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Rocco Salerno, la femminilizzazione dell’angelo, di Carmine Chiodo, pag

ROCCO SALERNO

LA FEMMINILIZZAZIONE DELL’ANGELO IN GIUSEPPE SELVAGGI

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di Carmine Chiodo

GIUSEPPE Selvaggi (Cassano Jonio, Calabria, 29 agosto 1923, viveva e lavorava a Roma) ha una varia e interessante personalità artistica: giornalista, saggista, critico d'arte, poeta. Come poeta è ormai entrato nella letteratura nazionale ed ha avuto lodevoli riconoscimenti dalla critica più qualificata. Un poeta che ha radici "ioniche" e che non ha mai rinnegato le sue origini calabre come ben dimostra la sua fertile e appassionata opera di organizzatore culturale nella regione.

Il libro di Rocco Salerno, chiaro e ben strutturato criticamente, è un'ottima guida alla poesia selvaggiana e, per fare nostre le parole di Antonio Piromalli, "il lavoro di Salerno si svolge, con precisione critica, tenendo conto della psicologia profonda di Selvaggi, grecobiblica attenta ai significati e all'aldilà delle cose e degli eventi". Inoltre Rocco Salerno mette a fuoco, raccolta dopo raccolta, le caratteristiche tematiche e stilistiche più importanti che mostrano l'iter del poeta. Lettura strettamente testuale e testocentrica, questa del Salerno, che evidenzia i punti cruciali della poesia di Giuseppe Selvaggi facendone constatare i continui sviluppi nel tempo. Inoltre serrato, continuo è il dialogo con gli altri interpreti, numerosissimi, della poesia dell'autore di Fior di notte. Il Salerno con sensibilità e istituendo calzanti ed idonei raccordi con altri poeti e scrittori, tenendo anche conto degli aspetti della ricca e fermentante arte di Selvaggi, perviene ad un commento o meglio a una delineazione critica ben centrata dei versi selvaggiani afferenti alle raccolte Fior di notte (raccolta che ha visto la luce nel '41 e che ha avuto tante ristampe e studi critici), Canti ionici e Corpus. E qui vengono fatti raffronti tra le varie situazioni liriche, isolate tematiche, voci, immagini, metafore: un approccio che ci permette di conoscere l'evoluzione della poetica di Selvaggi e i suoi nuclei fondamentali su cui poggiano le tre raccolte di cui sopra. Orbene, nella "Premessa per una guida di lettura" il critico fissa i motivi che lo hanno spinto ad occuparsi di Giuseppe Selvaggi, motivi "che vanno ricercati nella Poesia e nella sua matrice "jonica", senza per questo delimitarla in un'area geografica, che affonda le radici culturali e religiose in un dissidio ebraico-cristiano".

Dario Bellezza in una nota che si legge alle pagine 43-44 del libro coglie molto bene la fisionomia del lavoro che stiamo esaminando: "libro che nasce in primis dall'amore per la poesia, congiunto ad un altro amore, più struggente ancora, se possibile, quello, austero e sublime, per la Calabria. Infatti sia Selvaggi che Salerno sono calabresi, e calabresi di una parte della Calabria principesca e antica: la terra fatale di Jonia, dove la Magna Grecia prese i suoi slanci più fervidi e amorosi" (p. 43).

Comunque l'analisi del Salerno parte da Fior di notte con il suo mito della Notte e del

nudo che sono fortemente connessi sì da essere un solo "respiro", la "notte corpo". Questa prima raccolta è un inno all'amore, alla vita, e grazie alla poesia e solamente ad essa in un mondo divenuto commercio, dove "sono sogni/le innovazioni" "e tutto è avviato/ai vortici inesauribili dello scambio", "a un poeta è lecito sognare il ritorno di un Eden" (P. De Seta); ed è in "questa direzione" -suggerisce Salerno- "che ha avuto ragione la riproposta di Fior di Notte" (p. 24).

Nelle restanti pagine dell'attento libro viene delineata una mostra antologica della poesia di Selvaggi con poesie che fanno parte delle tre raccolte che abbiamo già menzionate. E a tal riguardo il critico annota che "le poesie scelte per questa mostra antologica sono in relazione al discorso che si è venuto affrontando, e cioè: l'amore visto come espansione dell'essere nell'universo, come corporale necessità d'esistere, fonte primigenia di vita libera, gioiosa esperienza anche attraverso l'esplosione dei sensi, attraverso la purezza della carne ("se la carne è in amore/io sono puro" canterà Selvaggi)" (p. 49).

