poeta ultranovantenne Brandisio Andolfi, ha lasciato il suo percorso terreno.
Mio grande amico, collega, compagno di scrittura poetica è stato fino in fondo il custode della memoria e soprattutto del sentimento della memoria, come scrissi nella presentazione di un suo libro nel 2015.
“C’è una sinapsi tra memoria e cuore che rende l’Andolfi ubiquo: egli è nella città dove ha creato la sua famiglia, ma è anche in quella sua Sessa Aurunca dove la famiglia lo crebbe, lo educò, gli diede quel grande patrimonio di vissuto che è rinchiuso in quella botte di ferro che è la memoria e Questo sentimento è ciò che dà l’essenza a tutta la poetica del caro Brandisio.
Contro la memoria siamo soli, senza scudi di difesa. E il poetaAndolfi questo ha cercato
di farci capireattraverso i suoi scritti. Hacantato mirabilmente e con dolcezza la delicatezza di un fiore, del canto di un passero o dello splendore magico della Luna.
Le sue intimità non le ha trattenute per sé; le meraviglie che ostinatamente la memoria non cancella ha voluto rivelarle a tutti quelli che si sono disposti ad ascoltarlo.
Per questo nella sua lunga vita ha pubblicato oltre venti libri di poesia. Inoltre, saggi su Vincenzo Rossi, Gaetano Andrisani, Rudy de Cavadal. Tanto per citarne alcuni.
Scrisse: La vita storicizzata di Muzio Attendolo Sforza, di cui orgogliosamente mi faceva partecipe di essere diventata oggetto di una tesa di laurea.
Produsse molti saggi e recensioni critiche di poeti e scrittori contemporanei.
Apprezzarono la sua attività letteraria e ne parlarono: Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Giorgio Barberi Squarotti, Silvano Demarchi, Venerio Scarselli, Rudy De Cavadal, Giuseppe Giacalone, Antonio Crecchia, che gli fu anche grande amico e che gli dedicò un’ampia monografia.
Grande attenzione anche da parte di: LeonardoSelvaggi, GabriellaFrenna,LuisaMartiniello.
Premi e riconoscimenti raccolse negli anni in tutta Italia. Benemerito della cultura: Libero de Libero Arpino(Fr); Gran Premio Histonium- Città di Vasto(Ch); Progetto Athanor.
Per non parlare della presenza della sua firma su prestigiose riviste: Paiadeia, Silarus, Vernice, Latmag, Pomezia Notizie.
Questo e molto altro è stato Brandisio Andolfi. Narratore, poeta, cantore in modo semplice di un mondo che lo forgiò, lo plasmò e benevolmente lo plagiò; e di cui si compiacevaintimamentedi essersi fatto corrompere.
L’amore e l’appartenenza alla sua Terra Casa e quindi alla natura, come la concepiva e la sentiva lui, gli bruciava dentro di un fuoco sacro e inviolabile.
La prima giovinezza gli rimarrà dentro come un’età felice e spensierata, e come
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Ricordo di un poeta/uomo mite BRANDISIO ANDOLFI
di Salvatore D’Ambrosio
scafa di una formazione culturale e umana che lo porterà nel corso della sua lunga vita a un impegno morale di difesa e di esaltazione dei valori della natura di cui l’uomo, benché ne sia cosmologicamente parte infinitesima, ne è senza dubbio il maggiore destinatario.
E aggiungevachesi dovevaringraziareColui che aveva fatto tutte le cose per l’umano godimento. Su questo punto sapeva anche essere molto duro verso la stoltezza umana che non riusciva a comprendere il grande dono ricevuto; per questo depauperando ogni cosa senza ritegno.
Questo “Grande Minore”, come egli stesso amava definire tutti quei poeti che non hanno echi di stampa e posti in prima fila, ha modulato pensieri e concetti che proprio per la loro natura riflessiva esprimevano e esprimono concetti di natura filosofica.
“Seduto sulla pietra levigata del tempo sta il vecchio piegato sotto gli anni che più non ricorda dove e come li ha trascorsi durante la sua vita. E quando poggia la mano ruvida e secca sotto il mento tremante, sta reggendo i ricordi più belli della sua lunga esistenza”.
Da una delle sue ultime pubblicazioni: “Così la penso florilegio d’argomenti esistenziali con riflessioni”, mi piace estrapolare queste poche righe che sono la sintesi di quel sentimento della memoria che lo ha ispirato per tutta la sua poetica.
Ciao amico e poeta Brandisio.
Salvatore D’Ambrosio
CORRADO I
Corrado ha fatto il marinaio come tanti di gente contadina. In sogno, sulle petroliere, per trent’anni ha innestato susini ha potato ha raccolto fioroni. Ora mi aiuta in giardino e mentre travasiamo begonie mi parla di donne orientali
di mine vaganti sull’acqua di risse fra marinai di bonacce perlacee infinite. Forse vuole incantarmi intreccia invenzioni. Ma la voce gli si accende, negli occhi ha lontane dimensioni. II Corrado, custode e signore del nostro giardino, mi porta i primi fichi come un rito: “È annata buona” e nasconde un sorriso alla mia festa agli occhi che mi brillano sulla delizia mielata.
I fichi lussureggiano su foglie odorose, verdi mani in offerta mani lunghe scabrose.
“Si colgono al fresco, all’alba o quando cala il sole”. E mi lascia alla mia infanzia, ai nonni contadini: estati turgide albe e tramonti azzurrini, sfarzosi pensieri roridi di campagna.
Ada De Judicibus Lisena Da: Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017 Domenico Defelice: Angolo di giardino
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ANNA Manna (Gaeta, 1949) dal 1957 vive a Roma dove nel 1973 si è laureata in Lettere Moderne presso “La Sapienza” con il professor Giuliano Manacorda quale relatore, discutendo una tesi di laurea su Cesare Pavese. Figlia d’arte, essendo suo padre lo scrittore Gennaro Manna (Tocco Casauria, 1922 Roma, 1990). Poetessa, scrittrice, saggista e cultural promoter, ha all’attivo una corposa e invidiabile produzione libraria, oltre a vantare di collaborazioni importanti e di progetti di indiscusso pregio che da anni la vedono impegnata nella Capitale e non solo.
Perlapoesiahapubblicato Il raggio ridente di marzo (1994), La Madonnella al porto (1996), Fragole e latte (1999), A Largo della polveriera (2000), Poesie per Karol (2005), Le rosse pergamene. Poesie d’amore 1972 2001 (2000), Maree amare Mare e amare
(2007), Umili parole e grandi sogni. 5 poesie per 3 pontefici (2013), Meteorite (2015), Le poesie di Monteluco (2016), Migranti. A passi nudi, a cuori scalzi (2016), Ebbrezze d’amore, dolcezze e furori (2020).Suepoesie figurano in numerose antologie tra cui Poesie per anime gemelle Racconti d’amore di grandi poetesse e grandi poeti (2009) a cura di Francesca Pansa; Lingue di terra e di luna (2017) a cura di Anna Maria Giancarli; La cognizione del colore (2018) a cura di Laura De. La sua poesia è stata adattata in musica a Recanati (MC) presso il prestigioso Centro Mondiale della poesia negli anni 2000, inserita nel progetto "Il senso dei sensi" a Spoleto (2011) ed esposta a L’Aquila nella Mostra “Corrispondenze” patrocinata dall’UNESCO (2012).
Per la narrativa ha pubblicato i romanzi A largo della polveriera (2002) e le raccolte di racconti I cocci in bocca (1998) e Una città, un racconto (2012). Per la saggistica ha pubblicato la raccolta di interviste Noi donne fallibili e degne di miracoli (1995), Il poeta della ferriera (2004), A Roma i poeti (2006), L’illimite Incontro con Corrado Calabrò a cura di Anna Manna (2014), Il gatto di Schroedinger sonnecchia in Europa (2014), La biblioteca del dialogo. Dalla biblioteca della custodia alla biblioteca del dialogo (2007). Molte le sue curatele. Alla questione femminile ha dedicato le antologie Poetesse per Pechino (1995) e Donne di luna e di scure poesie nel web (2007).
Per la sua instancabile attivitàdi organizzatricedi eventi edi promotriceculturalevanno ricordate una serie di iniziative che hanno riscosso l’attenzione di istituzioni, critica e pubblico nel corso degli anni. In Campidoglio ha fondato nel 1995 il Premio “Fiore di roccia” (che ha condotto per i dieci anni consecutivi) dedicato inizialmente alla donna e con presidente di Giuria Gianni Bisiach. Tra i prestigiosi premiati: Maria Luisa Spaziani, Piero Angela, David Sassoli e Luciano De Crescenzo. Nel 2001 ha fondato il progetto culturale “Le rosse pergamene del Nuovo Umanesimo” che si esprime prevalentemente
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Poetessa della Capitale e rinomata organizzatrice culturale ANNA MANNA di Lorenzo Spurio
mediante l’omonimo Premio Letterario dedicato all’amore e alla solidarietà. Ha presentato progetti culturali all’Università “La Sapienza”, alla Biblioteca della Camera dei Deputati, all’Archivio di Spoleto. Proficua e continuativa l’attività di promozione culturale anche fuori dalla Capitale; a luglio 2011 a Spoleto ha lanciato il “Manifesto dei Neoromantici” che nel febbraio del 2013 si è strutturato nel “Manifesto dei Neoromantici per un Nuovo Umanesimo”.
Si sono occupati della sua produzione, tra gli altri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Lia Bronzi, Giorgio Carpaneto, Vittoriano Esposito, Elio Fiore, Sandro Gros Pietro, Franco Manescalchi, Gilberto Mazzoleni, Renato Minore, Elio Pecora. Numerosi i premi letterari che le sono stati attribuiti tra cui vanno ricordati il “Premio Teramo” (1999), il Premio Calliope di Roma (1995), il Premio Ziré d’Oro a L’Aquila (1996), il Premio Lidense di Ostia (1997), il Premio “Sinite Parvulos” assegnato a Città del Vaticano (2005), il Premio “Alghero Donna” (2011), il Premio “Boncompagni Ludovisi” per il suo impegno culturale nella diffusione della poesia. Nel 2022 l’Associazione Euterpe APS di Jesi (AN) le ha conferito, in seno al X Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” il Premio speciale alla Cultura. Durante la premiazione, che si è tenuta il 15 maggio 2022 presso l’Auditorium San Rocco di Senigallia (AN), è stata data lettura alla motivazione del conferimento stilata dal sottoscritto, che si riporta a continuazione.
La propulsiva attività di AnnaManna quale promotrice culturale non passa inosservata. Testate di rilievo e critici di rispetto ne hanno giustamente parlato. Bibliotecaria di professione, è assai di più di quello che queste poche parole tenteranno di descrivere per brevi accenni al suo strabordante curriculum. Organizzatricedi acclamati eventi, fondatricedi premi letterari di spicco, come il noto “Le Rosse pergamene”, è anche e soprattutto autrice: di poesia, narrativa e di critica letteraria.
La sua intera opera si dipana attorno ad alcuni elementi imprescindibili, i motivi ricorrenti di un leggersi dentro e uno svelarsi al mondo. Le sue opere parlano di donne, con un mai velato interesse verso l’intera condizione femminile. Prevalente è il tema amoroso, trattato in molte liriche, ma anche in un’avvincente opera dal titolo Amori negati che contiene il passionale dialogo liberamente creato da lei stessa, tra la Regina Cristina di Svezia e il filosofo Cartesio. Autrice e firmataria del “Manifesto dei Neoromantici”, sacheogni attodi condivisionenon può che derivare da una compartecipazione alle vicende dell’altro, a un ascolto mutuo. I continui richiami alla natura, alla pacificazione degli spazi, al colloquio intimo con la linfa delle piante non cozzano con gli elementi della vita pratica. In Anna Manna si ritrova una sempre partecipata considerazione verso tutto ciò che attiene al fenomeno Europa. C’è, infine, tanto un sentimento panico di simbiosi con la natura, quanto di dialogo rispettoso con la divinità, di pia confessione con Dio, che ad esempio ben si realizza nelle appassionate liriche dedicate ai tre pontefici dei nostri tempi contemporanei.
Queste brevi linee non sono assolutamente soddisfacenti ed efficaci nel descrivere le grandi capacità della Manna autrice, la grandezza delle sue conoscenze, la complessità e insieme la spontaneità del suo genio, la rarissima e ineguagliabile forza espressiva, l’originalità e la continua sperimentazione di forme, linguaggi, strumenti. Anna Manna è donna della tradizione ma anche dell’innovazione. Si pensi ai suoi frequentatissimi progetti lanciati sul web con l’hashtag “I dialoghi del web”, momenti di partecipazione e di senso d’unità anche negli asfittici e drammatici periodi del distanziamento, della reclusione in casa, dell’impossibilità di un contatto fisico dell’era Covid. La Manna rappresenta l’esempio di un intellettuale che apprezza e difende il passato, lo conosce e lo propone, ma che sa interfacciarsi con competenza ed efficacia con le nuove sfide, adope-
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rando i nuovi linguaggi. Per il fatto di concepire il mondo culturale tanto quale reale ecclesia (di una comunità di scambio, partecipazione, crescita permanente e responsabilità verso se stessi, gli altri e il mondo) quanto di ragunanza letteraria (di cenacolo ludico culturale all’aria aperta, informale, una sorta di convivio pastorale, privo dei fronzoli e della serietà dell’Accademia), sulle tracce di Cristina di Svezia da lei approfondita, Le conferiamo il nostro Premio Speciale “Alla Cultura” in questa edizione del Premio.
Lorenzo Spurio
Un libro da leggere e da regalare:
E DOPO FUKUSHIMA?
Ripeto: E dopo Fukushima?
Se Paul Celan aveva detto “Mai più un verso dopo Auschwitz” noi oggi possiamo aggiungere: “Come si può continuare, dopo Cernobyl e dopo Fukushima, a sognare ed a scrivere poesie”?
Come si fa dopo l’incendio, laggiù, ai reattori a garantire un futuro a figli e nipoti?
Si troveranno dei capri espiatori, ma l’atomo a fini militari non sarà abbandonato se non per altri mezzi di sterminio più terribili. Nuovi Paesi pretenderanno di potersene dotare, “per difesa”.
Dobbiamo continuare a lavorare, anche da disperati, giorno per giorno, per contribuire ad estirpare questo odio perenne che serpeggia fra i popoli.
Luigi De Rosa
Da: Fuga del tempo, Genesi Editrice, 2013
“Sonoventunolestorie(…).Esseappaionosignificativi tasselli di una partitura connotata dalla varietas, in cui non mancano il racconto epistolare (Una lettera di addio), all’interno del quale è incastonata l’icastica poesia dedicata a Crotone, o narrazioni che ammiccano all’autoironico memoriale (500, amore mio) e altre dall’allure più fiabesca (La fonte canora, Miracolo a Natale) o tra il fiabesco e l’agiografico moderno (Santa Prunella).”
Gianni Antonio Palumbo Su Vernice, n. 60, gennaio 2022
“Quel senso di oppressione che nasce dopo aver compiuto un’azione sbagliata, a cui si è stati costretti, ecco questo è il punto nodale dell’opera di Domenico Defelice”.
Manuela Mazzola
Nuova Antologia, gennaio marzo 2022
“Concretezza a tutto tondo di luoghi e personaggi, di vicende che si sviluppano con evidenza palpabile; ma al tempo stesso le storie raccontate, i luoghifattiriviverehannounpotenzialeevocativoche va ben oltre il ricordo cronachistico”.
Corrado Calabrò Lumie di Sicilia, aprile 2022
GenesiEditrice viaNuoro3 10137Torino genesi@genesi.org; http://www.genesi.org Pagine 210, € 12,00
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LEONE D’AMBROSIO TEOREMA ELEMENTARE
di Tito Cauchi
LEONE D’Ambrosio poeta di Latina (nato in Francia, a Marsiglia nel 1957), non passa inosservato; la critica a firma di nomi illustri e i premi di concorsi acquisiti, ne sono una prova. Teorema elementare è recente raccolta che apre con il componimento eponimo; sulla sua copertina figura il componimento ‘Hic verbum caro factum est’ [“Questo verbo si è fatto carne”, unico titolo in latino] che, in un certo senso, fasintesidellasuapoetica.Inesergocitazioni di Alfonso Gatto, Brianna Carafa, Elio Pecora.
Elio Pecora avverte della presenza costante dei genitori, defunti, anzi possiamo dire che il motivo ricorrente del Poeta è la morte, come conclusione della vita; perciò ritorna neiluoghivissuticomequellidelCirceoedescrive gli oggetti che animarono quei luoghi,
la poesia si anima di artisti famosi da lui amati. La sua poesia, dice il Critico, ha il sapore sabiano “come espressione onesta del sentire e dello stare nella vita”. Carmine Chiodo rafforza la figura del Nostro rilevando che a questi temi si sovrappongono immagini che trasudano di aspetti umani interiori in cui il Poeta ritrova sé stesso, con un linguaggio privo di retorica, una poesia “non per nulla cerebrale o scontata”.
Il componimento eponimo incipitario, è di una profondità e di una vastità, il cui commento richiederebbe pagine intere. Intanto il titolo si presenta all’apparenza in senso scolastico come prerequisito per affrontare il resto, sottintendendo il riferimento alla “vita”, che non è per tutti uguale. “Portami un cesto di parole/ quando verrai a trovarmi, / una brace di sole/ e una carezza di mare/ del mio paese, un frammento/ di luna che squarcia la notte. / […] // Ma la sera, non so perché/ il mio pensiero torna a te, / al dubbio dell’eterno/e a questo mondo/ che non è dei morti”.