Convincenti sono pure le pagine dedicate a poesie come Mezzogiorno a Roma, Due nella città, Il congedo, solo per richiamare qualche titolo.

Dopo Fior di Notte è la volta dei Canti Jonici ("Il limpido sudore d'esistere", raccolta che "allarga il respiro di quell'amore-universale-suggellandolo di una maggiore tensione emotiva e lirica") (p. 68). Anche qui l'interprete fa una analisi esauriente di testi quali Piazza di Spagna e Semaforo, Biglietto d'amore, Le ali di Psiche: di queste liriche sono colte le valenze tematiche e metaforiche oltre che le immagini e i miti, le atmosfere, la cifra stilistica. Orbene, di questa raccolta viene messo in risalto la fisionomia dell'anima e del corpo, "visti come gioiosa esplosione dei sensi e grido di purezza".

Alla terza raccolta Corpus è dato come titolo La femminilizzazione dell'Angelo "che sprigiona un mondo mistico e simbolico" (p. 7). Con Corpus si chiude il "ciclo" della stagione poetica di Giuseppe Selvaggi.

Rocco Salerno dedica molte pagine a Corpus perché questo libro è importante non soltanto in quanto è stato composto "in piena maturità ma anche perché è denso di profondi significati allegorici e risponde perfettamente - così dominato, controllato com'è - a un equilibrio tra mondo formale e contenutistico. Lo ritiene importante ancora per il fatto di essere pieno di richiami magici, mitici, folcloristici, religiosi (e non è una casualità, ma c'è una ragione profonda che va ricercata nelle radici e nella formazione spirituale del poeta, una formazione che sta a cavallo tra la religione ebrea e quella cristiana) per cui il mondo poetico-favoloso, pur discostandosi certamente da questi mondi e moduli, in essi tuttavia s'affonda e si eleva"(p. 80).

Corpus è una biografia dell' interiorità e gli elementi naturali come il fulmine, la pioggia, il lampo, il sereno, il sole "spezzato dal nero", sono la "folgorazione di questa vicenda interiore, di questo miracolo della vita rinnovata d'amore, sono le oscillazioni dell'animo terrestre che tentano il cielo e si confondono con

quelle del celeste, della creatura, che, mediante la grazia della parola e del corpo, visto come adorazione, come scala per arrivare al Creatore, panteisticamente si trasumana e aspira ad essere quasi lo stesso respiro di Dio; gli elementi naturali sono, cioè, note sinestetiche, lampeggianti di questa vita in continuo balenio"(p. 87). Quindi "un lampo sulle nostre bocche reca il sereno"; "nel sole spezzato dal nero di rapide ali notturne/sento i falchi predatori scoprirci dal cielo/e buttarsi sul silenzioso grido d'arresto". Naturalmente anche per Corpus son fatti persuasivi raffronti con testi appartenenti ad altre raccolte. Così, per limitarci a un solo esempio, anche in questa raccolta torna l'acqua (parte dominante dei Canti Jonici); torna pure il fiume che, come per la poesia Biglietto d'amore diventa d'oro, diventa il fiume della giovinezza, della vita; e ancora appare il mare che è certo un richiamo alla terra natale, al paese. Torna ancora il sogno che è la vittoria sul "sonno" da intendersi come la "sola cieca passione o come desiderio della carne ingannatrice" (p. 93) e per finire ricompare la sete (di Fior di Notte), la conoscenza del viaggio dantesco "visto alla luce della speranza, della fede, della certezza cristiana, torna la nascita di Dio, come ogni uomo in amore, sulla mano di ogni donna": "Finché non crolla l'architrave/Dio tornerà bimbo in ogni mano di donna".

Dopo una attenta analisi di Corpus, Rocco Salerno giustamente conclude che in questa raccolta Giuseppe Selvaggi "attinge alla Poesia senza aggettivi ed entra nel novero dei poeti" (p. 103).Tutto sommato lo studioso fa sua la tesi di un italianista e filologo d'eccezione: Mario Marti che così ha scritto di Corpus, appunto: "Libro compatto, affascinante, nuovo", superiore a Fior di Notte e ai Canti Jonici; un libro - prosegue a scrivere il Marti - che non può essere ignorato dagli storici e dai critici del contemporaneo (...) Vorrei tentare una definizione: che il tuo libro ambisca ad essere una sorta di Vita nuova nel nostro tempo; di un tempo, cioè, in cui si comincia a credere che la vita sia identificazione di spirito e materia, di energia e di plasma, alla sua più lontana, remotissima origine. Corpus, appunto" (p. 103).