LapercezioneècheLeoneD’Ambrosio abbia superato un travaglio esistenziale di macerazione; ma sa che la realtà maturata, pur mutabile, da individuo a individuo e in ogni “stagione”, haconfini incerti, comele“forme dell’acqua”. Pressante è il senso della morte che accompagna il corso della vita, come quando la morte è sopraggiunta in “un mattino di maggio” (portandogli il padre). È necessario inquadrare i singoli componimenti in un contesto più ampio che è quello del poema autobiografico, che si appalesa chiaramente: “Il padre di mia madre era/ un pescatore con sei figlie/ […] / La madre di mia madre/ portava in equilibrio sulla testa/ una grossa cannata d’acqua/ […] Parla d’infanzia questa casa/ ormai sbiadita e mai perduta, / invecchiano con me le sue stanze/ mentre il resto del mondo tace.” (p. 29).
Abbiamo interlocutori silenziosi; la seconda persona pronominale prende corpo, soprattutto, nel nome di suo padre: “Ovunque tu sia, padre mio, / in qualunque altro cielo, io/ ti cerco seguendo le orme, / […] / Eppure
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tutte le tue cose/ sono nella vecchia casa/ che non è più nostra,”(p.14),il cuiposto atavola è rimasto vuoto “da dieci anni e più” (p. 33). Destinataria è anche la genitrice: “obliquo è il tuo silenzio, /per sempre lieve il tuo soffio/ fin da quando ci lasciasti, madre mia,” (p. 15). Ci fa sapere che suo figlio “Sazio di giovinezza ha dichiarato guerra al mondo” (p. 16) e che “si laurea in cinema con Riso amaro” (p. 27), film di cui cita gli interpreti Silvana Mangano e Vittorio Gassman. E suo fratello che, da ragazzo, si divertiva ad acchiappare le lucertole. Per marcare il tempo delle composizioni, si sofferma sulla “quarantena” e sul “lockdown”, venuti alla ribalta a causa della nota pandemia (Covid 19); senza dimenticare le atrocità e differenze sociali, come in Afghanistan (le donne picchiate a Kabul).
***
Abbiamo componimenti dedicati a personaggi della cultura (scrittori) colti entro una cornice geografica (generalmente Centro Italia) che ne è il luogo dell’anima e sono caratterizzati dalla specifica forma d’arte o di una circostanza; quasi tutti passati a miglior vita, come si vuol dire. MaaElioPecora, chegode buona salute, dice che a Sant’Arsenio [Salerno] viene visitato da Erato “con il capo coronato di mirti e di rose”.
Valentino Zeichen [poeta triestino, per scelta] viveva a Roma sotto un tetto in eternit nel timore delle ruspe. Nelo Risi, felice nel ricordo della spiaggia di Sperlonga (Latina), viveva (mi pare di capire) dalle parti di via del Babuino (a Roma); sofferente, a fatica, rispondeva al Poeta su esortazione di Edith [Bruck, moglie, scrittrice ungherese, naturalizzata italiana, tuttora testimone della shoah]. Severino Gazzelloni: “il soffio magico del suo flauto” è rimasto fra le valli ciociare. Paolo Borsellino: “Quel giorno in via D’Amelio” la strada si è “ingozzata di morte”; inutile ogni commento. Pietro Vitelli, scrittoredelleparti dei Monti Lepini[tra Frosinone e Latina], ascolta “Il dolore forma la vita, /l’acqua scorre sonnolenta/ come il dialetto contadino/ del padre e della madre”.
Ennio Morricone, lo ricorda ascoltandone la musica. Cesare Pavese: “la morte ha avuto i tuoi occhi”. Domenico Rea è scrittore che guarda “l’infinito mare/ che bagna da lontano Napoli”. Mario Luzi è “malinconico come sempre”. Tina Modotti, di lei, tenendone fra le mani una fotografia, commenta: “L’anima è nell’ombra/ raggrinzita di un albero”. Eugenio Montale, ricordatonell’abitazione di via Bigli con Gina (la governante) che risponde al telefono. Guillaume Chpaltine ne “Il Beatnik di Parigi”, a lui ricorda: “Mentre mio padre e mia madre/ partivano per nuove frontiere/ tu dicevi addio all’incanto della rive gauche […] / Ora è settembre ci siamo ritrovati/ a riammucchiare la nostra memoria”, (p. 78).
Uno sguardo al mondo classico della Grecia, con la poesia dal titolo “La scuola di Atene”; un brano recita: “Si va alla ricerca di un mondo/ invisibile in un perimetro/ definito da confini e da altri testi del passato”; suppongo si riferisca al celebre affresco di Raffaele Sanzio in cui sono rappresentati gli antichi filosofi e matematici greci. Come pure a Cadmo e Armonia, personaggi mitologici greci, uniti da un grande amore, costretti ad allontanarsi da Tebe portandosi una condanna.
La morte sempre presente, come da Teorema elementare, diventa un postulato, perciò abbiamo la notizia di cronaca sul ritrovamento di un reperto archeologico romano a Fondi [Latina], al tempo dell’arresto di due brigatisti dell’agguato in via Fani tristemente nota a Roma, con la strage della scorta dell’onorevole Moro. La morte del genitore non può restare isolata, pertanto la sua figura tornanegli intermezzi ora attraverso “una camicia consumata/ al collo di mio padre”; oppure sottinteso, ma vale per tutti: “ti chiamo per nome/ e tu non arrivi”; o anche “da quando hai lasciato questa casa”.
Leone D’Ambrosio ha metabolizzato in modo robusto i suoi sentimenti affettivi e li ha rielaborati, usando un lessico chiaro, onesto epernullacerebrale, confermandoquanto indicato nella prefazione e nella postfazione.
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Inevitabili sono le figure retoriche, praticamente a ogni piè sospinto come le metafore che, fra l’altro, tradiscono i moti interiori, come è naturale che sia; che ci restituiscono un Poeta in pieno delle sue emozioni. Così: cesto di parole, cespo d’acqua, forme d’acqua, ombra, obliquo, curva, geometria, traducono il senso di incertezza, l’essere in bilico; mentre l’uso delle voci relative agli elementi naturalistici come alberi e frutti, prugnolo, luna e sole, stelle e mare, albe e tramonti, ecc., traducono l’attaccamento alle sue radici, in una esplosione poetica. Allo stesso modo le località descritte o nominate come il CirceoeilsuoSud(quellofrancesedellaProvenza dove è nato in Marsiglia; e quello in Italia a Latina dove vive e dintorni).
La sofferenza è nel destino dei poeti. Un Poeta sente che per ognuno che si congeda dalla vita, muore una parte di sé stesso; perciò egli muore mille volte e mille volte rinasce grazie al miracolo della poesia. E Leone
D’Ambrosio, nel desiderio di avere qualcuno che gli parli di loro, dialoga con i trapassati, supera lo steccato invalicabile della morte, e tenta di restituire loro un lembo di vita.
Tuttavia la sua è poesia colta e i componimenti rischiano di essere selettivi dei lettori, in quanto non si può pretendere che tutti conoscano personaggi e circostanze che si riscontrano, ciò può costituire un limite per la comprensione. Mi piace concludere con i seguenti versichesembrano giustificarnei contenuti: “Torniamo a volte nel luogo dove siamo stati felici/ fissando negli occhi quella che è stata la nostra vita, / le persone e le cose che abbiamo amato. / Ma qui non odo più la tua voce/ e nessuno ti nomina più,” (p. 76). Un insegnamento che non possiamo eludere. D’altronde la poesia va meditata e vissuta, compenetrata e amata, se la si vuole comprendere; ed io spero di avervi contributo.
Tito Cauchi
Leone D’Ambrosio: Teorema elementare, Ensemble, Roma 2022, Pagg. 86, €12, Prefazione di Elio Pecora, Postfazione di Carmine Chiodo
Inoltre: Leone D’Ambrosio: Non è ancora l’addio, Ed. Azimut, Roma 2010, Pagg. 80, € 10,00, al Premio Nazionale Poesia Edita, Leandro Polverini in Anzio, ha ottenuto il 1° posto assoluto con la seguente motivazione: Poesia essenziale, lapidaria quella di Leone D’Ambrosio che denota un attento studio della struttura formale dei versi e anche un notevole patrimonio limbico.
La raccolta è esente dai pericoli e dalle tentazioni rugginose della retorica e riscatta con la misura il contenimento dell’intensità espressiva che, nei momenti più intensi dei suoi versi (e non sono pochi quelli permeati di lirica effusiva), si condensa in parole definitive come quell’addio nell’ultimo verso di pagina 67 del libro (Recensione e motivazione inserite nel volume TITO CAUCHI, Profili Critici 2011, Editrice Totem, Lavinio Lido (Roma) 2015, Pagg. 164+10, € 20,00).
VOLENTIERI
Mi nascondo per non apparire al mondo nel vello frugale d’ipocrite presunzioni.
So di essere soltanto un gomitolo di carne ed ossa in guscio di latta.
Scalzatemi se volete, qui, nella grotta, c’è angolo di pace, ricettacolo d’amore.
Odo anche voci remote da fuscelli rinati e scorgo rosee figure, svettate, da campi di grano.
Graziano Giudetti
Da: Profondo Jonio, Edizioni Il Croco/Pomezia Notizie, 1996.
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Recensioni
IMPERIA TOGNACCI
LA META È PARTIRE
Genesi Editrice Torino, giugno 2022
Il titolo, da subito, ci immette in un clima filosofico dove si respira l’intuizione di Niccolò Cusano della “coincidentia oppositorum”, cioè la conciliazione degli opposti, ove gli elementi oppostivi in qualche modo si compenetrano, dando origine ad una unità pressoché indissolubile.
Nel nostro caso, la “conciliazione” è alquanto semplice: nessuna meta è mai raggiungile se non c‘è una partenza, a cui il pensiero associa un “ritorno”.
La meta è già tutta nella partenza. Il percorso poetico della Tognacci è già dentro l’anima (Psyche) dell’autrice, nella sua interezza, e non mancherà, come in effetti non è mancato, di rivelarsi agli altri nella sua forma e sostanza definitive, affrontabili da chi ha curiosità, sensibilità edesiderio di entrare nel magico mondo della poesia.
Già dalla lettura dell’esergo (un pensiero di Apuleio sulla “forza dell’Amore), possiamo farci un’ideapreventivadidovevoglia portarci la “forza della poesia” di Imperia Tognacci, poetessa romagnola, nativa di San Mauro Pascoli, da molto tempo residente a Roma.
Le intenzioni dei poeti (chiamiamole pure “finalità”), dacché è stata data dignità educativa e formativa alla poesia, sono state sempre buone e apprezzate, perché nate con il fine di migliorare l’uomo, di condurlo con mano delicata sui sentieri lastricati di bontà, bellezza, emozioni e Amore. Dall’incipit possiamo assegnare all’opera una collocazione temporale (estate) e spaziale (paese = S.
Mauro Pascoli). Dati che vogliono essere un richiamo alla solare luminosità dell’anima e ai luoghi della memoria, in cui la poesia ha visto altre splendide fioriture di versi immortali. E quindi, tanto per cominciare, siamo dentro una progressione storica e letteraria ampia, caratterizzata da voci che si intrecciano nel segno della continuità.
La progressione storica che va da Giovanni Pascoli a Imperia Tognacci, include la presenza della musa Calliope, che unisce idealmente e poeticamente due spiriti, ciascuno radicato al proprio tempo, ma con la propensione innata a volare in oppostedirezioni: verso il passato e verso il futuro, di modo che “il sogno scolpito nell’anima” possa realizzarsi in una sortadi eternitàcheva dalla creazione dell’uomo “alle profondità abissali” del divenire. Il sogno del poeta è, dunque, affidato alla forza creativa dell’anima, causatrice di versi che non temono l’oblio del tempo.
In un continuo e variegato intreccio tra fantasia, mito, vortici di illusioni e delusioni, reminiscenze bibliche, e visioni sfuggenti (ma sempre deludenti e insoddisfacenti) dell’attualità storica in cui viviamo, il viaggio lirico della poetessa procede al suono di violini che incantano l’anima.
Poesia pura, oveil viaggio alle originidelmondo e della vita è un pellegrinaggio di gruppo, di persone, di anime che camminano inebriate “dell’arcano sogno”, smarrite nella “vertigine dell’insondabile”.
Poema complesso, dall’ampio respiro, con apparato filosofico che rimanda al “Panta rei” di Eraclito, chiaramente espresso nell’undicesimo capitolo: “Tutto si evolve / nulla può frenare lo spirito che abita in te”. Quindi, il viaggio terreno, il “vivere”, il fare, l’amare, il sentire la presenza o l’assenza di altri esseri nel concreto della vita quotidiana, altro non è che coscienza della circolarità dell’esistenza, di ogni esistenza.
Scrive la poetessa, sempre nel capitolo undicesimo: “Nel gioco delle mutazioni, / ogni fiore si deteriora, / ma, mentre muore, avverte / il fiorire di nuova linfa”.
Affiora, delicatamente, una filosofia dell’anima, che si oppone a quella della ragione che procede a sbalzi, “su spinosi percorsi” temporali, spesso al buio e, quindi, nell’impossibilità di tracciare una rettaeconfortanteviachediaall’uomocertezzeassolute, universali, valide per tutti e per sempre. La filosofia dell’anima è la rappresentazione e personificazione dei sogni, della speranza, della fede sicura nel valore dei meriti acquisiti in vita con il proprio intenso e probo operare; filosofia che indica la via che porta alla sponda originaria del fiume della vita eterna, per godere “la pace e la
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luce”, la “Verità” che manca a questo nostro mondo terreno, chevivesotto l’egida del “serpente / attorcigliato ai rami delle tenebre” eseguedocile erassegnato“la piena della corruzione”e“a morte condanna / le spighe coltivate a fatica”,ossiaifiori della poesia, lasciati inaridire nel chiuso di libri stampati, pressoché obliati dalle “folle / ammaliate dal miraggio dei social”, in processione dietro la “dea” tecnologica, “signora di orizzonti infiniti”, che“lascia dietro di sé / spezzati ritmi di un umano andare”.
Il poeta, però, non si lascia inibire dalla durezza dell’indifferenza generalizzata; pur relegato entro orizzonti di solitudine e incomprensione, continua a coltivare i suoi sogni, a “riaccendere il primato della mente”, a dare fiato al “flauto dell’anima”, a inebriarsi degli “ineffabili stupori che intrecciano / le dita con l’infinito”. Nulla e nessuno può fermarlo nel percorso d’avvicinamento alla “bellezza corruttibile / dell’Eden perduto”.
Qui giunto, lo spirito acquista la consapevolezza che la meta raggiunta non è l’ultima, ma soltanto una “stazione” di ripartenza “verso rive nuove, / verso sempre più alte / eterne mete”.
In questo “poema cosmologico”, come appropriatamente lo definisce Francesco D’Episcopo, cuore e intelletto, mirabilmente congiunti nello sforzo creativo di un’armonica struttura poetica d’ampio respiro, hanno operato una sintesi perfetta tra emozione e ragione, tra storia e utopia, tra l’individuale e l’universale, attingendo altezze liriche probabilmente mai raggiunte dalla poesia contemporanea.
E per concludere, mi pare doveroso annotare che questo recente, pregevole lavoro poetico di I. Tognacci reca il sigillo della piena condivisione di tre illustri operatori e animatori culturali: Francesco D’Episcopo, Marina Caracciolo e Sandro Gros Pietro.
Antonio Crecchia
MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO I SAVOIA-ACAIA
Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di Morea
Seconda edizione rivista e ampliata; Prefazione di Claudio Falletti di Villafalletto; Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2022, pagg. 164 + 32 fuori testo, € 20,00.
Il bel saggio è composto di capitoli medaglioni riguardanti protagonistidei Savoia Acaia, famiglie fra loro intrecciate e, quindi, inevitabile, nel racconto, alcune lievi ripetizioni.
Il lavoro si apre con la prefazionedi Claudio Falletti di Villafalletto e una nota dell’Autore che avverte trattarsi di una seconda edizione riveduta e ampliata; segueil capitoletto “L’eredità”,nel quale vengono evidenziate le condizioni e il clima del territorio sul quale si son trovati a vivere e ad agire i vari protagonisti: Filippo I di Savoia; l’Arcivescovo Pietro; l’Arcidiacono di Reims, Amedeo; il Canonico di Amiens e Vescovo di Torino, Tommaso; l’Abate di San Michele della Chiusa, Guglielmo; il Vescovo di Torino e Aosta, Tommaso; Giacomo, Filippo II, Amedeo, Ludovico (o Luigi), Signori di Piemonte e Principi di Acaia; Margherita, la “Beata” marchesa di Monferrato; e poi “La finedello “Stato”piemontese”,unapanoramicasul Principato e, infine, la dettagliata Tavola genealogica dei Savoia Acaia.
Filippo di Savoia si è trovato ad esercitare il potere in un periodo contrassegnato dalle “lotte intestine sia alla sua famiglia, sia con i nuovi sudditi e confinanti pedemontani”, nonché con “le continue interferenze da parte dei Conti sabaudi e le ostili resistenze degli altri intraprendenti nobili locali e stranieri”. Egli “decise di stabilire la residenza ufficiale a Pinerolo” e cercò, per quanto possibile, di ordinare il rissoso territorio anche se, finché è stato al potere, “le controverse lotte e ribellioni tra i signori, i feudatari e le varie città non cessarono quasi mai” , istituendo giudici nelle diverse città
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per amministrare la giustizia sforzandosi lui stessoad essere“zelante osservatore” enumerosi uffici per la riscossione dei tributi.