Chiude il pregevole volume di Salerno "Immagini e notizie su Giuseppe Selvaggi": una serie di notizie afferenti alla vita e all'opera del poeta, e poi una accurata e ben nutrita bibliografia che registra le principali monografie (quella di Andrea Coscarelli, di Pietro De Seta, di Gilda Trisolini, di Giuseppe Grisolia, di Giovanni Sapia, di Antonia Fyrigos, ecc.) e gli studi e gli interventi critici (quelli di Piromalli, Pasquale Tuscano, Alberto Frattini, Donato Valli, Dante Maffia, Gaetano Marinò, solo per citarne alcuni).

Sostanzialmente, grazie a questo lavoro coscienzioso di Salerno, possiamo accostarci alla poesia di Selvaggi e sentirne le singole voci, i vari sviluppi, i piani, le situazioni. Ed ecco - e li citiamo nella loro interezza - i versi di Racconto d'amore (fanno parte di Corpus) che ci danno il segno più vivo della poesia di Giuseppe Selvaggi: "Sulla testa corona di aria e capelli/ogni piega degli abiti era una gemma/con ombre di rose nelle tinte placate./Persino le mani quasi coperte dalle trine/ornate da agili giri di minute perle./Le dita lunghe, alterne, inanellate, tutta sciolta

negli abiti camminavi/sorgente dei sensi e delle cose belle./Ognuno desiderava il tuo sguardo/ma si fermava allarmato dinanzi a tanto fulgore./Io che ti amo nel segno sotterraneo della vita/ti presi per mano portandoti nel prato segreto. /Fu lento il bacio vestiti tu ed io/entrando nella stupefatta resa. /Ti spogliai ad uno ad uno di tutto/sino al limpido nudo sul verde dell'erba, /i denti bianchi nel socchiuso della bocca/i capelli e il pelo riflessi dal tenero sole./Appresi che lo splendore era in te come sei./Non osai toccarti oltre l'impegno d'amore/di vederci in tanto sereno/anche nei giorni nuovi, ogni giorno, dopo la morte". Si compie in modo meraviglioso la "femminilizzazione dell'angelo".

E per capire la statura poetica di Selvaggi ci sia permesso di esibire una ennesima citazione di suoi versi, come i seguenti: "Dammi la gioia di esistere/o destino a me assegnato/e la gioia dammi di morire/sapendo che la morte è esistenza. /Ora pace e purezza ai miei giorni/con tutto l'amore del corpo".

E' proprio con Corpus che Selvaggi ritrova se stesso e il suo mondo, e perciò - a nostro avviso - questa raccolta è stata preparata nel tempo dalle precedenti.

Orbene, la poesia di Selvaggi trova il suo culmine in Corpus in cui pulsa una "vita nuova" come "lo splendore, lo sguardo della donna che diventa fulgore dinanzi a cui ognuno si ferma allarmato".

Carmine Chiodo

Rocco Salerno, La femminilizzazione dell'angelo nella poesia di Selvaggi, Roma, Edizioni Moloch,1990, L.15.000

AL CRISTO DI LEPANTO

Cristo che a Lepanto un dì, nella battaglia, spostasti il capo per schivare, dall’alto della croce inalberata sulla nave, il proiettile nemico, a Te ci rivolgiamo perché oggi di un miracolo più grande Ti imploriamo. Da quella croce dove per salvarci, salisti un giorno, oggi discendi e col Tuo Santo Spirito riporta la luce e la saggezza in quelle menti che ottenebrate da sete di potere ed in balia del Male ci minacciano senza pietà, creando morte e distruzione.

7 ottobre 2022

Mariagina Bonciani

Milano

S’E’ FATTO GIORNO

S’è fatto giorno e ancora non è notte per chi ha vegliato lavorando o scrivendo poesie. S’è fatto giorno e ancora attende il sonno chi ha vegliato pensando e scrivendo poesia.

4 giugno 2022

Mariagina Bonciani

Milano

SENSO NON SENSO

Facciamo conto ci sia senso nel non senso di questo tempo. Nati non foste per viver come bruti. Bruto aspettava Cesare al Senato. Il pugnale era già affilato. Bisogna sempre aspettarsi il peggio quando si cammina controsenso, qualcuno procede in senso inverso. Ogni regola ha le sue eccezioni. Il sole ridea calando dietro il Resegone, mentre Carducci pescava un granchio. Il non senso si affaccia alla finestra di un senso che sorride all'alfabeto sfogliato come un fiore.

Lucio Zaniboni

Lecco

AVVISO IMPORTANTE

a pag. 42

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