Il Piemonte di allora a detta di molti era alquanto arretrato in diversi campi e, in particolare, nella cultura e nelle arti, che altrove, in altri territori della penisola, erano in crescendo fermento; insomma scrive Marcello Falletti di Villafalletto Filippo “si sforzò di dare un assetto armonico e ben pianificato al novello Stato”. Anche Giacomo, Signore di Piemonte e Principe d’Acaia, ha dovuto lottare per mantenere ed accrescere il principato, sicché si trovò “costantemente impegnato in ostilità devastanti e logoranti: metodicamente all’ordine del giorno in quegli anni. Si scontrò apertamente con i Marchesi di Monferrato, avendo anche parte attiva in quella che fu definita la “Guerra di Saluzzo”. Acquistò Fossano, Racconigi e altre città e terre”; “il suo governo, durato ben trentatré anni, fu il più intenso e animato” Tutto, particolarmente in quegli anni, era regolato da interessi politici e si stipulavano continuamente accordi, alleanze, patteggiamenti, delitti e matrimoni senza scrupoli d’alcun genere, senza tener conto di idee e sentimenti, in specie quelli dei giovani, che dovevano ubbidire e la cui vita veniva programmata fin dalla loro più tenera età. Anche la religione era legata al potere e anche in questo campo non si avevano scrupoli: passaggi di casacca, vendette, papi e antipapi, scomuniche che avevano gran peso, perché impattavano sul popolo minuto e sulle semplicità e credulità dei fedeli. I “ventotto anni vissuti” da Filippo II “furono veramente tragici” .
Marcello Fallettidi Villafalletto nonsi limitamai al solo racconto e all’esame del personaggio; spesso fa la storia dei luoghi,palcoscenici sui quali loro son vissuti, dei monumenti, come avviene in questo libro, per esempio, per l’Abazia di San Michele della Chiusa, ove visse, e per quindici anni operò, l’Abate Guglielmo, “figlio del conte Tommaso III e fratello di Filippo I d’Acaia”; come per la scuola lo Studio/Ateneo/Università di Torino , ampiamente trattata nel capitolo dedicato a Ludovico (o Luigi) Signore di Piemonte e Principe d’Acaia, “ritenuto a ragione non soltanto il padre fondatore dello Studio torinese ma anche colui che, insistentemente, ne volle la realizzazione e orientandolo verso quel futuro sviluppo che aveva ottimamente intravisto”; come, ancora, per la costruzione di Piazza Castello a Torino e ciò fa sempre attraverso sapienti e diligenti riporti di testi altrui, perché, da storico modesto e onesto, cede volentieri la parola, il racconto ad altri quanto altri
hanno detto e ben scritto quello che lui intende esporre.
Il capitolo dedicato a “Margherita la “Beata”, marchesa di Monferrato” è particolarmente ampio e commosso, ancora una volta con dovizia di citazioni e riporti. Portata più per il velo monacale che per ilmatrimonio,Ella siassoggettò al volereeagli interessi della famiglia, sposando Teodoro II di Monferrato, che già aveva due figli da una precedente unione. “Per quindici anni” visse accanto a lui “con l’ansia vigile di sposa fedele, madre amorevole dei suoi figli, ma anche, sovrana amabile, adorata da tutti i monferrini e fuori”. Morto il marito, assieme ad altre nobildonne si ritirò nel Monastero di Alba, del quale fu Badessa, trascorrendo altri “quattordici anni di vita intensamente monastica” e dove morì il 23 novembre 1464.
Si è accennato che il Piemonte di allora venisse consideratoarretrato; in realtànon lo era el’Autore lo dimostra abbondantemente nel capitolo intitolato “Uno sguardo al Principato”.
Completano l’interessante opera Bibliografia, fonti e archivi, l’Indice dei nomi, un’ampia scheda sull’Autoreeben 32 paginefuoritesto di immagini in bianco e nero.
Pomezia, 27 settembre 2022
Domenico Defelice
GIOSUÈAULETTAe ZUCCARELLO (a cura di) ARDEA
LACITTA' DEI RUTULI
Alice Comunicazioni Edizioni, Pagg. 122, 15, 00 euro
Continua il lavoro di ricerca di Giosuè Auletta con il volume, Ardea La città dei Rutuli, un viaggio alla scoperta della città più antica del Lazio.
Il racconto inizia 100.000 anni fa e giunge ai nostri giorni. Sono stati ritrovati gli strumenti che utilizzavano gli uomini di Neanderthal per cacciare, tagliare, incidere e i resti delle loro capannenell'età del Ferro chediedero vitaalla città dei Rutuli.
La storia continua con quella di Turno, il re di Ardea che fu ucciso da Enea, per soffermarsi, poi, alla Chiesa di San Pietro costruita nel IX secolo dai monaci benedettini del monastero di san Paolo sopra i resti di un antico santuario.
Il viaggio narrativo continua con il museo Manzù, donato allo stato dall'artista Giacomo Manzù e completamente gratuito, costruito sotto la rupe della città negli anni Sessanta del XX secolo.
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Viene ricordato anche il poeta Corrado Govoni, nato a Tamara in provincia di Ferrara e vissuto ad Ardea fino alla sua morte avvenuta nel 1965.
Encomiabile il lavoro di Auletta, animatore e storico del luogo che da decenni si dedica a questo tipo di iniziative puramente culturali: promuove visite guidate, si mette a disposizione di qualsiasi azione che metta in risalto le potenzialità di questi luoghi che altrimenti verrebbero dimenticati; organizza eventi presso scuole di ogni grado e ordine affinché vengano coinvolte più persone possibili.
La memoria storica è il ricordo di ciò che è avvenuto, che si sedimenta negli individui e nei gruppi sociali di un luogo, di un paese e di una Nazione. La memoria storica è carica di mito, di passioni e di uomini che l'hanno resa tale, per questo lo studio fatto è ricco di immagini, ricostruzioni, mappe e di tanta speranza sia nel futuro e sia nelle generazioni che verranno.
Ardea, inoltre, fa parte di un percorso denominato Enea Tour, di cento chilometri circa, con quattro porte d'ingresso dalle quali i turisti possono accedere al percorso che parte da Pallanteum e passa per Ficana (Acilia), per Lavinium (Pomezia Pratica di Mare), per Ardea, Albunea (Santa Palomba), fino ad arrivare al lago di Nemi e al Monte Cavo.
Dietro a tutto questo, c'è il lavoro di molte persone che, con i loro valori, idee, azioni, la loro passione e la voglia di condividere, cercano un dialogo aperto finalizzato alla costruzione e al consolidamento della memoria di una comunità intera.
nella partitura di undici canti, prepone al primo e all’ultimo ulteriori epigrafi. Non a caso esse sono desunte dalla cultura greco latina (Euripide ed Apuleio), artefice di quella mitografia che rivive nelle pagine della poetessa di San Mauro Pascoli (FC). Scrittrice chenon è nuova alla forma poematica, da lei già coltivata con esiti felicissimi, per esempio nel maestoso e intenso Il prigioniero di Ushuaia.
La prima epigrafe, apuleiana, accomuna Orfeo e Psiche, macchiatisi dell’infrazione di tabù legati alla vista eppure riconducibili alla forza dell’amore. Psiche, non a caso, è nume tutelare del poema, al punto che Tognacci sceglie di dedicare a quest’icona l’immagine in copertina, Psiche apre al sogno di John William Waterhouse.Non ci sembra neppure casuale il fatto che la poetessa abbia scelto un pittorebritannico legato allacorrentepreraffaellita. Al gusto delle figurazioni del preraffaellismo ci paiono vicine in alcuni tratti le figure femminili che l’autrice pennella nel vertiginoso itinerario de La meta è partire
Itinerario in cui in molteplici circostanze l’allure si fa dialogica, quasi a voler tradurre il mito in sacra rappresentazione dell’esplorazione dell’anima umana, in un’inchiesta delle scaturigini della poesia con naturalmente Psiche a fungere da nume tutelare.
IMPERIA TOGNACCI
LA META è PARTIRE Genesi, Torino, 2022
La meta è partire di Imperia Tognacci (Genesi, Torino 2022) è un poema complesso, immerso in un’aura tra “cosmologia” come sottolinea FrancescoD’EpiscoponellaPrefazione emeditazione sulla società contemporanea e sul ruolo dell’intellettuale in essa. Utili all’approccio al volume le pagine critiche che lo precedono: accanto allo scritto di D’Episcopo è opportuno rammentare le lucide osservazionidiSandroGros Pietro ediMarinaCaracciolo, autrice dell’Introduzione
“Il rovesciamento paradossale della partenza nella meta” (Luperini) presente in Lucca di GiuseppeUngaretticostituisce l’epigrafe ela chiavedi lettura di questa fascinosa opera di Tognacci che,
Numerosi sono gli echi letterari checi è parso di ravvisare, da Saffo e Anacreonte a Virgilio e Dante, dall’Eliot della Rhapsody on a Windy Night a Pascoli e all’Ungaretti dell’Allegria, ma ancor più di Sentimento del Tempo, per citarne solo alcuni. La prima apparizione, quella di Calliope (“irrompe una donna, / con il logoro vestito / con il viso e i capelli di polvere, / con le mani colme di argilla, / trascina nel vento /i suoi anni, appoggiandosi / a uno stanco scettro”), appare per esempio memore di Tre donne intorno al cor mi son venute dell’Alighieri, a sua volta riecheggiata nel “vecchierel / canuto e bianco” di Francesco Petrarca. All’insegna del Caronte virgiliano e dantesco al contempo si chiude poi il poema.
Le atmosfere contemporanee suggeriscono un senso di desolazione, concorrono all’idea di un vuoto morale che rischia di ottundere la coscienza, anche del poeta come degli altri individui. “Sto nell’angolo, dietro alla lavagna. / Uso l’uncinetto del cuore e della mente / per continuare la trama / iniziata nel buio dei millenni”. Curiosa tra l’altro quest’immagine dell’uncinetto che accosta la poesia al ricamo, cui segue quella dell’apertura di “Cassetti tarlati dai secoli”. Perché è proprio del poetaporrein relazionepassato epresente, evocare vertiginose analogie che dal pirotecnico e mitico
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Manuela Mazzola
boato della fucina del Mongibello ci riconducono d’improvviso al più crepuscolare “borbottare” di una caffettiera e viceversa.
A fronte dell’attuale esaltazione del progresso tecnologico, a tratti vanagloriosamente autoreferenziale (si legga quando Tognacci dà voce al Cellulare), l’autrice punta alla riscoperta della tensioneall’allegoria chehaalimentato tanta della nostra letteratura medievale, specialmente quando entità astratte personificate interagiscono con il Poeta (tra loro, per esempio, la Ragione).
Accanto a Psiche, nell’iter tracciato da Tognacci affioranoaltredonnedelmito.Campeggialafigura di Proserpina, creatura in seguito al patto tra Cerere e Plutone al limitare tra il regno dei morti di cui è regina e il mondo dei vivi (“ritorni al germogliar delle gemme”). La dea è identificata dalla poetessa, in un movimento non estraneo alla tradizione antica, in un’“immemore luna”; a tal proposito, non si dimentichi che Eliot scriveva che “The moon has lost her memory”. La sua presenza nel Capitolo quinto sembra quasi anticipare la catabasi finale, rappresentata nel poema con l’evocazione di Caronte, anticipata da quella delle mitiche filatrici, le Parche.
Analogamente,nel Capitolo quarto,emergenella sua valenza archetipica Eva: “È lei, Eva, / che, dal buio dei tempi, è in te”. Anche quest’immagine è destinata a riaffiorare nella conclusione, in cui Eva (come Proserpina/Persefone, commossa dal canto di Orfeo) sarà chiamata nuovamente in causa. Nel finale, infatti, il Poeta sembra ricongiungersi alla mitica progenitrice della Genesi: “Abbandonata la zavorra / adombrante gli esiliati giorni, / vi prenderete per mano, / come una volta”. Ci sembra non irrilevante ricordare che Pascoli nel Fanciullino presentava il poeta come la creatura più vicina a quel Puer definibile quale “l’Adamo che mette il nomeatuttociòchevedeesente”.Èdunquequello della Tognacci l’auspicio di una nuova umanità. Il rivivere dell’innocenza primigenia, il ricondursi del genere umano a ciò che di archetipico vibra in esso, ipostatizzato nei progenitori, protagonisti della prima caduta. Il ritorno a una sorta di Eden perduto dello spirito è, non a caso, Leitmotiv dell’intero poema. Opera che conosce a nostro avviso una delle sue più intense declinazioni del Male proprio nello sguardo che,nel Capitolo sesto, segue il Serpente primigenio strisciare e, attorcendosi, attorcere nelle proprie spire ciò che incontra: “Ti attorcigli, serpente, / ai rami delle tenebre, / strisci lungo le ombre dei giorni, / covi l’insidia, forzi / gli umani confini, acquattandoti / nelle nostre debolezze”. Eppure, se a volte, l’anima del poeta si avverte sepolta nelle paludi della vanità,
per cui Tognacci rivolgendosi al suo interlocutore e protagonista e a sé stessa Poeta gli comunica che “Psiche non segue il tuo passo”, è anche vero che la genuina e confidente offerta di versi, offerta di sé sulla soglia dell’abisso, resta nell’uomo quanto di più sacro. Così, quando Calliope “porge le poesie / all’infuriato traghettatore”, il bilioso Caronte cui stant lumina flamma sembra rischiararsi in viso, “Come il cielo dopo il fortunale”.
Gianni Antonio Palumbo
NOTIZIE
MORTO BRANDISIO ANDOLFI Il 22 settembre 2022, a Caserta, all’età di 91 anni, è morto Brandisio Andolfi, poeta, scrittore, critico. Era nato a Casale di Cerinola nel 1931.
Ecco come lo ricorda l’amico Antonio Crecchia:
Brandisio Andolfi nasce a Casale di Carinola nel 1931; fin da bambino vive a Sessa Aurunca, dove studia al rinomato Liceo Ginnasio “Agostino Nifo”. Si laurea in Lettere Moderne presso l'Università “Federico II” e insegna nelle Scuole Secondarie di Stato. Si trasferisce a Caserta e qui continua la sua attività di docente, poeta, scrittore e saggista. Ha pubblicato venti libri di poesie: Riflusso, 1985; Nel mio tempo, 1986; Oltre la vita, 1988; Ai limiti del silenzio, 1990; Sulla fuga
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D. Defelice: Il microfono (1960)
del tempo, 1991; La voce dei giorni, 1992; Aprire la finestra, 1993 Come zampilla l'acqua, 1995 Il diario della sera, 1996; Alberi curvi d'acqua, 1997; Il mondo è la parola, 1999; Dentro la tua presenza, 1999; Dettati dell'anima (poesie 2000 2004), 2005; Ricordi e Riflessioni, 2007; Alla donna, 2008; La voce dei giorni, 2012; Nel tempo del giorno e della notte, 2013; Poesie per caso, 2013; I ntime Annotazioni n. 1, 2015; Annotazioni liriche 2017. Dopo tale data ha dato spazio alla sua vena narrativa/riflessiva, con la pubblicazione di: “Piccolo Zibaldone del vecchio” e “Così la penso” (Parte prima, Genesi Editrice, S.A.S., Torino, ottobre 2019) conprefazioni di A. Crecchia, cuisiaggiunge questa “Seconda parte”, a cura di A. Crecchia.
Saggi critici: Un opuscolo critico analitico su Vincenzo Rossi, 1998; Un altro su Gaetano Andrisani Poeta, 2000; Su Rudy De Cadaval, 2005; Una vita storicizzata su Muzio Attendolo Sforza Un condottiero alla corte Giovanna II di Napoli, 2001, Bastogi Foggia; e “Tre umanisti campani: Giannantonio Campano, Elisio Calenzio, Luigi Tansillo”, Bastogi Libri Roma, 2015.
Ha pubblicato un libro di memorie personali e storiche dal titolo I luoghi della memoria
Usi, costumi, tradizioni e ricordi di guerra o Sesso Aurunca 1930-1970, 2005 - Corrado Zano, Sessa Aurunca. Ha pubblicato centinaia di recensioni e analisi critiche scritte su poeti e scrittori contemporanei, raccolte in Letture critiche, Volume 1, Bastogi Foggia 2010. Hanno parlato di lui e della sua attività letteraria molti critici: Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Giorgio Bàrberi Squarotti, Silvano Demarchi, Giuseppe Giacalone, Paolo Valesio, Ferdinando Alfonsi, Rudy De Cadaval, Veniero Scarselli, Nicola Napoletano, Giuseppe Napoletano, Francesco De Napoli, Dante Cerilli e tanti altri ancora.
Antonio Crecchia ha scritto un'ampia interessante monografia critico biobibliografica sullasuaproduzioneletterariaelapoeticadal titolo La dimensione estetica di Brandisio Andolfi, Termoli 1994; Leonardo Selvaggi, Una voce poetica dei nostri giorni, Termoli 1999; e Brandisio Andolfi cantore dei nostri tempi, Salerno Edizioni Cronache Italiane 2003.
Uno scritto Analisi critico stilistico formale di alcune poesie scelte elaborato dagli alunni del Liceo Scientifico Statale “Aeclanum” e Liceo Classico annesso: curatrice e coordinatrice Professoressa Luisa Martiniello, Mirabella Eclano (AV), 17 maggio 2007; Gabriella Frenna, L'anima lirica e storica di Brandisio Andolfi, Palermo 2007, AA.VV. Brandisio Andolfi. nel giudizio della critica, a cura di Antonio Crecchia, Bastogi Libri Roma 2014.
Ha collaborato a riviste nazionali e internazionali quali: La nuova tribuna letteraria, Punto di Vista, Paideia, Il Ponte Italo Americano, Latmag, La Gazzetta di Bolzano, Sentieri Molisani, La Fonte di Caserta, Sì1arus, Le Muse Pignataro Maggiore di Caserta, Vernice di Torino ed altre.
È inserito in molte Antologie e studi critico letterari; tra le altre nella collana Letture Critiche di Vincenzo Rossi e in quella de L'altro NovecentodiVittorianoEsposito, Bastogi Foggia.
È presente nella pubblicazione Internatio-
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nal Who's who in Poetry and Poets' Enciclopedia a cura di International Biographical Center di Cambridge (Regno Unito); riviste e vari periodici di Cultura Letteraria. Ha avuto diversi riconoscimenti culturali e più di un centinaio di Premi Letterari.
Benemerito della Cultura: Libero de Libero, Arpino (Fr); Gran Premio Histonium Città di Vasto (CH); Progetto Athanor, L'Aquila Roma, Premio Giosuè Carducci Arte e Cultura Roma; Premio Aeclanum2007 eMirabella Eclano 2012; Vininversi Castelvenere, Benevento, 2012, Primo Premio Millesimo (SV) 2014.
Si è compiaciuto della sua poesia religiosa sua Santità Giovanni Paolo II. Ha avuto rapporti epistolari e letterari con poeti francesi, spagnoli, portoghesi, brasiliani e, in particolare, colpoetainglesePeterRussell,delquale ha relazionato molte opere con scritti critici.
Antonio Crecchia
A Brandisio Andolfi (Nel giorno delle esequie)
Amico Grande, e grande Amico, per te detto questa elegia che ricordi per sempre il legame fraterno che ci univa nel comune sentiero della vita.
Nell’anima ti fiorivano versi che a getti rapidi e ininterrotti felice riversavi sulla carta, e poi inviavi a me, da te stimato “il De Sanctis del Molise”, per quel modesto costume di esaminare le opere altrui e trarne insegnamenti e lumi.
Infaticabile artiere nel modellare componimenti in versi e in prosa, desti alle patrie lettere il meglio di te stesso, l’affabile dono della tua intelligenza viva, attiva, sempre in accordo con gli ideali da te professati e i sentimenti a cui davi fiato,
da saggio antico e ben educato nella polifonica palestra delle Muse.
Nella lunga curva del tempo hai lasciato segni indelebili, sparso affetti, esaltato storie e umori schietti della tua terra natia, hai camminato sicuro sulla retta via della ragione, e con animo religioso hai contemplato quanto di bello, meraviglioso e armonioso prende luce dal sole, segno perpetuo della divina creazione, stella che sorride agli amanti della vita. Cadesti nel sonno perpetuo al primo vento d’autunno, e lesto e lieto l’anima affidasti all’eterno Spiro, che sempre onorasti da figlio credente nel Crocifisso. Ora, nella quieta dimora della pace, ti si svela il Volto di Cristo, e, per suo amore, cantare ancora, da poeta, la gloria della Risurrezione.
Antonio Crecchia Termoli, 22 settembre 2022.
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PREMIO NOBEL 2022 PER LA LETTERATURA A ANNIE ERNAUX L’Accademiadi Sveziahaassegnato ilPremio Nobel per la Letteratura di quest’anno alla scrittrice francese Annie Duchesne ERNAUX, nata a Lillebonne il primo settembre 1940; Ernaux è il cognome del marito, Philippe Ernaux, sposato nel 1964 e dal quale ha avuto due figli. Secondo la motivazione, in Premio le è stato assegnato “per il coraggio e l’acutezza
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clinica”, con iquali “svela le radici, gli estraniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Numerose e di successo le sue opere, molte delle quali tradotte e pubblicate anche nel nostro Paese; ne ricordiamo alcune: Les Armoires vides (1974), Ce qu’ils disent ou rien (1977), La femme gelée 1981, La donna gelata, 2021), La Place (1983), L’orma (2015), Gli anni (2015), Memorie di ragazza (2017), L’altra figlia (2016), Una donna (2018, Premio von Rezzori 2019), Guarda le luci, amore mio (2022) eccetera.
2022: SORPRESA… ANNUNCIATA
Per i tanti Enrico Letta la democrazia è uno “sfregio”. Finché il popolo vota lui, è democrazia, ma se il popolo vota chi non la pensa come lui, è sfregio. Che futuro, per un simile PD?
Qualcuno spieghi al piccolo Letta che, se la Cirinnà ha affondato Renzi, è lo Zan ad aver affondato lui.
Ormai va sempre più venendo a galla quella maggioranzadegli italiani chenonnepuò più di certe distorsioni ecologiche: l’eterosessualità è ecologica perché biogena, mentre la omosessualità è antiecologica, perché abiogena, in strutturale via di estinzione, con la presunzione di perversione di poveri minori adottati da “genitore 1” e “genitore 2”.
Le elezioni del 2022 costituiscono un evento senza precedenti. Dopo 75 anni di governi di centro, di centrosinistra, di centrodestra, siamo adungovernodidestrapiena, con tutte leriservechemeritano certegenericheesempre più scolorite connotazioni.
Da qualche parte ci sarà pure qualche testa capace di ripetere quello che disse Rossana Rossanda, nel 1991, al crollo mondiale del
Comunismo: “compagni, dov’è che abbiamo sbagliato?”. Invece di riconoscere errori, la onesta Rossana ancora poneva meravigliati interrogativi, perché ancora non si rendeva conto degli errori commessi da comunisti, postcomunisti e paracomunisti. Oggi i democraticamente sconfitti trovino una sostenibile risposta a quella domanda.
Fausto Carratù
TRA LE RIVISTE
FLORILÈGE Trimestrale di creatività letteraria e artistica diretto da Stéphen Blanchard 19, allée du Mâconnais, 21000 Dijon, Francia E mail: aeropageblanchard@gmail.com Riceviamo in contemporanea i numeri 187 e 188, rispettivamente di giugno e settembre 2022, entrambi ricchi di poesia, rubriche, saggi, notizie, belle immagini d’arte a colori. In prima di copertina e in quarta del numero di giugno, “Traverse” e “Tempo n° autoportrait” di Lionel Balard, con altre due immagini, sempre a colori, nell’interno; in prima e in quarta di copertina e altre due all’interno del numero si settembre, pitture fantastiche di Catrin Welz Stein: “Oiseau de paradis”, “Conversation nocturne”, “Marceaux de nature”, “Palais vert”. “Nella mia arte confessa la Welz Stein , confondo le frontiere tra immaginazione e realtà, sempre esplorando la femminilità di modi diversi”. Tra i poeti, evidenziamo Irène Clara, il direttore Stéphen Blanchard, l’italiano Ferruccio Brugnaro, Béatrice Gaudy, Pascal Lecordier molti dei quali sono apparsi spesso anche sulle pagine di Pomezia Notizie . E, poi, presentazione di libri e di riviste. Tra i saggi, “Hommage à Marceline Desbordes Walmore” a firma di Marie Christine Guidon. Inoltre, la rivista e l’Associazione Poeti senza frontiere organizzano concorsi e stampano libri eleganti. Invitiamo i nostri lettori interessati a mettersi in contatto attraverso la e mail su riportata. *
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NUOVA ANTOLOGIA rivista trimestrale di lettere, scienze ed arti diretta da Cosimo Ceccuti, via Pian de’ Giullari 139 50125 Firenze e mail: fondazione@nuovaantologia.it Ecco il Sommario del fascicolo 2303, luglio settembre 2022: Spadolini e la sua esperienza di governo in un’intervista a Indro Montanelli a cura di Gabriele Paolini... 5 Cosimo Ceccuti, Giovanni Spadolini: i cattolici, la Chiesa e lo Stato... 14 Ugo Zampetti, Sette anni al Quirinale... 23 Enzo Cheli, Sul colle più alto... 32 Ugo De Vita, Pier Paolo Pasolini, un ritratto. Divagazioni tra senso del sacro e senso del sublime... 36 Fulvio Coltorti, I limiti del capitalismo italiano... 47 Consistenza del nostro capitalismo, p. 49; Limiti classici dell’impresa familiare, p. 50; Dove si cercano i limiti, p. 52; Produttività, p. 54; Nuovi mercati, p. 60; Promesse mancate e grandi manager, p. 62; I gruppi maggiori, p. 66.AndreaManzella,Itre“precedenti”creati dal governo Spadolini... 69 Laura Gianfagna Nicola Lattanzi, Deglobalizzazione e golden power... 72 Il quadro macroeconomico visto dall’Occidente, p. 74; Il gigante cinese tra rallentamento domestico ed espansione degli investimenti esteri, p. 79; Le aziende strategiche del Paese: “golden power” e presidio dell’interesse nazionale, p. 81; Per concludere: gli equilibri geopolitici come driver economici, p. 89. Aldo A. Mola,D’Annunzio massone?... 92 Giovanni Francesco Lucarelli, Orologi fra le nuvole: oltre la logica disgiuntiva tra lettura “newtoniana” e “quantistica” dei fenomeni sociali... 103 Ermanno Paccagnini, Scrivere come riscrivere III... 109 Piero Angela, L’ultima lezione... 124 Stefano Folli, Diario politico... 125 Gino Tellini, La censura e l’«Antologia» di Vieusseux... 143 Giuseppe Pennisi, Musica, religione e politica nella Polonia del Novecento ... 155 Introduzione, p. 155; Feliks Nowowiejski, p. 156; Karol Szymanowski, p. 159; Witold Lutosławski, p. 161; Andrzej Panufnik, p. 163; Krzysztof Penderecki, p. 165; Henryk Mikołaj Górecki, p. 167; Pawel Mykietyn, p. 168; Conclusione, p. 170. Gabriele Paolini, Prima e dopo la Marcia. La
stampa toscana di fronte al fascismo... 171 Tito Lucrezio Rizzo, Attualità della lezione di Vittorio Emanuele Orlando ... 185 Michel Ostenc, Garibaldi e garibaldini in Francia: 150 anni dopo... 213 Roberta Ferraresi, «Quaderni di Teatro»... 221 Premessa. Storia degli studi e storia delle riviste, p. 221; 1. «Quaderni di Teatro»: storia di una rivista, p. 223; 2. Gli sviluppi degli studi di spettacolo sulle pagine di «Quaderni di Teatro», p. 228; 3. Postilla. La fine di un’impresa (e forse di un’epoca), p. 230. Renzo Ricchi, La rivolta delle Streghe... 233 Il mondo epico lirico di Alessandro Manzoni di Francesco De Sanctis, a cura di Gino Tellini... 272 Maurizio Naldini, La repubblica del voi... 289 MaurizioSessa:EnricoCaruso,prima“star”delfirmamento internazionale, a cura di Caterina Ceccuti... 297 Gino Monaldi, Enrico Caruso, a cura di Cosimo Ceccuti... 303 Giulia Tellini, Quattro passi fra le nuvole con Gino Cervi... 309 Andrea Manzella, La parlamentarizzazione nel futuro dell’Europa (postilla). 318 Marco Pignotti, Nelson Page (1915 1917)... 321 Alessandra Campagnano, Presenze ebraiche in Giustizia e Libertà... 335 Gli ebrei italiani e gli anni ’20 ’30, p. 335; Mazzini, Rosselli e l’ebraismo, p. 336; Giustizia e Libertà, p. 336; Il gruppo GL di Torino e l’affiorare dell’antisemitismo, p. 337; Dagli anni ’30allaIIguerramondiale, p.340. Claudio Giulio Anta, Il mondialismo di Bertrand Russell... 343 1. Il dibattito sulla Società delle Nazioni al di là della Manica, p. 343; 2. La futilità della guerra e la necessità di un ordinamento federale mondiale, p. 347; 3. Oltre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, p. 352. Lorenzo Franchini, Per i cent’anni dalla morte del generale Enrico Tellini ... 356 Domenico Di Nuovo, Il Mezzogiorno di Beniamino Finocchiaro... 362 Rassegne . . . 369 Aldo G. Ricci, Vittorio Emanuele III. Una biografia, p. 369; Massimo Ruffilli, Il declino degli architetti: firmitas, utilitas, venustas, p. 374. Recensioni . 377 Dario Fertilio, Olena Ponomareva, Lettere dal Donbas Le voci e i volti della guerra in Ucraina, di Federigo Argentieri, p.
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377; Luigi Contu, I libri si sentono soli, di Mariella Di Donna, p. 378; Antonio Alosco, Riccardo Lombardi. Un personaggio amletico, di Andrea Buonajuto, p. 379; Pietro Alighieri, Comentum, a cura di Giuseppe Alvino, di Angelo Costa, p. 382; Angelo Manitta, Tamar, di Manuela MAZZOLA, p. 384; Maurizio Maggiani, L’eterna gioventù, di Sauro Mattarelli, p. 386; Nicola Prebenna, Vive l’amore e canto, di Domenico DEFELICE p. 387; Pif, Marco Lillo, Io posso. Due donne sole contro la mafia, di Andrea Mucci, p. 390; Arnaldo Benini, Neurobiologia della volontà, di Claudio Giulio Anta, p. 392; Giuliano Pinto, Christian Satto (a cura di), Niccolò Rodolico (1873 1969). Da Carducci al post fascismo: una lunga stagione storiografica, di Francesco Pistoia, p. 394. L’avvisatore librario, di Aglaia Paoletti Langé 395.
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FIORISCE UN CENACOLO mensile fondato nel 1940 da Carmine Manzi, diretto da Anna Manzi 84085 Mercato S. Severino (Salerno) e mail: manzi.annamaria@tiscali.it Riceviamo il n. 7 9, luglio settembre 2022, dal quale segnaliamo le firme di Mario Landolfi, Basilio Fimiani, IsabellaMichela Affinito, Aldo Marzi eccetera. Ne “I libri in vetrina”, a cura di Anna Manzi: “Imperia Tognacci”, di Tito Cauchi, “Myosotis”, di Gabriella Frenna.
tale e quale la voce t’invocava e ti cantava la ninnananna del cuore. Così il volto di tuo padre, simile a cavaliere antico (lo so, tu nulla sai dei cavalieri antichi, capelli lunghi, barbe nere, bionde, rossicce, le vesti ricamate e frange e cordoncini, volontà e coraggio sempre al fianco la spada affilata e luccicante per difendere onore e giustizia).
Aperti gli occhi non ci riconosci, bimbo nato nel 2020, perché tutti ci siamo mascherati.
Ci guardi con timore e con sospetto. Ieri, per un istante, tuo nonno se l’è tolta etu gli hai cinto il collo, poggiato sul suo, aspro e rugoso, il tuo tenero viso, sparito all’improvviso il broncio. Comprendere non puoi il nostro dramma, bambino del 2020.
Noi, che spesso ci siamo mascherati ad ingannare, oggi lo facciamo per difenderci.
Bambini del 2020, bambini figli di mostri. Qualcuno, dopo lo strillo cel’hafatto vedere la Tv ha tentato di togliere la maschera all’esultante dottore.
BAMBINI DEL 2020
Uno strillo e la paura della luce che t’investe. Subito ti plachi al sorriso dell’infermiera, all’allegrezza di tua madre, chioma bruna, occhi grandi, ciglia nere e folte, labbra vermiglie e pronunciate socchiuse in un angelico sorriso, la parola soave e musicale. Così l’avevi immaginata navigando nella placenta;
La madre che vi allatta e che vi abbraccia nonèquellasognatanavigando nellaplacenta; neppure la voce è quella, cancellato il sorriso. Guardate noi e guardate la Tv: mascherati non sono Tommy e Gerry, non lo sono Masha e l’Orso, neppure l’uomo in giallo, la vispa scimmietta, il cuoco siciliano, il leone, il coniglio…
Guardate loro e poi guardate noi, bambini del 2020, e non sapete darvi una ragione perché ci siamo tutti mascherati, perché ci presentiamo da pagliacci.
Domenico Defelice
Da: Fede violenza pandemia Premio Libero de Libero 2021
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Domenico Defelice: Il sogno della lucertola, biro, 2020
AI COLLABORATORI, AI LETTORI
Carissimi, L’età e la stanchezza, a cinquant’anni dalla fondazione di questa Testata, mi hanno consigliato di passare la responsabilità a forzegiovani e capaci: a partire dal primo gennaio 2023, la Dottoressa Manuela Mazzola sarà la Direttrice responsabile, nonché l’Amministratrice di Pomezia-Notizie. Il sottoscritto mantienela proprietàe la Direzione editoriale.
Manuela Mazzola è iscritta all’Albo dei Giornalisti del Lazio a partire dal 5 luglio 2022; ha collaborato e collabora, oltre che a Pomezia Notizie, a prestigiose Testate, come Nuova Antologia, Il Convivio, L’Eracliano, Il Pontino nuovo, OceanoNews, Periferia, Radio L’Aquila 1 e ha pubblicato opere di poesia e di saggistica: Sensazioni di una fanciulla (parte prima 2019 e
parte seconda 2020), Frammenti di vita (2020), Enzo Andreoli e la Shock Art (2021), Paolo Sommaripa pittore dell’Arte Immaginaria (2022).
Manuela Mazzola si impegna a rispettare indirizzo, principi e valori che Pomezia-Notizie ha perseguito e portato avanti con tenacia, convinzione e dignità per cinquant’anni; Lei si impegna, inoltre, a ripristinare il cartaceo, da me abbandonato da qualche anno per ragioni contingenti. Vi chiedo, perciò, di non farle mancare il vostro aiuto quello che sempre avete accreditato a me e del quale vi ringrazioe di sostenerla nello sforzo di continuare a divulgare le vostre idee e i vostri scritti in Italia e nel mondo. Viinvito aprendernotadegli estremi per effettuare o rinnovare gli abbonamenti: IBAN IT44M36081051382305607 30640, per bonifico da tutte
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